RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 281 - Testo della Trasmissione di mercoledì 8 ottobre 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La sera, tempo propizio di preghiera per rendere grazie a Dio, chiedere perdono e respingere le “incursioni del Maligno”. Così il Papa all’udienza generale, introducendo il ciclo di catechesi sulla Liturgia dei Vespri.

 

L’attualità della Pacem in Terris di Giovanni XXIII richiamata in un Simposio nella sede dell’Onu a New York per i 40 anni della storica enciclica.

 

Il 25.mo del Pontificato: Giovanni Paolo II, il Papa del Rosario. Con noi, l’arcivescovo prelato di Pompei, Domenico Sorrentino.

 

La diplomazia della Santa Sede, strumento del Papa per promuovere la pace nel mondo e il rispetto dei diritti umani. Intervista con l’arcivescovo Jean Louis Tauran, che nel Concistoro del 21 ottobre riceverà la porpora cardinalizia.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Arginare le calamità con lo sviluppo sostenibile, tema dell’odierna Giornata internazionale per la riduzione dei disastri. Ai nostri microfoni, Guido Bertolaso.

 

Presentato a Roma il Rapporto annuale dell’Onu sullo stato demografico 2003.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Un miliardo di persone vive in baraccopoli, secondo il Rapporto annuale dell’Onu sullo sviluppo urbano del mondo.

 

Si inaugura oggi, a Pristina, il Centro di formazione professionale “Qendra sociale educative Don Bosko”.

 

San Francesco d’Assisi, un modello per i rapporti tra islam e cristianesimo.

 

Il Pontificio Collegio etiopico, costruito nel 1930 da Papa Pio XI, è stato riaperto ieri, dopo la ristrutturazione durata un anno.

 

Ruud Lubbers confermato per due anni alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

 

A Stoccolma, consegnato il Nobel per la chimica 2003 a due scienziati americani.

 

24 ORE NEL MONDO:

Ancora lontano l’accordo sulla nuova risoluzione per l’Iraq: gli Stati Uniti pensano di ritirare il testo.

 

“Colpiremo ovunque”: Israele non si piega alle critiche per il raid in Siria e minaccia nuove rappresaglie.

 

Secondo test nucleare in una settimana per il Pakistan, mentre l’Iran offre collaborazione agli ispettori.

 

Spiragli di pace in Burundi, dopo l’accordo tra governo e ribelli.

 

L’ex attore Schwarzenegger nuovo governatore della California.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 ottobre 2003

 

 

LA PREGHIERA DELLA SERA, ARGINE DI LUCE ALLE INCURSIONI DEL MALIGNO.

COSI’ IL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE IN UN NUOVO CICLO DI CATECHESI

SULLA LITURGIA DEI VESPRI. ANCORA UN GRAZIE ALLA MADONNA

 PER LA VISITA DI IERI AL SANTUARIO DI POMPEI

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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Ancora un grazie alla Madonna per la sosta davanti al Santuario di Pompei. E poi un invito ad ogni singolo cristiano perché, nella notte della tentazione o della debolezza, riscopra attraverso la preghiera la luce di Cristo che libera da ogni “malvagità”. Sotto un sole incerto, scolorito da nubi di passaggio, che ha permesso a circa 15 mila fedeli di radunarsi in Piazza San Pietro per l’udienza generale, il Papa ha subito potuto comunicare questa mattina le impressioni suscitate in lui dal pellegrinaggio mariano di ieri, dominato dalla recita del Rosario e dalla supplica alla Vergine per la pace nel mondo:

 

“Ringrazio la Madonna che mi ha dato l’opportunità di realizzare ieri la visita al Santuario di Pompei a Lei dedicato”.

 

I conflitti e la violenza che rigano di sangue il pianeta, evocati ieri dal Papa a Pompei, hanno trovato un’eco nella catechesi di questa mattina, che ha introdotto ai temi dei Vespri - la preghiera serale della comunità cristiana - dopo la conclusione del ciclo di riflessioni sulla liturgia delle Lodi mattutine. L’insegnamento del Pontefice si è snodato lungo un percorso fortemente simbolico. Dopo i richiami alla luce che intessono la preghiera diurna, anche l’arrivo del buio suggerisce una disposizione particolare al raccoglimento interiore. “Al cadere delle tenebre - ha detto il Papa - i cristiani sanno che Dio illumina anche la notte oscura con lo splendore della sua presenza e con la luce dei suoi insegnamenti”:

 

“Traendo ispirazione dal simbolismo della luce, la preghiera dei Vespri si è sviluppata come sacrificio vespertino di lode e di riconoscenza per il dono della luce fisica e spirituale e per gli altri doni della creazione e della redenzione”.

 

La sera, ha osservato ancora Giovanni Paolo II, è un “tempo propizio” per “considerare davanti a Dio la giornata trascorsa”, per ringraziarlo dei doni ricevuti o per ciò che di buono abbiamo fatto, per chiedere perdono dell’eventuale male commesso. Ma c’è di più. La notte, ha affermato il Papa, è avvertita come “occasione di frequenti tentazioni, di particolare debolezza, di cedimento alle incursioni del Maligno”. La notte è anche simbolo “di tutte le malvagità da cui Cristo è venuto a liberarci”. Davanti a ciò, ecco l’importanza della preghiera che, ha detto Giovanni Paolo II, fa “fiorire la speranza” della luce divina anche nell’uomo moderno, il quale ha in parte sottratto ai ritmi del tempo cosmico le sue attività:

 

“Il mattino e la sera costituiscono momenti sempre opportuni da dedicare alla preghiera, sia comunitariamente che singolarmente. Le Ore delle Lodi e dei Vespri si rivelano così mezzo efficace per orientare il nostro cammino quotidiano e dirigerlo verso Cristo, 'luce del mondo'”.

 

Infine, il nuovo appello a prendere in mano la corona del Rosario, preghiera con la quale la Chiesa, ha concluso, “invoca in questo nostro tempo, l’intercessione di Maria specialmente per le famiglie e la pace nel mondo”.

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L’ATTUALITÀ DELLA “PACEM IN TERRIS” DI GIOVANNI XXIII

NEL SIMPOSIO DELL’ONU A NEW YORK PER I 40 ANNI DELLA STORICA ENCICLICA

- Servizio di Paolo Mastrolilli -

 

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“Possa venire al più presto possibile il tempo in cui l’Onu riuscirà effettivamente a salvaguardare i diritti della persona umana, che derivano dalla sua dignità e perciò sono universali, inviolabili ed inalienabili”. Sono parole di Papa Giovanni XXIII, tratte dall’enciclica Pacem in Terris citate ieri dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, celebrando al Palazzo di Vetro il 40.mo anniversario del documento, a cui ha partecipato anche il cardinale di New York, Edward Egan. Annan ha detto di essere preoccupato per l’apparente crisi nel consenso mondiale riguardo alle regole più basilari delle relazioni internazionali, ma proprio per questo ha aggiunto che la Pacem in Terris resta una sfida attuale per adeguare la struttura, i metodi e le operazioni dell’Onu all’ampiezza e la nobiltà del suo compito.

 

L’arcivescovo Jean-Louis Tauran, intervenendo con un messaggio letto dall’osservatore permanente della Santa Sede al Palazzo di Vetro, Celestino Migliore, ha sottolineato l’appassionata difesa della pace fatta da Giovanni XXIII, basata su una visione naturale della creazione. L’enciclica infatti protegge i diritti della persona umana senza distinzioni di fede o convinzioni. Tauran ha sottolineato quale sfida rappresentasse questo approccio all’apice della guerra fredda e ha indicato i tre concetti chiave dell’enciclica: nella persona, detentrice di diritti umani che discendono dalla sua appartenenza all’ordine stabilito da Dio; nella legge, su cui si basa la pubblica autorità volta al conseguimento del bene comune; e nella fede, essenziale alla cultura della pace per i suoi insegnamenti di fratellanza universale e solidarietà.

 

L’arcivescovo Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha concluso la celebrazione con un richiamo all’attualità. La corrente crisi dell’Onu, si è chiesto, provocata anche da decisioni relative alla guerra in Iraq, contraddice la chiamata della Pacem in Terris per un’autorità politica mondiale? La risposta è no. Non perché al Palazzo di Vetro tocchi il compito di creare un governo planetario, ma perché questa organizzazione è insieme: una destinazione, in quanto la comunità internazionale esiste anche prima delle relazioni diplomatiche tra gli Stati; e un punto di partenza, dato che può svolgere un ruolo pedagogico e pratico unico nel sostegno di relazioni autentiche.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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25 ANNI DI PONTIFICATO:

GIOVANNI PAOLO II IL PAPA DEL ROSARIO

- Intervista di Giovanni Peduto al prelato di Pompei, l’arcivescovo Domenico Sorrentino -

 

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Il Santo Padre dal giorno della sua elezione a successore di Pietro ha posto il suo ministero nelle mani della Madre di Gesù e nel suo stemma ha collocato la ‘M’ di Maria sotto la Croce di Cristo. Il Rosario, poi, è stata - lo ha detto più volte - la sua preghiera prediletta. Lo scorso anno, il 16 ottobre, firmò in Piazza San Pietro la sua Lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae” alla presenza dell’effigie originale della Madonna di Pompei. Così volle indire un anno del Rosario, che ieri ha coronato con il suo pellegrinaggio al Santuario, dedicato appunto alla Madonna del Rosario, in Pompei. La parola all’arcivescovo prelato, mons. Domenico Sorrentino:

 

R. – E’ con il cuore colmo di gioia e di gratitudine che rendo questa testimonianza, dopo un evento storico come quello che abbiamo vissuto in questa giornata memorabile. Il Santo Padre è venuto per la seconda volta a Pompei. Non è venuto per far visita a questa comunità ecclesiale, ma per parlare al mondo da Pompei, per mandare al mondo un messaggio di pace e lo ha mandato con il Santo Rosario, la preghiera che in questo anno ci ha aiutato a riscoprire. Una preghiera che abbiamo qui visto, a Pompei, nella sua forza di preghiera evangelizzatrice. Ha sprigionato questa preghiera una forza capace di toccare i cuori, di illuminare le menti, di dare entusiasmo all’impegno apostolico. Il Rosario si è dimostrato quale il Papa lo ha illustrato nella sua Lettera apostolica, una preghiera che ci porta al cuore della fede, ci porta a Gesù attraverso Maria, ci porta alla contemplazione del suo volto, alla scuola della Madre. E’, dunque, una preghiera che nutre la vita spirituale ed è insieme adattissima alla nuova evangelizzazione. E’ veramente bello quello che il Papa ha detto e fatto qui a Pompei, iniziando la sua visita dalle antiche e celebri rovine della Pompei coperta dalle ceneri del Vesuvio. Una città che non potè essere evangelizzata, non ne ebbe il tempo, e che oggi resta sotto lo sguardo dei visitatori come una città certamente ricca di cultura, con le luci e le ombre ovviamente della cultura non cristiana, della cultura pagana, ma anche una città che manda dei messaggi, interpella, perché pone grandi interrogativi sul senso della vita. Qui, a Pompei, questo sfondo aiuta ancor meglio a comprendere il Rosario come preghiera evangelizzatrice, preghiera attraverso cui il volto di Gesù viene presentato e diventa per l’uomo, per l’uomo di ogni tempo, luce, diventa speranza, diventa compagnia. E’ stata una giornata veramente bella che resterà nel cuore della Chiesa di Pompei, ma credo resterà davvero memorabile nella Chiesa universale.

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UNA RIFLESSIONE SUL PONTIFICATO DI GIOVANNI PAOLO II E IL RUOLO

 DELLA DIPLOMAZIA VATICANA NELLA PROMOZIONE DELLA PACE NEL MONDO

- Con noi, l’arcivescovo Jean-Louis Tauran -

 

L’arcivescovo Jean-Louis Tauran lascia la carica di segretario per i Rapporti con gli Stati. A succedergli – come è noto – un presule italiano, mons. Giovanni Lajolo, finora nunzio apostolico in Germania. Questo avvicendamento all’interno della Curia Romana era atteso perché per mons. Tauran, che riceverà la berretta cardinalizia nel corso del Concistoro del prossimo 21 ottobre, la dignità cardinalizia non è compatibile con il suo incarico alla guida della diplomazia vaticana. Romilda Ferrauto, dei servizi informativi francesi della nostra emittente, gli ha chiesto innanzitutto come abbia accolto la sua nomina a cardinale e quale significato questa rivesta per lui e per la Chiesa tutta…

 

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R. – JE L’AI ACCUEILLI EVIDEMMENT AVEC UNE GRANDE RECONNAISSANCE ...

L’ho accolta evidentemente con grande riconoscenza, perché l’elevazione alla dignità cardinalizia è una forma di riconoscimento, da parte del Santo Padre, dell’opera che ho cercato di svolgere in questi ultimi 13 anni, condividendo la sua preoccupazione per il mondo. Penso anche che sia un riconoscimento per il lavoro perseverante e nascosto di tutti i miei collaboratori nella sezione dei Rapporti con gli Stati: siamo infatti una équipe unita, il cui impegno è quello di assecondare il Santo Padre nel suo ministero in favore della pace nel mondo e della moralizzazione della vita internazionale. Per me, poi, alla gioia si aggiunge un velo di tristezza nel dover lasciare la segreteria di Stato, ma in definitiva è la vita: dopo 13 anni, non posso certo pretendere di avere un incarico ‘a vita’ … E’ giusto lasciare il posto a qualcun altro: mons. Lajolo, attualmente nunzio apostolico nella Repubblica federale di Germania, è stato nominato mio successore. Sono contento che la scelta sia caduta su di lui, perché ha fatto parte del nostro ufficio e pertanto conosce la nostra realtà. Credo che potrà essere un grande segretario per i Rapporti con gli Stati.

 

D. – Mons. Tauran, l’ha detto lei stesso poc’anzi: per 13 anni lei ha guidato quella che, in termini impropri, si usa chiamare la ‘politica estera’ della Santa Sede, una politica largamente apprezzata nel mondo. Può fare un bilancio e forse accennare a qualche prospettiva?

 

R. – QUAND ON PARLE DE LA DIPLOMATIE DU SAINT-SIEGE, IL FAUT ...

Quando si parla della diplomazia della Santa Sede, bisogna sempre ricordare che il primo agente diplomatico della Santa Sede è il Papa: è lui che conferisce alla diplomazia la forza ed il prestigio. Non cito che un esempio: quando il Papa è salito al trono di San Pietro, nel 1978, la Santa Sede intratteneva relazioni diplomatiche con 85 Paesi; oggi, 25 anni dopo, il numero è salito a 174. Questi sono stati anni particolari: pensiamo alla caduta del Muro di Berlino, alla prima Guerra del Golfo, ai conflitti africani, le guerre nella ex-Jugoslavia, l’intervento militare di quest’anno ancora in Iraq, il processo di pace in Medio Oriente, la trasformazione dell’Unione Europea … tutti questi argomenti sono stati oggetto di riunioni di lavoro che ho avuto una settimana via l’altra in questi ultimi 13 anni, ed ho potuto constatare la preoccupazione che ha sempre guidato il Papa, di poter fare in modo che gli uomini possano vivere insieme in virtù di convinzioni comuni, in virtù anche del rispetto del diritto internazionale.

 

D. – Tra i ‘casi’ che trasmette al suo successore, quale lascia in lei la maggiore preoccupazione?

 

R. – JE DIRAIS SANS HESITER, LE MOYEN-ORIENT. …

Direi senz’altro, il Medio Oriente. Il Medio Oriente con, innanzitutto, la crisi israelo-palestinese, perché questa è la madre di tutte le crisi, e ovviamente la situazione in Iraq. Credo che questa regione del mondo abbia bisogno di ritrovare il cammino della ragione e della fratellanza; credo che la comunità internazionale abbia il dovere di aiutare le parti in causa in questo compito.

 

D. – La Santa Sede auspica, credo, l’invio di una forza d’interposizione?

 

R. – OUI, DEPUIS L’ANNEE 2000, DEPUIS LA SECONDE INTIFADAH NOUS ...

Sì, già dal 2000, da quando è ripresa la Seconda Intifada, noi abbiamo sempre sostenuto che, di fronte all’incapacità manifesta di israeliani e palestinesi di considerarsi a vicenda, di parlarsi, di vivere insieme, sarebbe necessario inviare sul posto una cosiddetta ‘forza amica’, capace questa di dire agli uni e agli altri: ‘Rimanete a casa vostra per un mese, senza colpirvi a vicenda; poi, ci metteremo intorno ad un tavolo per negoziare’. Credo che qualcosa si debba tentare; altrimenti, sarà la catastrofe.

 

D. – Anche il “dossier-Iraq” rimane aperto, ovviamente …

 

R. – OUI, LE DOSSIER IRAKIEN RESTE OUVERT, EVIDEMMENT, PARCE QUE …

Sì, ovviamente il “dossier-Iraq” rimane aperto, perché l’Iraq è un Paese membro delle Nazioni Unite, quindi un Paese sovrano che ha il diritto alla considerazione della medesima dignità, della medesima sovranità, della medesima libertà degli altri Stati-membri delle Nazioni Unite. Ecco perché è necessario fare il possibile affinché il popolo iracheno sia messo nella condizione di scegliere i propri dirigenti, il proprio sistema politico in maniera che tutti e ciascuno si sentano parte integrante di un progetto di società.

 

D. – Giovanni Paolo II celebrerà tra qualche giorno il suo giubileo di pontificato: quale bilancio può fare di questi 25 anni?

 

R. – JE PENSE QUE DURANT CES ANNEES, LE PAPE EST DEVENU ‘LA’ REFERENCE …

Credo che in questi anni il Papa sia divenuto ‘il’ riferimento morale del mondo, a giudicare se non altro dalla lista di personalità che vengono a fargli visita. Credo che il segreto del suo carisma, della grandezza di questo pontificato sia, in definitiva, la fede del Santo Padre. Nulla sarebbe più errato che immaginarselo seduto nel suo ufficio ad elaborare, con l’aiuto di un atlante geografico e di voluminosi rapporti, una ‘strategia vaticana’. No. Le grandi decisioni di questo pontificato sono sempre state pensate e prese in ginocchio, davanti al tabernacolo della sua cappella privata, ed io ne sono stato testimone più d’una volta. Là si trova, a mio avviso, la chiave per comprendere in termini corretti l’irradiazione di questo pontificato fuori dal comune.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Anno del Rosario: all'udienza generale - si sottolinea nell'apertura della prima pagina - il grazie di Giovanni Paolo II alla Madonna per il pellegrinaggio compiuto nel Santuario di Pompei.

"Ringrazio la Madonna che mi ha dato l'opportunità di realizzare ieri la visita al Santuario di Pompei a Lei dedicato".

Sempre in prima si evidenzia che il Papa ha avviato un ciclo di catechesi dedicato ai Vespri.

Un pensiero di Mario Pendinelli sul tema "L'Europa o è cristiana o non è Europa".

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

L'omelia del cardinale Salvatore De Giorgi durante la solenne concelebrazione eucaristica, il 4 ottobre, ad Assisi.

 

Nelle estere, Medio Oriente: Israele proroga il blocco dei Territori autonomi.

Iraq: il Parlamento turco approva l'invio di truppe.

 

Nella pagina culturale, un approfondito articolo di Claudio Toscani che ricorda la tragedia del Vajont, consumatasi il 9 ottobre 1963.

Una monografica sul tema: "Scienza della comunicazione e rivoluzione mediatica": le Università italiane in cerca di risposte qualificate per un settore che ha registrato una rapidissima evoluzione. 

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema dell'immigrazione.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

8 ottobre 2003

 

 

“VOLTARE PAGINA: ARGINARE LE CALAMITA’ ATTRAVERSO LO SVILUPPO SOSTENIBILE”:

QUESTO IL TITOLO CHE ACCOMPAGNA L’ODIERNA GIORNATA INTERNAZIONALE

PER LA RIDUZIONE DEI DISASTRI, INDETTA DALLE NAZIONI UNITE.

“INTERVENIRE - HA RIBADITO KOFI ANNAN IN UN MESSAGGIO - E’ IN NOSTRO POTERE”

 

“I rischi naturali sono parte della vita. Tuttavia, i rischi diventano disastri soltanto quando vengono spazzati via la vita ed i mezzi di sussistenza delle persone. La vulnerabilità delle comunità è in crescita a causa delle attività umane, che portano all’incremento della povertà, ad una maggiore densità urbana, al degrado ambientale e al cambiamento climatico. Abbiamo il potere di fare qualcosa a riguardo”. Questo, in sintesi, il messaggio del segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in occasione dell’odierna Giornata internazionale per la riduzione dei disastri. Questa ricorrenza, stabilita dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 1989 e confermata nel 1999, offre alla comunità mondiale l’opportunità di focalizzare la propria attenzione sulla drammaticità della situazione. Ogni anno, infatti, alluvioni, siccità, valanghe e movimenti tellurici causano inevitabili ingenti danni, umani e materiali. Proprio domani, ad esempio, ricorre il 40º anniversario della tragedia del Vajont, nel bellunese, costata la vita a 1.900 persone. Sul senso di questa giornata internazionale, che quest’anno ha per tema “Voltare pagina: arginare le calamità attraverso lo sviluppo sostenibile”, Barbara Castelli ha raccolto il commento di Guido Bertolaso, responsabile del Dipartimento nazionale di protezione civile italiano.

 

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R. – L’obiettivo di questa giornata è quello di riuscire a valorizzare le risorse, soprattutto quella dell’acqua. Quest’ultima, infatti, troppo spesso si trasforma in un grande problema, sia per quello che riguarda le situazioni di siccità, che interessano parecchi Paesi in via di sviluppo; sia per quello che riguarda le devastazioni che l’acqua provoca quando alluvioni, uragani e avvenimenti del genere interessano le diverse aree del mondo. Occorre, quindi, valorizzare questa risorsa, cercando di superare quelle che possono essere le conseguenze di uno sviluppo non corretto e non coerente con gli aspetti ambientali.

 

D. – Contemporaneamente al crescente numero di disastri naturali, sta aumentando la vulnerabilità dei Paesi: nessuno completamene al sicuro. Quando e come influisce in questo senso l’operato dell’uomo?

 

R. – Purtroppo, influisce molto. Senza dubbio, infatti, l’uomo ha sviluppato le proprie attività senza tener conto delle conseguenze sul territorio, soprattutto per quello che riguarda i fenomeni idro-geologici. Pensiamo anche al problema dei vulcani, alle costruzioni che sono state realizzate in diverse zone ad alto rischio senza pensare alle conseguenze. Questo problema riguarda parecchi Paesi in via di sviluppo, basti pensare alle tragedie che hanno interessato la Colombia o altre zone dell’Africa oppure le Filippine, o, senza andare tanto lontano, a quello che potrebbe accadere a Napoli con un’eventuale eruzione del Vesuvio. In campo sismico: i terremoti non uccidono di per sé, uccidono, invece, le costruzioni che sono state realizzate male, senza seguire le norme della realizzazione anti-sismica. Accade, quindi, che in Giappone terremoti violentissimi e devastanti provocano poche vittime e pochi danni, perché si è costruito tenendo conto di questi aspetti; in altri Paesi, terremoti meno violenti provocano, invece, centinaia di vittime.

 

D. – Pensando al binomio povertà-disastri naturali, qual è la strategia internazionale?

 

R. – Purtroppo, francamente, di una vera strategia internazionale, concreta e fattiva, non vedo molti segni o molti esempi positivi. Sicuramente, c’è un nesso direttissimo, nel senso che diventa una sorta di circolo vizioso. La povertà impedisce la realizzazione di programmi di previsione e di prevenzione nei confronti dei disastri; i disastri che accadono - penso soprattutto alle zone del Bangladesh o ad altre zone ad altissimo rischio alluvionale per uragani e quant’altro - prostrano ulteriormente le condizioni di vita di queste persone, nonché le economie dei Paesi stessi.

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PRESENTATO A ROMA IL RAPPORTO ANNUALE DELL’ONU

SULLO STATO DEMOGRAFICO 2003

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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Sono la più grande generazioni di giovani mai esistita nella storia dell’umanità e su questi giovani si è appuntata l’attenzione del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, presentando stamani a Roma il Rapporto annuale sullo stato demografico 2003. L’agenzia dell’Onu li definisce la più grande sfida del XXI sec.: un miliardo e duecento milioni di bambini, ragazzi e giovani tra i 10 e i 24 anni. Massima parte di loro vive, però, in condizioni di estremo disagio: quasi il 60 per cento sopravvive infatti con meno di due dollari al giorno; oltre 150 milioni sono analfabeti e tra questi in maggioranza sono femmine. Il Rapporto dell’Onu fotografa una realtà di sofferenza diffusa per questi bambini e ragazzi che si preparano all’età adulta con un carico così pesante di privazioni. Si stima che tra i 100 e i 200 milioni vivano per la strada. E poi, il dato più sconcertante: ogni 14 secondi uno di loro contrae il virus dell’Hiv. Da qui il motto di questo Rapporto: “Investire nella salute e nei diritti degli adolescenti”.

 

Il Fondo dell’Onu per la popolazione punta in particolare su campagne di informazione per rendere i ragazzi responsabili e consapevoli sui loro diritti, specialmente in tema di sanità e di educazione sessuale. Questo impegno prioritario si giustifica – ha spiegato Giulia Vallesi, assistente speciale del vice direttore del Fondo Onu per la popolazione, a New York – a fronte del dilagare dell’Aids fra i giovani e delle violazioni dei diritti della persona, che subiscono soprattutto le ragazze, costrette a rapporti sessuali e matrimoni precoci, a maternità inconsapevoli e ad aborti a rischio, tutto ciò senza la dovuta assistenza medica, ma anche psicologica.

 

Ancora qualche dato a sostegno di questa tesi, che non mancherà di suscitare dibattiti e forse anche polemiche. Oltre 80 milioni di ragazze arriverà al matrimonio tra i 10 e i 17 anni, mentre la gravidanza è la prima causa di morte per le ragazze tra i 15 e i 19 anni. E ancora, sarebbero 20 milioni gli aborti pericolosi ogni anno, causa di quasi 80 mila decessi fra le ragazze della stessa età. Un’ultima annotazione sui giovani e l’Aids. Un programma scolastico di prevenzione tra gli adolescenti, oltre a salvare loro la vita si rivela un investimento economico: per ogni dollaro speso rientrano 100 dollari risparmiati nell’assistenza. Un dato rivolto a tutti i governi e alla coscienza di ognuno di noi.

 

Dalla Stampa Estera a Roma, Roberta Gisotti.

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CHIESA E SOCIETA’

8 ottobre 2003

 

 

UN MILIARDO DI PERSONE NEL MONDO VIVE NELLE BARACCOPOLI:

L’UN – HABITAT, L’ORGANISMO DELL’ONU CHE SI OCCUPA DELLO SVILUPPO URBANO DEL MONDO,

HA PRESENTATO NEL SUO RAPPORTO ANNUALE, IL NUMERO DEI POVERI

CHE VIVONO NELLE COSTRUZIONI DI FORTUNA E IN CONDIZIONI DISUMANE

 

SVIZZERA. = Un miliardo di persone sulla terra vive nelle favelas, nelle bidonvilles e nelle baraccopoli. L’Un – Habitat, l’agenzia dell’Onu che si occupa dello sviluppo urbano del mondo, ha presentato nel suo rapporto annuale la situazione drammatica in cui versa oltre un terzo della popolazione mondiale. La proporzione peggiore tra quartieri vivibili e bidonville si registra nell’Africa subsahariana dove il 72 per cento della popolazione delle città vive nelle baraccopoli. In America Latina la percentuale è del 32 per cento, poco meno in Africa del Nord con 28 per cento mentre in Asia la proporzione si aggira intorno al 58 per cento. Proprio quest’ultimo Continente ha il maggior numero assoluto di poveri concentrati nelle favelas: il 60 per cento della popolazione delle baraccopoli mondiale. Secondo l’Un – Habitat, gli abitanti delle bidonville potrebbero raddoppiare nei prossimi 30 anni, se non verranno presi provvedimenti. L’organizzazione dell’Onu fa appello ai governi perché mettano in atto ‘buone pratiche’: tra queste il risanamento delle zone invase dalle favelas e non lo sgombero o l’isolamento. La trasformazione in quartieri deve avvenire con la partecipazione attiva degli abitanti affinché possano ‘mettere radici’ nel posto e possano vedere nell’impegno delle amministrazioni locali uno stimolo per lo sviluppo positivo della loro zona. (M.R.)

 

 

VERRÀ INAUGURATO OGGI IL CENTRO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE ‘DON BOSCO’

A PRISTINA, IN KOSOVO E ACCOGLIERÀ, PER LA PRIMA VOLTA NEL PAESE,

RAGAZZI E RAGAZZE, ANCHE DI NAZIONALITÀ SERBA

 

PRISTINA. = Si inaugura oggi, a Pristina, il centro di formazione professionale “Qendra sociale educative Don Bosko”, progetto pilota creato dal Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis) la Ong dei salesiani. Il centro è nato dalla richiesta delle istituzioni e dei tanti kossovari che durante la guerra hanno trovato rifugio nelle tendopoli dei centri “Don Bosko” di Tirana e Scutari. In una indagine curata dal Vis sulle condizioni del Paese, sono emersi dati allarmanti circa la situazione educativa: su 2 milioni e 300 mila abitanti (dato del 1996), più di un milione sono privi di un titolo di studio. La scuola, per la prima volta in Kosovo, è aperta ad entrambi i sessi ed è finalizzata allo sviluppo della formazione professionale dei giovani disagiati. “Sono particolarmente felice di poter inaugurare questa scuola che rappresenta un importante ponte verso un’integrazione possibile tra le varie componenti della popolazione kossovara”, ha dichiarato Antonio Raimondi, presidente della Ong salesiana. All’inaugurazione saranno presenti, tra gli altri, il presidente del Kosovo, Ibraim Rugosa ed il vescovo di Prizren, mons. Mark Sopi. (M.R.)

 

 

LA FIGURA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI È UN MODELLO

PER I RAPPORTI TRA ISLAM E CRISTIANESIMO:

AD AFFERMARLO È IL PROFESSOR SAYED HOSSEIN NASR, LEADER MUSULMANO ED ESPERTO DI STORIA ISLAMICA,

DURANTE UNA LEZIONE TENUTA ALL’ONU DAL TITOLO ‘L’ISLAM E L’OCCIDENTE’

 

NEW YORK. = San Francesco d’Assisi è un modello per i rapporti tra Islam e Cristianesimo: così il prof. Seyed Hossein Nasr, esperto di storia islamica, ha parlato del Santo dei poveri durante una lezione tenuta all’Onu dal titolo “L’Islam e l’occidente”. Il 4 ottobre scorso, in occasione della festa di S. Francesco, il leader islamico di New York ha parlato della visita che il Santo fece, nel 1220, al sultano di Egitto Malek el Kamel: quell’episodio è un esempio per la comprensione tra le diverse religioni.  In quell’occasione, infatti, il sultano diede le chiavi della sua moschea a Francesco, poiché aveva capito che il Dio che pregavano era lo stesso. Il prof. Nasr ha ricordato come, anche oggi, la maggioranza dei cittadini in Medio Oriente e nei Paesi arabi invitino i francescani a farsi promotori dei loro diritti, attraverso la Franciscans International l’Organizzazione non governativa della congregazione. I religiosi di San Francesco, convinti che la missione di pace passa anche attraverso le nuove tecnologie, hanno deciso di rinnovare il sito internet della loro Ong. (M.R.)

 

 

IL PONTIFICIO COLLEGIO ETIOPICO COSTRUITO NEL 1930 DA PAPA PIO XI,

È STATO RIAPERTO IERI, DOPO LA RISTRUTTURAZIONE DURATA UN ANNO

 

CITTÀ DEL VATICANO. = È stato riaperto, ieri, il Pontificio Collegio Etiopico in Vaticano. Alla cerimonia di apertura è intervenuto il patriarca emerito di Antiochia dei Siri e prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il cardinal Ignace Moussa Daoud. “È grazie alla volontà e alla costante benevolenza del Santo Padre Giovanni Paolo II – ha detto il cardinale - se questa Congregazione per le Chiese Orientali, dopo oltre un anno, può riaccogliere in questo ambiente più confortevole e familiare i sacerdoti studenti di quelle Chiese e se esse continueranno ad avere questo luogo così importante per la formazione sacerdotale accanto alla Basilica di San Pietro e sullo stesso colle Vaticano.”  Il Collegio è la presenza più antica nella Città del Vaticano, da quando, nel 1481, il Papa Sisto IV, concesse la chiesa e l’ospizio di Santo Stefano degli Abissini a un gruppo di monaci. Nel 1919 Papa Benedetto XV trasformò il vecchio ospizio degli Abissini in Pontificio collegio etiopico e nel 1930 Pio XI rinnovò il nome e i diritti di questo attuale collegio comprendente anche la chiesa di Santo Stefano degli Abissini. Quest’anno, dopo 75 anni, il Collegio è stato rimesso a nuovo. La cerimonia è stata aperta dal rettore uscente del Collegio, padre Tekle Mekonnen che ha poi lasciato la parola al cardinal Moussa Daoud e al presidente della Conferenza episcopale di Etiopia ed Eritrea, mons. Berhane Jesus Souraphiel. Il nuovo rettore del Collegio è padre Abba Behane Keflemariam, della Congregazione della missione mentre vice rettore è padre Hagos Hayish. (M.R.)

 

 

RUUD LUBBERS E’ STATO CONFERMATO FINO AL 2005

ALTO COMMISSARIO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI

 

GINEVRA. = L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha esteso, fino alla fine del 2005, il termine del mandato di Ruud Lubbers, l’Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati (Unhcr). Lubbers ha espresso soddisfazione per il rinnovato sostegno espresso dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, e dalla comunità internazionale. “Il nostro obiettivo – ha dichiarato l’Alto Commissario – è quello di migliorare le condizioni di vita dei rifugiati e degli sfollati di tutto il mondo”. Per oltre venti anni, Ruud Lubbers, ha ricoperto incarichi per il governo dei Paesi Bassi – di cui è stato primo ministro per 12 anni – ed ha riservato una particolare attenzione allo sviluppo di soluzioni innovative per i rifugiati. Tra queste, la promozione di una maggiore assistenza internazionale per lo sviluppo dei Paesi poveri, che ospitano la maggior parte dei rifugiati, e l’attivazione di adeguati programmi formativi. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati dispone attualmente di circa 6 mila operatori ed il budget totale richiesto per il 2004 dall’Agenzia è di circa 1 miliardo di dollari. (A.L.)

 

 

GLI SCIENZIATI PETER AGRE E RODERICK MACKINNON SONO STATI PREMIATI CON IL NOBEL PER LA CHIMICA.

IL RICONOSCIMENTO È STATO ATTRIBUITO PER IL LAVORO COMPIUTO DAI DUE STUDIOSI

NELLE LORO RICERCHE SULLE MEMBRANE CELLULARI

- A cura di Vincenzo Lanza -

 

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STOCCOLMA. = Il premio Nobel per la chimica 2003 è stato attribuito a due scienziati americani: il 54.enne Peter Agre, docente di chimica biologica alla Johns Hopkins University di medicina, a Baltimora, ed il 47.enne Roderick MacKinnon, professore di neurobiologia molecolare e biofisica presso la Rockefeller University di New York. Si divideranno il premio di 10 milioni di corone svedesi, circa 1 milione e 340 mila euro, che riceveranno a Stoccolma il 10 dicembre prossimo. L’Accademia svedese delle scienze nel motivare l’attribuzione del premio Nobel in chimica 2003 ricorda che un solo individuo umano è costituito da tante cellule quante sono le stelle che splendono in una galassia, circa 100 mila milioni. Le varie cellule, ad esempio quelle dei muscoli, dei reni, del sistema nervoso, agiscono insieme in un intricato sistema. Ed è per aver fatto scoperte pionieristiche su come funzionano tali canali, che consentono il flusso di acqua e di ioni attraverso le superfici delle cellule, che gli svedesi accreditano a Peter Agre e a Roderick Mackinnon, il merito di aver contribuito alla conoscenza chimica fondamentale sul funzionamento delle cellule. Agre e Mackinnon, dicono gli accademici svedesi, hanno aperto i nostri occhi ad una famiglia fantastica di macchine molecolari, canali, strade e valvole, tutte utili e necessarie perché le cellule funzionino ed interagiscano perfettamente. Le scoperte dei due scienziati americani sono di estrema importanza per capire ed affrontare molte malattie, per esempio ai reni, al cuore, nei muscoli e nel sistema nervoso.

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24 ORE NEL MONDO

8 ottobre 2003

 

 

- A cura di Andrea Sarubbi -

 

Prosegue senza successo il tentativo degli Stati Uniti di allargare il sostegno alle operazioni militari in Iraq. La nuova risoluzione in esame al Palazzo di vetro continua ad incontrare resistenze, e c’è la concreta possibilità – rivelata oggi dalla stampa americana – che Washington decida di ritirare il testo. Non senza difficoltà è stata accolta anche l’offerta della Turchia di mandare truppe: il Consiglio di governo provvisorio iracheno teme, infatti, che la presenza dei militari di Ankara possa infiammare ulteriormente il nord del Paese, abitato dai curdi.

 

Il cammino per la pace in Medio Oriente non riesce a compiere passi concreti. Ai buoni propositi manifestati ieri dal nuovo premier palestinese, Abu Ala, che aveva chiesto “almeno un’occasione” per concordare una tregua, Israele ha risposto con voci discordanti: possibilista l’ex primo ministro Peres, intransigente il Partito nazionale religioso, di estrema destra. E mentre al confine con il Libano cresce la paura di nuovi scontri, dal governo israeliano sono giunte nuove minacce:

 

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Il primo ministro Sharon ha ribadito la determinazione di Israele di colpire i suoi nemici in ogni luogo e con tutti i mezzi – nonostante l’ondata di proteste internazionali per il raid aereo di domenica in Siria – anche se, ha detto, non lascerà passare alcuna occasione per giungere ad un accordo con i vicini ed alla tanto desiderata pace. Della vocazione di Israele alla guerra ha parlato in un’intervista il presidente siriano Bashar Assad. Ha accusato lo Stato ebraico di voler trascinare tutta la regione in un conflitto generalizzato. In questo clima, il governo palestinese di emergenza, presieduto da Abu Ala, ha prestato giuramento dinanzi ad Arafat. Degli otto membri ne sono stati assenti due, tra cui il ministro degli Interni, Nasser Yussef, che vorrebbe conoscere meglio le sue prerogative: il rais, pur considerandolo un suo uomo fidato, gli ha messo accanto tre sottosegretari per controllare ognuno dei servizi di sicurezza e ha lasciato sotto la sua diretta responsabilità i servizi di informazione e la Forza 17.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Nuovo segnale di disponibilità dell’Iran a risolvere diplomaticamente la crisi nucleare. Mentre nel Paese sono ancora in corso le ispezioni dell’Aiea, l’agenzia dell’Onu per l’energia atomica, il presidente Khatami ha assicurato stamattina che il governo fornirà “tutta la collaborazione possibile per dimostrare al mondo che il Paese non sta cercando di costruire armi atomiche”.

 

Notizie meno rassicuranti giungono invece dal Pakistan, che ha effettuato oggi – per la seconda volta in una settimana – il lancio sperimentale di un missile a media gittata, capace di trasportare una testata nucleare. L’operazione, ha affermato Islamabad, è dovuta ad esigenze di difesa. Ma è un dato di fatto che i test pakistani giungano in un periodo in cui nella comunità internazionale torna a crescere la paura di un possibile riarmo. Sulle ragioni di questa corsa all’arma atomica, Giada Aquilino ha intervistato il prof. Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all’Università di Trieste:

 

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R. – L’obiettivo della corsa all’armamento nucleare è sostanzialmente quello di dissuadere un eventuale avversario dal tentare un attacco. Certamente, questo è l’obiettivo dichiarato e ufficiale di Paesi come il Pakistan e l’Iran, per non parlare della Corea del nord. Il grande problema è che nessun organismo internazionale, nessuno Stato e nessuna organizzazione di difesa e di sicurezza oggi sa esattamente quante siano le testate nucleari ed i missili per portarle, disponibili al di fuori della Nato.

 

D. – Quando si potrà dire se queste minacce nucleari sono davvero esistenti?

 

R. – Non è facile dotarsi di un armamento nucleare, e ancora meno facile – per fortuna! – è dotarsi di sistemi per portarli sul campo dell’avversario. Noi sappiamo dalla nostra intelligence occidentale che ci sono almeno 12 Paesi – tra cui quelli che abbiamo elencato, ed altri – che stanno cercando in tutti i modi di dotarsi di armamento nucleare. Questo significa che la minaccia nucleare è oggi più vasta che in passato. Non dobbiamo però destare allarme: la situazione è sotto controllo e comunque non è facile neanche per un’organizzazione terroristica poter usare quell’ordigno.

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Dopo 10 anni di guerra e 300 mila morti, nel Burundi si riapre il dialogo. A Pretoria, in Sudafrica, il governo di Bujumbura e le Forze per la difesa della democrazia hanno firmato un accordo che permetterà l’ingresso dei ribelli nell’esercito e nel nuovo esecutivo. Ai negoziati, però, non ha preso parte un altro importante gruppo di guerriglieri hutu: le Forze per la liberazione nazionale. E nella società civile rimane la convinzione che sia ancora prematuro parlare di pace, come ci conferma un missionario che, per motivi di sicurezza, preferisce mantenere l’anonimato:

 

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R. – Secondo me, quello firmato stanotte è solo uno dei tanti accordi sottoscritti finora. La ragione è molto semplice: fino ad ora si è sempre detto che gli hutu vogliono arrivare al potere, ma non si è mai spiegato quanto questa etnia sia divisa al proprio interno. È difficile ora fare previsioni sul processo di pace, perché con ogni probabilità anche il secondo gruppo di ribelli, le Forze per la liberazione nazionale, dovrà trovare con il governo una propria intesa per partecipare all’esecutivo e per essere presente nell’esercito. Questo significa che tutto verrà messo nuovamente in discussione e così sarà sempre, fino a quando non si arriverà alla pace. Ciò che le parti in causa devono comprendere è che la pace non significa prendersi “un pezzo di potere”, ma piuttosto iniziare una condivisione a livello politico ed economico in questo Paese che, ormai, da tantissimi anni è in guerra.

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Arnold Schwarzenegger è il nuovo governatore della California. Nel referendum di ieri, il popolare attore – repubblicano – ha scalzato il democratico Gray Davis; entrerà in carica a metà novembre. Colpito da una profonda crisi economica, lo Stato più popoloso e più stabile degli Stati Uniti ha dunque votato contro un governatore che aveva scelto solo 15 mesi fa, eleggendo un attore mai approdato precedentemente alla politica. La nota, da Washington, di Empedocle Maffia:

 

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Schwarzenegger ha chiesto il voto sulla propria estraneità alla politica, ma anche sulla propria capacità di riprodurre in politica il successo che ha saputo conseguire come attore. Su questo messaggio semplice ed anti politico ha vinto in uno Stato come la California. E questo è segno che questa America sta coltivando un senso di impazienza democratica che la spinge a far pagare, persino a chi è eletto da pochi mesi, il peso di una condizione che sente negativa. È l’affermazione della politica-spettacolo, del leader al quale non si chiedono idee, ma solo immagini rassicuranti di promesse facili. In soli 77 giorni di campagna elettorale, un attore di film violenti ha sconfitto un’intera classe dirigente consolidatasi negli anni. Un messaggio più chiaro la California non poteva mandare sulla pericolosa instabilità del sentire politico dell’America. Tanto più preoccupante, quanto più gravi sono i problemi interni ed internazionali con i quali questo Paese si sta confrontando.

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Cresce la preoccupazione della comunità internazionale per le violazioni dei diritti umani in Zimbabwe. È di stamani la notizia dell’arresto di una quarantina di sindacalisti, che si erano radunati nel centro di Harare per protestare contro il caro-prezzi, l’aumento delle imposte e l’inefficienza dei trasporti pubblici. La polizia li ha arrestati perché la manifestazione non era stata autorizzata dal presidente Mugabe.

 

 

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