RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 327 - Testo della
Trasmissione di domenica 23 novembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Chiusa ieri la plenaria di Cor Unum: intervista a mons. Karel
Kasteel.
OGGI IN PRIMO PIANO:
Elezioni parlamentari oggi in Croazia: intervista con Federico
Eichberg
“Come parla il potere?”, il nuovo libro di Paolo
Scandaletti: ce ne parla l’autore.
CHIESA E SOCIETA’:
Nella festa di Cristo Re, i vescovi filippini consacrano al
Sacro Cuore l’intero Paese
Dramma immigrazione: ancora sbarchi sulle coste siciliane
Epidemia di colera in Mali: minacciate oltre mezzo milione di persone.
23 novembre 2003
OGGI SOLENNITA’ DI CRISTO RE, IL
PAPA ALL’ANGELUS INVITA I CRISTIANI
A COLLABORARE ALLA COSTRUZIONE DEL
REGNO DI DIO
Oggi, ultima domenica dell’Anno liturgico, il Papa ha
dedicato l’Angelus alla solennità di
Gesù Cristo, Re dell’universo, invitando i cristiani a collaborare alla
costruzione del Regno di Dio. Migliaia i pellegrini giunti in piazza San Pietro
da tutto il mondo. Il servizio di Sergio Centofanti.
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Giovanni Paolo II non fa che ribadire quanto detto nella
sua prima enciclica Redemptor Hominis del 1979: “Gesù Cristo è “centro
del cosmo e della storia”. Il disegno di Dio è “ricapitolare in Cristo tutte
le cose, quelle del cielo come quelle della terra” : Occorre dunque guardare a Colui che la liturgia orientale
chiama il “Pantocrator”, cioè “Onnipotente” e, in questo contesto,
afferma il Papa:
“Assume
pieno rilievo la missione dei credenti, chiamati a cooperare, nella varietà dei
ministeri e dei carismi, alla costruzione del suo Regno”.
Tutti i cristiani sono perciò chiamati a costruire il
Regno di Dio, che è Regno di amore, pace e giustizia. E accanto a Gesù, Re
dell’universo, ha aggiunto il papa, contempliamo Maria, la Madre del Re, che
perciò invochiamo come Regina del Cielo e della Terra.
“Sia
Lei ad aiutarci nel fare della nostra vita un cantico di lode e di fedeltà a
Dio, santo e misericordioso”.
Il Pontefice ha quindi salutato i numerosissimi
partecipanti al Congresso di Musica Sacra dell’Associazione Santa Cecilia,
organizzato a Roma nel centenario del Motu proprio “Tra le
sollecitudini”, col quale san Pio X emanò un’importante Istruzione sulla musica
sacra. Giovanni Paolo II ha espresso riconoscenza a quanti mettono al servizio
della liturgia i loro talenti e le loro competenze musicali. Il Papa ha
salutato poi anche i Wiener Philarmoniker, i musicisti di San
Pietroburgo e i coristi degli Stati Uniti d’America giunti a Roma per il
Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra.
E infine rivolgendosi ai pellegrini polacchi ha ricordato che “domani ricorre il 65.mo anniversario del lavoro apostolico
della Sezione Polacca della Radio Vaticana. Il mio pensiero – ha detto - va a tutti i giornalisti, che in questi anni
con dedizione e sollecitudine anno proclamato il Vangelo in polacco”.
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IL
CONCERTO IERI IN VATICANO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SANTA CECILIA,
ALLA
PRESENZA DEL PAPA
“Verso l’incontro con Cristo con
la festosità del canto e della musica”. Questo l’invito del Santo Padre al
termine del concerto ieri in Aula Paolo VI che gli è stato dedicato
dall’Associazione Italiana di Santa Cecilia nel giorno in cui i musicisti
festeggiano la loro patrona. Celebrazioni che si sono svolte anche all’insegna
del centenario della firma del Motu Proprio Tra
le sollecitudini di San Pio X e concluse stamane con una festosa
celebrazione eucaristica nella Basilica Vaticana accompagnata dalle Scholae
Cantorum e presieduta dal cardinale Angelo Sodano in occasione del suo
compleanno. Il servizio è di Luca Pellegrini:
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Santa Cecilia, martire e per
tradizione millenaria patrona della musica e dei musicisti, assume un compito
particolare per Giovanni Paolo II: “Invita i credenti a camminare vigilanti
verso l’incontro con Cristo, allietando il pellegrinaggio terreno con la festosità
del canto e della musica”.
Queste le parole del Papa al
termine del concerto di ieri in Vaticano che l’Associazione Italiana Santa
Cecilia gli ha dedicato in un giorno di autentica festa per la musica e in
occasione del centenario della firma del Motu Proprio Tra le sollecitudini col quale San Pio X ridefiniva pastoralmente i
rapporti tra la musica sacra, quella liturgica e il dovere “di mantenere e
promuovere il decoro della Casa di Dio”. Nell’ambito delle manifestazioni
commemorative si è tenuto in questi giorni anche il 27. mo Congresso nazionale
di Musica sacra e sono convenuti a Roma oltre ventimila tra cantori, parenti ed
accompagnatori, sacerdoti, direttori ed organisti, impegnati tutti, a livello
di Chiesa locale, a mantenere vivi gli impegni costitutivi della centenaria
Associazione di Santa Cecilia.
Tra questi preme sottolineare la
difesa e la promozione del canto liturgico ed il sostegno alle Scholae
Cantorum, che tanta parte hanno avuto e dovrebbero avere nell’animazione
liturgica con l’esecuzione della polifonia classica e moderna, vero patrimonio
perenne dell’arte e della Chiesa. Scholae che ancora sono,
probabilmente, alla ricerca di un loro preciso servizio a seguito della riforma
liturgica introdotta dal Concilio Vaticano II.
Le corali hanno, inoltre, nella
mattinata di oggi, accompagnato con entusiasmo e la ricchezza del loro
repertorio la celebrazione di una festosa messa nella Basilica Vaticana,
presieduta dal cardinale Angelo Sodano, il quale proprio oggi festeggia i suoi
settantasei anni. Un rendimento di grazie al Signore che si eleva come
autentico canto ed inno di lode. Così come ha fatto Lorenzo Perosi nel corso
della sua intera vita. Fu Maestro perpetuo della Cappella Sistina dal 1902 al
1956, anno della morte, indimenticabile e prolifico compositore e fervente
cultore della musica sacra. Potrebbe ancora oggi contribuire a formare e tenere
viva una cultura, una coscienza e un interesse verso la produzione sacra.
Giustamente il concerto di ieri
nell’Aula Paolo VI prevedeva l’esecuzione della sua Passione di Cristo secondo San Marco, diretta da PierAngelo
Pilucchi alla guida dell’Orchestra Sinfonica di Gessate. Scritta nel biennio
1895-1897, si tratta di una trilogia sacra per quattro voci maschili, coro e
orchestra, suddivisa negli episodi della cena del Signore, l’orazione al Monte
e la morte del Redentore. Punto di partenza dell’ispirazione è sicuramente la
passione bachiana, che si avverte soprattutto nella struttura generale e nella
scrittura delle fughe corali con le quali le tre parti hanno termine. Ma Perosi
riesce nell’impresa di mirabilmente fondere l’antico col moderno: nei momenti
lirici, soprattutto nelle arie di Cristo, assume spunti e colori assai più
vicini al melodramma italiano e francese, con rimandi soprattutto alla
cosiddetta “giovane scuola italiana”, nella quale spiccano i nomi di Puccini e
di Mascagni.
Perosi ci suggerisce con la sua
opera e la sua testimonianza quanto siano oggi necessari sia un approccio più meditato
e consapevole alla musica sacra e liturgica che una rinnovata collaborazione
tra la Chiesa ed i compositori, per inaugurare così una nuova, felice stagione
al servizio di una liturgia fervorosa, luogo privilegiato della preghiera,
dell’arte e della inculturazione della fede.
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CHIUSA
LA PLENARIA DI COR UNUM
-
Intervista con mons. Karel Kasteel -
Si è
chiusa ieri in Vaticano la 25.ma assemblea plenaria del Pontificio Consiglio
Cor Unum, il dicastero istituito da Paolo VI nel 1971 con lo scopo di operare
nel campo degli aiuti umanitari. Al centro dei lavori, il tema: “La dimensione
della religione nella nostra attività caritativa”. Durante la plenaria si è
analizzato anche il problema dei
finanziamenti esterni che possono limitare l’indipendenza e la libertà
decisionale delle agenzie umanitarie cattoliche. Ma che differenza c’è tra
filantropia e carità? Giovanni Peduto lo ha chiesto al segretario di Cor Unum,
mons. Karel Kasteel:
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R. – Penso al Buon Samaritano, penso al Vangelo: c’è un
plusvalore nel Vangelo che fa sì che per noi la carità cristiana, che è il
primo precetto che il Signore ci ha dato, permetta a noi di voler bene a tutti
quanti, anche a quelli che non ci vogliono bene, anzi amare i nemici è uno dei
più grandi doveri del cristiano: noi aiutiamo tutti quelli che hanno bisogno
perché in tanti Paesi aumentano i poveri ...
D. – Da dove arrivano gli aiuti della Chiesa cattolica?
R. – Molti aiuti vengono da doni dei fedeli ed è
straordinario constatare quanto siano generosi i fedeli in tutto il mondo.
D. – C’è un’intensa collaborazione tra le Chiese cristiane
nel campo umanitario?
R. – Direi di sì. E’ uno dei compiti che Paolo VI affida
al nostro dicastero; un compito ecumenico per far sì che la dottrina sociale
della Chiesa, che è condivisa in gran parte anche dai protestanti, sia
veramente attuata. In altre parole, che non siano solo parole ma anche fatti.
D. – Quali difficoltà incontrate, oggi, nel sostegno alle
popolazioni in difficoltà?
R. – Diverse difficoltà. La prima è che bisogna coordinare
bene gli aiuti. Come si sa, non vi è nulla di più difficile che far bene il
bene, soprattutto quando ci sono delle catastrofi o quando bisogna intervenire
in modo non previsto come in Afghanistan o in Iraq o in altri Paesi. Allora:
dal momento in cui si sa quali sono i bisogni, si agisce immediatamente. E devo
dire che in questo è formidabile la grande rete che si chiama Caritas
Internationalis.
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23 novembre 2003
ELEZIONI
PARLAMENTARI OGGI IN CROAZIA
-
Intervista con Federico Eicberg -
Si
sono aperti questa mattina in Croazia i seggi per l’elezione del nuovo
parlamento monocamerale, nel quarto scrutinio dall’indipendenza nel 1991. Sono
circa 4 milioni e 400 mila gli elettori che dovranno scegliere 150 deputati tra
i 5 mila candidati di 67 partiti e coalizioni. Si vota con il sistema
proporzionale con lo sbarramento del 5%. Si contendono la vittoria la
coalizione di centrosinistra del premier uscente Ivica Racan e i partiti del
centrodestra guidati da Ivo Sanader, erede dello scomparso presidente Franjo
Tudjman. I vescovi croati in un messaggio hanno invitato il Paese a superare
definitivamente i residui dell’ex regime comunista, a porre più attenzione ai
poveri e alla famiglia, e a guardare all’integrazione europea. Ma sul
significato di queste elezioni Giancarlo La Vella ha sentito il prof. Federico
Eichberg, esperto dell’area balcanica.
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R. – Credo che si tratti delle prime consultazioni
dell’era post-tudjmaniana. Tudjman ha rappresentato l’unità del Paese,
l’identità del Paese per tanti anni e le scorse consultazioni si erano svolte
quando Tudjman era negli ultimi giorni di vita, e questo evento condizionò
moltissimo le elezioni. Queste rappresentano in qualche misura il primo vero
momento in cui le fazioni si confrontano non su temi appunto legati a questa
figura, ma legata a temi concreti. Quindi ci si attende innanzitutto che le
coalizioni si formino in maniera più omogenea e poi che si formino su
contenuti. La cosa è avvenuta, il confronto elettorale è molto serrato e le due
coalizioni, ad oggi, sembrano molto prossime al 40%. Decisivo sarà
probabilmente il ruolo del partito di destra del leader Japic, se si schiererà
effettivamente con l’ex partito di Tudjman e il partito di Budicia, o se
resterà fuori da questa coalizione. Ad oggi, i due blocchi sono molto vicini e
i temi della campagna elettorale sembrano quelli di una democrazia matura.
D. – La Croazia, tra i Paesi dell’ex Jugoslavia, sembra
essere quello più stabile?
R. – La Croazia dovrà, innanzitutto, dare prova di
maturità rispetto ai Paesi dell’area. Negli ultimi due anni, le elezioni di
tutti i Paesi dell’area – dalla Bosnia Erzegovina all’Albania, dalla Serbia
Montenegro alla Macedonia – hanno registrato un’affluenza molto bassa. Il che è
chiaramente sintomatico di una scarsa affezione da parte dell’elettorato. La
Croazia dovrà innanzitutto dare prova di maturità con una maggiore
partecipazione al voto; dovrà dare anche una maggiore prova di un desiderio
concreto di avvicinarsi all’Unione Europea, per esempio rivedendo alcune sue
posizioni come quella relativa allo spazio marittimo di pesca: la Croazia ha
unilateralmente dichiarato, segnando un momento innovativo rispetto alle
procedure classiche dell’Unione Europea, che sono multilaterali. Ci si aspetta
che il nuovo governo possa assumere delle decisioni più in linea con
l’orientamento multilaterale europeo e di maggiore apertura verso i propri
vicini. Però, va detto che su quest’ultimo punto la Croazia ha davvero fatto
consistenti passi in avanti. Ci si aspetta che questo possa portare beneficio a
tutta l’area, Serbia compresa. I tempi sono chiaramente legati a logiche
interne; speriamo però che elezioni ben condotte e all’insegna del rispetto
reciproco tra le fazioni portino anche il nuovo governo croato ad un maggiore
rispetto di alcune indicazioni che l’Unione Europea sta fornendo.
D. – C’è la possibilità di un certo ritorno al passato?
R. – La Croazia presenta delle fazioni politiche
estremamente mature. Quindi, la Croazia non sembra sull’orlo di un ritorno al
passato. Quello che sicuramente è importante sottolineare è che la scarsa
affluenza alle urne di tutti gli altri Paesi – speriamo non della Croazia –
solitamente apre la strada a personaggi che invece sanno riproporre temi
politici piuttosto incendiari. Quindi bisognerà far sì che i popoli di
quest’area riscoprano il gusto di una politica e di un confronto democratico
veri, concreti su fatti che poi si realizzano e non sulle promesse non mantenute
degli ultimi anni da parte di molti esponenti politici, perché questo potrebbe
effettivamente aprire la strada a ritorni nostalgici autoritari o comunisti.
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LE SCUOLE INTERETNICHE DI SARAJEVO:
UNA DIMOSTRAZIONE DELLA POSSIBILE CONVIVENZA
NELLA DIVERSITA’ RELIGIOSA E CULTURALE
- Intervista con mons. Pero Sudar -
“La pace nasce dall’accettazione degli altri per quello
che sono; chi è cristiano non può considerare giusta nessuna guerra”. Sono
alcune affermazioni contenute nel testo “Convivere per vivere” di mons. Pero
Sudar, vescovo ausiliare di Sarajevo. Il libro racconta l’esperienza delle
scuole interetniche in Bosnia, un progetto educativo nato nei drammatici anni
’90 ,che vede in un’unica aula scolastica ragazzi appartenenti a religioni ed
etnie diverse. A mons. Sudar Paolo Ondarza ha chiesto di raccontare la sua
esperienza durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina.
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R. – Non è facile tornare con la mente a quei giorni, a quegli anni, quando l’odio
aveva convinto tutti che solo con la violenza ci si può difendere dalla
violenza. In questo senso, si è tentati di credere che un’alternativa non ci
sia, però anche in mezzo a questo buio c’è tanta gente che desidera la vittoria
del bene!
D. – Nella sua esperienza, in particolare, la fondazione
delle scuole interetniche a Sarajevo ...
R. – Si tratta di un’iniziativa che è maturata proprio
durante la guerra, per convincere prima di tutto i pochi cattolici che erano
rimasti a Sarajevo a rimanere, dando loro la possibilità di mandare i loro
ragazzi in una scuola dove non sarebbero stati maltrattati; allo stesso tempo
abbiamo pensato che non fosse giusto dare questa possibilità solo ai cattolici,
solo ai croati: abbiamo provato a proporla anche ad altri promuovendo anche la
nostra convinzione: non è possibile accettare la divisione etnica. E con nostra
sorpresa, le iscrizioni hanno superato di tre volte le nostre aspettative e la
reale capienza dell’edificio. Si iscrivevano alunni tu tutte le religioni e le
etnie.
D. – Quindi dalla differenza tra religioni può scaturire
una convivenza pacifica che si può imparare addirittura tra i banchi di scuola?
R. – Le scuole sono oggi 13 nella nostra diocesi, e
ospitano 4.090 alunni dimostrando che questo è possibile.
D. – Che età hanno, gli alunni?
R. – Cominciano in terza media, fino alla maturità.
D. – E i genitori come reagiscono?
R. – Sono molto soddisfatti; le nostre scuole non hanno
veramente un posto libero.
D. – Spostandoci sullo scenario attuale: in che modo si
può uscire dal vortice della violenza?
R. – Non possiamo cedere. Non è vero che questi fatti
rappresentano la tendenza maggioritaria. Questi– se si paragonano a tutto ciò
che si fa a favore della convivenza, della pace – sono veramente episodi
isolati. Questo non significa che siano meno pericolosi: ma non è questo il
messaggio delle religioni; l’islam non sostiene la guerra come metodo per
imporre la fede. Poi, nessun uomo che creda in Dio può fare del male ad altri
uomini, perché Dio ha creato tutti. Si tratta veramente di una
strumentalizzazione dei sentimenti religiosi, con cui si vogliono risolvere
altri problemi.
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SOLENNE
CERIMONIA NELLA CATTEDRALE DI BELLUNO
PER
L’APERTURA DELLA CAUSA DIOCESANA DI BEATIFICAZIONE
DI PAPA
ALBINO LUCIANI
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Intervista con il vescovo di Belluno, mons. Vincenzo Savio -
Solenne cerimonia oggi nella cattedrale di Belluno per
l’apertura ufficiale della Causa diocesana di beatificazione di Giovanni Paolo
I, al secolo Albino Luciani, papa per 33 giorni nel 1978. Alla celebrazione
partecipano il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per
le Cause dei santi, e il vescovo della diocesi di Belluno-Feltre, mons.
Vincenzo Savio. Ma come si è arrivati a questo momento solenne? Adriana Masotti
l’ha chiesto allo stesso mons. Savio:
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R. – Da molti anni, c’era una forte insistenza da parte
della gente: qualcosa come 300 mila firme, anche da parte degli episcopati –
per esempio, l’episcopato brasiliano per intero – che bussavano alla porta per
chiedere che fosse messo come testimone di santità nella Chiesa e nel mondo,
Albino Luciani. Questa insistenza ci ha determinati a pensare che fosse un
segno che Dio ci mandava, e quindi abbiamo domandato a Roma. E Roma è stata
attenta a questa richiesta ed ha affidato alla diocesi di Belluno-Feltre questa
opportunità.
D. – In base a quali testimonianze, a quali fatti si è
potuta aprire questa causa?
R. – Papa Giovanni Paolo II, nella Novo Millennio Ineunte,
come punto programmatico per il nuovo millennio, parla della santità ordinaria,
di questo profilo alto della vita che però fa sì che la santità non sia un
fatto eccezionale; e proprio quasi affianco a questa indicazione è emersa
subito la figura di Papa Luciani il quale non si presenta per qualcosa di
straordinario, non è l’uomo delle grandi fondazioni, non è l’uomo dei miracoli,
non è l’uomo delle grandi opere; è stato l’uomo della ordinaria vita di un
cristiano che lui ha vissuto nella sua esemplarità di ragazzo, di giovane, di prete,
di vescovo e poi di papa, ma che ha vissuto così, molto tranquillamente.
Allora, mi pare che poi quello che lui ha tradotto nella indicazione della humilitas,
dell’umiltà messa anche nel suo motto come emblema della sua vita, cioè: stare
dentro la storia facendo sì che la propria vita sia il luogo dove Gesù possa
manifestare se stesso attraverso di noi. Al primo posto, servire la volontà di
Dio. A volte pagando anche amare conseguenze, a volte con difficoltà. Ma con
assoluta generosità e fedeltà. E’ questa
ordinarietà di cose che ci incoraggia a sentire questo profilo nuovo, questo
profilo disponibile per tutti.
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“COME
PARLA IL POTERE?”: LA RISPOSTA IN UN LIBRO DI PAOLO SCANDALETTI,
EX
PRESIDENTE DELL’UNIONE CATTOLICA DELLA STAMPA ITALIANA
-
Interviste con Massimo Milone, Corrado Augias, Fabrizio Ferragni e Paolo
Scandaletti -
“Come parla il potere?”: è l’interrogativo che pone il titolo del libro edito da Sperling e
Kupfer, firmato da Paolo Scandaletti, giornalista, docente univer-sitario ed ex
presidente dell’Ucsi, l’Unione cattolica della stampa. Ce ne parla Roberta
Gisotti:
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La risposta è
complessa: piovono critiche sui politici, le istituzioni ed anche sugli
operatori dell’informazione. Comunicazioni pubblica e politica sotto accusa in
un Incontro ospitato a Roma dall’Unione cattolica della stampa italiana.
Massimo Milone, presidente dell’Ucsi:
“E’ una professione che sta cambiando; sta cambiando pelle velocemente.
Esigenza di qualificazione ulteriore, accesso alla professione diversa e quindi
presto riforma dell’Ordine dei giornalisti – Ordine datato 1963 – e sullo
sfondo, recupero dei valori etici. Peraltro, dobbiamo chiedere alla politica di
fare un passo indietro”.
Ma la stampa italiana negli ultimi anni ha fatto i conti
con una crescente concentrazione delle proprietà non solo in campo televisivo
ma anche nei media di carta, ha lamentato Corrado Augias:
“Si lede quel principio che è il pluralismo, il quale non è un principio
astratto. Mi chiedo molto, quando vedo soprattutto i telegiornali: a) ignorare
le notizie: addirittura in qualche caso falsificare le notizie; b) quando vedo
dare le notizie ma in maniera tale che una persona ‘normale’ non le capisca.
Poi, se le capiscono soltanto i tecnici della politica o dell’informazione, è
come non averle date”.
Condizionamenti ci sono, ha ammesso Fabrizio Ferragni,
vicedirettore del Tg1, ma è necessario ridare briglia alle redazioni per
ritrovare l’entusiasmo di fare giornalismo:
“In questa fase ritengo che se appunto ci fosse più spazio per
l’inchiesta televisiva, per una maggiore libertà di movimento professionale, ne
trarrebbe vantaggio tutto il sistema, non solo dell’informazione ma il sistema
civile di per sé. Naturalmente, il giornalista questo spazio deve anche
poterselo conquistare con la propria personalità, con la propria preparazione,
andando un po’ all’essenza del suo lavoro che è la ricerca della notizia senza
andare a condirla con ingredienti che vanno a deteriorarla”.
E la politica che colpe ha nel fare informazione? Paolo
Scaldaletti:
“Eh sì, critiche fondate, perché il potere parla secondo i propri
interessi, secondo il gioco interno della classe politica, dell’ambito
politico. Difficilmente si apre e racconta ciò che non gli conviene. La
dialettica con i giornalisti, con il mondo dei media, dovrebbe essere proprio
su questo. Prima di tutto sulle tematiche, oltre che sul linguaggio: i temi che
interessano la gente e su questi costringere i politici a dire la propria”.
Inoltre il dibattito parlamentare spesso si gioca sui
dispacci delle agenzie di stampa:
“Sì, sulle agenzie di stampa e sui salotti televisivi, con
un grande depauperamento della qualità della politica e al limite, ormai
pressoché generalizzato, la messa fuori gioco del cittadino. Il cittadino non
conta più niente. C’è da interrogarsi sulla qualità di questa democrazia che
stiamo vivendo”.
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23 novembre 2003
NELLA FESTA DI CRISTO RE I VESCOVI FILIPPINI
CONSACRANO AL SACRO CUORE L’INTERO PAESE. UN ATTO DI FIDUCIA NEI CONFRONTI DI
UNA SOCIETA’
CHE SI STA DISGREGANDO. LA PROPOSTA ERA EMERSA A META’ NOVEMBRE,
DURANTE L’ULTIMO INCONTRO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE FILIPPINA
MANILA. = Un nuovo movimento spirituale per dedicare le Filippine
al Sacro Cuore. L’Atto verrà proclamato oggi, nella Festa di Cristo Re, a
protezione delle famiglie, delle comunità religiose e “del popolo filippino,
famiglia di Dio”. L’atto di consacrazione, presentato in una conferenza stampa
dal gesuita p. Catalino Arevalo, ha come finalità quella di ridare fiducia ad
un Paese che si sta disgregando. Molte “ giovani coppie”, ha detto p. Arevalo,
“lasciano le Filippine perché non vedono nessun futuro”. Culmine delle
celebrazioni: il 18 giugno 2004, festa del Sacro Cuore, con una speciale
consacrazione dei sacerdoti. “Gli eventi recenti e gli sviluppi del nostro
Paese - dicono i vescovi filippini -
rivelano i tempi difficili in cui il nostro popolo si sta muovendo. Vi sono
crisi su crisi, economiche e politiche, ma vi sono anche correnti che minano la
fede profonda del popolo, i valori della famiglia, la nostra vita di comunità,
Chiesa e nazione”. Un contesto socio-politico in continua evoluzione, insomma,
con eventi che hanno segnato il popolo filippino: un tentativo di colpo di
Stato da parte di un gruppo di militari; poi il tentativo di eliminare il
giudice della Corte Suprema; poi ancora una grande manifestazione di protesta,
con oltre 250 mila poveri e senza tetto che hanno protestato nel centro
commerciale di Manila chiedendo le dimissioni del presidente Arroyo. Solo pochi
giorni fa la Arroyo ha concesso di lasciare il Paese all’ex presidente Estrada,
accusato di corruzione. A minare inoltre il già fragile equilibrio: rapimenti,
uccisioni, insicurezza economica; elementi che sommati causano la fuga degli
investimenti commerciali verso aree più tranquille dell’Asia. “Tutto questo
genera confusione, frustrazione, amarezza fra i filippini” ha commentato p.
James Reuter, responsabile della Commissione Mass Media della Conferenza
episcopale. (S.S.)
DRAMMA IMMIGRAZIONE: ANCORA SBARCHI
SULLE COSTE SICILIANE.
68 EXTRACOMUNITARI ALLA DERIVA SALVATI DA UN MOTOPESCA
E DA UN GUARDACOSTE. A LAMPEDUSA, ARRIVANO 7 NAUFRAGHI
MENTRE UN ALTRO NATANTE E’
STATO AVVISTATO IN MATTINATA
AGRIGENTO. = Nemmeno le cattive condizioni del mare riescono a
frenare gli immigrati. Questa mattina un nuovo sbarco ha rischiato di
trasformarsi nell’ennesima tragedia della speranza. A fare da sfondo al salvataggio
di 68 clandestini stipati su un
gommone, il Canale di Sicilia, divenuta la rotta obbligata per quanti
tentano di giungere sulle coste italiane.
Gli immigrati sono stati soccorsi dal motopesca Domenico Aiello di
Mazara del Vallo e da un Guardacoste della Capitaneria di Porto di Pantelleria.
I naufraghii sono stati tutti trasbordati per le cattive condizioni del mare
sulle due imbarcazioni: 46 sul peschereccio, gli altri 22 sulla motovedetta. Il
gommone, non appena finito il trasbordo dei naufraghi, è affondato. Due di
loro, secondo quanto hanno riferito via radio i soccorritori, sono in precarie
condizioni di salute. I medici dell'ospedale Bernardo Nagar di Pantelleria sono
già stati allertati, in attesa del loro arrivo in porto. Alle operazioni di soccorso
ha partecipato anche un elicottero della nave Vega della Marina Militare, in
servizio di pattugliamento nel Canale di Sicilia. A Lampedusa, invece, sono già
arrivati sette immigrati che erano su una barca di quattro metri, soccorsi a
due miglia dall' isola. Un' altra settantina di immigrati, su una barca,
avvistati a 35 miglia dalla costa, stanno invece, attendendo due motovedette
della capitaneria di porto. (S.S.)
IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE PREMIA LA LOTTA ALLA
CORRUZIONE.
RIATTIVATI I CANALI DI FINANZIAMENTO PER IL KENYA, INTERROTTI DA
TRE ANNI. CONCESSI A NAIROBI FONDI PER 250 MILIONI DI DOLLARI
NAIROBI. = Riaccesi i canali di finanziamento al Kenya. E’
quanto deciso dal Fondo Monetario Internazionale, che ha concesso al governo
guidato da Mwai Kibaki prestiti per 250 milioni di dollari. Erano tre anni che
Nairobi non riceveva aiuti dal FMI, in seguito alla diffusa corruzione che
imperversava in tutti i settori del Paese africano. Autorizzato inoltre un
prestito immediato di 36 milioni di dollari in base al “programma per la
riduzione della povertà e la facilitazione della crescita economica”, che
dovrebbe garantire interessi bassi ai Paesi in via di sviluppo. Grande
soddisfazione è stata espressa dal capo dello Stato, che si è detto entusiasta
per la decisione dell’istituto finanziario di Washington, affermando di sperare
che questo gesto sia seguito anche dai donatori della comunità internazionale.
“Il governo – si legge in una dichiarazione della presidenza keniana – ha messo
in atto adeguate misure per garantire un uso appropriato dei fondi dei
donatori”. Il Fmi e la Banca Mondiale avevano tagliato gli aiuti a Nairobi dopo
che il governo dell’ex presidente Daniel Arap Moi si era rifiutato di prendere
iniziative contro la corruzione. I detrattori dell’ex capo di Stato, al potere
per oltre 25 anni, lo hanno sempre accusato di clientelismo verso i propri
famigliari e i componenti del suo gruppo etnico. A dicembre del 2002 Kibaki ha
sconfitto Arap Moi alle presidenziali e ha impresso un’accelerata alla lotta
alla corruzione. La chiusura dei canali di finanziamento al Kenya era comunque
stata duramente criticata da numerose associazioni a livello internazionale,
che avevano parlato di aperture di credito non sufficienti a fronteggiare i
reali problemi economici dei Paesi del sud del mondo.(S.S.)
GRANDE MOBILITAZIONE IN BASILICATA
CONTRO LA COSTRUZIONE
DEL DEPOSITO NAZIONALE DI SCORIE RADIOATTIVE. 50 MILA PERSONE OGGI
SFILANO DA POLICORO A SCANZANO JONICO PER DIRE NO AL DECRETO GOVERNATIVO.
PREGHIERE IN TUTTE LE PARROCCHIE LUCANE AFFINCHE’ LA QUESTIONE SI
RISOLVA “NELLA GIUSTIZIA E NELLA PACE”
SCANZANO JONICO (MATERA). = E’ il giorno della grande
mobilitazione per la Basilicata. Oltre 50mila persone hanno sfilato da Policoro
a Scanzano Jonico, nel materano, per dire no al decreto governativo che prevede
la costruzione del deposito nazionale di scorie radioattive presso le miniere
di salgemma di Scanzano. La manifestazione odierna giunge dopo 9 giorni di
blocchi che hanno letteralmente isolato la regione. Presidi di manifestanti
hanno, infatti, paralizzato le principali arterie e linee ferroviarie
lucane. Al corteo, aperto dai gonfaloni
di tutti i comuni, si è aggiunto anche
il presidente della Regione Basilicata, Filippo Bubbico, accompagnato dai
dirigenti sindacali, da parlamentari e da decine di amministratori locali. ''Mi
pare proprio evidente - ha detto Bubbico - che la Basilicata è qui, si è
fermata e chiede che si torni indietro e che il decreto sia ritirato e siano
ripristinate le regole del gioco democratico''. ''Siamo qui presenti per
testimoniare solidarietà, vicinanza, coraggio, ad una intera comunità che si
sta battendo per una causa giusta” – ha invece detto monsignor Francesco Nolè,
vescovo della diocesi di Tursi-Lagonegro- che in rappresentanza della
Conferenza episcopale dei vescovi lucani, ha partecipato al corteo. Una
mobilitazione che vede coinvolti anche i parroci della regione, che durante
l’intera giornata odierna rivolgeranno preghiere perché la questione si risolva
“nella giustizia e nella pace” L' arcivescovo metropolita di Potenza, monsignor
Agostino Superbo - che prima di giungere nel capoluogo della Basilicata è stato assistente nazionale dell' Azione
Cattolica italiana - ha detto che “non sono state date direttive precise, ma è
evidente che né i sacerdoti né i fedeli possono ignorare ciò che accade in
questi giorni. La nostra preghiera - ha concluso monsignor Superbo - si rivolge
a Dio perché illumini i governanti e sia trovata, nella giustizia e nella
concordia, la soluzione più giusta per tutti, non solo per la Basilicata ma per
tutta l' Italia”. (S.S.)
EPIDEMIA
DI COLERA IN MALI LUNGO IL FIUME NIGER.
MINACCIATE
OLTRE MEZZO MILIONE DI PERSONE. GIA’ 75 I MORTI, CON UN IMPENNATA DELLE VITTIME
NELLE ULTIME SETTIMANE.
DAL
2001 AD OGGI 14 PAESI AFRICANI SONO INTERESSATI DALLA MALATTIA
BAMAKO. = Settantacinque persone morte; oltre
mezzo milione di abitanti a rischio; 212 nuovi malati. Questi i numeri
dell’epidemia di colera che sta interessando il Mali. La zona in cui più alto è
il rischio di contaminazione è quella lungo il corso del fiume Niger, il terzo
del continente africano. Il focolaio della malattia è stato individuato nella
zona meridionale del Paese, ma si starebbe diffondendo rapidamente a causa
delle abitudini di una popolazione prevalentemente nomade, avvezza a vivere
proprio lungo il fiume. L'allarme è stato lanciato dall'organizzazione non
governativa “Medici senza frontiere”, che ha inoltre diffuso alcuni dati
sui contagi ed i tempi di diffusione dell’epidemia. Da agosto alla metà di
novembre, Msf aveva registrato 693 casi di infezione e la morte di 55 pazienti.
Il bilancio si è però impennato nell'ultima settimana, durante la quale sono
stati scoperti altri venti morti. Le epidemie di colera sono particolarmente
diffuse in quelle zone dove le condizioni igienico-sanitarie ancora precarie
favoriscono la diffusione di simili infezioni. In Africa dal 2001 ad oggi ben
14 Paesi sono stati interessati dal colera. (S.S.)
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23 novembre 2003
A cura di Dorotea Gambardella -
In Iraq, torna a scorrere il
sangue nel famigerato ‘triangolo sunnita’ a nord di Baghdad. Tra ieri e oggi,
in diversi attentati, sono morte oltre venti persone e altre trenta sono
rimaste ferite. I particolari nel servizio di Dorotea Gambardella:
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Resta altissima la tensione in Iraq. Secondo quanto
riferito da testimoni oculari, due soldati americani sono stati sgozzati oggi a
Mossul, nel nord del Paese, mentre erano bloccati nel traffico cittadino. Un
altro militare statunitense è morto e due sono rimasti feriti presso Baaquba, a
nord di Baghdad, nell’esplosione di una bomba che ha fatto saltare il loro
convoglio. Nella stessa zona, ieri, gli attentati a due stazioni di polizia avevano
provocato diciotto vittime e oltre trenta feriti. Intanto a Nassiriya, la città
irachena sotto il controllo dei soldati italiani, resta alto l’allarme per
nuovi attacchi. Lo ha detto il capo della polizia locale, Hassan, che ha anche
annunciato alcuni fermi di uomini coinvolti nella strage del 12 novembre. Sul
fronte delle indagini, il ministro degli esteri australiano, Alexander Downer,
ha reso noto oggi che un connazionale di 45
anni, sospettato di essere un sostenitore del regime dell'ex leader Saddam
Hussein, è stato arrestato in Iraq dai soldati britannici. L'uomo, impiegato in
una società internazionale, è stato bloccato venerdì durante un raid dei
soldati della coalizione contro una casa dove si sarebbero rifugiati partigiani
dell'ex presidente. Infine, le autorità curde di Kirkuk hanno
annunciato l'arresto di tre cittadini turchi, sospettati di aver organizzato
l'attentato suicida, che la settimana scorsa ha provocato quattro vittime nella
città dell'Iraq settentrionale.
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Stato di emergenza nella ex repubblica sovietica
della Georgia in seguito all'assalto
di ieri al Parlamento da parte dell'opposizione, che
ha costretto il presidente Eduard Shevardnadze a
ritirarsi. La guardia nazionale si è schierata oggi con i ribelli e il
leader Mikhail Saakashvili ha incitato la popolazione a prendere il controllo
della televisione di Stato e del ministero degli Interni. Sugli ultimi
aggiornamenti ci riferisce Giuseppe D’Amato:
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Mosca scende in campo in Georgia: il ministro degli esteri
russo, Igor Ivanov, sta portando avanti una complessa mediazione facendo la
spola tra Shevardnadze e l’opposizione. Si cerca una soluzione
costituzionalmente valida, come richiede la Comunità internazionale. Mosca ha
dichiarato di essere al di sopra delle parti: due giorni per la mediazione.
Georgiani e russi hanno due secoli di storia di convivenza, la stessa fede
religiosa ortodossa e non pochi politici in comune: basti un nome, Josip
Stalin. Lo stesso Igor Ivanov è nato nel Nord della Georgia. La Russia trema al
pensiero di vedere l’ex repubblica sovietica instabile ed in mani ostili,
proprio al confine con la Cecenia. Il Caucaso, che è già una polveriera,
diventerebbe incontrollabile. Il Parlamento rimane nelle mani dell’opposizione,
che da lì conduce un affollato meeting senza sosta. Le strade di Tblisi sono
presidiate dalle forze speciali. La Georgia vive un momento difficile dal punto
di vista economico; il tasso di disoccupazione rimane alto, come l’emigrazione;
le pensioni raggiungono a mala pena i 10 dollari mensili e gli stipendi degli
statali i 30. Resta irrisolto il nodo dei 100 mila profughi dell’Abkhazia che
spesso manifestano in piazza il loro scontento. Siamo, insomma, davanti alla
classica situazione esplosiva. Le prossime ore ci diranno se Shavardnadze sarà
in grado di uscirne o la sua stella tramonterà definitivamente.
Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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Urne aperte ad Hong Kong, dove si vota per il rinnovo dei
consigli di distretto. Secondo le previsioni, favorita è la coalizione
democratica. Il servizio è di Salvatore Sabatino.
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Sono oltre due milioni gli aventi diritto al voto ad Hong
Kong, che esprimeranno oggi la loro scelta per i 400 rappresentanti che
governeranno i 18 distretti di cui è composta la città. Un test importante per
la coalizione democratica che, dopo la massiccia manifestazione del 1° luglio
scorso, dovrà dimostrare se sarà in grado di vincere la tornata odierna anche
in vista delle elezioni politiche del prossimo settembre. Ricordiamo che
quattro mesi fa, mezzo milione di persone scese in piazza per protestare contro
un progetto di legge sulla sicurezza interna giudicato lesivo delle libertà
fondamentali. Un atto di protesta, dunque, di forte valore simbolico, per dire
no alla gestione del governatore Tung Chee-hwa, considerato incapace di
affrontare disoccupazione e crisi economica, ma anche criticato per la gestione
dell’epidemia della polmonite atipica. Secondo i pronostici, alla consultazione
di oggi, è previsto un afflusso maggiore del 5 per cento rispetto alle
amministrative del ’99. Quasi scontata la vittoria dei democratici. I seggi
chiuderanno tra poco meno di mezz’ora.
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“Solo un inizio e non un punto di arrivo”, così il
vicepremier italiano Gianfranco Fini, riferendosi al suo viaggio in Israele,
definito dalle radio isrealiane “una
visita storica”. In un'intervista che apparirà domani su un giornale tedesco,
Fini ha parlato anche dell'incremento delle posizioni anti-semite in Europa,
affermando che “sono da collegare alle scarse conoscenze storiche”. Il leader
di An, che arriverà a Gerusalemme in serata, martedì incontrerà gli ebrei di
origine italiana e visiterà lo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto.
A Kabul, almeno un afghano è morto
e altri sei sono rimasti feriti, dopo che oggi alcuni dimostranti hanno fatto
irruzione nel ministero della Difesa. Secondo i manifestanti, i soldati di
guardia all'edificio hanno sparato alla folla, ma le autorità hanno negato.
Sono sette e non dodici, come inizialmente annunciato, gli
uomini rimasti intrappolati in una miniera della provincia di Karaman, in
Turchia. I lavoratori sono imprigionati a 300 metri di profondità dopo
un'esplosione causata da una fuga di metano.
Il Fondo
Monetario Internazionale ha concesso al Kenya l’attesissimo prestito triennale
di 250 milioni di dollari, dopo tre anni di sospensione a causa della
corruzione nel Paese africano e del ritardo nelle riforme economiche.
Migliaia
di manifestanti riuniti davanti al palazzo presidenziale a Vilnius, in
Lituania, hanno chiesto le dimissioni del presidente Rolandas Paksas. Il motivo
della richiesta è il denaro che il capo dello Stato avrebbe ricevuto da un uomo
d'affari coinvolto con il crimine organizzato.
Entro la
fine dell’anno la Cina comincerà a sperimentare sull’uomo un vaccino contro la
polmonite atipica. A renderlo noto, oggi, è l'agenzia Nuova Cina, specificando
che il vaccino è già stato testato sulle scimmie, che non hanno subito effetti
collaterali.
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