RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 320 - Testo della Trasmissione di domenica 16 novembre 2003

 

Sommario

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Dopo i sanguinosi attentati in Iraq e Turchia, all’Angelus domenicale, il Papa rinnova la ferma condanna contro il terrorismo ed esorta israeliani e palestinesi a riprendere con coraggio la via della riconciliazione in Terra Santa

 

Al via, domani a Roma, il quinto Congresso mondiale per la Pastorale dei Migranti e dei Rifugiati: intervista con l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del dicastero vaticano promotore dell’incontro.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Un’Italia commossa ha accolto, ieri, il ritorno in patria dei suoi caduti nell’attentato di Nassiriya. In Iraq, nello schianto di due elicotteri a Mosul, muoiono 17 soldati americani. Ai nostri microfoni il nunzio a Baghdad, mons. Fernando Filoni e Fabio Strinati, direttore dell’ospedale italiano nella capitale irachena

 

Educare all’uso dei media: è il tema di un seminario a Roma: ai nostri microfoni il prof. Ismar de Oliveira Soares

 

Sconfiggere la piaga del traffico di essere umani: questo l’impegno preso dall’Istituto dell’Onu per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia. Ce ne parla il direttore dell’organismo, Alberto Bradanini

 

In un libro, l’esperienza del sacerdote nel ruolo di “padre” nella società contemporanea: intervista con l’autore, don Massimo Camisasca.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Previsti oltre mille gesuiti per il 4° Forum mondiale sociale che si terrà in gennaio a Bombay

 

In Francia, 16 persone muoiono per il crollo della passerella della nave Queen Mary II

 

 Messaggi del segretario generale dell’Onu e del direttore dell’Unesco per l’odierna giornata internazionale della tolleranza

Aperto in Perù un collegio per accogliere bambini poveri

 

Indagine della Federazione dei religiosi del settore della formazione (Fere) sulla sensibilità della Chiesa spagnola nei confronti dei portatori di handicap

 

24 ORE NEL MONDO:

 

Unanime condanna nel mondo per gli attentati alle sinagoghe di Istanbul – Firmato l’accordo per la pace in Burundi tra il governo e il capo del principale movimento ribelle hutu

 

 In Spagna, la Catalogna al voto per il rinnovo del parlamento

 

Elezioni anche Serbia: terzo tentativo, in 12 mesi, per eleggere il presidente.

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

16 novembre 2003

 

DOPO GLI ATTENTATI IN IRAQ E TURCHIA, ALL’ANGELUS DOMENICALE

IL PAPA RINNOVA LA SUA FERMA CONDANNA CONTRO IL TERRORISMO ED

 ESORTA ISRAELIANI E PALESTINESI A RIPRENDERE CON CORAGGIO

LA VIA DELLA RICONCILIAZIONE IN TERRA SANTA

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

 

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Ancora una volta, il terrorismo “ha compiuto la sua opera nefasta”. Il Papa ha espresso profondo sdegno per i vili attentati che, in questi giorni, hanno seminato morte e distruzione in Iraq e Turchia. Ha quindi manifestato la sua vicinanza spirituale alle famiglie delle vittime e solidarietà a quanti, in queste ore, si prodigano per curare i feriti. Poi, il Santo Padre ha sottolineato come, anche nell’ora del dolore, non si debba mai abbandonare la speranza:

 

Nessuno può abbandonarsi alla tentazione dello scoramento o della ritorsione: il rispetto della vita, la solidarietà internazionale, l'osservanza della legge devono prevalere sull'odio e sulla violenza.

 

Ha così levato, ancora una volta, una “ferma condanna” per le azioni terroristiche compiute in questi ultimi tempi anche in Terra Santa ed ha constatato, con profonda preoccupazione, che in quei luoghi “il dinamismo della pace sembra essersi fermato”:

 

La costruzione di un muro tra il popolo israeliano e quello palestinese è vista da molti come un nuovo ostacolo sulla strada verso una pacifica convivenza. In realtà, non di muri ha bisogno la Terra Santa, ma di ponti! Senza riconciliazione degli animi, non ci può essere pace.

 

Affidando, così, al Dio “della misericordia e della pace” i popoli della Terra Santa, ha esortato i responsabili politici ad avere “il coraggio di riprendere il dialogo e il negoziato liberando così la strada verso un Medio Oriente riconciliato nella giustizia e nella pace”.

 

Dopo la recita dell’Angelus, salutando i fedeli raccolti in piazza San Pietro, il Papa ha ricordato che si celebra oggi la Giornata delle Migrazioni, associandosi al messaggio della Conferenza episcopale italiana, improntato “alla solidarietà nella legalità”. Proprio in tale contesto, ha segnalato che nei prossimi giorni si terrà a Roma, il Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati. Infine, in occasione della Giornata Nazionale per la Ricerca sul Cancro, ha espresso la sua vicinanza “ai malati e a quanti li assistono” auspicando “i migliori progressi nel campo della ricerca”.

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AL VIA, DOMANI A ROMA, IL QUINTO CONGRESSO MONDIALE PER LA PASTORALE

DEI MIGRANTI E DEI RIFUGIATI. INTERVISTA CON L’ARCIVESCOVO

AGOSTINO MARCHETTO,  SEGRETARIO DEL DICASTERO VATICANO

PROMOTORE DELL’INCONTRO

 

Ripartire da Cristo: per una rinnovata pastorale dei migranti e dei rifugiati”: è il tema del quinto Congresso mondiale per la Pastorale dei Migranti e dei Rifugiati, organizzato dal dicastero vaticano per i migranti, che prende il via domani a Roma presso l’Istituto Patristico Augustinianum. All’origine del congresso, che durerà fino al 22 novembre, si colloca l’esigenza avvertita dal Pontificio consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti di promuovere un ampio dibattito su nuove strategie, programmi e metodi per un’efficace azione pastorale a livello globale. Soprattutto oggi, di fronte all’esplosione del fenomeno migratorio - volontario e forzato - che caratterizza il nuovo millennio. All’incontro, saranno dunque in primo piano i diritti degli immigrati, come sottolinea - al microfono di Giovanni Peduto - l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:

 

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R. - Agli immigrati deve essere riservata un’accoglienza all’altezza della loro dignità umana. Essi, come ogni lavoratore, non sono una merce: ce lo dice la dottrina sociale della Chiesa. Di fronte ad un fenomeno che si trasforma sempre più in una sfida internazionale, oltre che per vincere una mentalità abbastanza comune, la Chiesa suggerisce, per essere esperta in umanità, alcuni interventi a monte, come per esempio l’aiuto economico allo sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo, da cui hanno origini i più importanti flussi migratori. Si deve pensare anche ad una giusta regolazione dei flussi migratori stessi, mediante accordi bilaterali o multilaterali tra Paesi di origine e di destinazione. Infine, una gestione integrata delle frontiere per contrastare il più efficacemente possibile l’opera di organizzazioni criminali che fanno traffico e contrabbando umano.

 

D. – L’immigrazione pone problemi di incontro, in particolare con i musulmani. Cosa possono fare i Paesi storicamente cristiani?

 

R. – L’immigrazione musulmana nei Paesi tradizionalmente cristiani pone tutta una serie di problemi culturali, di integrazione, oltre che religiosi. Dal punto di vista culturale, si esige una grande disponibilità mentale per capire e accettare legittimi usi e costumi, che non vadano peraltro contro l’identità nazionale. Dal punto di vista religioso, per un dialogo interreligioso imprescindibile, è necessario anzitutto rinforzare l’identità cristiana, senza cadere peraltro nel fondamentalismo, per un confronto con i musulmani, capaci anche di cogliere i punti che con essi abbiamo in comune e sui quali fondare una vera e propria pacifica convivenza.

 

D. – La Chiesa, come dice il tema del Convegno, vuole ripartire da Cristo e  scommettere tutto sulla carità. Cosa significa?

 

R. – Ripartire da Cristo significa, qui, trovare nel Signore la fonte, la forza di quella carità amore che ci fa attenti all’importante fenomeno della mobilità umana, che caratterizzerà sempre più le società dei Paesi sviluppati. Ciò significherà monitorare esigenze e bisogni, ascoltare le grida di aiuto che dagli immigrati salgono fino a noi, chinarsi come il buon samaritano a curare senza alcun tornaconto personale le ferite di tante persone vittime di brogli e sfruttamenti. Ciò condurrà anche, oltre al dialogo, alla missione per testimoniare altresì con la parola, oltre che con la vita, la Buona Novella di Gesù Cristo.

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OGGI IN PRIMO PIANO

16 novembre 2003

 

 

DOLORE E COMMOZIONE IN ITALIA PER L’ARRIVO IN PATRIA DELLE SALME

 DEI SOLDATI UCCISI IN IRAQ. IERI, NELLO SCHIANTO DI DUE ELICOTTERI

A MOSUL, SONO MORTI 17 MILITARI AMERICANI

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Silenzio e commozione ieri all’aeroporto di Ciampino per l’arrivo delle 18 vittime dell’attentato a Nassiriya. Da domani, a Roma, si potrà rendere onore ai caduti in Iraq. Dopo i funerali di Stato, confermati per martedì, per i militari si terranno celebrazioni funebri nei rispettivi luoghi di origine. Il servizio è di Dorotea Gambardella.

 

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Erano presenti le più alte cariche istituzionali e delle forze armate ieri pomeriggio allo scalo militare di Ciampino per l’arrivo dei corpi dei giovani morti nell’attentato in Iraq. Ma sulla pista d’atterraggio ad attendere i propri compagni caduti c'erano anche circa 400 militari di Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri. Allo sfilare delle bare, avvolte nel tricolore, il silenzio, non solo quello d’ordinanza, suonato da due trombe, ma soprattutto quello, dignitoso, dei familiari e di tutti i presenti. Sono tornati in 18: 12 carabinieri, 4 soldati dell'esercito, 2 civili. L'ultimo, Pietro Pietrucci, arriverà lunedì. I genitori, ieri a Kuwait City, hanno acconsentito a staccare le macchine che lo tenevano in vita dopo che i medici ne avevano dichiarato la morte celebrale. La camera ardente sarà allestita lunedì all'Altare della Patria, dove già da ieri dinanzi alla cancellata in molti hanno lasciato corone di fiori e messaggi. Al Vittoriano, sarà presente anche il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che ha deciso di abbreviare di un giorno la sua visita a New York. I funerali si svolgeranno martedì, giorno di lutto nazionale, nella Basilica romana di San Paolo fuori le Mura.

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Un’ennesima strage ha sconvolto nelle ultime ore l’Iraq: 17 soldati americani sono morti per la collisione di due elicotteri Black Hawk, che sono poi precipitati in un’area residenziale della città settentrionale di Mosul. Un ufficiale americano ha dichiarato che uno dei due velivoli, colpito da un razzo, ha poi urtato l’altro in volo. Sul versante politico, il segretario americano alla Difesa, Donal Rusfeld, ha dichiarato che le truppe americane non si ritireranno dall’Iraq il prossimo mese di giugno, quando i poteri passeranno nelle mani di un governo iracheno. Sulla situazione nel Paese arabo profondamente sconvolto da continui episodi di violenza, ascoltiamo, al microfono di Giancarlo La Vella, il nunzio apostolico a Baghdad, mons. Fernando Filoni.

 

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R. – L’attentato compiuto a Nassiriya è realmente stato percepito come uno shock, anche dal popolo iracheno. Ieri ero a Mossul e moltissima gente mi ha espresso il proprio orrore, la simpatia, le condoglianze. Naturalmente, questo atto rientra nella logica di opposizione al nuovo corso politico iracheno e ovviamente si vede adesso una strategia che si estende a vari livelli e tocca vari punti. Quindi, non solo gli americani e gli iracheni come polizia o come personalità politiche. Lascia il popolo iracheno con una incertezza, con un dubbio sul suo futuro. Ovviamente ci sono diverse percezioni. Il contingente americano è passato da una prima fase, dove era considerato di liberazione, ad una fase in cui sembra di occupazione, soprattutto perché i disagi, i problemi, le difficoltà di questi lunghi mesi portano la gente a considerare questa presenza incapace di risolvere i veri e profondi problemi della società.

 

D. – Sicuramente possiamo dire che la gran parte della popolazione irachena non c’entra nulla con questi episodi di terrorismo…

 

R. – Sì, la grandissima maggioranza della gente non accetta nessuna forma di terrorismo. Ovviamente la popolazione è stata vittima di tanti problemi in passato, di tante difficoltà. Ha sofferto moltissimo. E’ chiaro che è una popolazione che non ama vedere tutto questo e la cui vera aspirazione è una convivenza pacifica dove ci sia il rispetto fondamentale di tutti, quindi una vita migliore, una vita pacifica. Credo che questo sia il vero sentimento profondo di tutta la popolazione. E’ quello che anche io percepisco molto spesso quando la gente mi parla e quando la gente esprime la speranza che il futuro possa essere migliore.

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E proprio per tracciare un futuro migliore in Iraq, si moltiplicano gli sforzi della comunità internazionale. La presenza italiana nel Paese arabo, ad esempio, non si limita solo ai militari: a Baghdad è infatti operativo l’ospedale italiano della Croce Rossa dove lavorano insieme italiani ed iracheni. Ma qual è il livello di allarme dopo i recenti, tragici attentati? Debora Donnini lo ha chiesto al direttore dell’ospedale, Fabio Strinati, raggiunto telefonicamente a Baghdad:

 

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R. – Ovviamente il livello di attenzione, che era già abbastanza alto, si è ulteriormente alzato. Questo è normale.

 

D. – Qual è il rapporto con la popolazione irachena in questo momento?

 

R. – Il rapporto è sempre stato ottimo e anzi devo dire che in questo momento è ancora più stretto: sono molto rammaricati per quanto è successo e loro stessi hanno paura per questo tipo di terrorismo. Molti di loro, che lavorano con noi, conoscono benissimo anche i Carabinieri che erano a Nassirya, perché hanno fatto servizio con noi fino a quando abbiamo avuto l’ospedale “attendato” ed alcuni di loro sono addirittura degli amici e quindi si può immaginare quale sia il clima.

 

D. – Come vive questa presenza italiana, in generale, la popolazione irachena?

 

R. – La popolazione irachena vede gli italiani in genere e noi della Croce Rossa, in particolare, come punto di riferimento per quanto riguarda l’aspetto sanitario e spera che potremo restare con loro. Questa è una manifestazione che ci viene data ogni giorno e non soltanto per chi lavora con noi ma anche in giro abbiamo questo tipo di apprezzamento anche quando entriamo in contatto con la popolazione per l’approvvigionamento di medicinali e viveri. Credo che la stessa cosa, almeno da quanto mi è stato raccontato,valga per i Carabinieri.

 

D. – Com’è il vostro lavoro in questo momento? Qual è la situazione intesa proprio come ospedale italiano a Baghdad?

 

R. – Abbiamo avuto un flusso che non è mai cessato, perché ormai ci conoscono e soprattutto per quanto riguarda la cura di alcune particolari patologie, nella medicazione delle grandi ustioni, nella pediatria e per quanto riguarda l’emergenza. Inoltre ora che siamo in struttura fissa, ovviamente, siamo riusciti a seguire anche altre attività. Quindi, abbiamo anche altri ambulatorio come l’ortopedico, il dermatologico e riusciamo a seguire un flusso di visite maggiori, intorno alle 300 al giorno, senza considerare che da quando siamo qui – ormai sei mesi –abbiamo superato le 35 mila visite. Io come  operatore della Croce Rossa posso soltanto dire che l’attività umanitaria resta importante, soprattutto adesso che questo popolo ha bisogno e che sembra esserci un tentativo di dividerlo e lasciarlo ancora una volta abbandonato a se stesso.

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EDUCARE ALL’USO DEI MEDIA: E’ IL TEMA DI PROMOSSO DALL’UCSI

 E DALL’UNIVERSITA’ LUMSA UN SEMINARIO INTERNAZIONALE A ROMA

- Con noi, il professor Ismar de Oliveira Soares -

 

Docenti e giornalisti insieme per educare all’uso dei media. E’ l’impegno promosso dall’Unione cattolica internazionale della stampa, dalla Lumsa e dall’Unione cattolica della stampa italiana che hanno organizzato a Roma un seminario per presentare progetti di media education realizzati in diversi paesi. Il servizio di Ignazio Ingrao:

 

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Dall’ottobre del 1981 le scuole cattoliche maltesi hanno inserito nel programma scolastico delle elementari e delle medie inferiori, l’educazione all’uso dei media. In Brasile un progetto di educazione ai media attraverso la radio aiuta i bambini di San Paolo a comprendere i linguaggi della comunicazione e li fa diventare piccoli giornalisti affinché imparino a padroneggiare questi strumenti. Sono solo due delle esperienze di media education nel mondo, presentate nel corso del seminario.

 

Per media education si intende sia educare con i media (intesi quale strumento pedagogico) sia educare ai media (intesi quale strumento capace di produrre cultura) ha spiegato Roberto Giannatelli, docente all’Università Pontificia Salesiana, che oltre dodici anni fa ha portato questa disciplina in Italia. In Brasile, ha riferito Ismar de Oliveira Soares, docente all’Università di San Paolo e presidente dell’Ucip, il Ministero dell’educazione ha raccomandato alle Università la creazione di corsi per preparare un nuova figura professionale, l’edocomunicatore. Abbiamo chiesto al prof. Soares quali potrebbero essere i suoi compiti:

 

“Il compito di media educators – noi preferiamo parlare di “edocumunicatori” – è quello di realizzare un nuovo ecosistema comunicativo, un nuovo spazio di espressione della gente e di chiunque altro lavori intorno e quindi avere un grande spazio democratico di comunicazione, partendo dal piccolo spazio di casa, delle scuole o negli ampi spazi della società in generale”.

 

Nel seminario è intervenuto anche il presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, mons. John Foley. “Sono convinto – ha detto mons. Foley – che l’educazione all’uso dei media sia essenziale perché aiuta la gente a sviluppare il proprio senso critico”.

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COMBATTERE IL TRAFFICO DI ESSERI UMANI DALLA NIGERIA ALL’ITALIA: E’ L’IMPEGNO ASSUNTO DALL’ISTITUTO DELL’ONU PER LA RICERCA SUL CRIMINE E LA GIUSTIZIA

- Intervista con Alberto Bradanini -

 

 

La nuova schiavitù percorre rotte che dall’Africa o dall’Europa dell’Est giungono nel “Vecchio Continente” attraverso canali e maglie di rapporti sempre più difficili da individuare. Quasi 8 milioni e mezzo i minori coinvolti in brutte storie di immigrazione clandestina, sfruttamento e prostituzione. Gli stati maggiormente coinvolti sono l’Albania, la Moldavia, l’Ucraina, ma soprattutto la Nigeria. Per dire basta a tutto questo l’Unicri – l’Istituto delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia -  ha lanciato un progetto di collaborazione con Abuja, che ha come fine quello di promuovere la cooperazione tra Italia e Nigeria, migliorando gli strumenti investigativi e legislativi, per bloccare ogni tipo di traffico concernente gli esseri umani. Salvatore Sabatino ha intervistato Alberto Bradanini, direttore dell’Unicri.

 

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R. - E’ un progetto che prevede la creazione di due task force (una in Italia ed una in Nigeria) che dovrebbero iniziare a collaborare, scambiarsi dati, informazioni ed analisi e quindi per smantellare la rete dei criminali che gestiscono questo fenomeno.

 

D. – Voi avete anche in programma un progetto pilota di assistenza per le vittime. In cosa consiste?

 

R. – Dobbiamo ricordare che la lotta al traffico di ragazze e minori interviene a due livelli:un primo livello di assistenza alle vittime, perché le ragazze non sono criminali, ed un secondo mirato a smantellare i gruppi criminali, perché altrimenti le ragazze - anche se aiutate ad uscire dal giro e a rifarsi una vita - vengono immediatamente sostituite dalla schiera di ragazze che aspettano alla frontiera di prendere il loro posto.

 

D. – Tra l’altro avete anche tracciato quelle che sono le rotte seguite da queste persone per venire in Italia, oltre che la tipologia delle organizzazioni criminali che si inseriscono in questi traffici…

 

R. – Le rotte sono le più disparate, come si può immaginare. La maglia di protezione del territorio europeo è abbastanza articolata e quindi anzitutto c’è il problema dei passaporti e visti falsi, ma anche del trasferimento in massa di ragazze attraverso navi, via terra o attraverso la frontiera in particolare orientale, ma anche – come abbiamo visto – sulle carrette del mare.

 

D. – Si può tracciare il profilo delle vittime?

 

R. – Il profilo tipico è quello di ragazze che provengono da territori e da Paesi dove vi sono situazioni di crisi istituzionale o di arretratezza economica. In aggiunta la ragione per la quale vi sono così tante ragazze nigeriane in Italia è da rintracciare nell’aggressività dei gruppi criminali nigeriani sul territorio europeo ed italiano e quindi nella loro capacità organizzativa e la loro efferatezza nei confronti di queste ragazze vittime del traffico.

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IL SACERDOTE E IL SUO RUOLO DI “PADRE” NEL CONTESTO SOCIALE CONTEMPORANEO:

UN’ESPERIENZA E UNA SFIDA, NEL LIBRO DI DON MASSIMO CAMISASCA

- Intervista con l’autore -

 

 

Dalle lezioni al libro. E’ il percorso che ha portato don Massimo Camisasca, fondatore e superiore generale della Fraternità sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, a condensare in un agile volumetto, intitolato “La sfida della paternità”, alcune riflessioni sul sacerdozio desunte dal suo contatto con i seminaristi del suo istituto, nato nell’85 dal carisma di Comunione e Liberazione. In che modo il sacerdote impara ad essere padre, in un’epoca in cui il concetto di paternità è in crisi? Alessandro De Carolis lo ha chiesto all’autore.

 

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R. – Secondo me, negli anni Settanta il disorientamento di molti sacerdoti era dottrinale. Oggi, senza che il primo sia risolto, in tanti casi ciò che preoccupa di più è la solitudine, il vuoto affettivo. La questione affettiva è centrale nella vita di ogni uomo, e lo è – oserei dire – a maggior ragione nella vita del sacerdote, che è una vita segnata dalla scelta di non avere una propria famiglia carnale; una scelta che viene messa in discussione oggi da alcuni teologi e sacerdoti. E non si capisce, a mio parere, che quella scelta – la scelta della verginità – invece, è proprio la forza, l’anima, la spiegazione stessa della vita sacerdotale, perché la verginità non è assolutamente la negazione della vita affettiva e neppure, assolutamente, della propria sessualità: è l’orientamento di tutta la propria affezione verso le persone in quanto viste come segno reale della Persona di Cristo.

 

D. – Qual è il fondamento, dunque, di una paternità sacerdotale per così dire ‘compiuta’?

 

R. – Come ogni uomo non può essere padre se non riscopre giorno per giorno la propria figliolanza, allo stesso modo il sacerdote. Concretamente, questo cosa vuol dire? Vuol dire che ogni sacerdote può essere padre verso le persone che incontra se lui, innanzitutto, sente la sua umanità messa in discussione da questi incontri e ha una realtà di persone da cui dipende, da cui si sa amato e che sono la pienezza affettiva della sua vita.

 

D. – Lei accennava alla verginità, uno dei consigli evangelici, che si unisce anche agli altri: obbedienza e povertà. Come le presenta, quando ne parla ai suoi seminaristi?

 

R. – Queste tre parole descrivono in realtà tre modalità permanenti del rapporto dell’uomo con la vita. La povertà descrive il rapporto vero dell’uomo con le cose, la verginità descrive il rapporto vero dell’uomo con gli altri uomini e con le donne, l’obbedienza descrive il rapporto vero dell’uomo con il mistero e con ciò da cui dipende. Perciò, le presento innanzitutto come delle dimensioni di vita in cui è in questione l’umanità stessa. Queste dimensioni di vita, Gesù è venuto a rivelarle nella loro pienezza, e a renderle possibili. E la cosa bella mi sembra che i consigli evangelici sono tutti e tre strade di libertà. Libertà inteso in senso vero, non lasciarci appesantire dalle ricchezze, non diventare ‘possessori’ delle altre persone che amiamo, e soprattutto sentire che esiste un mistero personale obbedendo al qual noi diventiamo liberi.

 

D. – Se dovesse descrivere con una immagine l’esperienza sacerdotale vissuta dalla Fraternità missionaria di San Carlo, quale userebbe?

 

R. – Userei questa immagine: sono persone che Cristo ha chiamato a vivere assieme sempre ma che le necessità della Chiesa, del Corpo di Cristo, mandano lontane, e questo loro essere lontane l’uno dagli altri, in tante parti del mondo, è la condizione per potere essere veramente assieme.

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CHIESA E SOCIETA’

16 novembre 2003

 

 

OLTRE 1300 GESUITI CONFLUIRANNO DA TUTTO IL MONDO A BOMBAY, A GENNAIO PROSSIMO, PER PARTECIPARE AL IV FORUM SOCIALE MONDIALE SU GLOBALIZZAZIONE, VIOLENZA ETNICA E RELIGIOSA, RAZZISMO ED ESCLUSIONE SOCIALE

 

BOMBAY. = Ci saranno oltre 1.300 gesuiti provenienti da tutto il mondo al 4° World Social Forum (Wsf) che si terrà a Bombay dal 16 al 21 gennaio 2004. Lo ha comunicato all’Agenzia Fides padre Joe Xavier, gesuita responsabile dell’organizzazione locale.  Secondo gli organizzatori, si prevedono oltre 100 mila partecipanti da tutto il mondo per incontri pubblici, seminari, dibattiti su temi centrali come la globalizzazione, la pace, la violenza etnica e religiosa, il razzismo, la discriminazione di casta o sessuale e l’esclusione sociale. “Quello che distinguerà i gesuiti partecipanti – ha spiegato a Fides padre Joe Xavier - è stare dalla parte della gente, soprattutto dei poveri e degli esclusi. Con l’approvazione di padre Lisbert D’Suuza, presidente della Conferenza dei gesuiti dell’Asia del Sud, i religiosi partecipanti al Wsf saranno, infatti, molti, provenienti dai cinque continenti e tutti impegnati, a diversi livelli, nel sociale”. Dei problemi globali si parlerà partendo anche dalle questioni e dalle sfide vissute in particolare in ciascun Stato. Per esempio, nel Gujarat, si distinguono fondamentalismo e secolarismo; nel Tamil Nadu e Bihar, è scottante la questione degli “intoccabili” e dei fuori casta; a Delhi le sfide maggiori riguardano migrazione, finanza, commercio. D’altra parte, la presenza di delegati da Europa, America Latina, Stati Uniti, Asia e Australia assicurerà una dimensione internazionale alla discussione dei problemi. (F.S.)

 

 

IN FRANCIA, SONO 16 LE VITTIME PER L’IMPROVVISO CROLLO DELLA PASSERELLA

 DELLA QUEEN MARY II, LA PIU’ GRANDE NAVE DEL MONDO

 

PARIGI. = E’ salito a 16 morti il bilancio dell’incidente avvenuto ieri nel cantiere del più grande piroscafo del mondo, il Queen Mary II, ormeggiato a Saint Nazaire, in Francia. Secondo la prefettura, ci sono anche sette feriti gravi ed una ventina di persone ferite in modo più leggero. Il bilancio in un primo tempo era di 12 morti e oltre 30 feriti. L’incidente è avvenuto quando è improvvisamente crollata la passerella di accesso alla nave, mentre era in corso una visita organizzata per i familiari degli operai dei cantieri. Oggi è atteso, a Saint Nazaire, il presidente francese Jacques Chirac che visiterà il luogo della strage con il primo ministro Jean Pierre Raffarin. Ancora non sono chiari i motivi dell’incidente che ha “macchiato” la storia del gigantesco piroscafo di 150 mila tonnellate, lungo 435 metri, quasi come quattro campi di calcio, largo 41 metri ed alto come un palazzo di 23 piani. La nave ha una velocità di 30 nodi l’ora, circa 54 chilometri e può trasportare fino a 2.600 passeggeri e 1.250 membri di equipaggio. (A.L.)

 

 

IN OCCASIONE DELL’ODIERNA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA TOLLERANZA,

IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, KOFI ANNAN,

E IL DIRETTORE DELL’UNESCO, KOICHIRO MATSUURA,

SOTTOLINEANO IL VALORE DEL DIALOGO PER PROMUOVERE

IL RISPETTO DELLE LIBERTA’ ALTRUI

 

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NEW YORK. = L’intolleranza, flagello dalle nefaste conseguenze, è una minaccia alla democrazia, alla pace ed alla sicurezza. E’ questo uno dei passi più significativi del messaggio espresso dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in occasione della Giornata internazionale della tolleranza che si celebra oggi. “Mentre la trasformazione delle nostre società – si legge nel testo – continua a sollevare domande fondamentali sulla capacità delle persone a vivere insieme, l’ignoranza e la paura dell’altro sono spesso utilizzate per infiammare l’odio e giustificare l’esclusione”. Osservando che la tolleranza è un atteggiamento concreto e positivo, ispirato dal riconoscimento e dal rispetto per i diritti e le libertà altrui, Kofi Annan sottolinea anche il valore dell’apertura agli altri, con il cuore e con la mente. Un accorato appello in favore della tolleranza è stato inoltre formulato dal direttore generale dell’Unesco, Koichiro Matsuura, secondo il quale è necessario trovare valori autentici per creare una percezione comune degli eventi e per risolvere i momenti di crisi, in grado di minacciare gli equilibri internazionali. “Possa questa Giornata internazionale – auspica Matsuura - ispirare ciascuno di noi ad essere aperto al dialogo, perché nel confronto è in gioco il futuro dell’umanità”. (A.L.)

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IN PERU’, DUE MISSIONARI SPAGNOLI APRONO UN COLLEGIO PER

ACCOGLIERE I BAMBINI POVERI DI LIMA, CAPITALE DEL PAESE ANDINO

 

LIMA.= Due missionari spagnoli, padre Vicente Folgado e padre César Buendía - originari di Valencia - hanno fondato nella capitale peruviana Lima un collegio, che accoglierà circa duemila alunni di età compresa tra i 5 e i 16 anni, tutti figli di famiglie povere. Nella struttura, dedicata a San Vicente Ferrer - informa l’agenzia missionaria Misna - lavoreranno 45 professori, il cui compito sarà alfabetizzare i giovani e permettere loro di acquisire nozioni di base, oltre ad una formazione religiosa. Il collegio è dotato di una mensa nella quale saranno distribuiti ogni giorno circa 200 pasti agli allievi e alle loro famiglie. I parroci, che operano di una chiesa nella diocesi di Carabayllo, sono in Perú dal 1993, dove fino ad ora hanno fondato una biblioteca pubblica, un’associazione che offre aiuto a persone con problemi di alcolismo e un’altra che assiste famiglie in difficoltà. (A.G.)

 

 

 

LA SENSIBILITÀ DELLA CHIESA SPAGNOLA NEI CONFRONTI DEI DISABILI: E’ IL TEMA DELL’INDAGINE CONDOTTA DALLA FEDERAZIONE DEI RELIGIOSI

CHE OPERANO NEL SETTORE DELLA FORMAZIONE

 

MADRID. = Nell’Anno europeo delle persone con disabilità, la Federazione spagnola dei religiosi, che operano nel settore della formazione (Fere) ha pubblicato un’indagine che rivela “la piena sensibilità della Chiesa nei confronti dei portatori di handicap”. Secondo i dati del ministero dell’Educazione, cultura e sport (Mecd) e della stessa Fere, le scuole cattoliche accolgono metà dei giovani disabili della Spagna. La maggior parte presenta handicap psichici e secondo la Fere “questi risultati indicano chiaramente un impegno a tutto campo della Chiesa a sostegno di questi fratelli. Un impegno diventato ormai storico che si sta sviluppando sempre di più”. “L’assistenza - precisa la Fere - comporta l’utilizzo di mezzi qualificati e di équipe specializzate e anche se il sostegno alle scuole cattoliche è limitato non verrà mai meno la nostra missione”. Nel 2003, la Federazione ha promosso diverse iniziative, tra le quali la Giornata sull’educazione alla quale ha preso parte Julio Murillo dell’Università autonoma di Barcellona. Attraverso il Dipartimento per il rinnovamento pedagogico e in collaborazione con Belgio, Francia ed Italia, la Fere ha inoltre messo a punto, in Spagna, il Progetto Handicap American Latina, l’iniziativa che ha come obiettivo principale quello di sensibilizzare le famiglie, gli insegnanti e gli studenti sulle problematiche dell’handicap. (A.L.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

16 novembre 2003

 

- A cura di   Dorotea Gambardella -

 

 

Dopo dieci anni di guerra civile, il presidente del Burundi, Domitien Ndayizeye e il capo del principale movimento ribelle hutu, Pierre Nkurunziza, hanno firmato un accordo di pace a Dar es-Salaam, in Tanzania. L’intesa prevede una divisione del potere e l’integrazione dei ribelli delle Forze per la difesa e democrazia nell’esercito, attualmente comandato dalla minoranza tutsi. Grande assente alla trattativa il secondo movimento ribelle hutu, noto con la sigla di Forze nazionali di liberazione, che si è sempre opposto al dialogo. A quest’ultimo gruppo, i capi di Stato della regione dei Grandi Laghi hanno dato tre mesi di tempo per avviare i negoziati.

 

 

In Turchia, all’indomani del duplice attentato ad Istanbul, si cerca ancora tra le macerie. Tra le vittime soprattutto ebrei che celebravano lo Shabbat, ma anche tanti passanti musulmani. Intanto, proseguono le indagini, a cui collaborano anche agenti del servizio di sicurezza israeliano Mossad, e si leva unanime la condanna. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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“Il terrorismo colpisce ormai ovunque, nessun posto al mondo è davvero al riparo dalla sua minaccia”. Così il ministro israeliano degli esteri Silvan Shalom, al suo arrivo questa mattina a Istanbul, dove ieri un attentato a due sinagoghe ha provocato 23 vittime e trecento feriti. Intanto sempre ieri la polizia locale ha posto in stato di fermo tre persone, tra cui una donna. Mentre il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha lanciato un appello per la creazione di “una piattaforma internazionale antiterrorismo”, condanne all’attacco arrivano da più parti. Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, si è detto “sconvolto per la perdita di vite umane”, il governo di Teheran ha parlato di “atti inaccettabili”. L'Autorità nazionale palestinese ha definito l’attentato “barbaro e corrotto”.

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Circa cinque milioni di spagnoli sono chiamati oggi alle urne in Catalogna per il rinnovo del Parlamento locale. I 2670 seggi resteranno aperti sino alle ore   20, quando sarà autorizzata la diffusione delle prime proiezioni. Le elezioni odierne segnano la fine dell'era di Jordi Pujol, il carismatico leader della coalizione nazionalista Convergencia i Uniò (Ciu), che è stato presidente della “Generalitat” per 23 anni, ossia da quando l'autonomia regionale catalana e' stata ristabilita dopo la fine  del regime franchista. Incerto l’esito del voto con i due partiti principali - nazionalisti e socialisti - in calo di consensi e un piccolo partito di sinistra indipendentista, Esquerra Republicana de Catalunya  (Erc), che potrebbe diventare l'ago della bilancia. Andrea Sarubbi ha chiesto ad Eduardo Rubio – della nostra redazione spagnola – quanto le istanze autonomiste determineranno il risultato:

 

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R. – Non credo che si tratti di un problema di autonomia. Qui c’è un problema di potere: queste elezioni si tengono dopo un trionfo e quindi ci si riprova. Madrid è stata vinta dalla destra ai socialisti e allora vogliono ora, se non arrivare a vincere perché il Partito Popolare non può vincere, riuscire ad avere un peso importante e divenire un partito chiave. Né i Socialisti, né Convergencia vinceranno queste elezioni, perché hanno bisogno di altre forze piccole che sono Scheda Repubblicana, Partito Popolare ed Iniziativa per la Catalogna, che è un partito simile ai Verdi italiani.

 

D. – E’ strano come i Popolari che in Spagna sono il partito di governo, in Catalogna si ritrovino ad essere un partito minoritario…

 

R. – In tutte le regioni spagnole il Partito Popolare, il partito di Aznar, ha una sua importanza e se non è la prima è la seconda forza, mentre in Catalogna è la terza o quarta forza. E questo perché è presente un partito importante, che è nazionalista: il Convergencia i Unio’ dei catalani, che è il partito di Pujol, il partito di centro-destra; c’è poi un altro partito di centro-sinistra – anche questo molto nazionalista e forse anche di più – che è Scheda Repubblicana. Infine, ci sono i socialisti che nel Municipio di Barcellona hanno sempre ottenuto un buon risultato e quindi Maragall, che è stato sindaco di Barcellona, si presenta ora come presidente per la Generalitat. E’ un candidato con un passato molto importante.

 

D. – Al di là del nazionalismo e delle peculiarità politiche, che cos’altro rende la Catalogna così diversa dal resto della Spagna?

 

R. – Dovremmo parlare anzitutto dell’origine: l’origine spagnola è visigota, mentre quella catalana è franca e quindi più vicina storicamente forse alla Francia che non alla Spagna. Successivamente, tutta una serie di vicissitudini la hanno portata a rimanere nella Spagna, ma sempre avendo una peculiarità molto singolare. La Catalogna è una regione industriale e soprattutto commerciale e rappresenta il principale motore economico della Spagna.

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Terzo tentativo della Serbia in dodici mesi per eleggere il suo presidente. I primi dati sull'affluenza indicano un lieve incremento rispetto alle passate elezioni, fallite per la mancanza del quorum. Secondo l'istituto indipendente di monitoraggio Cesid, a due ore dall'apertura dei seggi, aveva votato il 3,7 per cento degli aventi diritto, lo 0,7 per cento in più dell'ultima volta, risalente al dicembre 2002. I particolari nel servizio di Emiliano Bos.

 

 

 

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Sei milioni e mezzo di serbi dovranno indicare il successore di Milutinovic, l’ex presidente consegnatosi al tribunale dell’Aja all’inizio del 2003, alla scadenza del proprio mandato. Si tratta ora di decidere se affidare il Paese ai riformisti, guidati dal candidato Dragoliub Micunovic, espressione della coalizione al potere oppure al suo sfidante, Tomislav Nikolic, che raccoglie gli estremisti del partito radicale e i nostalgici del vecchio regime di Slobodan Milosevic. Ma in agguato c’è ancora il rischio dell’astensionismo da parte di un elettorato deluso dalla perdurante crisi politica ed economica. Due delle principali formazioni politiche di opposizione, tra cui il partito dell’ex presidente jugoslavo Kostunica, hanno invitato a boicottare anche questa tornata elettorale. Se ai seggi non si recherà almeno la metà più uno degli aventi diritto sarà tutto da rifare. Altrimenti, ballottaggio tra due settimane, nel caso in cui nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta. Il prossimo 28 dicembre si terranno le elezioni politiche, le prime dalla morte del premier Zoran Djindjic assassinato a marzo di quest’anno in una oscura congiura ordita dalla criminalità locale e dai servizi segreti deviati.

 

Massimiliano Bos, per la Radio Vaticana.

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Sei uomini sono morti in Ciad mentre sminavano un’oasi nel nord del Paese africano. Prima di far brillare gli ordigni, già raggruppati, qualcosa ha provocato la mortale deflagrazione. Gran parte del territorio del Ciad è coperto da mine in seguito alla guerra con la Libia del 1980-’87.

Torna a farsi caldo il fronte afghano. Un'impiegata francese delle Nazioni Unite è stata assassinata insieme con il suo autista nei pressi di un bazar a sudovest di Kabul. A darne notizia è stato David Singh, un portavoce dell'Onu. L'attacco è avvenuto a mezzogiorno ora locale. La donna è morta durante il trasporto in ospedale.

Due bombe artigianali esplose la scorsa notte presso due birrerie di Bogotà, in Colombia, hanno provocato la morte di una persona e il ferimento di altre 72. L'attentato non è stato ancora rivendicato, ma dalle prime notizie, sembra che uno dei terroristi sia stato catturato.

La Corea del Nord si dice pronta ad abbandonare l’attività nucleare non appena gli Stati Uniti forniranno aiuti strutturali. Lo riferisce l'agenzia di Stato Yonhap. Già ieri sera era trapelata la voce di precisi accordi economici tra i due governi.

 

 

 

 

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