RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 249 - Testo della
Trasmissione sabato 6 settembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Al Festival di
Venezia, stasera il Leone d’Oro. Già fatte le scelte delle giurie cattoliche.
CHIESA E SOCIETA’:
Domani, domenica, quarta edizione della
Giornata europea della cultura ebraica
Il
premier palestinese, Abu Mazen, ha presentato le proprie dimissioni al
presidente Yasser Arafat
I ministri degli esteri europei, riuniti da
ieri a Riva del Garda, hanno espresso la loro preoccupazione per le dimissioni
di Abu Mazen
Ripresi in Kenya i colloqui di pace tra il governo del Sudan ed i ribelli.
6
settembre 2003
LA CHIESA IN INDIA SIA SEGNO DI CONTRADDIZIONE
EVANGELICA,
FORZA
DI COESIONE SOCIALE E DI DIALOGO INTERRELIGIOSO.
COSI’
IL PAPA A UN GRUPPO DI VESCOVI DELL’INDIA, IN VISITA AD LIMINA
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
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Agire come “strumenti di riconciliazione” e instillare nel
cuore del popolo di Dio “il desiderio di lavorare per una pace e una giustizia
durevoli” nel loro Paese, sulla scia di alcuni tra gli esempi tra i più
importanti di “zelo missionario”, quali l’Apostolo Tommaso, San Francesco
Saverio e Madre Teresa di Calcutta. Con queste parole, accompagnate dalla sua
personale benedizione, Giovanni Paolo II ha concluso il discorso rivolto questa
mattina, a Castel Gandolfo, a un gruppo di 24 vescovi dell’India, provenienti dalle
province ecclesiastiche di Agra, Dehli e Bhopal.
In questo vastissimo territorio che - come ha ricordato al
Pontefice nel suo indirizzo di saluto l’arcivescovo di Dehli, Vincent M.
Concessao - copre circa la metà del territorio nazionale e contiene il 38 per
cento del miliardo e 200 milioni di abitanti totali dell’India, i cristiani
continuano ad avere vita difficile. “Dove le leggi anticonversione sono
passate, come nella regione di Bhopal - ha denunciato l’arcivescovo -
l’evangelizzazione è divenuta estremamente difficile e anche il lavoro di
promozione umana è guardato con sospetto”. Il Papa ha mostrato piena
solidarietà ai vescovi: quello passato, ha riconosciuto, “è stato un anno di
incertezza, conflitto e sofferenza per molti in India”. E per questo motivo, ha
insistito a lungo, nel suo discorso, sulla necessità della formazione dei
sacerdoti, dei seminaristi, dei giovani: lo stesso spirito di evangelizzazione
dei grandi Santi del passato e del presente, ha detto il Pontefice, “continui a
suscitare nei fedeli del vostro Paese il desiderio di proclamare Gesù Cristo”,
anche quando ciò avvenga in condizioni di “estrema avversità”.
Parlando del clero, Giovanni Paolo ha auspicato che i
sacerdoti siano “esemplari in virtù” e “segno di contraddizione all’interno di
società che quotidianamente divengono sempre più secolarizzate e
materialistiche”. I seminaristi, ha proseguito, siano educati nelle differenti
tradizioni della Chiesa cattolica, in un’area dove è elevata la presenza di
siro-malabaresi e di siro-malancaresi. “Spero che i vescovi latini e orientali
- ha affermato il Papa - continuino a lavorare insieme e in armonia con uno
spirito condiviso di amore per Cristo e per il suo universale messaggio di
salvezza”. Il Pontefice ha quindi lodato la “serietà” del lavoro di formazione
dei laici destinati ad affiancare i sacerdoti nel loro ministero di annuncio
del Vangelo, in modo particolare in quelle aree nelle quali non è possibile una
presenza costante del clero.
Giovanni Paolo II ha anche esortato i presuli indiani a
porre grande attenzione ai programmi educativi per i giovani ed ha apprezzato
la presenza di una “larga percentuale di insegnanti e di studenti non
cattolici” nelle scuole gestite dalla Chiesa come un’occasione per “accrescere
la mutua conoscenza tra cattolici e membri di altre religioni, in un’epoca in
cui l’incomprensione può essere fonte di sofferenza per molti”. Tuttavia,
perché il senso dell’annuncio evangelico resti integro, “è essenziale – ha
raccomandato il Papa ai presuli - che i vostri istituti educativi mantengano
una forte identità cattolica”.
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DECEDUTO QUESTA MATTINA A NAIROBI UN TESTIMONE DEL
CONCILIO VATICANO II:
IL CARDINALE MAURICE MICHAEL OTUNGA, ARCIVESCOVO
EMERITO DI NAIROBI.
IL
PAPA ESPRIME LA SUA GRATITUDINE A DIO
PER I LUNGHI ANNI DEL SUO
GENEROSO SERVIZIO.
CON NOI PADRE GIULIO ALBANESE
- Servizio di Carla Cotignoli -
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Questa mattina è deceduto a
Nairobi il cardinale africano Maurice Michael Otunga, arcivescovo emerito della
città. Era stato ricoverato da qualche settimana in ospedale a causa di una
malattia che da tempo l’aveva colpito. Alle difficoltà respiratorie erano
sopravvenute disfunzioni renali. Il
Papa, appena appresa la notizia, ha
espresso il suo dolore ed ha assicurato la sua preghiera perché “ il Buon
Pastore, nel suo tenero amore voglia accogliere presto questo suo devoto servo
nel posto da lui preparato per il banchetto eterno”. Così scrive il Santo Padre
nel telegramma indirizzato all’attuale arcivescovo di Nairobi, Raphael S.
Ndingi Mwana’a Nzeki. Il Papa esprime la sua gratitudine a Dio “per le molte
grazie concesse alla Chiesa attraverso i lunghi anni di generoso servizio del
cardinale Otunga come sacerdote e vescovo”.
Il cardinale Otunga aveva 80
anni. Era nato in Chebukwa, nel gennaio 1923.
Ricevette il battesimo quando aveva 12 anni. Aveva 27 anni quando venne
ordinato sacerdote. Consacrato vescovo nel 1957, era stato nominato da Pio XII ausiliare del vescovo di Kisumu.
Nel ’69 è vescovo ausiliare di Nairobi e poi arcivescovo della capitale del
Kenya per 26 anni, dal 1971 al 1997. E’
stato vice-presidente dell’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa
Orientale (AMECEA); membro del comitato permanente del Simposio delle
conferenze episcopali dell’Africa (SECAM).
Il cardinale Otunga è stato uno
dei testimoni del Concilio Vaticano II ha partecipato a numerosi Sinodi dei
Vescovi. Sua particolare premura è stata attuare quanto scaturito dal Sinodo
per l’Africa. Sulla figura di questo grande uomo di Dio, ascoltiamo la
testimonianza di padre Giulio Albanese che l’ha conosciuto personalmente
essendo stato per vari anni a Nairobi, alla direzione della rivista New People:
R. – Ricordo che nell’ultima conversazione che abbiamo
avuto assieme - che poi di fatto fu un’intervista - gli chiesi quale fosse,
secondo lui, l’urgenza più grande in Africa, e lui mi rispose davvero da grande
pastore: “La premura più grande che ho è quella di consolidare la famiglia in
Africa, perché questa è una grande sfida”. E, peraltro, questo fu uno degli
aspetti che emerse più chiaramente nel documento Ecclesia in Africa, che
fu presentato dal Santo Padre, nel settembre del ’95, proprio a Nairobi. Il
cardinale Otunga era un grande pastore. Aveva una grande sensibilità nei
confronti anche di quelle realtà di grande emarginazione che spesso sono
presenti in una città come Nairobi - pensiamo al fenomeno delle baraccopoli. Vi
era, dunque, da parte sua questa attenzione nei confronti dei più poveri. Lui
ha sempre avuto una grande attenzione nei confronti anche delle religioni
tradizionali africane, nei confronti di tutte quelle che erano le sfide legate
soprattutto all’inculturazione del Vangelo.
D. – Da dove attingeva lui la linfa per esercitare una
pastorale così sentita, immagino, dalla gente?
R. – Era una persona estremamente semplice. Aveva fatto
un’esperienza di Dio molto forte. Proveniva da una famiglia pagana e, dunque,
sentiva molto questo aspetto della conversione a Gesù Cristo. Direi che questo
era uno degli aspetti predominanti. Affermava continuamente nelle sue omelie la
centralità del mistero eucaristico.
D. – In questi ultimi anni è stato colpito da una grave
malattia. Sa dirci qualcosa di quest’ultimo periodo della sua vita?
R. – Direi che l’ha vissuta con grande dignità, con discrezione,
soprattutto nella preghiera. Ricordo che un giorno mi disse: “Tutte quelle che
sono le mie sofferenze personali le offro al Signore, nella consapevolezza che
il Signore sia capace di accoglierle e di gradirle come oblazione”.
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Il Papa
ha ricevuto in udienza nella tarda mattinata il cardinale Ignace Moussa I
Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.
Il Santo Padre ha nominato il cardinale Crescenzio Sepe,
prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, suo Inviato
speciale alla celebrazione del secondo Congresso Missionario Americano, che
avrà luogo a Città del Guatemala dal 25 al 30 novembre prossimo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina una
testatina dal titolo “L’Europa o è cristiana o non è Europa”: segue un passo
del discorso del Papa all'ambasciatore della Repubblica Federale di Germania,
il 13 settembre 2002.
Medio Oriente: il premier
palestinese Abu Mazen si dimette per contrasti con Arafat.
Sempre in prima, il telegramma di cordoglio di
Giovanni Paolo II per la morte del cardinale Maurice Michael Otunga.
All’interno una dettagliata biografia del compianto porporato.
Nelle vaticane, nel discorso ad
un gruppo di vescovi indiani di rito latino, il Santo Padre ha esortato ad
operare per una pace duratura e per la giustizia nel Paese in un tempo di
incertezza, di conflitto e di sofferenza per molti.
Una pagina sul tema: “8
settembre 2003: festa della Natività della Beata Vergine Maria nell’Anno del
Rosario”.
Nelle pagine estere, Iraq: all’Onu cominciate le
consultazioni per concordare l’invio di altre truppe.
Balcani: il presidente croato
Mesic in visita a Belgrado; è la prima volta dopo l’indipendenza.
Nella pagina culturale, un articolo
di Biagio Amata in ricordo dell’illustre latinista Carlo Egger, “defensor”
della classicità.
Nelle pagine italiane, la
situazione politica, con particolare riferimento al tema della giustizia.
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6
settembre 2003
CON LE
DIMISSIONI DEL PREMIER PALESTINESE ABU MAZEN
-
Intervista con Antonio Ferrari -
Le
dimissioni di Abu Mazen riportano la crisi israelo-palestinese in una situazione
di incertezza che potrebbe sfociare nuovamente nel confronto armato più
cruento. Da parte della comunità internazionale si esprime preoccupazione per
le sorti della road-map, il piano di pace deciso dal cosiddetto
“quartetto”, formato da Onu, Unione Europea, Stati Uniti e Russia. Dure le
reazioni israeliane che non vedono positivamente il ritorno nelle mani di
Arafat della totale gestione dell’esecutivo palestinese. Quale futuro è,
dunque, ipotizzabile per la regione mediorientale? Giancarlo La Vella ne ha
parlato con Antonio Ferrari, esperto dell’area e inviato speciale del Corriere
della Sera:
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R. – Lo
scenario che si apre è di estrema incertezza. C’è la possibilità che si riprenda
tutta una serie di consultazioni per le pressioni che inevitabilmente
arriveranno per cercare di ammorbidire la posizione di Arafat e far ottenere ad
Abu Mazen, anche se sarà molto difficile, quello che chiede, cioè il pieno
controllo degli apparati di sicurezza. La seconda ipotesi è che si cambi cavallo
e, allora, al posto di Abu Mazen potrebbe esserci la proposta da parte dello
stesso Arafat di nominare primo ministro Abu Ala, il presidente del Parlamento,
che è un moderato, e che sicuramente non ha, a differenza di Mazen, un rapporto
conflittuale con Arafat, ma più coordinato con il presidente dell’Autorità palestinese.
Certo, o questa crisi si risolve in fretta, oppure il rischio è che le tensioni
all’interno dell’Autorità palestinese si trasmettano ad un terreno già
caldissimo e pronto ad esplodere, e che, quindi, ci possa essere un ritorno ai
momenti più bui della violenza di questo conflitto.
D. – In questo confronto tra Arafat ed Abu Mazen sembra
che proprio il presidente abbia avuto la meglio. Secondo te, Arafat ha ripreso
definitivamente in mano la leadership palestinese?
R. – Il problema della leadership palestinese non era in
discussione. La differenza tra Arafat ed Abu Mazen è molto semplice: Arafat è
stato democraticamente eletto dai palestinesi ed Abu Mazen, invece, è stato
scelto come primo ministro, quindi non ha un sostegno popolare. Ma io credo che
questa vittoria di Arafat rischi di trasformarsi per lui in una bruciante
sconfitta, perché a questo punto Arafat verrà considerato come il responsabile
del collasso del governo Abu Mazen, quindi il responsabile dell’unico governo
che finora poteva garantire di imboccare la road map. La vittoria di
Arafat, all’interno, c’è stata sicuramente, ma non so se le conseguenze più
gravi le avrà Abu Mazen o Arafat. Personalmente penso, e temo, che le avrà
Arafat.
D. – Da parte europea giungono voci preoccupate per queste
dimissioni. Potrebbe essere, secondo te, per l’Unione Europea il momento buono
per assumere un ruolo più decisivo nella mediazione tra israeliani e
palestinesi?
R. – Che l’Unione Europea possa avere un peso maggiore
nella questione mediorientale è auspicabile e lo chiedono un po’ tutti. Ma
dovrà essere un ruolo che deve essere concordato con gli Stati Uniti d’America.
Questo è quello che sostengono tutte le componenti palestinesi, che sanno
perfettamente che senza gli Stati Uniti d’America, in questo momento, non si va
da nessuna parte. E, forse, questo sarebbe il momento in cui esercitare tutte
le pressioni possibili ed anche di far valere quelle che sono le conoscenze
dell’Europa nella regione, per cercare di arrivare a raccordarsi meglio con gli
Stati Uniti e ad avere un peso molto maggiore di quanto l’Europa abbia avuto
fino a questo momento.
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L’IMPEGNO
DEI SOLDATI ITALIANI IN IRAQ TRA EMERGENZA SICUREZZA E SOSTEGNO UMANITARIO ALLA
POPOLAZIONE. CON NOI, IL GENERALE VINCENZO LOPS, COMANDANTE DEL CONTINGENTE
TERRESTRE DELLA MISSIONE “ANTICA BABILONIA”
-
Intervista con il generale Vincenzo Lops -
Al
Palazzo di Vetro di New York, è appena iniziata la fase di confronto
sull’approvazione della risoluzione presentata dagli Stati Uniti, che prevede
l’invio in Iraq di una forza multinazionale, sotto le insegne dell’Onu. Francia
e Germania hanno accolto con una certa freddezza la proposta, mentre la
posizione della Russia sembra più morbida. Intanto, prosegue l’attività della
missione italiana in Iraq denominata “Antica Babilonia”. Un’operazione,
particolarmente complessa, che vede l’impiego di oltre duemila soldati.
Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Nassirya il generale Vincenzo
Lops, comandante del contingente terrestre della missione:
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R. –
L’impegno quotidiano dei nostri soldati è su tutti i fronti. Questo è un teatro
operativo post bellico e c’è dunque da garantire in primo luogo la sicurezza.
Quindi, i bisogni essenziali per la
popolazione, ad esempio, l’energia elettrica, il carburante, la sistemazione
delle scuole per l’imminente inizio dell’anno scolastico. C’è da garantire il
corretto funzionamento della giustizia, da reclutare ed addestrare la polizia
locale, da legalizzare ed organizzare le numerose compagnie di sicurezza, che
sono nate per ‘autoprotezione’. Ancora, da seguire e dirigere le attività dei
consigli cittadini, da monitorare le attività dei neonati partiti politici, che
tendono a darsi una struttura paramilitare e garantire i bisogni primari dei
più deboli, dove non sono ancora giunti gli aiuti umanitari. Stiamo provvedendo
anche a questo. Ultimo, ma non per questo meno importante, c’è da recuperare un
qualcosa del patrimonio culturale di questo Paese, mettere al sicuro alcuni
scavi che si trovano nella zona.
D. – Generale, com’è il rapporto tra i militari italiani e
la popolazione irachena? C’è stata un’evoluzione rispetto all’inizio
dell’operazione?
R. – Nessuna evoluzione, perché i rapporti sono stati
ottimi da subito. Siamo sicuramente visti in maniera ottima dalla gente. E
quando i nostri uomini hanno cominciato a dare riscontro alle richieste della
popolazione, chiaramente il rapporto è anche migliorato. Sono sempre di più
quelli che vogliono venire a parlarci, a presentare i loro problemi, e noi
cerchiamo di risolvere dove possiamo.
D. – Nel triangolo sunnita, il cuore dell’Iraq, ogni
giorno si registrano violenze, attacchi nei confronti delle truppe americane.
Nella zona di competenza italiana, nonostante i problemi del caso, la situazione
sembra invece piuttosto tranquilla. Qual è la vostra valutazione al riguardo?
R. – La nostra zona sicuramente è più tranquilla, perché
c’è solo la componente sciita, al di là delle divisioni interne alla parte
stessa, con gli eventi di Najaf dei giorni scorsi. Quindi, la maggiore
compattezza chiaramente ci dà una garanzia superiore. Fermo restando,
l’esistenza di frange, comunque estremiste, dalle quali possono nascere sempre
problemi.
D. – Al Palazzo di Vetro si discute ora sull’invio di una
forza multinazionale in Iraq sotto “l’ombrello” dell’Onu. Quanto può aiutare
un’iniziativa di questo genere alla normalizzazione della situazione irachena e
quali possono essere le difficoltà incontrate da queste nuove forze militari?
R. – A mio avviso, un maggior coinvolgimento di un numero
maggiore di Paesi non farà che bene alla stabilizzazione della situazione. E’
chiaro che più forze si mettono insieme e più difficoltà ci saranno nel
conseguire gli obiettivi… le eventuali limitazioni che ogni Paese può mettere
all’impiego delle proprie forze. Certo, ci sarà da fare un grosso lavoro di
coordinamento.
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IL GOVERNATORE DI BANKITALIA FAZIO ALLE ACLI:
AL
VERTICE DI CANCUN DEL WTO RIDURRE I SUSSIDI ALL’AGRICOLTURA E I DAZI
Governare la globalizzazione. Nel
suo messaggio al convegno delle Acli a Orvieto, il governatore di Bankitalia,
Antonio Fazio, ribadisce la necessità di raggiungere un accordo al vertice di
Cancun del Wto, rivedendo i sussidi all’agricol-tura e i dazi doganali. E
bisogna intervenire con la stessa decisione anche nelle aree sconvolte dai
conflitti, come ha ribadito anche l’amministratore patriarcale dei Caldei a Baghdad,
Shlemon Warduni. Il servizio di Alessandro Guarasci:
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La
globalizzazione non va contrastata, piuttosto vanno contenuti i rischi che da
essa derivano. Il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, parla dei problemi
che affliggono molte aree del pianeta. D’altronde, per Fazio, se la globalizzazione
è lasciata a se stessa è fonte di arricchimento solo per pochi. Se saranno
affrontati questi nodi, quindi, lo sviluppo sarà per tutti. E un primo passo è
raggiungere un accordo sul commercio al vertice di Cancun del Wto. Dunque, per
il governatore bisogna intervenire sui sussidi agricoli nei Paesi
industrializzati e ridurre le barriere doganali che gravano sulle importazioni
agricole. E’ poi necessario agire per sanare le fratture, tra Nord e Sud del
mondo, provocate dalle guerre. E’ il caso dell’Iraq. Mons. Shlemon Warduni,
amministratore patriarcale dei Caldei a Baghdad, indica alcune vie per dare
all’Iraq un futuro di pace.
“I salari, il lavoro, l’elettricità, la benzina, il gas:
tutte queste cose. Perché, se il popolo vedesse queste cose, direbbe: ‘Ecco,
gli americani ci vogliono bene!’”.
“E’ inoltre urgente proseguire sulla via del disarmo e
ristabilire al più presto un’amministrazione civile. Iraq vuol dire anche
petrolio. E oggi, qui a Orvieto, si è parlato di energie alternative all’oro
nero. Il sociologo americano Jeremy Rifkin ha riproposto la sua tesi: l’uso
dell’idrogeno, come fonte d’energia primaria e la costruzione di una rete di
distribuzione decentralizzata. In pratica ogni essere umano potrà produrre in
casa l’energia di cui ha bisogno. D’altronde l’era del petrolio sta per finire
e bisogna trovare un’alternativa. L’atmosfera si sta riscaldando a un ritmo
impressionante, con forti rischi di sopravvivenza per intere aree del pianeta”.
Da Orvieto, Alessandro Guarasci,
Radio Vaticana.
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IN ATTESA, QUESTA SERA, DELLA PROCLAMAZIONE DEL
LEONE D’ORO
ALLA
60.EDIZIONE DELLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
LE GIURIE CATTOLICHE HANNO GIA’ FATTO LA LORO SCELTA
- Dalla città lagunare, Luca Pellegrini -
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Per Mario Monicelli, presidente della giuria
veneziana, è importante che a vincere sia un bel film. “Ma anche – ha detto il
regista - che abbia una distribu-zione, che la gente lo possa vedere. Non
sopporto quando ai festival vincono film che poi nessuno vede”.
Dunque, per la cerimonia di premiazione di
questa sera – ore 19 in diretta su RaiSat – tutto è possibile. E’ possibile che
vinca Buongiorno, notte, l’intenso e meditativo film di Marco Bellocchio
sulla prigionia di Aldo Moro. E’ possibile che vinca il classico Manoel de
Oliveira con Un film parlato, oppure i feroci samurai del musical
giapponese di Kitano, Zatoichi. Scelta d’autore raffinata sarebbe quella
di Goodbye Dragon Inn del taiwanese Ming-Liang Tsai, sulla metafora cinema-vita;
scelta obbligata è, invece, quella dello splendido, raffinato Il ritorno,
opera prima del russo Andrej Zvagintsev: un padre, due figli, un sacrifico e
una ricchezza di simboli cristiani. Meritatamente la giuria del premio
"Sergio Trasatti - La Navicella Venezia Cinema" della Rivista del
Cinematografo dell’Ente dello Spettacolo ha conferito il riconoscimento
proprio al film “Il ritorno”.
Un importante premio legato al mondo cattolico
è anche il Signis, presente ogni anno in oltre trenta festival internazionali
di cinema e di televisione. Don Giovanni Desio, segretario della Giuria, ci
annuncia i vincitori e le principali motivazioni che hanno portato a fissare lo
sguardo su alcuni dei film più significativi proiettati nell’ambito del
concorso della Mostra di Venezia:
“La Giuria Signis, che un tempo si chiamava Ocic,
Organizzazione cattolica internazionale per il Cinema e l’audiovisivo, è
presente a Venezia fin dal 1947, quando assegnò il suo primo Premio al film di
Luigi Zampa ‘Vivere in pace’. Quest’anno la Giuria, alla 60.ma Mostra
internazionale d’arte cinematografica di Venezia ha stabilito un ex equo
premiando il film ‘Il ritorno’, film russo passato in concorso e ‘Un
film parlato’ di Manuel de Oliveira.
La motivazione per il film russo è la seguente: ‘Per come,
riprendendo la tradizione del miglior cinema introspettivo e mistico russo,
attraverso una fotografia dai toni cupi e nel contempo affascinanti, narra il
viaggio potente, intenso e simbolico di due ragazzi assieme al loro padre ed
esplora le domande di senso, le difficoltà nel comunicare, il bisogno di
fiducia e di sperimentare la catarsi del dolore e del perdono’.
La motivazione per il bellissimo film di Manoel de
Oliveira è invece la seguente: ‘Per l’universalità dei temi trattati in una riflessione
attualissima che alla vigilia della stesura della Costituzione europea afferma
la centralità della cultura ed in particolare del recupero della storia come
strumenti per l’affermazione delle comuni radici cristiane all’interno delle
diverse identità nazionali, nella prospettiva del dialogo tra gli uomini, unica
possibilità di salvezza di fronte agli inquietanti scenari che minacciano il
futuro dell’intera civiltà’.
La giuria Signis ha assegnato anche una menzione speciale
al film tedesco di Margarethe von Trotta ‘Rosenstrasse’. Il film
riflette il conflitto interno del Terzo Reich attraverso la lotta delle donne
ariane. Episodio narrato, che permette di riflettere sulla speranza. La
negazione del passato ed il risentimento della protagonista impediscono infatti
una vita riconciliata, mentre la purificazione della memoria emerge come una
necessità per la convivenza e la fondamentale reciprocità culturale”.
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6
settembre 2003
STASERA A ROMA FIACCOLATA, DA CASTEL SANT’ANGELO A PIAZZA
SAN PIETRO,
DEI GIOVANI DELL’AZIONE CATTOLICA, IN VISTA
DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE DEL MOVIMENTO: PER L’OCCASIONE SARA’ ACCESO UN LUME
SULLA FINESTRA DEL PAPA,
CHE IN
QUESTI GIORNI RISIEDE ANCORA A CASTELGANDOLFO
CITTA'
DEL VATICANO. = Un lume sarà acceso questa sera sulla finestra
dell'appartamento del Papa in Vaticano, per far sentire la ''presenza
spirituale'' di Giovanni Paolo II ai giovani di Azione Cattolica, che oggi
faranno una fiaccolata ed una veglia
di preghiera in San Pietro. Lo rende noto la Prefettura della Casa Pontificia.
Il Papa, che in questi giorni è ancora nella residenza estiva di Castel Gandolfo, vuole così essere
vicino ai circa 2.000 giovani di Aci, provenienti da diverse diocesi italiane,
che stasera, in vista dell'Assemblea nazionale di Azione Cattolica, faranno una
fiaccolata da Castel Sant'Angelo a Piazza San Pietro, anche in ricordo di
quella effettuata nell'ottobre 1962, in occasione dell'apertura del Concilio
Vaticano II. (R.G.)
DOMANI,
DOMENICA, QUARTA EDIZIONE
DELLA
GIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICA
- A cura di Roberta Gisotti -
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BRUXELLES. = Per la prima volta,
quest'anno, la manifestazione si svolgerà in 23 Paesi dell'Unione Europea
allargata, dalla Finlandia alla Turchia, unici a non aderire l'Irlanda ed i
Paesi Bassi. Per l'occasione saranno aperte al pubblico sinagoghe ed altri luoghi simbolo della
cultura ebraica: cimiteri e bagni rituali; saranno inoltre organizzate visite
dei quartieri-ghetto giudaici. In programma anche mostre, con stand di libri,
di artigianato e degustazioni di specialità ebraiche, e poi concerti,
spettacoli teatrali e di danza, conferenze sull'arte ebraica antica e
contemporanea: il tema quest'anno della Giornata è proprio il rapporto tra arte
e giudaismo. L'itinerario domenicale sull'ebraismo si snoderà, dunque lungo
centinaia di città europee. Significativi i percorsi nei ghetti ebrei proposti
a Cordova in Spagna ed Aix-en Provence in Francia, o nei luoghi ‘segreti’
dell'East End a Londra; mentre a Kosice, in Slovacchia, vi saranno incontri con
alcuni rabbini ed ancora a Vienna, si parlerà di arte giudaica contemporanea.
In Italia sono 46 le città coinvolte nella celebrazione, dalle regioni del Nord
alla Puglia e alla Sicilia. Verona dedicherà alla cultura ebraica un'intera
settimana di eventi, che includono l'inaugurazione ufficiale domani del
restauro della sinagoga cittadina e visite al cimitero ebraico. A Bologna si
terrà una fiera del libro ebraico e si vivrà ''il ghetto in festa'', E poi
ancora molte altre iniziative tra cui a Milano, Venezia, Ferrara, Modena, Roma,
Ancona, Trani e Siracusa e la lista continua e vale la pena davvero di
profittare di queste occasioni culturali e ricreative per avvicinarsi con
interesse al mondo ebraico.
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ORIENTE E OCCIDENTE
SEMPRE PIU’ VICINI:
CON IL MESSAGGIO DEL PATRIARCA BARTOLOMEO,
CONCLUSO IN GRECIA IL SIMPOSIO TRA CATTOLICI E
ORTODOSSI
- A cura di padre Egidio Picucci -
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IOANNINA. = “Impegni
improrogabili non ci permettono di partecipare al Simposio su ‘Spiritualità e
dottrina cristiana in Oriente e in Occidente’, ma vi siamo vicini con il nostro
spirito, assicurando che l’incontro è sotto il nostro patrocinio e che avrà le
nostre preghiere per un felice successo”. L’ottavo Simposio intercristiano,
organizzato a Ioannina, in Grecia, si è chiuso ieri sera con queste lusinghiere
parole del patriarca Bartolomeo il quale ha anche augurato che incontri del
genere possano avvicinare di più in Dio l’Oriente e l’Occidente, sconfiggendo
il demonio, padre delle divisioni. L’impressione generale sull’andamento
dell’incontro è stata estremamente positiva, sia da parte cattolica che da
parte ortodossa. Un teologo di Tessalonica ha detto che il dialogo ufficiale
tra le due Chiese trova nei simposi un contributo determinante, perché essi
creano un clima di fiducia e di amicizia che permette un libero scambio di idee
e soprattutto consente di riflettere sulle grandi ricchezze spirituali degli uni
e degli altri, come ha anche riconosciuto il Papa nella Lettera inviata per
l’occasione. La stessa idea era stata espressa da mons. Eleuterio Fortino
all’inizio dei lavori, allorché – riprendendo un’espressione della Unitatis
Redintegratio – ha incluso nel movimento ogni giorno più ampio suscitato
dallo Spirito Santo per il ristabilimento dell’unità di tutti i cristiani,
anche questi particolari incontri che da undici anni si tengono
alternativamente in Italia e in Grecia. Il successo di tali incontri – ha egli
detto testualmente – sarà garantito se ogni cristiano ricercherà ogni giorno
l’unità nella vita personale, in quella ecclesiale, professionale e sociale.
L’ottavo Simposio si è concluso con due magistrali relazioni sulla elevazione
spirituale comune in Oriente e in Occidente e sull’influsso che essa ha avuto
ed ha nella letteratura contemporanea. Il Simposio nello stesso tempo ha
interessato la città di Ioannina, presente con vari sacerdoti, alcuni monaci,
molti studenti e quattro reti televisive che hanno fatto conoscere all’intera
Nazione quanto è avvenuto per la prima volta sulle sponde del suo lago
contornato di chiese e di monasteri.
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CONCLUSA LA MISSIONE IN AFGHANISTAN DEL VICE
SEGRETARIO DELL’ONU, RESPONSABILE DELL’UFFICIO ANTINARCOTICI DI VIENNA, ANTONIO
MARIA COSTA: SIGLATO UN ACCORDO PER ISTITUIRE PRESSO IL MINISTERO DELL’INTERNO
DI KABUL UNA UNITA’ CONTRO LA DROGA, IN UN PAESE CHE PRODUCE
I TRE QUARTI DI TUTTO L’OPPIO DEL MONDO
TORINO. = La creazione, nel
ministero dell'Interno Afghano, di una unità contro la droga, il coinvolgimento
delle coalizione Enduring Freedom nella lotta contro il
traffico di stupefacenti e l'applicazione della nuova legge antidroga del Paese che sarà firmata nei
prossimi mesi dal presidente Hamid Karzai. Sono questi i progetti illustrati
ieri a Torino dal vicesegretario generale dell'Onu che dirige la sede di Vienna
e direttore esecutivo dell'ufficio delle Nazioni Unite contro la droga ed il
crimine, Antonio Maria Costa, di ritorno da una missione in Afghanistan. Costa
ha riferito i risultati del suo viaggio, durante il quale ha siglato con il
ministro dell'Interno Ahmad Jalali l'accordo per la creazione dell'unità contro
la droga in un Paese che produce il 75 per cento dell'oppio presente sul mercato
mondiale che viene impiegato per raffinare oltre l'80 per cento dell'eroina che
circola in Europa. “Ritengo - ha detto Costa - che i proventi dell'economia
dell'oppio siano convogliati verso il terrorismo. Abbiamo un grosso problema da
risolvere: una attività illecita. che nutre un ‘mostro’ a 1.000 teste”. Una
lotta difficile anche per la scarsità di risorse se si pensa che, a fronte di
profitti annuali della droga di 1,2 miliardi di dollari, il budget dell'Agenzia
afghana antinarcotici è per il 2003 di soli 3 milioni di dollari finora non
erogati. ''Dobbiamo aiutare il Paese - ha aggiunto Costa - a rafforzare la
propria capacità di applicare la legge e sostenere i contadini afghani nello
sviluppo di forme di sostentamento alternative''. Durante la sua visita a
Torino, Costa ha poi anche parlato della
situazione irachena osservando l'importanza dell'Onu che ''può
contribuire alla rinascita dell'Iraq. Le tecnologie e la forza economica e
finanziaria - ha concluso - possono vincere una guerra ma non sono sufficienti
a cambiare la cultura amministrativa e a creare un nuovo governo''. (R.G.)
IL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU
HA RATIFICATO LA NOMINA DI HASSAN BUBACAR JALLOW DEL GAMBIA A PROCURATORE DEL
TRIBUNALE PER I CRIMINI DI GUERRA IN
RWANDA, INCARICO FINORA AFFIDATO ALLA SVIZZERA CARLA DEL PONTE,
CHE RESTA ALLA GUIDA DELLA CORTE PER I CRIMINI DI
GUERRA NEI BALCANI
NEW YORK. = Il Consiglio di
Sicurezza dell'Onu ha ratificato la nomina del giurista Hassan Bubacar Jallow,
del Gambia, alla guida del Tribunale
internazionale per i crimini di guerra in Rwanda ed ha rinnovato il
mandato di Carla del Ponte al timone della Corte Internazionale per i crimini
di guerra nei Balcani (Tpi). Entrambi i mandati ricoperti fino ad oggi dalla
Del Ponte sono di 4 anni, a partire dal 15 settembre. La settimana scorsa il
Consiglio aveva deciso di sdoppiare i mandati nella convinzione che i due
Tribunali avrebbero lavorato ''più
efficacemente e speditamente'' ciascuno dei due con un proprio procuratore. (R.G.)
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6
settembre 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In
Medio Oriente la revoca della tregua, la conseguente ripresa
degli attacchi contro Israele e le divisioni interne all’Autorità nazionale
palestinese potrebbero essere le cause scatenanti di un nuovo duro colpo
inferto, oggi, all’itinerario di pace della road map. Il primo ministro palestinese Abu Mazen,
l’uomo considerato dalla comunità internazionale come il leader politico capace
di promuovere il dialogo e la pace in Medio Oriente, ha infatti
presentato, questa mattina, le proprie dimissioni al presidente
palestinese (Anp), Yasser Arafat. Sul significato di queste dimissioni per il
futuro politico nei Territori, ci riferisce Graziano Motta:
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C’erano molti segni di questo sviluppo della lotta fra
Arafat e il suo primo ministro, soprattutto le dimostrazioni ostili dell’altro
ieri a Ramallah di attivisti di Al Fatah: hanno perfino tentato di abbattere la
porta del Consiglio legislativo dove Abu Mazen parlava. Si sapeva della mozione
di sfiducia e che 18 deputati, fedelissimi di Arafat, avrebbero oggi presentato
se il dibattito sulle sue dichiarazioni non li avesse soddisfatti. Abu Mazen ha
preferito sottrarsi a quella che sapeva essere una inutile formalità. Arafat,
accettando le dimissioni, gli ha chiesto di restare in carica per gli affari correnti.
Nel frattempo ha convocato per questo pomeriggio il comitato centrale di Al
Fatah, partito di cui è leader e che ha la maggioranza nel Consiglio
legislativo. E’ azzardato adesso fare previsioni sul nome di un nuovo premier,
ma è certo che per la seconda volta Arafat ha interrotto - e speriamo non
stroncato - un tentativo di soluzione del conflitto israelo-palestinese, la road-map
sostenuta dalla comunità internazionale. La prima volta nel luglio del 2000,
con i suoi irrigidimenti, aveva fatto fallire il negoziato di Camp David.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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E le dimissioni di Abu Mazen,
dopo le quali Israele ha dichiarato che “non accetterà alcuna autorità
palestinese che sia guidata da Yasser Arafat”, hanno suscitato grande
preoccupazione tra i ministri degli Esteri europei, riuniti da ieri a Riva del
Garda per un incontro informale sul futuro dell’Unione. Ce ne parla Fausta Speranza:
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Le dimissioni del premier
palestinese Abu Mazen “sono un passo indietro nel processo di pace, che non stava andando bene”: è il
commento a Riva del Garda del presidente della Commissione Ue, Romano Prodi,
secondo il quale “è una chiara
dimostrazione che la parte più moderata ha perso”. “Gravi rischi di una pericolosa
instabilità”: è l’espressione sottoscritta dai ministri degli esteri europei che si sono detti d’accordo per
l'inserimento del gruppo estremista palestinese Hamas nella lista delle
organizzazioni terroristiche. O meglio, Romano Prodi, parla di “larghe
convergenze”. Comunque - afferma il ministro presidente di turno Frattini -
l'Europa spera che Abu Mazen “nonostante
questa fase delicata” possa ancora essere, in futuro, il primo ministro
palestinese. E nella seconda giornata del vertice informale era in programma oltre
che il Medio Oriente anche la situazione in Iraq, in particolare la proposta
americana di una nuova risoluzione. Franco Frattini, fa sapere che sugli
obiettivi da raggiungere per risolvere la crisi irachena c'è “consenso politico”
tra gli europei. Ma qui il dibattito va oltre Riva del Garda e da Cernobbio,
dove è arrivato questa mattina, il primo ministro francese Raffarin ha ribadito
la necessità che l’Onu rimanga “fonte del diritto internazionale, in tutte le
circostanze”. Da parte sua, il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan sottolinea
che “la guerra è stata fatta contro il parere del Consiglio di sicurezza ma ora
occorre la coesione di tutti”. Alla nuova Costituzione europea, invece, è stata
dedicata la prima giornata del vertice: resta l’affermazione del ministro
Frattini che non ha escluso le modifiche auspicate da Prodi ma purché ciò non
obblighi a riaprire “il dibattito sui pilastri istituzionali”. Il che significa
anche non andare oltre il semestre italiano. E a conclusione del vertice
dobbiamo riferire della manifestazione con la
quale culmina oggi il controvertice dei no Global.
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● Con l’avvicinarsi dell’11 settembre, nel secondo
anniversario degli attentati alle Torri Gemelle di New York, cresce negli Stati
Uniti la paura di attentati da parte dell’estremismo islamico. L’eventualità è
confermata dalla crescente attività di intelligence con lo scopo di prevenire
atti terroristici, come ci conferma da New York Paolo Mastrolilli:
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L’Fbi ieri ha annunciato che sta dando la caccia in tutto
il mondo a 4 persone: due sauditi, un marocchino ed un tunisino, che, secondo
informazioni di Intelligence, starebbero preparando nuovi attentati. La stessa
Fbi ed il Dipartimento per la sicurezza nazionale hanno pubblicato
un’informativa sul rischio di attentati in America, utilizzando ancora gli aerei
come missili, o veleni facili da trovare in natura come la nicotina e la
solanina. I manuali di Al Qaeda, sequestrati nei mesi scorsi, contengono informazioni
su come usare le sostanze tossiche per contaminare la popolazione civile, e
quindi l’Fbi ha detto che Al Qaeda è ancora attiva in America, ma non possiede
notizie su cellule come quelle responsabili degli attacchi dell’11 settembre.
In vista dell’anniversario, almeno per ora, il dipartimento della sicurezza ha
deciso di non alzare il livello di allerta nazionale. Domani sera, però, il
presidente Bush si rivolgerà alla Nazione per parlare della situazione in Iraq
e dello stato della guerra al terrorismo.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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In
Iraq, nella città settentrionale di Mosul – dove era appena terminata la visita
del capo del Pentagono, Rumsfeld, che oggi ha incontrato il contingente polacco
– una granata ha ucciso un conducente di taxi e ferito i suoi passeggeri.
L’esplosione di una mina nei pressi dell’Università ha inoltre danneggiato un
veicolo militare americano, ferendo un soldato. Stanno intanto per arrivare nel
Paese arabo altri 3 mila soldati britannici. Si tratta delle prime forze
inviate in Iraq a sostegno delle truppe della coalizione da quando, il primo
maggio scorso, il presidente americano George Bush aveva dichiarato terminate
le “principali operazioni belliche”.
In un affollato mercato di frutta a Srinagar, la capitale
estiva dello Stato indiano del Kashmir, una potente esplosione ha causato,
questa mattina, la morte di almeno 6 persone ed il ferimento di altre 25. La
cornice di questo grave episodio di violenza, il Kashmir indiano conteso
da decenni tra India e Pakistan, è teatro di una drammatica guerriglia che ha provocato dal 1989
almeno 38.000 morti, secondo un bilancio di New Delhi, ed oltre 100.000
vittime, secondo i ribelli.
Trasferiamoci in Liberia dove
l’ex presidente Charles Taylor, che dall’11 agosto è esiliato in Nigeria,
avrebbe sottratto alle casse dello Stato - secondo il rappresentante speciale
dell’Onu in Liberia - tre milioni di dollari donati da un Paese asiatico,
probabilmente Taiwan. Il denaro era destinato al disarmo ed alla smobilitazione
di migliaia di combattenti.
In Kenya sono ripresi i colloqui
di pace tra il governo del Sudan ed i ribelli che operano nel Sud del Paese. I
negoziati cercano di porre fine al ventennale conflitto che ha sconvolto il più
grande Paese africano, ma si tratta di un cammino che presenta molte
difficoltà. Ce ne parla Giulio Albanese:
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John Garan,
leader storico dei ribelli, giovedì aveva dichiarato che la trattativa rischia
di arenarsi su alcune questioni che ancora contrappongono le autorità del Nord
del Paese ai ribelli del Sud: la spartizione del potere e dei proventi del
petrolio e la questione della presidenza. Su questi punti la convergenza, purtroppo,
appare ancora molto lontana nonostante gli sforzi dei mediatori internazionali
guidati dall’Icad, l’autorità intergovernativa per lo sviluppo con il sostegno
di Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia e Norvegia. Lo scetticismo, inutile
nasconderlo, è forte e lo stesso vescovo di Rumbek, mons. Cesare Mazzolari, ha
denunciato nei giorni scorsi, senza mezzi termini, il rischio che la parola
torni alle armi, qualora anche questa tornata negoziale dovesse fallire.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Il governo cinese ha deciso di
cancellare i debiti dei Paesi africani nei confronti di Pechino per una somma
equivalente a 750 milioni di dollari. Lo ha riferito Yang Jinquan, portavoce
del consolato generale cinese a Lagos, in Nigeria.
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