RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 251 - Testo della
Trasmissione lunedì 8 settembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
In visita dal Papa i
Missionari claretiani, in occasione del capitolo generale
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA
E SOCIETA’:
Lettera pastorale del
cardinale Tettamanzi indirizzata alla diocesi di Milano
Nel suo discorso alla Nazione, George Bush ha
chiesto ieri al Congresso 87 miliardi di dollari per finanziare le missioni
americane in Iraq e Afghanistan
Arafat ha scelto il successore di Abu Mazen: si
tratta di Abu Ala
Oggi in Italia si ricorda
l’8 settembre 1943, data dell’armistizio con gli angloamericani
8
settembre 2003
L’ESIGENZA DI UN RINNOVATO IMPEGNO ETICO E SOCIALE
SOPRATTUTTO IN FAVORE DEI PIU’ POVERI RICHIAMATA DAL PAPA
NELL’UDIENZA AL NUOVO AMBASCIATORE DELLA BOLIVIA,
RICEVUTO PER LA PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI
- Servizio di Alessandro De Carolis -
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“Il futuro di una nazione deve basarsi sulla pace
sociale”, che vuol dire stabilità politica, responsabilità amministrativa,
perseguimento dei valori morali fondamentali, lotta alla povertà. E’ quanto, in
sintesi, Giovanni Paolo II ha detto questa mattina al nuovo ambasciatore della
Bolivia presso la Santa Sede, Valentín Abecia Baldivieso, ricevuto a Castel
Gandolfo per la presentazione delle Lettere credenziali.
Il Papa ha subito riconosciuto, all’inizio del suo discorso,
i “momenti difficili” vissuti dalla
Bolivia “a causa della sua delicata e conflittuale situazione sociale”. Ed ha
dato merito alla Chiesa locale di aver collaborato con le autorità civili e di
aver intrapreso “iniziative pacificatrici”, favorendo “l’intesa e la
riconciliazione”. Da queste forme di dialogo, ha affermato il Pontefice, deve
essere esclusa “ogni forma di violenza”: al contrario, ha ribadito con
chiarezza, il dialogo deve “aiutare a costruire un futuro più umano con la
collaborazione di tutti, evitando l’impoverimento della società”. A questo
proposito, ha osservato Giovanni Paolo II, per ottenere il progresso sociale
non è sufficiente applicare “solo i mezzi tecnici necessari, ma anche
promuovendo riforme con una base umana e morale”, che abbiano un rispetto di
tipo etico “della persona, della famiglia e della società”.
Il Papa ha quindi auspicato che la Bolivia - puntando su
una “stabilità politica” che permetta “a tutti di partecipare alla vita
pubblica” - riesca a “superare la grave e profonda crisi finanziaria che
colpisce principalmente le classi più deboli della società”. Penso, ha detto il
Pontefice, “ai contadini, ai minatori, agli abitanti dei quartieri periferici
delle città”: tutti “vittime di un materialismo che esclude l’uomo e che agisce
unicamente per interesse di arricchimento o di potere”. “E’ doloroso e vasto il
problema della povertà”, ha concluso Giovanni Paolo II, giacché porta con sé
“gravi conseguenze nel campo dell’educazione, della salute, della casa”. Il
risolverlo, ha aggiunto, “richiede una seria presa di coscienza per affrontare
con decisione la situazione attuale a tutti i livelli, cooperando a un reale
impegno per il bene comune”.
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L’ACCOGLIENZA
E LA SOLIDARIETA’ TIPICHE DEL CARISMA MISSIONARIO TRAGGANO ORIGINE DALL’INTIMA
UNIONE CON CRISTO CROCIFISSO.
E’ IL MESSAGGIO DEL PAPA AI MISSIONARI CLARETIANI
IN OCCASIONE DEL LORO CAPITOLO GENERALE
-
Servizio di Paolo Ondarza -
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“In un momento storico in cui, nel vasto orizzonte della
società, si intravedono non pochi segni
di una diffusa cultura della morte, sentitevi inviati dal Signore Gesù a
proclamare il Dio della vita”. Questo l’invito del Papa nel discorso
indirizzato ai partecipanti al 23.mo capitolo generale dei Claretiani,
missionari figli del Cuore Immacolato di Maria, ricevuti oggi nel Palazzo
Apostolico di Castel Gandolfo. “Perchè abbiano la vita”: è il tema del Capitolo, in corso a Roma
dallo scorso 19 agosto e che vede la partecipazione di 76 religiosi.
Giovanni Paolo II ricorda come nei nostri tempi “la vita,
immenso dono del Padre, debba essere difesa, coltivata e rispettata nella sua
dignità, soprattutto tra i più bisognosi, attraverso parole di speranza e gesti
gratuiti di accoglienza e solidarietà”. “Tutto ciò - spiega il Pontefice - è
fondamentale per l’identità e l’armonia delle persone e della famiglia umana
nel suo insieme”. “Il servizio missionario - scrive all’Istituto - deve
germogliare dall’intima unione con il Signore ed essere vissuto in un cammino
di offerta di sé fino alla Croce: percorso compiuto da Cristo stesso e additato
a chiunque lo voglia seguire”: un’intima comunione con Gesù, dunque, che può
essere appresa dal Cuore Immacolato di Maria.
Salutando il nuovo superiore generale, Josep Maria Abella
Batle, il Santo Padre non manca di ricordare i numerosi “doni” elargiti ai
missionari claretiani dall’amore di Dio: “il dono prezioso di nuove vocazioni, soprattutto in Asia e in
Africa”; “il dono di nuove presenze missionarie nel mondo”; “il dono”, infine
del “sangue dei martiri, testimonianza di Cristo per i nostri tempi”. Sul
capitolo in corso Giovanni Paolo II invoca la luce dello Spirito affinché sia
bussola e alimento per tutti i membri dell’Istituto. La congregazione, fondata
da Sant’Antonio Maria Claret nella spagnola Vic nel 1849, è attualmente
composta da circa 3.000 missionari che lavorano in 64 Paesi del mondo: 15
dell’Africa, 25 dell’America, 9 dell’Asia, 14 dell’Europa e 1 dell’Oceania con
particolare dedizione per l’annuncio della Parola in tutte le forme,
l’educazione dei giovani e l’apostolato attraverso la stampa.
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Oltre
al nuovo ambasciatore di Bolivia presso la Santa Sede e ai Missionari
Claretiani riuniti per il Capitolo generale, il Papa ha ricevuto stamani a
Castel Gandolfo in successive udienze l’arcivescovo Ivan Jurkovic, nunzio
apostolico in Bielorussia, e il presidente della Provincia di Roma, onorevole
Enrico Gasbarra, con la consorte.
TUTTI I FEDELI DELLA DIOCESI DI ROMA CALDAMENTE
INVITATI
DAL
CARDINALE VICARIO CAMILLO RUINI ALLA MESSA SOLENNE DEL PAPA
IN
PIAZZA SAN PIETRO, IL 16 OTTOBRE, PER I 25 ANNI DI PONTIFICATO
- A cura di Paolo Salvo -
Il 16
ottobre prossimo, nel 25.mo anniversario dell’elezione al Pontificato, Giovanni
Paolo II presiederà una solenne Concelebrazione eucaristica alle ore 18 in
Piazza San Pietro. In occasione di questo evento, il cardinale vicario, Camillo
Ruini, ha inviato una lettera a tutti i fedeli della diocesi di Roma,
invitandoli a partecipare alla Messa presieduta dal Papa ed a prepararsi
spiritualmente.
“Con grandissima gioia - scrive il cardinale Ruini -
invito voi tutti a partecipare: pregheremo con il Papa e per il Papa,
ringraziando Dio per avercelo dato e chiedendogli di conservarci a lungo questo nostro amatissimo Padre. Con il
Papa – aggiunge il cardinale vicario – pregheremo anche per la Chiesa di Roma,
affinché noi tutti suoi figli possiamo vivere da autentici discepoli di Gesù
Cristo ed essere così suoi testimoni
credibili, percorrendo con coraggio, sull’esempio del Papa, la via che da
Cristo conduce a ogni uomo”.
Il vicario di Roma Ruini chiede quindi ai fedeli di
prepararsi spiritualmente a questo “momento di grazia” pregando per il Santo
Padre nelle parrocchie e comunità, nelle famiglie e nel segreto dei loro cuori.
A tal fine il porporato informa che da lunedì 22 settembre sarà disponibile
presso l’Ufficio liturgico del Vicariato un sussidio di preghiera per il Papa, con i testi per il Rosario meditato e
per l’animazione dell’Adorazione eucaristica, oltre a una serie di intenzioni
da inserire nelle preghiere dei fedeli delle domeniche 28 settembre, 5 e 12
ottobre.
Il cardinale vicario chiede inoltre ai sacerdoti, ai
superiori e superiore religiosi, ai responsabili delle Aggregazioni ecclesiali
di “promuovere la più grande partecipazione dei fedeli” alla solenne Eucaristia
del 16 ottobre, nella quale concelebreranno con il Papa i cardinali, i vescovi
e i parroci di Roma. In questa “specialissima circostanza” - precisa pure il
cardinale Ruini ai fedeli romani - sono sospese tutte le celebrazioni
liturgiche vespertine in ogni parrocchia e chiesa della diocesi. Il cardinale
vicario annuncia infine che “come segno della gratitudine di tutta la Chiesa di
Roma, verrà donata al Santo Padre una Icona della Madonna del Divino Amore,
destinata ad essere esposta in quel Santuario alla venerazione dei fedeli”.
TESTIMONIARE CHE LA PACE E’ IL DESTINO DI
TUTTI GLI UOMINI.
LO CHIEDE IL PAPA NEL MESSAGGIO
INVIATO AL MEETING “UOMINI E RELIGIONI”
IN
CORSO AD AACHEN
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Servizio di Francesca Sabatinelli -
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La vocazione delle religioni è quella di essere l’acqua
che spegne il fuoco della guerra, e non quella di essere benzina sugli incendi
perché divampino più forti e brutali. La causa della pace ha bisogno delle
religioni e le religioni non possono sottrarsi al servizio alla pace. E’ questo
lo spirito di Assisi che si rinnova qui in questi giorni ad Aquisgrana (Aachen):
lo ha sottolineato Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio che ieri ha aperto
i lavori di questo 17.mo appuntamento. Combattere il dilagante pessimismo e la
mancanza di fiducia nel dialogo che tocca sia le religioni sia le relazioni
internazionali: sono queste le sfide che vengono lanciate qui. Su tutte ne prevale però una: testimoniare
che è la pace il destino di tutti gli uomini, ciò che chiede il Papa nel suo messaggio inviato al meeting di
Sant’Egidio, affidato al delegato pontificio, il cardinale Etchegaray. Assieme
alle Torri Gemelle di New York, è l’amara constatazione del Papa, sembrano
essere crollate anche molte speranze di pace.
Ad Assisi nel 1986 prendeva forma quella grande visione
che aveva nel cuore il beato Giovanni XXIII quando scrisse l’enciclica Pacem
in terris, ma quell’anelito, scrive il Papa, non è stato raccolto con
prontezza e sollecitudine e troppo poco si è investito per difendere la pace e
per sostenere il sogno di un mondo libero dalle guerre. In questi anni,
continua il messaggio, si è assistito allo sviluppo di passioni egocentriche
per i propri confini, per la propria etnia, guerre e conflitti continuano ad
avvelenare la vita di tanti popoli, alimentati dalle ingiustizie e dalle
disparità del nostro pianeta e in questo modo non si facilita certo il processo
di pace. Che fare quindi? Come affermare la pace in questi tempi di guerre? Una
risposta concreta a queste domande, per il Papa, è da ricercare proprio in
questi incontri organizzati da Sant’Egidio e poi sottolinea quello che è uno
dei grandi interrogativi di questo meeting: che tipo di Europa si vuole
costruire? La preoccupazione di Giovanni Paolo II, e dei presenti ad Aachen, è
che si dimentichino le radici spirituali e cristiane che, scrive il Santo
Padre, non sono una memoria di esclusivismo religioso, ma un fondamento di
libertà perché rendono l’Europa un crogiuolo di culture e di esperienze
differenti. E l’Europa è chiamata a recuperare la consapevolezza delle sue
radici più profonde. Tanto più si ancorerà alle sue radici, tanto più l’Europa
accelererà il processo di unione interna e offrirà il suo indispensabile
contributo per il progresso e la pace tra tutti i popoli della terra.
Da Aachen, Francesca
Sabatinelli, Radio Vaticana.
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DA OGGI A SABATO PROSSIMO A ROMA 169 VESCOVI DI
LINGUA INGLESE PROVENIENTI DA QUATTRO CONTINENTI DISCUTONO SULL’ESERCIZIO DEL
LORO MINISTERO: CON NOI IL CARDINALE CRESCENZIO SEPE,
APPENA
RIENTRATO DALLA MISSIONE IN MONGOLIA
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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L’incontro è stato promosso dalla Congregazione per
l’evangelizzazione dei popoli e si tiene presso il Pontificio Collegio San Paolo
Apostolo in via di Torre Rossa. Per l’esattezza i presuli provengono 63
dall’Africa, 88 dall’Asia, 13 dall’Oceania e 5 dalle Americhe. Si tratta delle
diocesi anglofone di territori dipendenti dal dicastero di Propaganda Fide. Il
prefetto, cardinale Crescenzio Sepe, appena rientrato dalla visita in Mongolia,
in apertura dei lavori questa mattina ce ne ha illustrato la finalità:
R. - La finalità è quella di riunire questi vescovi per un
aggiornamento che li aiuti nel loro apostolato episcopale e perché, stando
insieme e conoscendosi, possano trovare quell’energia per affrontare le tante
difficoltà. Sono vescovi di frontiera, vescovi che devono affrontare mille
difficoltà di ogni genere, dovute alle varie situazioni sociali, culturali,
politiche e religiose e che quindi necessitano di un rafforzamento nella fede.
Necessitano anche di essere animati da una maggiore volontà di realizzare
l’evangelizzazione nel mondo di oggi e soprattutto in comunione con il Santo
Padre e la Chiesa universale.
D. – Eminenza, lei è appena tornato dalla Mongolia dove si
è recato per volontà del Santo Padre. Una impressione, al ritorno da questo
viaggio che avrebbe dovuto vedere il Santo Padre in quel Paese…
R. – Il viaggio del Santo Padre è stato sospeso e non
ancora cancellato. Intanto il Santo Padre ha chiesto che preparassi un po’ la
strada per una sua eventuale visita. E’ stata un’impressione entusiasmante, in
alcuni momenti anche commovente, al pensiero che per la prima volta si ordinava
un vescovo per questo Paese così lontano; veniva consacrata la prima cattedrale
e soprattutto nel vedere tutte le opere di carità realizzate dai missionari
presenti nel Paese. Tutto questo dà l’immagine di una Chiesa molto aperta,
molto dinamica e direi piena di futuro perché sopratutto i giovani hanno un
cuore molto aperto a quello che è il messaggio cristiano cattolico e a tutto
ciò che significa anche una presenza viva del cristianesimo e del Vangelo di
Cristo nel loro territorio.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Un passo del Messaggio del Papa
in occasione del XVII Incontro internazionale di preghiera per la pace è il
contenuto della testatina d'apertura dal titolo fisso "L'Europa o è
cristiana o non è Europa".
Si impone poi il titolo
"Verso Pompei centro della spiritualità del Rosario": all'Angelus,
Giovanni Paolo II, prima del viaggio in Slovacchia, avvia un ideale
pellegrinaggio verso il Santuario dove si recherà il 7 ottobre per un momento
particolarmente significativo dell'Anno del Rosario.
Nelle vaticane, nel discorso al
nuovo ambasciatore di Bolivia, il Santo Padre ha richiamato l'esigenza di
proporre costantemente valori morali per assicurare lo sviluppo per tutti.
Nel discorso ai partecipanti al capitolo dei
Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, Giovanni Paolo II ha esortato a
proclamare il Dio della vita in una società che lascia intravvedere non pochi
segni di una diffusa cultura della morte.
Il Messaggio del Papa al cardinale
Etchegaray in occasione del XVII Incontro internazionale di preghiera per la
pace.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: il presidente del Parlamento Abu Ala scelto al posto di Abu Mazen.
Iraq: in un discorso rivolto ai
connazionali, Bush ha ribadito l'esigenza di aiutare gli iracheni a costruire
il loro futuro.
Nella pagina culturale, un
approfondito contributo di Giuseppe Costa dal titolo "Il giornalismo e
l'esigenza di una formazione sistematica, etica ed umanistica oltre che pratica
e tecnologica".
Nelle pagine italiane, in
rilievo i temi della finanziaria e delle pensioni.
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8
settembre 2003
LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE DEVE AGIRE IN PRIMA
LINEA
CONTRO
LA PIAGA DELL’ANALFABETIZZAZIONE NEL MONDO.
LO
SOSTIENE L’UNESCO, NELLA GIORNATA MONDIALE DEDICATA AL PROBLEMA
-
Intervista con Namtit Akosorukool -
“Dedicare
ogni anno una giornata all’alfabetizzazione è necessario perché non se ne perda
di vista l’importanza e per celebrare le opportunità che si presenteranno a
quanti non sono più analfabeti”. È un brano del messaggio del direttore
generale dell’Unesco, Koichiro Matsuura, per la Giornata mondiale
dell’alfabetizzazione, che si celebra oggi. In occasione della ricorrenza,
verranno consegnati dei premi alle organizzazioni impegnate nella lotta contro
l’analfabetismo. Sebbene si siano compiuti notevoli passi in avanti, il numero
di persone che non sanno leggere né scrivere resta molto elevato, come ci conferma,
al microfono di Dorotea Gambardella, l’esperta di problemi
dell’alfabetizzazione per l’Unesco, Namtit Akosorukool.
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R.
– THE PROBLEM OF LITERECY OR ILLITERACY…
Il problema dell’alfabetizzazione o meglio
dell’analfabetismo nel mondo è estremamente serio. Circa 862 milioni di adulti
non sanno leggere, né scrivere e di essi i due terzi sono donne. Non solo, vi
sono anche più di 100 milioni di bambini che disertano la scuola, di cui il 60
per cento ragazze. La più alta concentrazione di analfabeti è in Asia, Messico
e in molte aree dell’Africa. L’analfabetismo non riguarda tuttavia solo i paesi
in via di sviluppo. Stati Uniti, Germania e Regno Unito ad esempio presentano
differenti aspetti del problema non meno trascurabili. Quindi si tratta davvero
di una questione d’interesse mondiale. Comunque bisogna sottolineare che negli
ultimi venti anni qualche miglioramento si è registrato e nelle aree sopra citate
il tasso di alfabetizzazione è salito dal 70 all’88 per cento.
D. – Cosa state facendo per
risolvere la situazione?
R. – I
WOULD LIKE TO EMPHASIZE…
Vorrei
sottolineare che l’analfabetismo non è un problema di cui deve farsi carico
l’Unesco, bensì la comunità internazionale, poiché investe i diritti fondamentali
dell’uomo. Ormai non è più una questione individuale ma sociale e i vari
governi dovrebbero seriamente adoperarsi per far sì che tutti sappiano almeno
leggere e scrivere. L’Unesco dal canto suo lo considera una questione di
primaria importanza, a cui viene dato largo spazio in tutte le conferenze.
Coinvolge continuamente i media per far sì che le persone comprendano a fondo
la gravità del problema, ha istituito dei premi internazionali come
riconoscimento a quanti s’impegnano nel settore. Mediante i vari partners
organizza corsi di aggiornamento per docenti, lavora per il miglioramento di
strutture e materiali, affinché si produca sviluppo e benefici concreti per la
vita delle persone. Infine collabora con le varie organizzazioni non
governative per far sì che non si perda mai di vista il vero e più profondo
significato dell’istruzione ed è impegnato in un costante monitoraggio dei vari
progetti per accertarsi che i partners operino nella direzione giusta.
D. – Qual è il significato più profondo
dell’alfabetizzazione?
R. –
TRADITIONALLY LITERACY IS CONSIDERED TO BE…
Un
tempo essere alfabetizzati significava solo saper leggere, scrivere e contare.
In seguito si è compreso che ciò non è sufficiente e che questi sono soltanto
gli strumenti di base che l’alfabetizzazione fornisce. Oggi essa viene vista
come una risposta ai bisogni delle persone, se ben utilizzata può cambiare
quello che non va a livello sociale, economico, politico. Quindi si intuisce
come sia tra i bisogni più importanti.
D. – Qual il messaggio che la Giornata internazionale
dell’alfabetizzazione vuole lanciare quest’anno?
R. –
THE MESSAGE OF THIS YEAR…
Il
messaggio per quest’anno è che l’analfabetismo è una questione che tutti i capi
di governo dovrebbero inserire nelle loro agende. Forse una buona strategia per
risolvere il problema potrebbe essere concentrare gli sforzi sull’istruzione
delle donne.
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LE ONG DI TUTTO IL MONDO SI RIUNISCONO AL PALAZZO
DI VETRO
PER DISCUTERE DI SVILUPPO E PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI
- Con noi, Pierpaolo Saporito -
“Sicurezza e dignità umana: mantenere la promessa
dell’ONU”: è il tema centrale della 56.ma conferenza annuale delle Organizzazioni
Non Governative, evento che si terrà al Palazzo di Vetro di New York da oggi al
10 settembre. Al summit prenderanno parte 2000 Ong da cento Paesi. Si confronteranno sui temi dello
sviluppo e della promozione dei diritti umani nell’era della globalizzazione.
Tra i sodalizi presenti al vertice anche l’Occam, organismo culturale associato
al dipartimento della Pubblica informazione dell’Onu. Al suo presidente,
Pierpaolo Saporito, Alessandro Gisotti ha chiesto quali sono le aspettative
riposte in questa conferenza:
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R. – E’
una conferenza strategicamente importante, perché siamo ormai in una soglia
avanzata della rivoluzione digitale. E ciò vuol dire una straordinaria
globalizzazione dei rapporti. Dal mondo rigido, da cui stiamo uscendo, la
speranza, molto concreta, perché ne vediamo tutti gli effetti, è quella che con
l’aiuto dell’ “ombrello” delle Nazioni Unite, con il fervore delle migliaia e
migliaia di Ong, ciò porti ad una trasformazione che è capillare, ma è anche
generalizzata.
D. –
Le organizzazioni non governative hanno accresciuto nel corso degli anni la
loro capacità di incidere nelle politiche di sviluppo. Qual è oggi la loro vera
forza?
R. –
In questa accelerazione, le reti istituzionali, tradizionali, si sono allargate
sempre più. In questi spazi operano proprio le Ong. Quindi, capillarmente hanno
trovato ciascuna delle applicazioni che poi hanno sviluppato. Ritorniamo,
dunque, ad una situazione dal particolare al generale, in cui il sistema
Nazioni Unite nella sua globalità se ne giova. Sono diventate dei sensori che
danno delle risposte immediate, mentre prima tutto aveva dei tempi di
rilevamento per cui spesso si arrivava ad una sorta di deriva generalizzata,
quindi con una caduta di efficienza a livello dei bisogni generali e
particolari. Quello che è il lavoro in rete, rispetto ai parametri gerarchici
che ci governavano fino a poco tempo fa, sta diventando la pratica di vita.
Quindi, lì si è vista l’esplosione, la grande effervescenza e il grande
incontro, tra le Ong e le Nazioni Unite.
D. –
Ecco, come è cambiato nel corso degli anni il rapporto tra le Organizzazioni
non governative e il Palazzo di Vetro?
R. –
Direi in un abbraccio sempre più stretto, in uno scambio sempre più dinamico,
in una ricerca sempre più puntuale di soluzioni. Con l’accelerazione della
rivoluzione digitale si trovano soluzioni straordinarie. Alle volte, e senza
fare grandi filosofie, si trovano soluzioni che automaticamente producono beneficio
di mercato. Quindi, ecco l’assunto del “Global Compact” di Kofi Annan: trovare
l’apporto tra istanze etiche ed esigenze di mercato. E’ una sintesi su cui le
Nazioni Unite hanno trovato veramente una grossa piattaforma di convergenze.
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8
settembre 2003
AMAREZZA PER LA SCARSA ECO NEL
MONDO DELL’AUSPICATO SEGNO DI CLEMENZA
DOMANDATO DAL PAPA A
FAVORE DEI DETENUTI, E DECISO ‘NO’ ALLA PRIVATIZZAZIONE DEL SISTEMA CARCERARIO
IN UN MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DI GIUSTIZIA E PACE, MONS. RENATO MARTINO, AL
CONGRESSO DELLA COMMISSIONE INTERNAZIONALE DELLA PASTORALE CATTOLICA DELLE
PRIGIONI,
IN CORSO A DUBLINO
- A cura di Paolo
Scappucci -
CITTA’ DEL VATICANO. = I principi fondamentali del
Magistero ecclesiale sulla pastorale cattolica dei carcerati, e cioè la dignità
inalienabile di ogni persona umana anche se macchiatasi d’un delitto, l’equità
delle inchiesta di polizia, delle procedure giudiziarie e delle pene detentive,
nonché il rispetto dello Stato di diritto a garanzia di chi si trova in carcere.
sono sottolineati in un messaggio con data odierna inviato dal presidente del
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, arcivescovo Renato Raffaele
Martino, al Congresso della Commissione internazionale della pastorale
cattolica delle prigioni, in corso a Dublino. Nel testo, letto agli oltre 200
partecipanti di 140 Paesi dal segretario del dicastero, vescovo Gian Paolo
Crepaldi, si rileva che il clima di insicurezza diffuso nell’opinione pubblica,
con conseguente atteggiamento di inasprita severità nei confronti dei delinquenti,
l’insensibilità dei responsabili politici troppo polarizzati sui risultati elettorali
e l’eccessivo soprappopolamento delle carceri impediscono un’appropriata valutazione
delle vere finalità della detenzione e riducono le possibilità d’un pieno
ritorno dei condannati alla vita sociale, una volta scontata la giusta pena. Il
documento di mons. Martino ai cappellani cattolici delle carceri esprime
delusione per la scarsa eco avuta nel mondo dall’appello, lanciato dal Santo Padre
in occasione del Grande Giubileo del 2000 e più volte ripetuto successivamente,
“per chiedere un segno di clemenza a beneficio di tutti i detenuti”. Viene poi
ribadito un deciso ‘no’ alla privatizzazione della gestione degli istituti di
pena. “Bisogna evitare – si afferma nel messaggio del presidente di Giustizia e
Pace – che una tale scelta possa ridurre la pena detentiva a un servizio
dominato dalla logica del profitto. Ogni riforma non deve perdere di vista che
la priorità in questo campo resta il rispetto assoluto della dignità della
persona condannata e del suo recupero nella società”.
LA CHIESA DEVE
SPERIMENTARE NUOVE STRADE DI EVANGELIZZAZIONE
PER ESSERE FEDELE ALLA PROPRIA VOCAZIONE
MISSIONARIA:
L’ESORTAZIONE ESPRESSA DAL CARDINALE TETTAMANZI
NELLA LETTERA PASTORALE
INDIRIZZATA ALLA DIOCESI DI MILANO
- A cura di Fabio Brenna -
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MILANO. = “Mi sarete testimoni - il volto
missionario della chiesa di Milano”: è il titolo della lettera pastorale e del
piano triennale che l’arcivescovo, cardinale Dionigi Tettamanzi, ha presentato
oggi alla diocesi di Milano. Tettamanzi ricorda come la necessità di
evangelizzazione imponga alla Chiesa di oggi di abbandonare una pastorale
abitudinaria, per una conversione missionaria di cui è soggetto protagonista la
parrocchia e, al suo interno, ogni singolo credente e realtà ecclesiale. Dopo
aver operato un discernimento alla ricerca del proprio volto missionario, la
parrocchia procede attraverso tre tappe privilegiate: una celebrazione qualitativamente
curata della messa; l’amministrazione dei sacramenti in un contesto di fede
celebrata/professata e vissuta; ed, infine, attraverso la presenza da cristiani
nei concreti ambiti della vita quotidiana. Alla responsabilità della missione
nel quotidiano, l’arcivescovo di Milano chiama ogni singolo cristiano. Le
figure specializzate degli operatori pastorali
poi, curano l’evangelizzazione specifica di settori determinati e lo
fanno attraverso una formazione permanente e la cura di una profonda
spiritualità. Per quanto riguarda poi il percorso pastorale di quest’anno,
Tettamanzi ha chiesto di dedicare alla lettera la prima parte dell’anno;
quindi, di operare il discernimento evangelico alla ricerca del volto
missinario della chiesa milanese ed, infine, di fare del credo il tema delle
catechesi, curando poi la preparazione dei fidanzati al matrimonio. In tutte le
chiese della diocesi sarà poi consegnato domenica prossima un messaggio
dell’arcive-scovo ai fedeli dal titolo “Mi sarai testimone”, con le linee guida
del percorso diocesano dei prossimi tre anni.
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VIOLENZA CONTRO LA CHIESA IN UGANDA.
I RIBELLI DELL’ESERCITO DI RESISTENZA DEL SIGNORE
HANNO ATTACCATO
LA MISSIONE CATTOLICA DI ICEME, SACCHEGGIANDOLA E
PERCUOTENDO IL PARROCO
- A cura di padre Giulio Albanese -
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KAMPALA. = I ribelli del
sedicente esercito di Resistenza del Signore (Lra) continuano a seminare morte
e distruzione nel Nord Uganda, portando avanti un’assurda crociata contro il
governo di Kampala. Nella notte tra sabato e domenica hanno attaccato la
missione cattolica di Iceme, una
cinquantina di chilometri ad est di Lira, saccheggiandola da cima a fondo e
percuotendo il parroco, un missionario di 70 anni. La barbara azione è iniziata
alle 21.30 di sabato e si è protratta oltre le 2 di domenica. Padre Guglielmo Maffeis, comboniano, originario della
diocesi di Bergamo, ha subito numerose percosse sulla schiena e si trova
attualmente nella cittadina di Lira, dove i medici lo hanno dichiarato fuori
pericolo. Gli ‘olum’ - così
vengono chiamati i ribelli della Lord’s Resistance Army dalla gente -
hanno letteralmente svuotato la canonica, portando via cibo, suppellettili e
quant’altro. Successivamente si sono diretti verso l’edificio della chiesa,
profanandola. Il sacerdote ha raccontato che i ribelli, una volta all’interno
dell’edificio sacro, hanno spezzato una statua, asportando il microfono
sull’altare maggiore e l’intero sistema di amplificazione. L’episodio è,
comunque, sintomatico dell’insicu-rezza in cui versano i territori del Nord
Uganda, infestati dagli ‘olum’, un movimento fondato da Joseph Kony, un pazzo visionario al soldo
del regime di Khartoum. Padre
Maffeis svolge servizio missionario in Uganda dal 1962.
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PATHOS ED ENERGIA SONORA
PER L'APERTURA, IERI SERA AL TEATRO MORLACCHI
DI PERUGIA, DELLA SAGRA MUSICALE UMBRA, STORICA
MANIFESTAZIONE D’ARTE SACRA GIUNTA ALLA 58.MA EDIZIONE, SOTTO LA DIREZIONE
ARTISTICA
DEL MAESTRO CARLO PEDINI
- A cura di A.V. -
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PERUGIA = L’inaugurazione rompe gli schemi classici del festival a tema: é un
concerto sinfonico apparentemente “profano”, con l’Ouverture del Manfred e la
IV Sinfonia di Schumann, il Concerto per violino di Brahms, che per
concentrazione degli interpreti ed emozione eleva, però, l’ascolto alle alte
vette della spiritualità. Straordinari artefici del miracolo musicale sono,
infatti, l’Orchestra del XVIII secolo di Amsterdam e il suo fondatore e
direttore Frans Brüggen, oltre al violino solista di Thomas Zehetmair, che
nella prima parte del concerto non disdegna di unirsi ai colleghi orchestrali,
tutti di eccelse qualità, come spalla. Una formazione con strumenti d’epoca
che, come il nome stesso denuncia, è più orientata al repertorio classico che
alla grande musica romantica. Ma proprio le sonorità asciutte, che non perdono
in robustezza, il colore insolito dei fiati naturali, la chiarezza di
esecuzione hanno presentato le pagine in programma sotto una luce nuova,
esaltata nel Concerto di Brahms dall’essenzialità e dal rigore del violino di Zehtmair,
che ha avuto anche momenti di inattesa dolcezza. La Sagra Musicale Umbra
prosegue i suoi appuntamenti fino al 20 settembre secondo il registro abituale
che unisce la spiritualità all’arte contemporanea, con una nuova produzione “La
Sapienza di Rosvita” con le musiche scritte espressamente da Fernando Sulpizi
e la regia di Roberto Biselli, che mette in scena alcuni testi della monaca vissuta
nell’XI secolo, anticipatrice del dramma liturgico. Commissione della Sagra
anche al compositore Marco Betta per una nuova opera sacra ispirata all’opera
pittorica del Perugino, al secolo Pietro Vannucci, in occasione delle
celebrazioni ufficiali promosse dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici e
al Patrimonio Storico dell’Umbria. Gemellaggio con il festival di Arte Sacra di
Madrid per lo spettacolo coreografico del gruppo Olas Teatro, COR, su musiche
corali dal gregoriano a Monteverdi, passando per la tradizione orale umbra.
Concerti d’organo e pagine di ispirazione religiosa, da dalla Missa Benedisamus
Dominu di Perosi al Magnificat di Bach, completano il ricco cartellone che
coinvolge i luoghi più significativi di un itinerario spirituale in Umbria, da
Foligno ad Assisi, da Umbertide a Terni a Città della Pieve.
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8
settembre 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Alla vigilia del secondo
anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001, il presidente americano,
George Bush, ha pronunciato alle 20 e 30 di ieri sera - 2 e 30 di mattina in
Italia – un discorso alla nazione, della durata di 18 minuti, facendo
il punto sulla lotta al terrorismo. Il capo della Casa Bianca ha dato ampio
risalto ai successi ottenuti nella campagna irachena ed ha ricordato la caduta
del regime di Saddam Hussein, l’uccisione dei suoi figli, la cattura di molti
fedelissimi del raìs ed il rilancio della guerra contro Al Qaeda. Il presidente
statunitense non ha invece rilasciato nessun commento sul mancato ritrovamento
delle armi di distruzione di massa e sulla crisi del governo iracheno. La scelta
di alcuni temi ed il mancato riferimento ad altre importanti questioni hanno
dunque avuto, nel discorso di Bush, lo stesso sfondo: quell’Iraq, che continua
a rappresentare per l’amministrazione americana, il principale nodo da
sciogliere. Ce lo conferma, da New York, Paolo Mastrolilli:
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“WE WILL
DO WHAT IS NECESSARY, WE WILL SPEND WHAT IS NECESSARY...”
L’Iraq è diventato il fronte principale della guerra al
terrorismo e gli Stati Uniti faranno tutto il necessario e spenderanno tutti i
soldi richiesti per vincere. E’ il messaggio che il presidente Bush ha lanciato
ieri all’America e al mondo, parlando in diretta televisiva alla Nazione. Era
il primo discorso del genere da quello tenuto all’inizio di maggio, con cui il
capo della Casa Bianca aveva annunciato trionfalmente la fine dei combattimenti
principali dal ponte della portaerei Lincoln; da allora in poi, però, sono
morti più soldati americani di quanti avevano perso la vita durante il
conflitto. Il presidente ha detto che i 130 mila soldati americani sono sufficienti
ma non ha accennato a quando potranno tornare a casa. I costi economici invece
continuano a montare e quindi ha rivelato che chiederà al Congresso 87 miliardi
di dollari per finanziare le operazioni militari e la ricostruzione nell’arco
del prossimo anno. Quindi Bush ha sollecitato i Paesi membri dell’Onu a
condividere la sua sfida ai terroristi dopo gli attriti precedenti alla guerra.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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La
responsabilità delle verifiche sul programma nucleare dell’Iraq resta all’Aiea,
l’Agenzia internazionale dell’energia atomica. Lo ha affermato oggi, a Vienna,
il direttore generale dell’Agenzia dell’Onu, Mohamed El Baradei, nel suo
discorso inaugurale della riunione del Consiglio dei governatori dell’Aiea. El
Baradei ha detto che questa è una conseguenza della firma di Baghdad al
trattato di non proliferazione nucleare. Nel Paese arabo proseguono, intanto,
gli episodi di violenza: questa mattina tre soldati americani sono rimasti
feriti nel centro di Baghdad ed un’esplosione – probabilmente dovuta ad un atto
di sabotaggio – ha devastato un oleodotto nella regione di Kirkuk, nell’Iraq
settentrionale.
In Medio
Oriente il futuro dei Territori e della road map è probabilmente legato
ai prossimi sviluppi politici all’interno dell’Autorità nazionale palestinese
(Anp). Il presidente palestinese, Yasser Arafat, ha infatti ufficialmente chiesto all’attuale presidente
del parlamento Ahmad Qorei, alias Abu Ala, di assumere
l’incarico di primo ministro al posto di Mahmoud Abbas, noto come Abu Mazen,
che si è dimesso sabato scorso. Abu Ala, 65 anni, è tra gli artefici
degli accordi di pace di Oslo del 1993 ed è considerato un moderato vicino ad
Arafat. Dopo un breve colloquio ieri sera ad Amman con il ministro
degli Esteri giordano, Marwan Muasher, e con il collega palestinese Nabil
Shaath, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e la
sicurezza comune, Javier Solana, ha ribadito la necessità di promuovere il
dialogo per costruire un autentico itinerario di pace per il Medio Oriente. “L'Unione
Europea – ha affermato - deve trattare con il nuovo premier palestinese”. Il
servizio di Graziano Motta:
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Abu Ala pone le carte sul tavolo e ancor prima di ricevere
ufficialmente l’incarico di primo ministro, come successore di Abu Mazen, dice:
“Non sono disposto a fallire e non accetterò di guidare un governo se non avrò
precise garanzie da Stati Uniti e Unione Europea sul percorso di pace previsto
dalla Road Map, che tende – come noto – a conseguire la nascita dello Stato
indipendente palestinese”. In verità egli, nei giorni scorsi, avvertendo come
più che probabile la sua designazione a premier, aveva preso dei contatti
con esponenti statunitensi, ma ora non
dice che cosa egli intende fare, se smantellare le organizzazioni della rivolta
palestinese, nei quadri e nelle infrastrutture come gli chiedono israeliani e
americani, però si ricorda di chiedere che Israele deve smettere di boicottare
Arafat. Anche Saiberekat, nuovo incaricato del negoziato di pace, esplicita
soltanto gli obiettivi palestinesi: sì alla Road Map, no agli insediamenti dei
coloni. La sensazione, dunque, è che con la caduta di Abu Mazen si delinea una
posizione di rigidità palestinese, poco incline a compromessi.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Israele è in stato di allerta per il timore di una
sanguinosa vendetta degli integralisti di Hamas per il fallito attacco aereo contro
il loro leader spirituale, lo sceicco Ahmed Yassin. La violenza nei territori,
intanto, non si arresta. Stamani un palestinese armato è stato ucciso dai
soldati israeliani al valico di frontiera di Erez e la scorsa notte un raid
aereo ha colpito
l’abitazione di un esponente dell’ala militare di Hamas, nel campo profughi di
Khan Yunis, nel Sud della striscia di Gaza. Secondo fonti mediche l’attacco ha
causato 9 feriti.
Apriamo
adesso un’importante finestra nella storia italiana e torniamo all’8 settembre
1943 quando fu trasmesso alla radio questo messaggio del maresciallo Badoglio:
“Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta
contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare
ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al
generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La
richiesta è stata accolta”. Oggi quella densa pagina di storia italiana, che sancì il
cessate-il-fuoco con Inghilterra e Stati Uniti e che diede inizio
dell’occupazione tedesca, viene ricordata con numerose manifestazioni. Ce ne
parla Giampiero Guadagni:
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Passa da Porta San Paolo, luogo simbolo della lotta di
liberazione a Roma, quel percorso della memoria intrapreso da tempo dal
presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, per ricomporre le lacerazioni
della società italiana anche attraverso una rivisitazione della storia, a
partire da una data assai discussa, quella dell’armistizio con gli
angloamericani. L’8 settembre - ha detto Ciampi - non fu la morte della patria,
ma la sua rigenerazione. Gli italiani seppero sentirsi nazione e alcuni
statisti democratici garantirono, in quel periodo, la continuità dello Stato, i
cui vertici di allora – ricorda Ciampi – furono drammaticamente assenti. Dall’8
settembre del 1943 – ha aggiunto Ciampi – iniziò quella catarsi che ebbe il suo
sbocco nella Costituzione del 1948 che – ha concluso il capo dello Stato scandendo
le parole – ha proclamato l’Italia una e indivisibile nella libertà e nella democrazia.
Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.
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La situazione della sicurezza
in Afghanistan, la ricostruzione del Paese e l’aiuto americano al governo di
transizione: sono stati questi i temi al centro dell’incontro di ieri, a Kabul,
tra il segretario alla difesa statunitense, Donald Rumsfeld, ed il presidente
afghano, Hamid Karzai. Quest’ultimo, intanto, ha rinviato a dicembre la
riunione della Loya Jirga, la grande assemblea tradizionale che ha il compito
di approvare la nuova costituzione del Paese islamico.
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