RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 307 - Testo della
Trasmissione di lunedì 3 novembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Domenica prossima Giovanni Paolo II
beatificherà 5 servi di Dio: oggi
parliamo di Rosalie Rendu
OGGI IN PRIMO PIANO:
Speranze per il Burundi dopo la
firma ieri dell’accordo di pace
CHIESA E SOCIETA’:
In Somalia, la siccità sta mettendo a rischio la vita di 90 mila persone
Riconfermato
alla guida della fraternità cattolica carismatica il presidente uscente, Matteo
Calisi
3
novembre 2003
LA CHIESA CATTOLICA FA IL PUNTO SULL’ECUMENISMO.
DA OGGI LA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO
DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI. INTERVISTA AL CARDINALE WALTER KASPER
- Servizio di Giovanni Peduto -
La Chiesa cattolica fa il punto sull’ecumenismo: si
apre questo pomeriggio a Roma con la lettura di un messaggio del Papa
l’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio dell’Unità dei Cristiani. Il tema
principale dei lavori sarà dedicato alla “spiritualità ecumenica”. Tiene la
prolusione il cardinale Walter Kasper, presidente del Dicastero che –
ricordiamo – è stato creato nel 1960 da Papa Giovanni XXIII. Giovanni Peduto ha
intervistato il cardinale Kasper.
**********
R. - L’unità è un dono, un
regalo dello Spirito Santo e noi dobbiamo radunarci come Maria e gli apostoli
si sono radunati nel Cenacolo ed hanno pregato per la venuta dello Spirito
Santo. Anche noi dobbiamo pregare per una nuova autentica “Pentecoste”. Sia il
Papa che il Concilio hanno detto che l’ecumenismo spirituale è il cuore, il
fulcro, dell’ecumenismo: la preghiera e la conversione.
D. – Eminenza, durante i lavori
si farà il punto sull’ecumenismo. Lei come vede oggi la situazione?
R. – Abbiamo fatto grandi
progressi sin dal Concilio Vaticano II, soprattutto durante questo Pontificato,
che è veramente un Pontificato ecumenico. I cristiani separati si sentono oggi
come fratelli e sorelle, non più come nemici. E’ un grande progresso. Ma
dall’altra parte dobbiamo affrontare oggi nuovi problemi, perché in tutte
queste famiglie confessionali – luterani, anglicani ed anche ortodossi – ci
sono frammentazioni interne. Alcuni non vogliono avere niente a che fare con la
Chiesa cattolica ed altri invece bussano alla nostra porta. Questa
frammentazione interna è un grande problema e noi vogliamo discuterlo. Esiste
anche un ecumenismo superficiale, selvaggio, che è controproducente e ha creato
delle paure. Noi dobbiamo confermare i fondamenti dell’ecumenismo, la fede in
Gesù Cristo e nella Trinità. Senza questa fede l’ecumenismo cade nel vuoto. Per
me è importante proprio in questa situazione intermedia creare amicizie, perché
ho l’impressione che i cristiani separati
non si conoscano abbastanza. Non sono solo dottrine astratte a
dividerci, è una maniera di vivere la fede. Dobbiamo conoscerci meglio l’un
l’altro.
D. – Lei è già ormai da alcuni
anni alla guida del Dicastero per l’unità dei cristiani. I suoi sentimenti
nello svolgere questo lavoro, nel portare avanti la causa ecumenica?
R. – Provo non soltanto le
difficoltà, provo anche una grande gioia, perché si fa l’esperienza del fatto
che lo Spirito Santo opera anche fuori della Chiesa cattolica. Si incontrano
molti cristiani seri che pregano, che hanno il desiderio dell’unità, e si vede
che sono uomini spirituali. E’ una grande gioia vedere l’opera dello Spirito
Santo fuori, e questo dà speranza.
**********
DOMANI, MEMORIA DI SAN
CARLO BORROMEO, IN AULA PAOLO VI,
VERRA’ FESTEGGIATO L’ONOMASTICO DEL SANTO PADRE
Un appuntamento per festeggiare
l’onomastico di Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, nel venticinquesimo anno di
Pontificato. In occasione della memoria liturgica di San Carlo Borromeo, domani
pomeriggio alle ore 17 - in Aula Paolo VI – verranno lette poesie con brani dal
Trittico Romano e passi evangelici. L’evento, intitolato “Beata Seminagione”,
è promosso dalla Fondazione Giovanni Paolo II. E’ previsto che il Papa
raggiunga l’Aula intorno alle ore 18.30 per salutare organizzatori e
partecipanti all’iniziativa.
CINQUE NUOVI BEATI SARANNO PROCLAMATI DOMENICA
PROSSIMA DAL PAPA.
OGGI PARLIAMO DI SUOR ROSALIE RENDU, FRANCESE,
FIGLIA DELLA CARITA’
- A cura di Giovanni Peduto -
**********
Era nata nel 1786 a Comfort, nella regione del
Giura. La rivoluzione francese la costrinse a fare la prima comunione di notte
nella cantina di casa sua dove la famiglia nascondeva i preti perseguitati e
fra questi anche il vescovo di Annecy. Orfana a dieci anni di padre, aiutò la
madre a crescere i fratellini e le sorelline e poi a 18 anni entrò a Parigi fra
le Figlie della carità. Per 54 si occupò degli infermi e di quanti erano nel
bisogno, aiutata da parecchie signore attratte dal suo spirito di dedizione ai
poveri, e così pure da studenti desiderosi di vivere il cristianesimo in
maniera impegnata. Nel 1852 Napoleone III le assegnò la Croce della Legion
d’Onore come omaggio del Governo all’opera compiuta. La sua morte il 7 febbraio
1856 provocò una grande emozione fra la gente di tutti i ceti sociali di
Parigi. I funerali di quest’umile Figlia della Carità furono un vero trionfo.
Ecco un giudizio del postulatore della Causa di beatificazione, padre Roberto
d’Amico:
“Rosalia Rendu è una Figlia della carità, quindi dalla sua
vita tutti si atten-dono di vedere una donna dedicata soprattutto al servizio
dei poveri. Ma quello che mi ha colpito di più è il suo atteggiamento
contemplativo. Le parole che diceva spesso alle sue compagne erano: ‘Io faccio
meditazione soprattutto quando vado dai poveri. Quando vado dai poveri io mi
metto davanti al Signore e lo supplico per tutte le situazioni che trovo, e
soprattutto perché mi aiuti a vedere nei poveri la stessa figura di Gesù’.
Quindi, ho visto in lei una donna di azione, che viveva in un atteggiamento di
contemplazione, contemplazione del Cristo nel povero”.
**********
=======ooo=======
OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Due
titoli aprono, significativamente, la prima pagina: "Il Rosario via
semplice verso la santità"; "La morte non è l'ultima parola sulla
sorte umana": la preghiera dell'Angelus di Giovanni Paolo II nella
Solennità di Tutti i Santi e nel giorno della commemorazione dei fedeli defunti".
Sempre
in prima, spicca, - al centro - quanto segue: "San Carlo Borromeo 2003;
con il cuore ancora carico di gioia per la celebrazione del XXV di Pontificato,
esprimiamo al Santo Padre il nostro augurio ricco di affetto filiale".
Nelle
vaticane, nel Messaggio ai partecipanti al Convegno promosso a Lviv, in Ucraina
- in occasione del 150 anniversario della nascita di Vladimir Soloviev - il
Papa ha esortato le comunità cristiane di Oriente e di Occidente a porsi
all'ascolto della volontà di Cristo per quanto riguarda l'unità dei suoi
discepoli.
Nelle
estere, in Iraq, una nuova strage segna il dopo-guerra: l'abbattimento di un
elicottero Usa provoca sedici morti e venti feriti.
Medio
Oriente: Sharon in Russia per colloqui con Putin; Mosca intende chiedere alle
Nazioni Unite l'adozione formale della "road map".
Nella
pagina culturale, un articolo di Felice Accrocca dal titolo "Dalla
conversione religiosa la svolta per la sua vita intellettuale": Romana
Guarnieri compie novant'anni; accanto a don De Luca ha segnato in Italia
un'intera stagione culturale.
Nelle
pagine italiane, in primo piano la notizia dal titolo "Una Croce di tre
metri in piazza ad Ofena".
Tra i
temi in rilievo, quello della finanziaria.
3
novembre 2003
TRA LE POLEMICHE
DOPO LE ANTICIPAZIONI,
PUBBLICATO IL TESTO UFFICIALE DEL SONDAGGIO TRA CITTADINI EUROPEI CHE METTE ISRAELE AL PRIMO POSTO NELLA LISTA
DI PAESI CHE RAPPRESENTANO UNA MINACCIA ALLA PACE
Israele
in testa ai paesi che rappresentano una minaccia alla pace: è questa la
valutazione degli europei secondo il sondaggio Eurobarometro voluto dalla
Commissione dell’Unione europea e discusso ieri in base alle anticipazioni. Nel
testo ufficiale, diffuso oggi a Bruxelles, si legge che il 59% dei cittadini
europei ritiene che Israele sia il
paese che piu' rappresenta una minaccia
per la pace internazionale. Seguono al secondo posto, con il 53%, l'Iran, la Corea del Nord e gli Stati Uniti.
Subito dopo sono registrati l'Iraq, al 52%, l'Afghanistan al 50%, il Pakistan
al 48%. Nella lista dei dodici paesi presi in considerazione figuravano tra gli
altri Usa, Ue, Russia, Corea del Nord, Iran, Iraq, Afghanistan, Israele, Pakistan
e India. Il servizio di Fausta Speranza:
**********
Il
sondaggio conta complessivamente quindici domande, che spaziano dalla
legittimità dell'intervento Usa in Iraq, alla gestione della ricostruzione del
paese, fino alla valutazione della minaccia del terrorismo e della situazione
in Medio Oriente. Va detto che l'indagine
e' stata realizzata su un campione di oltre
7.500 cittadini dell’Unione, intervistati tra l'8 e il 16 ottobre
scorso. Sullo spessore da attribuire alle risposte, qualcuno sceglie la
prospettiva storica, recuperando una
presunta tradizione antisemita; altri le collocano sullo sfondo di una cronaca
recentissima: il questionario, infatti, è stato posto proprio nei giorni in cui
si parlava molto del muro eretto dal governo israeliano in Cisgiordania. Il
punto di vista del prof. Stefano
Allievi, docente di storia contemporanea all’Università di Padova:
“Credo non sia vera né l’una, né l’altra cosa e
certamente non la prima. Non esiste un 59 per cento di antisemiti in Europa,
per fortuna. E dovrebbe far riflettere il fatto che Paesi che hanno avuto le
percentuali più alte di risposte critiche rispetto ad Israele, sono Paesi, come
l’Olanda, che persino storicamente, già nel periodo nazista, hanno mostrato la
più ampia apertura e solidarietà nei confronti degli ebrei. Nello stesso tempo
c’è una parte di verità nella seconda risposta, e cioè gli eventi del momento
influenzano le risposte in questo tipo di sondaggi che, tipicamente, misurano
una sensazione momentanea che può cambiare nel corso del tempo ed anche
abbastanza rapidamente. Questo però vale per tutti i sondaggi quantitativi, e
cioè quelli in cui si sentono molte persone via telefono”.
Quali
considerazioni, dunque restano da fare? Ancora il prof. Allievi:
“Darei una lettura diversa.
Senz’altro, nell’opinione pubblica, anche colta, soprattutto colta, in Europa,
c’è una critica molto forte allo Stato d’Israele e alle sue politiche. Ci sono
anche elementi di tipo geografico. Credo che le risposte sulla Corea siano
dovute semplicemente al fatto che è lontana. Se fosse al di là del Mediterraneo
le preoccupazioni degli europei sarebbero molto più alte. Per cui, credo
proprio che ci sia una critica netta, evidente, alle politiche dello Stato
d’Israele. Va però detto anche che ciò è un limite della domanda che è stata fatta.
La domanda chiedeva l’opinione rispetto alla pericolosità degli Stati. Il problema
è che molti pericoli alla pace del mondo vengono oggi da entità che non sono
statuali e sono attualmente le organizzazioni dei terroristi internazionali ed
Al Qaeda”.
Una risonanza tutta particolare, ovviamente, ha avuto il sondaggio in
Israele o tra gli ebrei nel mondo. Abbiamo raccolto la riflessione di Giuseppe
Laras, presidente dell’Assemblea Rabbini d’Italia:
“Il
risultato di questo sondaggio è stato estremamente violento. Secondo me, è un
sondaggio che non riflette l’opinione reale della maggioranza dei cittadini
europei. Questa notizia è una notizia che offende non soltanto i cittadini dello
Stato d’Israele; preoccupa non solo gli ebrei d’Europa e non solo d’Europa; ma
moltissime persone che non sono né ebree né israeliane che evidentemente hanno
un’altra opinione su quello che è il terrorismo, sulla minaccia del terrorismo,
sulla pace, sulle ragioni della pace, eccetera”.
In
conclusione, un ultimo dato: l’81% degli interpellati ritengono che l’Unione
Europea dovrebbe giocare un ruolo più importante nella soluzione del conflitto
che oppone palestinesi e israeliani.
**********
SPERANZE DI PACE PER IL BURUNDI:
GOVERNO DI BUJUMBURA E RIBELLI FIRMANO UN CESSATE IL
FUOCO,
- Con noi, un missionario che opera nel Paese
africano -
Un accordo per porre fine ad un
conflitto che da dieci anni insanguina il Burundi. E’ l’intesa raggiunta ieri a
Pretoria, in Sudafrica, tra il governo di Bujumbura e il principale gruppo
ribelle burundese - quello delle Forze per la difesa della democrazia (Fdd) -
ma non firmata dall’altro movimento combattente, il Fronte di liberazione
nazionale (Fnl). Il cessate il fuoco prevede che, nel giro di tre settimane, i
ribelli hutu di Pierre Nkurunziza entreranno in un governo transitorio guidato
dal presidente Domitien Ndayizeye. L'intesa sarà ufficialmente firmata a Dar
es-Salaam, in Tanzania, a metà novembre. Ma, dopo una guerra civile tra hutu e
tutsi che ha già causato 300 mila vittime, l’accordo appena raggiunto potrà davvero
portare alla pace? Giada Aquilino lo ha chiesto ad un missionario che opera in
Burundi, che per motivi di sicurezza preferisce rimanere anonimo:
**********
R. – E’ da dieci anni che si firmano dei cessate-il-fuoco, ma da dieci
anni la gente continua a morire. Potrebbe essere un momento buono, ma restano
tanti punti interrogativi sull’attuazione di questo accordo e sull’altro gruppo
di ribelli che non ha ancora cominciato a parlare con il governo. Proprio ieri
il Fnl ha emesso un comunicato ribadendo la propria volontà di rimanere in guerra.
D. – Di fatto, cosa prevede l’accordo?
R. – Che sia i ribelli, sia l’esercito depongano le armi. L’intesa
prevede poi l’immediato inserimento nel governo e nell’apparato
politico-economico di tutti i rappresentanti del Fdd.
D. – Dieci anni di guerra, hutu e tutsi in lotta, 300 mila morti: da cosa
può ripartire, oggi, il Burundi?
R. – I burundesi sono sempre stati insieme, hanno sempre vissuto e
cercato di risolvere i loro problemi insieme. Penso che sia l’unico punto di
partenza, perché – dai primi anni Novanta - questi dieci anni di guerra non
hanno portato solamente i tutsi contro gli hutu, ma anche gli hutu contro gli
hutu e i tutsi contro i tutsi. Si parlava solamente di guerra, di morti, di
feriti. E tutto per arrivare al potere. Penso che le nuove generazioni di
giovani ormai siano disposte a non lasciarsi manipolare e pronte a riportare il
Paese al dialogo, all’incontro, alla riconciliazione. Ciò porta molto a
sperare, pure se dieci anni di guerra hanno significato perdita di tempo, di
valori, di persone, di speranza.
D. – Nelle condizioni in cui vive, la popolazione civile come ha accolto
la notizia dell’accordo?
R. – La popolazione civile purtroppo economicamente è a terra; nel Paese
non funziona più niente. Tutte le strutture sono prive di finanziamenti per
poter ripartire. Per il Burundi, quindi, la pace significa come prima cosa
riuscire a vivere e a sperare in un domani. Tutti vorrebbero lavorare, avere
uno stipendio, rimettere in piedi la loro vita e quella dei loro figli.
D. – Qual è allora l’auspicio della Chiesa locale?
R. – Arrivare velocemente alla fine di questa guerra: per tale obiettivo,
sarà necessario avere la capacità di ascoltare gli altri. Qui in Burundi,
purtroppo, a causa dei colpi di Stato, dei dittatori, dei partiti unici spesso
il dialogo è stato messo da parte. E’ una strada sulla quale bisognerà
cimentarsi molto profondamente, per riuscire ad arrivare ad una vera pace.
**********
IL DIALOGO TRA VITA CONSACRATA, CHIESA LOCALE E
TERRITORIO IN PRIMO PIANO
ALLA 43.MA ASSEMBLEA GENERALE DEL CISM, LA
CONFERENZA ITALIANA DEI SUPERIORI
MAGGIORI, RIUNITA DA OGGI ALL’8 NOVEMBRE A SAN
MARINO
- Intervista con don Mario Aldegani -
“Chiesa locale, vita consacrata
e territorio: un dialogo aperto”: è il tema della 43.ma assemblea generale del
Cism, la Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori, che si apre oggi
pomeriggio a San Marino. L’incontro, che durerà fino all’8 novembre,
rappresenta un’occasione di confronto e dibattito sulle questioni di maggiore
attualità per gli istituti di vita consacrata. Alessandro Gisotti ha raccolto
una riflessione del presidente del Cism, don Mario Aldegani:
**********
R. – C’è
una necessità di uscire, credo, da una specie di autoreferenzialità che può
aver caratterizzato certe presenze sul territorio, sia in rapporto alla Chiesa
locale che in rapporto alle situazioni della gente. Accanto a questa situazione,
noi abbiamo una tradizione notevolissima di vicinanza al popolo, ai problemi,
ai dolori, alle sue fatiche.
D. – Come viene percepita nella vita quotidiana del territorio la
presenza dei religiosi? Ha ancora un significato radicale di testimonianza?
R. –
Certo c’è maggiore attenzione per la vita consacrata quando si spende sui
versanti più disagiati del mondo in cui viviamo, sulle frontiere
dell’emarginazione. Forse viene intravista e riconosciuta meno la valenza di
profezia evangelica che sta dentro e dietro questi comportamenti. Credo che la
sfida per noi sia quella di far almeno intuire che c’è una motivazione evangelica.
E credo che alla fine il senso più profondo della presenza dei consacrati in un
territorio, in una Chiesa, sia quello di essere un richiamo a Dio, essere un
richiamo alla santità.
D. – Può indicarci qualche esempio concreto di iniziative volte a far
dialogare i religiosi con le comunità in cui sono inserite?
R. – E’
un dato di fatto che le presenze di comunità religiose sul territorio esercitino
sempre una specie di capacità di attrazione. Un elemento significativo oggi mi
sembra che sia quell’insieme di azioni in sinergia con altri: l’aspetto della
collaborazione con i laici nel portare innanzi attività, scelte apostoliche che
nel passato facevamo soprattutto noi religiosi. E c’è un grande valore in questo.
Ciò che è importante è che i nostri rapporti con qualsiasi persona si incontri
abbiano il profumo del Signore, diano speranza, perché rappresentano una forma
di relazionalità umana della quale tutti abbiamo bisogno.
**********
=======ooo=======
3
novembre 2003
FORTI
DISSENSI NELLA COMUNIONE ANGLICANA PER LA CONSACRAZIONE
DI UN
VESCOVO OMOSESSUALE, AVVENUTA NEGLI STATI UNITI.
E’ LA PRIMA VOLTA CHE CIO’ ACCADE
- A cura
di Debora Donnini -
**********
“Profondo rammarico” è stato espresso dall’arcivescovo
di Canterbury e capo spirituale della Chiesa anglicana, Rowan Williams, per le
divisioni all’interno della comunione anglicana provocate dalla consacrazione a
vescovo, negli Stati Uniti, di Gene Robinson, dichiaratamente omosessuale.
Cinquantasei anni, divorziato e padre di due figli, Robinson convive da 14 anni con una persona del suo stesso sesso.
E’ stato consacrato a vescovo dall’ala americana della Chiesa anglicana, la
Chiesa episcopale. La cerimonia, avvenuta ieri pomeriggio a Durham, nel New
Hampshire, è stata accompagnata tra l’altro da cartelli di protesta. Le divisioni
saranno “tanto più visibili – ha
sottolineato l’arcivescovo di Canterbury– quanto più sarà impossibile
per il ministero di Gene Robinson come vescovo di essere accettato da ogni
provincia della comunione”. E infatti i capi spirituali della Chiesa anglicana
dei paesi del Terzo mondo hanno già dichiarato che la comunione con la Chiesa
episcopale americana “è compromessa”.
Lo si apprende da un comunicato del vescovo di Abuja, in Nigeria, reverendo
Peter Akinola che si esprime a “nome dei primati del Sud”. Dissensi per questa consacrazione sono stati comunque
espressi da diversi esponenti della Chiesa anglicana nel mondo, che conta 70
milioni di fedeli, 50 dei quali proprio nei paesi del Sud del mondo.
**********
I
VERTICI DELLA CHIESA PAKISTANA METTONO I RISALTO IL CLIMA DI DIALOGO
TRA
MUSULMANI E CATTOLICI, CHE STA CARATTERIZZANDO IL RAMADAN.
NUMEROSI
ATTESTATI DI STIMA PER IL PAPA IN OCCASIONE
DEL SUO
GIUBILEO PONTIFICIO DA PARTE
DEI LEADER RELIGIOSI E POLITICI DEL PAKISTAN
MULTAN. = “E’ un inizio di Ramadan che ci dà grandi
speranze per il dialogo e per rafforzare buoni rapporti fra cristiani e
musulmani. Sono molto felice e ottimista”. E’ una testimonianza beneagurante
quella di mons. Andrew Francis, vescovo di Multan e capo della Commissione per
il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale del Pakistan.
“L’atmosfera è davvero buona - ha raccontato il presule, intervistato
dall’Agenzia Fides - Il Ramadan è cominciato con una grande comunione
spirituale. Il primo giorno del Ramadan abbiamo rotto il digiuno insieme,
cristiani e musulmani, in un clima di preghiera e condivisione fra uomini di
buona volontà”. Mons. Francis ha rivelato che anche le celebrazioni per il
25.mo di Pontificato di Giovanni Paolo II hanno unito tutti, studenti, leader
religiosi, autorità civili, donne: tutti, ha detto, “apprezzano la figura e
l’opera” del Papa. Del miglioramento dei rapporti islamo-cristiani riferisce
alla Fides anche l’arcivescovo di Latore, Lawrence Saldanha, presidente della
Conferenza Episcopale pakistana. Dopo la ripresa del fondamentalismo islamico seguita
all’11 settembre, ha detto il presule, “abbiamo cercato di mostrare ai nostri
fratelli musulmani che noi siamo dalla parte della pace, per costruire un paese
moderno e libero dal terrorismo. Oggi abbiamo buone relazioni con i musulmani
moderati, che sono larga maggioranza nel paese”. Su 55 milioni di pakistani, i
musulmani sono il 97 per cento, mentre i cristiani sono il 2,5, fra i quali
circa un milione e 200 mila cattolici. (A.D.C.)
IN
SOMALIA, LA SICCITÀ STA METTENDO A RISCHIO LA VITA DI 90 MILA PERSONE.
MOLTE
FAMIGLIE COSTRETTE AD EMIGRARE PER PROBLEMI DI ORDINE SANITARIO
ADDIS ABEBA. = Anche quest’anno la mancanza di
pioggia nella piattaforma del Sool, nel nord della Somalia, sta portando a
gravissimo rischio di sopravvivenza quasi 16 mila famiglie di pastori, in un
Paese già devastato da quattro anni di siccità. Ma ora la situazione sta rapidamente
peggiorando. Le gravi condizioni di povertà stanno spingendo le famiglie a
vendere il proprio bestiame, unica fonte insieme al latte del loro
sostentamento. Questo le costringerebbe sul lastrico e alla necessità di dover
emigrare, con devastanti conseguenze sanitarie e sociali. Il coordinatore
umanitario delle Nazioni Unite, Maxwell Gaylard, prevede un probabile collasso
dell’economia locale con gravi conseguenze sulla vita delle comunità locali, in
particolare dei bambini. Stamani, l’Onu ha lanciato un appello chiedendo uno
sforzo supplementare ed immediato per gli aiuti.(M.A.)
IL
PRESIDENTE ITALIANO CIAMPI HA CONCESSO UNA MEDAGLIA D’ORO ALLA MEMORIA
IN ONORE
DI ANNALENA TONELLI, LA MISSIONARIA LAICA UCCISA IN SOMALIA
ROMA. = Con una medaglia d'oro
al merito civile concessa alla memoria, su proposta del ministro dell'Interno,
Giuseppe Pisanu, il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi,
ha voluto ricordare questa mattina il
sacrificio di Annalena Tonelli, la missionaria laica uccisa il 5 ottobre scorso
in Somalia. La donna - che da 30 anni lavorava nel Paese africano a servizio
degli sfollati e dei malati di tubercolosi, per i quali aveva fondato anche una
struttura sanitaria a Borama - è stata insignita dell’onorificenza, si legge
nella motivazione, “per l’instancabile, silenzioso e appassionato impegno a
favore dei profughi e dei rifugiati somali, vittime dell'analfabetismo, delle
malattie infettive, della malnutrizione e della mutilazione femminile”. Ciampi
ha ricordato il “fulgido esempio di coerenza” offerto dalla Tonelli, insieme al
suo “senso di abnegazione e di rigore morale, fondato sui valori più alti della
convivenza civile e degli ideali di giustizia e solidarietà sociale”. (A.D.C.)
RICONFERMATO
ALLA GUIDA DELLA FRATERNITÀ CATTOLICA CARISMATICA
IL
PRESIDENTE USCENTE, MATTEO CALISI. LA COMUNITA’ E LA PRIMA
ISTITUZIONE
INTERNAZIONALE DEL MOVIMENTO CARISMATICO
AD
ESSERE STATA APPROVATA DA GIOVANNI PAOLO II
ROMA. = Sarà ancora il prof. Matteo Calisi a guidare
per il prossimo triennio la Fraternità cattolica carismatica, prima istituzione
internazionale dell’articolato Movimento carismatico ad essere stata
riconosciuta da Giovanni Paolo II. La riconferma è stata ufficializzata il 31
ottobre scorso, a Roma, dall’Assemblea annuale del Consiglio esecutivo, nel
corso dell’incontro internazionale che ha celebrato il 13.mo anniversario della
creazione canonica della Fraternità Cattolica. Calisi - originario di Bari,
dove ha fondato una comunità carismatica
- era subentrato al primo presidente e fondatore, l’australiano Brian Smith,
scomparso nel marzo scorso. “La conferma della nomina di un italiano alla guida
della Fraternità Cattolica - si legge in un comunicato dell’Associazione -
assume un carattere di rilievo per il Rinnovamento carismatico, una corrente
spirituale sorta degli Stati Uniti d’America alla fine degli anni Sessanta,
dopo la chiusura del Concilio Vaticano II”, che oggi raduna circa centoventi
milioni di cattolici ma che vanta “una leadership quasi esclusivamente di
origine anglosassone”. Il leader riconfermato della Fraternità cattolica è
anche vicepresidente dell’Iccrs, l’International
Catholic Charismatic Renewal Services, che ha sede presso la Cancelleria
del Vaticano. Collabora da diversi anni con il Pontificio Consiglio dei Laici
come rappresentante del Rinnovamento carismatico cattolico all’interno del
Gruppo dei Movimenti ecclesiali e delle nuove comunità ed è stato uno dei
principali relatori all'ultima Assemblea Plenaria del dicastero vaticano. (A.D.C.)
PREMIATO
DAL GOVERNO INDIANO, IL CENTRO CATTOLICO “MANASA” DI MANGALORE,
CHE SI
OCCUPA DELLA RIABILITAZIONE PSICOFISICA
E DEL
REINSERIMENTO SOCIALE DEI RAGAZZI DISABILI
MANGALORE (INDIA). = C’è l’ombra della testimonianza
di Madre Teresa di Calcutta dietro il premio che il governo di Nuova Dehli ha
concesso al Centro di riabilitazione per ragazzi, gestito da una organizzazione
laica cattolica a Pananmbur, nei pressi di Mangalore, nello Stato del
Karnataka. Il riconoscimento è stato consegnato dal Ministero per le Risorse Umane
e lo Sviluppo a Edward Lobo, direttore del Centro “Manasa”, questo il nome
della struttura - per il “benemerito servizio” che essa svolge a favore dei
ragazzi portatori di handicap fisici e mentali. Il centro è gestito dall’Associazione
cattolica “Sabha”, riconosciuta dalla diocesi di Mangalore, realtà diffusa in
almeno 150 parrocchie della diocesi, impegnata per il miglioramento sociale,
economico, della comunità cattolica. l “Manasa” è nato nel 1991 come scuola
speciale per i ragazzi handicappati mentali, è si è quindi trasformato in
centro di accoglienza e riabilitazione anche per disabili fisici. Il governo
del Karnataka ha donato un appezzamento di terreno all’associazione per
ampliare le strutture: nel 1997 i ragazzi assistiti erano 47, oggi sono 155,
provenienti da tutto lo Stato. Ai ragazzi si insegnano lavori manuali, mentre
le ragazze realizzano biglietti di auguri e disegni. Tutti vengono istruiti in
attività sportive: nei Giochi nazionali della Gioventù per disabili svoltisi
nel 2002, i ragazzi del Manasa hanno vinto 5 medaglie d’oro e 9 d’argento. Sei
ragazzi che hanno frequentato il Centro hanno recuperato in pieno e oggi
frequentano scuole regolari. (A.D.C.) =======ooo=======
3
novembre 2003
- A cura
di Andrea Sarubbi -
L’attentato di ieri
all’elicottero nei pressi di Falluja non cambierà i piani americani in Iraq.
“Gli Stati Uniti non si ritireranno”, ha assicurato ieri il capo del Pentagono,
Rumsfeld, e la Casa Bianca ha ribadito che “la volontà e la determinazione” di
Washington “sono incrollabili”. Con il passare delle ore, intanto, si è
aggravato il bilancio delle vittime: 16 i morti, 20 i feriti. Altri due
cittadini statunitensi, entrambi civili, sono stati uccisi nella stessa Falluja
dall’esplosione di una bomba. Il servizio di Andrea Sarubbi:
**********
A
questo punto, l’America non torna indietro. L’intenzione, se mai, è quella di
inviare in Iraq altri soldati, come hanno riferito alla Cbs due senatori della
commissione Esteri. Ma i numeri raccontano di un drammatico dopoguerra, ammesso
che la guerra sia davvero conclusa: dal primo maggio, quando Bush annunciò la
fine dell’offensiva angloamericana, i militari statunitensi uccisi sono ben
235. Fuori dal calcolo i civili, che continuano a morire senza distinzione di
nazionalità. È iracheno, ad esempio, quello che ha perso la vita stamattina: lo
ha ucciso un ordigno diretto contro il vicegovernatore della provincia di
Diyala, una sessantina di chilometri a nord di Baghdad. L’escalation della
violenza preoccupa anche i Paesi vicini. Lo stesso Iran ha condannato, poco fa,
le attività dei gruppi terroristi, che – ha detto il ministro degli Esteri,
Kharrazi – “minacciano gli interessi di tutti”. È per questo che gli Stati
confinanti con l’Iraq si sono impegnati a bloccare i tentativi di infiltrazione
da parte degli attivisti. E non mancano appelli dai leader religiosi: come
quello dello sciita Mohammed Taqi al-Modarrisi, ad esempio, che ha chiesto alla
popolazione di “aiutare gli americani a raggiungere i propri obiettivi, perché
possano poi lasciare il Paese”.
**********
Sull’organizzazione della resistenza irachena, Roberto Piermarini ha intervistato
Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera. Gli ha chiesto,
innanzitutto, a chi possono essere attribuite le responsabilità dell’attentato
di ieri a Falluja contro l’elicottero americano:
**********
R. – Penso sicuramente che sia
opera di questa forma di resistenza e di guerriglia nella quale confluiscono
uno zoccolo duro – un nucleo duro di appartenenti all’ex regime, non
necessariamente seguaci di Saddam, ma comunque membri dell’ex regime iracheno –
e forse qualche volontario islamico.
D. – L’Iraq può diventare un
nuovo Vietnam per gli Stati Uniti?
R. – Sicuramente, con il passare
dei giorni l’operazione si sta complicando, perché l’impressione è che siano
sempre i guerriglieri ad avere l’iniziativa. È uno scenario in parte
prevedibile, però si riteneva che gli americani avessero una forza adeguata a
contenere le offensive. Invece, i militari statunitensi sembrano disorientati:
prima, vengono attaccati nei loro convogli, quindi adottano certe tattiche;
poi, arrivano gli attacchi-bomba e quindi devono ri-adattare le proprie
strategie. Una minaccia ulteriore viene, ora, dall’uso massiccio di questi
lanciamissili: l’elicottero è stato colpito ieri, ma c’era stata un’occasione
precedente. E poi si sa di decine di tentativi falliti… tanto è vero che
l’aeroporto di Baghdad non è mai stato aperto completamente. E questo contesto
ostile spinge gli americani sempre sulla difensiva.
**********
La bozza della nuova
Costituzione afghana è da oggi all’esame del presidente Karzai, che l’ha
ricevuta questa mattina dalla Commissione incaricata di redigere il testo. Il
nuovo ordinamento, che si richiama espressamente ai “principî islamici”,
prevede un Parlamento bicamerale ma non un primo ministro: i suoi poteri
confluiranno in quelli del presidente, eletto dal popolo. Ad Alberto Negri,
inviato speciale del Sole 24 ore, Giancarlo La Vella ha chiesto se questa
Costituzione potrà consentire all’Afghanistan di avvicinarsi agli standard
istituzionali e democratici degli Stati moderni:
**********
R. - Questa Costituzione
riunisce, in qualche modo, tutte le contraddizioni della storia di un Paese che
è stato prima una monarchia, poi uno Stato islamico, poi addirittura una
Repubblica democratica di stampo socialista ed infine, con i talebani, un emirato
islamico. Oggi c’è una Costituzione comunque vigente in Iraq, che addirittura
risale al ’64, e che protegge i diritti dei cittadini. Ma sarà fondamentale
vedere se poi il nuovo testo, una volta approvato, venga applicato
effettivamente. Oggi ci sono molti dubbi che possa essere così.
D. – Quello che c’è da mettere a
posto in Afghanistan è soprattutto la vita della gente comune…
R. – È così. Da una parte,
infatti, avremo sicuramente una Costituzione formale, in qualche modo istituita
e informata sui principi di libertà anche occidentali, di protezione dei
diritti dei cittadini, degli individui e delle donne. E poi, dall’altra parte,
avremo la Costituzione materiale, cioè quella che viene in realtà applicata. La
situazione è questa: abbiamo un governo presieduto da Karzai, un pashtun,
cioè dell’etnia di maggioranza, che è in rotta di collisione con l’alleanza del
Nord tagika che aveva condotto la guerra; e poi, ancora una forte
presenza della guerriglia talebana. In ognuna di queste parti del Paese, ancora
sotto l’influsso del vecchio Afghanistan, e cioè dei signori della guerra, la
legge che viene applicata è diversa da un luogo all’altro.
**********
Sparatoria alla Mecca, luogo
santo dell’Islam, dove la polizia saudita ha ucciso questa mattina due presunti
terroristi. Le uniche notizie disponibili al momento sono quelle fornite dalla
tv araba, secondo la quale le forze dell’ordine avrebbero sventato un
complotto. Nel blitz, che ha portato anche al sequestro di armi e munizioni, è
rimasto ferito un agente.
Pesante bilancio di vittime in
Nepal, per una nuova offensiva dei ribelli maoisti. L’esplosione di una mina al
passaggio di un convoglio militare nella città meridionale di Jitpur ha ucciso
almeno 10 soldati dell’esercito e ne ha feriti altri 6. Si tratta dell’attacco
più grave negli ultimi tre mesi: da quando, cioè, i guerriglieri hanno sospeso
la tregua avviata a gennaio.
Rimane alta la tensione in Medio
Oriente: un kamikaze palestinese, attivista delle Brigate dei martiri di Al
Aqsa, si è fatto esplodere stamattina nel villaggio cisgiordano di Azum,
davanti ad un’unità militare israeliana. Nessuno dei soldati è rimasto ferito.
Si attendono ora sviluppi sul piano diplomatico: fonti del governo israeliano
hanno annunciato stamattina un probabile incontro del premier Sharon con il
collega palestinese Abu Ala.
Lo stesso Sharon è, nel
frattempo, a Mosca. Al presidente russo Putin, incontrato questa mattina, ha
detto di essere “pronto a fare delle concessioni in cambio della pace”, ma non
“in materia di sicurezza”. Sulle prospettive di questo viaggio del primo
ministro israeliano sentiamo Giulietto Chiesa, esperto di questioni russe del
quotidiano “La Stampa”:
**********
R. - Gli
ultimi segnali di Putin erano stati di una grande disponibilità verso
un’ipotesi simile a quella della road map, dopodiché la Russia ha
mantenuto su questa vicenda un silenzio piuttosto circospetto e niente affatto
favorevole. Non mi pare di capire che Putin intenda sacrificare sull’altare
della politica di Sharon tutti i suoi rapporti, che rimangono abbastanza
importanti, con una parte rilevante del mondo arabo. Non dimentichiamo che recentemente,
in agosto, è arrivata a Mosca – per la prima volta dopo 40 anni –una delegazione
dell’Arabia Saudita. Non ritengo che Putin voglia essere troppo cordiale nei
confronti di un governo – come quello di Sharon – che sta costruendo un muro in
Cisgiordania. La mia impressione è che Sharon sia a Mosca per cercare di parare
il colpo, in un momento complessivamente non buono per i rapporti tra Israele e
la Russia.
**********
È riuscito a metà, in Israele,
lo sciopero generale contro la riforma delle pensioni ed il licenziamento di
migliaia di dipendenti pubblici. L’astensione dal lavoro, indetta nei giorni
scorsi dalla confederazione sindacale Histadrut, è stata fermata all’ultimo
minuto da un tribunale del lavoro, che ha accolto il ricorso di banche,
industriali, autorità portuali e ferroviarie. Ma la corte ha comunque permesso
uno sciopero di 4 ore, che stamattina ha creato problemi soprattutto ai
trasporti. Sindacati e governo torneranno ad incontrarsi giovedì.
Tra accuse di brogli e polemiche
feroci, si sono svolte ieri le elezioni politiche in Georgia. Ma in 17 dei 2811
collegi il voto è stato dichiarato irregolare e dovrà quindi essere ripetuto.
In attesa dei risultati definitivi, le prime proiezioni premiano il raggruppamento
“Per una nuova Georgia”, legato al presidente Shevarnadze, in testa con il 26
per cento dei consensi. Segue, con il 23 per cento, il Movimento nazionale,
finora all’opposizione, guidato dall’ex ministro della Giustizia Mikhail
Saakashvili. Oltre la soglia di sbarramento del 7 per cento solo altre due
formazioni: i laburisti ed il Partito della Rinascita.
Scontri violenti nel nordest
dell’Uganda, dove un comandante dei ribelli sarebbe rimasto ucciso in
combattimento. Charles Tabuley, “numero tre” del sedicente Esercito di
resistenza del Signore, sarebbe morto durante gli scontri con le forze
governative avvenuti mercoledì nel villaggio di Kabalanga, circa 300 chilometri
a nord di Kampala. Recentemente, Tabuley aveva incontrato l’arcivescovo di
Gulu, John Baptist Odama, nel tentativo di cercare una soluzione pacifica alla
crisi.
Democrazia, rispetto delle
minoranze e della divisione dei poteri sono stati gli argomenti centrali del
primo discorso al Parlamento di Abdullah Ahmad Badawi, da venerdì alla guida
della Malaysia. Il nuovo premier – succeduto a Mahatir Mohamad, che ha lasciato
il governo dopo 22 anni – ha inoltre ribadito l’impegno del proprio Paese in
quella che ha definito “la lotta al terrorismo ed all’estremismo”: in Malaysia
si nasconderebbero infatti numerosi membri della Jemaah Islamiyah, legata alla
rete di Al Qaeda.