RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 317 - Testo della
Trasmissione di giovedì 13 novembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Il
primo ministro palestinese, Abu Ala, annuncia che incontrerà il premier
israeliano Sharon
Nello
Sri Lanka i ribelli Tamil rispetteranno il processo di pace e la tregua col
governo
Proteste
di piazza a Manila contro la presidente delle Filippine, Arroyo.
13 novembre 2003
SI E’
PREGATO PER LA PACE IN IRAQ
E PER
LE VITTIME DELL’ATTENTATO DI IERI A NASSIRYA
QUESTA MATTINA NELLA BASILICA VATICANA,
DURANTE
LA MESSA PRESIEDUTA DAL PAPA
IN
SUFFRAGIO DEI CARDINALI E DEI VESCOVI
DEFUNTI NELL’ULTIMO ANNO
- Il
servizio di Sergio Centofanti -
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La
preghiera per le vittime dell’attentato terroristico di ieri in Iraq si è levata
oggi durante la messa presieduta dal Papa nella basilica vaticana.
“Per
le vittime dei crudeli attentati in Iraq perché il Signore accolga nel suo
abbraccio misericordioso tutti i caduti, doni salute ai feriti, conceda conforto
ai familiari, ai colleghi, agli amici e guidi le menti e i cuori degli uomini
sulla via della pace”.
Il Papa
ricorda le parole di Gesù: “Io do loro la vita eterna”. Questa parola di Cristo
- ha detto - riempie di luce e di
speranza la memoria di quanti sono morti.
Il
Pontefice ha quindi voluto ricordare nome per nome i 7 Cardinali scomparsi
quest’anno e la cui memoria – ha notato - è stata particolarmente presente e
viva durante il recente Concistoro: Hans Hermann Groër, Gerald Emmet Carter,
Aurelio Sabattani, Francesco Colasuonno, Ignacio Antonio Velasco García, Corrado
Ursi e Maurice Michael Otunga. E con loro ha ricordato e pregato pure per il Patriarca Raphaël I Bidawid e
per i 125 vescovi defunti durante l’ultimo anno.
“E’
consolante pensare che tutti questi venerati Fratelli, zelanti servitori del
Vangelo durante la loro esistenza terrena, sono ora nelle provvide “mani” di
Dio, che li ha accolti nell’eterno abbraccio del suo amore”.
Nella loro sollecitudine pastorale – ha detto ancora il
papa - hanno educato i fedeli, con la
predicazione e con l’esempio, a tendere verso i valori veri ed eterni, cercando
di farsi modelli del gregge loro affidato. Siamo perciò fiduciosi che il
Signore voglia ad essi concedere la ricompensa promessa ai suoi servi fedeli.
“Li accolga Maria Santissima e per loro ottenga il riposo
eterno nel regno della luce e della pace del Risorto. Amen”.
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ALLA
18.MA CONFERENZA INTERNAZIONALE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA SALUTE AL VIA
STAMANI, ALL’AULA NUOVA DEL SINODO,
CON
GLI INTERVENTI DEI CARDINALI LOZANO BARRAGAN E SARAIVA MARTINS
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Con una
disamina sul pensiero postmoderno, pronunciata dal cardinale Javier Lozano
Barragán, si è aperta stamani all’Aula Nuova del Sinodo, la Conferenza
internazionale sulla depressione, promossa dal Pontificio consiglio per la
Pastorale della Salute. Quando l’uomo perde Dio, ha detto il porporato, diviene
debole e solo come un vagabondo nel deserto. La prolusione inaugurale della
conferenza è stata tenuta dal cardinale José Saraiva Martins, che si è
soffermato sulla depressione alla luce dell’antropologia biblica e della fede
cristiana. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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Trovare
nella Bibbia gli strumenti per affrontare e vincere la depressione, malattia
dei nostri tempi. E’ l’esortazione del cardinale Saraiva Martins, che ha
sottolineato come già in numerosi Salmi venga affrontato il “male oscuro” offrendo
anche dei rimedi, o meglio dei principi di riferimento. Innanzitutto, ha detto,
i Sacri Testi spiegano con chiarezza che l’uomo è sempre amato da Dio che gli è
vicino e il mondo non gli è estraneo giacché è espressione del Creatore. Il Cristianesimo,
con il suo costante richiamo alla conversione, aggiunge così nuove prospettive
all’antropologia biblica:
“La
fede in Dio, Creatore, rappresenta il fattore che garantisce il senso della
vita. La fede nel Cristo Risorto apre l’uomo alla speranza, all’ottimismo che
genera uno stato d’animo diametralmente opposto a quello della depressione. Chi
crede davvero nel Mistero Pasquale di Cristo e nella propria somiglianza con
Lui non dovrebbe essere mai depresso”.
Nella
tre giorni di lavori, attraverso gli interventi di esponenti religiosi e
accademici, la conferenza affronterà la depressione sotto molteplici aspetti.
Una malattia, che non riguarda solo i Paesi ricchi come comunemente si è
portati a pensare. Ce lo conferma – al microfono di Giovanni Peduto - il
reverendo Alex Vadakumthala, segretario della commissione per la salute
dell’episcopato indiano:
“Questa
malattia esiste anche in India e in altri Paesi sottosviluppati. La causa può
essere, ad esempio, rintracciata nella povertà, la malnutrizione, il rapporto
con la famiglia; ma anche le crisi economiche e la disoccupazione. C’è una
maggioranza di persone che non hanno ancora la possibilità di essere aiutati,
di ricevere medicinali. La Chiesa ha in questo una responsabilità grande, anche
in Paesi come l’India”.
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FIRMATO
ACCORDO TRA LA SANTA SEDE
E IL
LAND TEDESCO DEL BRANDEBURGO
La Santa Sede e il Land
tedesco di Brandeburgo hanno firmato ieri, nella cancelleria di Stato di
Postdam, un accordo in 25 articoli che dà un ordinamento stabile alle relazioni
tra la Chiesa cattolica e il Land. Per la Santa Sede, ha firmato come
plenipotenziario il nunzio apostolico in Germania, mons. Giovanni Lajolo; per
il Brandeburgo, il ministro-presidente Matthias Platzeck.
L’accordo e il relativo
Protocollo Finale regolano vari aspetti tra cui la libertà religiosa e la
condizione giuridica della Chiesa cattolica nella società civile. Ancora, la
sua libertà di azione nei campi cultuale, educativo, pastorale e caritativo.
Vengono inoltre regolati l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole
pubbliche e la gestione ecclesiastica di scuole ed istituti di formazione di
ogni grado.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
In riferimento all’attentato di
Nassirya, la prima pagina così titola: “Il sangue degli operatori di pace”.
Si sottolinea poi l’orrore che tale massacro ha
suscitato in tutto il mondo.
Nelle vaticane, l’omelia del
Papa per la concelebrazione Eucaristica in suffragio dei cardinali e dei
vescovi defunti nel corso dell’anno.
Due pagine dedicate alle iniziative pastorali
promosse dalle diocesi italiane.
Nelle estere, servizi sui diversi aspetti legati al
massacro di Nassirya.
Medio Oriente: si è insediato il nuovo governo
palestinese.
Nella pagina culturale, un articolo di Marco
Impagliazzo dal titolo “Il cattolicesimo italiano dal 1958 ad oggi”: un recente
convegno di Assisi.
Nelle pagine italiane, il comunicato dell’Ufficio
Nazionale per le comunicazioni sociali della Cei sull’attentato a Nassiriya.
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13 novembre 2003
ONDATA
DI COMMOZIONE E DI CORDOGLIO, IN TUTTO IL MONDO,
PER LA
STRAGE DEI CARABINIERI A NASSIRIYA.
IL
GOVERNO ITALIANO DICHIARA IL LUTTO NAZIONALE,
MENTRE
IL BILANCIO DELLE VITTIME POTREBBE AGGRAVARSI
- A
cura di Alessandro De Carolis -
“E’
stato il nostro 11 settembre”. Con queste parole, il generale Carlo Cabigiosu,
ufficiale di collegamento in Iraq tra la missione italiana e gli americani, ha
commentato l’attentato di ieri a Nassiriya. Il bilancio delle vittime sembra
essersi stabilizzato sul numero di 27 morti: tra essi 12 Carabinieri, 4
soldati, 2 civili e 9 iracheni. Anche se, in questo drammatico bollettino,
vanno annotate la morte cerebrale dichiarata stamani per il militare 22.enne
caduto in coma e le condizioni tuttora molto gravi in cui versano alcuni dei
feriti. Oggi, intanto, sul luogo dell’attentato si è recato il ministro della
Difesa italiano, Antonio Martino, mentre altri 50 militari dell’Arma sono in
procinto di partire per l’Iraq. Il punto, in questo servizio di Giancarlo La
Vella:
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Nassiriya il giorno dopo. Una
città in cui i militari del contingente italiano, ma anche gli stessi civili
iracheni, si chiedono il perché di
quanto avvenuto ieri alla base dei Carabinieri. “Gli italiani sono diversi...”,
“amico italiano...”, “italiani, brava gente...”: frasi raccolte tra i civili
iracheni che sembrano ormai solo luoghi comuni, anche se oggi, di fronte
all’orrenda voragine causata dall’esplosione, è ancora più forte la volontà di
continuare ad operare per la pace. E’ quanto annunciato dal ministro della
Difesa, Martino, prima di partire per l’Iraq. Una volontà confermata dal
governo italiano. E oggi, da Nassiriya, Martino punta il dito contro i
probabili responsabili dell’attentato. “Abbiamo riscontri di intelligence
abbastanza attendibili – ha detto il ministro - che si tratta del gruppo
denominato Feddayn Saddam, a cui si sono uniti appartenenti ad Al Qaeda,
fedelissimi del vecchio regime e terroristi che provengono da Paesi vicini”.
Intanto nel centro di Baghdad
centinaia di poliziotti iracheni, appoggiati dalla polizia militare della
coalizione, hanno lanciato oggi un raid contro rifugi di irriducibili nella più
massiccia operazione dalla fine della guerra in Iraq. Anche oggi nuove
violenze. Un veicolo militare americano è saltato in aria a Falluja, nel nord-ovest
dell'Iraq, per l’esplosione di una bomba. Secondo fonti locali sarebbero tre
vittime: un soldato rimasto ucciso e altri due rimasti feriti. E in Italia si
stanno organizzando i funerali di Stato per i caduti nell’attentato. Le esequie
verranno celebrate molto probabilmente la prossima settimana, dopo il rientro
dagli Stati Uniti del presidente della Repubblica, Ciampi. Il Consiglio dei
Ministri ha deciso oggi che, nell’occasione, verrà indetta una giornata di
lutto nazionale.
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Nonostante la reazione della sicurezza irachena, le frange
terroristiche che operano a Nassiriya mostrano di non avere troppi interessi ad
agire nell’ombra e di tenere in grande conto l’attenzione riservata loro da tv,
radio e giornali. Lo conferma Lorenzo Cremonesi, inviato speciale del Corriere
della sera a Nassiriya, raggiunto telefonicamente da Giada Aquilino.
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R. - Il fatto evidente che balza agli occhi è la presenza
di diverse milizie armate - come di fatto era avvenuto a Najaf, il 29 agosto,
dopo l’attentato all’imam Akim –che fanno una sorta di prova di forza. Si
tratta di diversi gruppi, che stanno ricreando il panorama politico del nuovo
Iraq: mostrano i denti e cercano di dimostrare che sono loro al controllo della
città. E vogliono di dimostrarlo anche ai media, che sono accorsi sul posto, e
agli americani.
D. – Questi uomini armati a quale fazione appartengono?
R. – La più evidente è la brigata Badr, che è legata agli
sciiti di Najaf e di Kardala. Ma ci sono anche i komeinisti ed altri gruppi.
D. – Qual è lo stato d’animo nella popolazione civile?
R. - Ho trovato
diverse reazioni che vanno dalla condanna - dal prendere le distanze, dal dire
che non è opera degli iracheni ma di Al Qaeda o di infiltrati arrivati
dall’estero o dalle brigate arabe internazionali – a coloro che invece
equiparano i soldati italiani alla presenza americana, come cioè truppe di
occupazione. E’ un clima di diffidenza.
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“Modelli” di peacekeeper, “uomini che farebbero
onore a qualsiasi Paese”. Dagli Stati Uniti, come da tutto il mondo, unanime,
otre al cordoglio, è stata la stima mostrata nei riguardi dei Carabinieri.
Stima per la competenza che contraddistingue gli uomini in divisa blu, ma anche
ammirazione per la loro particolare sensibilità nello stabilire legami di
concordia con le popolazioni delle aree di crisi del pianeta. Sulle reazioni
della Casa Bianca ci riferisce Paolo Mastrolilli:
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“L’Italia ha perso alcuni figli fieri impegnati al
servizio della libertà e della pace. Apprezziamo il loro sacrificio e la guida
ferma del primo ministro Berlusconi che si rifiuta di cedere davanti al
terrore”. Con queste parole il presidente Bush ha commentato l’attentato di
Nassiriya. Anche il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, si è detto
costernato e ha sollecitato la transizione del potere politico alle autorità
locali. Ma la crisi irachena era già all’ordine del giorno della Casa Bianca
anche prima dell’attentato di Nassiriya. Infatti, c’era stato un vertice con il
governatore, Paul Bremer, per accelerare il passaggio dei poteri e spingere
l’esecutivo locale a lavorare con più efficacia.
Bush non è soddisfatto di come vanno le cose e per questo
aveva convocato d’urgenza Bremer a Washington per mutare direzione politica.
Tra le ipotesi, c’è la nomina di un leader ad interim sul modello di Karzai in
Afghanistan, più poteri al governo locale e la scrittura di una Costituzione
provvisoria per accelerare le elezioni. Nel frattempo, però, la Cia ha lanciato
l’allarme, dicendo che la violenza è destinata ad aumentare. Un rapporto
presentato nei giorni scorsi sostiene che la guerriglia stia facendo proseliti
e che dunque moltiplicherà gli attacchi in tutto il Paese.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Guardando al futuro, non resta che la strada del
confronto, come ribadisce il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano:
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Per il futuro, nutriamo sempre il grande ideale della
pace. Bisogna continuare col dialogo, con le trattative, dimenticando i rancori
e gli odi e lavorare, lavorare perché la stella della pace spunti di nuovo su
quelle terre.
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Un attentato “vile”, “crudele”. Con questi aggettivi,
Giovanni Paolo II aveva condannato ieri la strage di Nassiriya, indicando nella
ininterrotta catena di violenza che scuote l’Iraq l’ostacolo principale sulla
via della pacificazione. Ma il cuore del Pontefice si è subito unito al dolore
dei caduti in missione di pace, dei loro cari, e di tutta l’Italia colpita a
freddo da una tragedia di proporzioni mai viste - sul piano militare - dalla
fine della seconda Guerra mondiale. Ascoltiamo l’analisi del cardinale Roberto
Tucci al microfono di Rosario Tronnolone:
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R. - E’ chiaro che la prima reazione del Papa è stata la
preghiera per i morti e la preghiera per le famiglie colpite così duramente.
Bisogna ricordarsi che queste persone sono morte in un servizio veramente
nobile e quindi le famiglie, pur nel loro dolore irreparabile umanamente,
devono sapere che il Paese giudica queste persone degne di ogni rispetto e
degne di grande memoria, perché sono morte in una missione di pace espletata
nel miglior modo possibile. Ho notato che anche dall’opposizione, qualche
personalità importante, ha sottolineato che non è questo il tempo di
discutere…meno male! E voglio sperare anche che lo Stato italiano non
dimentichi queste famiglie perché anche in passato è successo che in casi non
uguali a questo ma simili in qualche modo queste famiglie colpite sono state
piuttosto dimenticate. Tenete anche presente che è giusto che noi piangiamo le
vittime italiane ma tra gli iracheni si parla di almeno otto morti e un
centinaio di feriti, perché l’esplosione del camion bomba ha investito molti
passanti ed in particolare uno scuolabus dove sono rimaste uccise quattro
ragazze. Questo va considerato, l’assurdità di questo terrorismo… Siamo
veramente di fronte ad una follia nichilista.
D. – Ma qual è il fine di questi attentati?
R. – E’ sempre un disegno antioccidentale, quindi anche
l’editoriale pubblicato da Sergio Romano sul Corriere della Sera, che fa
pendant a quello del direttore Stefano Folli, mi pare che vada tenuto presente:
il ritiro Usa ora porterebbe il caos. Le discussioni verranno dopo, le
discussioni sono presenti già in America; nei grandi quotidiani statunitensi è
cominciato infatti un esame critico di come è stata condotta la guerra e di
come è stata preparata la successione alla guerra, che invece continua perché
non è finita. Quindi le discussioni verranno dopo e devono coinvolgere non
tanto la partecipazione italiana, secondo me va infatti giudicato tutto il
processo di questa guerra: come è stata voluta, come è stata iniziata, come
sembrava essere terminata, come è stato affrontato il dopoguerra soprattutto da
coloro che l’hanno voluta di più e cioè dagli statunitensi e dai britannici.
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L’Italia
è in lutto e attende di poter celebrare le esequie dei Carabinieri e dei
soldati uccisi a Nassiriya. In queste ore, affiorano gradualmente gli aspetti
meno conosciuti di queste persone, abituate al servizio in prima linea.
Vogliamo ricordare il valore della loro azione, in questa nota di Alessandro De
Carolis.
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E’
commozione vera, quella che arriva dagli Stati Uniti, dall’Europa, dai
continenti. Commozione che fa da cornice rispettosa alle lacrime di diciotto
famiglie italiane e al dolore di un’Arma che si è guadagnata sul campo la fama
di saper gettare a qualsiasi latitudine, tra le macerie di un tessuto sociale
distrutto – che si chiami Libano, Somalia o Kosovo - il seme della fiducia,
prima ancora che della legalità e delle sicurezza. Ieri, a Nassiriya, si è
voluto colpire a morte questo: non la macchina armata, straniera e occupante,
ma il volto “umano” di chi, pur con una divisa addosso, si era impegnato a
ricostruire la normalità attraverso gesti quotidiani: fatti di rigore, sì, ma
anche di disponibilità verso la gente, di attenzione ai loro bisogni. Dovere
professionale, si potrebbe obiettare. Replichiamo con ciò che ha ricordato
mons. Angelo Crotti, cappellano militare del Comando generale dell’Arma dei CC.
Alcune delle vittime dell’attentato di ieri, insieme ad altri commilitoni, si
autotassavano sullo stipendio per aiutare delle famiglie di Nassiriya. Non si è
mai generosi per professione. Il giorno dopo, allora, è l’umanità di quei volti
che vogliamo conservare, assieme al calore di quei gesti, per onorare il
sacrificio dei 12 Carabinieri e dei 4 militari morti. Se le si vuole conoscere,
le loro storie sono sulle prime pagine di tutti i giornali, insieme ai loro
sorrisi, fotografati in un momento bello della loro vita, finita troppo presto.
Ci uniamo alle preghiere del Papa per i morti e per i loro cari. E non
dimentichiamo certamente i civili iracheni che la follia di ieri ha annientato.
Ci uniamo allo sguardo di quel bimbo accecato dall’esplosione, che forse non
vedrà più il futuro del suo Paese. Che quel futuro di pace arrivi presto.
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LA
VERITA’ OBIETTIVO E DOVERE DELLA RICERCA UNIVERSITARIA.
CON NOI IL PREMIO NOBEL PER LA FISICA, PROF.
CARLO RUBBIA
E IL RETTORE DELL’UNIVERSITA’ LATERANENSE,
MONS. RINO FISICHELLA
-
Servizio di Paolo Ondarza -
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“Quando
la scienza raggiunge obiettivi che toccano la vita delle persone allora è
determinante che ogni uomo sia posto nella condizione di poterne usufruire”.
Così il cardinale vicario Camillo Ruini ieri nel corso della cerimonia
inaugurale del 231.mo anno accademico della Pontificia Università Lateranense:
l’università del Papa. Ospite d’onore il premio Nobel per la fisica Carlo
Rubbia, intervenuto sul tema “La Scienza al servizio dell’Uomo”. Ascoltiamo una
sua riflessione…
“La scienza è, come tanti altri aspetti dello spirito umano, un elemento
importante, che va armonizzato agli aspetti che rappresentano un essere umano,
che non è solo una macchina”.
Ad accogliere ospiti, studenti, docenti e ambasciatori di
95 diversi Paesi, il rettore mons. Rino Fisichella. Tema portante della sua
prolusione la ricerca, a volte ardua e non priva di rischi della verità.
Parlarne è una sfida, di più: per dirla con Romano Guardini un dovere. Ma quanto
sono recettivi i giovani studenti oggi a questo valore. Sentiamo mons.
Fisichella.
R. - C’è un insieme di elementi che aiutano a recepire
sempre più l’esigenza della verità, soprattutto in questo momento di
cambiamento culturale.
D. – Perché è così scomodo parlare di verità?
R. – Perché la verità obbliga alla responsabilità e
obbliga a fare delle scelte, che debbono essere tali per tutta la vita. Oggi
c’è molta paura a compiere una scelta per la vita. Dobbiamo essere invece
capaci di essere propositivi e quindi di proporre scelte di vita, perché scelte
fatte a favore della verità.
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PRESENTATA A ROMA PER LA PRIMA VOLTA IN EDIZIONE
INTEGRALE LA TRILOGIA
DI WIM WENDERS FINO ALLA FINE DEL MONDO DEL 1991. OLTRE QUATTRO ORE
DI CINEMA
DALL’INTENSO SPESSORE ETICO PER RACCONTARE UNA MODERNA ODISSEA FEMMINILE E
DENUNCIARE I PERICOLI DEL DOMINIO DELL’IMMAGINE
- Servizio di Luca Pellegrini -
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Il film uscì in un momento
critico ed entusiasmante della storia del secolo scorso: la seconda metà
dell’anno 1991. Ma uscì monco, “come se da uno scheletro avessero tolto la
carne” ha affermato il regista Wim Wenders presentando, nella grande sala
dell’Auditorium di Roma, la proiezione integrale del suo Fino alla fine del mondo, tre parti per un totale di 280 minuti.
“E’ come se allora avessi dipinto il mio più grande quadro, ma quello che
veniva mostrato fosse soltanto il bozzetto”.
E’ vero: assistere a quest’opera difficile e velleitaria, citazionistica
e visionaria, tecnologicamente all’avanguardia – almeno per allora – e
debordante nel racconto, è un’esperienza di cinema che insieme esalta e in
parte delude. Sorta di viaggio nel mondo sino alla sua fine, che poi diventa
l’inizio, dalla parola che all’inizio creò fino all’immagine che oggi ricrea, la
grande saga wendersiana è raccontata da un io narrante, paragonato da Wenders
ad un moderno Omero, che scrive la sua Odissea al femminile: Claire,
interpretata da Solveig Dommartin - una Penelope curiosa ed irrequieta che non
rimane ad aspettare lo sposo - insegue amori e vita, verità e sogni, attraverso
i Paesi del vecchio, nuovo e nuovissimo mondo, in quel tempo, il 1999, che
dodici anni fa era il futuro ed oggi è per noi storia.
Insieme a Trevor, l’attore
William Hurt, i due protagonisti raccolgono immagini da portare nel deserto
australiano, mentre il mondo subisce l’ennesima minaccia di estinzione nucleare
ad opera di un satellite impazzito e della sprovvedutezza americana.
Serviranno, le immagini immagazzinate in una strana macchina, a ridare la vista
ad una madre cieca (splendida attrice, Jean Moreau) e per spingere poi la
medesima tecnologia a captare e riprodurre i sogni, ossia l’inconscio segreto
dell’uomo. Alla coppia si aggiungono l’ex-compagno di Claire, bravissimo Sam
Neil, ed una galleria di personaggi di contorno recuperati in questa
ricostruita edizione. Pur nella prolissità di questo lungo racconto, i temi
cari all’autore de Il cielo sopra Berlino
sono ancor più evidenti. Il suo cinema riesce a cogliere gli aspetti brucianti
della nostra epoca: il dominio della tecnologia, i pericoli della scienza, le
minacce del potere, l’assuefazione all’immagine, il desiderio dell’innocenza
perduta. Ma soprattutto il rischio del varcare i confini etici, qui
identificati dalla segretezza del sogno - metafora della coscienza - che non
può mai essere teletrasmesso, perché, afferma Claire “non ne abbiamo il
diritto”.
In questa denuncia seria ed
attuale, Wenders impronta il suo lavoro sempre e comunque ad un recupero ed
un’attenzione rigorosa alla metafisica e alla norma morale. Crede nel potere
dell’immagine e nelle sue finalità etiche proprio nel momento in cui li
denuncia entrambi: il vedere significa oggi immergersi giustamente nel mondo,
in tutto il mondo dell’uomo, fino ai confini estremi, oltre le nostre
simboliche “colonne d’Ercole”. Ma anche nel giardino dell’Eden c’era un frutto
proibito.
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13 novembre 2003
TORTURA E ABUSI SONO PRATICHE USUALI CONTRO LA
POPOLAZIONE CIVILE
COLOMBIANA. AD AFFERMARLO E’ L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE
CONTRO LA TORTURA IN UN NUOVO RAPPORTO ELABORATO CON ALCUNI ORGANISMI LOCALI
PRESENTATO
IN QUESTI GIORNI AGLI ESPERTI DEL COMITATO DELLE NAZIONI
UNITE
BOGOTA’ = “La tortura è praticata in maniera
sistematica e generalizzata in Colombia specialmente come strumento di
persecuzione politica nei confronti della popolazione civile”. Lo afferma
l’Organizzazione mondiale contro la tortura nel nuovo rapporto elaborato in
questi giorni e presentato al Comitato contro la tortura. Il documento è stato
redatto con la collaborazione di alcuni organismi locali tra cui la Commissione
colombiana dei giuristi, la Fondazione Comitato di solidarietà con i
prigionieri politici e appoggio alle vittime per il recupero psicologico. Già
dal 1996 il Comitato contro la tortura dell’Onu aveva invitato le autorità colombiane
a sciogliere i gruppi di autodifesa civile armati. Ma il rapporto sottolinea
che, ad oggi, questi gruppi si sono rafforzati e sono responsabili della
maggior parte delle torture denunciate nel territorio nazionale. Preoccupante è
anche il clima che copre i responsabili di altri crimini, tra cui la violenza
contro le donne, usate anche come arma da guerra, abusi compiuti nei confronti
dei detenuti in diverse carceri, minacce contro familiari di civili uccisi o
scomparsi al fine di impedire l’apertura di inchieste giudiziarie. Nel panorama
latinoamericano, la capacità di resistenza del popolo Colombiano, come di
quello ecuadoriano e di tutta la regione Andina, appare difficile poiché incide
in un clima di ingiustizia, povertà, violenza e concentrazione del potere e
delle terre nelle mani di una ristretta élite. In conclusione L’Organizzazione
mondiale contro la tortura esorta il governo Colombiano ad astenersi nel promulgare
leggi costituzionali e a sanzionare gli agenti di Stato che commettano atti di
tortura. (M.A.)
L’ALTO COMMISSARIATO ONU INTERVIENE A FAVORE
DEI PROFUGHI
CHE NEI GIORNI SCORSI SONO APPRODATI SULL’ISOLA DI
MELVILLE, IN AUSTRALIA, CHIEDENDO PER LORO L’ASILO POLITICO. L’UFFICIO PER I
DIRITTI UMANI
HA
CONTESTATO LA DECISIONE DI TRASFERIRE FORZOSAMENTE IN INDONESIA
14 MIGRANTI DI ETNIA CURDA
GINEVRA. = Il Gruppo di
lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria (Wgad) e l’Ufficio
dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Acnur) hanno
inviato delle delegazioni in Australia per indagare sulle condizioni e sui
metodi che regolano la detenzione dei richiedenti asilo senza un regolare
processo. Dalla sede centrale di Ginevra, il portavoce ha detto che
Canberra è venuta meno alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, di
cui l’Australia è firmataria, quando ha negato ai 14 migranti, arrivati su una
piccola nave da pesca, la possibilità di chiedere asilo politico. Lo scorso 4
aprile, un peschereccio con a bordo 14 curdi e un equipaggio di cinque
indonesiani era riuscito a raggiungere le spiagge dell’isola di Melville, ma
era stato nuovamente rimorchiato al largo da una nave della marina militare
australiana in attesa di indicazioni dal governo. Alla notizia dell’approdo del
natante sulla costa dell’isola di Melville, Canberra aveva emesso un
provvedimento d’urgenza con valore retroattivo che escludeva dalla cosiddetta
“zona di migrazione” le migliaia di isolette che circondano il continente
australiano. E’ questa l’area in cui, trovandosi in territorio australiano, si
potrebbe presentare richiesta di asilo. L’Acnur ha fatto anche appello a
Giakarta perché rispetti lo spirito della convenzione di Ginevra sui rifugiati
sebbene non l’abbia sottoscritta, non respingendo i curdi in Turchia, ma
permettendo loro di fare richiesta di asilo e di incontrare i funzionari locali
dell’Acnur. Le politiche mirate a bloccare
l’immigrazione, che il governo conservatore del primo ministro John Howard ha
promulgato in questi anni, sono duramente criticate dalle organizzazioni che si
occupano di diritti umani. (M.A.)
LA CHIESA CATTOLICA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL
CONGO CONTINUA CON ASSIDUITA’ A LEVARE LA PROPRIA VOCE IN DIFESA DELLA PACE E
DELLE VITTIME DELLA GUERRA CHE FINO AD
OGGI
HA CAUSATO LA MORTE DI OLTRE TRE MILIONI DI PERSONE
KINSHASA.
= I religiosi del Congo denunciano “il silenzio e l’immobilismo dei dirigenti
politici e tutte le persone che attingono all’odio etnico tra i nostri popoli
per rafforzare la loro politica del dividere per meglio regnare”. E’ quanto affermato a conclusione
dell’Assemblea plenaria dei Superiori maggiori degli Istituti di vita
consacrata recentemente svoltasi a Kinshasa. Nel comunicato i religiosi ricordano
anche le responsabilità internazionali, soprattutto alla luce dei numerosi
rapporti delle Nazioni Unite per la difesa dei diritti umani che denunciano saccheggi
delle ricchezze congolesi, massacri, crimini commessi durante la guerra,
omicidi, stupri profanazioni nei luoghi di culto, distruzione di ospedali e
scuole. L'Associazione per i Popoli Minacciati (Apm) ha accusato le Nazioni Unite
di aver fallito nella protezione della popolazione civile nel Congo orientale.
A quanto pare, in Congo, si sta annunciando un'altra catastrofe. Il Consiglio
di Sicurezza ha infatti dato alle truppe d'osservazione nel Paese (Monuc) con
un mandato chiaro: proteggere la popolazione civile. Nei giorni scorsi, 5.000
civili hanno cercato riparo presso la base Monuc a Bunia, ed altri 6.000 si
sono rifugiati nell’aeroporto della città, anche questo controllato dalle
truppe di sicurezza. Fuggono dalle aggressioni delle milizie nei confronti dei
gruppi etnici Hema e Lendu. L’Onu parla di una catastrofe umanitaria imminente.
Dallo scoppio della guerra in Congo, nel 1998, sono rimaste vittime di guerra,
fame e malattie oltre tre milioni di persone. La guerra in Congo è diventata purtroppo
il conflitto armato più sanguinoso dopo la seconda guerra mondiale. Nonostante
l'accordo di pace firmato a Lusaka il 16 dicembre 2002, lo scontro tra milizie
nel Congo orientale continua purtroppo a mietere vittime. (M.A.)
UNA EQUA DISTRIBUZIONE
DELLE RISORSE E SALARI PIÙ DIGNITOSI.
SONO ALCUNE DELLE RICHIESTE AVANZATE DAI VESCOVI
MESSICANI DURANTE
L’86.MA ASSEMBLEA PLENARIA, IN CORSO DI SVOLGIMENTO
A LAGO DE GUADALUPE
CITTA’
DEL MESSICO. = E’ entrata subito nel vivo la 86.ma Assemblea plenaria dei
vescovi messicani, in corso a Lago de Guadalupe, durante la quale verranno
rinnovati i vertici dell’organismo e nominati i responsabili delle 28
commissioni. L’apertura dei lavori è stata dedicata all’invito ai politici e
agli organi istituzionali a procedere sul terreno delle riforme, per colmare la
profonda distanza che divide i ricchi dai poveri. I presuli hanno chiesto “una più
equa distribuzione delle risorse, per non penalizzare ulteriormente le fasce di
popolazione che vivono ai margini”. In particolare il vescovo di Durango, mons.
Hector Gonzalez Martinez, ha insistito sulla difesa dei poveri, invocando un
immediato intervento dello Stato per garantire i beni primari agli emarginati.
“Salari più dignitosi per i lavoratori” sono stati richiesti dal vescovo di
Tehuacan, mons. Mario Espinosa Contreras, per “non umiliare” la parte
produttiva del Paese. Le conclusioni dell’Assemblea sono previste per venerdì
prossimo. (D.D.
– A.L.)
APPROVATO DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI ITALIANO IL
DISEGNO DI LEGGE
SULLA DROGA
CHE ANNULLA LA DISTINZIONE
TRA SOSTANZE
“LEGGERE” E “PESANTI”
ROMA.
= Il governo italiano ha varato il disegno di legge sulla droga. Il Consiglio
dei ministri, riunito stamani a palazzo Chigi, ha infatti approvato
all’unanimità la relazione presentata dal vicepremier, Gianfranco Fini. La nuova legge cancella
ogni differenza, per quanto riguarda le sanzioni amministrative, tra droghe “leggere”
e droghe “pesanti”. In base a questo disegno di legge sarà inoltre possibile
seguire programmi terapeutici sia in strutture pubbliche che private e saranno
aumentati i periodi di applicazione delle sanzioni amministrative. (A.L.)
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13 novembre 2003
- A cura di Giancarlo La Vella -
Prima riunione, oggi a Ramallah,
del nuovo governo palestinese, un esecutivo di ampia convergenza che ieri ha
ottenuto la fiducia dal parlamento. Intanto il primo ministro, Abu Ala, ha
affermato di essere disposto ad incontrare il premier israeliano, Ariel Sharon,
a condizione che i colloqui segnino effettivi cambiamenti sul terreno. Ce ne
parla Graziano Motta:
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Il nuovo governo palestinese ha dibattuto sulle linee del programma per
la riattivazione del processo di pace esposto ieri dal primo ministro Abu Ala
nel discorso di investitura. Come ha spiegato la radio israeliana, i due primi
passi esigono da parte del governo presieduto da Sharon l’alleviamento delle
condizioni di vita della popolazione palestinese e poi un accordo bilaterale di
cessate-il-fuoco, che Israele considera invece un affare interpalestinese in
quanto gli attentati e la guerriglia sono compiuti da individui e gruppi armati
palestinesi. Secondo il governo dell’Anp, lo smantellamento delle infrastrutture
terroristiche potrà essere percepito e dibattuto come interesse dei palestinesi
solo dopo l’applicazione del cessate-il-fuoco. Nonostante queste divergenze di
fondo, il primo ministro israeliano ha deciso di incontrare prossimamente Abu
Ala. Dei contatti preparatori sono già in corso, come ha anticipato il ministro
della Difesa Mofaz a Condoleeza Rice, consigliere di Bush, incontrata a
Washington. Mofaz ha aggiunto che Abu Ala sarà giudicato in funzione della
lotta che condurrà contro il terrorismo.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Svolta nella crisi politica dello Sri Lanka. I ribelli
Tamil hanno dichiarato oggi che rispetteranno il processo di pace e la tregua
con il governo, ma chiedono che venga risolto quanto prima lo scontro tra il
premier Wickremasinghe e la presidente Kumaratunga. Quest’ultima, appartenente
al partito antagonista a quello di Wickremasinghe, nei giorni scorsi aveva
licenziato tre ministri del governo, a capo di tre dicasteri
fondamentali, e sospeso l’attività del parlamento. A Sergio Trippodo, direttore
del mensile Stringer Asia, Andrea Sarubbi ha chiesto se esistono possibilità
concrete che governo e presidenza trovino un accordo:
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R. - Probabilmente non lo troveranno mai se le cose
procederanno in questa maniera. Sono già un paio di anni che la presidente
cerca di neutralizzare il crimine, specialmente su una questione molto
delicata, perché Wikremasinghe, una volta vinte le elezioni, ha creato un
ministero della Difesa, e ora, secondo la Costituzione dello Sri Lanka, è la
presidente del Comando delle Forze armate. Tra l’altro, nel braccio di ferro
tra i due c’è anche il fatto che probabilmente la Kumaratunga vorrebbe assumere
anche la guida del ministero delle Finanze, un dicastero molto importante, perché
finanzia tutti gli altri ministeri. Wikremasinge ha detto: “No, o io ho il
controllo di tutti quanti i ministeri, oppure il processo di pace con le Tigri
Tamil sarà totalmente nelle mani della presidente e sarà lei ad assumersene la
responsabilità”. Ovviamente questo significherebbe l’immediato fallimento del
processo di pace.
D. – I contrasti di politica interna stanno facendo
saltare un accordo di pace con i Tamil che sembrava ormai fatto. E’ un momento
rischioso questo per lo Sri Lanka?
R. – Sì, molto rischioso e questo le Tigri Tamil lo hanno
già fatto capire prima di questa crisi. Si era già discusso in Parlamento del
fatto che le Tigri si stavano riarmando, specialmente grazie a collegamenti con
la Thailandia. Se questo braccio di ferro tra presidente e premier dovesse
continuare, ovviamente le Tigri potrebbero essere probabilmente anche più forti
di prima. Quindi, è una situazione molto delicata.
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A Manila, nelle Filippine, ieri giornata ad alta tensione.
In diecimila sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni della presidente
Gloria Arroyo e per protestare contro la corruzione.
Oggi l’Afghanistan celebra il
secondo anniversario della caduta del regime dei Talebani. Nell’occasione il
presidente, Hamid Karzai, ha denunciato il pericolo che le violenze nel Paese
aumentino. Nel mirino la popolazione civile e la Loya Girga, l’assemblea che
dovrà approvare la nuova Costituzione il prossimo 10 dicembre.
Il tribunale di Londra ha
respinto la richiesta russa d'estradizione del leader ceceno Akhmed Zakayev.
Secondo la corte, Mosca intendeva giudicare Zakayev per le sue opinioni
politiche. La Russia accusa l'esponente ceceno di vari reati, fra cui
l'assassinio e il rapimento di soldati russi, avvenuti fra l'ottobre 1995 e il
dicembre 2000.
Nuove dimissioni in Colombia. Questa volta a rinunciare al
suo incarico è stato il capo delle
forze armate. Il generale Jorge Enrique Mora si è dimesso ieri precisando di
essere favorevole ad una riorganizzazione dei vertici militari. Il suo ritiro
segue di 24 ore quello del capo della polizia, mentre nei giorni scorsi sono
stati i ministri della Difesa, dell’Ambiente e della Giustizia a presentare le
loro dimissioni.
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