RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 297 - Testo della
Trasmissione di venerdì 24 ottobre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Diritto di asilo e immigrazione: temi cruciali affrontati
al “Centro Astalli” di Roma
CHIESA E SOCIETA’:
Giornata di studio su “Edith Stein e il nazismo” alla Pontificia
Università Lateranense
E’ in corso a Manila, nelle
Filippine, il primo incontro dei rettori dei Santuari mariani dell’Asia
A Madrid la Conferenza dei
donatori per l’Iraq: gli Stati Uniti invitano alla generosità. Critiche dalle
Ong sulla gestione dei fondi
Ancora
morti in Medio Oriente: bambino palestinese ucciso a Gaza, kamikaze nella base
israeliana di Netzarim
Chirac
in Africa, ma prosegue l’ondata antifrancese: un giornalista espulso dal
Senegal
La polizia italiana a caccia delle nuove
Brigate rosse: arrestati i presunti esecutori dell’omicidio D’Antona
24 ottobre 2003
SOLENNE INIZIO, STASERA IN SAN PIETRO,
DELL’ANNO ACCADEMICO DELLE UNIVERSITA’ ECCLESIASTICHE,
CON LA MESSA PRESIEDUTA DAL
CARDINALE ZENON GROCHOLEWSKI
- A cura di Alessandro De Carolis
-
Settecento
tra professori e studenti: saranno loro a rappresentare questa sera, nella
Basilica di San Pietro, gli oltre 2 mila docenti e i circa 20 mila iscritti
nelle Università e negli Istituti pontifici romani alla Santa Messa che
inaugurerà ufficialmente il nuovo anno accademico degli atenei ecclesiastici.
La celebrazione, in programma alle 17.30, sarà presieduta dal prefetto della
Congregazione per l’Educazione cattolica, il cardinale Zenon Grocholewski.
Accanto al porporato, vi saranno, tra gli altri, il cardinale vicario Camillo
Ruini e i rettori delle Università pontificie.
L’annuale appuntamento liturgico di inizio dell’anno
accademico sarà seguito in radiocronaca diretta dalla nostra emittente a
partire dalle 17.30, con commento in italiano, sulle frequenze dei 585 kHz
dell’onda media e sui 105 MHz della modulazione di frequenza.
25 ANNI DI PONTIFICATO: GIOVANNI PAOLO
II IL PAPA DELLA CARITA’.
CON
NOI L’ARCIVESCOVO PAUL CORDES
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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Nei suoi numerosi viaggi
apostolici il Santo Padre si è continuamente confrontato con situazioni di
miseria ed ha voluto espressamente incontrare i sofferenti: quartieri poveri,
gruppi etnici emarginati, persone colpite da calamità naturali, malati. Non
stupisce quindi che nel corso del suo pontificato abbia fatto riferimento continuo
al comandamento dell’amore che Gesù ci ha lasciato. Il Pontificio Consiglio Cor
Unum è l’organismo vaticano incaricato di condividere da vicino questa
preoccupazione del Papa e di coadiuvarlo nell’attuazione delle sue intenzioni
caritative. Ce ne parla il presidente del Dicastero, l’arcivescovo Paul Cordes:
“La partecipazione del Papa
non si è concretizzata solo mediante l’invio di denaro in situazioni di
eccezionale disagio – dopo terremoti, inondazioni o conflitti etnici. Il
vescovo di Roma ha anche creato due fondazioni che ha affidato al nostro
Dicastero. La prima ha visto la luce nel 1984. Ha come scopo di contenere
l’avanzata del deserto del Sahara verso sud, verso i cosiddetti Paesi del
Sahel, mediante programmi ecologici e la formazione di professionisti nel
settore. L’altra, denominata “Populorum Progressio”, vuole favorire,
nell’America Centrale e Meridionale, le condizioni di vita, oltre che dei campesinos,
della popolazione indigena, la quale, in quanto minoranza etnica e culturale, è
spesso minacciata nella sua stessa sopravvivenza. Le due Fondazioni mirano ad
un tipo di aiuto che responsabilizzi gli stessi beneficiati. Fin dagli inizi
della Chiesa la predicazione del Vangelo è stata sempre accompagnata dalla
benevolenza verso il prossimo in difficoltà”.
E’ importante, quindi, per
Giovanni Paolo II che nella missione della Chiesa annuncio e liturgia da una
parte e impegno socio-caritativo dall’altra non si separino. La carità, nel suo
duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale
del credente, è la sintesi della prassi e dell’insegnamento del Santo Padre.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La prima pagina si apre con la situazione in Medio
Oriente: si richiama l'esigenza di riaprire la strada che conduce alla
pace per non soffocare le speranze di due popoli. Nuove violenze nei Territori
sottolineano la necessità di rilanciare il dialogo
israelo-palestinese.
Nelle vaticane, una pagina
dedicata alle Lettere pastorali dei vescovi italiani.
Per il cammino della Chiesa in
Asia, un articolo di Irene Iarocci sulla collaborazione tra le diocesi del
Giappone e della Corea del Sud per aiutare gli anziani.
Nelle estere, Iraq: Kofi Annan
- alla Conferenza di Madrid - esorta la comunità internazionale a sostenere con
grande impegno il processo di ricostruzione.
Somalia: ripresi gli sforzi
negoziali in favore del tormentato Paese.
Nella pagina culturale, un
articolo di Vittorino Grossi riguardo ad un Convegno - all'Accademia Nazionale
dei Lincei - dedicato alla figura di Gregorio Magno, nel XIV centenario della
morte.
Nelle pagine italiane, in primo
piano gli sviluppi legati all'omicidio di D'Antona.
In rilievo anche il tema
dell'immigrazione.
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24
ottobre 2003
PER 58 ANNI L’ONU HA BEN SERVITO L’UMANITÀ MA OGGI
ATTRAVERSA
UNA FASE DAVVERO CRITICA: LO
SOTTOLINEA KOFI ANNAN, SEGRETARIO GENERALE DELL’ORGANIZZAZIONE, NEL MESSAGGIO
DIFFUSO OGGI
PER LA GIORNATA DELLE NAZIONI UNITE
- Servizio di Roberta Gisotti -
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“THERE ARE
DIFFICULT TIMES, FOR THE WORLD AND FOR THE UNITED NATIONS”.
“Questi sono tempi difficili per il mondo e per le Nazioni
Unite… Non affliggiamoci né scoraggiamoci”: la voce di Kofi Annan, segretario
generale dell’Onu. “Continueremo i nostri sforzi - ci rassicura - per
contrastare la povertà, le malattie, i cambianti climatici e la diffusione
delle armi di piccolo calibro” Cosi anche “lavoreremo insieme” “per combattere
il terrorismo, le armi di distruzione di massa. Non abbiamo scelta - sottolinea
- l’Onu deve fronteggiare subito tutte queste minacce”. Ma occorrono riforme
nel sistema internazionale, comprese le Nazioni Unite, ammonisce Kofi Annan,
che proprio ieri è stato insignito del Premio Sakharov, in memoria di tutti i funzionari
dell’Onu che hanno perso la vita al servizio della pace nel mondo.
Un anniversario quest’anno, che richiama avvenimenti drammatici,
come la guerra in Irak, l’attentato alla sede Onu di Baghdad, la lotta al
terrorismo internazionale ed infine la pace mai possibile in Medio Oriente. Il
ruolo delle Nazioni Unite dunque messo a dura prova. Ne parliamo con il dott.
Giandomenico Picco, assistente del segretario generale dell’Onu, al nostro
microfono da New York:
R. – Stanno cambiando i tempi e le istituzioni devono
aggiornarsi e riuscire a capire in anticipo quello che sta succedendo e quindi
agire sul loro funzionamento. Se l’Onu non riuscirà a capire questo, si dovrà
considerare una istituzione finita. Questo, però, non credo che sia ancora il
caso, perché – in modi diversi – penso che si stia guardando ad un ruolo
importante per il futuro. Sicuramente molto importante è stato ciò che si è
verificato nella questione irachena con il ritorno degli americani e la ricerca
quasi impossibile di una risoluzione: ma c’è stata! Abbiamo osservato questi 15
voti dell’ultima Risoluzione dell’Iraq – 15 su 15 – che rappresentano
certamente un importante passo avanti.
D.- Lei ha sottolineato che l’Onu deve guardare, in
qualche modo, ai cambiamenti dei tempi che si vivono. Ma da molti anni si dibatte
sulla riforma dell’intero Sistema delle Nazioni Unite ed in particolare del
Consiglio di Sicurezza, che è Organo esecutivo dell’Onu. Ecco, a che punto
siamo?
R. – Il vero punto non è la riforma del Consiglio di
Sicurezza, mi permetta di dirglielo. Il vero cambiamento che l’Onu dovrà considerare
e che tutti devono affrontare anche a livello istituzionale e di governo è il
seguente: secondo me stiamo entrando in un’epoca in cui – e lo dico con una
frase molto semplice – il concetto di democrazia indiretta, che è il solo che
conosciamo, è messo in discussione. Finora abbiamo un patto di democrazia
rappresentativa, democrazia intermediata attraverso l’elezione dei Parlamenti e
di persone che possano rappresentare la voce della maggioranza dei cittadini di
una società. Oggi viviamo in un mondo dove per far sentire la nostra voce in
molti casi non c’è più bisogno di avere un Parlamento o di avere un
intermediario al potere, perché la voce arriva attraverso i media, attraverso
ciò che si può fare attraverso le Ong, attraverso quello che gli individui
stessi possono fare e questo perché c’è un diverso accesso sia all’informazione
che alla comunicazione dell’opinione. Il vero problema che oggi ha il sistema
internazionale non è quanti sono i membri del Consiglio di sicurezza – che
rappresenta invece un discorso del passato – ma capire che siamo pronti ad
affrontare una realtà dove la intermediazione del potere forse non esiste più.
L’Onu, nato come organizzazione dei governi, può vivere nel futuro se non
diventa anche una vera organizzazione di popoli?
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DIRITTO DI ASILO E IMMIGRAZIONE: TEMI CRUCIALI
AFFRONTATI AL “CENTRO ASTALLI”, SEDE ROMANA DEL “JESUIT REFUGEE SERVICE”
- Servizio di Stefano Leszczynski -
All’indomani della tragedia che ha coinvolto i cittadini
somali sopravvissuti al viaggio verso le coste siciliane, la legge sul diritto
d’asilo riprende il suo iter alla Commissione Affari costituzionali della
Camera. La mancanza di una legge organica sul diritto d’asilo in Italia
rappresenta un caso unico nell’Unione europea ed è considerata di estrema
urgenza a causa del mancato funzionamento della legge sull’immigrazione,
tutt’ora sprovvista del regolamento di attuazione. La preoccupazione delle
associazioni che si occupano di rifugiati, così come dell’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), riguarda la grave violazione dei
diritti umani di queste persone a causa dell’attuale inadeguatezza del sistema
normativo italiano. Un problema che il Centro Astalli e la Casa dei diritti
sociali di Roma hanno affrontato in una pubblicazione intitolata “Storie di
diritti negati”. Il servizio è di Stefano Leszczynski.
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Fuggono da Paesi in guerra, spesso da persecuzioni e
torture, per vivere in maniera dignitosa e sicura. Non hanno altro che i propri
vestiti e talvolta i propri affetti. Del resto tutto il mondo lo ha potuto
constatare attraverso le immagini dei somali sbarcati a Lampedusa. Ma cosa
succede normalmente dopo lo sbarco? Ce lo spiega Berardino Guarino, coautore
della ricerca.
“Nessuno si
preoccupa di loro assolutamente. Non c’è nessuna istituzione in quanto tale che
governa il loro arrivo. Sono lasciati completamente in balia di loro stessi,
anche per quanto riguarda il vitto e l’alloggio”.
Diritti negati significa per intere famiglie dormire
all’addiaccio, patire la fame, subire interminabili code davanti alle questure
per tentare di ottenere un permesso di soggiorno dai richiedenti asilo e
attendere da un minimo di 11 mesi ad un massimo di 18 per poter sapere se
l’Italia ti accoglierà come rifugiato o se ti respingerà come clandestino. Nel
frattempo, una lunga attesa senza poter lavorare e nessuna certezza circa il
proprio futuro. Padre Francesco De Luccia, presidente del Centro Astalli.
“Pensano di
arrivare in Italia per trovare protezione e di fatto si trovano a subire delle
umiliazioni che non avevano nemmeno immaginato”.
Il meccanismo istituzionale non funziona, la legge
sull’immigrazione è bloccata perché manca il regolamento di attuazione e una
legge sull’asilo non esiste proprio. Tutto ricade sulle spalle del volontariato
del terzo settore. Qualche volte tra mille difficoltà gli enti locali e i
comuni riescono a contribuire. Raffaella Milano, assessore alle politiche
sociali del Comune di Roma:
“Una richiesta
che è venuta dal Comune di Roma, così come dagli altri grandi comuni italiani,
di fare in modo che questo diritto all’accoglienza e all’integrazione sia un
diritto garantito anche su scala nazionale, e quindi siano disposti anche
finanziamenti adeguati, perché poi parliamo – come si è detto – di un numero
non enorme di persone e che però necessita di una particolare attenzione. Sono
reduci da esperienze spesso drammatiche, ed è assolutamente non concepibile che
debbano riaffrontare nuove odissee una volta arrivati”.
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- Nota
del nostro direttore dei Programmi, padre Federico Lombardi -
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Dopo la notizia di ieri mattina del rinvio a nuova udienza
il 9 dicembre del processo in corso contro la Radio Vaticana per aver diffuso
“radiazione elettromagnetiche atte ad offendere o molestare” persone residenti
nelle aree circostanti il Centro trasmittente di Santa Maria di Galeria, nel
pomeriggio sono state fatte filtrare indiscrezioni relative a un nuovo
procedimento contro gli stessi imputati, ma questa volta per “omicidio
colposo”. Si tratta di un procedimento che prende le mosse dalle accuse fatte
nel 2001 alla Radio Vaticana, secondo cui vi sarebbe un nesso fra le emissioni
e i casi di morte per tumore o leucemia verificatisi nella zona. Una perizia
disposta dai magistrati incaricati delle indagini non escluderebbe l’esistenza
di questo nesso, cosicché, come atto dovuto, gli imputati sono stati iscritti nel
registro degli indagati.
A proposito di questo nuovo procedimento, la Direzione
della Radio Vaticana non manifesta particolare stupore, dato l’accanimento
delle accuse rivolte in passato contro la sua attività, ma ribadisce ancora una
volta la convinzione che tali accuse sono infondate. Ricorda non solo di aver
sempre rispettato, a scopo precauzionale, le raccomandazioni degli organismi
internazionali più autorevoli nel campo della protezione della salute dei
lavoratori e delle popolazioni – assai prima che esistessero normative italiane
in materia – ma ricorda anche e soprattutto le conclusioni del Gruppo di studio
internazionale costituito nel 2001 dall’allora Ministro della Salute Umberto
Veronesi proprio per fare un esame approfondito della questione relativa al
nostro Centro trasmittente in base ai dati disponibili. Le conclusioni negano
chiaramente che si possa ritenere dimostrato un nesso fra le attività della
radio e le malattie tumorali e leucemiche verificatesi nella zona.
Comunque si svolga il nuovo procedimento, la Radio
Vaticana ribadisce quindi la sua tranquillità, per aver sempre agito in piena
responsabilità per la salute dei residenti nella zona del Centro trasmittente e
non essere stata causa di danni alla loro salute. La sua disponibilità per
evitare anche ogni motivo di preoccupazione è stata ulteriormente dimostrata
dalla accettazione delle normative italiane e dal loro rispetto, come
confermato dai monitoraggi realizzati. Non si può che auspicare che – alla fine
– la verità abbia il suo luogo, non vengano ulteriormente alimentate
preoccupazioni infondate e sia i residenti sia la Radio Vaticana possano
recuperare piena serenità.
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IL RUOLO DELLA LINGUA ITALIANA NELLA FORMAZIONE
DELLA CULTURA EUROPEA. E’ IL TEMA DELLA “SETTIMANA DELLA
LINGUA ITALIANA NEL MONDO”
CHE SI
INSERISCE NELL’AMBITO DEGLI EVENTI CULTURALI
DEL
SEMESTRE DI PRESIDENZA ITALIANO DELL’UNIONE EUROPEA
-
Intervista con Nicoletta Maraschio -
L’Italiano
gode di ottima salute e si è affermato come la quinta lingua più studiata
all’estero. È su questi incoraggianti dati che si è aperta lunedì scorso la
terza edizione della “Settimana della lingua italiana nel mondo”, organizzata
dai ministero degli Esteri e con la collaborazione della Rai. L’iniziativa, che
termina domani e si collega al programma culturale del semestre di presidenza
italiana dell’Unione Europea, ha tra i suoi temi quello del contributo della
cultura italiana al consolidamento dell’identità culturale europea, l’attuale
posizione dell’italiano in ambito europeo e la promozione dell’utilizzo della
lingua di Dante a livello istituzionale.
Ma
sentiamo, al microfono di Daniele Semeraro, la prof.ssa Nicoletta Maraschio,
docente di storia della lingua italiana presso l’Università di Firenze e vicepresidente
dell’Accademia della Crusca.
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R. –
C’è sempre più domanda nel mondo di italiano. Le cifre che sono state diffuse
parlano di un incremento del 40 per cento di aumento di iscrizioni a corsi di italiano
negli ultimi cinque anni in tutto il mondo e l’italiano è anche molto “forte”
su Internet, dove il 3,6 per cento dei siti sono scritti in italiano. Questo
sono cifre sicuramente molto confortanti.
D. –
C’è, dunque, un uso sempre maggiore della nostra lingua al di fuori dei nostri
confini. Ma ci può essere anche un contribuito, ad esempio, al consolidamento
dell’identità culturale europea che la nostra lingua può dare?
R. –
Sì, certo. Oggi si sta lavorando alla firma della Costituzione europea e nella
Costituzione europea l’accenno al plurilinguismo è un accenno velato, ma noi
sappiamo bene che le intenzioni sono quelle della salvaguardia del
plurilinguismo europeo e quindi della diversità linguistica che vuol dire anche
diversità culturale. Questo significa che tutte le diverse lingue europee, quelle
che entrano nell’Unione – quelle che già ci sono, ma anche quelle che
entreranno – dovranno essere tutelate, ci dovranno essere delle politiche di
interscambio fra le diverse lingue in modo che ci sia una lingua, per così
dire, franca e di comunicazione, ma il plurilinguismo sia salvaguardato con
l’insegnamento nelle scuole di almeno di altre due lingue oltre la lingua
madre. Quindi un plurilinguismo individuale è fondamentale.
D. –
Quali le parole italiane più conosciute ed usate nel mondo?
R. –
Pare che le parole più conosciute siano quelle legate alla gastronomia e quindi
pizza, spaghetti. Ma anche, purtroppo, parole non positive come “mafia” o
“tangentopoli”. Ci sono poi parole legate alla Chiesa: Vaticano, ad esempio, è
delle parole più conosciute.
D. –
Alcuni ricordano che uno dei primi astronauti che abbiano toccato il suolo
lunare abbia detto: “ Oh mamma mia!”....
R. –
Sì, certamente anche le esclamazioni. Non c’entrano direttamente con la lingua,
ma le cose sono connesse: la gestualità italiana è ovviamente molto caratteristica
e riconosciuta bene nel mondo.
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24
ottobre 2003
LE SETTE MAGGIORI RELIGIONI MONDIALI INSIEME PER
DARE ASSISTENZA SPIRITUALE AI 2.500 ATLETI CHE PARTECIPERANNO ALLE OLIMPIADI
INVERNALI DI TORINO 2006
- A
cura di Giancarlo La Vella -
TORINO.
= È stato costituito ieri nel capoluogo piemontese il Comitato Interfedi di
Torino 2006. Lo scopo dell’iniziativa è quello di assicurare un servizio di
assistenza spirituale agli atleti e all’intera famiglia olimpica, individuando
gli spazi per il culto e la meditazione nei villaggi olimpici che ospiteranno
gli sportivi partecipanti alle prossime Olimpiadi invernali. Oltre a don Aldo
Bertinetti, incaricato dall’arcidiocesi di Torino per i cattolici, aderiscono
all’iniziativa le Comunità Evangeliche, la Chiesa Ortodossa, le Comunità
Ebraiche, l’Unione delle Comunità Islamiche, l’Unione Induista e l’Unione
Buddista Italiana. Tuttavia, per permette anche ad altri culti di prendere
parte alle attività del Comitato, è prevista la costituzione di una Assemblea
delle Religioni, con carattere consultivo, sulla base di un apposito
regolamento predisposto e approvato dai membri del Comitato. “I rappresentanti
delle sette maggiori confessioni religiose presenti in Italia – ha detto il
presidente del Comitato organizzativo, Castellani - hanno risposto con
entusiasmo al nostro invito e già dopo i primi due incontri, a luglio e a
settembre, in un'atmosfera di reciproco rispetto e collaborazione, si è deciso
di promuovere manifestazioni, convegni ed eventi culturali per costruire un
dialogo e per far conoscere il patrimonio storico e culturale di ognuna di
esse, secondo lo spirito di fraternità proprio delle Olimpiadi”.
SI E’
APERTA OGGI A ROMA, NELLA SEDE DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE, LA
GIORNATA DI STUDIO “EDITH STEIN E IL NAZISMO” PER APPROFONDIRE
IL
RAPPORTO TRA LA SANTA MONACA TEDESCA E GLI INTELLETTUALI ANTINAZISTI
NELLA
GERMANIA DEGLI ANNI TRENTA
ROMA. =
Nell’aprile del 1933, meno di tre mesi dopo l’avvento di Hitler al potere in
Germania, Edith Stein scriveva a Pio XI per metterlo in guardia nei confronti
della politica antisemita del nuovo regime, ritenuta incompatibile con i
fondamenti della fede cristiana. A settant’anni di distanza da questi
avvenimenti è stata organizzata oggi, nella sede della Pontificia Università
Lateranense, la Giornata di studio sul tema “Edith Stein e il nazismo” per
riflettere sulla figura della monaca carmelitana, di origine ebraica e canonizzata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Dopo la prolusione del rettore
dell’Università Lateranense, mons. Rino Fisichella, sono intervenuti tra gli
altri, lo storico Philippe Chenaux ed il professore Ugo Ott. Mentre nella
sessione mattutina sono stati analizzati gli aspetti storici della posizione
della Chiesa e dei rapporti della Stein con gli intellettuali cattolici
tedeschi antinazisti nella Germania degli Anni Trenta, la sessione pomeridiana
- che si apre alle 15.30 - affronterà gli aspetti più propriamente filosofici
della sua riflessione sul totalitarismo, sul razzismo e sull’antisemitismo.
(A.L.)
4500
BAMBINI PAKISTANI SONO DETENUTI NELLE CARCERI E RISCHIANO DI ESSERE CONDANNATI
ALLA PENA CAPITALE NONOSTANTE IL DIVIETO DELLA LEGGE:
AMNESTY
INTERNATIONAL DENUNCIA LE CONDIZIONI DEI MINORI NELLE CARCERI
IN UN
RAPPORTO IN CUI ANALIZZA IL SISTEMA GIUDIZIARIO DEL PAESE ASIATICO
ISLAMABAD. = Circa 4.500 bambini sono
rinchiusi nelle carceri pakistane, 3.000 dei quali non sono stati ancora
ufficialmente incriminati. La denuncia arriva da Amnesty International che, in
un recente rapporto, descrive le condizioni dei minori nell’ambito del sistema
giudiziario del Pakistan. L’organizzazione internazionale per i diritti umani
sottolinea che "spesso questi bambini rischiano di trascorrere mesi, o
persino anni, in stato di detenzione solo perché le loro famiglie non possono
permettersi di pagare una cauzione. E – continua il rapporto - dopo il
processo, la percentuale di quelli condannati al carcere è piuttosto bassa,
intorno al 15-20 per cento". Islamabad nel 1990 ha ratificato la
‘Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino’ e ha introdotto nel
2000 una legislazione interna – l’ ‘Ordinanza sul sistema giudiziario
giovanile’– mirata a proteggere i diritti dei bambini che hanno a che fare con
la giustizia. Tuttavia, puntualizza l’organizzazione, spesso i diritti dei
minori sono trascurati a causa della "mancanza di consapevolezza e
dell’impossibilità di applicare certe misure". Sia in base alle leggi
internazionali sia grazie alla ordinanza interna, in Pakistan è proibita la
pena di morte contro bambini, eppure i piccoli continuano ad essere condannati
alla pena capitale. Ciò avviene perché nei tribunali di primo grado molti
magistrati non conoscono l’ordinanza mentre in altre aree addirittura non è in
vigore. (M.R.)
A
MANILA, NELLE FILIPPINE, È IN CORSO IL PRIMO INCONTRO ASIATICO TRA I RETTORI DEI SANTUARI, CONSIDERATI LUOGHI DI
ACCOGLIENZA E DI CONVIVENZA
TRA PERSONE DI RELIGIONI DIVERSE
MANILA. = È in
corso a Manila, nelle Filippine, il primo Incontro dei Rettori dei Santuari
Mariani dell’Asia, organizzato dal Pontificio Consiglio per la Pastorale dei
Migranti e degli Itineranti e dalla Commissione per la Pastorale della Mobilità
umana della Conferenza Episcopale delle Filippine. Il tema scelto è eloquente:
“Il santuario: un luogo di accoglienza e di incontro”. Durante i lavori è stato
importante l’intervento di mons. Agostino Marchetto, segretario del Pontificio
Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti. “La Chiesa è
chiamata a proclamare il Vangelo di Cristo in una società dove le culture, le
etnie e le religioni entrano in dialogo continuo e a volte con non poche
tensioni. I Santuari, in Asia ma anche in Europa e in America, sono luoghi dove
può sperimentarsi in modo più immediato, la convivenza tra le religioni” si
legge nella nota di mons. Marchetto. Nel suo intervento il presule ha messo in
rilievo come il santuario debba essere “immagine dell’accoglienza di Dio”,
luogo in cui ognuno può sperimentare “l’accoglienza che il Padre offre a tutti
in Cristo, suo Figlio unigenito, perché nel dono del suo Spirito, tutti vivano
la comunione tra fratelli, siano testimoni della salvezza e collaborino alla
costruzione di un mondo di pace e solidarietà”. (M.R.)
L’AFRICA ANCORA MARTORIATA DALLE CARENZE SANITARIE
E DALLA FAME:
IN
ETIOPIA 15 MILIONI DI PERSONE RISCHIANO DI MORIRE PER LA MALARIA
E IN
ANGOLA SONO STATI DIMEZZATI GLI AIUTI ALIMENTARI A CAUSA
DEI
RITARDI NELLE CONSEGNE DELLE DERRATE
ADDIS
ABEBA – LUANDA. = In Etiopia su 66 milioni di abitanti circa 15 milioni di
persone rischiano di morire per la malaria entro quest’anno: è la drammatica
situazione descritta in un comunicato pubblicato, mercoledì scorso, dall’Unicef
e dall’Organizzazione Mondiale per la Salute (Oms). Dopo un
lungo periodo di siccità che aveva provocato l’emergenza alimentare nel Paese
del Corno d’Africa, le piogge a lungo attese sono finalmente arrivate ma ora
hanno provocato una eccessiva proliferazione dei “mosquitos” responsabili del
contagio e della diffusione della malaria. I mezzi finanziari finora a
disposizione sono sufficienti soltanto per la cura di un terzo dei malati:
mancano, infatti, almeno altri 5 milioni di euro per provvedere alle necessarie
misure di prevenzione. Un altro Paese africano gravemente minacciato dalla fame
e dalla povertà è l’Angola dove sono stati purtroppo dimezzati gli aiuti
alimentari a causa dei ritardi nelle consegne delle derrate del Programma
alimentare mondiale (Pam), la più grande agenzia umanitaria dell’Onu. Lo ha
dichiarato all’Agenzia missionaria Misna il direttore dei programmi del Pam in
Angola, Francisco Roque Castro, che in questi giorni si trova a Roma. “Ci sono
gravi ritardi nella consegna degli stock alimentari – spiega il responsabile
del Pam – e abbiamo deciso di non diminuire il numero di persone che
beneficiano dei nostri progetti, ma di ridurre la quantità di cibo
distribuito”. “In questo momento di emergenza – aggiunge il portavoce del Pam,
Marcello Spina – suggerirei di attivare quei meccanismi che per quasi
trent’anni hanno permesso di sopravvivere nonostante la guerra. Il nostro obiettivo
è la autosostenibilità del popolo angolano”. (A.L.)
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24
ottobre 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
“Ora è il tempo di essere generosi”. Il segretario di Stato americano,
Powell, ha aperto così il suo intervento alla Conferenza dei donatori per
l’Iraq, in corso a Madrid. “L’aiuto – ha affermato Washington, che ha previsto
uno stanziamento di oltre 20 miliardi di dollari – servirà a costruire scuole,
ospedali ed infrastrutture”. Ma sulla gestione dei fondi non mancano le ombre:
alcune organizzazioni non governative accusano l'Autorità civile provvisoria di
irregolarità nell’utilizzo dei 5 miliardi di dollari ricevuti finora. Giada
Aquilino ne ha parlato con Ornella Sangiovanni, che a Madrid rappresenta l’Ong
italiana “Un ponte per…”:
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R. - Ho parlato personalmente
con il rappresentante dell’organizzazione non governativa “Christian Aid”, una
Ong cristiana con sede a Londra, supportata da 40 Chiese irlandesi ed inglesi.
Ho letto il rapporto, e di questi 5 miliardi di dollari si sa come è stato
speso soltanto un miliardo di dollari. Testimonianze di funzionari delle
Nazioni Unite – ovviamente sotto garanzia di anonimato – hanno confermato che
non si sa dove siano andati a finire questi fondi, che – va ricordato – sono
soldi degli iracheni. Si tratta di una questione estremamente seria: è la
dimostrazione che non esiste nessuna garanzia di trasparenza finché i soldi
sono controllati dalle autorità di occupazione degli Stati Uniti.
D. – L’Unione europea ha
annunciato stamattina di voler contribuire alla ricostruzione con 700 milioni
di euro. Per cosa potrebbero essere usati? Che cosa ne pensa?
R. - Che ci siano in Iraq una
quantità di bisogni di ricostruzione di infrastrutture e di assistenza alla
popolazione, nessuno lo contesta. Il problema è per cosa verranno utilizzati i
fondi, e soprattutto come. La questione reale è chiarire se questa
ricostruzione sarà un business oppure se coinvolgerà gli iracheni. Per questo è
importante la maniera in cui verrà gestita.
*********
Intanto, sul terreno, la situazione è ancora carica
di tensione. Due attacchi contro soldati della coalizione hanno provocato il
ferimento di due militari americani e la morte di due iracheni. Un civile iracheno
è rimasto ucciso ed altri 6 feriti ieri sera a Baghdad, quando un proiettile da
obice è caduto su un mercato nella zona sud della città, dove ieri la polizia
aveva scoperto due autobombe.
Continua ad allungarsi la lista delle vittime della
violenza in Medio Oriente. L’ultima è un bambino palestinese di 11 anni, morto
stamattina a Gaza. Poco prima, ad Haifa, una bomba era esplosa nell’automobile
di un deputato comunista israeliano, rischiando di uccidere la moglie. Ma
l’episodio più grave si è verificato stanotte nella base militare israeliana di
Netzarim, dove un attivista palestinese ha aperto il fuoco colpendo a morte tre
soldati, prima di rimanere a sua volta ucciso.
Reazioni discordanti, in India, dopo le aperture del
governo al Pakistan. La decisione del premier Vajpayee di ripristinare i
collegamenti con la nazione vicina è stata duramente criticata dai suoi alleati
del Vishwa Hindu Parishad, formazione nazionalista indù, mentre ha ricevuto
consensi diffusi dalla società civile. Particolarmente favorevoli i commenti
del Forum India-Pakistan per la pace e la democrazia.
La visita in Africa di Chirac, che si trova oggi in
Mali, è coincisa con una forte ondata antifrancese. Il capo dell’Eliseo ha
attribuito alle “dichiarazioni irresponsabili di alcuni leader africani”
l’omicidio in Costa d’Avorio del giornalista Jean Hélène, a seguito del quale
il governo locale ha rimosso il capo della polizia. Ma per i corrispondenti di Radio
France Internationale i problemi non sono finiti: le autorità del Senegal
hanno infatti espulso Sophie Malibeaux, reporter dell’emittente, accusata di
“informazione tendenziosa” in favore dei ribelli del Casamance.
Blitz delle forze dell’ordine
italiane alla caccia degli esponenti delle nuove Brigate Rosse coinvolti
nell’omicidio del sindacalista Massimo D’Antona, avvenuto nel 1999. L’arresto
dei presunti esecutori materiali del delitto è stato definito “un successo di
grande rilievo” dal presidente Ciampi, mentre il ministro dell’Interno, Pisanu,
si è detto convinto che siano state “tagliate le radici” del terrorismo
politico. Il servizio di Giampiero Guadagni:
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L’operazione – scattata all’alba
– è stata coordinata dal pool antiterroristico delle Procure di Roma, Firenze e
Bologna. 6 gli arresti operati – 4 uomini e 2 donne – a Roma, in Toscana ed in
Sardegna. 5 dei presunti terroristi sono accusati di aver partecipato
materialmente all’omicidio del professor D’Antona, mentre il sesto è accusato
con gli altri di associazione sovversiva e banda armata. Le indagini hanno
preso il via dall’esame dei computer e dei telefoni sequestrati a Nadia
Desdemona Lioce, la brigatista fermata il 2 marzo scorso sul treno
Roma-Firenze, durante un controllo nel quale persero la vita l’agente di
Polizia Ferroviaria Emanuele Petri ed il brigatista Mario Galesi. Il professor
D’Antona, stretto collaboratore dell’allora ministro del Lavoro Bassolino,
venne ucciso nel maggio ’99 vicino alla sua abitazione: le Brigate Rosse
vollero colpire un protagonista del riformismo in Italia. Il ministro dell’Interno,
Pisanu, ha ricordato che proprio oggi entra in vigore la legge che cambia il
mercato del lavoro e che porta il nome del professor Biagi, un’altra vittima
delle Brigate Rosse. “Una conferma – osserva Pisanu – che gli uomini si possono
uccidere, ma le loro idee no”.
Giampiero Guadagni, per la Radio
Vaticana.
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Ma in Italia oggi è anche il
giorno dello sciopero generale di 4 ore, indetto stamani dai sindacati contro
la riforma delle pensioni: complessivamente, alle manifestazioni avrebbe partecipato
un milione e mezzo di persone. Alessandro Guarasci ha seguito quella di Roma.
La cronaca, da piazza Navona:
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L’Italia è bloccata per lo
sciopero generale indetto dai sindacati contro la riforma delle pensioni del
governo Berlusconi. Dal 2008 si potrà andare in pensione solo con 40 anni di
contributi o 65 anni di età gli uomini e 60 per le donne. Modifiche giudicate
troppo penalizzanti dai sindacati. Imponenti manifestazioni sono in corso in
questo momento in tutte le principali città d’Italia. Il segretario della Cgil
Epifani parla a Bologna, Angeletti della Uil a Napoli, Pezzotta della Cisl,
invece, a Roma. Ieri il ministro del Welfare, Roberto Maroni, ha ironizzato
sullo sciopero di 4 ore. È uno sciopero part time – ha detto. Stamani,
la risposta di Pezzotta: “Vuole dire che ne faremo presto uno full time”.
Infatti i sindacati martedì decideranno nuove iniziative di lotta. Cgil, Cisl e
Uil contestano anche il mancato decollo della previdenza integrativa: le tre
confederazioni predisporranno una
proposta di riforma da portare al tavolo della trattativa nel caso in
cui il governo ritirasse la delega previdenziale. Da notare che in piazza, qui
a Roma, ci sono i leader dei principali partiti dell’opposizione.
Da Piazza Navona, Alessandro Guarasci,
Radio Vaticana.
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A 48 ore dalle elezioni amministrative di domenica
ed a 24 dal referendum sulla corruzione convocato per domani dal presidente
Uribe, la Colombia rimane in preda alla violenza. Gli scontri tra l’esercito e
la guerriglia sono particolarmente cruenti nel dipartimento nordoccidentale di
Antioquia. Secondo fonti della Chiesa locale, i combattimenti avrebbero isolato
la popolazione di quattro villaggi sul fiume Murindó: gli abitanti potrebbero
essersi rifugiati nella foresta, per scampare al fuoco incrociato.
Le violenze non si placano neppure in Bolivia,
nonostante la tregua di tre mesi promessa dai contadini al neopresidente, Mesa.
A Tocopaya, nella regione tropicale del Chapare, l’esplosione di un ordigno
telecomandato ha ucciso un soldato e ne ha feriti 7: erano impegnati nello
sradicamento di alcune piantagioni di coca, coltivate in prevalenza da
indigeni.
Si teme una tragedia nella regione di Rostov, in
Russia meridionale. A causa di un’inondazione, infatti, almeno 46 minatori sono
rimasti intrappolati nella galleria di una miniera di carbone. Nonostante
l’opera di decine di soccorritori, si teme che i minatori non potranno essere
liberati prima di domani.
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