RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 307 - Testo della Trasmissione di lunedì 3 novembre 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La Chiesa cattolica fa il punto sull’ecumenismo. Da oggi la plenaria del Pontificio Consiglio dell’unita’ dei cristiani. Intervista al cardinale Walter Kasper

 

Domani in Vaticano festa e poesie per l’onomastico di Papa Karol Wojtyla, nella memoria di San Carlo Borromeo

 

Domenica prossima Giovanni Paolo II beatificherà  5 servi di Dio: oggi parliamo di Rosalie Rendu

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Polemiche per il sondaggio dell’Unione Europea sui Paesi che minacciano la pace: al primo posto figura Israele

 

Speranze per il Burundi dopo la firma ieri dell’accordo di pace

 

Al via oggi a San Marino la 43a Assemblea generale del Cism, la conferenza italiana dei superiori maggiori. Intervista al presidente del Cism don Mario Aldegani.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Forti dissensi all’interno della comunione anglicana dopo l’ordinazione negli Stati Uniti di un vescovo omosessuale

 

I vertici della Chiesa pakistana mettono i risalto il clima di dialogo tra musulmani e cattolici, che sta caratterizzando il Ramadan

 

In Somalia, la siccità sta mettendo a rischio la vita di 90 mila persone

 

il presidente italiano ciampi ha concesso una medaglia d’oro alla memoria in onore di Annalisa Tonelli, la missionaria laica uccisa in Somalia il 5 ottobre scorso

 

Riconfermato alla guida della fraternità cattolica carismatica il presidente uscente, Matteo Calisi

 

Premiato dal governo indiano, il centro cattolico “Manasa” di Mangalore, che si occupa della riabilitazione psicofisica e del reinserimento sociale dei ragazzi disabili

 

24 ORE NEL MONDO:

 L’attentato di ieri a Falluja, costato la vita a 16 statunitensi, non cambia i piani della Casa Bianca  per l’Iraq – La bozza della nuova Costituzione afghana all’esame del presidente Karzai – Tra accuse e brogli e polemiche si sono svolte le elezioni politiche in Georgia.

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

3 novembre 2003

 

 

LA CHIESA CATTOLICA FA IL PUNTO SULL’ECUMENISMO.

DA OGGI LA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI. INTERVISTA AL CARDINALE WALTER KASPER

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

La Chiesa cattolica fa il punto sull’ecumenismo: si apre questo pomeriggio a Roma con la lettura di un messaggio del Papa l’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio dell’Unità dei Cristiani. Il tema principale dei lavori sarà dedicato alla “spiritualità ecumenica”. Tiene la prolusione il cardinale Walter Kasper, presidente del Dicastero che – ricordiamo – è stato creato nel 1960 da Papa Giovanni XXIII. Giovanni Peduto ha intervistato il cardinale Kasper.

 

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R. - L’unità è un dono, un regalo dello Spirito Santo e noi dobbiamo radunarci come Maria e gli apostoli si sono radunati nel Cenacolo ed hanno pregato per la venuta dello Spirito Santo. Anche noi dobbiamo pregare per una nuova autentica “Pentecoste”. Sia il Papa che il Concilio hanno detto che l’ecumenismo spirituale è il cuore, il fulcro, dell’ecumenismo: la preghiera e la conversione.

 

D. – Eminenza, durante i lavori si farà il punto sull’ecumenismo. Lei come vede oggi la situazione?

 

R. – Abbiamo fatto grandi progressi sin dal Concilio Vaticano II, soprattutto durante questo Pontificato, che è veramente un Pontificato ecumenico. I cristiani separati si sentono oggi come fratelli e sorelle, non più come nemici. E’ un grande progresso. Ma dall’altra parte dobbiamo affrontare oggi nuovi problemi, perché in tutte queste famiglie confessionali – luterani, anglicani ed anche ortodossi – ci sono frammentazioni interne. Alcuni non vogliono avere niente a che fare con la Chiesa cattolica ed altri invece bussano alla nostra porta. Questa frammentazione interna è un grande problema e noi vogliamo discuterlo. Esiste anche un ecumenismo superficiale, selvaggio, che è controproducente e ha creato delle paure. Noi dobbiamo confermare i fondamenti dell’ecumenismo, la fede in Gesù Cristo e nella Trinità. Senza questa fede l’ecumenismo cade nel vuoto. Per me è importante proprio in questa situazione intermedia creare amicizie, perché ho l’impressione che i cristiani separati  non si conoscano abbastanza. Non sono solo dottrine astratte a dividerci, è una maniera di vivere la fede. Dobbiamo conoscerci meglio l’un l’altro.

 

D. – Lei è già ormai da alcuni anni alla guida del Dicastero per l’unità dei cristiani. I suoi sentimenti nello svolgere questo lavoro, nel portare avanti la causa ecumenica?

 

R. – Provo non soltanto le difficoltà, provo anche una grande gioia, perché si fa l’esperienza del fatto che lo Spirito Santo opera anche fuori della Chiesa cattolica. Si incontrano molti cristiani seri che pregano, che hanno il desiderio dell’unità, e si vede che sono uomini spirituali. E’ una grande gioia vedere l’opera dello Spirito Santo fuori, e questo dà speranza.

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DOMANI, MEMORIA DI SAN CARLO BORROMEO, IN AULA PAOLO VI,

VERRA’ FESTEGGIATO L’ONOMASTICO DEL SANTO PADRE

 

Un appuntamento per festeggiare l’onomastico di Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, nel venticinquesimo anno di Pontificato. In occasione della memoria liturgica di San Carlo Borromeo, domani pomeriggio alle ore 17 - in Aula Paolo VI – verranno lette poesie con brani dal Trittico Romano e passi evangelici. L’evento, intitolato “Beata Seminagione”, è promosso dalla Fondazione Giovanni Paolo II. E’ previsto che il Papa raggiunga l’Aula intorno alle ore 18.30 per salutare organizzatori e partecipanti all’iniziativa.

 

 

CINQUE NUOVI BEATI SARANNO PROCLAMATI DOMENICA PROSSIMA DAL PAPA.

OGGI PARLIAMO DI SUOR ROSALIE RENDU, FRANCESE, FIGLIA DELLA CARITA’

- A cura di Giovanni Peduto -

 

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Era nata nel 1786 a Comfort, nella regione del Giura. La rivoluzione francese la costrinse a fare la prima comunione di notte nella cantina di casa sua dove la famiglia nascondeva i preti perseguitati e fra questi anche il vescovo di Annecy. Orfana a dieci anni di padre, aiutò la madre a crescere i fratellini e le sorelline e poi a 18 anni entrò a Parigi fra le Figlie della carità. Per 54 si occupò degli infermi e di quanti erano nel bisogno, aiutata da parecchie signore attratte dal suo spirito di dedizione ai poveri, e così pure da studenti desiderosi di vivere il cristianesimo in maniera impegnata. Nel 1852 Napoleone III le assegnò la Croce della Legion d’Onore come omaggio del Governo all’opera compiuta. La sua morte il 7 febbraio 1856 provocò una grande emozione fra la gente di tutti i ceti sociali di Parigi. I funerali di quest’umile Figlia della Carità furono un vero trionfo. Ecco un giudizio del postulatore della Causa di beatificazione, padre Roberto d’Amico:

 

“Rosalia Rendu è una Figlia della carità, quindi dalla sua vita tutti si atten-dono di vedere una donna dedicata soprattutto al servizio dei poveri. Ma quello che mi ha colpito di più è il suo atteggiamento contemplativo. Le parole che diceva spesso alle sue compagne erano: ‘Io faccio meditazione soprattutto quando vado dai poveri. Quando vado dai poveri io mi metto davanti al Signore e lo supplico per tutte le situazioni che trovo, e soprattutto perché mi aiuti a vedere nei poveri la stessa figura di Gesù’. Quindi, ho visto in lei una donna di azione, che viveva in un atteggiamento di contemplazione, contemplazione del Cristo nel povero”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Due titoli aprono, significativamente, la prima pagina: "Il Rosario via semplice verso la santità"; "La morte non è l'ultima parola sulla sorte umana": la preghiera dell'Angelus di Giovanni Paolo II nella Solennità di Tutti i Santi e nel giorno della commemorazione dei fedeli defunti".

Sempre in prima, spicca, - al centro - quanto segue: "San Carlo Borromeo 2003; con il cuore ancora carico di gioia per la celebrazione del XXV di Pontificato, esprimiamo al Santo Padre il nostro augurio ricco di affetto filiale".

 

Nelle vaticane, nel Messaggio ai partecipanti al Convegno promosso a Lviv, in Ucraina - in occasione del 150 anniversario della nascita di Vladimir Soloviev - il Papa ha esortato le comunità cristiane di Oriente e di Occidente a porsi all'ascolto della volontà di Cristo per quanto riguarda l'unità dei suoi discepoli.

 

Nelle estere, in Iraq, una nuova strage segna il dopo-guerra: l'abbattimento di un elicottero Usa provoca sedici morti e venti feriti.

Medio Oriente: Sharon in Russia per colloqui con Putin; Mosca intende chiedere alle Nazioni Unite l'adozione formale della "road map".

 

Nella pagina culturale, un articolo di Felice Accrocca dal titolo "Dalla conversione religiosa la svolta per la sua vita intellettuale": Romana Guarnieri compie novant'anni; accanto a don De Luca ha segnato in Italia un'intera stagione culturale.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la notizia dal titolo "Una Croce di tre metri in piazza ad Ofena".

Tra i temi in rilievo, quello della finanziaria.

 

 

OGGI IN PRIMO PIANO

3 novembre 2003

 

 

 

TRA LE POLEMICHE  DOPO LE  ANTICIPAZIONI, PUBBLICATO IL TESTO UFFICIALE DEL SONDAGGIO TRA CITTADINI EUROPEI  CHE METTE ISRAELE AL PRIMO POSTO NELLA LISTA DI PAESI CHE RAPPRESENTANO UNA MINACCIA ALLA PACE

 

 

Israele in testa ai paesi che rappresentano una minaccia alla pace: è questa la valutazione degli europei secondo il sondaggio Eurobarometro voluto dalla Commissione dell’Unione europea e discusso ieri in base alle anticipazioni. Nel testo ufficiale, diffuso oggi a Bruxelles, si legge che il 59% dei cittadini europei  ritiene che Israele sia il paese che piu' rappresenta una  minaccia per la pace internazionale. Seguono al secondo posto, con il 53%,  l'Iran, la Corea del Nord e gli Stati Uniti. Subito dopo sono registrati l'Iraq, al 52%, l'Afghanistan al 50%, il Pakistan al 48%. Nella lista dei dodici paesi presi in considerazione figuravano tra gli altri Usa, Ue, Russia, Corea del Nord, Iran, Iraq, Afghanistan, Israele, Pakistan e India. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Il sondaggio conta complessivamente quindici domande, che spaziano dalla legittimità dell'intervento Usa in Iraq, alla gestione della ricostruzione del paese, fino alla valutazione della minaccia del terrorismo e della situazione in Medio  Oriente. Va detto che l'indagine e' stata realizzata su un campione di oltre  7.500 cittadini dell’Unione, intervistati tra l'8 e il 16 ottobre scorso. Sullo spessore da attribuire alle risposte, qualcuno sceglie la prospettiva storica, recuperando  una presunta tradizione antisemita; altri le collocano sullo sfondo di una cronaca recentissima: il questionario, infatti, è stato posto proprio nei giorni in cui si parlava molto del muro eretto dal governo israeliano in Cisgiordania. Il punto di vista del  prof. Stefano Allievi, docente di storia contemporanea all’Università di Padova:

 

“Credo non sia vera né l’una, né l’altra cosa e certamente non la prima. Non esiste un 59 per cento di antisemiti in Europa, per fortuna. E dovrebbe far riflettere il fatto che Paesi che hanno avuto le percentuali più alte di risposte critiche rispetto ad Israele, sono Paesi, come l’Olanda, che persino storicamente, già nel periodo nazista, hanno mostrato la più ampia apertura e solidarietà nei confronti degli ebrei. Nello stesso tempo c’è una parte di verità nella seconda risposta, e cioè gli eventi del momento influenzano le risposte in questo tipo di sondaggi che, tipicamente, misurano una sensazione momentanea che può cambiare nel corso del tempo ed anche abbastanza rapidamente. Questo però vale per tutti i sondaggi quantitativi, e cioè quelli in cui si sentono molte persone via telefono”.

 

Quali considerazioni, dunque restano da fare? Ancora il prof. Allievi:

 

“Darei una lettura diversa. Senz’altro, nell’opinione pubblica, anche colta, soprattutto colta, in Europa, c’è una critica molto forte allo Stato d’Israele e alle sue politiche. Ci sono anche elementi di tipo geografico. Credo che le risposte sulla Corea siano dovute semplicemente al fatto che è lontana. Se fosse al di là del Mediterraneo le preoccupazioni degli europei sarebbero molto più alte. Per cui, credo proprio che ci sia una critica netta, evidente, alle politiche dello Stato d’Israele. Va però detto anche che ciò è un limite della domanda che è stata fatta. La domanda chiedeva l’opinione rispetto alla pericolosità degli Stati. Il problema è che molti pericoli alla pace del mondo vengono oggi da entità che non sono statuali e sono attualmente le organizzazioni dei terroristi internazionali ed Al Qaeda”.

 

Una risonanza tutta particolare, ovviamente, ha avuto il sondaggio in Israele o tra gli ebrei nel mondo. Abbiamo raccolto la riflessione di Giuseppe Laras, presidente dell’Assemblea Rabbini d’Italia:

 

“Il risultato di questo sondaggio è stato estremamente violento. Secondo me, è un sondaggio che non riflette l’opinione reale della maggioranza dei cittadini europei. Questa notizia è una notizia che offende non soltanto i cittadini dello Stato d’Israele; preoccupa non solo gli ebrei d’Europa e non solo d’Europa; ma moltissime persone che non sono né ebree né israeliane che evidentemente hanno un’altra opinione su quello che è il terrorismo, sulla minaccia del terrorismo, sulla pace, sulle ragioni della pace, eccetera”.

 

In conclusione, un ultimo dato: l’81% degli interpellati ritengono che l’Unione Europea dovrebbe giocare un ruolo più importante nella soluzione del conflitto che oppone palestinesi e israeliani.

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SPERANZE DI PACE PER IL BURUNDI:

GOVERNO DI BUJUMBURA E RIBELLI FIRMANO UN CESSATE IL FUOCO,

DOPO 10 ANNI DI GUERRA CIVILE

- Con noi, un missionario che opera nel Paese africano -

 

Un accordo per porre fine ad un conflitto che da dieci anni insanguina il Burundi. E’ l’intesa raggiunta ieri a Pretoria, in Sudafrica, tra il governo di Bujumbura e il principale gruppo ribelle burundese - quello delle Forze per la difesa della democrazia (Fdd) - ma non firmata dall’altro movimento combattente, il Fronte di liberazione nazionale (Fnl). Il cessate il fuoco prevede che, nel giro di tre settimane, i ribelli hutu di Pierre Nkurunziza entreranno in un governo transitorio guidato dal presidente Domitien Ndayizeye. L'intesa sarà ufficialmente firmata a Dar es-Salaam, in Tanzania, a metà novembre. Ma, dopo una guerra civile tra hutu e tutsi che ha già causato 300 mila vittime, l’accordo appena raggiunto potrà davvero portare alla pace? Giada Aquilino lo ha chiesto ad un missionario che opera in Burundi, che per motivi di sicurezza preferisce rimanere anonimo:

 

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R. – E’ da dieci anni che si firmano dei cessate-il-fuoco, ma da dieci anni la gente continua a morire. Potrebbe essere un momento buono, ma restano tanti punti interrogativi sull’attuazione di questo accordo e sull’altro gruppo di ribelli che non ha ancora cominciato a parlare con il governo. Proprio ieri il Fnl ha emesso un comunicato ribadendo la propria volontà di rimanere in guerra.

 

D. – Di fatto, cosa prevede l’accordo?

 

R. – Che sia i ribelli, sia l’esercito depongano le armi. L’intesa prevede poi l’immediato inserimento nel governo e nell’apparato politico-economico di tutti i rappresentanti del Fdd.

 

D. – Dieci anni di guerra, hutu e tutsi in lotta, 300 mila morti: da cosa può ripartire, oggi, il Burundi?

 

R. – I burundesi sono sempre stati insieme, hanno sempre vissuto e cercato di risolvere i loro problemi insieme. Penso che sia l’unico punto di partenza, perché – dai primi anni Novanta - questi dieci anni di guerra non hanno portato solamente i tutsi contro gli hutu, ma anche gli hutu contro gli hutu e i tutsi contro i tutsi. Si parlava solamente di guerra, di morti, di feriti. E tutto per arrivare al potere. Penso che le nuove generazioni di giovani ormai siano disposte a non lasciarsi manipolare e pronte a riportare il Paese al dialogo, all’incontro, alla riconciliazione. Ciò porta molto a sperare, pure se dieci anni di guerra hanno significato perdita di tempo, di valori, di persone, di speranza.

 

D. – Nelle condizioni in cui vive, la popolazione civile come ha accolto la notizia dell’accordo?

 

R. – La popolazione civile purtroppo economicamente è a terra; nel Paese non funziona più niente. Tutte le strutture sono prive di finanziamenti per poter ripartire. Per il Burundi, quindi, la pace significa come prima cosa riuscire a vivere e a sperare in un domani. Tutti vorrebbero lavorare, avere uno stipendio, rimettere in piedi la loro vita e quella dei loro figli.

 

D. – Qual è allora l’auspicio della Chiesa locale?

 

R. – Arrivare velocemente alla fine di questa guerra: per tale obiettivo, sarà necessario avere la capacità di ascoltare gli altri. Qui in Burundi, purtroppo, a causa dei colpi di Stato, dei dittatori, dei partiti unici spesso il dialogo è stato messo da parte. E’ una strada sulla quale bisognerà cimentarsi molto profondamente, per riuscire ad arrivare ad una vera pace.

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IL DIALOGO TRA VITA CONSACRATA, CHIESA LOCALE E TERRITORIO IN PRIMO PIANO

ALLA 43.MA ASSEMBLEA GENERALE DEL CISM, LA CONFERENZA ITALIANA DEI SUPERIORI

MAGGIORI, RIUNITA DA OGGI ALL’8 NOVEMBRE A SAN MARINO

 

- Intervista con don Mario Aldegani -

 

“Chiesa locale, vita consacrata e territorio: un dialogo aperto”: è il tema della 43.ma assemblea generale del Cism, la Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori, che si apre oggi pomeriggio a San Marino. L’incontro, che durerà fino all’8 novembre, rappresenta un’occasione di confronto e dibattito sulle questioni di maggiore attualità per gli istituti di vita consacrata. Alessandro Gisotti ha raccolto una riflessione del presidente del Cism, don Mario Aldegani:

 

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R. – C’è una necessità di uscire, credo, da una specie di autoreferenzialità che può aver caratterizzato certe presenze sul territorio, sia in rapporto alla Chiesa locale che in rapporto alle situazioni della gente. Accanto a questa situazione, noi abbiamo una tradizione notevolissima di vicinanza al popolo, ai problemi, ai dolori, alle sue fatiche.

 

D. – Come viene percepita nella vita quotidiana del territorio la presenza dei religiosi? Ha ancora un significato radicale di testimonianza?

 

R. – Certo c’è maggiore attenzione per la vita consacrata quando si spende sui versanti più disagiati del mondo in cui viviamo, sulle frontiere dell’emarginazione. Forse viene intravista e riconosciuta meno la valenza di profezia evangelica che sta dentro e dietro questi comportamenti. Credo che la sfida per noi sia quella di far almeno intuire che c’è una motivazione evangelica. E credo che alla fine il senso più profondo della presenza dei consacrati in un territorio, in una Chiesa, sia quello di essere un richiamo a Dio, essere un richiamo alla santità.

 

D. – Può indicarci qualche esempio concreto di iniziative volte a far dialogare i religiosi con le comunità in cui sono inserite?

 

R. – E’ un dato di fatto che le presenze di comunità religiose sul territorio esercitino sempre una specie di capacità di attrazione. Un elemento significativo oggi mi sembra che sia quell’insieme di azioni in sinergia con altri: l’aspetto della collaborazione con i laici nel portare innanzi attività, scelte apostoliche che nel passato facevamo soprattutto noi religiosi. E c’è un grande valore in questo. Ciò che è importante è che i nostri rapporti con qualsiasi persona si incontri abbiano il profumo del Signore, diano speranza, perché rappresentano una forma di relazionalità umana della quale tutti abbiamo bisogno.

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CHIESA E SOCIETA’

3 novembre 2003

 

                  

 

FORTI DISSENSI NELLA COMUNIONE ANGLICANA PER LA CONSACRAZIONE

DI UN VESCOVO OMOSESSUALE, AVVENUTA NEGLI STATI UNITI.

 E’ LA PRIMA VOLTA CHE CIO’ ACCADE

- A cura di Debora Donnini -

 

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“Profondo rammarico” è stato espresso dall’arcivescovo di Canterbury e capo spirituale della Chiesa anglicana, Rowan Williams, per le divisioni all’interno della comunione anglicana provocate dalla consacrazione a vescovo, negli Stati Uniti, di Gene Robinson, dichiaratamente omosessuale. Cinquantasei anni, divorziato e padre di due figli, Robinson convive da 14  anni con una persona del suo stesso sesso. E’ stato consacrato a vescovo dall’ala americana della Chiesa anglicana, la Chiesa episcopale. La cerimonia, avvenuta ieri pomeriggio a Durham, nel New Hampshire, è stata accompagnata tra l’altro da cartelli di protesta. Le divisioni saranno “tanto più visibili – ha  sottolineato l’arcivescovo di Canterbury– quanto più sarà impossibile per il ministero di Gene Robinson come vescovo di essere accettato da ogni provincia della comunione”. E infatti i capi spirituali della Chiesa anglicana dei paesi del Terzo mondo hanno già dichiarato che la comunione con la Chiesa episcopale americana  “è compromessa”. Lo si apprende da un comunicato del vescovo di Abuja, in Nigeria, reverendo Peter Akinola che si esprime a “nome dei primati del Sud”. Dissensi per  questa consacrazione sono stati comunque espressi da diversi esponenti della Chiesa anglicana nel mondo, che conta 70 milioni di fedeli, 50 dei quali proprio nei paesi del Sud del mondo.  

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I VERTICI DELLA CHIESA PAKISTANA METTONO I RISALTO IL CLIMA DI DIALOGO

TRA MUSULMANI E CATTOLICI, CHE STA CARATTERIZZANDO IL RAMADAN.

NUMEROSI ATTESTATI DI STIMA PER IL PAPA IN OCCASIONE

DEL SUO GIUBILEO PONTIFICIO DA PARTE

 DEI LEADER RELIGIOSI E POLITICI DEL PAKISTAN

 

MULTAN. = “E’ un inizio di Ramadan che ci dà grandi speranze per il dialogo e per rafforzare buoni rapporti fra cristiani e musulmani. Sono molto felice e ottimista”. E’ una testimonianza beneagurante quella di mons. Andrew Francis, vescovo di Multan e capo della Commissione per il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale del Pakistan. “L’atmosfera è davvero buona - ha raccontato il presule, intervistato dall’Agenzia Fides - Il Ramadan è cominciato con una grande comunione spirituale. Il primo giorno del Ramadan abbiamo rotto il digiuno insieme, cristiani e musulmani, in un clima di preghiera e condivisione fra uomini di buona volontà”. Mons. Francis ha rivelato che anche le celebrazioni per il 25.mo di Pontificato di Giovanni Paolo II hanno unito tutti, studenti, leader religiosi, autorità civili, donne: tutti, ha detto, “apprezzano la figura e l’opera” del Papa. Del miglioramento dei rapporti islamo-cristiani riferisce alla Fides anche l’arcivescovo di Latore, Lawrence Saldanha, presidente della Conferenza Episcopale pakistana. Dopo la ripresa del fondamentalismo islamico seguita all’11 settembre, ha detto il presule, “abbiamo cercato di mostrare ai nostri fratelli musulmani che noi siamo dalla parte della pace, per costruire un paese moderno e libero dal terrorismo. Oggi abbiamo buone relazioni con i musulmani moderati, che sono larga maggioranza nel paese”. Su 55 milioni di pakistani, i musulmani sono il 97 per cento, mentre i cristiani sono il 2,5, fra i quali circa un milione e 200 mila cattolici. (A.D.C.)

 

 

IN SOMALIA, LA SICCITÀ STA METTENDO A RISCHIO LA VITA DI 90 MILA PERSONE.

MOLTE FAMIGLIE COSTRETTE AD EMIGRARE PER PROBLEMI DI ORDINE SANITARIO

 

ADDIS ABEBA. = Anche quest’anno la mancanza di pioggia nella piattaforma del Sool, nel nord della Somalia, sta portando a gravissimo rischio di sopravvivenza quasi 16 mila famiglie di pastori, in un Paese già devastato da quattro anni di siccità. Ma ora la situazione sta rapidamente peggiorando. Le gravi condizioni di povertà stanno spingendo le famiglie a vendere il proprio bestiame, unica fonte insieme al latte del loro sostentamento. Questo le costringerebbe sul lastrico e alla necessità di dover emigrare, con devastanti conseguenze sanitarie e sociali. Il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, Maxwell Gaylard, prevede un probabile collasso dell’economia locale con gravi conseguenze sulla vita delle comunità locali, in particolare dei bambini. Stamani, l’Onu ha lanciato un appello chiedendo uno sforzo supplementare ed immediato per gli aiuti.(M.A.)

 

 

IL PRESIDENTE ITALIANO CIAMPI HA CONCESSO UNA MEDAGLIA D’ORO ALLA MEMORIA

IN ONORE DI ANNALENA TONELLI, LA MISSIONARIA LAICA UCCISA IN SOMALIA

IL 5 OTTOBRE SCORSO

 

ROMA. = Con una medaglia d'oro al merito civile concessa alla memoria, su proposta del ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, ha voluto ricordare questa mattina  il sacrificio di Annalena Tonelli, la missionaria laica uccisa il 5 ottobre scorso in Somalia. La donna - che da 30 anni lavorava nel Paese africano a servizio degli sfollati e dei malati di tubercolosi, per i quali aveva fondato anche una struttura sanitaria a Borama - è stata insignita dell’onorificenza, si legge nella motivazione, “per l’instancabile, silenzioso e appassionato impegno a favore dei profughi e dei rifugiati somali, vittime dell'analfabetismo, delle malattie infettive, della malnutrizione e della mutilazione femminile”. Ciampi ha ricordato il “fulgido esempio di coerenza” offerto dalla Tonelli, insieme al suo “senso di abnegazione e di rigore morale, fondato sui valori più alti della convivenza civile e degli ideali di giustizia e solidarietà sociale”. (A.D.C.)

 

RICONFERMATO ALLA GUIDA DELLA FRATERNITÀ CATTOLICA CARISMATICA

IL PRESIDENTE USCENTE, MATTEO CALISI. LA COMUNITA’ E LA PRIMA

ISTITUZIONE INTERNAZIONALE DEL MOVIMENTO CARISMATICO

AD ESSERE STATA APPROVATA DA GIOVANNI PAOLO II

 

ROMA. = Sarà ancora il prof. Matteo Calisi a guidare per il prossimo triennio la Fraternità cattolica carismatica, prima istituzione internazionale dell’articolato Movimento carismatico ad essere stata riconosciuta da Giovanni Paolo II. La riconferma è stata ufficializzata il 31 ottobre scorso, a Roma, dall’Assemblea annuale del Consiglio esecutivo, nel corso dell’incontro internazionale che ha celebrato il 13.mo anniversario della creazione canonica della Fraternità Cattolica. Calisi - originario di Bari, dove  ha fondato una comunità carismatica - era subentrato al primo presidente e fondatore, l’australiano Brian Smith, scomparso nel marzo scorso. “La conferma della nomina di un italiano alla guida della Fraternità Cattolica - si legge in un comunicato dell’Associazione - assume un carattere di rilievo per il Rinnovamento carismatico, una corrente spirituale sorta degli Stati Uniti d’America alla fine degli anni Sessanta, dopo la chiusura del Concilio Vaticano II”, che oggi raduna circa centoventi milioni di cattolici ma che vanta “una leadership quasi esclusivamente di origine anglosassone”. Il leader riconfermato della Fraternità cattolica è anche vicepresidente dell’Iccrs, l’International Catholic Charismatic Renewal Services, che ha sede presso la Cancelleria del Vaticano. Collabora da diversi anni con il Pontificio Consiglio dei Laici come rappresentante del Rinnovamento carismatico cattolico all’interno del Gruppo dei Movimenti ecclesiali e delle nuove comunità ed è stato uno dei principali relatori all'ultima Assemblea Plenaria del dicastero vaticano. (A.D.C.)

 

 

PREMIATO DAL GOVERNO INDIANO, IL CENTRO CATTOLICO “MANASA” DI MANGALORE,

CHE SI OCCUPA DELLA RIABILITAZIONE PSICOFISICA

E DEL REINSERIMENTO SOCIALE DEI RAGAZZI DISABILI

 

MANGALORE (INDIA). = C’è l’ombra della testimonianza di Madre Teresa di Calcutta dietro il premio che il governo di Nuova Dehli ha concesso al Centro di riabilitazione per ragazzi, gestito da una organizzazione laica cattolica a Pananmbur, nei pressi di Mangalore, nello Stato del Karnataka. Il riconoscimento è stato consegnato dal Ministero per le Risorse Umane e lo Sviluppo a Edward Lobo, direttore del Centro “Manasa”, questo il nome della struttura - per il “benemerito servizio” che essa svolge a favore dei ragazzi portatori di handicap fisici e mentali. Il centro è gestito dall’Associazione cattolica “Sabha”, riconosciuta dalla diocesi di Mangalore, realtà diffusa in almeno 150 parrocchie della diocesi, impegnata per il miglioramento sociale, economico, della comunità cattolica. l “Manasa” è nato nel 1991 come scuola speciale per i ragazzi handicappati mentali, è si è quindi trasformato in centro di accoglienza e riabilitazione anche per disabili fisici. Il governo del Karnataka ha donato un appezzamento di terreno all’associazione per ampliare le strutture: nel 1997 i ragazzi assistiti erano 47, oggi sono 155, provenienti da tutto lo Stato. Ai ragazzi si insegnano lavori manuali, mentre le ragazze realizzano biglietti di auguri e disegni. Tutti vengono istruiti in attività sportive: nei Giochi nazionali della Gioventù per disabili svoltisi nel 2002, i ragazzi del Manasa hanno vinto 5 medaglie d’oro e 9 d’argento. Sei ragazzi che hanno frequentato il Centro hanno recuperato in pieno e oggi frequentano scuole regolari. (A.D.C.)                     =======ooo=======

 

 

 

24 ORE NEL MONDO

3 novembre 2003

 

 

- A cura di Andrea Sarubbi -

 
 

L’attentato di ieri all’elicottero nei pressi di Falluja non cambierà i piani americani in Iraq. “Gli Stati Uniti non si ritireranno”, ha assicurato ieri il capo del Pentagono, Rumsfeld, e la Casa Bianca ha ribadito che “la volontà e la determinazione” di Washington “sono incrollabili”. Con il passare delle ore, intanto, si è aggravato il bilancio delle vittime: 16 i morti, 20 i feriti. Altri due cittadini statunitensi, entrambi civili, sono stati uccisi nella stessa Falluja dall’esplosione di una bomba. Il servizio di Andrea Sarubbi:

 

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A questo punto, l’America non torna indietro. L’intenzione, se mai, è quella di inviare in Iraq altri soldati, come hanno riferito alla Cbs due senatori della commissione Esteri. Ma i numeri raccontano di un drammatico dopoguerra, ammesso che la guerra sia davvero conclusa: dal primo maggio, quando Bush annunciò la fine dell’offensiva angloamericana, i militari statunitensi uccisi sono ben 235. Fuori dal calcolo i civili, che continuano a morire senza distinzione di nazionalità. È iracheno, ad esempio, quello che ha perso la vita stamattina: lo ha ucciso un ordigno diretto contro il vicegovernatore della provincia di Diyala, una sessantina di chilometri a nord di Baghdad. L’escalation della violenza preoccupa anche i Paesi vicini. Lo stesso Iran ha condannato, poco fa, le attività dei gruppi terroristi, che – ha detto il ministro degli Esteri, Kharrazi – “minacciano gli interessi di tutti”. È per questo che gli Stati confinanti con l’Iraq si sono impegnati a bloccare i tentativi di infiltrazione da parte degli attivisti. E non mancano appelli dai leader religiosi: come quello dello sciita Mohammed Taqi al-Modarrisi, ad esempio, che ha chiesto alla popolazione di “aiutare gli americani a raggiungere i propri obiettivi, perché possano poi lasciare il Paese”.

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Sull’organizzazione della resistenza irachena, Roberto Piermarini ha intervistato Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera. Gli ha chiesto, innanzitutto, a chi possono essere attribuite le responsabilità dell’attentato di ieri a Falluja contro l’elicottero americano:

 

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R. – Penso sicuramente che sia opera di questa forma di resistenza e di guerriglia nella quale confluiscono uno zoccolo duro – un nucleo duro di appartenenti all’ex regime, non necessariamente seguaci di Saddam, ma comunque membri dell’ex regime iracheno – e forse qualche volontario islamico.

 

D. – L’Iraq può diventare un nuovo Vietnam per gli Stati Uniti?

 

R. – Sicuramente, con il passare dei giorni l’operazione si sta complicando, perché l’impressione è che siano sempre i guerriglieri ad avere l’iniziativa. È uno scenario in parte prevedibile, però si riteneva che gli americani avessero una forza adeguata a contenere le offensive. Invece, i militari statunitensi sembrano disorientati: prima, vengono attaccati nei loro convogli, quindi adottano certe tattiche; poi, arrivano gli attacchi-bomba e quindi devono ri-adattare le proprie strategie. Una minaccia ulteriore viene, ora, dall’uso massiccio di questi lanciamissili: l’elicottero è stato colpito ieri, ma c’era stata un’occasione precedente. E poi si sa di decine di tentativi falliti… tanto è vero che l’aeroporto di Baghdad non è mai stato aperto completamente. E questo contesto ostile spinge gli americani sempre sulla difensiva.

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La bozza della nuova Costituzione afghana è da oggi all’esame del presidente Karzai, che l’ha ricevuta questa mattina dalla Commissione incaricata di redigere il testo. Il nuovo ordinamento, che si richiama espressamente ai “principî islamici”, prevede un Parlamento bicamerale ma non un primo ministro: i suoi poteri confluiranno in quelli del presidente, eletto dal popolo. Ad Alberto Negri, inviato speciale del Sole 24 ore, Giancarlo La Vella ha chiesto se questa Costituzione potrà consentire all’Afghanistan di avvicinarsi agli standard istituzionali e democratici degli Stati moderni:

 

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R. - Questa Costituzione riunisce, in qualche modo, tutte le contraddizioni della storia di un Paese che è stato prima una monarchia, poi uno Stato islamico, poi addirittura una Repubblica democratica di stampo socialista ed infine, con i talebani, un emirato islamico. Oggi c’è una Costituzione comunque vigente in Iraq, che addirittura risale al ’64, e che protegge i diritti dei cittadini. Ma sarà fondamentale vedere se poi il nuovo testo, una volta approvato, venga applicato effettivamente. Oggi ci sono molti dubbi che possa essere così.

 

D. – Quello che c’è da mettere a posto in Afghanistan è soprattutto la vita della gente comune…

 

R. – È così. Da una parte, infatti, avremo sicuramente una Costituzione formale, in qualche modo istituita e informata sui principi di libertà anche occidentali, di protezione dei diritti dei cittadini, degli individui e delle donne. E poi, dall’altra parte, avremo la Costituzione materiale, cioè quella che viene in realtà applicata. La situazione è questa: abbiamo un governo presieduto da Karzai, un pashtun, cioè dell’etnia di maggioranza, che è in rotta di collisione con l’alleanza del Nord tagika che aveva condotto la guerra; e poi, ancora una forte presenza della guerriglia talebana. In ognuna di queste parti del Paese, ancora sotto l’influsso del vecchio Afghanistan, e cioè dei signori della guerra, la legge che viene applicata è diversa da un luogo all’altro.

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Sparatoria alla Mecca, luogo santo dell’Islam, dove la polizia saudita ha ucciso questa mattina due presunti terroristi. Le uniche notizie disponibili al momento sono quelle fornite dalla tv araba, secondo la quale le forze dell’ordine avrebbero sventato un complotto. Nel blitz, che ha portato anche al sequestro di armi e munizioni, è rimasto ferito un agente.

 

Pesante bilancio di vittime in Nepal, per una nuova offensiva dei ribelli maoisti. L’esplosione di una mina al passaggio di un convoglio militare nella città meridionale di Jitpur ha ucciso almeno 10 soldati dell’esercito e ne ha feriti altri 6. Si tratta dell’attacco più grave negli ultimi tre mesi: da quando, cioè, i guerriglieri hanno sospeso la tregua avviata a gennaio.

 

Rimane alta la tensione in Medio Oriente: un kamikaze palestinese, attivista delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, si è fatto esplodere stamattina nel villaggio cisgiordano di Azum, davanti ad un’unità militare israeliana. Nessuno dei soldati è rimasto ferito. Si attendono ora sviluppi sul piano diplomatico: fonti del governo israeliano hanno annunciato stamattina un probabile incontro del premier Sharon con il collega palestinese Abu Ala.

 

Lo stesso Sharon è, nel frattempo, a Mosca. Al presidente russo Putin, incontrato questa mattina, ha detto di essere “pronto a fare delle concessioni in cambio della pace”, ma non “in materia di sicurezza”. Sulle prospettive di questo viaggio del primo ministro israeliano sentiamo Giulietto Chiesa, esperto di questioni russe del quotidiano “La Stampa”:

 

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R. - Gli ultimi segnali di Putin erano stati di una grande disponibilità verso un’ipotesi simile a quella della road map, dopodiché la Russia ha mantenuto su questa vicenda un silenzio piuttosto circospetto e niente affatto favorevole. Non mi pare di capire che Putin intenda sacrificare sull’altare della politica di Sharon tutti i suoi rapporti, che rimangono abbastanza importanti, con una parte rilevante del mondo arabo. Non dimentichiamo che recentemente, in agosto, è arrivata a Mosca – per la prima volta dopo 40 anni –una delegazione dell’Arabia Saudita. Non ritengo che Putin voglia essere troppo cordiale nei confronti di un governo – come quello di Sharon – che sta costruendo un muro in Cisgiordania. La mia impressione è che Sharon sia a Mosca per cercare di parare il colpo, in un momento complessivamente non buono per i rapporti tra Israele e la Russia.

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È riuscito a metà, in Israele, lo sciopero generale contro la riforma delle pensioni ed il licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici. L’astensione dal lavoro, indetta nei giorni scorsi dalla confederazione sindacale Histadrut, è stata fermata all’ultimo minuto da un tribunale del lavoro, che ha accolto il ricorso di banche, industriali, autorità portuali e ferroviarie. Ma la corte ha comunque permesso uno sciopero di 4 ore, che stamattina ha creato problemi soprattutto ai trasporti. Sindacati e governo torneranno ad incontrarsi giovedì.

 

Tra accuse di brogli e polemiche feroci, si sono svolte ieri le elezioni politiche in Georgia. Ma in 17 dei 2811 collegi il voto è stato dichiarato irregolare e dovrà quindi essere ripetuto. In attesa dei risultati definitivi, le prime proiezioni premiano il raggruppamento “Per una nuova Georgia”, legato al presidente Shevarnadze, in testa con il 26 per cento dei consensi. Segue, con il 23 per cento, il Movimento nazionale, finora all’opposizione, guidato dall’ex ministro della Giustizia Mikhail Saakashvili. Oltre la soglia di sbarramento del 7 per cento solo altre due formazioni: i laburisti ed il Partito della Rinascita.

Scontri violenti nel nordest dell’Uganda, dove un comandante dei ribelli sarebbe rimasto ucciso in combattimento. Charles Tabuley, “numero tre” del sedicente Esercito di resistenza del Signore, sarebbe morto durante gli scontri con le forze governative avvenuti mercoledì nel villaggio di Kabalanga, circa 300 chilometri a nord di Kampala. Recentemente, Tabuley aveva incontrato l’arcivescovo di Gulu, John Baptist Odama, nel tentativo di cercare una soluzione pacifica alla crisi.

 

Democrazia, rispetto delle minoranze e della divisione dei poteri sono stati gli argomenti centrali del primo discorso al Parlamento di Abdullah Ahmad Badawi, da venerdì alla guida della Malaysia. Il nuovo premier – succeduto a Mahatir Mohamad, che ha lasciato il governo dopo 22 anni – ha inoltre ribadito l’impegno del proprio Paese in quella che ha definito “la lotta al terrorismo ed all’estremismo”: in Malaysia si nasconderebbero infatti numerosi membri della Jemaah Islamiyah, legata alla rete di Al Qaeda.

 

 

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