RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 245 - Testo della Trasmissione martedì 2 settembre 2003

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il dolore di Giovanni Paolo II per le vittime della strage alla moschea di Najaf, in un messaggio di cordoglio e di condanna di ogni forma di violenza.

 

In udienza dal Santo Padre i nunzi in Ucraina e nella Federazione Russa.

 

Nel segno di una rinnovata devozione alla Vergine, concluso lo speciale Anno Mariano nel Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa. La solenne celebrazione presieduta dall’inviato del Papa, cardinale Salvatore De Giorgi. Con noi, il porporato arcivescovo di Palermo.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il dialogo ecumenico, tra le priorità del nuovo segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese, Samuel Kobìa. Intervista con il neo eletto pastore metodista africano

 

Una singolare iniziativa di dialogo tra cristiani e musulmani, nelle Filippine e in altri Paesi asiatici. Ai nostri microfoni, l’arcivescovo Michael Fitzgerald

 

Al Festival di Venezia, omaggio ai grandi produttori del cinema italiano.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La Romania rende omaggio a Giovanni Paolo II per i 25 anni di Pontificato. La ricorrenza festeggiata in modo solenne a Bucarest stamani, con il presidente Iliescu e il patriarca ortodosso Teoctist

 

Cresce in India l’attesa per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta

 

La Chiesa in Colombia esorta al dialogo come via migliore per una celere soluzione del conflitto

 

Inaugurata oggi nei pressi di Varese la XXV Settimana europea, dedicata alla “Storia religiosa dell’Ucraina”

 

Illustrata ieri a Venezia la minaccia dei nuovi virus emergenti dell’Aids, nel corso di un convegno tra le first ladies del continente.

 

24 ORE NEL MONDO:

In un messaggio attribuito a Saddam, l’ex rais nega ogni responsabilità nell’attentato di Najaf

 

Condotto ieri, a Gaza, un nuovo raid di Israele contro un esponente di Hamas

 

In Argentina disposta la scarcerazione di 39 ufficiali ed un civile per crimini commessi durante la dittatura militare

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

2 settembre  2003

 

IL DOLORE E LA CONDANNA DEL PAPA

PER LA STRAGE ALLA MOSCHEA DI NAJAF

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

In un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, il Papa si dice profondamente rattristato dagli “atti di violenza che continuano a mietere vittime e causare feriti in Iraq” e “particolarmente afflitto dal recente attacco alla moschea di Najaf che ha determinato la morte di un noto leader religioso e numerosi fedeli”. Il Santo Padre offre ferventi preghiere per quanti colpiti da questi atti di terrorismo. Affida quindi “le vittime all’amore e alla pietà di Dio, invocando la divina consolazione per i sofferenti”.

 

Il Papa, si legge ancora nel messaggio, condanna “tutte le forme di violenza e spargimenti di sangue rinnovando il suo appello ai seguaci delle religioni di tutto il mondo e alle persone di buona volontà affinché rifiutino ogni tipo di aggressione e lavorino assieme per entrare in un’era di pace e giustizia in cui queste offese contro la vita umana e la dignità non abbiano più spazio”.

 

 

IN UDIENZA DAL PAPA NUNZI IN UCRAINA E FEDERAZIONE RUSSA.

VESCOVI DELL’INDIA IN VISITA “AD LIMINA”.

NOMINA DI AUSILIARE IN FRANCIA

 

Il Papa ha ricevuto in udienza al termine della mattinata, nella residenza pontificia di Castel Gandolfo, l’arcivescovo Nikola Eterovic, nunzio apostolico in Ucraina, e l’arcivescovo Antonio Mennini, rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa.

 

Mons. Eterovic si trova in Italia in coincidenza con l’apertura della 25.ma Settimana Europea, promossa dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI, insieme con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Villa Cagnola di Gazzada, presso Varese, dedicata quest’anno alla “Storia religiosa dell’Ucraina”.

 

Mons. Mennini, nunzio apostolico, svolge la missione di rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa dal 6 novembre 2002. Le relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Federazione Russa risalgono al 1° gennaio 1992. In precedenza, la Santa Sede e l’Unione Sovietica, al tempo di Gorbaciov, avevano deciso nel marzo 1990 di scambiarsi rappresentanti ufficiali, al rango personale di nunzio apostolico e di ambasciatore straordinario. Infatti, Giovanni Paolo II e Gorbaciov, nell’incontro avvenuto in Vaticano il 1° dicembre 1989, avevano convenuto di dare un carattere ufficiale ai contatti tra la Santa Sede e l’Unione Sovietica. Ciò allo scopo di facilitare un dialogo permanente su materie di comune interesse e di contribuire ad un’utile cooperazione in campo internazionale. L’importante incarico diplomatico fu allora affidato dal Papa all’arcivescovo Francesco Colasuonno, nunzio apostolico con incarichi speciali.

 

Sempre questa mattina, il Pontefice ha ricevuto altri quattro vescovi dell’India, in visita “ad Limina Apostolorum”.

 

In Francia, il Santo Padre ha nominato ausiliare di Gap il presule mons. Jean Michel di Falco, finora ausiliare di Parigi.

 

 

NEL SEGNO DI UNA RINNOVATA DEVOZIONE ALLA VERGINE, SI E’ CONCLUSO,

IERI CON L’INCORONAZIONE DELLA MADONNA DELLE LACRIME, L’ANNO MARIANO

DI SIRACUSA. CON NOI IL CARDINALE SALVATORE DE GIORGI

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Le Lacrime della Madonna suscitano ovunque “commozione ed entusiasmo spirituale”. Lacrime misteriose che “parlano di dolore e di tenerezza, di conforto e di misericordia divina” e “sono il segno di una presenza materna, un appello a convertirsi a Dio, abbandonando la via del male per seguire fedelmente Gesù Cristo”. All’Angelus di domenica scorsa, con queste parole ricche d’emozione, Giovanni Paolo II ha ricordato lo straordinario evento della lacrimazione della Madonna di Siracusa, avvenuta proprio 50 anni fa - dal 29 agosto al primo settembre del 1953 - da un quadretto di gesso raffigurante il Cuore Immacolato di Maria. I fedeli della città siciliana hanno vissuto con grande partecipazione questo Anno Mariano, che ieri ha avuto come atto conclusivo l’incoronazione della Madonna da parte del cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo di Palermo, inviato speciale del Papa. E proprio il porporato sottolinea – al micro-fono di Alessandro Gisotti – il legame profondo, la devozione del popolo siciliano per la figura di Maria:

 

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R. - E’ stata una grande emozione, non solo per la partecipazione, numerosissima, ma anche per la partecipazione così devota. Si vede che nel popolo siciliano l’amore verso la Madonna è grande. E verso la Madonna delle Lacrime è ancora più grande, proprio perché coglie i sentimenti più intimi del nostro popolo siciliano. Posso dire che è davvero stato un richiamo forte da parte della Madre, non soltanto per la preghiera, ma anche per l’ascolto della parola di Dio, con il culmine poi della celebrazione eucaristica.

 

D. – Le Lacrime di Maria sono lacrime di dolore ma anche di gioia. Lei ha parlato anche di temi molto forti, legati alla Sicilia…

 

R. – In questi 50 anni c’è una riflessione, che io ho cercato di condurre anche nell’ottica della realtà presente. Certo, sono lacrime di dolore, in modo particolare per l’aggravarsi della crisi della famiglia. Non è senza significato che la lacrimazione sia avvenuta in un quartiere povero di Siracusa, in una casa semplicissima dove una mamma era in attesa di un bimbo e dove il padre era in attesa di lavoro. Quindi, lacrime di dolore per quello che sta accadendo ai danni della famiglia. C’è preoccupazione per il fatto che si abbassi sempre di più la soglia anagrafica delle devianze giovanili. In particolare, questo deve far riflettere tutti, specie chi ha responsabilità nello Stato ed anche da parte nostra, nella Chiesa, chi ha responsabilità educative. Lacrime di preoccupazione per la disoccupazione, per gli immigrati che vengono sbattuti sulle nostre coste. Lacrime anche di afflizione per la mancanza di pace nel mondo, per i terrorismi, le guerre, le guerriglie e per quanto riguarda la nostra terra, anche la perversa espressione della criminalità organizzata, soprattutto mafiosa. Ho parlato delle lacrime come espressione di dolore, ma anche come espressione di gioia ed i motivi sono per noi il riemergere, anche se spesso inavvertito o non confessato, del bisogno di Dio. Poi, nella nostra regione almeno, il fiorire delle vocazioni al sacerdozio ministeriale. Stiamo vivendo una stagione veramente splendida sotto questo profilo.

 

D. – Servire il Vangelo della speranza, come Maria - ha affermato ieri nell’omelia - significa servire l’uomo nella società. Come dare attuazione a questo richiamo?

 

R. – Maria ci ha dato l’esempio, mettendosi al servizio prima della cugina Elisabetta, poi alle nozze di Canaa, e quindi la testimonianza operosa della carità diventa l’espressione anche più bella del servizio al Vangelo della speranza. Ho voluto richiamare in modo particolare quanto il Santo Padre ha indicato nella bellissima esortazione “Ecclesia in Europa”, per dire che la Madonna ci affida, attraverso la voce del Papa, questa missione, che riguarda tutti, ma in modo particolare noi vescovi e sacerdoti: essere servitori del Vangelo della speranza, donandoci di più agli ultimi. Ho voluto celebrare lì anche il mio giubileo sacerdotale ed è stata una cosa magnifica stare a pranzo con tutti questi diseredati, immigrati, barboni, con i miei sacerdoti, segno allora che quando noi siamo accanto a loro, non soltanto diamo, ma riceviamo.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina la drammatica notizia dell’uccisione di 25 persone, in Uganda, da parte dei ribelli dell’Lra; vittima della strage anche un sacerdote.

Sempre in prima una riflessione di Giorgio Rumi dal titolo “Un richiamo, un auspicio, un affidamento: Giovanni Paolo II per l'Europa”.

 

Nelle vaticane, una pagina dedicata ai diversi momenti della celebrazione di chiusura dell'Anno mariano Siracusano: l’omelia del cardinale Salvatore De Giorgi, Inviato Speciale del Papa; l’omelia dell’arcivescovo di Siracusa, mons. Giuseppe Costanzo.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: morta una bambina di dieci anni colpita durante una sparatoria.

Il telegramma del Papa per l’attentato alla moschea di Najaf, in Iraq.

 

Nella pagina culturale, una riflessione di Ferdinando Montuschi dal titolo “La scuola non è luogo di tutela dei valori e della memoria storica?”: una scuola media già intitolata a Licio Giorgieri, vittima dei brigatisti, dedicata a Fabrizio De André.

 

Per l’“Osservatori Libri”, un approfondito contributo di Angelo Marchesi sulla “Summa di San Tommaso” di Jean-Pierre Torrell, opera edita dalla Jaca Book.

Nelle pagine italiane, in rilievo il tema delle pensioni.  

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

2 settembre 2003

 

ECUMENISMO, SPIRITUALITA’, RAPPORTI UMANI, E PRIORITA’

DEL NUOVO SEGRETARIO GENERALE DEL CONSIGLIO MONDIALE DELLE CHIESE:

CON NOI, IL NEO ELETTO PASTORE METODISTA, SAMUEL KOBIA

 

Rafforzare l’unità tra le Chiese e la coscienza ecumenica specie tra i giovani, promuovere il dialogo interreligioso e la spiritualità per rispondere alle maggiori sfide: sono tra le priorità del nuovo segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese, il pastore metodista Samuel Kobia, eletto la scorsa settimana. In Vaticano la notizia della sua nomina è stata accolta molto positivamente. “Sono conosciute le sue grandi qualità tra cui spicca profonda spiritualità e preparazione teologica”, ha dichiarato mons. Brian Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Si prospetta quindi una proficua continuazione della collaborazione tra il Consiglio mondiale delle Chiese e la Chiesa cattolica.

 

Il pastore Kobia, 56 anni, sposato, padre di 4 figli, succede al pastore evangelico tedesco Konrad Raiser che alla fine di dicembre 2003, dopo 11 anni, terminerà il suo mandato. Sarà la prima volta che alla guida di questo organismo ecumenico a cui aderiscono ben 342 Chiese delle diverse tradizioni cristiane, vi è un africano. Sarà questo un fatto che avrà di certo un’incidenza sul ruolo che il Consiglio ecumenico è chiamato a svolgere nell’attuale cammino verso la piena unità visibile delle Chiese.

 

Ma ascoltiamo lo stesso pastore Kobia, al microfono di Catherine Smibert:

 

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R. – THE FIRST PRIORITY …

Prima priorità per me sarà impegnarmi a rafforzare l’unità tra le Chiese che costituiscono il Consiglio Mondiale delle Chiese. Vorrei sottolineare l’importanza di lavorare insieme, camminare insieme, perché è solo così che possiamo rafforzare la nostra unità. Seconda cosa: vorrei promuovere una coscienza ecumenica nelle Chiese ed in particolare nelle giovani generazioni. Terzo, il dialogo interreligioso. Oggi, infatti le religioni hanno un ruolo importante. Il dialogo interreligioso è  un mezzo importante per superare la violenza, promuovere la riconciliazione e la tolleranza. Quarto: il cambiamento del tessuto familiare nel mondo di oggi è un punto critico. Perciò, i problemi familiari costituiscono anch’essi una delle priorità. Ancora: vorrei stabilizzare le finanze del Consiglio.

 

D. - Durante la Conferenza stampa, tenutasi venerdì, ha menzionato che spera di portare uno speciale “tocco” africano al Consiglio Mondiale delle Chiese. Gli ha dato un nome, “ubuntu”. Cosa significa esattamente?

 

R. – WHAT I REALLY MEAN BY BRINGING AFRICAN …

Quello che veramente intendevo è che gli africani hanno un modo speciale di trasformare i loro problemi in opportunità e nel creare speranza. Credono fortemente che non bisogna lasciarsi sopraffare dai problemi o dalle sfide che incontrano. Tutto questo permette di avere una veduta ottimistica del mondo. Altro elemento è poi la promozione dei rapporti umani. Le relazioni interpersonali in Africa, infatti, sono estremamente importanti. E’ quanto noi africani esprimiamo con il termine “ubuntu”. E’ ciò che vorrei portare al Consiglio Mondiale delle Chiese come africano.

 

D. - Nel suo primo discorso lei ha anche sottolineato l’importanza della spiritualità nel mondo di oggi…

 

R. – FOR ME THE WORLD TODAY IS GOING THROUGH…

Secondo me il mondo oggi sta attraversando problemi che considero essere più di natura spirituale che politica o economica, perché è in questione il senso della vita, crollano le sicurezze. Sebbene possano sembrare questioni politiche sono invece questioni profondamente spirituali e morali.

 

D. - Riguardo ai rapporti con il Papa, con la Chiesa cattolica, quali sono i suoi programmi?

 

R. – IT IS VERY MUCH IN MY AGENDA…

E’ un aspetto che è certamente nei miei programmi. Vorrei rafforzare i rapporti con il Vaticano. Sono già diverse le aree in cui cooperiamo insieme, come sapete. Lavoriamo, ad esempio,  in gruppi di lavoro con il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e nell’ambito delle missioni. Vorrei rafforzare però i nostri rapporti e la nostra corrispondenza anche in prima persona, appena inizierò il mio ufficio.

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     SINGOLARE INIZIATIVA DI DIALOGO TRA CRISTIANI E MUSULMANI

NELLE FILIPPINE E IN ALTRI PAESI ASIATICI

- Con noi l’arcivescovo Michael Fitzgerald -

                           

Sono noti i fatti di violenza per mano di estremisti islamici da anni in atto nell’isola di Mindanao, nelle Filippine. Di meno si conosce sui negoziati di pace, sulla mediazione portata avanti da 7 anni sia dai vescovi cattolici e protestanti e religiosi musulmani. Tanto che si è costituito un organismo permanente che comprende anche due membri del governo responsabili dei colloqui di pace con i gruppi dei ribelli.

 

Un’esperienza questa che si è rivelata così costruttiva, da indurre i membri di questo organismo di promuovere il dialogo anche in altri Paesi dell’Asia. Fatto che è avvenuto recentemente a Pasay City, nelle Filippine. Per la prima volta si sono incontratI, in più di 100, vescovi cattolici, di altre Chiese cristiane, e ulamah, cioè religiosi musulmani, provenienti da 13 Paesi: dall’Indonesia, al Bangladesh e India, da Singapore allo Sri Lanka e Uzbekistan.  Vi è intervenuto anche il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, l’arcivescovo Michael Fitzgerald.

 

E’ dunque un altro volto dell’Islam quello che si è mostrato a Pasay City. Ce ne parla, al microfono di Fabio Colagrande, lo stesso mons. Fitzegerald.

 

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R. – Gli estremisti, i violenti, sono pochi: la maggioranza dei musulmani vogliono la pace, ma vogliono la pace con la giustizia.

 

D. – Comunque, la religione continua ad essere apparentemente causa di conflitti, soprattutto nell’Asia. Perché?

 

R. – Non credo che la religione sia ‘causa’ di conflitto, ma un ‘fattore’ del conflitto; entra nel conflitto e può aggravare il conflitto, ma normalmente non è la causa. Le cause sono altrove; le cause sono politiche economiche o sociali, ma la differenza di religione è un fattore che fortifica questo aspetto di conflitto.

 

D. – Questo incontro nelle Filippine ha visto dialogare i musulmani con i cristiani, sia cattolici che protestanti. Questo dialogo ecumenico favorisce in qualche modo l’incontro interreligioso?

 

R. – Il fatto che in molti Paesi dell’Asia, ad eccezione delle Filippine, i cristiani siano una piccola minoranza, rende più necessaria la collaborazione ecumenica tra cattolici e cristiani di altre Chiese e comunità. E questo si è avverato in questo Forum tra vescovi e ulamah. All’inizio erano solo i vescovi cattolici che si incontravano con i capi religiosi musulmani nelle Filippine; e poi, quasi dall’inizio hanno aperto anche a vescovi di altre Chiese, e questo è un buon esempio. Credo che sia importante che i cristiani siano uniti nell’incontrare persone di altre religioni.

 

D. – L’incontro si è concluso con un documento: i rappresentanti di diverse religioni hanno preso degli impegni molto importanti. Li vuole riassumere?

 

R. – E’ un documento che afferma la loro responsabilità, che riconosce la debolezza e le mancanze, come ad esempio il fatto che non abbiamo sempre rettificato i pregiudizi che possono contribuire alle discordie, ma anche si afferma che a volte le religioni sono  manipolate. C’è un appello ad una maggiore responsabilità, un appello per contribuire alla pace, una condanna della violenza ... Noi come credenti di  religioni di pace – si afferma - siamo chiamati a proclamare, a vivere e lavorare per la pace e condannare ogni forma di estremismo, di oppressione e di terrorismo. Crediamo che questi atti siano attacchi alla nostra dignità, che è comune. Poi questo documento parla anche dei ‘pilastri della pace’ -  questo è preso dall’enciclica di Giovanni XXIII, Pacem in Terris -  verità, giustizia, amore e libertà, e  si è aggiunta anche la sincerità e la preghiera.

 

D. - Secondo lei, quella vissuta nelle Filippine, è un’esperienza di dialogo e di incontro delle religioni per risolvere i conflitti che può essere in qualche modo esportata?

 

R. – Credo che sia un incoraggiamento. A Mindanao, cercano di estendere questo dialogo non solo ai vescovi ed ai capi religiosi musulmani, ma anche ai capi locali, agli imam, ai parroci. Questo mi sembra molto importante:  a livello di villaggio, di quartiere si incontrano e poi aiutano la popolazione ad incontrarsi.

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AL FESTIVAL DI VENEZIA, OMAGGIO AI GRANDI PRODUTTORI DEL CINEMA ITALIANO

- Servizio di Luca Pellegrini -

 

 

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Un film cinese per raccontare il “paesaggio fluttuante” che alberga nell’animo umano, ed un film inglese per descrivere il prossimo futuro della terra come un “paesaggio controllato”: entrano in concorso e senza lasciare grande traccia “The Floating Landscape” di Carol Lai Miu Set e “Code 46” del giovane Michael Winterbottom. Il primo è la narrazione delicata di un viaggio catartico, quello della giovane Maan da Hong Kong a Quingdao, nella Cina Continentale, tormentata dalla morte del suo grande amore che proprio in quel Paese visse gli ultimi giorni della sua vita. Col tempo il dolore si attenua, i ricordi del passato si fanno meno emotivi, si aprono nuove prospettive: la morte di una persona cara può privare temporaneamente di senso l’esistenza ma non ne dovrebbe ostacolare il procedere. Film semplice e inconsistente.

 

Assai più intrigante ed inquieto invece il futuro globale dell’intera umanità immaginato da Winterbottom in modo accattivante anche se frammentario: il “grande fratello” questa volta si chiama Sphinx, planetaria compagnia assicuratrice che controlla vita e mobilità, concedendo coperture, ossia permessi per soggiornare in aree protette, le città – questa volta sono pulite, tranquille, sicure – e visti per potersi spostare da un continente all’altro. Il commercio illegale di questi documenti necessari spinge William a Shanghai: lui è dotato del virus dell’empatia, ossia può leggere i pensieri altrui. Anche quelli di Maria, la colpevole. E quando i pensieri sono d’amore, le cose, irrimediabilmente, si complicano. Il finale di “Code 46” è amaro: perché anche la memoria dell’uomo è caduta ormai sotto il dominio delle grandi multinazionali della sicurezza. Bravi gli interpreti: Tim Robbins e Samantha Morton.

 

Ma la Mostra del Cinema guarda anche al passato: ieri, conferendo a Dino De Laurentis il Leone d’Oro alla Carriera, si è reso omaggio ai produttori italiani che hanno fatto grande il nostro cinema. Venezia dedica loro una sezione, come ci racconta Marina Sanna, capo redattore della rivista de “Il Cinematografo”:

 

“Il fiore all’occhiello di questa Mostra è appunto la retrospettiva dedicata ai grandi produttori del passato. Il periodo preso in considerazione è quello che va dagli anni ’50 agli anni ’70, ossia quel periodo pieno di fermento culturale e creativo, che avviene subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. La retrospettiva suona come un risarcimento verso una categoria di professionisti che è stata a lungo ignorata da stampa e critica. Ignorata per una sorta di snobismo culturale, perché i produttori erano quelli che avevano a che fare con il denaro. E’ importante perché, facendo delle ricerche, si è scoperto che su questi signori, che invece hanno reso grande il nostro cinema, non esiste praticamente nulla, fatta qualche eccezione: è il caso di Dino De Laurentis, che è stato appunto premiato ieri sera con il Leone d’Oro alla carriera, ricevuto dalle mani di Bernardo Bertolucci.

 

Ma fatta qualche eccezione, alcuni sono scomparsi da tempo. Noi, come rivista “Il Cinematografo”, abbiamo deciso di dedicare un inserto speciale ai produttori, scegliendone i 5-6 più importanti, a nostro avviso, che sono: Angelo Rizzoli, Dino De Laurentis, Giuseppe Amato, Carlo Ponti e Franco Cristaldi. Abbiamo fatto una specie di viaggio nella memoria per ricostruire appunto la loro storia: come hanno influenzato il nostro cinema, quali film hanno prodotto. Non dimentichiamo che ci sono capolavori come “Sciuscià”, “La dolce vita”, “Il Gattopardo”, “Francesco, giullare di Dio” dovuti solamente all’intuizione di queste persone. Abbiamo fatto un viaggio attraverso le immagini. Abbiamo trovato delle immagini inedite d’epoca molto belle e significative. Attraverso la testimonianza di sceneggiatori come Susi Cecchi d’Amico, Ugo Pirro, Fulvio Scarpelli, e anche critici, testimoni di quell’epoca, abbiamo cercato di fare una specie di piccolo compendio in omaggio a questi grandi professionisti”.

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CHIESA E SOCIETA’

2 settembre 2003

 

MANIFESTAZIONE-EVENTO OGGI A BUCAREST: LA ROMANIA,

PAESE A MAGGIORANZA ORTODOSSA, FESTEGGIA IN MODO SOLENNE

I 25 ANNI DI PONTIFICATO DI GIOVANNI PAOLO II

- A cura di Barbara Castelli -

 

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BUCAREST. = Giovanni Paolo II ha dato un “contributo fondamentale” alla nuova Europa, al rapporto tra “ispirazione cristiana ed ideale europeo”. Con queste parole, oggi a Bucarest, il cardinale Pio Laghi ha aperto il quarto incontro organizzato dal ministero degli Esteri italiano in occasione dei 25 anni di pontificato. Dopo Cracovia, Buenos Aires e Strasburgo è, dunque, la capitale romena ad ospitare l’incontro, sul tema “Un ponte tra l’Oriente e l’Occidente: le vie dell’Ecumenismo nel Pontificato di Giovanni Paolo II”. Per la prima volta, un Paese a maggioranza ortodossa sceglie di festeggiare nella maniera più solenne l’anniversario di un Papa: alla manifestazione-evento, infatti, trasmessa in diretta dalla televisione nazionale, sono intervenuti il presidente della Romania, Ion Iliescu, il patriarca Ortodosso Teoctist e numerose autorità di governo. Nel corso del suo intervento, il cardinale Laghi ha poi posto l’attenzione sul ruolo che la Romania ha avuto come “ponte” tra Oriente ed Occidente, in particolare con la visita fatta dal Vescovo di Roma nel 1999, quando per la prima volta al mondo ha potuto pregare con un patriarca ortodosso, quello di Bucarest. “La diffusione nel mondo della nostra civiltà - ha detto, invece, il sottosegretario agli Esteri, Mario Baccini - sottolinea costantemente legami di valori e di cultura che ci uniscono agli altri popoli, nella ricerca comune della pace e della prosperità attraverso il dialogo intercultura e la cooperazione tra i popoli”. Al termine della manifestazione,  il presidente del Consiglio Comunale di Roma, Giuseppe Mannino, accompagnato dai Consiglieri Baldi e Di Stefano, ha consegnato al presidente Iliescu una lupa capitolina in bronzo, quale dono riconoscente della diocesi del Papa. Altre iniziative sono in programma da qui a novembre a New York, Gerusalemme, Roma e San Paolo del Brasile.

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CRESCE IN INDIA L’ATTESA PER LA BEATIFICAZIONE DI MADRE TERESA

DI CALCUTTA. UNA DELEGAZIONE CRISTIANA HA CHIESTO A NEW DELHI

CHE IL 19 OTTOBRE SIA PROCLAMATO FESTA NAZIONALE

 

NEW DELHI. = La beatificazione di Madre Teresa di Calcutta può rappresentare una grande opportunità per l’evangelizzazione in India. A sottolinearlo, in un’intervista all’agenzia cattolica SarNews, mons. Vincent Michael Concessao, presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci). Madre Teresa è molto rispettata e apprezzata dalla maggior parte degli indiani per la sua opera a favore dei poveri, ha spiegato l’arcivescovo di Delhi, e “attraverso la sua beatificazione il messaggio d’amore e compassione del cristianesimo raggiungerà tanta gente, che almeno comprenderà cosa facciamo e perché”. Anche se alcuni “fondamentalisti indù hanno male interpretato questa opera, considerandola come uno stratagemma per compiere conversioni forzate”, ha aggiunto, la beatificazione non deve essere motivo di tensioni e disordini in India. Nei giorni scorsi, mons. Concessao ha guidato una delegazione cristiana che ha incontrato il primo ministro indiano, Atal Behari Vajpayee, per chiedere che la beatificazione della fondatrice delle Missionarie della Carità venga dichiarata festa nazionale. Tra le altre proposte, contenute in una missiva, l’installazione di un ritratto di Madre Teresa nell’atrio del Parlamento e l’istituzione di un fondo speciale per finanziare istituti per orfani e bambini abbandonati. Come è noto, in questi mesi la Chiesa indiana si sta preparando a celebrare l’evento del 19 ottobre prossimo, sia a livello nazionale che locale, con numerose iniziative. (L.Z.)

 

 

IL DIALOGO E’ SEMPRE LA VIA MIGLIORE: L’ESORTAZIONE DELLA CHIESA

IN COLOMBIA PER UNA CELERE SOLUZIONE DEL CONFLITTO

 

BOGOTA’. = “La Chiesa non ha perso la speranza di riallacciare il dialogo con le Farc, anche se siamo consapevoli delle crescenti difficoltà”. Così il vicepresidente della Conferenza episcopale colombiana, mons. Luis Augusto Castro. Nel corso di una intervista rilasciata al quotidiano di Cali, El Pais, mons. Castro ha escluso la possibilità di una legge denominata Punto final, ovvero una sanatoria che garantisce ai guerriglieri la non punibilità per i crimini commessi. “Il dialogo è sempre la via migliore” ha sottolineato il numero due dei vescovi colombiani, ma “parlare di Punto final è come dire che le sofferenze patite dal nostro popolo in questi anni non hanno alcun valore”. Sullo stato delle trattative con le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, mons. Castro ha spiegato: “Siamo disposti ad ascoltarli e ad incontrarli dove e come vogliono. Con i dovuti permessi del governo stiamo lavorando affinché questo incontro avvenga presto. C’è da registrare che i guerriglieri hanno cambiato atteggiamento - ha precisato il mons. Castro - non presentandoci come rappresentanti istituzionali, il confronto ha preso una piega diversa, perché la controparte sa di trattare con la Chiesa e non con l’esecutivo”. “Sono ottimista e mi auguro di raggiungere entro breve gli obiettivi fissati”, ha concluso il presule. (D.D.)

 

 

HA PRESO IL VIA OGGI A VILLA CAGNOLA DI GAZZADA, IN PROVINCIA DI VARESE,

LA XXV SETTIMANA EUROPEA, DEDICATA ALLA “STORIA RELIGIOSA DELL’UCRAINA”.

L’INCONTRO E’ PROMOSSO DALLA FONDAZIONE AMBROSIANA PAOLO VI,

INSIEME CON L’UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

- A cura di Fabio Brenna -

 

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MILANO. = Dalla storia religiosa dell’Ucraina un contributo per comprendere che cosa abbia significato attraverso i tempi essere ‘Europa’ e quali complessi orizzonti venga ora abbracciando l’identità europea. Come ogni anno la Fondazione Ambrosiana Paolo VI chiama a raccolta prestigiosi relatori, dalle più importanti università e istituzioni culturali del mondo, per dare vita quest’anno alla XXV edizione della Settimana europea di studio. Protagonista è l’Ucraina, Paese con un’antichissima storia, ma soltanto da poco più di un decennio pienamente indipendente. Con i battesimi di Olga e di Vladimir, alla fine del X secolo, il principato di Kiev diventò una componente primaria di quel Commonwealth, che in Costantinopoli ebbe il suo vertice ideale ed istituzionale ad un tempo. Ma il Paese passò anche sotto la dominazione mongola, per inserirsi poi nella Repubblica polacco-lituana, sviluppando proprio in questo contesto un’originale esperienza religiosa di tradizione greca, nel contesto di un organismo politico latino, con singolari riflessi nei diversi ambiti della cultura e dell’arte. L’acquisizione della metropoli di Kiev nel 1685, ad opera del patriarcato moscovita, bloccò di fatto uno sviluppo autonomo del Paese e segnò una traumatica cesura della coscienza nazionale. L’Ucraina visse una prima indipendenza in occasione della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, ma l’autonomia vera e propria arrivò soltanto nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Ora, questi popoli dell’area centro-orientale del continente europeo cercano di recuperare l’antica vocazione ad essere cerniera tra le grandi correnti religiose e le tradizioni culturali che hanno illuminato il cammino dell’Europa e ne hanno plasmato l’intero patrimonio di idealità e di valori. Anche per questo nella vicenda dell’Ucraina si riflette ed entra in gioco tutta la realtà religiosa e culturale dell’Europa.

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IL PROBLEMA DELL’AIDS IN AFRICA ANCORA IN PRIMO PIANO.

ILLUSTRATA IERI A VENEZIA, NEL CORSO DI UN CONVEGNO TRA LE FIRST LADIES AFRICANE, LA MINACCIA DEI NUOVI VIRUS EMERGENTI

 

VENEZIA. = Un gruppo di first ladies africane, componenti del movimento “Africa Synergies”, si sono incontrate ieri a Venezia per il meeting “L’Aids in Africa e la minaccia dei virus emergenti”. Il convegno fa parte del “Families First Africa project” presentato dall’Unesco, in collaborazione con la “World foundation for Aids Research and Prevention” creata dal prof. Luc Montagnier, scopritore del virus HIV nel 1983. Nel corso dell’incontro, Montaigner ha illustrato il rischio che si corre in Europa per l’esistenza di ceppi virali sempre più resistenti ai farmaci utilizzati fin’ora. Lo scienziato è impegnato da anni nella ricerca di un vaccino per i bambini nati da madri sieropositive: secondo le stime dell’Unesco, infatti, in Africa ogni anno sono circa 800 mila i piccoli colpiti dal virus. All’incontro, oltre alla moglie del presidente della Guinea Hanriette Conteh, al ministro della Sanità del Camerun, Urbani Olanguina - Awono e al consigliere della presidenza della Nigeria, Jules Ouguet, sono intervenuti il ministro italiano per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo, il prof. Vittorio Colizzi, coordinatore scientifico del programma Unesco per la lotta all’Aids e il governatore del Veneto, Giancarlo Galan. (M.R.)

 

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

2 settembre 2003

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Iraq la storica formazione del primo governo dopo la caduta del regime di Saddam Hussein è stata purtroppo oscurata da un’ennesima, interminabile ondata di violenze. Due forti esplosioni, avvenute in un parcheggio della stazione di polizia di al Rasafa non lontano dalla sede del ministero dell’Interno, hanno infatti colpito questa mattina le strade di Baghdad causando la morte di una persona e almeno 21 feriti. L’attentato cade all’indomani della morte di due militari americani e del ferimento di un terzo, rimasti vittime della deflagrazione di un ordigno a Sud della capitale. Oggi, intanto, circa 500 mila persone hanno partecipato ai funerali dell’ayatollah al Hakim a Najaf, città dove il leader sciita è stato ucciso, venerdì scorso, insieme a più di 100 persone. In un messaggio audio, attribuito a Saddam Hussein e trasmesso ieri dalla televisione araba al Jazira, l’ex rais nega ogni responsabilità nell’attentato perpetrato a Najaf. Sul nuovo, presunto messaggio di Saddam ci riferisce Paolo Mastrolilli:

 

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L’ex rais ha smentito di aver ordinato l’attentato della settimana scorsa nella città sacra, in cui hanno perso la vita oltre 100 persone tra cui al Hakim. Saddam ha detto di considerarsi ancora il leader di tutti gli iracheni e quindi di non poter compiere atti del genere contro la sua gente. Poi ha accusato le forze di occupazione di aver scaricato la responsabilità su di lui per dividere la popolazione e ha definito l’attentato come un incidente. L’ex rais, però, non ha fatto commenti sugli attacchi contro la sede dell’Onu e l’ambasciata giordana, che sono stati attribuiti ai suoi seguaci. In questo clima di tensione, il Consiglio governativo provvisorio iracheno, insidiato dagli americani a luglio, ha nominato i 25 membri del gabinetto. I ministri rispecchiano la suddivisione etnica del Paese con 13 sciiti, 5 sunniti arabi, 5 sunniti curdi, 1 turcomanno ed 1 assiro-cristiano. Lo scopo è accelerare il passaggio di alcune funzioni amministrative agli iracheni per diminuire il risentimento della popolazione.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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I timori crescenti per la sicurezza ed il ruolo, ancora dominante, degli Stati Uniti in Iraq continuano a frenare l’impegno della comunità internazionale nello stanziare consistenti aiuti economici per la ricostruzione dello Stato arabo. L’Onu potrebbe inoltre posticipare la Conferenza dei Paesi donatori, in programma a Madrid dal 24 al 26 ottobre, fino a quando le Nazioni Unite non saranno nuovamente in grado di rafforzare la propria presenza nel Golfo Persico. Al Palazzo di Vetro, intanto, si sta proprio lavorando per una risoluzione del Consiglio di sicurezza sull’intervento di altri Paesi in Iraq sotto l’egida dell’Onu.

 

In occasione del 34.mo anniversario della rivoluzione libica il leader della Libia, Muammar Gheddafi, ha pronunciato ieri sera un articolato discorso alla nazione affrontando diversi temi, tra i quali anche la tragedia, costata la vita ad 81 persone, del Dc9 Itavia caduto in mare, il 27 giugno 1980, tra le isole di Ponza ed Ustica. “Gli americani - ha sostenuto Gheddafi - abbatterono il Dc9 perché erano sicuri che io fossi a bordo dell’aereo”. Il leader libico ha poi messo in evidenza il processo di ricostruzione dei rapporti tra il Paese nordafricano e l’Occidente. Ed in questo contesto, si inseriscono le decisioni, da parte di Tripoli, di assumersi la responsabilità di gravi azioni terroristiche e di risarcire le 270 vittime della strage di Lockerbie avvenuta nel 1988 e le 170 decedute a causa dell’attentato perpetrato, nel 1989, contro l’aereo dell’Uta esploso nei cieli del Niger. Questo nuovo volto conciliante di Gheddafi verso gli Stati Uniti e l’Occidente sembra in realtà teso a scongiurare un eventuale azione militare contro Tripoli e ad ottenere la revoca delle sanzioni imposte al Paese nel 1992.

 

In Medio Oriente non si interrompono le operazioni israeliane contro i membri di Hamas. Nel corso di un raid condotto, ieri, dall’esercito dello Stato ebraico è infatti rimasto ucciso un esponente dell’organizzazione estremista. Sono intanto risultate pesanti le conclusioni dell’inchiesta indipendente sugli eventi dell’ottobre 2000 in Galilea quando la polizia israeliana represse nel sangue, causando 13 morti, le manifestazioni di cittadini arabi di Israele a sostegno dei palestinesi, che da pochi giorni avevano cominciato l’Intifada. A distanza di 3 anni da quei gravi episodi di violenza i rapporti tra arabi ed ebrei di Israele faticano a trovare la strada della riconciliazione. Ce lo conferma Graziano Motta:

 

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La Commissione ha mosso gravi contestazioni all’apparato di polizia e anche ai responsabili politici di allora e, soprattutto, al ministro della sicurezza interna, Shlomo Ben Ami, per il quale ha chiesto che in avvenire non possa più ricoprire analogo incarico. La valutazione politica più grave della Commissione è che la polizia trattò i dimostranti come nemici di Israele, “atteggiamento che va combattuto” afferma, “perché è necessario giungere ad un’eguaglianza reale dei diritti fra i cittadini della minoranza araba e quelli della maggioranza ebraica”. Ieri, a Gerusalemme, la missione del responsabile europeo per la politica estera, Solana, che è stato ricevuto dal ministro degli esteri Shalom, ma non dal primo ministro Sharon, non ha del tutto composto i dissensi fra Israele e l’Unione Europea sui rapporti con i palestinesi.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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In Argentina dopo quasi 40 giorni di arresto preventivo nella vana attesa dell’arrivo dei documenti dalla Spagna a sostegno della richiesta di estradizione, il giudice Adolfo Canicòba Corral ha firmato l’ordine di scarcerazione dei 39 ex ufficiali e di un civile. Molti dei protagonisti del passato regime militare non potranno però beneficiare della libertà, perché già agli arresti per altri processi, come quello della sottrazione di neonati a madri torturate ed uccise nei centri di detenzione della dittatura. Fra questi gli ex generali Videla e Suarez Mason e l’ex ammiraglio Massera. Il servizio da Buenos Aires di Maurizio Salvi:

 

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Alte personalità di primo piano di quegli anni bui, fra cui l’ex generale Antonio Bussi e l’angelo della morte, Alfredo Astiz, potranno invece tornare a circolare liberamente per le strade argentine. Il veto del governo spagnolo, all’invio della documentazione preparata dal giudice Baltasar Garzon, ha deluso gli organismi umanitari argentini che credevano di poter ottenere giustizia, mentre ora dovranno sperare che la Corte Suprema dichiari incostituzionali le leggi di obbedienza dovuta e punto finale, approvate 20 anni fa, come già fatto dal parlamento.

 

Da Buenos Aires, Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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L’esilio in Nigeria del presidente Charles Taylor, avvenuto lo scorso 11 agosto, ha interrotto 14 anni di guerra civile in Liberia ma, nonostante l’accordo di pace siglato tra il governo ed i ribelli, non si sono interrotti gli scontri nella zona nordorientale del Paese africano, dove si fatica a tornare alla normalità. “Ad Harbel, città ad una cinquantina di chilometri da Monrovia – spiega all’Agenzia missionaria Misna una fonte locale -  sono arrivati medicinali e cibo ma gli abitanti continuano a subire abusi da parte dei ribelli”. Oggi l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha intanto rilanciato l’allarme per il diffondersi del colera tra le centinaia di migliaia di profughi che si sono riversati nella capitale.

 

Trasferiamoci nella Repubblica democratica del Congo dove, a Bunia, la missione Monuc dell’Onu ha rilevato ieri le funzioni della forza europea presente da giugno nel capoluogo dell’Ituri. Amnesty International ha intanto chiesto ai Caschi Blu di proteggere la popolazione civile, in preda alla violenza interetnica tra milizie Hema e Lendu.

 

 

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