RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 324 - Testo della
Trasmissione di giovedì 20 novembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Al via oggi in
Vaticano la plenaria di “Cor Unum”: ai nostri microfoni l’arcivescovo Paul
Cordes.
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Allarme emigrazione in Libano. La denuncia arriva dai vescovi e
patriarchi riuniti a Bkirki
“Qualche infrazione, ma c’è voglia di cooperare”. A Vienna, l’Aiea esamina la crisi nucleare iraniana
Algeria, in carcere il capo del Gruppo islamico
armato
L’Onu condanna il saccheggio delle risorse nella
Repubblica democratica del Congo e chiede il ripristino dell’autorità dello
Stato
Minoranze nel mirino in Assam, nel nordest
dell’India: almeno 36 morti negli ultimi due giorni
Shevarnadze torna in testa: i risultati definitivi
delle elezioni in Georgia gli attribuiscono il 21 per cento.
20
novembre 2003
DURISSIMA
CONDANNA DELLA SANTA SEDE DEGLI ATTENTATI A ISTANBUL
E’
durissima la condanna della Santa Sede per gli terroristici avvenuti questa mattina
ad Istanbul, in Turchia, che hanno causato la morte di almeno 25 persone e il
ferimento di altre 400. Colpiti in particolare il consolato e una banca britannici: tra le vittime il console del
Regno Unito Roger Short. Il Direttore
della Sala Stampa della Santa Sede,
Joaquín Navarro-Valls, ha rilasciato
ai giornalisti la seguente dichiarazione:
**********
La logica barbara del terrorismo causa solo la morte di
innocenti e distruzione. In più aggrava i problemi che intende risolvere. Torna
in mente quanto affermato dal Santo Padre: "Il terrorismo si fonda sul
disprezzo della dignità dell'uomo" e per questo "è un crimine contro
l'umanità", soprattutto "quando si fa strategia politica”.
**********
I
DIRITTI DEI MIGRANTI E DEI RIFUGIATI IN PRIMO PIANO
NELLE PREOCCUPAZIONI DELLA CHIESA:
UNA SFIDA DA COGLIERE PER FAVORIRE
LA PACE NEL MONDO ED IL DIALOGO
ECUMENICO E INTERRELIGIOSO.
Il PAPA HA ACCOLTO STAMANE NELLA
SALA CLEMENTINA IN VATICANO
350 PARTECIPANTI AL V CONGRESSO
MONDIALE PROMOSSO
DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA
PASTORALE DEI MIGRANTI E DEI RIFUGIATI,
IN CORSO A ROMA FINO A SABATO
PROSSIMO
- Servizio di Roberta Gisotti -
**********
Un
appello agli Stati perché aderiscano e rispettino i Trattati internazionali a
tutela dei rifugiati e dei migranti, ultima la Convenzione per la protezione
dei diritti dei lavoratori emigrati e dello loro famiglie, in vigore dal 1
luglio 2003: la voce del Papa si è levata ancora una volta stamane per richiamare
la responsabilità di tutte le società civili e di ogni cristiano a riconoscere
i diritti e a rispettare la dignità umana di questi fratelli: 175 milioni –
ricordiamo - i migranti nel mondo e 40 milioni i rifugiati all’estero e gli
sfollati nel proprio Paese.
Promuovere
“il benessere di tanti uomini e donne che per svariate ragioni non vivono nelle
loro patrie – ha ricordato Giovanni Paolo II – rappresenta un vasto campo per
la nuova evangelizzazione alla quale l’intera Chiesa è chiamata”. E “importante
condizione di questo compito è riconoscere la mobilità - volontaria o
involontaria – di così tante famiglie oggi”. “La Chiesa continua a cercare di
rispondere ai segni dei tempi” e per questo il Pontificio Consiglio sta
preparando un’Istruzione che indicherà le necessità spirituali e pastorali dei
migranti e rifugiati e presenterà il fenomeno della migrazione quale via per
favorire il dialogo, la pace e la proclamazione del Vangelo”. In questo ambito
– ha sottolineato il Santo Padre – “speciale attenzione deve essere data
all’aspetto ecumenico della migrazione, con riferimento ai Cristiani non in
piena comunione con la Chiesa cattolica,
e allo stesso modo alla dimensione interreligiosa, con particolare riguardo ai
seguaci dell’Islam”. Il Papa ha auspicato quindi “un programma pastorale aperto
ai nuovo sviluppi, ma sempre attento al dovere degli operatori pastorali di
collaborare pienamente con le gerarchie locali”.
Infine
l’incoraggiamento a tutti i partecipanti al Congresso, accompagnati dal presidente
del Dicastero vaticano, il cardinale Stephen Fumio Hamao, e il richiamo al tema
centrale dei lavori “Ripartire da Cristo”, “enfatizzando la dimensione della
carità e dando speciale considerazione al mistero dell’Eucarestia, in particolare
alla liturgia domenicale”.
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Partecipa al Congresso mondiale padre Isaia Birollo,
superiore generale dei missionari scalabriniani, congregazione in prima linea
nell’assistenza ai migranti. Giovanni Peduto lo ha intervistato.
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R. – La Chiesa dev’essere sempre vicina a tutto quello che
succede nella storia; è lì proprio per dare quella testimonianza del vivere il
Vangelo con queste persone, quindi accogliere l’emigrante, il rifugiato, la
persona che si trova in questa situazione particolare, accoglierlo non solo per
aiutarlo, per assisterlo, per dargli una mano, proprio per tirarlo fuori dalla
sua situazione di emergenza, ma soprattutto perché questo emigrante, questo rifugiato
rappresenta parte della grande famiglia della Chiesa universale, dove tutti,
tutti hanno il diritto di partecipare come cittadini. Non ci sono stranieri,
perché la Chiesa è formata da tutti i popoli, non c’è una cultura superiore
all’altra, ma tutti i popoli sono chiamati a sentirsi dentro alla Chiesa, sono
invitati, sono accolti.
D. – Voi Scalabriniani siete in prima linea in quest’opera
di assistenza ai migranti: qualche episodio che ha caratterizzato la sua vita
di missionario ...
R. – Mi trovavo nel Sud degli Stati Uniti e lavoravo con
una comunità di immigrati dal Guatemala. Mi è arrivata una telefonata dalla
California, quindi eravamo lontani 2-3 mila chilometri dalla California; arriva
una telefonata da un orfanotrofio, da una casa dove ricevevano i ragazzi, e
dicevano che lì era arrivato un ragazzo del Guatemala che aveva passato il
confine dal Guatemala, aveva attraversato tutto il Messico, poi era entrato
negli Stati Uniti alla ricerca di suo padre. E di suo padre aveva solo il nome
della città in cui mi trovavo io, lì, in Florida. Abbiamo ritrovato quell’uomo.
Una bella storia, di come con la presenza della Chiesa tra gli immigranti nella
California, al servizio dei ragazzi, e in Florida, a molti chilometri di
distanza, abbiano permesso a questa famiglia di indios del Guatemala di
ricongiungersi.
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AL VIA
OGGI IN VATICANO LA PLENARIA DI “COR UNUM”
-
Intervista con l’arcivescovo Paul Cordes -
Si è
aperta oggi in Vaticano la 25° assemblea plenaria del Pontificio Consiglio “Cor
Unum”, il dicastero istituito da Paolo VI nel 1971 che promuove e coordina le
iniziative cattoliche nel campo degli aiuti umanitari e della solidarietà. Al
centro dei lavori il tema: “La dimensione della religione nella nostra attività
caritativa”. Sugli scopi di questa plenaria ascoltiamo l’arcivescovo Paul
Cordes, presidente di Cor Unum, al microfono di Giovanni Peduto:
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R. – Forse posso incominciare con una piccola esperienza
che ho fatto come Rappresentante della Santa Sede a Madrid, alla Conferenza dei
Paesi donatori per l’Iraq, con membri delle alte istituzioni della Banca
Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, il segretario di Stato degli
Stati Uniti, Colin Powell, il governatore dell’Iraq, Paul Bremer. In questa
occasione si è potuto constatare l’importante lavoro svolto: hanno raccolto la
promessa di donazioni di 32 miliardi di dollari per la ricostruzione dell’Iraq.
La prospettiva della Conferenza era però orientata esclusivamente al denaro.
Nei discorsi, i partecipanti hanno riservato il loro interesse al ‘management’
economico, perciò nel mio intervento ho cercato di sottolineare come
l’obiettivo finanziario sia solo un aspetto degli aiuti per l’Iraq. Tra i
bisogni devono essere considerati anche i fattori non materiali dell’essere
uomo. Certamente, gli sforzi devono essere incentrati sulla sicurezza sociale,
devono garantire alla popolazione cibo, abitazione e vestiario, ma contano
anche le consuetudini di vita, la cultura, la religione, l’autostima dei
riceventi. Perché i poveri – e questo si è visto spesso – si lasciano aiutare
solo a questa condizione, percepiscono se la loro dignità è considerata o se si
tratta unicamente di realizzare progetti decisi sulle loro teste. Ecco perché
per me Madrid è stata un esempio per noi, come agenzia di aiuto: dobbiamo
includere formalmente anche la religione nelle nostre deliberazioni. Per questo
siamo anche fortemente convinti che la nostra assemblea plenaria sia
importantissima non solo per “Cor Unum” ma anche per tutte le iniziative di
aiuto di fronte alla miseria dell’uomo, alla guerra, al terrorismo.
D. – Un accenno a come si articoleranno i lavori ...
R. – Sarà il cardinale camerunense Tumi che ci parlerà
della dimensione religiosa nell’uomo. Penso che la sensibilità dell’uomo
africano sia ancora molto più sviluppata per quanto riguarda la dimensione
trascendentale; lo statunitense Kenneth Hacket, direttore della maggiore
agenzia caritativa cattolica del mondo, la Catholic Relief Services,
spiegherà il rapporto tra finanziamentopubblico e la libertà decisionale delle
agenzie, perché spesso quando terzi danno denaro alle agenzie della Chiesa, la
Chiesa non è più libera. Sul versante ecumenico, parteciperà ai lavori un
rappresentante del Consiglio mondiale delle Chiesa, il direttore per gli affari
internazionali Peter Weidwood, che approfondirà il delicato rapporto tra
organismi di aiuto e istituzioni governative internazionali.
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Nel
corso della mattinata il Papa ha ricevuto anche il ministro degli Esteri
della Corea, Yoon Young-Kwan, e
seguito.
Il
Santo Padre ha quindi ricevuto alcuni
presuli della Conferenza episcopale del Belgio, in visita "ad
Limina Apostolorum" e il cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
"Una
strategia di morte” è il titolo di apertura della prima pagina in riferimento
ai due attentati terroristici compiuti a Istabul da Al Qaeda e nei quali sono
rimaste uccise almeno 25 persone e quattrocento quelle ferite. Bush e Blair dichiarano
l’intenzionalità di restare uniti nella lotta al terrorismo.
“Rivolgere particolare attenzione all’aspetto
ecumenico e interreligioso delle migrazioni, specialmente per quanto riguarda i
seguaci dell’Islam”: è il messaggio che Giovanni Paolo II ha rivolto ai
partecipanti al V Congresso della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati
Nelle pagine vaticane, articoli dedicati alla
Giornata “pro Orantibus”.
Nelle pagine estere, Medio Oriente: l’Onu vota la
risoluzione russa sulla “road map”; Abu Ala avvia le consultazioni con i gruppi
palestinesi per arrivare ad una tregua con Israele. Bush critica il “muro”, ma Israele ribadisce che la
costruzione andrà avanti; Sharon chiude la crisi diplomatica con l’Austria.
Iraq: due bambini muoiono per un’esplosione in una scuola a Kermali;
assassinato a Bassora il rappresentante del partito cristiano; autobomba a
Ramadi provoca diversi morti; all’Onu si valuta l’ipotesi una nuova
risoluzione; gli Usa mettono una taglia per la cattura di Izzat Ibrahim
Al-Douri (vice di Saddam Hussein). Vertice Usa-Gran Bretagna: George W. Bush a
Londra ribadisce l’intenzione di “esportare” la democrazia in tutto il mondo.
Nella pagina culturale, una mostra al Vittoriano di Roma
ricorda la figura di Alcide De Gasperi a cinquant’anni dalla morte
Nelle pagine italiane, le polemiche dopo l’allarme del
Sismi sui rischi di attentati contro i militari italiani in Iraq, i funerali
nei luoghi di origine delle vittime di Nassiriya e il tema della Finanziaria
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20
novembre 2003
SENZA FINE LA FOLLIA DEL
TERRORISMO:
NUOVI ATTENTATI AD ISTANBUL
Torna a colpire la violenza del
terrorismo in Turchia. Diverse esplosioni, causate da Kamikaze, stamani hanno
nuovamente sconvolto Istanbul. Colpiti soprattutto punti sensibili e di
interesse britannici. Anche questa volta drammatico il bilancio delle vittime,
un bilancio che purtroppo sembra destinato a salire. 25 sinora i morti -
britannici, turchi e di altre nazionalità - e 400 i feriti. Tra le vittime
anche il console britannico Roger Short. Una giornata che cade dopo i due
sanguinosi attentati di sabato scorso sempre a Istanbul. Ci riferisce in studio
Giancarlo La Vella:
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Due violentissime esplosioni che hanno preso di mira la
banca britannica Hsbc e il consolato del Regno Unito. Per tutta la mattinata si
sono inseguite voci contrastanti sull’entità della nuova offensiva
terroristica. Sembrava in un primo momento che le esplosioni fossero cinque e
che fosse stato colpito anche il consolato israeliano. Poi il ridimensionamento
solo sulla carta di quanto successo, vista l’entità del numero delle vittime, e
dietro cui ancora una volta c’è Al Qaeda. Dopo gli attentati, una persona ha
telefonato all'agenzia turca Anadolu ed ha affermato che le esplosioni di
questa mattina a Istanbul sono frutto di un'azione congiunta della rete di
Osama Bin Laden e del gruppo turco
Ibda-C.
Nella città di Istanbul le autorità locali hanno decretato
l’allarme rosso, ovvero il massimo grado d’allerta per la sicurezza
pubblica. Unanime la condanna internazionale e il cordoglio per questa nuova
giornata di sangue che colpisce soprattutto la Gran Bretagna. E proprio da
Londra, dove si stanno incontrando, il presidente Bush e il premier Blair hanno
ribadito la scelta della fermezza per battere il terrorismo. “Non riusciranno
ad intimidirci e a demoralizzarci” – ha detto con forza il capo della Casa
Bianca, confermando le tappe della transizione dei poteri in Iraq dalle forze
anglo-americane ad un’autorità locale legittima. Gli hanno fatto eco le parole
del premier britannico Blair secondo il quale “nessun compromesso, nessuna
marcia indietro può essere intrapresa di fronte al terrorismo. Resteremo in
Iraq fino alla fine”. Forte la preoccupazione di Javier Solana, alto rappresentante
europeo per la politica estera: “gli attentati di oggi a Istanbul – ha detto –
hanno colpito un Paese molto vicino all’Unione Europea e ci spingono a
proseguire la cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo”.
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Ma perché colpire ora il consolato britannico e una
banca britannica? Risponde il
giornalista turco Dundar Kesapli, corrispondente da Roma per la televisione
turca TV8:
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R. - Durante la guerra in Iraq i terroristi, Al Qaeda,
avevano dichiarato l’inten-zione di colpire diversi Paesi del mondo. Visto e
considerato che Istanbul, la Turchia è un Paese vicino all’Europa è forse più
facile colpire questo posto per vendicare tutto quello che è accaduto durante
la guerra in Iraq. E’ sicuramente un modo per vendicarsi, un modo per tenere
sotto pressione i Paesi alleati, l’America, la Gran Bretagna, che hanno subito
danni.
D. – Soltanto
sabato gli attentati alle due sinagoghe di Istanbul. Perché colpire di nuovo la
città?
R. - Forse perché
vogliono arrivare fino in fondo a spaventare la gente. Dopo gli attentati che
ci sono stati in varie località di Istanbul, molti li hanno definiti molto
simili a quelli dell’11 settembre.
D. – La Turchia si aspettava questa ennesima tragedia?
R. – Dopo quelli delle sinagoghe forse no, però alla
sinagoga può darsi che se l’aspettavano. Infatti c’erano misure di massima sicurezza
intorno a tutte le ambasciate, obiettivo dei terroristi di Al Qaeda.
Effettivamente è difficile dire se finiranno, quando finiranno questi
attentati. E’ una triste constatazione dopo quanto è accaduto nel cuore di
Istanbul.
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“Il terrorismo è una minaccia contro la civiltà” e “opera
con inaudita violenza”. E’ quanto afferma il presidente della Repubblica,
Ciampi, nel messaggio di cordoglio inviato al presidente della Repubblica di
Turchia, Ahmet Mecdet Sezer. Tra lo sgomento di tutti, ci si chiede come
sperare in una globalizzazione di quella volontà di pace più volte palesata da
tanta parte dell’opinione pubblica in tutto il mondo. Fausta Speranza lo ha
chiesto al prof. Luigi Bonanate,
docente di relazioni internazionali all’Università di Torino:
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R. – Soltanto le opinioni pubbliche, in questo momento,
hanno la possibilità di fare interventi davvero significativi. Ma naturalmente,
quando dico opinione pubblica, non intendo soltanto quella delle grandi
metropoli dell’Occidente; intendo dire anche l’opinione pubblica islamica. Noi
sappiamo perfettamente che non tutto l’Islam è fondamentalista. Bene: perché
non invitiamo il mondo islamico pacifico a manifestare con noi? Abbiamo
addirittura inventato il modello della guerra delle civiltà e non abbiamo
cercato di dialogare con l’Islam civile almeno quanto l’Occidente. Dall’11
settembre del 2001 abbiamo praticamente interrotto i canali di comunicazione
con l’Islam. Cosa facciamo per aiutare, dal punto di vista economico, l’Islam
per bene?
D. – Quindi, a parte l’aspetto mediatico, lei sta parlando
proprio di responsabilità politica, in questo senso?
R. – Ma, io penso proprio di sì. E’ chiaro, si tratta di
responsabilità politiche che non possono essere accollate a questo o a quello
statista; è una storia che noi dobbiamo rimeditare, è la storia del rapporto
tra il mondo occidentale, sviluppato, ricco e fortunato nei suoi rapporti con
il mondo islamico o quanto meno, più in generale, con il mondo della povertà e
dell’arretratezza. Dopo aver vinto la guerra con il comunismo, invece di aprire
quella con l’Islam, si sarebbe dovuto cercare di aprire dei grandi canali di
‘conversazione’, cioè di rapporto reciproco con un mondo che, tra l’altro, sta
espandendosi in tutte le aree del mondo sviluppato. Non possiamo continuare a
considerarli soltanto dei nemici. Mi rendo conto che in questo momento c’è
l’emergenza, c’è il pericolo, c’è anche la paura, suppongo, dei cittadini. Ma
se noi cadiamo in questa spirale facciamo in realtà, tra l’altro, il gioco di
quelle frange minoritarie ma proprio per questo ancora più capaci di agire e
che continueranno a colpire.
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OGGI
LA GIORNATA MONDIALE DELL’INFANZIA
-
Interviste con Luca Leoni, Maria Rita Saulle e Antonello Sacchetti -
Ricorre
oggi la Giornata Mondiale per l’Infanzia in occasione degli anniversari di due
importanti documenti internazionali per la tutela dei bambini nel mondo: la
Dichiarazione dei diritti del bambino del 20 novembre 1959 e della Convenzione
internazionale ONU sui diritti dell’Infanzia del 20 novembre 1989. Il servizio
è di Stefano Leszczynski.
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I bambini soggetti, portatori di diritti umani
inviolabili, al pari degli adulti. Eppure, nel mondo sono ancora milioni i
ragazzi e le ragazze tra gli 0 ed i 18 anni che nessuna legislazione tutela o
difende da abusi e violenze generalizzate. Guerre, carestie, povertà sono solo
alcuni dei flagelli che investono l’età dell’innocenza trasformando la vita in
un incubo. La testimonianza di Luca Leoni, autore del libro-dossier “Infanzia
Negata”:
“Sono 300 milioni i bambini che vivono in queste
condizioni, ed è ancora più aberrante il fatto che a fronte di così tanti
bambini sfruttati, violentati, rovinati per tutta la vita, l’altra faccia della
medaglia siamo noi, in quanto società opulenta che molto spesso beneficia dello
sfruttamento di questi bambini. I dati che mi hanno colpito di più, però, forse
sono stati quelli sui bambini-soldato. C’è chi parla di 300 mila, chi di mezzo
milione di bambini-soldato, ed è un po’ la fotografia della condizione
infantile nel mondo”.
Ma quale significato attribuire allora alla giornata
mondiale dell’infanzia, e quanto resta ancora da fare? Ce lo spiega Maria Rita
Saulle, docente di diritti umani alla Sapienza di Roma:
“Non possiamo essere particolarmente soddisfatti, non solo
perché i bambini spesso sono vittime di attentati e di guerre, mai come in
questo periodo, ma anche perché negli Stati cosiddetti industrializzati o negli
Stati più evoluti, la situazione dei bambini è spesso quella di abbandono,
anche da parte dei genitori benestanti, oggetto di attentati alla loro
innocenza attraverso l’internet, attraverso la pedofilia, attraverso varie
situazioni. E c’è da dire che tutto questo potrebbe migliorare con maggiore
attenzione e soprattutto applicando il principio della Convenzione che parla
del superiore interesse del minore”.
Molto è stato fatto in questi ultimi anni in materia di
difesa dell’infanzia e di promozione dei diritti dei più piccoli, soprattutto
nei Paesi più avanzati. Ma c’è veramente da stare tranquilli? Antonello
Sacchetti, portavoce di Save the Children Italia:
“In genere siamo tutti convinti che i problemi come la
fame, come il diritto alla vita, come il diritto all’istruzione siano problemi,
tematiche esclusive dei Paesi in via di sviluppo. Non è così. Per esempio,
nella civilissima Gran Bretagna, quindi – insomma – in Europa, in una realtà
molto simile alla nostra, quella italiana, c’è invece un problema di povertà,
un problema che riguarda un milione di ragazzi sotto ai 18 anni; per povertà
intendo una condizione che sfiora l’indigenza, cioè si fa fatica a raggiungere
le calorie necessarie a vivere, si fa fatica a trovare il denaro per comprare
indumenti pesanti per l’inverno ed ovviamente tutto questo si paga anche in
termini di esclusione sociale, quindi si paga con il ritardo nelle scuole, con
il ritardo nella crescita e poi, ovviamente, nel mondo del lavoro”.
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VISTO PER LA PRIMA VOLTA DOPO SEI ANNI IL VESCOVO
CINESE SU ZHIMIN:
E’
ANCORA AGLI ARRESTI
-
Intervista con padre Bernardo Cervelliera -
Dopo
più di 6 anni, per la prima volta il vescovo cinese mons. Giacomo Su Zhimin è
stato visto in un ospedale di Baoding, nella provincia cinese dell’Hebei. E’
stato arrestato almeno 5 volte, l’ultima nel ’97. Ne ha dato notizia Asia News,
l’agenzia del Pime, che riprende le informazioni diffuse dalla Kung Foundation
di Stanford. Per avere più informazioni Debora Donnini ha sentito il direttore
di Asia News, padre Bernardo Cervellera.
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R. – Il
fatto è che è stato visto all’ospedale, dove sembra sia stato curato per
un’operazione all’occhio e al cuore, perché ammalato. Lui ha 72 anni. Il punto
è che alcuni fedeli sono andati a visitarlo, ma all’ospedale hanno detto che
non c’era, che non era registrato tra i pazienti. Chi l’ha visto ha detto che
il vescovo era circondato da almeno una ventina di poliziotti. Questo significa
due cose: o che il vescovo è molto grave, perché ormai da sei anni è rimasto
isolato in un luogo che nessuno conosceva, anzi alcuni temevano che fosse
morto; oppure che il vescovo sta per essere ‘restaurato’ per essere liberato.
Questo perché appunto da oltre sei anni tantissimi gruppi, organizzazioni non
governative, ed anche governi hanno chiesto la sua liberazione. Perché lui,
assieme al suo vescovo ausiliare Francesco An Su Shin, sono praticamente i
prigionieri da più tempo nelle mani della polizia cinese.
D. –
Quindi, come commenta lei questa notizia?
R. – Io
trovo che anzitutto sia un miracolo che sia vivo. Però, bisogna anche chiedere
al governo cinese che liberi veramente questi vescovi e tanti altri sacerdoti
arrestati, e garantisca la libertà religiosa alla popolazione cinese. Vorrei
anche dire che da diversi anni molti monasteri di clausura stanno pregando per
la liberazione di questi vescovi.
D. –
Mons. Giacomo Su Zhimin è vivo, però non si sa dove sia attualmente…
R. –
Non si sa dove sia, perché è scomparso anche dall’ospedale. Bisogna pregare
intensamente, fare pressioni sul governo cinese perché questi vescovi vengano
liberati. Sono anziani e quindi hanno una salute molto cagionevole.
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IL VATICANO, LA STAMPA CATTOLICA E LE LEGGI
RAZZIALI IN ITALIA
A 65
ANNI DALLA PROMULGAZIONE.
PRIMO
PIANO SUL MOVIMENTO POPOLARE DI BOLOGNA E “L’AVVENIRE D’ITALIA”
- A
cura di A.V. -
Concludiamo
la nostra inchiesta sulle reazioni della stampa cattolica alla legislazione
razziale italiana del 1938, nel 65° anniversario della promulgazione. Fedeli
alla voce del Papa Pio XI, fermo avversario del nazionalismo e del razzismo,
rimasero anche sotto il regime fascista “L’Osservatore Romano” e “La Civiltà
Cattolica”. Gli altri organi diocesani e confessionali subirono alterne
vicende, determinate dalla censura dell’epoca: molte testate cattoliche vennero
chiuse, altre subirono pesanti minacce e saccheggi nelle redazioni. Ma sentiamo
in proposito A.V.:
**********
A
Bologna, dove la presenza cattolica era importante, anche in termini di
cooperazione sociale, già dalla fine dell’800, e dove nel 1919 era sorto il
Partito Popolare Italiano, nel 1920 il Comune viene commissariato, e dopo la
Marcia su Roma del ’22 il Fascismo si impossessa progressivamente
dell’amministrazione provinciale. Anche il mondo cattolico non resta indenne da
questo processo, spiega lo storico Giampaolo Venturi, autore del libro “Il
Partito Popolare Italiano in Emilia Romagna 1919-1926” (Ed. Cinque Lune):
R. –
Dal ’23, soprattutto, la stampa bolognese si allinea progressivamente a favore
del Fascismo, perché rinvia all’insieme dei giornali presieduto da Giovanni
Grosoli di Ferrara, il quale fa la scelta del Centro nazionale italiano. Il
giornale propriamente impegnato dal fascismo era “Il Resto del Carlino”.
D. – Le voci libere dei cattolici popolari come si
esprimono allora?
R. – Attraverso altri periodici direttamente di partito o
attraverso voci collaterali, come ad esempio giornali con titoli significativi
del tipo “La Semente”, in formato tra l’altro molto piccolo, ed ancora più
piccolo “Il Sementino”. Fra la stampa cattolica dell’epoca anche "Il
Mulo" di Rocca d'Adria (sequestrato e sospeso a fine 1924), il “Diario” di
Imola, periodico della Diocesi diretto da Don Giovanni Bettelli e "La
sorgente” diretta da C. Strazziari, nata nel 1924, chiusa due anni più tardi, ,
che si avvalse della collaborazione di F. Milani e V. Gotti. Nel ‘26 “L’Avvenire” cambia proprietà e viene
affidato ad un gruppo che viene da Milano, intitolato al cardinal Ferrari,
allora dei Paolini. Poi, nel ’27, arriva il direttore Raimondo Manzini. Da quel
momento “L’Avvenire” fa una scelta diversa. Non potendo scegliere di essere un
giornale politico – non c’erano più testate libere, allora si trovò la
soluzione: si scelse di fare un giornale religioso. Quindi, Manzini, che era il
più adatto in questo senso, perché era di fatto un consacrato laico, venne a
Bologna con l’intento di fare un giornale religioso, prendendo anche posizione
con coraggio e con il rischio di essere soppresso, ma mantenendosi sempre su
questa linea di un giornale che esprimeva il modo di essere della Chiesa. Fra i
collaboratori dell'"Avvenire" in quegli anni: Salviati, Corsanego,
Gonella, Civardi, Baroni, Bargellini, Dalla Torre. Si sono avuti punti di
frizione anche molto forti, non solo nei confronti del “Resto del Carlino”
nelle sue posizioni fasciste, ma soprattutto del locale “Assalto”. “L’Assalto”
era il periodico locale del fascismo bolognese, che ha contato, non
dimentichiamolo, nomi di importanza nazionale, a cominciare da Grandi, lo
stesso Arbinati e Pini, poi direttore
del “Resto del Carlino fra il ’43 e il ‘45.
D. – 1931-1938: l’attacco all’Azione Cattolica,
l’emanazione delle Leggi Razziali. L’opposizione della Chiesa cattolica in
questi due casi sulla stampa è comparabile?
R. – In entrambi i casi la situazione della stampa,
pensando in particolare a “L’Avvenire”, fu di estrema misura. Manzini aveva
questa capacità (non va dimenticato che poi fu chiamato nel ’58 alla direzione
de “L’Osservatore Romano”), di dirigere un giornale in termini diplomatici, se
posso esprimermi così. Manzini condusse tutta la “battaglia” sia nell’uno che
nell’altro caso, durante tutto il decennio, con estrema tensione e ribadendo sempre
la dimensione ecclesiale, il magistero pontificio in genere della Chiesa, come
diverso da tutta l’impostazione che veniva data. “L’Avvenire” costituiva una
sorta di alternativa all’unico modo di pensare e di scrivere che veniva
presentato nel Paese. Anche perché il riferimento stabile de “L’Avvenire” era
“L’Osservatore Romano”. Quindi, era proprio la stampa del Papa che in qualche
modo era autonoma, che faceva da misura per “L’Avvenire”. “L’Avvenire” in
quegli anni ’30 non fu più soltanto il giornale regionale, acquistò un
prestigio crescente.
D. – Quali erano le firme, gli intellettuali che scrissero
all’epoca?
R. – Penso al personaggio più noto di Bologna del Partito
Popolare, che era Fulvio Milani. Rimase nel giro bolognese, ma al riparo da ogni
accusa di continuare a fare partito. La posizione di Milani era la posizione
anche di altri, i quali, nello stesso modo, facevano uso di uno pseudonimo. Non
dimentichiamo il caso di De Gasperi, illuminante per tutti. Gli pseudonimi
erano necessari, per continuare a collaborare. Fra i personaggi oggi più considerati
del tempo, figura interessante è stata quella di don Emilio Faggioli,
assistente scouts; e anche il domenicano padre Casati.
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20
novembre 2003
LA FORTE PREOCCUPAZIONE DEI VESCOVI EUROPEI PER
L’APPROVAZIONE,
IERI
POMERIGGIO, AL PARLAMENTO DELL’UNIONE DI UNA RACCOMANDAZIONE
A
FAVORE DEL FINANZIAMENTO UE DI PROGETTI DI RICERCA
CHE
UTILIZZANO EMBRIONI UMANI E CELLULE STAMINALI EMBRIONALI UMANE
- A cura di Fausta Speranza -
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STRASBURGO. = Forte preoccupazione esprime la Commissione
delle Conferenze Episcopali Europee (Comece) in seguito all’approvazione da
parte del Parlamento dell’Unione di una raccomandazione a favore del finanziamento
di progetti di ricerca che prevedono l’utilizzo di embrioni umani e di cellule
staminali embrionali umane. Il voto al Parlamento europeo c’è stato ieri
pomeriggio con 298 sì, 214 no e 21 astenuti. Secondo i vescovi europei,
ricerche di questo tipo “sollevano fondamentali problemi morali” e proprio per
questo “la legislazione interna di molti Stati membri dell’Unione non le
ammette” e, inoltre, quegli stessi Stati “si sono opposti quando si è trattato
di stanziare fondi del budget europeo”. Il voto di ieri – spiegano i vescovi
europei – contrasta la condizione posta dalla Commissione, secondo la quale
soltanto gli embrioni esistenti prima della data limite del 27 giugno 2002
possono essere usati, e dunque distrutti, allo scopo di ottenere cellule staminali
embrionali. Inoltre – avvertono i vescovi – si apre la strada alla possibilità
di incentivare indirettamente la creazione di embrioni umani al solo scopo di
sfruttarli per le ricerche. Con la
raccomandazione rivolta al Consiglio dei Ministri dell’Unione perché non
approvi il via libera allo stanziamento di fondi, i vescovi ribadiscono di
restare contrari, in linea di principio, alla distruzione di qualsiasi embrione
umano con l’obiettivo di ottenere cellule staminali.
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ALLARME
EMIGRAZIONE IN LIBANO. LA DENUNCIA ARRIVA DAI VESCOVI E PATRIARCHI
RIUNITI
A BKIRKI. LA PREOCCUPAZIONE MAGGIORE RIGUARDA I GIOVANI
CHE
VANNO VIA PER NON TORNARE PIU’ .
PRESENTATE
LE LINEE GUIDA PER LIMITARE IL FENOMENO
BEIRUT. = Una continua emorragia di risorse umane che il
Libano vive a causa della partenza, senza prospettive di ritorno, di molta
parte dei giovani cristiani. E’ quanto denuncia la Chiesa cattolica libanese,
attraverso l’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici libanesi, che si
è riunita a Bkirki, sede del Patriarcato maronita. La 37.esima sessione annuale
è stata consacrata al tema dell’emigrazione e della diaspora, focalizzando
innanzitutto l’attenzione sul primo punto, “una delle piaghe più sanguinose
della comunità cristiana nel Paese dei Cedri”. L’incontro ha visto la
partecipazione del Patriarca maronita Nasrallah Butros Sfeir, del Patriarca
armeno Nerses Bedros XIX, e del Patriarca melchita Gregorios III Laham.
Presenti anche numerosi vescovi delle varie diocesi. Un quadro preoccupante
quello che emerge dal documento finale dell’incontro: la scelta dei giovani
libanesi di emigrare all’estero ha raggiunto, negli ultimi anni, livelli
allarmanti. Elemento ancor più grave: i giovani lasciano il Paese con
l’intenzione di non rientrare mai più.
L’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi offre dunque delle linee guida per
ridurre gli effetti di questa “emorragia di risorse umane”. I prelati vogliono
un’applicazione “adeguata e fedele” degli accordi di Taif del 1990 che
sancivano la fine della guerra civile libanese. Non manca un accenno di critica
alla “sovranità” non paritaria in chiaro riferimento alla presenza militare
siriana nel paese. Uno dei maggiori ostacoli ad un eventuale rientro dei
giovani in patria sta poi nelle norme che riguardano il servizio di leva.
Riguardo a questo punto, il Patriarca Sfeir ha fatto appello affinché i giovani
nati o vissuti all'estero per più di 5 anni siano esonerati dal servizio
militare. (S.S.)
SI CELEBRA OGGI LA GIORNATA DI “REPORTER
SAN FRONTIERES”
PER RICORDARE
I 130 GIORNALISTI IN PRIGIONE IN DIVERSE REGIONI DEL MONDO.
UN
MODO PER CELEBRARE LA LIBERTA’ D’INFORMAZIONE,
COME
DIRITTO FONDAMENTALE PER TUTTI
MILANO.
= Una giornata per la libertà d’informazione e per la liberazione dei 130
giornalisti, attualmente detenuti per aver fatto il loro lavoro in venti Paesi
dove non esiste liberta' di espressione. Questo il senso della celebrazione
odierna organizzata in tutto il mondo da “Reporter sans frontieres”, cha
alla vigilia ha diffuso una serie di dati sulla difficile situazione
dell’informazione in alcune regioni del mondo. Al 30 ottobre scorso sono stati
uccisi 31 reporter, più di 350 sono stati indagati e 600 minacciati o
aggrediti; 250 le testate censurate. ''Per la metà dei Paesi che siedono
all'Onu - scrive “Reporter sans frontieres” - la libertà di stampa è
un'espressione priva di significato: un principio sì affermato, ma altrettanto
disinvoltamente sbeffeggiato, nonostante la maggior parte di questi Stati
abbiamo firmato e ratificato tutti i trattati e le convenzioni che garantiscono
questo fondamentale diritto''. A Milano la sezione italiana dell'associazione,
per sostenere la propria opera, ha messo in vendita un magazine con 80 immagini
scattate da Helmut Newton ed ha invitato le redazioni ad adottare sei
giornalisti le cui condizioni fisiche sono particolarmente gravi. (S.S.)
I CAMPESINOS SONO ARRIVATI IERI
A BRASILIA PER CHIEDERE
AL PRESIDENTE LUIZ IGNACIO LULA DA SYLVA LA
RIFORMA AGRARIA.
CHIESTI MAGGIORI STANZIAMENTI PER I DIRITTI
DERIVANTI
DALLA CONFISCA DI TERRENI E LA FORMAZIONE DEI
LAVORATORI
BRASILIA. = E’ arrivata ieri a
Brasilia la marcia dei circa 1.700 “campesinos” partiti lo scorso 10
novembre da numerosi stati brasiliani per partecipare alla “Marcia nazionale
per la riforma agraria”. La Confederazione nazionale dei lavoratori
dell’agricoltura chiede al governo del presidente Luiz Inácio Lula da Silva di
stanziare il prossimo anno, nel budget della riforma agraria, quattro miliardi
di reales - circa un miliardo e 136 milioni di euro- per il pagamento dei soli
diritti sulle terre che dovrebbero essere confiscate dallo Stato e distribuite
ai contadini senza terra. Richiesto, inoltre, lo stanziamento, nei prossimi
quattro anni, di un totale di 7 miliardi e 700 milioni di reales, anche per la
necessità di formare i lavoratori e di dotarli delle strutture minime per
avviare l’attività agricola. Per oggi è attesa, nel centro della capitale, la
riunione di circa 5mila “campesinos”, giunti da ogni parte del Paese.
Incontreranno il ministro dello sviluppo agricolo, Miguel Rossetto, che tenterà
di illustrare i piani del governo. Lula nelle scorse settimane aveva dovuto
fare marcia indietro rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale,
ammettendo di non avere denaro sufficiente a garantire l’assegnazione di terre
a più di 25 mila famiglie tra il 2003 e il 2004. (S.S.)
A QUARANT’ANNI DALLA MORTE, E’ ANCORA
VIVO IL RICORDO DELLA FIGURA
DI JOHN FITZGERALD KENNEDY. PER RICORDARE LA STRAORDINARIA
PARABOLA UMANA E POLITICA DEL PRESIDENTE AMERICANO, LA CAMERA DEI DEPUTATI HA
ORGANIZZATO UN CONVEGNO E UNA MOSTRA A MONTECITORIO
- A cura di Alessandro Gisotti -
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ROMA. =
A quarant’anni dalla sua tragica morte, John Fitzgerald Kennedy continua ad
essere una delle figure più popolari nel mondo, fonte di ispirazione per molti,
e non solo negli Stati Uniti. Per celebrare il carismatico leader americano, a
Montecitorio è stata allestita una suggestiva mostra, inaugurata stamani con un
convegno di studi introdotto dal presidente della Camera dei deputati, Pier
Ferdinando Casini. All’incontro, oltre a numerosi studiosi, sono intervenuti lo
storico Arthur Schlesinger, tra i più stretti collaboratori di Kennedy, e la
sorella del presidente americano, Jean, che lo accompagnò nella visita in Italia,
nel luglio del 1963, quattro mesi prima dell’assassinio a Dallas. La mostra,
curata dal giornalista Gianni Bisiach, ripercorre i principali momenti della
vicenda personale e politica del presidente Kennedy, primo e finora unico
cattolico ad insediarsi nella Casa Bianca. Attraverso immagini, riviste, libri
e giornali vengono raccontati passaggi cruciali della sua breve, ma intensa
presidenza: dalla crisi di Cuba alla lotta per i diritti civili, dal confronto
con l’Unione Sovietica di Krusciov alla conquista dello spazio, ancora allo
storico incontro in Vaticano con Papa Paolo VI. Un presidente insomma molto più
concentrato sulla politica estera che su quella interna. Nel suo intervento,
Casini ha sottolineato la grande attualità dell’aspirazione kennedyana alla
pace, all’eguaglianza, alla libertà, così come il richiamo al multilateralismo
sempre ricercato da Kennedy, convinto che le Nazioni Unite andassero rafforzate
nel mondo diviso in due blocchi. Schlesinger ha invece messo l’accento sulla
grande considerazione che il più giovane presidente americano nutriva per
l’Europa. Era convinto che un’Europa forte non sarebbe stata un rivale, bensì
un partner dell’America. Quindi, con una serie di aneddoti ha parlato del
viaggio in Italia di Kennedy. Visitando il Campidoglio – ha ricordato – il
leader di un Paese d’immigrati fece notare che rappresentava più italiani del
sindaco di Roma.
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20
novembre 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
Mentre il terrorismo continua a mietere vittime in
Turchia, le violenze non si placano neppure in Iraq. Diversi attacchi si sono
succeduti questa mattina, sia da parte irachena che americana. Ecco la cronaca:
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Tre vittime a Kirkuk, almeno 2 a Ramadi: sono ormai le
esplosioni delle autobombe a scandire il passare delle ore in un Paese che –
come ha dichiarato al Corriere della Sera il nunzio, mons. Fernando Filoni –
vive “una sorta di deterioramento”: alto il tasso di violenza, “molto ridotta”
l’attività diplomatica. Tra gli errori da evitare, ha aggiunto il presule,
quello di abbandonare l’Iraq a se stesso e quello di imporre agli iracheni
“prospettive e soluzioni che non sentono come proprie”.
Le vittime degli attacchi di
questa mattina – alle quali va aggiunta anche una guardia, uccisa davanti
all’ambasciata giordana di Baghdad – sono stati gli esponenti del partito
curdo, membri del nuovo governo provvisorio, e quelli di un Consiglio locale
giudicato troppo vicino agli americani. La stessa colpa che, martedì sera a Bassora,
era costata la vita ad un membro del Movimento democratico assiro. Ma le
violenze delle ultime ore non hanno risparmiato neppure i bambini – ieri ne
sono morti due, per l’esplosione di un ordigno in una scuola di Kerbala – né,
va detto, gli stessi iracheni, duramente colpiti dall’intensificarsi
dell’offensiva militare americana.
Il raid più pesante è avvenuto
stamattina a Tikrit, città natale di Saddam Hussein: almeno 10 le vittime,
presunti autori di un attacco nei giorni scorsi. Altre 8 persone erano state
uccise ieri, nell’operazione “Martello
di ferro”, lanciata dalla Casa Bianca. Da Londra, Bush ha cercato di
giustificarla, affermando che la sicurezza mondiale riposa su “tre pilastri:
istituzioni multilaterali, capacità di ricorrere alla forza quando necessario
ed esportazione della democrazia e dello sviluppo”. Parole che, evidentemente,
non hanno convinto gli inglesi: saranno in decine di migliaia, oggi pomeriggio,
a sfilare verso il Parlamento, in segno di protesta contro il vertice di questa
mattina tra il presidente degli Stati Uniti ed il premier Blair.
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“Teheran ha commesso omissioni ed infrazioni, ma è pronta
a collaborare”. Lo ha affermato Mohammed El Baradei, direttore generale
dell’Agenzia Onu per l’energia atomica, che oggi e domani è riunita a Vienna
per discutere della crisi nucleare iraniana. El Baradei ha chiesto maggiori
poteri al Consiglio dei governatori ed ha annunciato l’avvio di ispezioni più
severe nei confronti dell’Iran.
Importante arresto in Algeria: in carcere Rachid Abu
Tourab, leader del Gruppo islamico armato. Ferito in uno scontro a fuoco, era
rifugiato nella casa dei suoi genitori a Saoula, alle porte di Algeri. In più
occasioni, la stampa algerina aveva annunciato la sua morte: l’ultima volta, a
luglio. I fondamentalisti del Gia, contrari alla politica di riconciliazione
nazionale del presidente Bouteflika, sono impegnati in una lotta armata con
l’esercito che, dall’inizio dell’anno, ha già causato 840 vittime.
Israele è disposto ad accettare la road map, ma
“solo se la sua attuazione sarà verificata esclusivamente dagli Stati Uniti”.
Così il governo dello Stato ebraico ha risposto, stamattina, alla risoluzione
1515 approvata nella notte dall’Onu, che ha adottato il piano di pace elaborato
con Washington, Bruxelles e Mosca. Sul terreno, intanto, è da segnalare la
morte di una turista ecuadoriana, rimasta ferita ieri in un attacco al valico
di Eilat.
Dopo tre anni di monitoraggio nella Repubblica democratica
del Congo, il Consiglio di sicurezza dell’Onu è tornato a condannare il
saccheggio delle risorse naturali nel Paese africano. Ce ne parla Alessandro
Guarasci:
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Il documento, consegnato al Palazzo di Vetro il 30 ottobre
scorso, sottolinea che lo sfruttamento illegale delle risorse congolesi costituisce
una delle principali fonti di finanziamento dei gruppi armati protagonisti del
conflitto in ex Zaire. Il Consiglio ha condannato “categoricamente” il saccheggio,
chiedendo che cessi al più presto ed invitando “tutti gli Stati coinvolti,
soprattutto quelli confinanti, a prendere misure appropriate” in tal senso. Il
Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha inoltre precisato come lo sfruttamento delle
risorse congolesi sia strettamente legato al traffico di armi, e per questo ha
fatto sapere che è attualmente in fase di studio “un meccanismo di
sorveglianza” che consentirebbe un monitoraggio più efficace delle violazioni
all’embargo sulle armi destinate all’ex Zaire decretato lo scorso luglio.
Sottolineato, inoltre, che un “elemento determinante”, per mettere fine allo
sfruttamento illegale delle risorse congolesi, è rappresentato dal ripristino
dell’autorità dello Stato, attraverso il governo di unità nazionale attualmente
in carica a Kinshasa, su tutto il territorio nazionale.
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Terribili violenze in Assam, nel nordest dell’India,
contro le minoranze di lingua indi e bengali: almeno 36 vittime negli ultimi
due giorni. In vigore il coprifuoco, ma per ora il governo non invia soldati.
Rallenta il processo di pace in Burundi: la trasformazione
delle Forze per la difesa della democrazia da gruppo di guerriglia in partito
politico, prevista per oggi, è stata rimandata sine die.
I deputati del nord Uganda hanno lasciato il Parlamento:
vi ritorneranno solo quando il governo affronterà la grave crisi della regione.
Appello alla comunità internazionale, per un aiuto “anche militare”.
14 persone sono in ostaggio da martedì su due piattaforme
petrolifere nel delta del Niger. I sequestratori hanno chiesto un elevato
riscatto al governo nigeriano, che ha inviato sul posto la marina.
Shevarnadze torna in testa: il suo partito avrebbe vinto
le elezioni del 2 novembre in Georgia. I risultati ufficiali diffusi poco fa a
Tbilisi gli attribuiscono il 21 per cento dei voti.
Tragedia nella notte a Roma, per l’incendio di una baracca
abitata da sei rumeni nel quartiere Tuscolano. Quattro di loro sono morti, gli
altri due sono rimasti gravemente ustionati.
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