RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 320 - Testo della
Trasmissione di domenica 16 novembre 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Previsti oltre mille gesuiti per il 4° Forum mondiale
sociale che si terrà in gennaio a Bombay
In Francia, 16 persone muoiono per il crollo della
passerella della nave Queen Mary II
Aperto in Perù un collegio per accogliere bambini poveri
Unanime condanna nel
mondo per gli attentati alle sinagoghe di Istanbul – Firmato l’accordo per la
pace in Burundi tra il governo e il capo del principale movimento ribelle hutu
In Spagna, la Catalogna al voto per il
rinnovo del parlamento
Elezioni anche Serbia:
terzo tentativo, in 12 mesi, per eleggere il presidente.
16
novembre 2003
DOPO GLI ATTENTATI IN IRAQ E TURCHIA, ALL’ANGELUS DOMENICALE
IL PAPA RINNOVA LA SUA FERMA CONDANNA CONTRO IL TERRORISMO ED
ESORTA ISRAELIANI E PALESTINESI
A RIPRENDERE CON CORAGGIO
LA VIA DELLA RICONCILIAZIONE IN TERRA SANTA
- Servizio di Alessandro Gisotti -
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Ancora una volta, il terrorismo “ha compiuto la sua opera
nefasta”. Il Papa ha espresso profondo sdegno per i vili attentati che, in
questi giorni, hanno seminato morte e distruzione in Iraq e Turchia. Ha quindi
manifestato la sua vicinanza spirituale alle famiglie delle vittime e
solidarietà a quanti, in queste ore, si prodigano per curare i feriti. Poi, il
Santo Padre ha sottolineato come, anche nell’ora del dolore, non si debba mai
abbandonare la speranza:
Nessuno può abbandonarsi alla tentazione dello
scoramento o della ritorsione: il rispetto della vita, la solidarietà
internazionale, l'osservanza della legge devono prevalere sull'odio e sulla
violenza.
Ha così levato, ancora una volta, una “ferma condanna” per
le azioni terroristiche compiute in questi ultimi tempi anche in Terra Santa ed
ha constatato, con profonda preoccupazione, che in quei luoghi “il dinamismo
della pace sembra essersi fermato”:
La
costruzione di un muro tra il popolo israeliano e quello palestinese è vista da
molti come un nuovo ostacolo sulla strada verso una pacifica convivenza. In
realtà, non di muri ha bisogno la Terra Santa, ma di ponti! Senza
riconciliazione degli animi, non ci può essere pace.
Affidando, così, al Dio “della misericordia e della pace”
i popoli della Terra Santa, ha esortato i responsabili politici ad avere “il
coraggio di riprendere il dialogo e il negoziato liberando così la strada verso
un Medio Oriente riconciliato nella giustizia e nella pace”.
Dopo la recita dell’Angelus, salutando i fedeli raccolti
in piazza San Pietro, il Papa ha ricordato che si celebra oggi la Giornata
delle Migrazioni, associandosi al messaggio della Conferenza episcopale
italiana, improntato “alla solidarietà nella legalità”. Proprio in tale contesto,
ha segnalato che nei prossimi giorni si terrà a Roma, il Congresso Mondiale
della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati. Infine, in occasione della
Giornata Nazionale per la Ricerca sul Cancro, ha espresso la sua vicinanza “ai
malati e a quanti li assistono” auspicando “i migliori progressi nel campo
della ricerca”.
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AL
VIA, DOMANI A ROMA, IL QUINTO CONGRESSO MONDIALE PER LA PASTORALE
DEI MIGRANTI E DEI RIFUGIATI.
INTERVISTA CON L’ARCIVESCOVO
AGOSTINO MARCHETTO, SEGRETARIO DEL DICASTERO VATICANO
PROMOTORE DELL’INCONTRO
“Ripartire da Cristo: per una rinnovata pastorale dei
migranti e dei rifugiati”: è il tema del quinto Congresso mondiale per la
Pastorale dei Migranti e dei Rifugiati, organizzato dal dicastero vaticano per
i migranti, che prende il via domani a Roma presso l’Istituto Patristico
Augustinianum. All’origine del congresso, che durerà fino al 22 novembre, si
colloca l’esigenza avvertita dal Pontificio consiglio della Pastorale per i
Migranti e gli Itineranti di promuovere un ampio dibattito su nuove strategie,
programmi e metodi per un’efficace azione pastorale a livello globale.
Soprattutto oggi, di fronte all’esplosione del fenomeno migratorio - volontario
e forzato - che caratterizza il nuovo millennio. All’incontro, saranno dunque
in primo piano i diritti degli immigrati, come sottolinea - al microfono di Giovanni
Peduto - l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio
della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:
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R. -
Agli immigrati deve essere riservata un’accoglienza all’altezza della loro dignità
umana. Essi, come ogni lavoratore, non sono una merce: ce lo dice la dottrina
sociale della Chiesa. Di fronte ad un fenomeno che si trasforma sempre più in
una sfida internazionale, oltre che per vincere una mentalità abbastanza
comune, la Chiesa suggerisce, per essere esperta in umanità, alcuni interventi
a monte, come per esempio l’aiuto economico allo sviluppo dei Paesi del Terzo
Mondo, da cui hanno origini i più importanti flussi migratori. Si deve pensare
anche ad una giusta regolazione dei flussi migratori stessi, mediante accordi
bilaterali o multilaterali tra Paesi di origine e di destinazione. Infine, una
gestione integrata delle frontiere per contrastare il più efficacemente
possibile l’opera di organizzazioni criminali che fanno traffico e contrabbando
umano.
D. – L’immigrazione pone problemi di incontro, in
particolare con i musulmani. Cosa possono fare i Paesi storicamente cristiani?
R. – L’immigrazione musulmana nei Paesi tradizionalmente
cristiani pone tutta una serie di problemi culturali, di integrazione, oltre
che religiosi. Dal punto di vista culturale, si esige una grande disponibilità
mentale per capire e accettare legittimi usi e costumi, che non vadano peraltro
contro l’identità nazionale. Dal punto di vista religioso, per un dialogo
interreligioso imprescindibile, è necessario anzitutto rinforzare l’identità
cristiana, senza cadere peraltro nel fondamentalismo, per un confronto con i
musulmani, capaci anche di cogliere i punti che con essi abbiamo in comune e
sui quali fondare una vera e propria pacifica convivenza.
D. – La Chiesa, come dice il tema del Convegno, vuole
ripartire da Cristo e scommettere tutto
sulla carità. Cosa significa?
R. – Ripartire da Cristo significa, qui, trovare nel
Signore la fonte, la forza di quella carità amore che ci fa attenti
all’importante fenomeno della mobilità umana, che caratterizzerà sempre più le
società dei Paesi sviluppati. Ciò significherà monitorare esigenze e bisogni,
ascoltare le grida di aiuto che dagli immigrati salgono fino a noi, chinarsi
come il buon samaritano a curare senza alcun tornaconto personale le ferite di
tante persone vittime di brogli e sfruttamenti. Ciò condurrà anche, oltre al
dialogo, alla missione per testimoniare altresì con la parola, oltre che con la
vita, la Buona Novella di Gesù Cristo.
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16
novembre 2003
DOLORE
E COMMOZIONE IN ITALIA PER L’ARRIVO IN PATRIA DELLE SALME
DEI SOLDATI UCCISI IN IRAQ. IERI, NELLO
SCHIANTO DI DUE ELICOTTERI
A MOSUL, SONO MORTI 17 MILITARI AMERICANI
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Silenzio
e commozione ieri all’aeroporto di Ciampino per l’arrivo delle 18 vittime
dell’attentato a Nassiriya. Da domani, a Roma, si potrà rendere onore ai caduti
in Iraq. Dopo i funerali di Stato, confermati per martedì, per i militari si
terranno celebrazioni funebri nei rispettivi luoghi di origine. Il servizio è
di Dorotea Gambardella.
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Erano
presenti le più alte cariche istituzionali e delle forze armate ieri pomeriggio
allo scalo militare di Ciampino per l’arrivo dei corpi dei giovani morti
nell’attentato in Iraq. Ma sulla pista d’atterraggio ad attendere i propri
compagni caduti c'erano anche circa 400 militari di Esercito, Marina,
Aeronautica e Carabinieri. Allo sfilare delle bare, avvolte nel tricolore, il
silenzio, non solo quello d’ordinanza, suonato da due trombe, ma soprattutto
quello, dignitoso, dei familiari e di tutti i presenti. Sono tornati in 18: 12
carabinieri, 4 soldati dell'esercito, 2 civili. L'ultimo, Pietro Pietrucci,
arriverà lunedì. I genitori, ieri a Kuwait City, hanno acconsentito a staccare
le macchine che lo tenevano in vita dopo che i medici ne avevano dichiarato la
morte celebrale. La camera ardente sarà allestita lunedì all'Altare della
Patria, dove già da ieri dinanzi alla cancellata in molti hanno lasciato corone
di fiori e messaggi. Al Vittoriano, sarà presente anche il presidente della
Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che ha deciso di abbreviare di un giorno la
sua visita a New York. I funerali si svolgeranno martedì, giorno di lutto nazionale,
nella Basilica romana di San Paolo fuori le Mura.
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Un’ennesima
strage ha sconvolto nelle ultime ore l’Iraq: 17 soldati americani sono morti
per la collisione di due elicotteri Black Hawk, che sono poi precipitati in
un’area residenziale della città settentrionale di Mosul. Un ufficiale americano
ha dichiarato che uno dei due velivoli, colpito da un razzo, ha poi urtato
l’altro in volo. Sul versante politico, il segretario americano alla Difesa,
Donal Rusfeld, ha dichiarato che le truppe americane non si ritireranno
dall’Iraq il prossimo mese di giugno, quando i poteri passeranno nelle mani di
un governo iracheno. Sulla situazione nel Paese arabo profondamente sconvolto da continui
episodi di violenza, ascoltiamo, al microfono di Giancarlo La Vella, il nunzio
apostolico a Baghdad, mons. Fernando Filoni.
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R. –
L’attentato compiuto a Nassiriya è realmente stato percepito come uno shock,
anche dal popolo iracheno. Ieri ero a Mossul e moltissima gente mi ha espresso
il proprio orrore, la simpatia, le condoglianze. Naturalmente, questo atto rientra
nella logica di opposizione al nuovo corso politico iracheno e ovviamente si
vede adesso una strategia che si estende a vari livelli e tocca vari punti.
Quindi, non solo gli americani e gli iracheni come polizia o come personalità
politiche. Lascia il popolo iracheno con una incertezza, con un dubbio sul suo
futuro. Ovviamente ci sono diverse percezioni. Il contingente americano è
passato da una prima fase, dove era considerato di liberazione, ad una fase in
cui sembra di occupazione, soprattutto perché i disagi, i problemi, le
difficoltà di questi lunghi mesi portano la gente a considerare questa presenza
incapace di risolvere i veri e profondi problemi della società.
D. –
Sicuramente possiamo dire che la gran parte della popolazione irachena non c’entra
nulla con questi episodi di terrorismo…
R. –
Sì, la grandissima maggioranza della gente non accetta nessuna forma di
terrorismo. Ovviamente la popolazione è stata vittima di tanti problemi in
passato, di tante difficoltà. Ha sofferto moltissimo. E’ chiaro che è una popolazione
che non ama vedere tutto questo e la cui vera aspirazione è una convivenza
pacifica dove ci sia il rispetto fondamentale di tutti, quindi una vita
migliore, una vita pacifica. Credo che questo sia il vero sentimento profondo di
tutta la popolazione. E’ quello che anche io percepisco molto spesso quando la
gente mi parla e quando la gente esprime la speranza che il futuro possa essere
migliore.
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E
proprio per tracciare un futuro migliore in Iraq, si moltiplicano gli sforzi
della comunità internazionale. La presenza italiana nel Paese arabo, ad
esempio, non si limita solo ai militari: a Baghdad è infatti operativo
l’ospedale italiano della Croce Rossa dove lavorano insieme italiani ed
iracheni. Ma qual è il livello di allarme dopo i recenti, tragici attentati?
Debora Donnini lo ha chiesto al direttore dell’ospedale, Fabio Strinati,
raggiunto telefonicamente a Baghdad:
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R. – Ovviamente il livello di attenzione, che era già
abbastanza alto, si è ulteriormente alzato. Questo è normale.
D. – Qual è il rapporto con la popolazione irachena in
questo momento?
R. – Il rapporto è sempre stato ottimo e anzi devo dire
che in questo momento è ancora più stretto: sono molto rammaricati per quanto è
successo e loro stessi hanno paura per questo tipo di terrorismo. Molti di
loro, che lavorano con noi, conoscono benissimo anche i Carabinieri che erano a
Nassirya, perché hanno fatto servizio con noi fino a quando abbiamo avuto
l’ospedale “attendato” ed alcuni di loro sono addirittura degli amici e quindi
si può immaginare quale sia il clima.
D. – Come vive questa presenza italiana, in generale, la
popolazione irachena?
R. – La popolazione irachena vede gli italiani in genere e
noi della Croce Rossa, in particolare, come punto di riferimento per quanto
riguarda l’aspetto sanitario e spera che potremo restare con loro. Questa è una
manifestazione che ci viene data ogni giorno e non soltanto per chi lavora con
noi ma anche in giro abbiamo questo tipo di apprezzamento anche quando entriamo
in contatto con la popolazione per l’approvvigionamento di medicinali e viveri.
Credo che la stessa cosa, almeno da quanto mi è stato raccontato,valga per i
Carabinieri.
D. – Com’è il vostro lavoro in questo momento? Qual è la
situazione intesa proprio come ospedale italiano a Baghdad?
R. – Abbiamo avuto un flusso che non è mai cessato, perché
ormai ci conoscono e soprattutto per quanto riguarda la cura di alcune
particolari patologie, nella medicazione delle grandi ustioni, nella pediatria
e per quanto riguarda l’emergenza. Inoltre ora che siamo in struttura fissa,
ovviamente, siamo riusciti a seguire anche altre attività. Quindi, abbiamo
anche altri ambulatorio come l’ortopedico, il dermatologico e riusciamo a
seguire un flusso di visite maggiori, intorno alle 300 al giorno, senza
considerare che da quando siamo qui – ormai sei mesi –abbiamo superato le 35
mila visite. Io come operatore della
Croce Rossa posso soltanto dire che l’attività umanitaria resta importante,
soprattutto adesso che questo popolo ha bisogno e che sembra esserci un
tentativo di dividerlo e lasciarlo ancora una volta abbandonato a se stesso.
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- Con
noi, il professor Ismar de Oliveira Soares -
Docenti
e giornalisti insieme per educare all’uso dei media. E’ l’impegno promosso
dall’Unione cattolica internazionale della stampa, dalla Lumsa e dall’Unione
cattolica della stampa italiana che hanno organizzato a Roma un seminario per
presentare progetti di media education realizzati in diversi paesi. Il
servizio di Ignazio Ingrao:
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Dall’ottobre
del 1981 le scuole cattoliche maltesi hanno inserito nel programma scolastico
delle elementari e delle medie inferiori, l’educazione all’uso dei media. In
Brasile un progetto di educazione ai media attraverso la radio aiuta i bambini
di San Paolo a comprendere i linguaggi della comunicazione e li fa diventare
piccoli giornalisti affinché imparino a padroneggiare questi strumenti. Sono
solo due delle esperienze di media education nel mondo, presentate nel
corso del seminario.
Per media
education si intende sia educare con i media (intesi quale strumento
pedagogico) sia educare ai media (intesi quale strumento capace di produrre
cultura) ha spiegato Roberto Giannatelli, docente all’Università Pontificia
Salesiana, che oltre dodici anni fa ha portato questa disciplina in Italia. In
Brasile, ha riferito Ismar de Oliveira Soares, docente all’Università di San
Paolo e presidente dell’Ucip, il Ministero dell’educazione ha raccomandato alle
Università la creazione di corsi per preparare un nuova figura professionale,
l’edocomunicatore. Abbiamo chiesto al prof. Soares quali potrebbero essere i
suoi compiti:
“Il compito
di media educators – noi preferiamo parlare di “edocumunicatori” – è quello di
realizzare un nuovo ecosistema comunicativo, un nuovo spazio di espressione
della gente e di chiunque altro lavori intorno e quindi avere un grande spazio
democratico di comunicazione, partendo dal piccolo spazio di casa, delle scuole
o negli ampi spazi della società in generale”.
Nel
seminario è intervenuto anche il presidente del Pontificio Consiglio delle
comunicazioni sociali, mons. John Foley. “Sono convinto – ha detto mons. Foley
– che l’educazione all’uso dei media sia essenziale perché aiuta la gente a
sviluppare il proprio senso critico”.
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COMBATTERE IL TRAFFICO DI ESSERI UMANI DALLA NIGERIA ALL’ITALIA: E’
L’IMPEGNO ASSUNTO DALL’ISTITUTO DELL’ONU PER LA RICERCA SUL CRIMINE E LA
GIUSTIZIA
- Intervista con
Alberto Bradanini -
La nuova schiavitù percorre rotte che
dall’Africa o dall’Europa dell’Est giungono nel “Vecchio Continente” attraverso
canali e maglie di rapporti sempre più difficili da individuare. Quasi 8
milioni e mezzo i minori coinvolti in brutte storie di immigrazione
clandestina, sfruttamento e prostituzione. Gli stati maggiormente coinvolti
sono l’Albania, la Moldavia, l’Ucraina, ma soprattutto la Nigeria. Per dire
basta a tutto questo l’Unicri – l’Istituto delle Nazioni Unite per la Ricerca
sul Crimine e la Giustizia - ha
lanciato un progetto di collaborazione con Abuja, che ha come fine quello di
promuovere la cooperazione tra Italia e Nigeria, migliorando gli strumenti
investigativi e legislativi, per bloccare ogni tipo di traffico concernente gli
esseri umani. Salvatore Sabatino ha intervistato Alberto Bradanini, direttore
dell’Unicri.
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R. - E’ un progetto che prevede la
creazione di due task force (una in Italia ed una in Nigeria) che
dovrebbero iniziare a collaborare, scambiarsi dati, informazioni ed analisi e
quindi per smantellare la rete dei criminali che gestiscono questo fenomeno.
D. – Voi avete anche in programma un
progetto pilota di assistenza per le vittime. In cosa consiste?
R. – Dobbiamo ricordare che la lotta al
traffico di ragazze e minori interviene a due livelli:un primo livello di
assistenza alle vittime, perché le ragazze non sono criminali, ed un secondo
mirato a smantellare i gruppi criminali, perché altrimenti le ragazze - anche
se aiutate ad uscire dal giro e a rifarsi una vita - vengono immediatamente
sostituite dalla schiera di ragazze che aspettano alla frontiera di prendere il
loro posto.
D. – Tra l’altro avete anche tracciato
quelle che sono le rotte seguite da queste persone per venire in Italia, oltre
che la tipologia delle organizzazioni criminali che si inseriscono in questi
traffici…
R. – Le rotte sono le più disparate, come
si può immaginare. La maglia di protezione del territorio europeo è abbastanza
articolata e quindi anzitutto c’è il problema dei passaporti e visti falsi, ma
anche del trasferimento in massa di ragazze attraverso navi, via terra o
attraverso la frontiera in particolare orientale, ma anche – come abbiamo visto
– sulle carrette del mare.
D. – Si può tracciare il profilo delle
vittime?
R. – Il profilo tipico è quello di ragazze
che provengono da territori e da Paesi dove vi sono situazioni di crisi
istituzionale o di arretratezza economica. In aggiunta la ragione per la quale
vi sono così tante ragazze nigeriane in Italia è da rintracciare
nell’aggressività dei gruppi criminali nigeriani sul territorio europeo ed
italiano e quindi nella loro capacità organizzativa e la loro efferatezza nei
confronti di queste ragazze vittime del traffico.
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IL
SACERDOTE E IL SUO RUOLO DI “PADRE” NEL CONTESTO SOCIALE CONTEMPORANEO:
UN’ESPERIENZA
E UNA SFIDA, NEL LIBRO DI DON MASSIMO CAMISASCA
-
Intervista con l’autore -
Dalle lezioni al libro. E’ il percorso che ha portato don
Massimo Camisasca, fondatore e superiore generale della Fraternità sacerdotale
dei Missionari di San Carlo Borromeo, a condensare in un agile volumetto,
intitolato “La sfida della paternità”, alcune riflessioni sul sacerdozio
desunte dal suo contatto con i seminaristi del suo istituto, nato nell’85 dal
carisma di Comunione e Liberazione. In che modo il sacerdote impara ad essere
padre, in un’epoca in cui il concetto di paternità è in crisi? Alessandro De
Carolis lo ha chiesto all’autore.
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R. – Secondo me, negli anni Settanta il disorientamento di
molti sacerdoti era dottrinale. Oggi, senza che il primo sia risolto, in tanti
casi ciò che preoccupa di più è la solitudine, il vuoto affettivo. La questione
affettiva è centrale nella vita di ogni uomo, e lo è – oserei dire – a maggior
ragione nella vita del sacerdote, che è una vita segnata dalla scelta di non
avere una propria famiglia carnale; una scelta che viene messa in discussione
oggi da alcuni teologi e sacerdoti. E non si capisce, a mio parere, che quella
scelta – la scelta della verginità – invece, è proprio la forza, l’anima, la
spiegazione stessa della vita sacerdotale, perché la verginità non è
assolutamente la negazione della vita affettiva e neppure, assolutamente, della
propria sessualità: è l’orientamento di tutta la propria affezione verso le
persone in quanto viste come segno reale della Persona di Cristo.
D. – Qual è il fondamento, dunque, di una paternità
sacerdotale per così dire ‘compiuta’?
R. – Come ogni uomo non può essere padre se non riscopre
giorno per giorno la propria figliolanza, allo stesso modo il sacerdote.
Concretamente, questo cosa vuol dire? Vuol dire che ogni sacerdote può essere
padre verso le persone che incontra se lui, innanzitutto, sente la sua umanità
messa in discussione da questi incontri e ha una realtà di persone da cui
dipende, da cui si sa amato e che sono la pienezza affettiva della sua vita.
D. – Lei accennava alla verginità, uno dei consigli
evangelici, che si unisce anche agli altri: obbedienza e povertà. Come le
presenta, quando ne parla ai suoi seminaristi?
R. – Queste tre parole descrivono in realtà tre modalità
permanenti del rapporto dell’uomo con la vita. La povertà descrive il rapporto
vero dell’uomo con le cose, la verginità descrive il rapporto vero dell’uomo
con gli altri uomini e con le donne, l’obbedienza descrive il rapporto vero
dell’uomo con il mistero e con ciò da cui dipende. Perciò, le presento
innanzitutto come delle dimensioni di vita in cui è in questione l’umanità
stessa. Queste dimensioni di vita, Gesù è venuto a rivelarle nella loro
pienezza, e a renderle possibili. E la cosa bella mi sembra che i consigli
evangelici sono tutti e tre strade di libertà. Libertà inteso in senso vero,
non lasciarci appesantire dalle ricchezze, non diventare ‘possessori’ delle
altre persone che amiamo, e soprattutto sentire che esiste un mistero personale
obbedendo al qual noi diventiamo liberi.
D. – Se dovesse descrivere con una immagine l’esperienza
sacerdotale vissuta dalla Fraternità missionaria di San Carlo, quale userebbe?
R. – Userei questa immagine: sono persone che Cristo ha
chiamato a vivere assieme sempre ma che le necessità della Chiesa, del Corpo di
Cristo, mandano lontane, e questo loro essere lontane l’uno dagli altri, in
tante parti del mondo, è la condizione per potere essere veramente assieme.
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16
novembre 2003
OLTRE 1300 GESUITI CONFLUIRANNO DA TUTTO IL MONDO
A BOMBAY, A GENNAIO PROSSIMO, PER PARTECIPARE AL IV FORUM SOCIALE MONDIALE SU
GLOBALIZZAZIONE, VIOLENZA ETNICA E RELIGIOSA, RAZZISMO ED ESCLUSIONE SOCIALE
BOMBAY. = Ci saranno oltre 1.300 gesuiti
provenienti da tutto il mondo al 4° World Social Forum (Wsf) che si terrà a
Bombay dal 16 al 21 gennaio 2004. Lo ha comunicato all’Agenzia Fides padre Joe
Xavier, gesuita responsabile dell’organizzazione locale. Secondo gli organizzatori, si prevedono
oltre 100 mila partecipanti da tutto il mondo per incontri pubblici, seminari,
dibattiti su temi centrali come la globalizzazione, la pace, la violenza etnica
e religiosa, il razzismo, la discriminazione di casta o sessuale e l’esclusione
sociale. “Quello che distinguerà i gesuiti partecipanti – ha spiegato a Fides
padre Joe Xavier - è stare dalla parte della gente, soprattutto dei poveri e
degli esclusi. Con l’approvazione di padre Lisbert D’Suuza, presidente della
Conferenza dei gesuiti dell’Asia del Sud, i religiosi partecipanti al Wsf
saranno, infatti, molti, provenienti dai cinque continenti e tutti impegnati, a
diversi livelli, nel sociale”. Dei problemi globali si parlerà partendo anche
dalle questioni e dalle sfide vissute in particolare in ciascun Stato. Per
esempio, nel Gujarat, si distinguono fondamentalismo e secolarismo; nel Tamil
Nadu e Bihar, è scottante la questione degli “intoccabili” e dei fuori casta; a
Delhi le sfide maggiori riguardano migrazione, finanza, commercio. D’altra
parte, la presenza di delegati da Europa, America Latina, Stati Uniti, Asia e
Australia assicurerà una dimensione internazionale alla discussione dei problemi.
(F.S.)
IN FRANCIA, SONO 16 LE VITTIME PER L’IMPROVVISO
CROLLO DELLA PASSERELLA
DELLA
QUEEN MARY II, LA PIU’ GRANDE NAVE DEL MONDO
PARIGI.
= E’ salito a 16 morti il bilancio dell’incidente avvenuto ieri nel cantiere
del più grande piroscafo del mondo, il Queen Mary II, ormeggiato a Saint Nazaire,
in Francia. Secondo la prefettura, ci sono anche sette feriti gravi ed una ventina
di persone ferite in modo più leggero. Il bilancio in un primo tempo era di 12
morti e oltre 30 feriti. L’incidente è avvenuto quando è improvvisamente
crollata la passerella di accesso alla nave, mentre era in corso una visita
organizzata per i familiari degli operai dei cantieri. Oggi è atteso, a Saint
Nazaire, il presidente francese Jacques Chirac che visiterà il luogo della
strage con il primo ministro Jean Pierre Raffarin. Ancora non sono chiari i
motivi dell’incidente che ha “macchiato” la storia del gigantesco piroscafo di
150 mila tonnellate, lungo 435 metri, quasi come quattro campi di calcio, largo
41 metri ed alto come un palazzo di 23 piani. La nave ha una velocità di 30
nodi l’ora, circa 54 chilometri e può trasportare fino a 2.600 passeggeri e
1.250 membri di equipaggio. (A.L.)
IN OCCASIONE DELL’ODIERNA GIORNATA INTERNAZIONALE
DELLA TOLLERANZA,
IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, KOFI ANNAN,
E IL DIRETTORE DELL’UNESCO, KOICHIRO
MATSUURA,
SOTTOLINEANO
IL VALORE DEL DIALOGO PER PROMUOVERE
IL
RISPETTO DELLE LIBERTA’ ALTRUI
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NEW YORK. = L’intolleranza, flagello dalle nefaste
conseguenze, è una minaccia alla democrazia, alla pace ed alla sicurezza. E’
questo uno dei passi più significativi del messaggio espresso dal segretario
generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in occasione della Giornata
internazionale della tolleranza che si celebra oggi. “Mentre la trasformazione
delle nostre società – si legge nel testo – continua a sollevare domande
fondamentali sulla capacità delle persone a vivere insieme, l’ignoranza e la
paura dell’altro sono spesso utilizzate per infiammare l’odio e giustificare
l’esclusione”. Osservando che la tolleranza è un atteggiamento concreto e
positivo, ispirato dal riconoscimento e dal rispetto per i diritti e le libertà
altrui, Kofi Annan sottolinea anche il valore dell’apertura agli altri, con il
cuore e con la mente. Un accorato appello in favore della tolleranza è stato
inoltre formulato dal direttore generale dell’Unesco, Koichiro Matsuura,
secondo il quale è necessario trovare valori autentici per creare una
percezione comune degli eventi e per risolvere i momenti di crisi, in grado di
minacciare gli equilibri internazionali. “Possa questa Giornata
internazionale – auspica Matsuura
- ispirare ciascuno di noi ad essere aperto al dialogo, perché nel
confronto è in gioco il futuro dell’umanità”. (A.L.)
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IN
PERU’, DUE MISSIONARI SPAGNOLI APRONO UN COLLEGIO PER
ACCOGLIERE
I BAMBINI POVERI DI LIMA, CAPITALE DEL PAESE ANDINO
LIMA.= Due missionari spagnoli,
padre Vicente Folgado e padre César Buendía - originari di Valencia - hanno
fondato nella capitale peruviana Lima un collegio, che accoglierà circa duemila
alunni di età compresa tra i 5 e i 16 anni, tutti figli di famiglie povere.
Nella struttura, dedicata a San Vicente Ferrer - informa l’agenzia missionaria Misna
- lavoreranno 45 professori, il cui compito sarà alfabetizzare i giovani e
permettere loro di acquisire nozioni di base, oltre ad una formazione
religiosa. Il collegio è dotato di una mensa nella quale saranno distribuiti
ogni giorno circa 200 pasti agli allievi e alle loro famiglie. I parroci, che
operano di una chiesa nella diocesi di Carabayllo, sono in Perú dal 1993, dove
fino ad ora hanno fondato una biblioteca pubblica, un’associazione che offre
aiuto a persone con problemi di alcolismo e un’altra che assiste famiglie in
difficoltà. (A.G.)
LA SENSIBILITÀ DELLA
CHIESA SPAGNOLA NEI CONFRONTI DEI DISABILI: E’ IL TEMA DELL’INDAGINE CONDOTTA
DALLA FEDERAZIONE DEI RELIGIOSI
CHE OPERANO NEL SETTORE DELLA FORMAZIONE
MADRID.
= Nell’Anno europeo delle persone con disabilità, la Federazione spagnola dei
religiosi, che operano nel settore della formazione (Fere) ha pubblicato
un’indagine che rivela “la piena sensibilità della Chiesa nei confronti dei
portatori di handicap”. Secondo i dati del ministero dell’Educazione, cultura e
sport (Mecd) e della stessa Fere, le scuole cattoliche accolgono metà dei
giovani disabili della Spagna. La maggior parte presenta handicap psichici e
secondo la Fere “questi risultati indicano chiaramente un impegno a tutto campo
della Chiesa a sostegno di questi fratelli. Un impegno diventato ormai storico
che si sta sviluppando sempre di più”. “L’assistenza - precisa la Fere -
comporta l’utilizzo di mezzi qualificati e di équipe specializzate e anche se
il sostegno alle scuole cattoliche è limitato non verrà mai meno la nostra missione”.
Nel 2003, la Federazione ha promosso diverse iniziative, tra le quali la
Giornata sull’educazione alla quale ha preso parte Julio Murillo
dell’Università autonoma di Barcellona. Attraverso il Dipartimento per il
rinnovamento pedagogico e in collaborazione con Belgio, Francia ed Italia, la
Fere ha inoltre messo a punto, in Spagna, il Progetto Handicap American Latina,
l’iniziativa che ha come obiettivo principale quello di sensibilizzare le
famiglie, gli insegnanti e gli studenti sulle problematiche dell’handicap.
(A.L.)
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16
novembre 2003
- A cura di Dorotea Gambardella -
Dopo
dieci anni di guerra civile, il presidente del Burundi, Domitien Ndayizeye e il
capo del principale movimento ribelle hutu, Pierre Nkurunziza, hanno firmato un
accordo di pace a Dar es-Salaam, in Tanzania. L’intesa prevede una divisione
del potere e l’integrazione dei ribelli delle Forze per la difesa e democrazia
nell’esercito, attualmente comandato dalla minoranza tutsi. Grande assente alla
trattativa il secondo movimento ribelle hutu, noto con la sigla di Forze nazionali
di liberazione, che si è sempre opposto al dialogo. A quest’ultimo gruppo, i
capi di Stato della regione dei Grandi Laghi hanno dato tre mesi di tempo per avviare
i negoziati.
In Turchia, all’indomani del duplice attentato ad Istanbul, si cerca
ancora tra le macerie. Tra le vittime soprattutto ebrei che celebravano lo
Shabbat, ma anche tanti passanti musulmani. Intanto, proseguono le indagini, a
cui collaborano anche agenti del servizio di sicurezza israeliano Mossad, e si
leva unanime la condanna. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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“Il
terrorismo colpisce ormai ovunque, nessun posto al mondo è davvero al riparo
dalla sua minaccia”. Così il ministro israeliano degli esteri Silvan Shalom, al
suo arrivo questa mattina a Istanbul, dove ieri un attentato a due sinagoghe ha
provocato 23 vittime e trecento feriti. Intanto sempre ieri la polizia locale
ha posto in stato di fermo tre persone, tra cui una donna. Mentre il primo
ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha lanciato un appello per la creazione di
“una piattaforma internazionale antiterrorismo”, condanne all’attacco arrivano
da più parti. Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, si è detto
“sconvolto per la perdita di vite umane”, il governo di Teheran ha parlato di
“atti inaccettabili”. L'Autorità nazionale palestinese ha definito l’attentato
“barbaro e corrotto”.
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Circa cinque milioni di spagnoli sono chiamati oggi alle
urne in Catalogna per il rinnovo del Parlamento locale. I 2670 seggi resteranno
aperti sino alle ore 20, quando sarà
autorizzata la diffusione delle prime proiezioni. Le elezioni odierne segnano
la fine dell'era di Jordi Pujol, il carismatico leader della coalizione nazionalista
Convergencia i Uniò (Ciu), che è stato presidente della “Generalitat” per 23
anni, ossia da quando l'autonomia regionale catalana e' stata ristabilita dopo
la fine del regime franchista. Incerto
l’esito del voto con i due partiti principali - nazionalisti e socialisti - in
calo di consensi e un piccolo partito di sinistra indipendentista, Esquerra
Republicana de Catalunya (Erc), che
potrebbe diventare l'ago della bilancia. Andrea Sarubbi ha chiesto ad Eduardo
Rubio – della nostra redazione spagnola – quanto le istanze autonomiste
determineranno il risultato:
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R. – Non credo che si tratti di un problema di autonomia.
Qui c’è un problema di potere: queste elezioni si tengono dopo un trionfo e
quindi ci si riprova. Madrid è stata vinta dalla destra ai socialisti e allora
vogliono ora, se non arrivare a vincere perché il Partito Popolare non può
vincere, riuscire ad avere un peso importante e divenire un partito chiave. Né
i Socialisti, né Convergencia vinceranno queste elezioni, perché hanno bisogno
di altre forze piccole che sono Scheda Repubblicana, Partito Popolare ed
Iniziativa per la Catalogna, che è un partito simile ai Verdi italiani.
D. – E’ strano come i Popolari che in Spagna sono il
partito di governo, in Catalogna si ritrovino ad essere un partito minoritario…
R. – In tutte le regioni spagnole il Partito Popolare, il
partito di Aznar, ha una sua importanza e se non è la prima è la seconda forza,
mentre in Catalogna è la terza o quarta forza. E questo perché è presente un
partito importante, che è nazionalista: il Convergencia i Unio’ dei catalani, che
è il partito di Pujol, il partito di centro-destra; c’è poi un altro partito di
centro-sinistra – anche questo molto nazionalista e forse anche di più – che è
Scheda Repubblicana. Infine, ci sono i socialisti che nel Municipio di
Barcellona hanno sempre ottenuto un buon risultato e quindi Maragall, che è
stato sindaco di Barcellona, si presenta ora come presidente per la
Generalitat. E’ un candidato con un passato molto importante.
D. – Al di là del nazionalismo e delle peculiarità
politiche, che cos’altro rende la Catalogna così diversa dal resto della
Spagna?
R. – Dovremmo parlare anzitutto dell’origine: l’origine
spagnola è visigota, mentre quella catalana è franca e quindi più vicina
storicamente forse alla Francia che non alla Spagna. Successivamente, tutta una
serie di vicissitudini la hanno portata a rimanere nella Spagna, ma sempre
avendo una peculiarità molto singolare. La Catalogna è una regione industriale
e soprattutto commerciale e rappresenta il principale motore economico della
Spagna.
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Terzo tentativo della Serbia in dodici mesi per eleggere
il suo presidente. I primi dati sull'affluenza indicano un lieve incremento
rispetto alle passate elezioni, fallite per la mancanza del quorum. Secondo
l'istituto indipendente di monitoraggio Cesid, a due ore dall'apertura dei
seggi, aveva votato il 3,7 per cento degli aventi diritto, lo 0,7 per cento in
più dell'ultima volta, risalente al dicembre 2002. I particolari nel servizio
di Emiliano Bos.
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Sei milioni e mezzo di serbi dovranno indicare il
successore di Milutinovic, l’ex presidente consegnatosi al tribunale dell’Aja
all’inizio del 2003, alla scadenza del proprio mandato. Si tratta ora di
decidere se affidare il Paese ai riformisti, guidati dal candidato Dragoliub
Micunovic, espressione della coalizione al potere oppure al suo sfidante,
Tomislav Nikolic, che raccoglie gli estremisti del partito radicale e i
nostalgici del vecchio regime di Slobodan Milosevic. Ma in agguato c’è ancora
il rischio dell’astensionismo da parte di un elettorato deluso dalla perdurante
crisi politica ed economica. Due delle principali formazioni politiche di opposizione,
tra cui il partito dell’ex presidente jugoslavo Kostunica, hanno invitato a
boicottare anche questa tornata elettorale. Se ai seggi non si recherà almeno
la metà più uno degli aventi diritto sarà tutto da rifare. Altrimenti, ballottaggio
tra due settimane, nel caso in cui nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta.
Il prossimo 28 dicembre si terranno le elezioni politiche, le prime dalla morte
del premier Zoran Djindjic assassinato a marzo di quest’anno in una oscura
congiura ordita dalla criminalità locale e dai servizi segreti deviati.
Massimiliano Bos, per la Radio Vaticana.
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Sei uomini sono morti in Ciad mentre
sminavano un’oasi nel nord del Paese africano. Prima di far
brillare gli ordigni, già raggruppati, qualcosa ha provocato la mortale
deflagrazione. Gran parte del territorio del Ciad è coperto da mine in seguito
alla guerra con la Libia del 1980-’87.
Torna a farsi caldo il fronte afghano. Un'impiegata francese delle Nazioni Unite è stata assassinata insieme con il suo autista nei pressi di un
bazar a sudovest di Kabul. A darne notizia è stato David Singh, un
portavoce dell'Onu. L'attacco è avvenuto a mezzogiorno ora locale. La donna è morta durante il trasporto in ospedale.
Due bombe artigianali esplose la
scorsa notte presso due birrerie di Bogotà, in Colombia, hanno provocato la
morte di una persona e il ferimento di altre 72. L'attentato non è stato ancora
rivendicato, ma dalle prime notizie, sembra che uno dei terroristi sia stato
catturato.
La Corea del Nord si dice pronta
ad abbandonare l’attività nucleare non appena gli Stati Uniti forniranno aiuti
strutturali. Lo riferisce l'agenzia di Stato Yonhap. Già ieri sera era
trapelata la voce di precisi accordi economici tra i due governi.
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