RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 295 - Testo della
Trasmissione di mercoledì 22 ottobre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Da domani è visitabile a Rimini nell’ambito di Ecomondo, la fiera internazionale del riciclo.
L’Onu
condanna il muro in Cisgiordania. Ma Israele insiste: “Non fermeremo i lavori”
Forse
entro fine anno la firma della pace in Sudan: governo e ribelli attesi alla
Casa Bianca
L’India
pronta a negoziare con i separatisti del Kashmir. Presto riapriranno le
frontiere con il Pakistan.
22 ottobre 2003
QUESTA
MATTINA NELLA BASILICA VATICANA LA MESSA DEL PAPA
E LA
CONSEGNA DELL’ANELLO AI TRENTA NUOVI CARDINALI
CREATI
NEL CONCISTORO DI IERI
- A
cura di Giovanni Peduto -
**********
(canto)
La cerimonia si sarebbe dovuta tenere in Piazza San
Pietro, ma la pioggia non lo ha permesso. Tanti fedeli venuti per l’occasione
non hanno potuto trovare posto in Basilica e sono stati dirottati nell’Aula
Paolo VI da dove hanno potuto seguire il sacro rito attraverso i pannelli
televisivi. Il Pontefice si è recato a salutarli al termine della celebrazione
in San Pietro. Vogliamo rilevare che oggi ricorre il 25.mo anniversario
dell’inizio solenne del ministero di Giovanni Paolo II quale supremo pastore
della Chiesa universale, dopo la sua elezione avvenuta il 16 ottobre 1978.
All’omelia, che a nome del Papa è stata pronunciata dal
sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Leonardo Sandri, Giovanni
Paolo II ha sottolineato che da un quarto di secolo va sempre e dovunque
ripetendo la professione di fede di Pietro a Gesù: tu sei il Cristo, il Figlio
del Dio vivente. Questa è la Buona Novella che la Chiesa deve annunciare senza
eccezione a tutti gli uomini. Unità e apertura, comunione e missione: questo è
il respiro della Chiesa. Questa, in particolare, è la duplice dimensione del
ministero petrino: servizio di unità e di missionarietà, e ai nuovi cardinali
ha detto:
“L’anello che tra poco vi consegnerò, venerati fratelli, è
simbolo del rinnovato vincolo che strettamente vi congiunge alla Chiesa e al
Papa, suo Capo visibile”
Il
Pontefice ha quindi ricordato ai neo porporati che sono chiamati a dare
testimonianza a Cristo fino alla effusione
del sangue, se necessario. Ieri aveva già ricordato loro che Cristo ai
suoi ministri chiede di morire a se stessi per farsi servi umili e
disinteressati dei fratelli, rifuggendo da ogni tentazione di carriera e di
tornaconto personale. E poi ha toccato il tema della preghiera sulla quale egli
ha sempre fatto assegnamento. La preghiera è la nostra forza – ha affermato –
aggiungendo:
“Ed è anche uno dei motivi per cui ho voluto che il 25.mo
anno del mio pontificato fosse dedicato al Santo Rosario: per sottolineare il
primato della preghiera, in modo speciale della preghiera contemplativa, fatta
in spirituale unione con Maria, madre della Chiesa”.
Come già ieri per ricevere la berretta
e la consegna della bolla di nomina cardinalizia, anche questa mattina i 30 nuovi
cardinali sono sfilati davanti al Pontefice che consegnava loro l’anello e
scambiava l’abbraccio di pace.
(canto)
**********
Ricordiamo che Giovanni Paolo II ha creato in totale 232
cardinali in 9 Concistori. Attualmente viventi sono 176. Oggi il Collegio
cardinalizio è composto di 194 porporati, dei quali 135 sono elettori e 59 non
elettori, senza considerare il cardinale “in pectore”.
CON IL
MEMORABILE INVITO “NON ABBIATE PAURA”,
GIOVANNI
PAOLO II INIZIAVA 25 ANNI FA IL SUO MINISTERO PETRINO
- Servizio
di Alessandro Gisotti -
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“Alla sede di Pietro a Roma sale oggi un Vescovo
che non è romano. Un vescovo che è figlio della Polonia. Ma da questo momento
diventa pure lui romano…” (applausi)
Con queste parole, pronunciate da un “vescovo pieno di
trepidazione”, Giovanni Paolo II
iniziava, venticinque anni fa, il ministero di Pastore universale della
Chiesa. Un lungo cammino, intrapreso con quei primi passi sul sagrato della
Basilica di San Pietro nell’abbraccio caloroso, partecipe ed emozionato di
oltre duecento mila fedeli, tra cui anche tanti pellegrini polacchi accorsi a
Roma per quel “Papa venuto da lontano”, in realtà per loro così vicino. Prima
di accedere alla grande piazza, il Pontefice aveva sostato in preghiera
dinnanzi alla tomba dell’apostolo Pietro. Momento di grande intensità,
accompagnato dall’inno d’invocazione allo Spirito Santo, il “Veni Creator
Spiritus”, intonato dal coro della Cappella Sistina.
Quindi, con un gesto ricco di significato e suggestione,
il primo cardinale dell’Ordine dei Diaconi, Pericle Felici, pose sulle spalle
di Giovanni Paolo II il Sacro Pallio, la stola di lana bianca, simbolo
dell’autorità pontificia del Vescovo di Roma. Il Santo Padre non volle, invece,
come già prima di lui Papa Luciani, che fosse posto sul suo capo il Triregno,
perché disse, “non è tempo di tornare ad un rito” che “è stato considerato come
il simbolo del potere temporale dei Papi”. Se dunque, le immagini di quella
mattina del 22 ottobre 1978 restano indelebili nella mente di chi assistette
alla solenne celebrazione, scolpite nei cuori di ogni cristiano rimangono le
parole che Papa Wojtyla pronunciò durante l’omelia:
“Non
abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo. Alla sua salvatrice
potestà, aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli
politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate
paura!” (applausi)
Le parole, i gesti di Giovanni Paolo II destarono sorpresa
tra i fedeli, come quando - al termine di quella straordinaria celebrazione -
andò incontro abbrac-ciandoli a due bambini che dopo aver scavalcato una
transenna si erano diretti verso di lui. Una sorpresa a cui subito si aggiunse
la simpatia umana per la sua storia personale, per la forza della figura del
nuovo Papa, come sottolinea lo storico Giorgio Rumi, editorialista
dell’Osservatore Romano:
“Direi che ci fu sorpresa, mista ad una certa simpatia
istintiva. Un uomo giovane, un uomo che si è immediatamente saputo coraggioso,
temprato da situazioni molto difficili: la sconfitta della Polonia nel
settembre del 1939, l’occupazione nazista, il comunismo, una vocazione venuta
su in una situazione assai povera. Tutto questo ha acceso immediatamente una
scintilla di vicinanza nei cuori della gente. Poi, direi il momento più
importante è stato quando il nuovo Papa ha alzato quella croce a stile, che fu
di Montini. Si ebbe l’impressione come di una bandiera, di un riconoscimento
comune, non aggressivo, ma certamente identitario. Ci fu proprio una lieta
sorpresa nel mondo cattolico, come una intuizione della “Caduta del Muro”, al
quale nessuno poteva pensare. Si capì che anche di là della cortina di ferro,
c’erano dei cristiani, dei fratelli, con cui fosse possibile parlare,
intendersi. Cosa ovvia, ma diverso è il livello intellettuale e razionale dal
livello emozionale e affettivo”.
Al
termine dell’omelia, Giovanni Paolo II invitò i fedeli ad aiutarlo, ad essergli
vicino. Un’esortazione che, oggi come allora, il Papa rivolge ad ogni
cristiano:
“Pregate per me, aiutatemi, perché io vi possa servire.
Amen”. (applausi)
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RICHIAMO DELLA SANTA SEDE ALLA
COMUNITA’ INTERNAZIONALE
PERCHE’ SOSTENGA GLI SFORZI DEL
NEPAD,
LA NUOVA ALLEANZA
TRA PAESI AFRICANI PER LO SVILUPPO DEL CONTINENTE
- Servizio di Roberta Gisotti -
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Anzitutto “una rapida e definitiva soluzione” per la
remissione del debito estero, da qui la comunità internazionale deve partire
per sostenere lo sviluppo dell’Africa; ogni risposta parziale nel passato è
stata infatti “inadeguata”. Il monito di mons. Celestino Migliore, osservatore
permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nel suo intervento
all’Assemblea generale dell’Onu, in corso nel Palazzo di Vetro a New York. Solo
un anno fa - ha ricordato l’arcivescovo - si è salutata la nascita del Nepad,
quale risposta alle particolari necessità di questo Continente. Ma solo una
azione “coraggiosa e generosa” per cancellare il debito estero può trasformare
le semplici dichiarazioni di buona volontà in impegni concreti per destinare lo
0,7 per cento del Prodotto nazionale lordo all’aiuto allo sviluppo dei Paesi
più poveri, in massima parte africani.
La comunità internazionale dovrebbe poi favorire il
commercio estero dei Paesi africani, “eliminando ogni tipo di competizione
sleale” contro queste Nazioni. “Stabilire barriere doganali per proteggere i
vantaggi economici dei produttori dei Paesi ricchi, specialmente in quei
settori nei quali l’Africa può essere competitiva, è in contraddizione con
tutte le solenni promesse economiche internazionali”
Quindi una raccomandazione perché l’Africa ha bisogno di
sviluppare un’economia agraria diversificata basata sulla famiglia, capace di
rispondere alle innumerevoli sfide, come l’eccessivo inurbamento, la mancanza
di sicurezza, la protezione dell’ambiente. E non è possibile raggiungere lo
sviluppo sociale ed economico senza
appropriate tecnologie e conoscenze. “Tali tecnologie – ha sottolineato
l’arcivescovo Migliore – dovrebbero essere specificamente applicate alle realtà
economiche, ecologiche e sociali dell’Africa”, piuttosto che imposte ed
estranee alle società locali.
Infine il richiamo alla pace perché è impossibile pensare
– ha detto il rappresentante della Santa Sede all’Onu – ad un equo sviluppo
economico e sociale senza la pace. E l’auspicio che l’Africa sappia preservare
i suoi valori autentici, soprattutto “il rispetto della famiglia” ed “il senso
di solidarietà e della vita comunitaria”, profondamente radicati nella società
africana, “inestimabile eredità culturale”; che questo Continente “mai soccomba
alla tentazione dell’individualismo, che è così estraneo alle sue migliori
tradizioni.”
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Con vibrante respiro, la prima
pagina così si apre: “Stringiamoci a Cristo pietra viva! Ripartiamo da
Lui”.
Nel giorno del 25 anniversario
del solenne inizio del Ministero di Pastore universale della Chiesa, Giovanni
Paolo II celebra la Santa Messa con i nuovi cardinali e consegna loro l’anello,
simbolo di rinnovato vincolo con la Chiesa e con il Papa.
Un pensiero del nostro direttore dal titolo
“Anche le pietre di Piazza San Pietro hanno gridato amore”.
Nelle vaticane, una pagina
dedicata alle celebrazioni, nelle diverse diocesi italiane, in occasione del
XXV di Pontificato di Giovanni Paolo II.
Nelle estere, Stati Uniti: il
Senato vieta l’aborto tardivo con il metodo cosiddetto della “nascita
parziale”.
Medio Oriente: l’Assemblea
generale dell’Onu condanna il “muro” israeliano.
Nella pagina culturale, un
articolo di Paolo Miccoli dal titolo “Una forma patologica dell’esperienza
religiosa”: un numero monografico della rivista “Euntes Docete” dedicato al
fondamentalismo.
Nelle pagine italiane, in primo
piano il dramma dell’immigrazione ed il terrorismo.
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22 ottobre 2003
OGGI A SARAJEVO, I FUNERALI DI ALIJA IZETBEGOVIC,
IL
PRIMO PRESIDENTE DELLA BOSNIA INDIPENDENTE
- Con
noi, Federico Eichberg -
Migliaia
di persone e delegazioni da tutto il mondo si sono ritrovate oggi a Sarajevo
per i funerali di Alija Izetbegovic, il primo presidente della Bosnia
indipendente, deceduto domenica all'età di 78 anni per arresto cardiaco. Anche
a causa della sua precaria salute, nel 2000 si era ritirato dalla presidenza
tricefala (in rappresentanza delle etnie musulmana, serba e croata) della
Bosnia-Erzegovina. Per il segretario generale dell'Onu Kofi Annan, Izetbegovic
''sarà ricordato per il suo ruolo storico nel preservare l'unità della
Bosnia''. Izetbegovic fu uno dei firmatari dell'accordo di pace di Dayton, il
14 dicembre 1995, che mise fine alla guerra di Bosnia, iniziata nel 1992. Ma
proprio la morte di Izetbegovic ha provocato in Bosnia emozioni contrastanti:
sentimenti di affetto per chi lo considera il 'padre della patria' che ha
salvato la Bosnia e i musulmani bosniaci dall'indifferenza, ma anche pesanti
critiche da parte dei nazionalisti serbo bosniaci che lo accusano della
dissoluzione dell'ex Jugoslavia e di crimini di guerra ai danni dei serbi. Ma
chi era dunque l’ex presidente Izetbegovic? Risponde Federico Eichberg, esperto
di questioni balcaniche, intervistato da Giada Aquilino:
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R. – Con la scomparsa di Izetbegovic esce di scena uno dei
principali attori della tragedia dell’ultimo decennio del XX secolo che si è
consumata nella ex-Jugoslavia. Izetbegovic sicuramente rappresenta per i
musulmani di Bosnia un riferimento: non dimentichiamoci che fu tra i fondatori
del Partito di azione democratica (Sda), il partito musulmano. Ma non
dimentichiamoci neppure che per molti musulmani di Bosnia - i quali invece
ritenevano di dover fondare un’identità bosniaca che andasse oltre le identità
nazionali e religiose e si basasse sull’appartenenza geografica alla Bosnia
Erzegovina - Izetbegovic ha significato sì un attore politico, ma non
rappresentativo di tutti i bosniaci.
D. – Izetbegovic ha creduto che serbi, croati e musulmani
potessero governare la Bosnia: sarebbe stato possibile?
R. – Izetbegovic scelse la via dell’indipendenza con il
referendum dell’aprile del ’92, in un momento in cui la Bosnia Erzegovina rappresentava
sulla carta un laboratorio di convivenza, ma in effetti non era previsto alcun
meccanismo perché questa convivenza potesse continuare pacificamente dopo
l’indipendenza. Si consideri la diffidenza che i serbo-bosniaci e in qualche
misura anche i croati di Bosnia ebbero verso i primi passi di questa nuova
creatura, lo Stato di Bosnia Erzegovina. Il referendum su cui si instradò
Izetbegovic e che portò alla nascita del nuovo Stato non prevedeva quei
meccanismi che solo l’accordo di Dayton, dopo circa tre anni di guerra, avrebbe
previsto.
D. – Il conflitto in Bosnia è stato definito il più
sanguinoso in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Cosa rimane, oggi, di
quella guerra?
R. – Rimangono fantasmi politici e, purtroppo, tante
ferite aperte, incarnate dal ritrovamento continuo di fosse comuni. I fantasmi
politici sono quelli che ancora si agitano nelle due entità, cioè nella
Republika Srpska (Rs, a maggioranza serba di Bosnia) e nella Federazione
croato-musulmana, ancora troppo divise dal punto di vista istituzionale ed
economico e incapaci di avviarsi verso un’integrazione. Più drammatiche sono le
conseguenze e le ferite ancora aperte: basti pensare che nello scorso mese di
agosto sono state ritrovate altre fosse comuni risalenti alla strage di
Srebrenica del luglio del ’95, definito il singolo atto di guerra più
drammatico che si sia mai verificato in Europa dopo il ’45. Allora circa 8 mila
musulmani furono massacrati dinanzi agli occhi dei familiari, dei caschi blu e
delle telecamere dei network internazionali.
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“LE
LEGGI RAZZIALI E LA COMUNITA’ EBRAICA DI ROMA”.
IN
MOSTRA ALL’ARCHIVIO DI STATO UNA PAGINA TRAGICA DELLA STORIA ITALIANA
FRA IL
1938 E IL ’45
- Ai
nostri microfoni, il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Leone Paserman
-
Le
deportazioni degli ebrei italiani, iniziate con il rastrellamento al ghetto di
Roma il 16 ottobre 1943, furono solo il tragico epilogo delle Leggi Razziali
emanate dal governo fascista nel ‘38. Fino al 10 novembre una mostra
all’Archivio di Stato di Roma, curata da Manola Ida Venzo e Bice Migliau,
ricostruisce attraverso documenti, foto, giornali, atti burocratici e
giudiziari, lettere di deportati ad Auschwitz, le tragiche conseguenze della
discriminazione razziale sulla vita della Comunità Ebraica romana, la più
antica e numerosa in Italia. A.V. ha incontrato il presidente, Leone
Paserman:
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E’ rivolta soprattutto alle giovani generazioni, ma
intende colmare anche una lacuna nella memoria storica, la mostra
scientifico-didattica tratta dagli Archivi Italiani ed Ebraici, con la
possibilità di diventare itinerante in altre città e scuole italiane. Ne
illustra gli obiettivi il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Leone
Paserman:
“Si tende a
dimenticare l’inizio delle persecuzioni razziste ed antisemite in Italia nel
1938 e a rinviarle tutte solo con l’occupazione nazista dopo l’8 settembre del
’43. Purtroppo, invece, la persecuzione è cominciata prima e l’epilogo delle
deportazioni sono una conseguenza della discriminazione che cominciò 5 anni
prima”.
Le responsabilità di quella legislazione scellerata,
continua Paserman, vanno tutte ascritte al regime di Mussolini, che proprio
negli anni del consenso agì in modo autonomo rispetto all’alleato tedesco; e al
re che firmò i decreti – una macchia indelebile sulla dinastia Savoia,
sostiene. Ma riguardano anche le singole coscienze:
“Quello che non
si può dimenticare è l’indifferenza se non la quiescenza con cui questa
legislazione venne accettata dalla maggioranza del popolo italiano. Le
opposizioni furono veramente scarse. Non dimentichiamo che nel manifesto degli
scienziati razzisti la prima firma era quella di Nicola Pende, autorevole e
noto scienziato, che dopo la guerra rimase tranquillamente al suo posto come
titolare della Cattedra all’Università de La Sapienza. Un altro firmatario di
quelle leggi fu il professor Visco che divenne addirittura preside della
Facoltà di Scienze alla Sapienza nel dopoguerra. C’è stata veramente una
rimozione totale dopo la liberazione della responsabilità degli italiani”.
Allora gli italiani non reagirono, oggi viceversa la
questione ebraica suscita interesse e attenzione, come dimostra anche
l’affluenza alla mostra:
“Credo che oggi
ci sia questa consapevolezza delle carenze riscontrate in quegli anni. Oggi c’è
molta più attenzione al diverso, comprensione delle specificità culturali e
religiose, ma ciò non toglie che ci sono ancora oggi difficoltà in questo
settore. Un dibattito dominante in questi giorni è quello del diritto di voto agli immigrati in Italia: c’è ancora
chi si ostina a non riconoscere pari dignità agli stranieri. In un mondo sempre
più globalizzato è un atteggiamento veramente assurdo! Tradire valori fondanti
della democrazia per piccoli interessi e considerazioni economiche”.
Più rispetto dunque per le diversità, ma riconoscendo gli
uomini tutti uguali di fronte all’unico Dio, conclude Paserman:
“Le grandi religioni monoteistiche credono nell’unico Dio
e nello stesso Dio. Dispiace che, soprattutto, il mondo ebraico e il mondo
islamico siano così drammaticamente in conflitto. Mi auguro che questo possa
essere superato e che si possa arrivare alla pace. Dobbiamo tutti costruire.
Non si tratta soltanto di tollerare il diverso, ma si tratta veramente di
accettare il diverso, senza ricorrere a pretese di integralismo, ma nella sua
specificità, nel suo diritto anche a portare il chador o la Kippa o il
Crocifisso per i cristiani”.
E cosa dire della Francia, dove la questione si è risolta
vietando l’uso di tutti e tre i simboli religiosi:
“Il laicismo può anche diventare intollerante!”.
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22 ottobre 2003
IL SENATO AMERICANO HA
APPROVATO, IERI SERA, LA MESSA AL BANDO DELL'ABORTO TARDIVO, IL CONTROVERSO
METODO UTILIZZATO PER INTERROMPERE LA GRAVIDANZA NELLA FASE AVANZATA DELLA
GESTAZIONE
- A cura di Paolo Mastrolilli -
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WASHINGTON. = Dopo la Camera,
anche il Senato americano ha approvato la legge per vietare l’aborto a
gravidanza avanzata, che presto entrerà in vigore perché il presidente
statunitense, Gorge Bush, ha già detto di volerla firmare. Il provvedimento
proibisce una pratica usata generalmente nel secondo e nel terzo trimestre di
gestazione, nella quale il feto viene fatto scendere lungo il canale della
vita, prima dell’intervento per asportarlo. Il Congresso, a maggioranza repubblicana,
aveva approvato questa legge già due volte durante l’amministrazione Clinton ma
l’allora capo della Casa Bianca l’aveva bloccata usando il potere di veto.
Bush, invece, ha promesso di firmarla definendola un’iniziativa molto
importante che porrà fine ad una pratica orribile e continuerà a costruire una
cultura della vita in America. Gli oppositori hanno giudicato la legge come il
primo passo per cercare di vietare l’aborto negli Stati Uniti e hanno
annunciato ricorsi in tribunale. Il primo riguarderà una richiesta di
ingiunzione per impedire l’entrata in vigore del provvedimento. Se la domanda
verrà bocciata, l’appello potrebbe arrivare fino alla Corte Suprema che legalizzò
l’interruzione di gravidanza nel 1973.
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“NON ABBIATE PAURA.
GIOVANNI PAOLO II PROFETA DEL DIALOGO”. E’ IL TEMA DELL’INCONTRO PROMOSSO A
GERUSALEMME DAL MINISTERO ITALIANO DEGLI ESTERI NELL’AMBITO DELLE INIZIATIVE
ORGANIZZATE PER IL XXV DI PONTIFICATO
GERUSALEMME. = Il 22
ottobre di 25 anni fa, in Piazza San Pietro, Giovanni Paolo II si presentò al
mondo scandendo a gran voce la formula di un esorcismo geopolitico, che avrebbe
cambiato il corso della storia: “Non abbiate paura”. Venticinque anni dopo, lo
stesso giorno, quelle parole sono il titolo di una suggestiva manifestazione,
organizzata dal ministero degli Esteri italiano (Mae) a Gerusalemme,
nell’Auditorium del Pontificio istituto Notre Dame. All’incontro presieduto dal
sottosegretario Mario Baccini, promotore delle iniziative del Mae per il 25°
del Pontificato, e condotto dal giornalista Piero Schiavazzi è prevista la
partecipazione dei tre membri della Commissione preparatoria del pellegrinaggio
del Papa in Terra Santa nel 2000: l’israeliano Chaim Ramon, il palestinese
Emile Jarjoui ed il nunzio apostolico, mons. Pietro Sambi. (A.L.)
LA 59.ENNE FILIPPINA,
SUOR CARMELITA PEREZ, E’ LA NUOVA SUPERIORA GENERALE DELLE SUORE MEDICHE
MISSIONARIE. L’ELEZIONE È AVVENUTA IERI
NEL CORSO DEL 12.MO CAPITOLO GENERALE DELL’ORDINE
NAIROBI. = Le Suore Mediche
Missionarie (Mms), riunite dallo scorso 1° ottobre a Nairobi, in Kenya, per il
loro 12° Capitolo generale, hanno eletto la nuova superiora generale: si tratta
della filippina 59.enne suor Carmelita Perez, che succede a suor Elizabeth Koonthanam.
L’ordine, fondato nel 1925 a Washington dalla
dottoressa austriaca, Anna Dengel, e presente con circa 700 religiose in 23
Paesi di Asia, Europa, America Latina e Nord America, è impegnato nella realizzazione
di progetti assistenziali e formativi soprattutto in quelle aree del mondo dove
è particolarmente lacunoso l’accesso alle cure mediche. La nuova superiora generale
è stata finora coordinatrice per le Filippine e ha studiato teologia. E’
possibile avere maggiori informazioni sull’opera delle Suore Mediche
Missionarie consultando il loro sito internet, www.medicalmissionsisters.org (A.L.)
“LA POLITICA MIGRATORIA TENGA CONTO DELLA
DISPERAZIONE DI CHI FUGGE”.
E’ IL MONITO LANCIATO OGGI DALLA CURIA DI AGRIGENTO
DOPO LE RECENTI TRAGEDIE DEL MARE AVVENUTE NEL CANALE DI SICILIA
AGRIGENTO. = “Qualunque strategia che non tenga
conto della disperazione di chi fugge dal Paese di origine in cerca di un
futuro migliore, non può avere speranze di arginare un fenomeno migratorio che
non ha più profili solo fisiologici”. E’ quanto afferma oggi il responsabile
della Consulta diocesana per i problemi sociali e il lavoro di Agrigento, Salvatore
Pezzino, dopo l’ennesima – e sempre più drammatica - tragedia del mare nel
canale di Sicilia. Secondo Pezzino “il ripetersi incessante di questi drammi
impone a tutti di rivedere i registri del confronto sul fenomeno degli sbarchi
clandestini”. I dati sulle perdite umane, difficilmente quantificabili,
impongono dunque un approccio più complesso “sia per le iniziative concordate
tra i Paesi interessati sul terreno dei controlli, che su quello
dell’accoglienza”. Il direttore dell’ufficio Migrantes della curia di
Agrigento, padre Antonio Serina, invita inoltre le comunità cristiane a fare “un
serio esame di coscienza” ponendosi importanti interrogativi. “Le nostre
parrocchie e le nostre comunità – chiede - possono stare con la coscienza a
posto e quale integrazione promuovono?”. Per rispondere adeguatamente a tali
domande – conclude padre Antonio Serina - è necessario “offrire una più
autentica e generosa testimonianza cristiana”. (A.L.)
LA CHIESA DELLE FILIPPINE ESPRIME LA PROPRIA
PREOCCUPAZIONE ED UN RICHIAMO ALLE COSCIENZE PER LE CONDIZIONI DEI DETENUTI NEL
PAESE ASIATICO
MANILA.
= Nelle prigioni delle Filippine sono attualmente detenute quasi 100 mila persone
e, tra queste, oltre 60 mila sono in attesa di una sentenza. Più di diecimila
carcerati, inoltre, sono minorenni e circa un migliaio di uomini e donne sono
detenuti nel ‘braccio della morte’. A loro la Chiesa delle Filippine dedica la
settimana in corso, incentrata sul tema: ‘La consapevolezza della condizione
dei prigionieri’. Il portavoce della Commissione pastorale per i detenuti,
Rodolfo Diamante, ha spiegato che la Chiesa ha scelto di aderire ad un concetto
di giustizia diverso da quello corrente che mira a punire il colpevole con la
stessa, e forse anche maggiore, sofferenza arrecata dai reati commessi.
Diamante spiega che la Chiesa chiede alla popolazione di vedere nella giustizia
uno strumento teso a riconciliare le persone. Le Filippine hanno reintrodotto
la pena di morte nel 1992 anche per i crimini comuni ma lo scorso anno il
presidente, Gloria Macapagal Arroyo, ha emesso un decreto che sospende per il
momento le esecuzioni. Nel Paese asiatico, tra le file dei condannati alla pena
capitale, ci sono 11 ultrasettantenni e 15 persone che al momento del crimine
avevano meno di 18 anni. (A.L.)
DA DOMANI È VISITABILE A RIMINI NELL’AMBITO DI
ECOMONDO,
LA FIERA INTERNAZIONALE DEL RICICLO, UNA SUGGESTIVA
RASSEGNA DI OPERE
SU TEMI
AMBIENTALI REALIZZATE DA GIOVANI ARTISTI ITALIANI
RIMINI. = In occasione di
Ecomondo, la Fiera internazionale del riciclo che si svolgerà a Rimini da
domani fino al prossimo 25 ottobre, è stata realizzata una rassegna di opere
realizzate da un gruppo di artisti di talento, iscritti all’Associazione
nazionale giovani artisti italiani che ispirandosi ai temi dell’ambiente si
sono espressi nelle discipline video, web design, computer grafic e cartoon.
“Con questa mostra – spiegano gli organizzatori dell’iniziativa - il linguaggio
originale dell’arte intende suggerire una visione della realtà suscitando una
riflessione attenta sui temi dell’ambiente, sul riciclaggio dei rifiuti, sullo
sviluppo sostenibile e sul risparmio delle risorse ambientali”. Con l’obiettivo
di ricordare che il recupero e il riutilizzo della materia non sono
semplicemente un’operazione tecnologica ma anche culturale, le opere coniugano
stili e percezioni differenti, inducendo gli spettatori a riflettere sui temi
proposti con chiavi di accesso anche ironiche. Passando dagli spot ai
cortometraggi, dalla fotografia digitale sino al connubio tra immagini e poesia,
tutte e dodici le opere presentate si caratterizzano per la grande originalità
e soprattutto per la diversità dei linguaggi utilizzati. (A.L.)
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22
ottobre 2003
- A cura di Andrea Sarubbi e Marta
Rossi -
Le Nazioni Unite al lavoro, per cercare di sbloccare la crisi
mediorientale. Mentre la Russia sta preparando una risoluzione che vincolerebbe
israeliani e palestinesi al rispetto del piano di pace, al Palazzo di vetro si
è votato stanotte un testo di condanna nei confronti della barriera di
sicurezza che Israele sta costruendo in Cisgiordania. Ma lo Stato ebraico non
sembra intenzionato a fermare i lavori, come ci riferisce Graziano Motta:
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L’Autorità nazionale palestinese saluta con soddisfazione
la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu, che chiede ad Israele di
interrompere la costruzione della cosiddetta “barriera di sicurezza” e di
smantellarne le parti edificate. Ma il governo Sharon ribadisce che i lavori
continueranno per assicurare la protezione dei propri cittadini, mentre il
rappresentante israeliano all’Onu ha definito la risoluzione “un’iniziativa
illegittima” ed “un’espressione di ipocrisia”. La risoluzione dell’Assemblea
generale, per quanto approvata con 144 “sì”, non è vincolante per Israele, che
l’ha respinta, come hanno fatto con il loro voto gli Stati Uniti ed altri due
Paesi. In polemica, il rappresentante palestinese all’Onu parla di “intimidazione”
e di “ricatti” israeliani. Così i rapporti restano molto tesi, come sul
terreno. Nelle ultime ore, soldati israeliani hanno ucciso due esponenti della
rivolta che tentavano di sfuggire alla cattura ed hanno arrestato 18 attivisti
in varie località della Cisgiordania. Presso il confine tra Gaza ed Israele,
poi, hanno appena sventato un attentato terroristico: feriti due palestinesi che,
riusciti a superare la frontiera, tentavano di deporre 40 chili di esplosivo
presso un kibbutz.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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In mezzo a tante violenze, c’è anche un segnale di
speranza. È l’inaugurazione, avvenuta ieri, del Campus universitario “Mar
Elias” ad Ibillin, in Galilea: la prima università dell’area per studenti
cristiani, musulmani ed ebrei, sorta con l’obiettivo di alimentare la cultura
della pace. Ce lo conferma il padre melchita Elias Chacour, fondatore e presidente
dell’Ateneo:
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R. – NOUS NE VOULONS QUE
DETRUIR TOUS LES MURS ...
Noi vogliamo distruggere ogni possibile muro, psicologico
e di qualsiasi altra natura, che separa ebrei e palestinesi. Vi sono molti
studenti che vengono qui: all’inizio hanno paura, perché vengono da un
villaggio cristiano, hanno pregiudizi enormi contro i musulmani; poi, ci sono
quelli che vengono da un villaggio musulmano, che dicono: “Come possiamo stare
fianco a fianco con un giovane cristiano? È impossibile, è pericoloso!”. Ma fra
due o tre mesi, camminando per la scuola, non sarà più possibile distinguere un
cristiano da un musulmano o da un ebreo...
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Si avvicina la fine della ventennale guerra civile in
Sudan, già costata la vita a 2 milioni di persone. Lo ha detto questa mattina a
Khartoum il segretario di Stato americano, Powell, aggiungendo che la Casa
Bianca ha invitato a Washington governo e ribelli, per la firma di un accordo
di pace globale entro la fine dell’anno. “Si vede la luce in fondo al tunnel”,
ha affermato l’inviato statunitense, invitando le parti a “non sprecare questa
grande opportunità”.
Spiragli di pace si intravedono anche in Kashmir, la
regione contesa da India e Pakistan. Il governo di New Delhi ha infatti annunciato
stamani la propria disponibilità ad avviare colloqui di pace con la All Parties
Hurriyat Conference, la coalizione che raggruppa i separatisti della regione.
L’India è inoltre pronta alla riapertura dei confini con il Pakistan ed a
riprendere le competizioni sportive tra i due Paesi.
È ormai questione di settimane per la firma iraniana sul
protocollo addizionale al Trattato di non proliferazione nucleare. Il
presidente Khatami ha ricordato stamani che “manca ancora l’avallo del
Parlamento”, ma già mercoledì prossimo Teheran fornirà agli esperti dell’Aiea
le documentazioni richieste sull’attività nucleare svolta finora. “È uno
sviluppo molto positivo”, ha detto il presidente degli Stati Uniti, Bush; una
soddisfazione comprensibile, come conferma, al microfono di Massimiliano Menichetti,
Alberto Zanconato, corrispondente Ansa dall’Iran:
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R. – Si tratta di una svolta, nel senso che sono state
poste le basi - come hanno sottolineato anche i ministri degli esteri di
Francia, Gran Bretagna e Germania - per un rapporto di maggiore fiducia tra
l’Iran e la comunità internazionale. Bisogna ricordare che l’Iran accetterà di
firmare un protocollo per ispezioni più severe ai suoi impianti ed anche di
sospendere la produzione di uranio arricchito, che l’Aiea temeva potesse essere
usato per la costruzione di ordigni nucleari.
D. – Ora c’è la possibilità anche che diminuiscano le
tensioni tra la Casa Bianca e Teheran?
R. – La buona volontà sembra esserci; gli Stati Uniti
erano informati del procedere delle trattative e quindi sono stati consultati
anche prima di arrivare alla firma di questo accordo.
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Una sosta di poche ore, per commemorare le 202 vittime
dell’attentato terroristico di un anno fa. Il presidente americano, Bush, ha
fatto tappa stamani nell’isola di Bali, dove ha incontrato la presidente
indonesiana, Megawati Sukarnoputri. Al Paese asiatico, il capo della Casa
Bianca – atteso oggi in Australia – ha promesso un programma da 157 milioni di
dollari per favorire l’istruzione.
È invece di 15 miliardi di dollari la cifra destinata da Washington
all’Iraq, alla cui ricostruzione è dedicata la conferenza dei donatori che si
aprirà domani a Madrid. Ancora da stabilire con certezza il contributo
dell’Unione europea, che dovrebbe comunque aggirarsi sui 750 milioni di dollari.
Nel Paese del Golfo, intanto, non si fermano le violenze contro i militari
americani: 4 soldati sono stati feriti gravemente stamani dall’esplosione di un
ordigno a Falluja, 50 chilometri dalla capitale, mentre altri due sono stati
feriti nel centro di Baghdad.
Si complica più del previsto il processo di pace
nell’Irlanda del nord, in vista delle elezioni del 26 novembre per il
ripristino dell'Assemblea dell'Ulster. Il leader unionista, David Trimble, ha
infatti bloccato l’accordo che sembrava ormai raggiunto, chiedendo ulteriori
dettagli sul disarmo dell’Ira, l’Esercito repubblicano nordirlandese. Sentiamo
Enzo Farinella:
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David Trimble è insoddisfatto delle dichiarazioni della
Commissione internazionale che soprassiede al disarmo; ha dato alla Commissione
8 giorni di tempo, fino a mercoledì prossimo, per trovare una soluzione al
problema di trasparenza, senza il quale egli non potrà presentare alla comunità
unionista il nuovo accordo. È inutile dire che questa ulteriore richiesta è
stata una vera doccia fredda per tutti. Gerry Adams ha parlato di un venir meno
all’accordo raggiunto; il premier britannico Blair e l’irlandese Ahern hanno
lavorato fino a tarda notte nel castello di Hillsborough, vicino a Belfast,
rinnovando la loro volontà di portare a termine il processo di pace.
Da Belfast, per la Radio Vaticana, Enzo Farinella.
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“Un grande professionista morto esercitando il suo lavoro
al servizio dell’informazione della terra africana che amava tanto”: con queste
parole il presidente francese Chirac ha descritto Jean Helene, giornalista di Radio
France International ucciso ieri sera ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Un
testimone ha dichiarato di avere visto il reporter fuori dalla sede della polizia
nazionale, in attesa di intervistare alcuni militanti dell’opposizione. La
guerra civile scoppiata lo scorso anno ha innescato nel Paese africano forti
sentimenti anti-francesi e Radio France International è stata spesso
accusata di appoggiare i ribelli.
Si apre oggi a Rabat, in Marocco, la riunione tra 5 Paesi
europei e 5 del Mediterraneo sulla questione dell’immigrazione clandestina.
Nonostante la tragedia di domenica notte al largo di Lampedusa, non si fermano
gli approdi sulle coste siciliane: 40 immigrati stanno arrivando in queste ore
a Porto Empedocle, 23 marocchini sono sbarcati a Levanzo ed altri 10 sono stati
fermati a Favignana dalla Guardia di finanza.
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