RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 329 - Testo della
Trasmissione di martedì 25 novembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il Papa incontra in
Vaticano il premier portoghese
OGGI IN PRIMO PIANO:
Aids: al via test vaccino sull’uomo. Ce ne parla
Enrico Garaci.
CHIESA E SOCIETA’:
Si apre oggi in Guatemala il
secondo Congresso americano missionario (Cam-2)
Preoccupazione
per la crisi politica in Georgia: alle urne a gennaio per il nuovo presidente
Prosegue
la visita in Israele del vicepremier italiano Fini
Si
vota domani in Irlanda del Nord per la nuova assemblea locale – Bush stanzia
nuovi fondi per la difesa americana.
25 novembre 2003
Giovanni Paolo II ha ricevuto, stamani, in Vaticano il
primo ministro portoghese, José Manuel Durao Barroso, accompagnato dalla moglie
e da un seguito di cinque persone. L'incontro, in un clima cordiale, è durato
complessivamente venti minuti. Gli ospiti hanno donato un grande piatto
d'argento al Papa, che ha ricambiato con le medaglie del pontificato. Dopo
l'udienza, il premier portoghese ha avuto un colloquio con il cardinale
segretario di Stato, Angelo Sodano. Sempre nel corso della mattinata, il Papa
ha ricevuto in udienza un gruppo di presuli francesi in visita ad limina.
IL MESSAGGIO DELLA CHIESA CATTOLICA AI MUSULMANI DI
TUTTO IL MONDO
PER LA
FINE DEL RAMADAN: COSTRUIAMO INSIEME LA PACE
-
Intervista con l’arcivescovo Pier Luigi Celata -
Con la
festa dell’Id al-Fitr termina oggi il Ramadan, il mese sacro per i musulmani,
tempo di digiuno e preghiera. Per l’occasione il Pontificio Consiglio per il
dialogo interreligioso ha inviato, come è ormai consuetudine, un messaggio alle
comunità musulmane di tutto il mondo dal titolo “Costruire oggi la pace”. Ce ne
parla il segretario del dicastero, l’arcivescovo Pier Luigi Celata, al
microfono di Giovanni Peduto.
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R. – La festa dell’Id al-Fitr, che conclude il Ramadan,
offre l’occasione di esprimere ai musulmani felicitazioni ed auguri. Per i
musulmani infatti la celebrazione del Ramadan è un evento molto importante
nella loro vita religiosa e sociale. Attraverso il digiuno, la preghiera, le
opere di carità, gli incontri con i familiari e gli amici, i musulmani vivono
con più intensità il loro rapporto con Dio e con le persone a loro vicine. Ciò
offre motivo per partecipare amichevolmente alla loro gioia e alla loro
rinnovata tensione verso il bene. Quanto al messaggio di quest’anno,
riprendendo la lezione dell’enciclica “Pacem in terris”, il messaggio afferma
la necessità di edificare il bene fondamentale della pace su quattro pilastri:
la verità, la giustizia, l’amore, la libertà. E’ solo vivendo questi valori,
infatti, che possono essere evitati i conflitti e possono essere instaurate
relazioni pacifiche, armoniose fra persone e fra popoli.
D. – Eccellenza, avete riscontro di come venga accolto
questo messaggio nelle comunità musulmane?
R. – Sappiamo dalle reazioni che riceviamo, anche per
iscritto, che il messaggio per la fine del Ramadan, ormai divenuto in certo
modo una consuetudine, è sempre bene accolto dagli amici musulmani delle varie
tradizioni e nelle varie parti del mondo. Esso è considerato come
un’espressione di rispetto, di vicinanza e di amicizia.
D. – E’ di questi giorni la tragica attualità della
recrudescenza del terrorismo, opera del fondamentalismo islamico. Cosa possono
fare i seguaci delle varie religioni per bloccare, arginare questo terrorismo?
R. – Mi pare che si possano individuare alcuni tipi di
reazione di fronte a questi eventi, reazioni tutte ispirate a valori umani e
cristiani. Ed è su queste reazioni che il nostro spirito si rianima di
speranza. Innanzitutto, questa ferma riprovazione di atti di violenza, così
barbari e ciechi, che con le loro conseguenze tragiche di numerosi morti e
feriti, manifestano un totale disprezzo per la vita umana. Mi pare poi che
emerga nella coscienza piuttosto diffusa, a livello di opinione pubblica,
l’urgenza di un impegno serio, responsabile, a fare tutto il possibile per
rimuovere le cause, anche remote, che contribuiscono all’esplosione di una violenza
tanto efferata. Penso qui alle non poche situazioni di ingiustizia e di sottosviluppo
in varie regioni del mondo. Vorrei poi richiamare, sottolineandolo, la necessità
di una forte determinazione nel promuovere il dialogo tra le diverse religioni.
Esse, infatti, possono e devono contribuire - come ha richiamato il Santo Padre
– ad eliminare alcuni elementi che si trovano a volte presenti, quasi come a
giustificazione, in movimenti fondamentalisti, responsabili di attentati
terroristici. Il Papa lo ha affermato con vigore: “Il nome di Dio deve rimanere
un nome di pace”. Le diverse religioni, pertanto, se vogliono rimanere fedeli
alla loro natura più profonda, al loro mandato, devono sviluppare ciò che di
più positivo è presente nelle loro tradizioni a favore della pace. Esse devono
educare al valore incomparabile della pace, attraverso la predicazione, le
scuole le università ed ogni altra attività culturale.
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NOMINE
In Germania, il Papa ha nominato nunzio apostolico nella
Repubblica federale di Germania mons. Erwin Josef Ender, finora nunzio
apostolico nella Repubblica Ceca.
In Cile, il Pontefice ha nominato vescovo di Arica il
reverendo Héctor Vargas Bastidas, vicario ispettoriale della provincia cilena
dei Salesiani.
Negli Stati Uniti, il Santo Padre ha nominato vescovo di
Phoenix mons. Thomas James Olmsted, finora vescovo di Wichita.
Nelle Filippine, il Papa ha accettato la rinuncia al
governo pastorale della diocesi di Novaliches, presentata da mons. Teodoro C.
Bacani, in conformità al canone 401
paragrafo 2 del Codice di diritto canonico. Il Santo Padre ha nominato
vescovo della Diocesi filippina di Novaliches mons. Antonio R. Tobias, finora
vescovo di San Fernando de La Union.
Il Santo Padre ha accolto la rinuncia presentata, per
raggiunti limiti di età, da mons. Giuseppe Pittau all’incarico di segretario
della Congregazione per l’educazione cattolica ed ha nominato segretario della
stessa Congregazione il reverendo padre Michael Miller, attualmente presidente
della St. Thomas University di Houston in Texas, elevandolo in pari
tempo alla sede titolare di Vertara, con dignità di arcivescovo.
Il Papa ha nominato segretario del
Pontificio consiglio per i Laici mons. Josef Clemens, finora sotto-segretario
della congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le società di Vita
Apostolica, elevandolo alla chiesa titolare vescovile di Se germe.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La prima pagina si apre con la
situazione in Iraq, dove si sono registrate nuove, sanguinose violenze.
Nelle vaticane, una pagina
dedicata alle celebrazioni promosse dalle Nunziature Apostoliche per il XXV
anniversario di Pontificato di Giovanni Paolo II.
“La ricerca non può mai
giustificare la distruzione degli embrioni umani” è il titolo alle
dichiarazioni emanate dalla Commissione degli episcopati dei Paesi membri della
Comunità europea e dalla Conferenza episcopale della Germania.
Nelle estere, Georgia:
annullate le elezioni del 2 novembre.
Un articolo di Marco Tonacini Tami sulla
Celebrazione eucaristica - nel Cantone Ticino - in suffragio dei caduti di
Nassiriya.
Nella pagina culturale, un
articolo di Andrea Fagioli sulla celebre “Crocifissione” custodita nel convento
di santa Maria Maddalena de’ Pazzi a Firenze.
Per l’“Osservatore libri”, un
contributo di Armando Rigobello dedicato all’opera “Sull’anima. L’immortalità
dell’anima. La grandezza dell’anima” di Sant’Agostino, a cura di Giovanni
Capatano.
Nelle pagine italiane, tra i
temi posti in rilievo il terrorismo e l’immigrazione.
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25 novembre 2003
RAPPORTO FAO 2003: CRESCE LA FAME NEL MONDO
-
Intervista con Eugenio Melandri -
È sempre più difficile combattere la fame nel mondo, e si
allontana l’obiettivo – fissato dall’ultimo Summit per l’alimentazione – di
dimezzarla entro il 2015. Lo afferma il rapporto 2003 sullo stato
dell’insicurezza alimentare, diffuso oggi dalla Fao. Ce ne parla Andrea
Sarubbi:
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La fame cresce, soprattutto nei Paesi poveri: degli 842
milioni di persone che ancora oggi non hanno da mangiare a sufficienza, ben 798
vivono nel sud del mondo. Ed il loro numero, che agli inizi degli anni Novanta
sembrava diminuire, è tornato drammaticamente a salire di almeno 18 milioni,
nella seconda metà del decennio. Fanno eccezione 19 Paesi, in maggioranza latinoamericani
o carabici; ma per fortuna tra loro c’è anche la Cina, lo Stato più popoloso
del mondo e dunque quello più a rischio.
Dove c’è sviluppo, prosegue il rapporto, la fame è così
nascosta che non fa notizia. Ma i 34 milioni di sottoalimentati nei Paesi
mediamente sviluppati ed i 10 milioni nel mondo industrializzato invitano comunque
a riflettere. Tra le cause della mancanza di cibo, sostiene l’agenzia
alimentare dell’Onu, la principale è la guerra: i conflitti dimenticati
dell’Africa centro-occidentale hanno portato ad un’impennata del fenomeno in
quell’area, ma altri fattori cruciali sono la siccità e la diffusione
dell’Aids.
Fermarsi qui, però, sarebbe fuorviante. Perché più che una
mancanza di risorse – ha scritto il segretario generale della Fao, Jacques
Diouf, nell’introduzione al rapporto – la fame rispecchia una scarsa volontà
politica della comunità internazionale. Capace di svegliarsi in occasione di
catastrofi – ha concluso Diouf – ma altrettanto incline, passata l’emergenza, a
riaddormentarsi in fretta.
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Sul rapporto della FAO ascoltiamo il commento di Eugenio
Melandri, coordinatore della campagna “Chiama l’Africa”, al microfono di Sergio
Centofanti.
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R. – Il
primo commento che viene è questo, che cioè questo sistema che viene proposto
come un sistema che crea ricchezze, sta creando la ricchezza ma solo per qualcuno
e poggia le basi solamente sull’aumento di ricchezza senza tener conto della
sua distribuzione. La seconda cosa è che l’Africa è praticamente fuori dalle
agende internazionali e, dopo che le è stata tolta la possibilità di nutrirsi con le proprie risorse, proprio
perché sono stati imposti attraverso il sistema del mercato internazionale
tutta una serie di prodotti che vengono dall’estero, a questo punto l’Africa si
trova a non avere più i propri prodotti e a non avere la forza di comprare sui
mercati i prodotti che vengono dall’estero. Terza cosa, dietro a queste
statistiche che parlano di fame nel mondo, ci sta molto spesso la proposta delle
multinazionali di utilizzare l’agricoltura ogm, quindi geneticamente modificata.
Bisogna dire che la terra, invece, sta già producendo moltissimo cibo: c’è cibo
in sovrappiù, tant’è che l’agricoltura europea ed americana buttano via le eccedenze.
Il problema di fondo sta nella distribuzione.
D. –
Che cosa oggi non si fa per la fame nel mondo?
R. – Non si fanno tutta una serie di cose che si
potrebbero fare. Primo, non si da ai Paesi più poveri la possibilità di stare
degnamente sul mercato: le sovvenzioni agricole in Europa e negli Stati Uniti,
praticamente, bloccano ogni possibilità di agricoltura dell’Africa. Si pensi
solamente che ogni mucca europea è sovvenzionata per due dollari e mezzo al
giorno: ciò significa che è sovvenzionata di più una mucca europea che le donne
e gli uomini più poveri. Seconda cosa: attraverso tutta una serie di sistemi,
anche dovuti ai cosiddetti ‘aiuti umanitari’, si espellono i contadini dalle
proprie terre perché se arrivano derrate alimentari a costi bassissimi in un
Paese, gli agricoltori non hanno più la possibilità di vendere i propri
prodotti. Bisognerebbe ri-sistemare un pochino queste regole e la gente avrebbe
la possibilità di ricominciare a sopravvivere.
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IL NO DEI MINISTRI DELLE FINANZE EUROPEI ALLA
PROCEDURA
PROPOSTA
DALLA COMMISSIONE NEI CONFRONTI DI FRANCIA E GERMANIA
PER
L’ECCESSIVO DEFICIT. IL COMMISSARIO UE
PEDRO SOLBES
PARLA
DI REGOLE NON RISPETTATE
Il Consiglio dei ministri Ecofin dell’Ue ha bloccato la
procedura proposta nei confronti di Francia e Germania per il loro eccessivo deficit.
Nella notte già i leader dell’Eurogruppo, cioè i Paesi che hanno aderito
all’Euro, avevano bocciato le nuove raccomandazioni proposte dalla Commissione
per l'eccessivo deficit strutturale che supera il 3%, cioè il tetto massimo previsto
dal Patto di stabilità e di crescita. Secondo il ministro Giulio Tremonti, presidente di turno del Consiglio
europeo, si è trattato di “un voto coerente con lo spirito e la lettera
del Trattato”. Mentre il commissario Ue
agli Affari economici e monetari, Pedro Solbes, ha parlato di “regole non rispettate”, non escludendo il
ricorso alla Corte di giustizia e
sottolineando il voto contrario espresso da quattro stati membri: Olanda,
Austria, Finlandia e Spagna. Ma qual è il peso politico di questa decisione? Fausta
Speranza lo ha chiesto a Andrea Bonanni, esperto di questioni europee del quotidiano
la Repubblica:
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R. – Il peso politico è enorme perché la decisione di
sospendere, di fatto, il patto di stabilità pone la parola fine a un accordo
che era stato alla base della creazione dell’Euro. Nel momento in cui non si
seguono più le procedure previste dai trattati, non c’è più garanzia che la
disciplina di bilancio, che era iscritta nel Patto di stabilità, venga
rispettata. Nessuno si è sentito di andare contro la Francia e la Germania e
l’Italia, presidente di turno, si è accodata a questa disposizione. Evidentemente,
a questo punto il patto si può considerare morto.
D.- Però, in precedenza il comportamento è stato diverso.
Ci sono paesi, tra virgolette minori,
che sono stati invece bacchettati ...
R. – Certo, il Portogallo ha dovuto fare una politica di
risanamento durissima. L’Irlanda ha ricevuto delle raccomandazioni addirittura
per i motivi opposti, perché aveva troppa crescita. Con i Paesi ‘grandi’ si
poteva arrivare ben oltre la flessibilità
perché tutti erano disposti a negoziare sulle cifre dai tagli da apportare
ai bilanci francese e tedesco, ma sempre salvando comunque la procedura e cioè il diritto comunitario.
Invece, è proprio questo che è stato
affossato.
D. – Il Commissario Solbes non ha escluso il ricorso alla Corte di giustizia, ma allora si
apre una crisi?
R. – Sì, a questo punto il rischio o anzi la probabilità è
che questo contrasto tra il Consiglio e la Commissione coinvolga altre
istituzioni. Prima tra tutte la Corte
di giustizia, cui probabilmente la Commissione farà ricorso perché la procedura
scelta dal Consiglio viola il Trattato. E poi c’è il rischio ancora peggiore
perché la Banca centrale europea ha già lasciato intendere che potrebbe reagire
ad una decisione di questo genere alzando i tassi di interesse.
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OGGI GIORNATA INTERNAZIONALE
PER ELIMINARE LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE:
UN MALE DIFFUSO IN TUTTO IL MONDO.
AMNESTY INTERNATIONAL LANCIA UN APPELLO PER FERMARE MIGLIAIA DI ABUSI,
CHE SI CONSUMANO OGNI ANNO AI DANNI DELLE DONNE RUSSE
- Servizio di Roberta Gisotti -
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Una donna su
cinque subisce violenza fra le pareti domestiche: il dato che appare
incredibile è invece documentato dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Assume
mille forme la violenza contro le donne, ad ogni latitudine, in ogni ceto
sociale e contesto culturale. Un fenomeno che interessa Paesi poveri e ricchi. Emancipazione
femminile e sviluppo sociale non hanno messo al riparo le donne da abusi di
ogni genere ed atti violenti ancora oggi diffusi in tutto il mondo, come ci
conferma Cecilia Nava, vicepresidente di Amnesty International in Italia.
R. – Sì, infatti, quasi dappertutto la violenza è
aumentata. Le statistiche possono variare certamente da Stato a Stato, tuttavia
la sofferenza e le cause che portano a questo tipo di fenomeno sono simili:
donne di ogni classe sociale, razza, religione ed età subiscono violenza in
questo ambito così particolare, perché è per mano degli uomini con i quali
condividono le proprie vite. Negli Stati Uniti, secondo le statistiche
ufficiali sappiamo che ogni 15 secondi una donna viene picchiata e 700 mila
sono le donne violentate ogni anno. In India i dati ricavati da alcuni studi
rilevano che più del 40 per cento delle donne sposate sono state picchiate o
violentate dai propri mariti. Certamente ci sono alcuni gruppi di donne che
sono particolarmente vulnerabili di fronte a questa violenza domestica e sono
in particolare le casalinghe e le donne coinvolte in matrimoni forzati, fenomeno,
questo, diffuso in molti Paesi dell’Asia.
D. – Ma quali sono i meccanismi che fanno scattare la
violenza contro le donne?
R. – Meno una donna ha opportunità nel campo
dell’educazione, del diritto all’alloggio, all’alimentazione, al lavoro,
all’accesso alla vita politica, più una donna è vulnerabile nei confronti della
società.
D. – In particolare vogliamo segnalare in questa Giornata
un Paese - non certo l’unico - dove le donne subiscono maltrattamenti massivi,
la Russia. Sappiamo che Amnesty ha lanciato un appello…..
R. – E’ un appello che fa parte della campagna di Amnesty
International, iniziata un anno fa sul problema delle violazioni dei diritti
umani in Russia. Le autorità sono consapevoli della gravità di questo fenomeno.
Hanno infatti dichiarato che ci sono circa 14 mila donne ogni anno in Russia
che sono vittime della violenza domestica, nel senso che vengono addirittura
uccise per mano dei propri mariti o dei parenti. A fronte di questa gravissima
situazione è stato fatto ben poco, anche dal punto di vista legislativo e
quindi è molto importante dare una svolta a questa situazione, cercando di
porre in atto tutta una seria di rimedi e non ultimo, anzi il fondamentale, è
garantire che non ci sia impunità su questi casi. Le poche donne che denunciano
questi abusi devono scontrarsi con un sistema giudiziario che non le aiuta e
che anzi tende a proteggere i responsabili di questi abusi.
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UN’AUTENTICA
EDUCAZIONE ALLA MONDIALITA’ E ALLA PACE
PROMUOVENDO
L’INCONTRO CON L’ALTRO. E’ QUESTO IL TEMA DEL SEMINARIO
“DOPO
LE GUERRE, IL DIALOGO”, ORGANIZZATO A ROMA DALLA CARITAS ITALIANA
- Servizio
di Amedeo Lomonaco -
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“Dopo
le guerre, il dialogo. Posizioni e prospettive per la Caritas nell’area mediorientale,
Terra Santa, Iraq, Iran, Afghanistan”. E’ il titolo del seminario apertosi
ieri, a Roma, e promosso dalla Caritas italiana. L’iniziativa, che si conclude
oggi, intende essere un’occasione per concordare linee comuni con le Caritas
diocesane impegnate nelle zone di guerra.
Ma come promuovere, soprattutto in queste aree, la cultura della
tolleranza e della riconciliazione? Ascoltiamo in proposito il direttore della
Caritas italiana, don Vittorio Nozza:
R. – Mi sembra importante individuare, in modo
particolare, tre azioni che siano strumento per il dialogo e per la costruzione
della pace. La prima è quella che riguarda le persone. L’azione di attenzione
alla persona, a livello internazionale e a livello nazionale, fa sì che il
dialogo diventi lo strumento attraverso il quale costruire sempre più realtà
‘ponti’ in grado, poi, di promuovere la pace. Una seconda grande azione è
quella legata alle dottrine, alle religioni che vanno conosciute, comprese,
ponendoci in forte ascolto dell’identità dell’altro. E la terza grande azione
che riteniamo importante, che possa essere messa in atto, è quella con le
istituzioni, attraverso una riscoperta dell’azione politica.
Nella
tavola rotonda “Quale dialogo” alla quale ieri hanno partecipato, tra gli
altri, il segretario della Commissione per i rapporti con i musulmani, mons. Khaled
Akasheh e l’ambasciatore e direttore della sezione italiana della Lega musulmana
mondiale, Mario Scialoja, è stato soprattutto messo in luce il valore del dialogo
tra Islam e Cristianesimo. Ma da quali basi si deve partire per promuovere un incontro
tra queste due religioni? Risponde l’ambasciatore Mario Scialoja:
R. – A partire dalla convivenza negli stessi Paesi. Il
dialogo islamo-cristiano va avanti da tempo. Progredisce, forse lentamente,
perché ci sono incomprensioni anche di carattere politico. Ma è l’unica strada
da percorrere.
D. – Quali frutti può portare il dialogo interreligioso?
R. – I frutti certamente di una maggiore comprensione
reciproca, di un maggior rispetto dell’altro e soprattutto la cooperazione su
tutti quei temi nei quali le religioni hanno le stesse vedute.
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AL VIA
IN ITALIA I PRIMI TEST SULL’UOMO DEL VACCINO ANTI-AIDS
- Intervista con Enrico Garaci -
Annunciato oggi il via ai primi test sull'uomo del vaccino
anti Aids basato sulla Tat. Il metodo è stato messo a punto dalla ricercatrice italiana Barbara Ensoli dell'Istituto
Superiore di Sanità. Ma cosa è la Tat e quale l’aspettativa per il vaccino? Massimiliano
Menichetti lo ha chiesto a Enrico Garaci presidente dell'Istituto Superiore di
Sanità.
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R. – E’ una proteina regolatoria che viene prodotta una
volta che il virus infetta la cellula e che è essenziale alla diffusione e alla
replica del virus. Quindi, bloccando l’attività di questa proteina con gli
anticorpi si ritiene si debba bloccare anche l’infezione. Così almeno parlano
gli studi preclinici, effettuati sulla scimmia.
D. – 88 persone verranno coinvolte nella sperimentazione:
prima 32 volontari e poi 56. Quali sono le fasi?
R. – La fase uno, si inizia per valutare la sicurezza del
vaccino. Poi, le fasi due e tre, condotte su un numero più ampio di pazienti,
servono per valutare l’efficacia. Quindi, noi diamo l’annuncio che, avendo superato
tutti gli esami e le prove, che sono molto complesse, abbiamo avuto
l’autorizzazione finale. Quindi, inizieremo questa prima fase.
D. – Molto ottimismo, ma anche cautela …
R. – Certamente. Bisogna aspettare i risultati.
L’ottimismo può derivare da quello che è avvenuto a livello preclinico, a
livello delle scimmie. Ovviamente, la situazione nell’uomo è diversa. Quindi,
aspettiamo i risultati. E’ importante però dire che l’Italia inizia una
sperimentazione del genere.
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25 novembre 2003
INIZIATO CON UNA PREGHIERA NELL’ABBAZIA DI SAN
NILO,
L’INCONTRO
ECUMENICO DEI VESCOVI AMICI DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI,
INTITOLATO:
“LA PRESENZA DI CRISTO IN MEZZO AI SUOI E IL DIALOGO DELLA VITA”.
TRA I
PRESENTI, L’AUSILIARE DI BAGHDAD, SHLEMON WARDUNI
- A
cura di Carla Cotignoli -
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ROCCA DI PAPA
(ROMA).= L’apertura dell’incontro ecumenico era iniziata ieri sera con una
preghiera in molte lingue, in arabo ed aramaico, per invocare la pace per le
vittime in Turchia, per il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I.
Metropoliti, vescovi ortodossi, siro-ortodossi, armeno-apostolici, anglicani,
evangelico-luterani, cattolici, appena giunti da vari Paesi, hanno invocato
l’abbondanza dello Spirito Santo, perché affretti la piena comunione visibile
tra le Chiese, come indispensabile contributo, perché in un mondo minacciato
dalla divisione e dall’odio possa dilagare la pace nella giustizia.
Particolarmente significativo il fatto che quella preghiera sia echeggiata
nella splendida cornice greco-bizantina dell’abbazia di San Nilo a
Grottaferrata, fondata esattamente 1000 anni fa, quando la Chiesa era indivisa.
Ma già dalle prime battute di questa mattina ben si delinea la caratteristica
di questo incontro, tutto improntato alla comunione. Lo esprime il titolo: “La
presenza di Cristo in mezzo ai suoi e il dialogo della vita”. Quello assunto
dai vescovi, infatti, è innanzitutto un impegno di vita. “Sono personalmente
convintissimo – ha detto il cardinale Vlk – che senza questa esperienza di
comunione profondamente vissuta non può esistere ecumenismo, vero dialogo.
Nemmeno il dialogo teologico è fruttuoso”. Una comunione iniziata dal momento
delle presentazioni. Toccante quella del vescovo caldeo, ausiliare, patriarcale,
di Baghdad, Shlemon Warduni. “Sono molto grato per l’invito. Avevo bisogno per
uscire dai bombardamenti di trovare altri bombardamenti, quelli spirituali”.
Ricco il programma, pur stilato in poche ore. I vescovi non hanno rinunciato a
partecipare, domenica prossima, alla festa di Sant’Andrea apostolo a Costantinopoli.
Vi assisterà di persona una rappresentanza dei vescovi. Mentre tutti gli altri
seguiranno le celebrazioni in diretta televisiva.
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LA CHIESA LATINOAMERICANA IN PRIMA LINEA
NELL’EVANGELIZZAZIONE
DEL CONTINENTE, COME PURE DELL’ASIA E DELL’AFRICA.
L’AFFERMAZIONE DEL CARDINALE SEPE, ALLA VIGILIA
DEL CONGRESSO
MISSIONARIO MONDIALE, CHE SI APRE OGGI IN GUATEMALA
CITTA’ DEL VATICANO.= “Accogliere
la chiamata alla santità da parte di ogni singolo fedele e di tutta la comunità
cristiana costituisce la premessa indispensabile perché le Chiese particolari
in America assumano responsabilmente e in spirito di solidarietà l’impegno per
la missione ad gentes”. Individua così, il cardinale Crescenzio Sepe,
prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, il significato
profondo del secondo Congresso missionario mondiale, che si apre oggi in
Guatemala. In una lunga intervista all’agenzia Fides, il porporato ha messo in
luce “gli esempi di dedizione senza limiti alla causa del Vangelo” da parte di
molti uomini e donne dei Paesi latinoamericani, come quello offerto dallo
stesso vescovo ausiliare guatemalteco, Juan Gerardi Conedera, ucciso nel ‘98.
Nonostante i suoi molti problemi socioeconomici, l’America Latina, ha
proseguito il cardinale Sepe, è oggi un importante “agente” evangelizzatore:
“Posso constatare già ora che la Chiesa in America sta dando risposte concrete
e efficaci alle esigenze e alle sfide dell’evangelizzazione, non solo
all’interno delle proprie frontiere continentali, ma anche al di là del
continente. Gradualmente si sta facendo strada l’idea che la povertà economica
e di mezzi non concede il diritto di definirsi ‘Chiese che devono essere
solamente aiutate’.” Inoltre, ha riconosciuto il prefetto di Propaganda fide,
“l’impulso evangelizzatore della Chiesa in America viene anche avvertito in
modo crescente, in Asia e soprattutto nel continente africano”. E’ grande
“l’apporto offerto da alcuni anni alla crescita della coscienza missionaria, da
parte di differenti Istituti religiosi e Società di vita apostolica”, in modo
speciale quelli nati in America e consacrati alla missione ad gentes.
Segno, ha concluso il cardinale Sepe, di una Chiesa particolare che desidera
rinnovare la sua fede donandola agli altri, anche “al di là delle proprie
frontiere”. (A.D.C.)
SI RIACCENDE IL DIBATTITO NEGLI STATI DELL’UNIONE
EUROPEA
ALLA VIGILIA DELLA DECISIONE COMUNITARIA
SULLA RICERCA DI CELLULE STAMINALI CONDOTTA SU EMBRIONI UMANI
- A
cura di Enzo Farinella -
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DUBLINO.=
Il voto europeo a favore della ricerca su cellule staminali in embrioni umani
divide ancora una volta l’Irlanda, con la Chiesa nettamente opposta alla
proposta dell’Unione Europea e con vari parlamentari che si dicono contrari a
tale ricerca. Non si tratta solo di quanto accade agli embrioni – ha affermato
il cardinale Connell di Dublino- la questione si pone anche per la società, che
acconsenta alla distruzione di una vita umana innocente. “E’ una contraddizione
– insiste il cardinale – volere salvare vite causando la morte. Per questo io
chiedo al primo ministro e al vice primo ministro di assicurare che l’Irlanda
prenda una posizione profetica a difesa della vita umana, votando contro questa
proposta”, ha detto ancora il cardinale Connell. I parlamentari irlandesi
discutono su questo delicato problema e non si sa se la preoccupazione per la
salvaguardia della sacralità della persona umana prevarrà sulle considerazioni
di ricerche e sviluppi futuri.
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L’INDIGNAZIONE
DEI VESCOVI DELL’AFRICA CENTRALE,
PER
L’INIQUA DIVISIONE DELLE RISORSE NATURALI IN QUELL’AREA DEL CONTINENTE,
ESPRESSA
AL TERMINE DI UN SEMINARIO DI STUDIO IN CIAD
N’DJAMENA.= I vescovi
dell’Acérac, l’Associazione delle Conferenze episcopali della regione
dell’Africa centrale, si sono detti “indignati” per la gestione iniqua delle
risorse naturali negli Stati africani centrali, afflitti da cronica povertà. La
presa di posizione è emersa durante i lavori di un seminario svoltosi a
N’Djamena, capitale del Ciad. Nel documento finale, i partecipanti all’incontro
di studio hanno sottolineato l’impegno intrapreso dal Ciad su queste tematiche.
Nel testo si ricorda che il Paese africano, divenuto ufficialmente quest’anno
produttore di petrolio, ha emanato una legge sulla gestione delle proprie
risorse petrolifere, in base alla quale oltre l’80% dei ricavi è destinato ai
settori sociali come educazione e sanità, oltre che allo sviluppo delle
infrastrutture. Le autorità del Ciad hanno inoltre istituito un collegio di
sorveglianza per l’applicazione di queste norme. Un complesso di iniziative che
l’Acérac ha esortato ad assumere e rendere operative anche negli altri Stati
dell’Africa centrale, ispirandosi alla legge in vigore in Ciad per l’emanazione
di “normative trasparenti in materia di gestione delle risorse naturali”.
L’Associazione ha anche invitato la società civile a impegnarsi “per formare e
rendere cosciente la popolazione” e ha fatto appello ai governi perché agiscano
con intenti positivi. (A.D.C.)
RIPENSARE
LA FINANZA DAL PUNTO DI VISTA ETICO,
IN
RAPPORTO ALL’UOMO E ALLA SUA DIGNITA’.
L’INVITO
RIVOLTO IERI DAL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI
IN UN
INCONTRO CON ALCUNI DEI MASSIMI DIRIGENTI FINANZIARI ITALIANI
- A
cura di Alessandro De Carolis -
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MILANO. = “Non è l’uomo per la
finanza, ma la finanza per l’uomo”. Usa una parafrasi di chiaro sapore
evangelico il cardinale arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, davanti ad
una platea di massimi dirigenti finanziari italiani. Il porporato ha
partecipato ieri sera ad un incontro svoltosi al Centro congressi Cariplo, dove
ha parlato dei rapporti tra etica e mondo finanziario, con un intervento
intitolato “Orientamenti
morali dell'operare nel credito e nella finanza”. Di fronte ai presidenti
di vari istituti bancari (Unicredit, Banca Intesa, Mediobanca), al presidente
di Borsa Italiana Angelo Tantazzi, alla dirigente della Banca d'Italia, Maria
Ceppi, e al responsabile economico della Margherita, Enrico Letta, il cardinale
Tettamanzi ha affermato: “Al centro della finanza ci deve essere l’uomo nella
totalità dei suoi valori. C’è un’espressione evangelica che dice: ‘non è l’uomo
per il sabato, ma il sabato per l’uomo'. La si può tradurre: 'non e' l' uomo
per la finanza, ma la finanza per l'uomo'”. Secondo il massimo responsabile
dell’arcidiocesi ambrosiana, “occorrerebbe ripensare” a un nuovo equilibrio tra
finanza, produzione, lavoro. “Quanto più gli operatori finanziari hanno un alto
grado di collocazione - ha osservato - tanto più cresce la loro responsabilità
di promuovere, proprio grazie alla finanza e al credito, tutte le esigenze
dell’uomo. Pensandolo, però, sempre non soltanto in se stesso, ma profondamente
inserito nella società. In questo senso forse - ha sottolineato il porporato -
occorrerebbe ritrovare un equilibrio più profondo all'accentuazione molto forte
che in questi ultimi tempi ha ricevuto la finanza e il mondo della produzione,
quindi anche dell'economia reale, del lavoro”. “So di formulare un principio
generale – ha concluso il cardinale - ma questo non è affatto generico. E' un
principio molto concreto e molto stimolante se noi facciamo continuamente il
confronto fra i diritti e i doveri che ha la persona, che ha la società, e
quanto responsabilmente la finanza e il credito sono chiamati a realizzare a favore,
per sostenere e promuovere la dignità personale”.
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25 novembre 2003
- A cura di Giancarlo La Vella -
La comunità internazionale
continua a guardare con preoccupazione l’evoluzione della crisi in Georgia, in
piena fase di transizione dopo l’uscita di scena del presidente Shevardnadze.
Il ministro degli Esteri russo, Ivanov, ha definito oggi “non del tutto democratiche”
le circostanze in cui l’ex capo di Stato georgiano si è dimesso ed ha esortato
i nuovi dirigenti a “mantenere la situazione nel quadro del diritto”. E mentre
le autorità hanno annullato le recenti elezioni, il parlamento georgiano, riunito a Tbilisi, ha deciso oggi
la data delle elezioni presidenziali che si terranno il 4 gennaio prossimo. Ci
riferisce Giuseppe D’Amato:
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La Corte Costituzionale ha parzialmente accolto la
richiesta dell’opposizione riguardante le contestate elezioni del 2 novembre ed
ha annullato i risultati del voto con il sistema proporzionale, quello con le
liste dei partiti. Gli esiti con il sistema maggioritario dovrebbero invece
rimanere validi. Intanto il presidente ad interim, Burdzhanazde, ha affermato
che la situazione economica è peggiore di quanto si pensasse e il Paese è vicino
al collasso. La Georgia ha chiesto agli Stati Uniti 5 milioni di dollari per
pagare le spese per le nuove elezioni. Nel frattempo la Repubblica autonoma
dell’Adzharia ha dichiarato lo stato di emergenza ed ha
mobilitato le forze armate. Dopo 120 anni di vita in comune c’è il serio
rischio della secessione. Il leader adzhario, Abashidze, non ne vuol sapere di scendere a
patti con la nuova leadership nazionalista di Tbilisi.
Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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Tra i motivi di tensione nella
regione caucasica, anche la situazione in Cecenia, che fa registrare
un’impennata delle violenze nelle ultime 48 ore. Teatro degli scontri fra le
forze armate russe e la guerriglia indipendentista è villaggio di Serzen-Iurt,
nella regione meridionale di Shali, dove sarebbero state uccise decine di persone.
In Iraq continuano le tensioni e le violenze in
concomitanza con la fine della ricorrenza islamica del Ramadan. Tre iracheni
sono rimasti feriti dallo scoppio di un ordigno all’entrata del principale albergo
di Kirkuk, nel nord-est dell’Iraq, residenza di numerosi stranieri. Tre
iracheni sono stati poi uccisi oggi da soldati americani presso Falluja, 60
chilometri ad ovest di Baghdad, mentre sembra stessero innescando una mina su
un’autostrada. Ferito lievemente un soldato italiano a Nassiriya, colpito da un
proiettile di ricaduta d’arma leggera.
E
negli Stati Uniti aumentano gli stanziamenti militari. Il presidente Bush ha firmato
ieri la legge di spesa di 401 miliardi di dollari per la Difesa. La normativa,
tra le varie cose, prevede un aumento del 4 per cento del salario per il personale
militare. Si tratta di uno stanziamento separato rispetto al pacchetto di 87 miliardi
e mezzo di dollari che il capo della Casa Bianca ha varato all'inizio del mese,
oltre due terzi per le operazioni
militari in Iraq ed Afghanistan ed il resto per la ricostruzione in Iraq.
Prosegue la visita in Israele del vicepremier italiano
Gianfranco Fini. Stamani, il presidente di Alleanza Nazionale ha incontrato i
vertici della Knesset, il parlamento ebraico. Fini, che ieri ha definito
“infami” le leggi razziali del ’38 ed ha condannato esplicitamente il fascismo
e la repubblica di Salò, ha sottolineato oggi che “condannare significa
assumersi una responsabilità”. Sempre nel corso della mattinata, Fini ha
piantato, nel “Bosco della pace”, un albero in memoria dei caduti italiani a
Nassiriya. Sul significato politico della visita del leader della destra
italiana a Gerusalemme, Alessandro Gisotti ha raccolto l’opinione del prof. Agostino
Giovagnoli, storico dell’Università Cattolica di Milano:
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R. – Fini viene dal Movimento Sociale Italiano, partito
che si collegava esplicitamente al fascismo nella sua duplice veste: cioè il fascismo-regime
e poi anche il fascismo di Salò, che voleva tornare all’idea rivoluzionaria
delle origini. Ora, Fini ha voluto prendere posizione rispetto ad entrambi
questi aspetti, condannando un elemento qualificante del fascismo regime, cioè
le leggi razziali del 1938, e anche condannando l’appendice rivoluzionaria
rappresentata da Salò. Si tratta di una rottura totale con l’esperienza del Movimento
sociale italiano.
D. – Per la politica italiana, quale significato ha il
percorso iniziato da Fini a Fiuggi nel 1995 e conclusosi in questi giorni con
la visita a Gerusalemme?
R. – Certamente ha il significato di legittimare
pienamente Alleanza Nazionale come forza politica accettabile nel quadro della
Costituzione repubblicana. Va detto che questa rottura sarebbe dovuta avvenire
dieci anni fa, nel senso che oggi completa - come giustamente lei dice - un percorso,
che in realtà sarebbe stato opportuno già completare 10 anni fa nel momento del
passaggio dal Movimento Sociale ad Alleanza Nazionale. Sotto questo profilo è
una mossa molto importante, però per un certo verso tardiva.
D. – Molti riconoscono Fini come un leader autorevole, ma
non seguito fino in fondo dalla base del partito. E’ prevedibile una rottura a
lungo andare?
R. – Credo di no. Occorre che la svolta di Fini venga
recepita dal partito e soprattutto che nel suo complesso questa, come altre
forze politiche, si pongano i problemi nuovi all’interno del contesto della
globalizzazione.
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“Israele non vuole l’applicazione della road-map”.
Dal suo quartier generale di Ramallah, il presidente palestinese, Arafat, è tornato
ad accusare il premier israeliano, Sharon, invocando l’arrivo nella regione di
osservatori dell’Onu. La Germania ha intanto respinto la richiesta di acquisto
di due sottomarini avanzata dallo Stato ebraico: Berlino teme che i
sommergibili possano essere armati con testate nucleari.
In Irlanda del Nord sono oltre un milione i cittadini
chiamati alle urne domani, per eleggere i 108 deputati dell’Assemblea locale.
Si tratta della seconda consultazione generale dopo gli accordi di pace
dell’aprile del 1998. Le istituzioni di autogoverno, guidate da David Trimble e
formate da rappresentanti unionisti e repubblicani, vennero poi più volte sospese
dalle autorità britanniche a causa dei profondi disaccordi tra le parti sulla
questione della smilitarizzazione dell’Ira, l’Esercito repubblicano irlandese.
Ma quali sono ancora i nodi da sciogliere per una pacifica convivenza?
Giancarlo La Vella lo ha chiesto a mons. John Mc Areavey, vescovo di Dromore:
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R. – La
cosa che manca ancora è la fiducia reciproca. In questo momento ci troviamo in
una situazione, per così dire, di dopo guerra. Stiamo quindi provando ad uscire
da 30 anni di conflitto e questo è molto difficile. I maggiori ostacoli ad esempio,
sono per quei ministri, che si sono trovati opposti per 30 anni, lavorare ora
insieme.
D. – Le due Chiese locali che cosa stanno facendo affinché
in Nord Irlanda si cominci un’epoca di reale democrazia e di pacifica
convivenza?
R. –
Le Chiese cercano di collaborare al massimo, per riuscire a creare una atmosfera
di pace e di riconciliazione della nostra società. Come è possibile fare questo?
Ieri mattina, ad esempio, mi trovavo a Belfast con il mio collega vescovo
anglicano, col quale abbiamo discusso su come organizzare – a partire dal nuovo
anno - incontri fra il clero anglicano e il clero cattolico nella nostra
diocesi. Già in gennaio, poi, nella Settimana di preghiera per l’unità della
Chiesa, avremo degli incontri per pregare per la pace e per l’unità dei cristiani.
Speriamo che questi sforzi avranno – come sento – la possibilità di creare una
società più unità e più vivibile.
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Nonostante l’ingresso dei ribelli
nel governo, il Burundi non riesce ancora a trovare la pace. Le Forze nazionali
di liberazione – un gruppo minoritario di guerriglieri, che non ha accettato
l’intesa tra il governo e le Forze per la difesa della democrazia – hanno
sparato nella notte colpi di mortaio contro il palazzo presidenziale, a
Bujumbura. Fortunatamente, l’attacco non avrebbe provocato vittime.
Inizierà
alla mezzanotte di oggi il cessate-il-fuoco provvisorio alla frontiera tra
India e Pakistan, divisi dalla disputa territoriale sul Kashmir. Lo ha annunciato
stamani il ministero degli Esteri indiano, precisando però che una tregua totale
sarà possibile solo se Islamabad riuscirà a bloccare le infiltrazioni in
kashmir della guerriglia islamica.
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