RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 317 - Testo della Trasmissione di giovedì 13 novembre 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Questa mattina nella Basilica vaticana, durante la Messa presieduta dal Papa  in suffragio  dei cardinali e vescovi defunti nell’ultimo anno, si è pregato per la pace in Iraq e per le vittime dell’attentato di ieri a Nassiriya

 

Al via stamane in Vaticano la Conferenza internazionale sulla depressione: ce ne parlano il cardinale José Saraiva Martins e padre Alex Vadakumthala.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Sarà lutto nazionale in Italia il giorno dei funerali. Ribadito l’impegno italiano a proseguire la missione in Iraq: gli interventi del cardinale Angelo Sodano, del cardinale Roberto Tucci e intervista all’inviato del corriere della sera, Lorenzo Cremonesi

 

Ieri l’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Università Lateranense: ai nostri microfoni, mons. Rino Fisichella e il prof. Carlo Rubbia

 

Presentato ieri all’Auditorium di Roma, in versione integrale, il film di Wim Wenders “Fino alla fine del mondo”.

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’Organizzazione mondiale contro la tortura denuncia: tortura e abusi sono pratiche usuali in Colombia

 

L’Alto Commissariato Onu interviene a favore dei profughi che nei giorni sono approdati sull’Isola di Melville, in Australia

 

La Chiesa cattolica nella Repubblica democratica del Congo continua a levare la propria voce con assiduità in difesa della pace e delle vittime della guerra

 

Appello dei  vescovi messicani al governo perché vari riforme per colmare il divario tra i ricchi e i poveri

 

Il Consiglio dei ministri italiano approva il disegno di legge sulla droga, che annulla la distinzione tra sostanze “leggere” e “pesanti”.          

 

24 ORE NEL MONDO:

Il primo ministro palestinese, Abu Ala, annuncia che incontrerà il premier israeliano Sharon

 

Nello Sri Lanka i ribelli Tamil rispetteranno il processo di pace e la tregua col governo

 

Proteste di piazza a Manila contro la presidente delle Filippine, Arroyo.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

13 novembre 2003

 

 

SI E’ PREGATO PER LA PACE IN IRAQ

E PER LE VITTIME DELL’ATTENTATO DI IERI A NASSIRYA

 QUESTA MATTINA NELLA BASILICA VATICANA,

 DURANTE  LA MESSA PRESIEDUTA DAL PAPA 

IN SUFFRAGIO  DEI CARDINALI E DEI VESCOVI DEFUNTI NELL’ULTIMO ANNO

- Il servizio di Sergio Centofanti -

 

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La preghiera per le vittime dell’attentato terroristico di ieri in Iraq si è levata oggi durante la messa presieduta dal Papa nella basilica vaticana.

 

“Per le vittime dei crudeli attentati in Iraq perché il Signore accolga nel suo abbraccio misericordioso tutti i caduti, doni salute ai feriti, conceda conforto ai familiari, ai colleghi, agli amici e guidi le menti e i cuori degli uomini sulla via della pace”.

 

Il Papa ricorda le parole di Gesù: “Io do loro la vita eterna”. Questa parola di Cristo - ha detto -  riempie di luce e di speranza la memoria di quanti sono morti. 

 

Il Pontefice ha quindi voluto ricordare nome per nome i 7 Cardinali scomparsi quest’anno e la cui memoria – ha notato - è stata particolarmente presente e viva durante il recente Concistoro: Hans Hermann Groër, Gerald Emmet Carter, Aurelio Sabattani, Francesco Colasuonno, Ignacio Antonio Velasco García, Corrado Ursi e Maurice Michael Otunga. E con loro ha ricordato e pregato  pure per il Patriarca Raphaël I Bidawid e per i 125 vescovi defunti durante l’ultimo anno.

 

“E’ consolante pensare che tutti questi venerati Fratelli, zelanti servitori del Vangelo durante la loro esistenza terrena, sono ora nelle provvide “mani” di Dio, che li ha accolti nell’eterno abbraccio del suo amore”.

 

Nella loro sollecitudine pastorale – ha detto ancora il papa -  hanno educato i fedeli, con la predicazione e con l’esempio, a tendere verso i valori veri ed eterni, cercando di farsi modelli del gregge loro affidato. Siamo perciò fiduciosi che il Signore voglia ad essi concedere la ricompensa promessa ai suoi servi fedeli.

 

“Li accolga Maria Santissima e per loro ottenga il riposo eterno nel regno della luce e della pace del Risorto. Amen”.

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LA DEPRESSIONE IN PRIMO PIANO

ALLA 18.MA CONFERENZA INTERNAZIONALE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA SALUTE AL VIA STAMANI, ALL’AULA NUOVA DEL SINODO,

CON GLI INTERVENTI DEI CARDINALI LOZANO BARRAGAN E SARAIVA MARTINS

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Con una disamina sul pensiero postmoderno, pronunciata dal cardinale Javier Lozano Barragán, si è aperta stamani all’Aula Nuova del Sinodo, la Conferenza internazionale sulla depressione, promossa dal Pontificio consiglio per la Pastorale della Salute. Quando l’uomo perde Dio, ha detto il porporato, diviene debole e solo come un vagabondo nel deserto. La prolusione inaugurale della conferenza è stata tenuta dal cardinale José Saraiva Martins, che si è soffermato sulla depressione alla luce dell’antropologia biblica e della fede cristiana. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Trovare nella Bibbia gli strumenti per affrontare e vincere la depressione, malattia dei nostri tempi. E’ l’esortazione del cardinale Saraiva Martins, che ha sottolineato come già in numerosi Salmi venga affrontato il “male oscuro” offrendo anche dei rimedi, o meglio dei principi di riferimento. Innanzitutto, ha detto, i Sacri Testi spiegano con chiarezza che l’uomo è sempre amato da Dio che gli è vicino e il mondo non gli è estraneo giacché è espressione del Creatore. Il Cristianesimo, con il suo costante richiamo alla conversione, aggiunge così nuove prospettive all’antropologia biblica:

 

“La fede in Dio, Creatore, rappresenta il fattore che garantisce il senso della vita. La fede nel Cristo Risorto apre l’uomo alla speranza, all’ottimismo che genera uno stato d’animo diametralmente opposto a quello della depressione. Chi crede davvero nel Mistero Pasquale di Cristo e nella propria somiglianza con Lui non dovrebbe essere mai depresso”.

 

Nella tre giorni di lavori, attraverso gli interventi di esponenti religiosi e accademici, la conferenza affronterà la depressione sotto molteplici aspetti. Una malattia, che non riguarda solo i Paesi ricchi come comunemente si è portati a pensare. Ce lo conferma – al microfono di Giovanni Peduto - il reverendo Alex Vadakumthala, segretario della commissione per la salute dell’episcopato indiano:

 

“Questa malattia esiste anche in India e in altri Paesi sottosviluppati. La causa può essere, ad esempio, rintracciata nella povertà, la malnutrizione, il rapporto con la famiglia; ma anche le crisi economiche e la disoccupazione. C’è una maggioranza di persone che non hanno ancora la possibilità di essere aiutati, di ricevere medicinali. La Chiesa ha in questo una responsabilità grande, anche in Paesi come l’India”.

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FIRMATO ACCORDO TRA LA SANTA SEDE

E IL LAND TEDESCO DEL BRANDEBURGO

 

La Santa Sede e il Land tedesco di Brandeburgo hanno firmato ieri, nella cancelleria di Stato di Postdam, un accordo in 25 articoli che dà un ordinamento stabile alle relazioni tra la Chiesa cattolica e il Land. Per la Santa Sede, ha firmato come plenipotenziario il nunzio apostolico in Germania, mons. Giovanni Lajolo; per il Brandeburgo, il ministro-presidente Matthias Platzeck.

 

L’accordo e il relativo Protocollo Finale regolano vari aspetti tra cui la libertà religiosa e la condizione giuridica della Chiesa cattolica nella società civile. Ancora, la sua libertà di azione nei campi cultuale, educativo, pastorale e caritativo. Vengono inoltre regolati l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e la gestione ecclesiastica di scuole ed istituti di formazione di ogni grado.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

In riferimento all’attentato di Nassirya, la prima pagina così titola: “Il sangue degli operatori di pace”.

Si sottolinea poi l’orrore che tale massacro ha suscitato in tutto il mondo. 

 

Nelle vaticane, l’omelia del Papa per la concelebrazione Eucaristica in suffragio dei cardinali e dei vescovi defunti nel corso dell’anno.

Due pagine dedicate alle iniziative pastorali promosse dalle diocesi italiane.

 

Nelle estere, servizi sui diversi aspetti legati al massacro di Nassirya.

Medio Oriente: si è insediato il nuovo governo palestinese. 

 

Nella pagina culturale, un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo “Il cattolicesimo italiano dal 1958 ad oggi”: un recente convegno di Assisi.

 

Nelle pagine italiane, il comunicato dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della Cei sull’attentato a Nassiriya.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

13 novembre 2003

 

                                                                                          

ONDATA DI COMMOZIONE E DI CORDOGLIO, IN TUTTO IL MONDO,

PER LA STRAGE DEI CARABINIERI A NASSIRIYA.

IL GOVERNO ITALIANO DICHIARA IL LUTTO NAZIONALE,

MENTRE IL BILANCIO DELLE VITTIME POTREBBE AGGRAVARSI

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

“E’ stato il nostro 11 settembre”. Con queste parole, il generale Carlo Cabigiosu, ufficiale di collegamento in Iraq tra la missione italiana e gli americani, ha commentato l’attentato di ieri a Nassiriya. Il bilancio delle vittime sembra essersi stabilizzato sul numero di 27 morti: tra essi 12 Carabinieri, 4 soldati, 2 civili e 9 iracheni. Anche se, in questo drammatico bollettino, vanno annotate la morte cerebrale dichiarata stamani per il militare 22.enne caduto in coma e le condizioni tuttora molto gravi in cui versano alcuni dei feriti. Oggi, intanto, sul luogo dell’attentato si è recato il ministro della Difesa italiano, Antonio Martino, mentre altri 50 militari dell’Arma sono in procinto di partire per l’Iraq. Il punto, in questo servizio di Giancarlo La Vella:

 

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Nassiriya il giorno dopo. Una città in cui i militari del contingente italiano, ma anche gli stessi civili iracheni, si chiedono il perché  di quanto avvenuto ieri alla base dei Carabinieri. “Gli italiani sono diversi...”, “amico italiano...”, “italiani, brava gente...”: frasi raccolte tra i civili iracheni che sembrano ormai solo luoghi comuni, anche se oggi, di fronte all’orrenda voragine causata dall’esplosione, è ancora più forte la volontà di continuare ad operare per la pace. E’ quanto annunciato dal ministro della Difesa, Martino, prima di partire per l’Iraq. Una volontà confermata dal governo italiano. E oggi, da Nassiriya, Martino punta il dito contro i probabili responsabili dell’attentato. “Abbiamo riscontri di intelligence abbastanza attendibili – ha detto il ministro - che si tratta del gruppo denominato Feddayn Saddam, a cui si sono uniti appartenenti ad Al Qaeda, fedelissimi del vecchio regime e terroristi che provengono da Paesi vicini”.

 

Intanto nel centro di Baghdad centinaia di poliziotti iracheni, appoggiati dalla polizia militare della coalizione, hanno lanciato oggi un raid contro rifugi di irriducibili nella più massiccia operazione dalla fine della guerra in Iraq. Anche oggi nuove violenze. Un veicolo militare americano è saltato in aria a Falluja, nel nord-ovest dell'Iraq, per l’esplosione di una bomba. Secondo fonti locali sarebbero tre vittime: un soldato rimasto ucciso e altri due rimasti feriti. E in Italia si stanno organizzando i funerali di Stato per i caduti nell’attentato. Le esequie verranno celebrate molto probabilmente la prossima settimana, dopo il rientro dagli Stati Uniti del presidente della Repubblica, Ciampi. Il Consiglio dei Ministri ha deciso oggi che, nell’occasione, verrà indetta una giornata di lutto nazionale.

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Nonostante la reazione della sicurezza irachena, le frange terroristiche che operano a Nassiriya mostrano di non avere troppi interessi ad agire nell’ombra e di tenere in grande conto l’attenzione riservata loro da tv, radio e giornali. Lo conferma Lorenzo Cremonesi, inviato speciale del Corriere della sera a Nassiriya, raggiunto telefonicamente da Giada Aquilino.

 

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R. - Il fatto evidente che balza agli occhi è la presenza di diverse milizie armate - come di fatto era avvenuto a Najaf, il 29 agosto, dopo l’attentato all’imam Akim –che fanno una sorta di prova di forza. Si tratta di diversi gruppi, che stanno ricreando il panorama politico del nuovo Iraq: mostrano i denti e cercano di dimostrare che sono loro al controllo della città. E vogliono di dimostrarlo anche ai media, che sono accorsi sul posto, e agli americani.

 

D. – Questi uomini armati a quale fazione appartengono?

 

R. – La più evidente è la brigata Badr, che è legata agli sciiti di Najaf e di Kardala. Ma ci sono anche i komeinisti ed altri gruppi.

 

D. – Qual è lo stato d’animo nella popolazione civile?

 

R. -  Ho trovato diverse reazioni che vanno dalla condanna - dal prendere le distanze, dal dire che non è opera degli iracheni ma di Al Qaeda o di infiltrati arrivati dall’estero o dalle brigate arabe internazionali – a coloro che invece equiparano i soldati italiani alla presenza americana, come cioè truppe di occupazione. E’ un clima di diffidenza.

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“Modelli” di peacekeeper, “uomini che farebbero onore a qualsiasi Paese”. Dagli Stati Uniti, come da tutto il mondo, unanime, otre al cordoglio, è stata la stima mostrata nei riguardi dei Carabinieri. Stima per la competenza che contraddistingue gli uomini in divisa blu, ma anche ammirazione per la loro particolare sensibilità nello stabilire legami di concordia con le popolazioni delle aree di crisi del pianeta. Sulle reazioni della Casa Bianca ci riferisce Paolo Mastrolilli:

 

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“L’Italia ha perso alcuni figli fieri impegnati al servizio della libertà e della pace. Apprezziamo il loro sacrificio e la guida ferma del primo ministro Berlusconi che si rifiuta di cedere davanti al terrore”. Con queste parole il presidente Bush ha commentato l’attentato di Nassiriya. Anche il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, si è detto costernato e ha sollecitato la transizione del potere politico alle autorità locali. Ma la crisi irachena era già all’ordine del giorno della Casa Bianca anche prima dell’attentato di Nassiriya. Infatti, c’era stato un vertice con il governatore, Paul Bremer, per accelerare il passaggio dei poteri e spingere l’esecutivo locale a lavorare con più efficacia.

 

Bush non è soddisfatto di come vanno le cose e per questo aveva convocato d’urgenza Bremer a Washington per mutare direzione politica. Tra le ipotesi, c’è la nomina di un leader ad interim sul modello di Karzai in Afghanistan, più poteri al governo locale e la scrittura di una Costituzione provvisoria per accelerare le elezioni. Nel frattempo, però, la Cia ha lanciato l’allarme, dicendo che la violenza è destinata ad aumentare. Un rapporto presentato nei giorni scorsi sostiene che la guerriglia stia facendo proseliti e che dunque moltiplicherà gli attacchi in tutto il Paese.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Guardando al futuro, non resta che la strada del confronto, come ribadisce il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano:

 

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Per il futuro, nutriamo sempre il grande ideale della pace. Bisogna continuare col dialogo, con le trattative, dimenticando i rancori e gli odi e lavorare, lavorare perché la stella della pace spunti di nuovo su quelle terre.

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Un attentato “vile”, “crudele”. Con questi aggettivi, Giovanni Paolo II aveva condannato ieri la strage di Nassiriya, indicando nella ininterrotta catena di violenza che scuote l’Iraq l’ostacolo principale sulla via della pacificazione. Ma il cuore del Pontefice si è subito unito al dolore dei caduti in missione di pace, dei loro cari, e di tutta l’Italia colpita a freddo da una tragedia di proporzioni mai viste - sul piano militare - dalla fine della seconda Guerra mondiale. Ascoltiamo l’analisi del cardinale Roberto Tucci al microfono di Rosario Tronnolone:

 

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R. - E’ chiaro che la prima reazione del Papa è stata la preghiera per i morti e la preghiera per le famiglie colpite così duramente. Bisogna ricordarsi che queste persone sono morte in un servizio veramente nobile e quindi le famiglie, pur nel loro dolore irreparabile umanamente, devono sapere che il Paese giudica queste persone degne di ogni rispetto e degne di grande memoria, perché sono morte in una missione di pace espletata nel miglior modo possibile. Ho notato che anche dall’opposizione, qualche personalità importante, ha sottolineato che non è questo il tempo di discutere…meno male! E voglio sperare anche che lo Stato italiano non dimentichi queste famiglie perché anche in passato è successo che in casi non uguali a questo ma simili in qualche modo queste famiglie colpite sono state piuttosto dimenticate. Tenete anche presente che è giusto che noi piangiamo le vittime italiane ma tra gli iracheni si parla di almeno otto morti e un centinaio di feriti, perché l’esplosione del camion bomba ha investito molti passanti ed in particolare uno scuolabus dove sono rimaste uccise quattro ragazze. Questo va considerato, l’assurdità di questo terrorismo… Siamo veramente di fronte ad una follia nichilista.

 

D. – Ma qual è il fine di questi attentati?

 

R. – E’ sempre un disegno antioccidentale, quindi anche l’editoriale pubblicato da Sergio Romano sul Corriere della Sera, che fa pendant a quello del direttore Stefano Folli, mi pare che vada tenuto presente: il ritiro Usa ora porterebbe il caos. Le discussioni verranno dopo, le discussioni sono presenti già in America; nei grandi quotidiani statunitensi è cominciato infatti un esame critico di come è stata condotta la guerra e di come è stata preparata la successione alla guerra, che invece continua perché non è finita. Quindi le discussioni verranno dopo e devono coinvolgere non tanto la partecipazione italiana, secondo me va infatti giudicato tutto il processo di questa guerra: come è stata voluta, come è stata iniziata, come sembrava essere terminata, come è stato affrontato il dopoguerra soprattutto da coloro che l’hanno voluta di più e cioè dagli statunitensi e dai britannici.

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L’Italia è in lutto e attende di poter celebrare le esequie dei Carabinieri e dei soldati uccisi a Nassiriya. In queste ore, affiorano gradualmente gli aspetti meno conosciuti di queste persone, abituate al servizio in prima linea. Vogliamo ricordare il valore della loro azione, in questa nota di Alessandro De Carolis.

 

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E’ commozione vera, quella che arriva dagli Stati Uniti, dall’Europa, dai continenti. Commozione che fa da cornice rispettosa alle lacrime di diciotto famiglie italiane e al dolore di un’Arma che si è guadagnata sul campo la fama di saper gettare a qualsiasi latitudine, tra le macerie di un tessuto sociale distrutto – che si chiami Libano, Somalia o Kosovo - il seme della fiducia, prima ancora che della legalità e delle sicurezza. Ieri, a Nassiriya, si è voluto colpire a morte questo: non la macchina armata, straniera e occupante, ma il volto “umano” di chi, pur con una divisa addosso, si era impegnato a ricostruire la normalità attraverso gesti quotidiani: fatti di rigore, sì, ma anche di disponibilità verso la gente, di attenzione ai loro bisogni. Dovere professionale, si potrebbe obiettare. Replichiamo con ciò che ha ricordato mons. Angelo Crotti, cappellano militare del Comando generale dell’Arma dei CC. Alcune delle vittime dell’attentato di ieri, insieme ad altri commilitoni, si autotassavano sullo stipendio per aiutare delle famiglie di Nassiriya. Non si è mai generosi per professione. Il giorno dopo, allora, è l’umanità di quei volti che vogliamo conservare, assieme al calore di quei gesti, per onorare il sacrificio dei 12 Carabinieri e dei 4 militari morti. Se le si vuole conoscere, le loro storie sono sulle prime pagine di tutti i giornali, insieme ai loro sorrisi, fotografati in un momento bello della loro vita, finita troppo presto. Ci uniamo alle preghiere del Papa per i morti e per i loro cari. E non dimentichiamo certamente i civili iracheni che la follia di ieri ha annientato. Ci uniamo allo sguardo di quel bimbo accecato dall’esplosione, che forse non vedrà più il futuro del suo Paese. Che quel futuro di pace arrivi presto.

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LA VERITA’ OBIETTIVO E DOVERE DELLA RICERCA UNIVERSITARIA.

 CON NOI IL PREMIO NOBEL PER LA FISICA, PROF. CARLO RUBBIA

 E IL RETTORE DELL’UNIVERSITA’ LATERANENSE, MONS. RINO FISICHELLA

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

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“Quando la scienza raggiunge obiettivi che toccano la vita delle persone allora è determinante che ogni uomo sia posto nella condizione di poterne usufruire”. Così il cardinale vicario Camillo Ruini ieri nel corso della cerimonia inaugurale del 231.mo anno accademico della Pontificia Università Lateranense: l’università del Papa. Ospite d’onore il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia, intervenuto sul tema “La Scienza al servizio dell’Uomo”. Ascoltiamo una sua riflessione…

 

“La scienza è, come tanti altri aspetti dello spirito umano, un elemento importante, che va armonizzato agli aspetti che rappresentano un essere umano, che non è solo una macchina”.

 

Ad accogliere ospiti, studenti, docenti e ambasciatori di 95 diversi Paesi, il rettore mons. Rino Fisichella. Tema portante della sua prolusione la ricerca, a volte ardua e non priva di rischi della verità. Parlarne è una sfida, di più: per dirla con Romano Guardini un dovere. Ma quanto sono recettivi i giovani studenti oggi a questo valore. Sentiamo mons. Fisichella.

 

R. - C’è un insieme di elementi che aiutano a recepire sempre più l’esigenza della verità, soprattutto in questo momento di cambiamento culturale.

 

D. – Perché è così scomodo parlare di verità?

 

R. – Perché la verità obbliga alla responsabilità e obbliga a fare delle scelte, che debbono essere tali per tutta la vita. Oggi c’è molta paura a compiere una scelta per la vita. Dobbiamo essere invece capaci di essere propositivi e quindi di proporre scelte di vita, perché scelte fatte a favore della verità.

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PRESENTATA A ROMA PER LA PRIMA VOLTA IN EDIZIONE INTEGRALE LA TRILOGIA

DI WIM WENDERS FINO ALLA FINE DEL MONDO DEL 1991. OLTRE QUATTRO ORE

 DI CINEMA DALL’INTENSO SPESSORE ETICO PER RACCONTARE UNA MODERNA ODISSEA FEMMINILE E DENUNCIARE I PERICOLI DEL DOMINIO DELL’IMMAGINE

- Servizio di Luca Pellegrini -

 

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Il film uscì in un momento critico ed entusiasmante della storia del secolo scorso: la seconda metà dell’anno 1991. Ma uscì monco, “come se da uno scheletro avessero tolto la carne” ha affermato il regista Wim Wenders presentando, nella grande sala dell’Auditorium di Roma, la proiezione integrale del suo Fino alla fine del mondo, tre parti per un totale di 280 minuti. “E’ come se allora avessi dipinto il mio più grande quadro, ma quello che veniva mostrato fosse soltanto il bozzetto”.  E’ vero: assistere a quest’opera difficile e velleitaria, citazionistica e visionaria, tecnologicamente all’avanguardia – almeno per allora – e debordante nel racconto, è un’esperienza di cinema che insieme esalta e in parte delude. Sorta di viaggio nel mondo sino alla sua fine, che poi diventa l’inizio, dalla parola che all’inizio creò fino all’immagine che oggi ricrea, la grande saga wendersiana è raccontata da un io narrante, paragonato da Wenders ad un moderno Omero, che scrive la sua Odissea al femminile: Claire, interpretata da Solveig Dommartin - una Penelope curiosa ed irrequieta che non rimane ad aspettare lo sposo - insegue amori e vita, verità e sogni, attraverso i Paesi del vecchio, nuovo e nuovissimo mondo, in quel tempo, il 1999, che dodici anni fa era il futuro ed oggi è per noi storia.

 

Insieme a Trevor, l’attore William Hurt, i due protagonisti raccolgono immagini da portare nel deserto australiano, mentre il mondo subisce l’ennesima minaccia di estinzione nucleare ad opera di un satellite impazzito e della sprovvedutezza americana. Serviranno, le immagini immagazzinate in una strana macchina, a ridare la vista ad una madre cieca (splendida attrice, Jean Moreau) e per spingere poi la medesima tecnologia a captare e riprodurre i sogni, ossia l’inconscio segreto dell’uomo. Alla coppia si aggiungono l’ex-compagno di Claire, bravissimo Sam Neil, ed una galleria di personaggi di contorno recuperati in questa ricostruita edizione. Pur nella prolissità di questo lungo racconto, i temi cari all’autore de Il cielo sopra Berlino sono ancor più evidenti. Il suo cinema riesce a cogliere gli aspetti brucianti della nostra epoca: il dominio della tecnologia, i pericoli della scienza, le minacce del potere, l’assuefazione all’immagine, il desiderio dell’innocenza perduta. Ma soprattutto il rischio del varcare i confini etici, qui identificati dalla segretezza del sogno - metafora della coscienza - che non può mai essere teletrasmesso, perché, afferma Claire “non ne abbiamo il diritto”.

 

In questa denuncia seria ed attuale, Wenders impronta il suo lavoro sempre e comunque ad un recupero ed un’attenzione rigorosa alla metafisica e alla norma morale. Crede nel potere dell’immagine e nelle sue finalità etiche proprio nel momento in cui li denuncia entrambi: il vedere significa oggi immergersi giustamente nel mondo, in tutto il mondo dell’uomo, fino ai confini estremi, oltre le nostre simboliche “colonne d’Ercole”. Ma anche nel giardino dell’Eden c’era un frutto proibito.

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CHIESA E SOCIETA’

13 novembre 2003

 

TORTURA E ABUSI SONO PRATICHE USUALI CONTRO LA POPOLAZIONE CIVILE

COLOMBIANA. AD AFFERMARLO E’ L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE CONTRO LA TORTURA IN UN NUOVO RAPPORTO ELABORATO CON ALCUNI ORGANISMI LOCALI PRESENTATO

IN QUESTI GIORNI AGLI ESPERTI DEL COMITATO DELLE NAZIONI UNITE

 

BOGOTA’ = “La tortura è praticata in maniera sistematica e generalizzata in Colombia specialmente come strumento di persecuzione politica nei confronti della popolazione civile”. Lo afferma l’Organizzazione mondiale contro la tortura nel nuovo rapporto elaborato in questi giorni e presentato al Comitato contro la tortura. Il documento è stato redatto con la collaborazione di alcuni organismi locali tra cui la Commissione colombiana dei giuristi, la Fondazione Comitato di solidarietà con i prigionieri politici e appoggio alle vittime per il recupero psicologico. Già dal 1996 il Comitato contro la tortura dell’Onu aveva invitato le autorità colombiane a sciogliere i gruppi di autodifesa civile armati. Ma il rapporto sottolinea che, ad oggi, questi gruppi si sono rafforzati e sono responsabili della maggior parte delle torture denunciate nel territorio nazionale. Preoccupante è anche il clima che copre i responsabili di altri crimini, tra cui la violenza contro le donne, usate anche come arma da guerra, abusi compiuti nei confronti dei detenuti in diverse carceri, minacce contro familiari di civili uccisi o scomparsi al fine di impedire l’apertura di inchieste giudiziarie. Nel panorama latinoamericano, la capacità di resistenza del popolo Colombiano, come di quello ecuadoriano e di tutta la regione Andina, appare difficile poiché incide in un clima di ingiustizia, povertà, violenza e concentrazione del potere e delle terre nelle mani di una ristretta élite. In conclusione L’Organizzazione mondiale contro la tortura esorta il governo Colombiano ad astenersi nel promulgare leggi costituzionali e a sanzionare gli agenti di Stato che commettano atti di tortura. (M.A.)

 

 

L’ALTO COMMISSARIATO ONU INTERVIENE A FAVORE DEI  PROFUGHI

CHE NEI GIORNI SCORSI SONO APPRODATI SULL’ISOLA DI MELVILLE, IN AUSTRALIA, CHIEDENDO PER LORO L’ASILO POLITICO. L’UFFICIO PER I DIRITTI UMANI

 HA CONTESTATO LA DECISIONE DI TRASFERIRE FORZOSAMENTE IN INDONESIA

14 MIGRANTI DI ETNIA CURDA

 

GINEVRA. = Il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria (Wgad) e l’Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Acnur) hanno inviato delle delegazioni in Australia per indagare sulle condizioni e sui metodi che regolano la detenzione dei richiedenti asilo senza un regolare processo. Dalla sede centrale di Ginevra, il portavoce ha detto che Canberra è venuta meno alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, di cui l’Australia è firmataria, quando ha negato ai 14 migranti, arrivati su una piccola nave da pesca, la possibilità di chiedere asilo politico. Lo scorso 4 aprile, un peschereccio con a bordo 14 curdi e un equipaggio di cinque indonesiani era riuscito a raggiungere le spiagge dell’isola di Melville, ma era stato nuovamente rimorchiato al largo da una nave della marina militare australiana in attesa di indicazioni dal governo. Alla notizia dell’approdo del natante sulla costa dell’isola di Melville, Canberra aveva emesso un provvedimento d’urgenza con valore retroattivo che escludeva dalla cosiddetta “zona di migrazione” le migliaia di isolette che circondano il continente australiano. E’ questa l’area in cui, trovandosi in territorio australiano, si potrebbe presentare richiesta di asilo. L’Acnur ha fatto anche appello a Giakarta perché rispetti lo spirito della convenzione di Ginevra sui rifugiati sebbene non l’abbia sottoscritta, non respingendo i curdi in Turchia, ma permettendo loro di fare richiesta di asilo e di incontrare i funzionari locali dell’Acnur. Le politiche mirate a bloccare l’immigrazione, che il governo conservatore del primo ministro John Howard ha promulgato in questi anni, sono duramente criticate dalle organizzazioni che si occupano di diritti umani. (M.A.)

 

 

LA CHIESA CATTOLICA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO CONTINUA CON ASSIDUITA’ A LEVARE LA PROPRIA VOCE IN DIFESA DELLA PACE E DELLE VITTIME DELLA GUERRA  CHE FINO AD OGGI

HA CAUSATO LA MORTE DI OLTRE TRE MILIONI DI PERSONE

 

 

KINSHASA. = I religiosi del Congo denunciano “il silenzio e l’immobilismo dei dirigenti politici e tutte le persone che attingono all’odio etnico tra i nostri popoli per rafforzare la loro politica del dividere per meglio regnare”.  E’ quanto affermato a conclusione dell’Assemblea plenaria dei Superiori maggiori degli Istituti di vita consacrata recentemente svoltasi a Kinshasa. Nel comunicato i religiosi ricordano anche le responsabilità internazionali, soprattutto alla luce dei numerosi rapporti delle Nazioni Unite per la difesa dei diritti umani che denunciano saccheggi delle ricchezze congolesi, massacri, crimini commessi durante la guerra, omicidi, stupri profanazioni nei luoghi di culto, distruzione di ospedali e scuole. L'Associazione per i Popoli Minacciati (Apm) ha accusato le Nazioni Unite di aver fallito nella protezione della popolazione civile nel Congo orientale. A quanto pare, in Congo, si sta annunciando un'altra catastrofe. Il Consiglio di Sicurezza ha infatti dato alle truppe d'osservazione nel Paese (Monuc) con un mandato chiaro: proteggere la popolazione civile. Nei giorni scorsi, 5.000 civili hanno cercato riparo presso la base Monuc a Bunia, ed altri 6.000 si sono rifugiati nell’aeroporto della città, anche questo controllato dalle truppe di sicurezza. Fuggono dalle aggressioni delle milizie nei confronti dei gruppi etnici Hema e Lendu. L’Onu parla di una catastrofe umanitaria imminente. Dallo scoppio della guerra in Congo, nel 1998, sono rimaste vittime di guerra, fame e malattie oltre tre milioni di persone. La guerra in Congo è diventata purtroppo il conflitto armato più sanguinoso dopo la seconda guerra mondiale. Nonostante l'accordo di pace firmato a Lusaka il 16 dicembre 2002, lo scontro tra milizie nel Congo orientale continua purtroppo a mietere vittime. (M.A.)

 

 

UNA EQUA DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE E SALARI PIÙ DIGNITOSI.

SONO ALCUNE DELLE RICHIESTE AVANZATE DAI VESCOVI MESSICANI DURANTE

L’86.MA ASSEMBLEA PLENARIA, IN CORSO DI SVOLGIMENTO A LAGO DE GUADALUPE

 

CITTA’ DEL MESSICO. = E’ entrata subito nel vivo la 86.ma Assemblea plenaria dei vescovi messicani, in corso a Lago de Guadalupe, durante la quale verranno rinnovati i vertici dell’organismo e nominati i responsabili delle 28 commissioni. L’apertura dei lavori è stata dedicata all’invito ai politici e agli organi istituzionali a procedere sul terreno delle riforme, per colmare la profonda distanza che divide i ricchi dai poveri. I presuli hanno chiesto “una più equa distribuzione delle risorse, per non penalizzare ulteriormente le fasce di popolazione che vivono ai margini”. In particolare il vescovo di Durango, mons. Hector Gonzalez Martinez, ha insistito sulla difesa dei poveri, invocando un immediato intervento dello Stato per garantire i beni primari agli emarginati. “Salari più dignitosi per i lavoratori” sono stati richiesti dal vescovo di Tehuacan, mons. Mario Espinosa Contreras, per “non umiliare” la parte produttiva del Paese. Le conclusioni dell’Assemblea sono previste per venerdì prossimo. (D.D. – A.L.)

 

 

APPROVATO DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI ITALIANO IL DISEGNO DI LEGGE

 SULLA DROGA CHE ANNULLA LA DISTINZIONE

 TRA SOSTANZE “LEGGERE” E “PESANTI”

 

ROMA. = Il governo italiano ha varato il disegno di legge sulla droga. Il Consiglio dei ministri, riunito stamani a palazzo Chigi, ha infatti approvato all’unanimità la relazione presentata dal vicepremier, Gianfranco Fini. La nuova legge cancella ogni differenza, per quanto riguarda le sanzioni amministrative, tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”. In base a questo disegno di legge sarà inoltre possibile seguire programmi terapeutici sia in strutture pubbliche che private e saranno aumentati i periodi di applicazione delle sanzioni amministrative. (A.L.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

13 novembre 2003

 

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

 

Prima riunione, oggi a Ramallah, del nuovo governo palestinese, un esecutivo di ampia convergenza che ieri ha ottenuto la fiducia dal parlamento. Intanto il primo ministro, Abu Ala, ha affermato di essere disposto ad incontrare il premier israeliano, Ariel Sharon, a condizione che i colloqui segnino effettivi cambiamenti sul terreno. Ce ne parla Graziano Motta:

 

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Il nuovo governo palestinese ha dibattuto sulle linee del programma per la riattivazione del processo di pace esposto ieri dal primo ministro Abu Ala nel discorso di investitura. Come ha spiegato la radio israeliana, i due primi passi esigono da parte del governo presieduto da Sharon l’alleviamento delle condizioni di vita della popolazione palestinese e poi un accordo bilaterale di cessate-il-fuoco, che Israele considera invece un affare interpalestinese in quanto gli attentati e la guerriglia sono compiuti da individui e gruppi armati palestinesi. Secondo il governo dell’Anp, lo smantellamento delle infrastrutture terroristiche potrà essere percepito e dibattuto come interesse dei palestinesi solo dopo l’applicazione del cessate-il-fuoco. Nonostante queste divergenze di fondo, il primo ministro israeliano ha deciso di incontrare prossimamente Abu Ala. Dei contatti preparatori sono già in corso, come ha anticipato il ministro della Difesa Mofaz a Condoleeza Rice, consigliere di Bush, incontrata a Washington. Mofaz ha aggiunto che Abu Ala sarà giudicato in funzione della lotta che condurrà contro il terrorismo.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Svolta nella crisi politica dello Sri Lanka. I ribelli Tamil hanno dichiarato oggi che rispetteranno il processo di pace e la tregua con il governo, ma chiedono che venga risolto quanto prima lo scontro tra il premier Wickremasinghe e la presidente Kumaratunga. Quest’ultima, appartenente al partito antagonista a quello di Wickremasinghe, nei giorni scorsi aveva licenziato tre ministri del governo, a capo di tre dicasteri fondamentali, e sospeso l’attività del parlamento. A Sergio Trippodo, direttore del mensile Stringer Asia, Andrea Sarubbi ha chiesto se esistono possibilità concrete che governo e presidenza trovino un accordo:

 

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R. - Probabilmente non lo troveranno mai se le cose procederanno in questa maniera. Sono già un paio di anni che la presidente cerca di neutralizzare il crimine, specialmente su una questione molto delicata, perché Wikremasinghe, una volta vinte le elezioni, ha creato un ministero della Difesa, e ora, secondo la Costituzione dello Sri Lanka, è la presidente del Comando delle Forze armate. Tra l’altro, nel braccio di ferro tra i due c’è anche il fatto che probabilmente la Kumaratunga vorrebbe assumere anche la guida del ministero delle Finanze, un dicastero molto importante, perché finanzia tutti gli altri ministeri. Wikremasinge ha detto: “No, o io ho il controllo di tutti quanti i ministeri, oppure il processo di pace con le Tigri Tamil sarà totalmente nelle mani della presidente e sarà lei ad assumersene la responsabilità”. Ovviamente questo significherebbe l’immediato fallimento del processo di pace.

 

D. – I contrasti di politica interna stanno facendo saltare un accordo di pace con i Tamil che sembrava ormai fatto. E’ un momento rischioso questo per lo Sri Lanka?

 

R. – Sì, molto rischioso e questo le Tigri Tamil lo hanno già fatto capire prima di questa crisi. Si era già discusso in Parlamento del fatto che le Tigri si stavano riarmando, specialmente grazie a collegamenti con la Thailandia. Se questo braccio di ferro tra presidente e premier dovesse continuare, ovviamente le Tigri potrebbero essere probabilmente anche più forti di prima. Quindi, è una situazione molto delicata.

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A Manila, nelle Filippine, ieri giornata ad alta tensione. In diecimila sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni della presidente Gloria Arroyo e per protestare contro la corruzione.

 

Oggi l’Afghanistan celebra il secondo anniversario della caduta del regime dei Talebani. Nell’occasione il presidente, Hamid Karzai, ha denunciato il pericolo che le violenze nel Paese aumentino. Nel mirino la popolazione civile e la Loya Girga, l’assemblea che dovrà approvare la nuova Costituzione il prossimo 10 dicembre.

 

Il tribunale di Londra ha respinto la richiesta russa d'estradizione del leader ceceno Akhmed Zakayev. Secondo la corte, Mosca intendeva giudicare Zakayev per le sue opinioni politiche. La Russia accusa l'esponente ceceno di vari reati, fra cui l'assassinio e il rapimento di soldati russi, avvenuti fra l'ottobre 1995 e il dicembre 2000.

 

Nuove dimissioni in Colombia. Questa volta a rinunciare al suo incarico è stato  il capo delle forze armate. Il generale Jorge Enrique Mora si è dimesso ieri precisando di essere favorevole ad una riorganizzazione dei vertici militari. Il suo ritiro segue di 24 ore quello del capo della polizia, mentre nei giorni scorsi sono stati i ministri della Difesa, dell’Ambiente e della Giustizia a presentare le loro dimissioni.

 

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