RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 328 - Testo della Trasmissione di lunedì 24 novembre 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa ha nominato il cardinale Jean-Louis Tauran nuovo Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa al posto del cardinale Jorge Maria Mejia, che lascia per raggiunti limiti d'età.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

L’opposizione al potere in Georgia: incerta la sorte dell’ex presidente Shevardnadze. Intervista con l’amministratore apostolico a Tblisi, mons. Giuseppe Casotto.

 

Vince il centro-destra nelle elezioni in Croazia: il commento di Aldo Sinkovic. 

 

Aids, debito, violenza e povertà: i temi in primo piano al vertice delle Chiese africane in corso in Camerun: intervista con Albert Mianzoukouta.

 

Riduzione del debito estero ed un programma sociale teso a diminuire le disuguaglianze. E’ questo il complesso obiettivo del governo brasiliano di Lula da Silva: ce ne parla mons. Demetrio Valentini.

 

Un nuovo libro su Papa Montini : “Paolo VI maestro della parola”: con noi l’autore padre Leonardo Sapienza, il cardinale Angelo Sodano, Giulio Andreotti e Luigi Accattoli.

 

I 65 anni del Programma Polacco della Radio Vaticana: intervista con padre Jozef Polak.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Si inaugura domani, in Guatemala, il II Congresso missionario mondiale.

 

E’ una donna cristiana, Randa el-Rahim Francky, il nuovo ambasciatore iracheno a Washington.

 

Rilasciati, in Ciad, cinque operatori umanitari sequestrati dai ribelli nella regione di Darfur, in Sudan. 

 

Si è svolta nella Pontificia Università della Santa Croce, a Roma, la giornata di studio su “Giornalismo e conflitti”.

 

24 ORE NEL MONDO:

Brucia un ostello per studenti a Mosca: almeno 32 i morti. 

 

Ad Hong Kong i movimenti democratici trionfano sul partito filo-comunista. 

Il vice premier italiano Gianfranco Fini in visita in Israele definisce “infami” le leggi razziali del 1938.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

24 novembre 2003

 

 

NOMINE

 

Il Papa ha accolto la rinunzia presentata per limiti d’età dal cardinale Jorge Maria Mejía dall'ufficio di Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Per questo incarico  ha nominato il cardinale Jean-Louis Tauran.

 

Il Papa ha nominato Consultore della Congregazione per i Vescovi  mons. Giovanni Lajolo, arcivescovo titolare di Cesariana, segretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.

 

Il Papa ha nominato membri dei Dicasteri della Curia Romana i seguenti cardinali, creati e pubblicati nel Concistoro del 21 ottobre 2003:

 

nel Consiglio di Cardinali e Vescovi della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato i cardinali Jean‑Louis Tauran ed Attilio Nicora;

nella Congregazione per la Dottrina della Fede i cardinali Jean‑Louis Tauran e Tar-cisio Bertone;

nella Congregazione per le Chiese Orientali il cardinale Jean‑Louis Tauran;

nella Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti i cardinali Justin Francis Rigali, Josip Bozanić, Jean‑Baptiste Pham Minh Mân, Philippe Bar-barin e Marc Ouellet;

nella Congregazione per i Vescovi i cardinali Jean‑Louis Tauran, Julián Herranz, Ja-vier Lozano Barragán ed Attilio Nicora;

nella Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli i cardinali Renato Raffaele Martino, Javier Lozano Barragán, Stephen Fumio Hamao, Attilio Nicora, Anthony Olubunmi Okogie, Gabriel Zubeir Wako, Telesphore Placidus Toppo e Jean‑Baptiste Pham Minh Mân;

nella Congregazione per il Clero i cardinali Angelo Scola e Tarcisio Bertone;

nella Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica il cardinale Philippe Barbarin;

nella Congregazione per l'Educazione Cattolica i cardinali Francesco Marchisano e Péter Erdő;

nel Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica il cardinale Julián Herranz;

nel Pontificio Consiglio per i Laici i cardinali Ennio Antonelli e Josip Bozanić;

nel Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson;

nel Comitato di Presidenza del Pontificio Consiglio per la Famiglia i cardinali Angelo Scola e George Pell;

nel Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace i cardinali Stephen Fumio Hamao, Bernard Panafieu e George Pell;

nel Pontificio Consiglio «Cor Unum» i cardinali Renato Raffaele Martino, Stephen Fumio Hamao e Gabriel Zubeir Wako;

nel Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti il cardinale Keith Michael Patrick O'Brien;

nel Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari il cardinale Carlos Amigo Vallejo;

nel Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi il cardinale Péter Erdő;

nel Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso i cardinali Bernard Panafieu e Telesphore Placidus Toppo;

nel Pontificio Consiglio della Cultura i cardinali Francesco Marchisano e Rodolfo Quezada Toruño;

nel Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali i cardinali Anthony Olubunmi O-kogie, Keith Michael Patrick O'Brien, Eusébio Oscar Scheid ed Ennio Antonelli;

nell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica i cardinali Renato Raf-faele Martino e Justin Francis Rigali;

nella Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa i cardinali Francesco Marchisano e Peter Kodwo Appiah Turkson;

nella Pontificia Commissione «Ecclesia Dei» il cardinale Julián Herranz.

 

         Il Papa, inoltre, ha nominato Consiglieri della Pontificia Commissione per l'A-merica Latina i cardinali Javier Lozano Barragán, Eusébio Oscar Scheid e Marc Ouellet; e membri della medesima Pontificia Commissione i cardinali Carlos Amigo Vallejo e Rodolfo Quezada Toruño.

 

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

"La violenza più crudele" è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento alla situazione in Iraq, dove due soldati Usa sono stati uccisi e poi linciati dalla folla inferocita.

 

Nelle vaticane, all'Angelus, Giovanni Paolo II ha sottolineato che guardando il "Pantocrator" assume pieno rilievo la missione dei credenti chiamati a cooperare alla costruzione del suo Regno.

Nel saluto a conclusione del concerto promosso dall'Associazione italiana Santa Cecilia, il Papa ha evidenziato che la giovane martire Cecilia invita a camminare vigilanti verso l'incontro con Cristo, allietando il pellegrinaggio terreno con la festosità del canto e della musica.

Un articolo di Giampaolo Mattei sulla Concelebrazione Eucaristica presieduta, nella Basilica Vaticana, dal cardinale Angelo Sodano per la suddetta Associazione.

 

Nelle estere, Russia: a Mosca 32 giovani muoiono nel rogo di un ostello universitario.

Georgia: Shevardnandze rassegna le dimissioni.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Domenico Volpi dal titolo "Quante perplessità di fronte agli obblighi... facoltativi": è stato approvato il nuovo Codice di Autoregolamentazione Internet e Minori. 

 

Nelle pagine italiane, in rilievo i temi della finanziaria, delle pensioni e dell'immigrazione.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

24 novembre 2003

 

 

 

L’OPPOSIZIONE AL POTERE IN GEORGIA

- Intervista con l’amministratore apostolico mons. Giuseppe Pasotto -

 

 

Dopo 11 anni al potere, Eduard Shevardnadze ha lasciato la guida della Georgia. Secondo alcune voci, smentite dal suo portavoce, l’ormai ex presidente della Repubblica caucasica - costretto alle dimissioni dalle proteste popolari, dopo le elezioni del 2 novembre - avrebbe addirittura abbandonato il Paese. Sentiamo Andrea Sarubbi:

 

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Resta incerta la sorte di Shevardnadze che in tarda mattinata alcune fonti dicevano fosse fuggito in Germania. Berlino non ha mai fatto mistero della sua disponibilità ad accogliere Shevardnadze a braccia aperte, visti i meriti da lui acquisiti nella riunificazione della Germania. Ma secondo le ultime notizie l’ex capo di Stato dovrebbe essere rimasto in patria, dove il clima non è dei migliori. Le sue dimissioni hanno riportato la calma, ma il momento è ancora delicatissimo: i nuovi dirigenti hanno chiesto aiuti immediati a Washington e Bruxelles, per ricostruire le finanze di un Paese che negli ultimi anni ha conosciuto miseria e corruzione.

 

Anche Putin, da Mosca, sembra concordare con le critiche dell’opposizione georgiana. La crisi di Shevardnadze – ha affermato – “non ha nulla di sorprendente”, visti gli errori da lui commessi: tra questi, una politica economica che, secondo il Cremlino, ha portato il Paese “alla bancarotta” ed ha costretto un milione di cittadini ad emigrare in Russia.

 

Lo stesso Putin, comunque, non ha nascosto qualche riserva sulla “rivoluzione di velluto” di questi giorni. Lo preoccupa, in particolare, il metodo seguito: l’aver ceduto, cioè, alle forti pressioni della piazza, delle quali i nuovi dirigenti “dovranno assumersi le responsabilità”. Da parte sua, il leader dell’opposizione, Saakashvili, ha già assicurato di voler tornare presto sui binari della democrazia: ha annunciato la propria candidatura alle presidenziali ed ha promesso nuove legislative. Sempre ammesso che gli Stati Uniti gli concedano i 5 milioni di dollari richiesti per poterle organizzare.

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Ma come ha accolto la popolazione le dimissioni di Shevardnadze? Roberto Piermarini lo ha chiesto all’amministratore apostolico in Caucaso, mons. Giuseppe Pasotto, raggiunto telefonicamente a Tblisi:

 

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R. – E’ stata una festa ieri sera molto grande, un po’ dappertutto, specialmente in città e in piazza, con danze e con espressioni di gioia ...

 

D. – Perché la gente era stanca di Shevardnadze, oltre ai brogli elettorali del 2 novembre?

 

R. – La grande speranza che c’era all’inizio, raggiungendo la libertà, è andata delusa:  poi non si è visto nessun effetto positivo in questi ultimi 10-12 anni; quindi, mano a mano continuava a calare la fiducia, anche perché non si intravedevano possibilità per il futuro.

 

D. – Mons. Pasotto, il ministro degli esteri russo Ivanov come è riuscito a convincere Shevardnadze, secondo lei?

 

R. – Quello che si sentiva era che lui era venuto con un accordo già fatto con lgli Stati Uniti.

 

D. – Secondo lei, dietro all’opposizione di Saakashvili c’è l’aiuto degli Stati Uniti, che hanno interessi petroliferi in Georgia?

 

R. – Non saprei se c’è un aiuto degli Stati Uniti dietro a Saakashvili; certamente c’erano le bandiere americane che non sono mai state ammainate durante le manifestazioni e certamente l’America aveva fatto capire che aveva degli interessi e che voleva che non succedesse niente di grave in questa zona: questo sì, l’aveva fatto capire chiaramente.

 

D. – Il Patriarca ortodosso, come ha accolto la fine di Shevardnadze?

 

R. – Dal Patriarcato credo che sia venuto un aiuto per questa situazione che sabato stava diventando difficile; certamente, la scelta fatta dal Patriarca, prima non andando alla prima seduta del Parlamento, secondo, dicendo che per nessun motivo doveva essere sparso sangue georgiano, questo ha fatto capire che bisognava chiudere in fretta questa situazione, trovando vie diverse.

 

D. – La comunità cattolica georgiana come ha vissuto questo cambio di potere?

 

R. – Sono stato in tre comunità, in questi giorni; c’era la preghiera, la preoccupazione, la paura di perdere la pace ... questo è stato sentito molto fortemente. Certamente c’è stata – non solamente nella comunità cattolica, ma un po’ ovunque, anche nella Chiesa ortodossa – c’è stata in questi giorni una preghiera molto forte e anche oggi era già prevista una preghiera ecumenica, se non fosse cambiata la situazione.

 

D. – Ecco, in questo momento non c’è il rischio di una disgregazione della Georgia da parte delle Repubbliche autonome legate a Tblisi?

 

R. – Sì, c’è questo rischio, e questa è la preoccupazione, l’ansia che è rimasta. Ma non credo: io credo che si troverà una strada!

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VITTORIA DEL CENTRO-DESTRA NELLE ELEZIONI LEGISLATIVE DI IERI IN CROAZIA

- Intervista con Aldo Sinkovic -

 

Si profila un cambio della guardia alla guida del governo della Croazia. Nelle elezioni legislative di ieri, a spoglio dei voti praticamente ultimato, la coalizione di centro-destra dell’Hdz, la Comunità democratica croata fondata dal defunto presidente Franjo Tudjman, ha ottenuto, sia pure di misura, la maggioranza assoluta dei seggi su partiti di centro-sinistra del premier uscente Ivica Racan. 72 i seggi ottenuti contro i 65 dei social-democratici. Ma quali i motivi di questo cambio di rotta nella politica dell’ex provincia jugoslava? Ci risponde il collega croato Aldo Sinkovic, intervistato da Giancarlo La Vella:

 

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R. - I croati sono tornati alle urne per la quarta volta  per il rinnovamento del loro Parlamento. Le prime due volte aveva vinto l’Hdz, ossia la Comunità democratica croata, fondata e per lungo tempo guidata da Franjo Tudmann. Nel frattempo l’opposizione, sotto la guida del Partito socialdemocratico si è organizzata bene ed effettivamente alle ultime elezioni aveva stravinto, facendo però troppe promesse alla popolazione che invece è rimasta delusa. Ora la gente è ritornata a dare il proprio consenso all’Hdz, che Ivo Sanader è riuscito a ristrutturare e migliorare. Infatti, questo partito è stato diviso in varie correnti delle quali alcune ora si stanno coalizzando contro lo stesso Hdz, che aveva pure vinto nelle scorse elezioni, ma senza riuscire a formare il governo.

 

D. – Quali saranno le priorità del nuovo governo?

 

R. – Durante la campagna elettorale tutti i leaders hanno sottolineato l’impegno per fare entrare la Croazia quanto prima nell’Unione Europea. L’altro impegno è la lotta contro la disoccupazione. I vescovi, inoltre, nella loro lettera pastorale, hanno indicato, tra l’altro, l’impegno per il rinnovamento spirituale e morale della società e della popolazione, l’eliminazione delle conseguenze causate nel passato dal sistema totalitario e dalla guerra. Neppure per il nuovo governo sarà facile fare tutto questo, anche se senz’altro trova la strada più spianata rispetto all’esecutivo precedente.

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AIDS, DEBITO, VIOLENZA E POVERTA’ TRA I TEMI IN PRIMO PIANO

ALL’ASSEMBLEA DELLE CONFERENZE EPISCOPALI DI TUTTA L’AFRICA,

IN CORSO DAL 22 AL 27 NOVEMBRE IN CAMERUN

- Intervista con Albert Mianzoukouta -

 

Aids, debito ma anche violenza e povertà sono i temi in primo piano all’Assemblea delle Conferenze Episcopali di tutta l’Africa in corso dal 22 al 27 novembre a Yaoundé, in Camerun. Nell’intervista di Fausta Speranza il collega del programma Francese Africa della nostra emittente, spiega le priorità del dibattito.

 

 

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R. – Tra le priorità c’è l’Aids perché l’Africa è il continente più colpito, con più o meno due milioni di malati. L’altro problema è il debito: il debito visto però nell’ottica di trovare nelle risorse che abbiamo la risposta alle sfide della povertà.

 

D. – Il problema delle risorse significa il problema dello sfruttamento delle risorse…

 

R. – Il punto è trovare nelle risorse naturali dell’Africa non più soltanto la fonte delle guerre, dei conflitti. Ma per superare questa logica l’Africa ha già fatto molto. Ricordate che ancora due anni fa il Santo Padre parlava dell’Africa come del Continente con sedici conflitti; oggi, i conflitti di un certo rilievo sono cinque. E dunque, sembra che se c’è qualcosa che possa caratterizzare l’ingresso dell’Africa in questo nuovo secolo è la ricerca di una  soluzione africana ai problemi africani.

 

D. – Qual è l’impegno e qual è stato l’impegno concreto della Chiesa?

 

R. – Prima di tutto, c’è stato un impegno di preparazione in vista della ricerca della pace. Inoltre, le Chiese si sono trovate chiamate a rispondere ad una precisa richiesta sociale: quella di presiedere le Conferenze cosiddette ‘nazionali’. In Congo-Brazzaville, in Gabon, nel Congo-Kinshasa, in Togo, in altri Paesi ... le Conferenze nazionali rappresentavano il momento più importante per dare luogo ad una transizione tra il vecchio sistema, il ‘monopartitismo’, e il nuovo, il ‘multipartitismo’, nel modo più corretto possibile. Queste fasi sono state guidate da esponenti della Chiesa.  L’ultimo dialogo nazionale è stato organizzato, un mese fa, a Bangui, nella Repubblica Centroafricana, e lì era presidente il vescovo Paulin Pomodimo. Quindi, la Chiesa ha svolto un ruolo veramente importante. Poi, quando hanno cercato un luogo di dialogo, tutti i protagonisti dei conflitti sono venuti nelle Chiese, hanno invitato un vescovo, un arcivescovo come voce forte che richiamasse tutti a seguire una linea di correttezza, senza compromessi, senza problemi ideologici, di schieramento etnico o altro.

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LOTTA ALLA FAME, POVERTA’, DEBITO ESTERO: QUESTE LE SFIDE

DEL GOVERNO BRASILIANO DI LUIZ INÁCIO LULA DA SILVA

- Intervista con il vescovo di Jales, mons. Luiz Demetrio Valentini -

 

Un Paese dalle grandi risorse economiche dove, nonostante le prospettive di crescita, non sembrano ridursi le disuguaglianze sociali. Si tratta del Brasile, lo Stato più grande dell’America del Sud dove la realizzazione di un adeguato programma sociale auspicato dal presidente, Luiz Inácio Lula da Silva, si scontra con il grave peso del debito estero. Ma quali sono i principali sforzi del governo brasiliano? Silvonei Protz lo ha chiesto al vescovo di Jales, mons. Luiz Demetrio Valentini:

 

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R. – Il governo Lula ha un messaggio molto chiaro: una ricerca di partecipazione estesa a tutte le persone. Non è facile, adesso, realizzare questo obiettivo perché è molto forte la dipendenza, soprattutto finanziaria, del Brasile.

 

D. – Ricordiamo il Giubileo del 2000. Il Papa ha fatto la grande richiesta del condono del debito estero di tanti Paesi poveri. Tanti sostengono che il Brasile è un Paese ricco…

 

R. – Il Brasile non ha una situazione economica grave come quella di altri Paesi ma ha il problema dei tassi d’interesse molto alti. Penso che ci sia una sfida posta a tutto il mondo: quella di ridurre il potere del denaro che sfrutta, troppo, l’economia attuale. E questo lo possiamo constatare molto chiaramente adesso, in Brasile. Facendo i conti, fino ad agosto di quest’anno, quello che il governo brasiliano ha pagato in termini di tassi d’interesse corrisponde, infatti, a 60 volte quello che ha impegnato nel proprio programma sociale.

 

D. – Quando parliamo della povertà non bisogna sottovalutare la questione della violenza…

 

R. – La violenza è sempre conseguenza di diversi fattori. E’ tutto un insieme che rispecchia una crisi di valori umani e cristiani. Bisogna guardare la violenza nel suo insieme, un contesto che ci mostra l’urgente necessità di recuperare i valori umani fondamentali.

 

D. – Come si inserisce la Chiesa in questo contesto?

 

R. – Si sente interpellata come messaggera di pace e di riconciliazione; si sente corresponsabile a collaborare e a partecipare alla ricerca di soluzioni di ordine economico, sociale e politico. C’è bisogno di cambiamenti profondi per produrre un clima più giusto che inviti ad un atteggiamento di rispetto verso tutti. Se tutti avessero un lavoro giusto, ad esempio, ci sarebbe certamente meno violenza.

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UN NUOVO LIBRO SU PAPA MONTINI : “PAOLO VI MAESTRO DELLA PAROLA”

- Interviste con l’autore, padre Leonardo Sapienza, con il cardinale Angelo Sodano,

Giulio Andreotti e Luigi Accattoli -

 

“Una pubblicazione che farà conoscere meglio la parola di un grande Pontefice”. In tal modo il cardinale Segretario di Stato Angelo Sodano ha definito il libro “Paolo VI, maestro della parola”, scritto da padre Leonardo Sapienza. Dal volume, edito da Gabriele Corbo e presentato nei giorni scorsi nell’Aula magna della Pontificia Università Lateranense, a Roma, emerge l’importanza che le parole rivestivano per Papa Montini. Il servizio è di Dorotea Gambardella:

 

 

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Un massimario del pensiero di Papa Montini in piccoli estratti. Così si può definire questo volume di 745 pagine, contenente le riflessioni di Paolo VI sugli argomenti più disparati – dal celibato alla filosofia, dalla droga alla natura – accuratamente suddivisi per indice alfabetico dall’autore, padre Sapienza. Estratti da cui si desume la personalità di un Pontefice che nutriva innanzitutto un enorme rispetto per tutti. Come ha evidenziato il senatore a vita, Giulio Andreotti:

 

“Anche quando era convinto che l’interlocutore non avesse niente da dirgli, anzi, fosse in errore, non gli dava mai la sensazione di essere sopportato”.

 

“Paolo VI aveva il dono di esprimere le sue intuizioni più ricche con formule lapidarie”, scrive padre Sapienza nella presentazione del suo volume. Egli, dunque, dava alla parola un grande valore. A sottolinearlo, il vaticanista del Corriere della Sera, Luigi Accattoli.

 

R. – Attraverso le parole da rivolgere ai diversi interlocutori, cercava di raggiungere l’anima, quindi era alla ricerca di una parola originale, mirata, appuntita e mai cadendo nel banale.

 

D. – Nel suo intervento, ha tracciato un parallelo tra Paolo VI e Giovanni Paolo II nel segno della missione ...

 

R. – In Giovanni Paolo II è così evidente l’essere missionario del mondo, l’andare fino ai confini della terra e voler raggiungere tutta l’umanità, in obbedienza al mandato di Cristo: ‘Andate e predicate a tutte le genti’. Ma Paolo VI aveva iniziato questo e aveva detto tante volte che si considerava il missionario mandato a tutti. Allora io penso che ciò che Paolo VI già realizzava, Giovanni Paolo II l’ha poi affermato addirittura in documenti come la Costituzione Pastor Bonus, dove c’è la definizione del ministero petrino come teso all’espansione missionaria della Chiesa.

 

Nel libro si ricorda che, a proposito della guerra, Papa Montini diceva: “Non risolve i problemi ma li complica”. Sentiamo il cardinale Angelo Sodano:

 

R. – Ricordiamo anche altre parole di Paolo VI in proposito: ‘L’umanità deve riuscire a trovare il cammino della pace; come un tempo ha sconfitto la schiavitù, le epidemie, l’analfabetismo, l’umanità deve riuscire anche a sconfiggere la guerra, a sconfiggere il terrorismo e ad instaurare una civiltà d’amore tra gli uomini.

 

D. – Qual è il suo ricordo di Papa Montini?

 

R. – Il ricordo del Papa che mi ha elevato all’episcopato; è un ricordo personale di un uomo di grande cultura al quale cerco di ispirarmi.

 

Un libro “Paolo VI, Maestro della Parola”, che si propone un duplice obiettivo, di cui ci parla lo stesso autore, Padre Sapienza:

 

“Sia di far conoscere il pensiero di Paolo VI, sia il fatto che nella predicazione soprattutto, se si imitasse lo stile incisivo di Paolo VI ne avremmo tutti da guadagnare. Tante volte, noi sacerdoti per primi arriviamo impreparati al momento della predicazione mentre invece, come auspicava Paolo VI, ci vuole l’ascesi della parola, cioè la meditazione, la preghiera personale per poter spezzare il pane della parola ai fedeli che ascoltano”.

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I 65 ANNI DEL PROGRAMMA POLACCO DELLA RADIO VATICANA :

AL SERVIZIO DEL PAPA E DELLA CHIESA E TESTIMONI

DI STRAORDINARIE PAGINE DI STORIA

- Intervista con padre Jozef Polak -

 

Sono giorni di celebrazioni e di ricordi per il Programma polacco della Radio Vaticana, che ha compiuto 65 anni. Dal 24 novembre del 1938 – primo giorno di trasmissione regolare del programma – ai giorni nostri, le voci che si sono alternate al microfono sono state testimoni di stagioni assolutamente straordinarie: dal dramma del secondo conflitto mondiale, all’epoca del silenzio imposto alla Chiesa locale dal comunismo, alla svolta segnata dall’elezione di Giovanni Paolo II, che ieri all’Angelus ha rivolto un saluto speciale alla sezione polacca della Radio Vaticana. In oltre sei decenni, il Programma si è sviluppato fino a godere dell’odierno bacino di utenza complessivo di 6 milioni di radioascoltatori e di una “geografia” che spazia dall’intera Polonia – grazie al primo canale radiofonico di Stato che ritrasmette, insieme ad emittenti locali religiose, i programmi vaticani - fino a raggiungere New York, Chicago e Toronto. Ripercorriamo, dunque, qualche pagina di questa storia insieme all’attuale responsabile, padre Jozef Polak, nell’intervista di Alessandro De Carolis:

 

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R. – Bisogna dire che all’inizio le trasmissioni erano veramente poche, perché si trasmetteva una volta o due alla settimana ed erano notizie dal Vaticano e dalla Chiesa nel mondo. Poi la linea editoriale è stata segnata da quanto succedeva durante la II Guerra Mondiale: tante notizie sui soldati polacchi e sulle loro famiglie, che si cercavano a vicenda; e poi le conferenze, tipo la catechesi che andava in onda regolarmente; bisogna dire che soltanto nel 1947 la Radio Vaticana ha introdotto due programmi quotidiani in lingua polacca.

 

D. – Veniamo agli anni del Concilio Vaticano II. La Chiesa polacca, la Chiesa di oltre cortina ha probabilmente  nella Radio Vaticana e nel Programma Polacco l’unico contatto con Roma…

 

R. – Sì, infatti, era proprio così. Il Concilio Vaticano II era importante anche perché a Roma erano presenti i vescovi polacchi e quindi loro stessi potevano parlare ai fedeli in Polonia. Questa era l’unica possibilità per i vescovi di parlare alla propria gente attraverso i mass media.

 

D. – 1978, Karol Wojtyla viene eletto Papa: una rivoluzione anche per il Programma Polacco…

 

R. – Ovviamente sì! Questa nomina ha cambiato molto perché ricordiamo che l’anno dopo c’è stata la prima visita di Giovanni Paolo II in Polonia. Sappiamo bene cosa sia successo dopo con il movimento di Solidarnosc, nel 1980. In quel periodo non vi erano altri mezzi di comunicazione cattolici, né la radio né la televisione. Tutto era infatti controllato dal governo comunista. Il cambiamento è stato notato però con le lettere che noi abbiamo cominciato a ricevere qui in Vaticano: nel 1981 sono state ricevute 18 mila lettere da ascoltatori polacchi. Durante quegli anni il responsabile, che era padre Florian Peuka, è riuscito piano piano a convincere la direzione della Radio Polacca, il programma statale, a mettere in onda il nostro Radiogiornale.

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CHIESA E SOCIETA’

24 novembre 2003

                

 

CON L’OBIETTIVO DI STIMOLARE UNA PIÙ GENEROSA AZIONE EVANGELIZZATRICE

 NEL CONTINENTE AMERICANO, SI INAUGURA DOMANI IN GUATEMALA

IL SECONDO CONGRESSO MISSIONARIO MONDIALE

 

CITTA’ DI GUATEMALA. = Si inaugura ufficialmente domani il secondo Congresso missionario mondiale, che si svolge nella Città di Guatemala. Oltre un centinaio di vescovi, 800 sacerdoti, religiosi e religiose, diaconi e pellegrini provenienti da ogni parte delle Americhe, dal Canada alla Terra del Fuoco, stanno affluendo in Guatemala. Le attività del Congresso si sono aperte ieri, festa del Cristo Re, con una Santa Messa celebrata dal nunzio apostolico, mons. Ramiro Moliner Ingles, nel santuario eucaristico del Congresso. L’inaugurazione avverrà domani  nell’Auditorio ‘Juan Pablo II’, alla presenza dell’inviato speciale del Papa, il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. La scelta del Guatemala come sede del Congresso è significativa: il Centroamerica, infatti, è il cuore del Continente, un ponte che unisce il Nord e il Sud e che ha il compito di favorire la comunione e la solidarietà tra tutti i popoli americani. Il Papa, nel corso del suo Pontificato, ha effettuato tre viaggi apostolici (1983, 1996, 2002) in Guatemala, Paese che ha subito per molti anni il dramma del sanguinoso conflitto civile conclusosi con l’accordo di pace del 29 dicembre 1996. (A.L.)

 

 

VIOLENZE DOMESTICHE E ABUSI PSICOLOGICI COLPISCONO SEMPRE PIU’ SPESSO

LE DONNE DELLA COSTA RICA: ALMENO IL 70% NE E’ STATO VITTIMA,

SECONDO LA RICERCA CONDOTTA DA UN CENTRO STUDI DELL’UNIVERSITA’ LOCALE

 

SAN JOSÉ. = Il 67% delle donne costaricane ha subito nella vita violenze o abusi. Il dato inquietante emerge da uno studio del Centro di indagine sulla donna (Ciem) dell’università della Costa Rica. Si parla anche dell’uccisione di 101 donne  avvenute da parte di uomini negli ultimi quattro anni. L’indagine del Ciem è stata basata su un campione di cento donne costaricane, di età superiore ai 15 anni, appartenenti a varie classi sociali. Nonostante la limitatezza del campione, lo studio ha dimostrato non solo la diffusione della violenza in genere nel Paese centroamericano, ma anche l’esistenza di casi di abuso ai danni di persone appartenenti a strati sociali medio-alti. Una constatazione che contravviene al luogo comune secondo il quale tali fenomeni sarebbero limitati alle classi più povere e disagiate della popolazione. Secondo la psicologa costaricana, Monserrat Sagot, citata dalla Misna, “il problema è che le istituzioni vedono questa situazione come tipica delle persone povere e dei migranti, mentre questa indagine dimostra che la problematica arriva fino alle classi più agiate”. Al di là delle aggressioni fisiche, che in una gran parte dei casi sono consumate all’interno delle mura familiari, la ricerca del Ciem mostra la gravità della condizione in cui versano molte donne a causa delle pressioni e delle violenze psicologiche alle quali sono sottoposte: il 50% ha ricevuto il divieto da parte del marito di parlare con altri uomini, mentre il 39% non può avere contatti con persone che non appartengano alla sfera familiare. (A.D.C.)

 

 

E’ UNA DONNA CRISTIANA, RANDA EL-RAHIM FRANCKY,

IL NUOVO AMBASCIATORE IRACHENO A WASHINGTON. LA NOMINA SANCISCE,

DOPO 13 ANNI, LA RIPRESA DEI RAPPORTI DIPLOMATICI TRA IRAQ E STATI UNITI

 

BAGHDAD. = Il Consiglio governativo provvisorio iracheno ha iniziato a nominare, ieri, i propri diplomatici all’estero. La prima nomina  ha riguardato la sede di Washington, chiusa da 13 anni: è stata scelta una donna cristiana, Randa El-Rahim Francky. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri del governo provvisorio, Hushiar Zibari, nel corso di una conferenza stampa tenutasi nel palazzo del ministero a Baghdad. El-Rahim Francky è stata presentata come “ex-esule irachena residente da anni negli Stati Uniti”. Zibari ha precisato che la nuova ambasciatrice “è cittadina sia irachena che statunitense”, aggiungendo che “nominare una donna per la carriera diplomatica è segno di un profondo cambiamento rispetto al regime di Saddam Hussein”. El-Rahim Francky è da tempo attiva nella lotta per i diritti umani ed è inoltre molto “conosciuta negli Stati Uniti dagli oltre mezzo milione di esuli iracheni che per volere del regime – come ha precisato il ministro degli Esteri - sono rimasti a lungo estranei all’evoluzione sociale, politica, culturale ed economica dell’Iraq”. La nomina dell’ambasciata irachena costituisce, dopo 13 anni, la ripresa delle piene relazioni diplomatiche tra Baghdad e Washington. La rottura avvenne nel 1990, in seguito all'invasione del Kuwait. (A.L.)

 

 

RILASCIATI, IN CIAD, CINQUE OPERATORI UMANITARI RECENTEMENTE

SEQUESTRATI DAI RIBELLI NELLA REGIONE DI DARFUR, IN SUDAN

 

DARFUR. = Sono stati ritrovati i cinque operatori umanitari, quasi tutti impiegati dell'organizzazione non governativa svizzera Medair, scomparsi qualche giorno fa nella regione di Darfur, in Sudan. Erano alla guida di un convoglio per la consegna di aiuti umanitari nella città di Kolbus, zona isolata e semidesertica, travagliata da scontri tra ribelli ed esercito. Lo ha riferito la stessa organizzazione europea, precisando che i cinque sono stati consegnati da un gruppo di ribelli del Darfur ad alcuni responsabili di Medici senza frontiere in un piccolo villaggio del Ciad, proprio a ridosso del confine con il Darfur. Dopo aver rilasciato i cinque sudanesi, gli uomini del gruppo “Justice and equality movement”, una formazione ribelle alleata dell’Esercito-movimento di liberazione del Darfur (Sla-m), hanno precisato di aver strappato gli operatori umanitari dalle mani di un gruppo di predoni arabi che alcuni giorni fa li aveva sequestrati. Medair aveva diffuso la notizia della scomparsa dei propri dipendenti la scorsa settimana, precisando di aver perso ogni contatto con i cinque dopo che questi erano partiti alla volta della città di Kolbus per la consegna di 3 camion di aiuti umanitari. Medair è una delle poche Ong internazionali che ancora operano in Darfur. Dall’estate del 2003, in seguito agli scontri tra Sla-m e governo, l’Ong svizzera presta aiuto e soccorso alle centinaia di migliaia di sfollati interni (le stime variano da 300 a 600 mila persone) provocati dalle continue violenze. (M.A.)

 

 

IL GIORNALISTA CONTRIBUISCE ALLA PACE SE FA DELL’INFORMAZIONE GIUSTA:

E’ IL PRINCIPIO POSTO IN RISALTO ALLA GIORNATA DI STUDIO

“GIORNALISMO E CONFLITTI”,

SVOLTASI IERI ALLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ DELLA SANTA CROCE

 

ROMA. = I mezzi di comunicazione non devono istigare allo scontro e alla violenza, anche se i conflitti devono essere conosciuti. Il silenzio sarebbe una forma di complicità. Questa consapevolezza è stata alla base delle discussioni della giornata di studio su “Giornalismo e conflitti” che si è svolta ieri nella Pontificia Università della Santa Croce a Roma. Nell’incontro, che ha visto la partecipazione di inviati di guerra di diverse testate, esperti della comunicazione e docenti universitari, è stato messo in evidenza che “se la pace è conseguenza della giustizia, il giornalista contribuisce alla pace nella misura in cui la sua informazione è giusta”. Ma raggiungere questo obiettivo è difficile, giacché l’informazione giornalistica sui conflitti è spesso molto condizionata. Gli attori dei conflitti, che hanno precisi interessi da difendere, cercano in ogni modo di orientare a proprio vantaggio l’informazione. In un simile scenario l’opinione pubblica svolge un ruolo sia di “vittima” che di arbitro. L’accesso alle fonti riesce difficile e gli stessi giornalisti e media si sentono costretti a prendere posizione. La giornata di studio ha anche proposto, durante un’apposita sessione, una lettura del Messaggio di Giovanni Paolo II per la 37.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni, intitolato “I mezzi di comunicazione sociale al servizio di un'autentica pace alla luce della Pacem in Terris”. (A.D.C.)

 

 

L’ARRUOLAMENTO FORZATO DI MINORI IN NORD UGANDA E’ IL TEMA

 DELLA CONFERENZA PROMOSSA, MERCOLEDI’ PROSSIMO A MILANO,

DALLA CASA EDITRICE MURSIA E DALLA RIVISTA “MONDO E MISSIONE”

 

MILANO. = Per riflettere sull’arruolamento forzato di minori del Nord Uganda, la casa editrice Mursia e la rivista “Mondo e missione” del Pontificio istituto missioni estere (Pime) organizzano, mercoledì prossimo a Milano, una conferenza-dibattito. La riflessione prende spunto dall’uscita in libreria del romanzo di Fabio Magalini, “L’albero dei piedi alti”, edito da Mursia, che racconta la storia di due fratelli ugandesi, Charlie e Lester Oboke Owen, divisi dalla guerra. All’incontro parteciperanno anche la giornalista di Mondo e Missione, Anna Pozzi, il direttore dell’agenzia missionaria Misna, Padre Giulio Albanese, il parroco della Basilica di San Pancrazio in Roma, padre Karol Milewski, e lo scrittore e giornalista Alberto Bevilacqua. Secondo l’arcivescovo di Gulu, mons. John Batist Odama, in questi ultimi anni almeno 20 mila bambini sono stati sequestrati e costretti ad imbracciare le armi tra le file dei miliziani del sedicente Esercito di resistenza del signore (Lra). I ribelli, negli ultimi anni, avrebbero ucciso almeno 100 mila persone. (M.A.)

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24 ORE NEL MONDO

24 novembre 2003

 

 

- A cura di Andrea Sarubbi -

 

Ad Hong Kong cresce l’opposizione alla Cina. Le elezioni amministrative di ieri hanno visto infatti la vittoria del Partito democratico sull’Alleanza per il miglioramento, formazione politica vicina al governo di Pechino. Rispetto al voto di quattro anni fa – quando Hong Kong era ancora sotto l’influenza britannica – i riformisti sono cresciuti da 86 a 93 consiglieri di distretto, mentre il fronte filogovernativo è calato da 83 a 64. Bernardo Cervellera, direttore di Asia news, commenta così il responso elettorale:

 

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La vittoria dei partiti democratici e la pesante sconfitta di quelli pro Pechino sono una specie di referendum contro il governatore di Hong Kong e la sua politica illiberale, economicamente disastrosa e troppo servile verso la Cina. Accademici e politici attribuiscono, infatti, questa vittoria ad una nuova sensibilità della popolazione di Hong Kong, cresciuta dopo la grande manifestazione del primo luglio. Quel giorno, oltre mezzo milione di persone di tutte le fasce sociali hanno manifestato contro la legge antisedizione, che prevedeva una riduzione dei diritti di assemblea e di parola. Tutto questo spiega l’alta percentuale dei votanti, quasi il 45 per cento, in confronto al 35 per cento delle elezioni del ’99. Un’inchiesta ha dimostrato che il 70 per cento dei votanti di domenica aveva partecipato alla manifestazione di luglio. Dal punto di vista del potere che si acquisisce, queste elezioni non sono importanti – i consiglieri di distretto danno suggerimenti sulla politica sanitaria, ecologica, edilizia e dei servizi nei quartieri – ma questa volta dimostrano un maggiore interesse di Hong Kong per la democrazia. Il programma dei democratici, infatti, è che entro il 2007 vi sia il suffragio universale e l’elezione diretta del governatore. Entrambi i temi sono una spina nel fianco dell’autoritaria Pechino e di chi pensa che i cinesi non siano fatti per la democrazia.

 

Per la Radio Vaticana, Bernardo Cervelliera.

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I ribelli sono entrati ufficialmente nel governo del Burundi. Lo ha comunicato ieri il presidente Ndayizeye, elencando i quattro ministeri che verranno guidati da esponenti delle Forze di difesa della democrazia: Interni, Comunicazioni, Lavori pubblici ed un apposito “ministero dello Stato”, competente sui problemi della sicurezza, per Nkurunziza, ex leader della guerriglia. Ma quale significato assume la nascita del nuovo esecutivo? Giada Aquilino lo ha chiesto ad un missionario che opera a Bujumbura e che, per motivi di sicurezza, preferisce rimanere anonimo:

 

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R. – Per il Burundi ha il significato di 10 anni di guerra che stanno terminando. Restano però degli enormi problemi da risolvere, per mettere la parola fine a questa terribile avventura. Resta, ad esempio, l’altro gruppo di ribelli ancora fuori dagli accordi. Restano tutti i gruppi estremisti, o piccoli partiti tutsi, che non sono entrati ancora nel governo e che magari cominciano a pensare di entrare. Resta tutto un Paese che è da ricostruire e da rimettere in piedi.

 

D. – Lei ha citato gli altri ribelli, quelli del Fronte di liberazione nazionale... Che speranze ci sono di una pacificazione completa in Burundi?

 

R. – Ci sono delle buone speranze che anche quest’altro gruppo di guerriglieri cominci ad arrivare alla tavola della pace, alle discussioni con il governo. Secondo alcune voci, sarebbero in corso delle trattative segrete.

 

D. – Sul terreno ci sono ancora violenze, che si aggiungono ai 300 mila morti della guerra civile. In che condizioni vive la popolazione?

 

R. – La popolazione vive in condizioni molto precarie. Bisogna che inizi presto la ricostruzione del Paese, che i contadini possano tornare a coltivare in pace la terra… In città, nei quartieri periferici, c’è ancora il coprifuoco alle 19, e quasi ogni notte si registrano spari ed uccisioni.

 

D. – Quale ruolo ha la Chiesa locale in questo momento?

 

R. – La Chiesa locale ha un compito delicato: deve cercare di mobilitare la popolazione sul terreno della pace e del dialogo.

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Convogli militari sotto tiro a Baghdad e Mossul: non si placano le violenze antiamericane in Iraq, dove si teme una nuova ondata di attacchi in occasione della fine del Ramadan. Da segnalare, nelle ultime 24 ore, l’uccisione di 3 soldati statunitensi e l’incendio di un gasdotto a Kirkuk, a causa di un’esplosione. Della crisi discutono oggi a Londra il premier britannico Blair, il presidente francese Chirac ed il premier spagnolo Aznar.

 

Segnali di distensione dal governo israeliano: il premier Sharon si è detto disponibile ad una “separazione unilaterale” dai Territori ed allo smantellamento di colonie “isolate”. Il presidente Katzav ha invece comunicato di voler incontrare presto gli esponenti palestinesi che hanno messo a punto – assieme con pacifisti israeliani – le cosiddette “Intese di Ginevra”, per un accordo definitivo di pace.

 

Un altro gesto di distensione è giunto dal leader di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, da ieri in visita in Israele. Prima del suo incontro a Gerusalemme con Sharon, il vicepremier italiano ha fatto visita allo Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto, dove ha ammesso che in molti, nel ’38, “non reagirono alle infami leggi razziali del fascismo”. Da Gerusalemme, A.V.:

 

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Assediato da cronisti, flash e telecamere, davanti alle quali ha indossato la kippa ebraica e deposto una corona di fiori, il vicepremier italiano Gianfranco Fini ha fatto più volte domande. Amos Luzzatto, presidente degli ebrei italiani, gli ha illustrato documenti e testimonianze, consegnandogli una lettera scritta in questi giorni: un invito per chi è impegnato a costruire l’Europa che verrà ed a rispettare il diritto di cittadinanza di ciascuno, “senza distinzioni di fede, tradizione, cultura e colore della pelle, frutto della riflessione sul passato e del dialogo presente”. Immediata la risposta di Fini: “condanna” dei carnefici di ieri, “nessuna giustificazione” non solo per chi uccise, ma anche per chi poteva salvare un innocente e non lo fece. Il leader della destra italiana chiama in causa il fascismo per “le infami leggi razziali del ’38”, ma “le responsabilità della Shoa – aggiunge – vanno riferite al solo nazismo”.

 

Da Gerusalemme, A.V., per la Radio Vaticana.

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32 giovani sono morti a Mosca, per un incendio al dormitorio universitario che li ospitava. Ancora ignote le cause delle fiamme, che si sono sviluppate al secondo piano della residenza. Nell’edificio, alla periferia sudoccidentale della città, abitano oltre 500 studenti stranieri iscritti all’Università dell’amicizia dei Popoli.

 

India e Pakistan più vicine al dialogo. Il governo di New Delhi ha accettato la proposta di tregua in Kashmir lanciata da Islamabad, purché abbiano fine le infiltrazioni di militanti lungo la frontiera. Il cessate-il-fuoco dovrebbe iniziare mercoledì, al termine del Ramadan; l’India ha chiesto di estenderlo anche al ghiacciaio del Sachen, dove ogni giorno si verificano scontri.

 

La giunta militare birmana ha liberato 5 dirigenti dell’opposizione, detenuti da 6 mesi. Ancora agli arresti domiciliari l’ex premio Nobel Aung Sang Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia.

 

È caduto un elicottero americano in Afghanistan: 5 militari uccisi e 7 feriti nei pressi della base di Bagram. Il presidente Karzai ha chiesto alla Nato più soldati, da inviare anche nelle zone lontane da Kabul.

 

La Svizzera ha condonato il debito estero alla Repubblica democratica del Congo. Con un accordo firmato stamattina, il governo di Berna ha rinunciato al credito accumulato: circa 20 milioni di dollari.

 

Almeno 27 anni di carcere per la strage di Lockerbie: è la sentenza dell’Alta corte di Glasgow nei confronti del libico al-Megrahi, coinvolto nell’attentato contro il Boeing della Pan Am nel 1988.

 

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