RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 319 - Testo della
Trasmissione di sabato 15 novembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Inaugurata la prima università pubblica in Guinea Bissau.
Urne
aperte domani in Serbia per le presidenziali
Elezioni
anche nella regione spagnola di Catalogna
In
Tanzania, si apre la nuova tornata di incontro per la pace in Burundi.
15 novembre 2003
IL
MONDO SI MOBILITI PER LA PACE CONTRO IL TERRORISMO:
E’ L’ACCORATO
APPELLO DEL PAPA IN UN MESSAGGIO DI CORDOGLIO
PER LE VITTIME DEGLI ATTENTATI DI OGGI AD
ISTANBUL
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Il mondo intero “si mobiliti in favore della pace e contro
il terrorismo” nel rispetto “della libertà di credo”, affinché “mai più
l’appartenenza religiosa sia fonte di conflitti che insanguinano e sfigurano
l’umanità”. Con queste parole, contenute in un messaggio di cordoglio alla
nazione turca, il Papa rivolge un accorato appello a tutti gli uomini di buona
volontà, dopo il duplice terribile attentato, che stamani ha scosso la città di
Istanbul.
Nel telegramma a
firma del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, il Pontefice assicura
le sue preghiere per le vittime e il sostegno spirituale ai feriti, alle famiglie
“così duramente provate” e a “tutti i fedeli toccati da questo nuovo dramma”.
Il Santo Padre chiede infine al Signore di “aiutare i soccorritori e quanti
sono incaricati di assistere le persone in lutto”.
ALL’UDIENZA AI PARTECIPANTI AL
PELLEGRINAGGIO DELL’UNITALSI,
IN AULA
PAOLO VI, L’ABBRACCIO DEL PAPA AD UNA DELLE VITTIME
DEL TERRIBILE ATTENTATO A NASSIRIYA
- Servizio di Alessandro Gisotti -
Il dolore per la strage di Nassiriya è stato presente oggi
anche in Aula Paolo VI, all’udienza del Papa ai partecipanti al pellegrinaggio
dell’Unitalsi. All’incontro c’era infatti Margherita Coletta, vedova di
Giuseppe, il vice brigadiere morto nell’attentato in Iraq. Il servizio di
Alessandro Gisotti:
*********
Un abbraccio, un gesto di tenerezza, di affetto. Il Papa
si è stretto così al dolore di Margherita Coletta, che nell’attentato di
Nassiriya, ha perso suo marito, eroe generoso e sfortunato. Lo ha fatto al
termine dell’udienza ad un’associazione per cui la speranza di fronte al dolore
è sempre stata un principio da seguire, uno stile di vita. Appresa la tragica
notizia, Margherita con il Vangelo in mano aveva detto alle telecamere: “La
nostra vita è tutta qui dentro” e ne
aveva letto un brano: “Fu detto amerai il tuo prossimo e odierai il nemico. Ma io vi dico, amate i vostri nemici
e pregate per i vostri persecutori”.
All’udienza ai partecipanti al pellegrinaggio
dell’Unitalsi, che in oltre 8 mila, hanno gremito l’Aula Paolo VI, per il
centenario di fondazione del sodalizio, il Papa ha lodato quanti si impegnano
in modo silenzioso in favore dei più deboli. Ricordando quindi il legame tra
l’associazione e il Santuario mariano di Lourdes, ha esortato a rendersi
“disponibili per ogni servizio umile e semplice”, imitando Maria che si mise in
viaggio per raggiungere la casa di Elisabetta:
“Vi esorto a mantenere vivo il carisma della vostra
associazione ecclesiale. Alimentate la vostra esistenza personale e il lavoro nell'Unitalsi
con l'ascolto della Parola e la preghiera, con un’intensa vita sacramentale e
una ricerca incessante della volontà divina”.
L’icona biblica del buon samaritano, ha detto ancora, vi
stimoli “ad una dedizione sempre più totale a Dio e al prossimo”.
********
E ora ascoltiamo la testimonianza di Maria Carla Traìna,
da quarant’anni volontaria Unitalsi e da otto presidente della sottosezione
Unitalsi di Roma. L’intervista è di Paolo Ondarza.
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R. – L’incontro con Gesù Cristo nella persona sofferente
mi ha fatto cambiare il mio rapporto quotidiano con le cose: a Lourdes si
relativizza tutto, si capisce che tutte le difficoltà che si incontrano nella
vita non sono niente se sono vissute con Gesù Cristo.
D. – Maria Carla prima accennava a questi viaggi, a questi
pellegrinaggi...ma cosa succede all’interno di un treno?
R. – Si vive una esperienza bellissima di condivisione. Ci
sono momenti molto forti, come la celebrazione della Messa in treno che è in
condizioni – in genere – abbastanza di disagio. Ma quella Comunione portata a
tutto il treno fa vivere un momento molto intenso con tutti i nostri amici in
difficoltà. Ci si confida, magari con degli estranei ma con i quali ci si sente
di condividere delle esperienze.
D. – Maria Carla, un episodio particolare che ricorda con
emozione e che ha contribuito alla sua crescita umana e cristiana?
R. – Le emozioni più forti credo di averle provate al
treno bambini e nella condivisione con le mamme. Ho sempre visto queste mamme
come delle eroine, delle madri coraggio. Il modo con cui trasmettono ai loro
figli con grosse difficoltà, viene soltanto dalla forza della fede.
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ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Nella mattinata, Giovanni
Paolo II ha ricevuto in successive udienze il cardinale Giovanni
Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi e un gruppo di presuli
indiani, in Visita ad Limina.
Nelle Filippine, il Santo Padre ha nominato vescovo della
diocesi di Kalibo, mons. Jose Romeo Orquejo Lazo, finora membro del comitato
per il programma “Assist” della
conferenza episcopale filippina.
In Kenya, il Papa ha nominato
vescovo di Embu il reverendo Anthony Muheria, della Prelatura dell’Opus Dei.
SEMINARIO
DI STUDIO SU “LEONE XIII E LA PACE” ORGANIZZATO A ROMA
DAL PONTIFICIO
CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE
-
Intervista al teologo Bruno Forte -
Approfondire
l’azione pastorale e diplomatica di Leone XIII ed evidenziare il suo impulso
alla successiva azione della Santa Sede a favore della pace, con particolare riferimento
alle sfide attuali. Questo il duplice obiettivo del seminario di studi organizzato in occasione del centenario
della morte di Papa Pecci, dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della
Pace insieme all’Università Gregoriana. Il convegno in corso presso la sede del
Dicastero, terminerà nel tardo pomeriggio. Il servizio è di Dorotea
Gambardella:
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Un
Pontefice, Leone XIII, per il quale la pace tra le nazioni non era soltanto una
questione di primaria importanza, bensì il punto nodale del suo magistero.
Questo uno dei concetti più volte ribaditi nel corso della prima parte del
seminario sulla figura di Papa Pecci. In particolare, il docente di teologia,
Heinz Gerhard Justenhoven, ha messo in luce come Leone XIII, “in qualità di
custode della fede” si sentisse “responsabile della giustizia e della pace nel
mondo”.
A tal
proposito Justenhoven ha ricordato la sua mediazione nella disputa tra Spagna e
Germania per le isole Caroline, nel 1880, l’intervento tra Stati Uniti e Spagna
nella crisi cubana del 1895, la questione della corsa alle armi prima della
Grande Guerra. Questo Papa dunque, come ha evidenziato il professore
dell’Istituto nazionale francese di Scienze politiche, Renè Remond, “non
sottrasse la chiesa al confronto, la rese anzi capace di unificare le esigenze
della religione con quelle del diritto”, spingendola verso la cosiddetta
“modernità cristiana”.
Il
concetto verrà ulteriormente sviluppato nell’enciclica Rerum Novarum, in
cui si afferma il principio, più volte ribadito dallo stesso Giovanni Paolo II,
che non può esservi pace senza giustizia. Nel corso del pomeriggio,
l’attenzione sarà puntata sulle sfide attuali da superare per il raggiungimento
della pace. Tra esse la globalizzazione, il rispetto dei diritti umani e il dialogo
interreligioso. Su quest’ultimo punto ascoltiamo Mons. Bruno Forte, docente
della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale:
“Nel
suo libro Lo scontro delle civiltà Samuel Huntington sostiene che mentre
l’800 è stato il tempo dello scontro delle nazioni, il 900 il tempo dello
scontro delle ideologie, il XXI secolo sarà il tempo dello scontro delle
civiltà, che Huntington intendo soprattutto come scontro tra Occidente
cristiano ed Islam. Le sue tesi sembrano aver avuto una conferma dall’11
settembre 2001 e dagli eventi bellici che sono seguiti a quella data. Il
problema è ora capire se questa tesi ha fondamento: la mia risposta è
assolutamente no, perché ritengo che i mondi religiosi a cominciare soprattutto
dal cristianesimo possano dare un apporto decisivo alla costruzione della pace.
Tra l’altro è proprio su questa linea che si è mosso Giovanni Paolo II, perché
proprio in nome del Mistero Santo del Dio Unico tutte le famiglie religiose
dell’umanità sono in qualche modo convocate ad essere artefici di pace e qui
non soltanto il cristianesimo, con la non violenza evangelica, ma anche
l’Islam, questa grande religione che pur tanto bene dà a masse umane immense e
che ha nei suoi testi fondatori – il Corano – dei richiami possibili alla violenza,
ma sarà proprio il dialogo che potrà aiutare l’anima non fondamentalista ad
emergere. Ecco che più che mai il dialogo fra le religioni è contributo alla
pace.
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CONCLUSA
OGGI IN VATICANO LA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA DEPRESSIONE
Intervista
al dott. Pierluigi Zucchi
Si è
conclusa oggi in Vaticano la Conferenza internazionale sulla depressione,
organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Presenti
medici, esperti e teologi giunti da tutto il mondo. Ieri il Papa, ricevendo in
udienza i partecipanti, ha voluto rimarcare la sofferenza, spesso
misconosciuta, di quanti sono malati di depressione e nello stesso tempo li ha
invitati a percorrere la strada della fede per scoprire la tenerezza di Dio e
superare così il loro male. Ma cosa è emerso da questa conferenza? Giovanni
Peduto lo ha chiesto al dott. Pierluigi Zucchi, esperto di terapia del dolore.
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R. – Da questa conferenza, estremamente articolata, la
patologia depressiva è emersa non soltanto con una grossa componente organica,
ma anche con una patologia deficitaria da un punto di vista etico-spirituale.
Per cui il paziente affetto da depressione,da questo congresso è stato
evidenziato molto bene, è un paziente che ha interrotto il rapporto spirituale
con i parametri trascedenti. Quindi è un paziente che deve recuperare se
stesso, soprattutto da un punto di vista spirituale. E’ ovvio che la medicina
interferisca in senso positivo da un punto di vista terapeutico, ma non è
sufficiente.
D.– E’ emerso dai lavori della Conferenza che la depressione attacca
maggiormente chi è privo di ideali, chi è privo di una componente religiosa,ma
abbiamo diverse persone, molto religiose, affette da depressione...
R. – Direi che la depressione dà la misura dell’entità del
proprio patrimonio spirituale. Io ho avuto il privilegio di fare degli studi a
ponte tra teologia e medicina con l’aiuto fondamentale indispensabile del prof.
Honigs, un teologo moralista, ed abbiamo dimostrato proprio quanto la componente
spirituale, e quindi quanto la preghiera possa essere, per esempio, uno
strumento fondamentale per ravvivare nel credente quello che è il proprio
patrimonio spirituale.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Ancora
sangue” è il titolo che apre la prima pagina in riferimento all’attentato
compiuto a Istanbul contro due sinagoghe e nel quale sono morte almeno 20
persone e oltre 200 sono rimaste ferite A centro pagina “L’Italia accoglie nel
suo seno i figli uccisi in Iraq per la pace”. In evidenza l’Udienza al
pellegrinaggio dell’Unitalsi nel corso della quale il Papa ha abbracciato il
figlio e la vedova del vice-brigadiere Giuseppe Coletta, morto nell’attentato a
Nassiriya.
Nelle pagine vaticane, la celebrazione presieduta
dal Cardinale Giordano per il 60.mo anniversario della morte di Salvo
D’Acquisto e l’articolo conclusivo sul Congresso Internazionale sulla
depressione.
Nelle pagine estere, celebrate a Nassiriya e a Bassora le
Sante Messe in suffragio delle vittime; è morto il diciannovesimo militare
italiano rimasto coinvolto nell’attentato; ancora agguati nei quali sono
rimasti uccisi tre soldati statunitensi. Continua intanto l’operazione
“Martello di ferro”: aerei bombardano nei pressi dell’aeroporto di Baghdad;
Ciampi e Bush concordano sull’esigenza di accelerare la transizione dei poteri
agli iracheni.
Nella pagina culturale, un volume ricorda la figura di
Sophia Scholl, la ventunenne ghigliottinata dai nazisti il 22 febbraio 1943 per
aver formato e animato il gruppo di resistenza morale della “Rosa Bianca”.
Nelle pagine italiane la cronaca
del rientro dei primi feriti dell’attentato a Nassiriya. e un commento
sull’inopportuna messa in onda di un programma televisivo sulla rete pubblica.
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15 novembre 2003
SDEGNO E CONDANNA IN TUTTO IL MONDO
PER
GLI ATTENTATI CONTRO DUE SINAGOGHE A ISTANBUL
-
Nostre interviste a Tullia Zevi, Khalid Chaouki e al cardinale Renato Raffaele
Martino -
Ad Istanbul, in Turchia, due
autobombe sono esplose questa mattina nei pressi delle sinagoghe di Shishli e di Neve Shalom nel
quartiere di Beyoglu-Kuledibi, mentre
erano in corso le preghiere del sabato.
Secondo il Ministero dell'Interno turco sono almeno 20 i morti e oltre 215 i
feriti. I particolari finora emersi,
nel servizio di Giada Aquilino:
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Due sinagoghe di Istanbul,
colpite da altrettanti attentati nel giorno dello shabat ebraico, quindi
affollate di persone raccolte in preghiera. Le
esplosioni sono avvenute a pochi istanti l'una dall'altra. Non è
ancora chiara la dinamica dei fatti, ma è certo che ad esplodere siano state
due autobombe guidate da kamikaze. Gli attacchi sono stati rivendicati da
un'organizzazione terroristica islamica denominata Islamic Great East
Raiders – Front, cioè 'Fronte islamico dei combattenti del Grande Oriente'
che dall’85 vuole instaurare uno stato islamico in Turchia. Fonti di
intelligence turche riconducono però gli attentati di oggi alla mano di Al
Qaeda, che organizzò e portò a termine l'attacco compiuto l'11 aprile 2002 in
Tunisia ad una sinagoga di Djerba. Allora fu un'autocisterna contenente gas
liquido ad esplodere di fronte ad un antico luogo di culto ebraico, uccidendo
19 persone. Intanto, il ministro degli Esteri turco Gul si è detto sicuro di
vedere “in legame internazionale” nelle esplosioni alle sinagoghe di Istanbul,
una città non certo nuova ad attentati rivendicati da gruppi estremistici che
in passato hanno avuto come obiettivi commissariati di polizia, uffici
giudiziari o singoli magistrati. Per l’emergenza a Istanbul, Israele ha offerto
la sua assistenza alle autorità turche e alla comunità ebraica locale. Il capo
della diplomazia israeliana Shalom, da Gerusalemme, ha già condannato le
azioni, affermando che gli odierni attentati in Turchia ''provano che nessun
Paese è immune dal terrorismo ed è per questo motivo che tutti gli Stati devono
combattere contro le forze del male''.
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Sconvolta per gli attentati di Istanbul anche la comunità
ebraica in Italia: ascoltiamo il commento di Tullia Zevi, autorevole esponente
di questa comunità, al microfono di Fabio Colagrande.
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Vorrei commentare con orrore e sgomento quello che è
accaduto a Istanbul. Sono le atroci conseguenze
dell’estremismo religioso. Bisogna che la religione vada ricondotta nel so
ambito che è appunto quello della fede e della fedeltà a quei principi di
umanità e di solidarietà che sono comuni a tutte le religione monoteiste,
purché non si lascino travolgere da
nazionalismi esasperati e da strumentalizzazioni politiche.
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Sdegno
per l’attentato contro le sinagoghe è stato espresso anche da Khalid Chaouki
presidente dei giovani musulmani in Italia, intervistato da Stefano
Leszczinsky.
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R.- Intanto come giovani musulmani d’Italia condanniamo
senza mezzi termini questo attentato terroristico che mette innanzitutto in
crisi, vuole mettere in crisi quella che è la convivenza civile tra le diverse
religioni e in una città come Istanbul che è stata simbolo anche della
convivenza positiva tra musulmani ed ebrei. Sicuramente chi ha fatto questo
attentato è uno che non ha interessi in quello che è appunto il confronto
civile tra l’Islam e il mondo occidentale e l’Islam e l’ebraismo in particolare.
Questo attentato incoraggia sempre più noi giovani musulmani d’Italia ad avere
maggiore coraggio nel dialogo, nella convivenza e sperare anche in un futuro di
pace in quella che è la Terra Santa in
Palestina, in Israele.
D.- Secondo Lei è un segnale di un malessere più profondo
della Turchia?
R.- Assolutamente no. Penso che la Turchia stia facendo
dei passi molto importanti nel campo delle libertà e nella laicità con molta
difficoltà. Penso che la Turchia sia stata scelta appunto perché rappresenta un
po’ il passaggio molto importante ad un Islam laico, ad un Islam che riesce a
orientare meglio la democrazia e la libertà, ad un Islam fatto di persone
soprattutto, un Islam plurale, un Islam che rispetta anche le minoranze. Questo
è l’Islam che sta facendo passi molto lento e difficili in Turchia. Per questo
è stato colpito proprio quel Paese.
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Ascoltiamo
adesso il commento del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:
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R. - A soli tre giorni dalla strage di Nassiriya la nuova
esplosione di violenza terroristica omicida, oggi scatenata ad Istanbul contro
due luoghi di preghiera ebraici, con un numero così drammatico di vittime,
suscita rinnovato orrore e non può che esigere l’incondizionata condanna da
ogni coscienza umana. Come Giovanni Paolo II ha più volte inequivocabilmente
ribadito, nessuna giustificazione può addursi al massacro indiscriminato di
vittime inermi e innocenti. L’odio genera l’odio, alimenta la spirale perversa
della vendetta ed è foriero solo di lacrime e sangue. Non ci sono scorciatoie,
meno che mai quelle violente, alla costruzione paziente, laboriosa e
disinteressata della pace, condotta con spirito di dialogo, con responsabilità
politica e con una ritrovata solidarietà internazionale. Affidiamo a Dio e al
suo amore le anime di coloro che sono morti. Siamo vicini con affetto alle loro
famiglie. Invochiamo la conversione dei terroristi, che devono lasciare le
strade della ferocia per quelle del bene.
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Gli
attentati compiuti dagli estremisti musulmani si stanno moltiplicando proprio
in questo mese del Ramadan, sacro per l’Islam. Ma cosa sta succedendo nel mondo
islamico? Giada Aquilino lo ha chiesto a Camille Eid, esperto di questioni arabe
del quotidiano Avvenire:
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R. - Anzitutto vedrei una matrice collegata ad altri
attentati precedenti, che sono avvenuti contro le comunità ebraiche di Tunisia
e Marocco, e quindi la mano – a questo punto – di Al Qaeda, che ha rivendicato
entrambi gli attentati sia a Casablanca quest’anno che all’isola di Djerba lo
scorso anno.
D. - Che lettura dà il mondo islamico a questa escalation
di violenze?
R. - Ovviamente il mondo islamico non è un blocco
monolitico, ma troviamo voci di dissenso e di protesta perché ovviamente non è
una bella rappresentazione dell’Islam che scaturisce da attentati di questo
genere; mentre ci sono altre voci che inneggiano a questi atti e pensano di
colpire il nemico internazionale ovunque si trovi. Sull’attentato di oggi
aggiungerei che è connesso con la visita del presidente israeliano che è
avvenuta proprio in questa sinagoga, nella quale nel mese di settembre aveva
appunto detto che la visita ad una sinagoga di Istanbul dimostra i buoni
rapporti e rapporti di amicizia che esistono in Turchia tra mondo islamico e
mondo ebraico. Questo forse rappresenta un motivo in più che ha stimolato gli
attentatori a colpire un bersaglio di questo genere.
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LA CERIMONIA SOLENNE A NASSIRIYA PER L’ULTIMO
SALUTO,
PRIMA DELLA PARTENZA PER L’ITALIA,
ALLE SALME DEI MILITARI ITALIANI UCCISI MERCOLEDI’
SCORSO.
IL TRAGICO ATTENTATO AL CENTRO DEL COLLOQUIO TRA
CIAMPI E BUSH.
- Intervista con Shlemon Warduni -
Una cerimonia solenne, alla
presenza delle autorità diplomatiche italiane in Iraq, i vertici militari della
missione Antica Babilonia, i compagni dei militari morti e una rappresentanza
di tutti i reparti militari presenti in Iraq, ha dato l’ultimo saluto alle
salme dei militari uccisi mercoledì scorso prima della partenza per l’Italia.
Le vittime dell’attentato sono salite oggi a 19, dopo l’autorizzazione a
staccare la macchina che assisteva il militare Pietro Petrucci, di cui era
stata già accertata la morte celebrale Si è anche appreso che non c’è alcuna
speranza per un altro dei militari rimasto finora in coma. Un centinaio di
persone si sono raccolte vicino alla base dei carabinieri, distrutta
dall'attentato kamikaze, per testimoniare ''solidarietà' ai militari
italiani''. L'arrivo delle salme è previsto intorno alle 18 a Ciampino. La
camera ardente sarà allestita nella
sala delle bandiere al Vittoriano, a Roma,
e sarà aperta lunedì dalle nove
del mattino alle 20. I funerali si svolgeranno
martedì nella Basilica di San Paolo fuori le mura.
Sul tragico attentato che ha
colpito mercoledì scorso il contingente italiano, Debora Donnini ha raccolto la
riflessione di mons. Shlemon Warduni, amministratore patriarcale caldeo di
Baghdad.
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R. – La reazione è stata veramente molto negativa. Il
cuore è addolorato per questo inumano attentato contro gente che è venuta ad
aiutare la pace, a mettere ordine nelle nostre città. Questo è il colmo del
male. Noi esprimiamo con tutto il cuore le nostre condoglianze a tutti gli
italiani, ma in modo speciale alle famiglie degli uccisi. Noi abbiamo sempre
accolto gli italiani col cuore pieno di gioia e credevamo che Nassiriya fosse
un luogo calmo e che le cose andassero bene.
D. – Per il futuro dell’Iraq quali i passi fondamentali da
fare?
R. – Per noi è una cosa molta importante che rimangano le
truppe straniere finché non si instauri una pace duratura e non ci sia
tranquillità e sicurezza. Perciò noi chiediamo a tutti di difendere le nostre
frontiere, di custodirle, che vengano espulsi tutti gli elementi che stanno destabilizzando
la nostra nazione. Quegli elementi che vengono da fuori, che appartengano ad Al
Qaeda o ad milizie straniere, vogliono soltanto destabilizzare con questi atti
terroristici. Perciò noi chiediamo agli
italiani di avere pazienza. Anche loro hanno subito questi sacrifici, come noi.
Il loro sangue è mescolato con il nostro sangue. Perciò li ringraziamo con
tutto il cuore e chiediamo loro di non compiere gesti come quello di ritirare
le truppe, le quali fanno tanto del bene speriamo che anche tutte le altre
truppe imparino da loro a fare il bene a favore della tranquillità.
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L’Iraq è stato al centro del
colloquio tra il presidente italiano, Ciampi, e il presidente statunitense
Bush. Quaranta minuti di colloquio, poi
il pranzo nell'appartamento privato
della Casa Bianca. Ma fra i due momenti,
un'improvvisata conferenza stampa di 25 minuti per dare a due voci un messaggio molto chiaro: ne' gli
americani ne' gli italiani intendono
ritirare i loro soldati dall'Iraq. E da parte statunitense c’è anche la
promessa di accelerare i tempi della consegna del potere agli stessi iracheni:
entro l’estate prossima. Intanto, sale il numero delle vittime tra i soldati
della coalizione in Iraq: sono oltre 470 di cui almeno 400 americani. Ma
ascoltiamo quanto riferisce Paolo Mastrolilli:
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Il
presidente Bush, ricevendo alla Casa Bianca il capo di Stato italiano, Carlo
Azeglio Ciampi, ha espresso la sua gratitudine per il contributo in Iraq, e
rinnovato le sue preghiere per i caduti dell’attentato di Nassiriya e per i
familiari. Il leader americano ha definito Ciampi “un amico stretto” e lo ha
ringraziato per la determinazione mostrata da Roma nella lotta al terrorismo.
Bush ha dichiarato di aver cambiato strategia perché il nemico ha mutato la propria
e ha promesso che le truppe americane resteranno sul terreno fino a quando la
pace tornerà in Iraq e Saddam verrà catturato. Ciampi ha risposto che l’Italia
è andata in Iraq non per partecipare ad una guerra ma per contribuire alla
ricostruzione del Paese.
“Questa è l’identità della Repubblica italiana: costruire
la pace, risolvere le situazioni post-conflittuali. Lo abbiamo fatto e lo
facciamo in molte parti del mondo”.
In Iraq, proprio in queste ore, Washington ha impresso una
svolta alla sua politica. Bush ha ordinato al governatore provvisorio Bremer di
accelerare la creazione di un governo locale, mentre il Pentagono ha lanciato
l’operazione “Martello di ferro” per colpire con più durezza la resistenza,
tornando ad impiegare anche i bombardamenti aerei.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Per quanto riguarda il
presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, lasciata Washington,
prosegue la sua visita negli Stati Uniti a New York, dove l’aspettano diversi
incontri con esponenti della comunita' italiana, una sosta a Ground Zero e
incontri all'Onu e con il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan.
Ripartirà per l'Italia con una giornata
d'anticipo sui programmi, per poter partecipare alle esequie delle vittime
italiane della strage di Nassiriya.
E sempre in Iraq, le forze di
coalizione stanno indagando sul rapimento ieri di un giornalista portoghese
dopo un attacco nel sud del Paese contro un convoglio di reporter. Per Carlos
Raleiras, inviato della radio privata portoghese All news-Tsf, c’è stata una
richiesta di riscatto di 50 mila dollari.
DOMANI IN ITALIA LA GIORNATA NAZIONALE DELLE
MIGRAZIONI
- Intervista con mons. Giuseppe Di Falco e mons. Luigi De Petris -
Ricorre
domani in Italia la 90ma Giornata Nazionale delle Migrazioni. La prima si ebbe
nel 1914 sotto il Pontificato di Pio X. Nell’anno precedente, con oltre 850mila
espatri, si era registrata la punta massima di un esodo che nell’ultimo
decennio aveva portato fuori dall’Italia sei milioni di cittadini. Negli ultimi
decenni la Giornata Nazionale ha esteso l’attenzione e l’impegno delle comunità
cristiane verso ogni forma di mobilità, comprendendovi anche marittimi ed
aeroportuali, rom e sinti, circensi e lunaparkisti, oltre a immigrati,
rifugiati e richiedenti asilo. Il servizio è di Stefano Leszczynski.
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“Vangelo, solidarietà e legalità” è questo il tema della
90.ma Giornata nazionale delle migrazioni che si ispira a quello più ampio,
proposto dal Santo Padre nel suo messaggio per la Giornata mondiale del
Migrante 2003 e cioè l’impegno a vincere razzismo, xenofobia e nazionalismo
esasperato, esprimendo l’amore evangelico nello spirito della solidarietà a
favore dei migranti e dei profughi del mondo. Il commento di mons. Giuseppe Di
Falco, vescovo di Sulmona e presidente pro tempore della Fondazione
Migrantes della Cei:
R. – E’ tutto racchiuso nel logo “Vangelo, solidarietà e
legalità”: dal Vangelo promana la
solidarietà e, allo stesso tempo, anche la legalità. Parlando di solidarietà e
di legalità noi intendiamo parlare di due realtà che poi si unificano. Questo
significa innanzitutto che i nostri immigrati devono poter trovare la
solidarietà delle comunità cristiane, la solidarietà della società civile ma nello
stesso tempo - mentre loro si impegnano
a rispettare le norme del nostro Stato – lo Stato deve rispettare le leggi
emanate dai propri organi istituzionali.
Nella
riflessione, proposta dal tema di quest’anno, non mancano riferimenti al dovere
di rispettare la legge e cioè quella legalità che vincola sia i migranti, sia
quanti per compito istituzionale o per spontanea dedizione si interessano dei
migranti stessi. Sentiamo mons. Luigi De Petris, direttore generale della
Fondazione Migrantes:
R. – Credo che un punto debole di quest’aspetto sia che
molte volte l’immi-grazione viene strumentalizzata e quindi bisognerebbe
riuscire veramente ad attuare una promozione di queste persone. Concretamente,
ad esempio, per quanto riguarda l’attuazione di questa legge era previsto che
dopo sei mesi dalla sua approvazione doveva essere emesso il regolamento di
attuazione, ma questo regolamento ancora non c’è ed è passato un anno. Quindi
ogni funzionario può dare una interpretazione della legge come vuole e ci
possono essere anche abusi. Noi chiediamo quindi che questo regolamento esca al
più presto possibile. Dobbiamo poi parlare della legge sull’asilo: anche il
governo precedente non l’aveva attuata; c’eravamo andati molto vicini, ma
all’improv-viso tutto è caduto nel nulla ed ora si deve ricominciare da capo.
E’ essenziale però che si arrivi ad una legge articolata, che garantisca i
diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo.
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15 novembre 2003
NON SI ARRESTA LA DRAMMATICA SPIRALE DI ODIO IN
UGANDA,
PAESE DOVE I RIBELLI HANNO ATTACCATO, GIOVEDI’
SCORSO,
LA MISSIONE CATTOLICA DI ALOI E UCCISO OTTO PERSONE
KAMPALA. = Nel distretto
di Lira, nel Nord dell’Uganda, sono state uccise otto persone nel corso
dell’attacco perpetrato, lo scorso 13 novembre, dai ribelli del sedicente
Esercito di resistenza del signore (Lra). Lo ha reso noto l’agenzia missionaria
Misna precisando che durante l’agguato è stata attaccata la missione cattolica
di Aloi, nei pressi dell’omonimo villaggio a 18 chilometri a Nord Est di Lira.
I ribelli sono entrati nei locali della missione saccheggiandola completamente
e mettendo tutte le stanze a soqquadro. Il parroco di Aloi, padre Andrew Okeny,
ha rivelato che, una volta abbandonata la missione, i ribelli si sono diretti
in direzione del villaggio e lungo la strada hanno ucciso 8 persone a colpi di
machete. L’attacco dei miliziani si è concluso alle prime luci dell’alba e
fonti della Misna hanno, inoltre, sottolineato il mancato intervento di una
unità mobile dell’esercito ugandese che si trovava nei pressi della missione.
Sul versante politico, il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, ha inviato
ai mezzi di informazione del Paese africano una lettera nella quale sottolinea
“l’intenzione del governo di uccidere il leader del gruppo ribelle, Joseph
Kony”. Parole dure che seguono di qualche giorno le dichiarazioni del
vicesegretario delle Nazioni Unite, Jan Egeland, secondo il quale la crisi
nordugandese è addirittura “più grave di quella irachena”. Dal 1986, i ribelli
dello Lra sconvolgono i distretti settentrionali del Paese: in 17 anni di
terrore hanno ucciso almeno 100 mila persone, rapito più di 20 mila bambini e
provocato oltre 1 milione di sfollati. (A.L.)
“IL CRISTIANO LAICO. L’EREDITÀ DELL’ARCIVESCOVO
MONTINI”.
E’ STATO QUESTO IL TEMA DELLA GIORNATA DI STUDIO
PROMOSSA IERI, A MILANO, DALL’ARCIDIOCESI AMBROSIANA E INCENTRATA
SUL RAPPORTO TRA IL FUTURO PAOLO VI ED IL MONDO
LAICO
- Servizio di Fabio Brenna -
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MILANO. = Una giornata di studio
per recuperare un aspetto meno approfondito di Paolo VI: la promozione e la
valorizzazione del laicato. Negli ultimi decenni, la storiografia ha dedicato
molta attenzione a tre fasi della straordinaria e complessa figura di Giovanni
Battista Montini: la stagione della Fuci, dal 1925 al ’33; il periodo
dell’episcopato milanese, dal 1954 al 1963; gli intensi 15 anni del
Pontificato, dal ’63 al ’78. Studiosi di storia ecclesiastica e di teologia
hanno passato in rassegna, all’Università cattolica, alcuni momenti
significativi del magistero del futuro Paolo VI per confermare questa
particolare attenzione per il laicato: le esortazioni ai fedeli, il rapporto
con l’Azione Cattolica, le trasformazioni del mondo del lavoro e dell’impresa,
l’innovativa – nella forma e nei contenuti – missione cittadina di Milano del
1957. Un evento dominato da un’ansia di raggiungere i più lontani. Il tutto ha
dato vita ad una vera e propria ‘teologia del laicato’ di Giovanni Battista
Montini, che rappresenta anche un nuovo filone di studio da approfondire in
futuro. “Montini individuò nella collaborazione all’apostolato gerarchico la
specifica vocazione del laico”, ha osservato nella sua prolusione l’arcivescovo
di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi. Evidenziò anche nel temporalismo e nel
laicalismo un pericolo ed una deviazione, sollecitando altresì una formazione
globale articolata e, dunque, insieme umana, intellettuale, psicologica,
religiosa e spirituale. Lo stesso cardinale Tettamanzi ha fornito alcuni
stimoli per proseguire lo studio di questa ‘teologia del laicato’: il rapporto
tra il magistero dell’arcivesco-vo Montini e quello di Paolo VI e la
prospettiva fortemente ecclesiologica entro la quale Montini situava il ruolo
attivo e responsabile dei laici. In serata, nella Basilica milanese di
Sant’Ambrogio, Milano ha reso omaggio alla figura dell’arcive-scovo Montini con
un concerto di Uto Ughi con i filarmonici di Roma. Domenica, infine, il
cardinale Tettamanzi celebrerà in Duomo una Messa di suffragio per Paolo VI,
nel quarantesimo anniversario della sua elezione a sommo Pontefice, e a 15 anni
dalla sua morte.
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INIZIATO IN GERMANIA IL PROCESSO DI ABBANDONO DEL
NUCLEARE
CON LA CHIUSURA DELLA CENTRALE ATOMICA DI STADE
BERLINO. = Ha avuto
ufficialmente inizio ieri, in Germania, il processo di abbandono dell’atomo
deciso dal governo di Gerhard Schröder. L’impianto di Stade, non lontano da
Amburgo ed in servizio dal 1972, è stato il primo a cessare la propria
attività. L’inizio dello smantellamento completo della centrale di Stade è
previsto nel 2005 e si protrarrà fino alla fine del 2015. Il ministro tedesco
dell’Ambiente, Jürgen Trittin, ha espresso la propria soddisfazione e ha
sottolineato come “il nucleare non abbia più futuro in Germania”. Il ministro
ha anche ricordato la dura lotta condotta dal movimento antinucleare tedesco
negli anni Settanta e Ottanta, osservando come il percorso tracciato in quel
periodo abbia riscosso “un grande successo”. L’abbandono del nucleare era stato
deciso nel giugno del 2001 al termine di lunghi negoziati tra il governo e
l’industria del settore. L’accordo prevede, per ognuno dei 19 impianti atomici
dislocati in Germania, un periodo di attività residua. Questo significa che, a
seconda dell’anno di entrata in funzione, l’ultima centrale dovrebbe cessare la
propria attività al più tardi nel 2020. (A.L.)
LA REALIZZAZIONE DI PROGETTI COMUNI, IL RUOLO DEI
MEZZI DI COMUNICAZIONE
E LA PROMOZIONE DELLE VOCAZIONI IN CAMBOGIA E LAOS.
SONO I TEMI CENTRALI EMERSI NELL’INCONTRO ANNUALE
DEL CELAC,
L’ORGANISMO FORMATO DALLE CONFERENZE EPISCOPALI DEI
DUE PAESI ASIATICI
SIHANOUKVILLE. = Si è conclusa giovedì scorso a
Sihanoukville, a Sud Ovest di Phnom Penh, l’incontro annuale del Celac,
l’organismo formato dalle Conferenze episcopali di Cambogia e del Laos. Al
centro dei colloqui, durati cinque giorni, nuove forme di cooperazione tra i
vescovi dei due Paesi e la formazione dei presbiteri e delle suore. “Ci siamo
confrontati su progetti comuni da attuare nel settore vocazionale e abbiamo
parlato anche dei mezzi di comunicazione”, ha detto il presidente del Celac,
mons. John Khamse Vithavong. Il
Prefetto apostolico di Battambang, mons. Enrique Figaredo, ha sottolineato che
“le differenti lingue parlate nel Laos e nella Cambogia impediscono di fatto la
realizzazione di poli formativi comuni ma non la condivisione di alcune
attività in periodi circoscritti”. L’incontro ha messo in luce i problemi che
riguardano entrambi i Paesi, primi tra tutti la carenza di personale e la
ricostruzione delle Chiese locali dopo le drammatiche esperienze vissute. Nel
1975, anno in cui i comunisti salirono al potere nel Laos, iniziarono le
persecuzioni nei confronti dei cattolici e degli altri gruppi religiosi. I
missionari stranieri vennero cacciati, i sacerdoti destinati al lavoro dei
campi per la “rieducazione” e i vescovi arrestati. Dopo la caduta del Muro di
Berlino e la fine dell’Unione Sovietica, il Laos adottò un nuovo testo
costituzionale che riconosceva la libertà religiosa. Nella confinante Cambogia
morirono centinaia di migliaia di persone durante il governo dei Khmer rossi e
la successiva guerra civile. Anche in questo Paese i cattolici furono presi di
mira ma la fine del comunismo consentì alla Chiesa locale di riorganizzarsi.
Oggi, in Cambogia i cattolici sono oltre 19 mila e nel Laos più di 35
mila. (A.L.)
INAUGURATA LA PRIMA
UNIVERSITÀ PUBBLICA IN GUINEA BISSAU,
UNO DEI PAESI PIÙ POVERI DELL’AFRICA E TEATRO, NELLO
SCORSO MESE DI SETTEMBRE, DI UN INCRUENTO COLPO DI STATO
BISSAU. = Il presidente
della Guinea Bissau, Henrique Rosa, ha inaugurato ufficialmente la prima
università pubblica del Paese, quasi trent’anni dopo l’indipendenza dal
Portogallo. La creazione dell’ateneo era stata decisa nel 1999 con un decreto
governativo ed ora - riferisce l’agenzia ‘Irin news’ delle Nazioni Unite -
tutto è pronto e a gennaio del 2004 saranno ammessi i primi studenti per un
corso pre-laurea. Fino ad oggi, il piccolo arcipelago africano aveva cercato di
garantire la formazione dei propri giovani attraverso borse di studio per
frequentare università in Portogallo e in Europa Orientale. Una politica che,
però, si è rivelata fallimentare, come ha spiegato durante la cerimonia di
apertura il rettore del neonato ateneo, il professor Tcherno Djalo. L’80 per
cento dei guineiani che hanno studiato all’estero non ha fatto ritorno in
patria al termine del percorso universitario. In questo modo, sostiene il
responsabile del neo-nato ateneo, la “fuga” dei cervelli non ha portato alcun progresso
in Guinea Bissau, uno dei Paesi più poveri dell’Africa. L’università è stata
intitolata ad Amilcar Cabral, fondatore del Partito africano per l’indipendenza
della Guinea e Capo Verde (Paigc), che lottò per l’autonomia delle isole dal
dominio coloniale di Lisbona. Offrirà corsi di laurea in legge, medicina,
veterinaria, ingegneria, economia agraria, sociologia, lingue moderne e
giornalismo. A settembre, il Paese è stato teatro di un rapido ed incruento
golpe militare che ha portato alla destituzione del presidente, Kimba Yala, e
alla nomina di nuovi vertici dello Stato. (A.L.)
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15 novembre 2003
- A cura di Fausta Speranza -
Urne aperte domani in Serbia per
le presidenziali. Per la terza volta in poco più di un anno si vota per
scegliere il nuovo capo di Stato, dopo il fallimento dei due precedenti
tentativi a causa del mancato raggiungimento del quorum del 50%.
L'astensionismo sembra proprio la forma preferita di dissenso per i tanti serbi che si sono sentiti traditi
dalla classe politica del dopo Slobodan
Milosevic, apparentemente più interessata
alle lotte interne di potere che non ai problemi del paese. Non si
attendono sorprese, invece, sui risultati dei singoli candidati: tutte le inchieste di opinione concordano nel
dare largamente in testa l'attuale
presidente del parlamento serbomontenegrino Dragoljub Micunovic.
Di fronte all'impossibilità di
gestire l’enorme debito estero latino-americano, il ‘Gruppo di Rio’ chiede una
riunione internazionale alla quale dovranno partecipare anche gli organismi
finanziari internazionali, l’Onu e il G-8.
E’ quanto ha annunciato, a margine del 13.mo Vertice iberoamericano di
Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, il
presidente peruviano Alejandro Toledo, che presiede anche il ‘Gruppo di Rio’,
organismo latinoamericano di
consultazione politica. Ma su quanto emerge dal vertice iberoamericano a
Santa Cruz de la Sierra, diamo la parola a Maurizio Salvi:
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E’ intervenuto il presidente
boliviano Carlos Meza che ha assunto il potere un mese fa, dopo le dimissioni
di Gonzalo Sanchez de Lozada. Il nuovo capo di Stato boliviano ha rivolto un appello ai suoi colleghi affinché
siano maggiormente ascoltate le ragioni
dei molti esclusi dalla società, che hanno cominciato a ribellarsi con mezzi
che a volte mettono in pericolo la democrazia e la stabilità istituzionale. A
conclusione, i capi di Stato e di governo faranno conoscere gli accordi
raggiunti in una dichiarazione di Santa Cruz, in cui i termini sociali avranno
spazio rilevante. In proposito, una delle preoccupazioni maggiori espresse ieri
dal presidente peruviano, Alejandro Toledo, è che i Paesi latino-americani
debbono trovare una soluzione per alleggerire il peso del debito estero, che
impedisce di liberare risorse per stimolare la crescita e ridurre la povertà.
Da Santa Cruz de la Sierra,
Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.
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Nuove manifestazioni in Georgia
contro il presidente Shevardnadze. Almeno diecimila persone sono scese in
piazza ieri per chiedere le dimissioni del capo dello Stato e l’annullamento
delle consultazioni di due settimane fa. Il presidente georgiano, 75 anni, ha
ammonito che sarebbe irresponsabile abbandonare la sua carica in questo momento
e ha invitato tutti alla calma per scongiurare il pericolo di una guerra
civile. A lanciare l’invito a manifestare è stato Mikhail Saakashvili il capo
del Movimento nazionale, che rappresenta la destra radicale, e che afferma che
le elezioni vengono falsificate. I risultati ufficiali, però, ancora non ci
sono. Sono stati annunciati per il prossimo 20 novembre.
Almeno 17 persone sono morte tra
mercoledì ed oggi nella parte occidentale del Burundi, vittime dei
combattimenti tra l’esercito, a maggioranza Tutsi, e il secondo movimento
ribelle, quello delle Forze di liberazione nazionale, di etnia Hutu. In questo
clima oggi a Dar es-Salaam, in Tanzania, si apre la nuova tornata di incontri
per la pace in Burundi, devastato da 10 anni di guerra civile. Il servizio di
Giulio Albanese:
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Il summit di due giorni, al
quale sono stati invitati i capi di Stato di Uganda, Repubblica democratica del
Congo, Kenya, Etiopia, Tanzania, Rwanda e Sudafrica dovrebbe approvare il piano
di pace per il Burundi. E tale accordo prevede la creazione di un governo di
transizione, al quale parteciperanno i ribelli delle forze per la difesa della
democrazia. Sarebbe una pace a metà perché l’altra formazione armata
antigovernativa del Burundi, le forze di liberazione nazionali non hanno mai
accettato alcun negoziato con le autorità di Bujumbura. L’accordo, in ogni
caso, serve a mettere fine a due lustri di guerra, che hanno provocato oltre
300 mila morti - secondo alcune fonti addirittura il doppio – e centinaia di
migliaia di sfollati. Intanto, nei quartieri settentrionali della capitale
Bujumbura avvengono continuamente violenze.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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Un'esplosione in una miniera nel
Sudest della Cina ha causato la morte
di 48 persone e il ferimento di sette, di cui due in modo grave. Gli incidenti nelle miniere di
carbone, assai frequenti in Cina, hanno causato oltre 4.100 morti nei primi
otto mesi del 2003, cioè in media 17 al
giorno.
Il giornalista cubano dissidente Bernardo Arevalo Padron è stato
liberato nella provincia di Camaguey, ad est dell’isola, dopo aver scontato
una pena di sei anni di reclusione
inflittagli per “oltraggio” nei confronti
del governo del presidente Fidel Castro e attività controrivoluzionarie.
Arevalo Padron è stato il fondatore dell’agenzia di stampa indipendente ‘Linea
Sur Press’, oggi fuorilegge.
Con la ratifica da parte
del Senegal è stato raggiunto il quorum
per dare il via alla creazione concreta del Parlamento Panafricano, organo dell’Unione
Africana che ha già una Commissione operativa. Il Senegal è stato il 24.mo governo a ratificare
l’intesa, ed era questo il ‘tetto’ minimo previsto. I Paesi membri dell’Ua sono
53. Il Parlamento Panafricano sarà eletto a suffragio Universale e nei primi
anni avrà poteri solo consultivi e di indirizzo.
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