RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 89 - Testo della Trasmissione domenica 30 marzo 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Nuovo accorato appello alla preghiera per la pace e per le vittime in Iraq e in altre regioni del mondo, rivolto all’Angelus da Giovanni Paolo II, che annuncia anche una nuova Enciclica sull’Eucaristia. Il silenzio dei media sugli altri conflitti denunciato dal Cardinale Agré, arcivescovo di Abidjan in Costa d’Avorio.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

L’avanzata verso Baghdad si fa più lenta, mentre le difficoltà per la popolazione civile aumentano. Sul no di Saddam Hussein al programma “Petrolio contro cibo”, intervista al giornalista Antonio Ferrari. La tragica situazione sanitaria in Iraq denunciata dal pediatra Mario Andolina, appena rientrato da Baghdad. Alle manifestazioni di protesta contro la guerra si sono aggiunte oggi anche Pechino e Giacarta

 

Dalle sofferenze del presente può sorgere un’umanità nuova: con noi mons. Tommaso Valentinetti

 

 Guarire la memoria del passato per costruire nuovi rapporti tra Roma e Pechino a servizio del popolo cinese: ai nostri microfoni Andrea Riccardi, Agostino Giovagnoli, Elisa Giunipero e padre Notker.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Medio Oriente, attentato kamikaze questa mattina a Natanya. L’attacco rivendicato  dalla jihad islamica

 

 Il cardinale Sin, arcivescovo di Manila, in ospedale per un malore. Le sue condizioni non sono gravi

 

Polmonite atipica, prima vittima italiana in Thailandia, Carlo Urbani, che ha individuato per primo il morbo della Sars. 54 le vittime e 1550 i casi secondo l’Oms

 

 Elezioni straordinarie in Zimbabwe

 

Oggi gli arabi israeliani celebrano la “Giornata della terra” e manifestano contro la guerra in Iraq

 

In Uganda i ribelli dell’Lra confermano il cessate il fuoco e chiedono trattative con il governo.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

30 marzo 2003

 

               

DI FRONTE ALLE INSIDIE ALLA SPERANZA IL PAPA ALL’ANGELUS

HA RILANCIATO L’ANNUNCIO DELL’AMORE DI DIO

CHE CI APRE ALL’ACCOGLIENZA DEI FRATELLI.

NUOVO APPELLO ALLA PREGHIERA PER LE VITTIME E LA PACE IN IRAQ

E IN OGNI ALTRA REGIONE DEL MONDO.

    USCIRA’ IL PROSSIMO GIOVEDI’ SANTO L’ENCICLICA SULL’EUCARISTIA

- A cura di Carla Cotignoli -

 

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“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. E’ un annuncio consolante che il Papa ha voluto lanciare oggi al mondo:

 

“Ascoltiamo questo consolante annuncio in un momento in cui dolorosi scontri armati insidiano la speranza dell’umanità in un futuro migliore. Dio "ha tanto amato il mondo...", afferma Gesù. L'amore del Padre raggiunge, dunque, ogni essere umano che vive nel mondo. Come non vedere l'impegno che scaturisce da una simile iniziativa di Dio? L'essere umano, consapevole di un amore così grande, non può non aprirsi ad un atteggiamento di fraterna accoglienza verso i suoi simili”.

 

Il Papa ha poi lanciato un nuovo accorato appello alla preghiera, un appello che continua a suscitare una corale risposta in tutto il mondo da parte di diocesi, parrocchie, movimenti e associazioni, con le più svariate iniziative.

 

“A Maria ci rivolgiamo, pregandoLa ancora per le vittime dei conflitti in corso. Invochiamo con accorata e fiduciosa insistenza la sua intercessione per la pace in Iraq e in ogni altra regione del mondo”.

 

Il Santo Padre ha poi parlato dell’Eucaristia, definendola “suprema testimonianza d’amore”, “memoriale della morte, resurrezione di Gesù  e della nostra redenzione”, “Pane di vita e vera ‘manna’”, che “sostiene i credenti nel cammino attraverso il ‘deserto’ della storia verso la ‘terra promessa’ del Cielo”. E ha dato un importante annuncio:

 

“Al tema dell’Eucaristia ho voluto dedicare l’Enciclica che, in occasione del prossimo Giovedì Santo, a Dio piacendo, firmerò durante la Messa in Cena Domini. La consegnerò simbolicamente ai sacerdoti in luogo della Lettera che per quella circostanza solitamente a loro dirigo e, attraverso di loro, all’intero popolo di Dio”.

 

Il Papa, improvvisando, ha augurato a tutti “buona domenica”, “buona settimana quaresimale” con lo sguardo già alla Pasqua. Ha infatti aggiunto: “La Pasqua si avvicina, si avvicina rapidamente!”.

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Anche oggi Giovanni Paolo II, nel rilanciare l’appello per la pace in Iraq,  non ha ignorato i conflitti che insanguinano molte altre regioni del mondo, mentre i media hanno quasi completamente incentrato l’attenzione sul conflitto in Iraq. E’ quanto lamenta il cardinale Bernard Agré, arcivescovo di Abidjan, in Costa d’Avorio, al microfono di Giovanni Peduto.

 

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R. – LES PROBLEMES DU PAYS, LES MALADIES, LE DEVELOPMENT, ...

I problemi del Paese, le malattie, lo sviluppo ... tutti problemi che ora non interessano più. Per un certo periodo si è parlato della Costa d’Avorio, ma poi è finito tutto, perché la guerra in Iraq viene prima di tutto, e tutto il resto non conta più niente. Vediamo con preoccupazione come la guerra sia scoppiata malgrado l’opposizione di tante persone: i grandi, oggi, dovrebbero tenere in conto anche l’opinione dei piccoli, e la Chiesa deve levare la propria voce, come ha fatto il Santo Padre: non è stato ascoltato, ma molti lo hanno seguito. E’ necessario che questa guerra finisca. E’ già andata troppo oltre, e oggi si incomincia a dire: ‘Non sarà come previsto, non sarà di breve durata ...’: perché averla iniziata, questa guerra? Esiste la possibilità di intendersi, di parlare, di dialogare. La guerra non è mai stata una vera soluzione!

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OGGI IN PRIMO PIANO

30 marzo 2003

 

 

 

L’AVANZATA VERSO BAGHDAD SI FA PIU’ LENTA, MENTRE LE DIFFICOLTA’ PER LA POPOLAZIONE CIVILE AUMENTANO. ALLE MANIFESTAZIONI DI PROTESTA

CONTRO LA GUERRA SI SONO AGGIUNTE OGGI ANCHE PECHINO E GIACARTA

- A cura di Davide Martino -

 

Fin dalla mattinata di oggi sono ripresi i bombardamenti sulla periferia di Baghdad e su Bassora, dove alcuni soldati britannici si sono scontrati con truppe paramilitari irachene, facendo 5 prigionieri, uno dei quali è un generale dell’esercito regolare. Sempre nel sud dell’Iraq due marines sarebbero rimasti uccisi da bombe a frammentazione americane. La notizia è stata data da alcuni soldati statunitensi che hanno chiesto di rimanere anonimi. Altri due marines sarebbero morti venerdì in un incidente stradale. Da questa mattina sono sotto il fuoco dell’artiglieria anche le città di Mosul e Kalak nel nord del Paese. L’avanzata verso Baghdad prosegue, ma piuttosto lentamente. Al seguito di una colonna militare a Nassirya si trova Fausto Biloslavo, intervistato da Andrea Sarubbi.

 

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R. - Le grosse città sono ancora insicure: ci sono ancora combattimenti, più che altro di guerriglia, e rastrellamenti strada per strada. Gli americani si sono dislocati in grandi campi, in mezzo al deserto, che servono da crocevia per lo smistamento dei rifornimenti e dei rinforzi. Io adesso sto seguendo una grande colonna di rifornimenti, che è diretta verso nord.

 

D. – Siamo all’undicesimo giorno di combattimenti. Tu stai seguendo questa avanzata verso Baghdad. Rispetto a dieci giorni fa, in che modo ti sembra cambiata?

 

R. – Mi sembrava che ci fosse una specie di blitz di coltello che entrava nel burro, cioè nell’Iraq. Poi questo burro è diventato ghiaccio e il coltello è stato stritolato.

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L’avvicinamento a Baghdad porta con sé il problema dei rifornimenti delle truppe americane, la cui linea si estende ogni giorno che passa. L’assalto kamikaze di ieri potrebbe essere una nuova tattica per colpire le retrovie alleate, e oggi un camion ha investito di proposito un gruppo di marines in una base statunitense in Kuwait. Il servizio di Paolo Mastrolilli.

 

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Il vice presidente iracheno Ramadan ha avvertito che questo è solo l’inizio e ha minacciato simili attacchi in tutto il Paese, contro le forze impegnate nell’offensiva di terra. L’assalto kamikaze conferma i problemi generati dall’estensione della linea dei rifornimenti, dopo la rapida avanzata che ha portato gli americani a 50 miglia da Baghdad. Nel frattempo però continuano i bombardamenti su tutto il Paese, in particolare sulle tre divisioni della guardia repubblicana, schierati a difesa di Baghdad, poco fuori dalla città. Queste sono le truppe che dovrebbero ingaggiare gli americani nella battaglia decisiva per il controllo della capitale. Il presidente Bush ha detto di essere soddisfatto dei progressi, ha preparato però il Paese al rischio di altre perdite. Il Pentagono ha ammesso che alcuni missili sono caduti sul territorio dell’Arabia Saudita e della Turchia, obbligando a sospendere i lanci, che passano sopra a questi Paesi. Anche l’ordigno che ha colpito Kuwait City forse era fuoco amico. Soldati americani poi sono morti anche in un’operazione nel sud dell’Afghanistan.

                                                                                                        

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrollili.

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Passiamo ora al problema dell’emergenza umanitaria. Per far fronte alle esigenze della popolazione civile il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva deciso di far ripartire il programma “Oil for Food”, una possibilità che Baghdad ha rifiutato. Che interpretazione dare a questo ‘no’ di Saddam Hussein? Roberto Piermarini lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera ad Amman.

 

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R. – Io credo che sia un gesto di orgoglio politico, che non tiene conto delle sofferenze del popolo, popolo che ha bisogno disperato di questo cibo. E’ evidente che dire di “sì”, significherebbe dire di “sì” anche agli americani e agli inglesi, che hanno rotto quello che era un embargo dell’Onu, che vietava la ripresa del Programma “Petrolio contro cibo”. E qui vorrei ricordare che il “petrolio contro cibo” è stato interrotto il giorno prima che iniziasse la guerra.

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Resta drammatica la situazione per la popolazione irachena per la mancanza di strutture sanitarie e di medicinali. il ministro della Comunicazione Mohammad Said al Sahaf ha reso noto che oltre 750mila tonnellate di derrate alimentari sono state distrutte, oggi, dalle forze britanniche che hanno bombardato erroneamente un deposito alimentare ed uno di acqua potabile vicino Bassora. Per capire come reagisce la popolazione civile a questa difficile situazione Fabio Colagrande ha intervistato Mario Andolina, pediatra italiano appena rientrato da Bagdad.

 

Continua ad essere drammatica la situazione umanitaria in Iraq, gravissima la carenza di strutture sanitarie e di medicinali. Ma come reagisce la popolazione civile? Fabio Colagrande lo ha chiesto a Mario Andolina, pediatra italiano, appena rientrato da Baghdad.

 

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R. – E’ stato molto difficile parlare con la gente, perché penso che quelli che sapevano parlare sono già morti. Quindi, hanno selezionato 20 milioni di uomini silenziosi, gente mite e tranquilla che non ha mai espresso la sua opinione. Il regime è entrato direi nell’anima della gente, aiutato anche dalle sanzioni, perché sono 10 anni che gli iracheni mangiano dalle mani di Saddam, il quale dà i buoni pasto. Questo chiaramente ha rafforzato il regime.

 

D. - Dott. Andolina, la situazione degli ospedali è stata definita infernale, sia a Baghdad, sia a Bassora, che lei ha potuto visitare …

 

R. – Sì, Baghdad ha un aspetto estetico più gradevole, perché gli ospedali sono moderni. Ma i bambini sono in braccio alle mamme e non possono essere curati, perchè i farmaci non arrivano per molti motivi. Uno è l’embargo diretto, e cioè alcuni farmaci sono letteralmente vietati dalle Nazioni Unite, che Dio li perdoni. Altri sono concessi, ma arrivano sei mesi dopo l’ordine, come se qualcuno li boicottasse. La nitroglicerina è vietata, perchè parente dell’esplosivo, anche se ci vogliono 100 mila pillole per fare un proiettile di pistola.

 

D. – Quali sono le malattie più diffuse con queste condizioni igienico-sanitarie?

 

R. – Siccome le sanzioni vietano l’uso degli insetticidi, perchè potrebbero essere trasformati in armi chimiche, gli insetti sono cresciuti a dismisura. Quindi, la malaria è ricomparsa, ed è una malattia curabile, per lo meno tra i soldati americani. Ma soprattutto il kalazar, una malattia esotica che era scomparsa dall’Iraq, che ingrossa il fegato e la milza, per cui la mortalità probabilmente è vicina al 100 per cento. Noi vediamo un caso ogni 10 anni, loro ne vedono uno ogni dieci giorni. Il pentostam, il farmaco che la cura, non arriva. Io ho portato uno zaino pieno di un farmaco simile, ma sarà molto se salveremo dieci vite con questo sistema.

 

D. – Ecco, poi in mancanza di acqua potabile, 40 gradi giornalieri e l’umidità fanno il resto …

 

R. – Questa è la tragedia cronica. Adesso arriva la strage degli innocenti. La mancanza d’acqua potabile, in un posto che è già fortemente inquinato, significa una strage. Bassora è una città senza speranza. Le bombe, i massacri con il fuoco e con il ferro, sono niente al confronto di quello che sta per succedere: epidemie di colera, tifo saranno l’ultima piaga che distruggerà quest’area.

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Intanto continuano le manifestazioni pacifiste che si sono snodate, in questi giorni, nelle principali città d’Italia e del mondo. Il servizio di Francesca Sabatinelli.

 

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43 le manifestazioni in 32 province italiane. Sono i numeri della protesta di chi ripete il suo ‘no’ alla guerra in Iraq. A Bologna, Napoli e Torino, il maggior numero di partecipanti. Ed è stato proprio a Torino che si sono registrati scontri fra polizia e un gruppo di autonomi, due i feriti lievi tra le forze dell’ordine. Al lancio di pietre e oggetti, la polizia ha risposto con lacrimogeni. Poco dopo, vere e proprie scene da guerriglia urbana, con vetrine in frantumi, panchine divelte, cassonetti dell’immondizia dati alle fiamme. In altre città come Brescia e Vicenza obiettivo dei manifestanti sono stati rispettivamente l’aeroporto militare di Ghedi e la base americana Ederle, da cui sono partiti per l’Iraq circa 1800 paracadutisti statunitensi. Sono invece stati i bambini delle materne e delle elementari ad aprire il corteo napoletano conclusosi con un sit-in davanti alla prefettura, manifestazione turbata dal gesto di un gruppo di disoccupati che ha dato alle fiamme le bandiere di Gran Bretagna e Stati Uniti. A Roma i pacifisti hanno invece vestito a lutto con grandi striscioni completamente neri 14 ponti sul Tevere. E veniamo invece alle manifestazioni nel resto del mondo. Forte lo spirito antiamericano in quelle avvenute da Beirut dove libanesi e palestinesi sono sfilati sino alla sede locale delle Nazioni Unite, alla Striscia di Gaza, alla Cisgiordania, dove a Betlemme centinaia di bambini hanno manifestato in solidarietà con i loro coetanei iracheni, di fronte alla Basilica della Natività. 100 mila le persone scese in piazza in numerose città tedesche, e poi ancora a Ginevra, Lubiana, Marsiglia, Parigi, Atene ed anche Hanoi in Vietnam, dove gli studenti manifestano ormai ogni giorno, davanti all’ambasciata americana. 

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Questa mattina si sono aggiunte al coro dei pacifisti anche Pechino, dove sono stati autorizzati a manifestare qualche centinaio di persone, Giacarta, dove i partecipanti sono stati 200mila e Tegugicalpa, in Honduras, dove migliaia di persone hanno manifestato davanti alle ambasciate di Stati Uniti e Spagna. Il segretario generale di Amnesty International, Irene Kahan, ha consegnato questa mattina una petizione a Tony Blair per ottenere il rispetto dei diritti dei civili iracheni da parte delle forze britanniche e l’impegno di controllare che gli Stati Uniti facciano altrettanto.

 

 

DALLE SOFFERENZE DEL PRESENTE PUO’ SORGERE UN’UMANITA’ NUOVA

- Con noi mons. Tommaso Valentinetti, presidente di Pax Christi Italia -

 

Una Quaresima, quella che stiamo vivendo, decisamente contrassegnata dalla crisi internazionale in corso e dalla guerra in Iraq. Nella catechesi del Mercoledì delle Ceneri, Giovanni Paolo II aveva detto: “Dobbiamo chiedere a Dio anzitutto la conversione del cuore, dobbiamo pregare e digiunare per la pacifica convivenza fra i popoli e le nazioni”. La liturgia di questa IV domenica del tempo quaresimale ci propone un brano biblico tratto dal secondo libro delle Cronache in cui si parla delle ingiustizie e degli abomini commessi dal popolo di Dio e dell’ira del Signore. Adriana Masotti ha chiesto un commento a mons. Tommaso Valentinetti, vescovo di Termoli-Larino e presidente di Pax Christi Italia:

 

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R. – Io dico quello che il Santo Padre disse qualche mese fa, e cioè che il Signore si è disgustato delle nostre opere, di quelle che portano alla guerra e di quelle che portano al terrorismo, di quelle che distruggono il Creato e di quelle che – purtroppo – non pensano agli uomini che attendono giustizia. A noi spetta implorare perdono, purificazione attraverso la preghiera, la penitenza ed il digiuno.

 

D. – La liturgia ci propone la ‘diversità’ di Dio. Ecco, è forte questo contrasto tra Dio e l’umanità: Dio è amore, ricco di misericordia, che ci salva mediante la fede e ci fa vivere, da morti che eravamo per i peccati. Questa è la Buona Novella, portata dal cristianesimo ...

 

R. – E’ il mistero della riconciliazione. Perché nonostante che gli uomini compiano opere deleterie, Cristo porta a compimento il mistero della riconciliazione. Fa sì che le opere della terra, purificate dal grande amore di Dio, possano risplendere di verità.

 

D. – Mi viene in mente comunque la questione della libertà umana. Dio non ci costringe a fare il bene, però se non lo scegliamo, poi, ci condanniamo da soli ...

 

R. – Siamo noi che ci mettiamo fuori dalla grazia. La luce è troppo forte, troppo grande per non poterla vedere, ma gli uomini hanno anche la capacità di chiudere gli occhi sopra la luce. Gli uomini hanno la libertà di chiudere gli occhi sopra la luce e quando ci sono anche i profeti che richiamano alla verità – in questi giorni, Giovanni Paolo II è stato più che mai il profeta che ha richiamato l’umanità a fare le opere della luce e non fare le opere delle tenebre – certamente, l’uomo si assume delle responsabilità molto gravi che lo sottopongono al giudizio di Dio, ma è un autogiudizio, un giudizio fatto dalle opere stesse.

 

D. – C’è sempre un mistero davanti a noi: la salvezza che passa attraverso la Croce. Possiamo pensare che dal dolore e dal buio di questi giorni può nascere una nuova speranza per l’umanità?

 

R. – L’enigma della croce è l’enigma presente nella storia di Gesù così come nella storia dell’umanità. Ma sappiamo molto bene che dall’enigma della croce poi esce la grande vittoria della resurrezione. Non vorrei strumentalizzare il dolore di questi giorni; non vorrei che fosse così automatica l’affermazione che da questo dolore immane possa venir fuori qualcosa di buono. Il mio augurio e la mia preghiera è che realmente dalle sofferenze, e soprattutto dall’amore che gli uomini possono riscoprire e possono riversare su questa umanità malata, possa sorgere un’umanità diversa, un’umanità più vera, nuova ...

 

D. – Un’ultima domanda, mons. Valentinetti: lei, quando si rivolge ai suoi fedeli, che cosa propone, anche di concreto, per questa Quaresima?

 

R. – Innanzitutto, di pregare molto per la pace, specialmente con il Rosario. Scrutare poi la Parola di Dio: non eccedere nella curiosità dello spettacolo di morte, che purtroppo i mass media in questo tempo ci stanno mostrando a proposito della guerra; conoscere – sì – le notizie e conoscere la storia, ma non abbandonarsi agli spettacoli di morte, perché noi siamo gli uomini e le donne che proclamano la vita. Ed infine, non disperdere il grande patrimonio di riflessione sulla pace che in questi mesi è stato elaborato da tanti, perché il futuro di questa umanità sia realmente costruito insieme per i sentieri della giustizia, della verità, della libertà e della solidarietà.

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GUARIRE LA MEMORIA DEL PASSATO PER COSTRUIRE NUOVI RAPPORTI

TRA ROMA E PECHINO A SERVIZIO DEL POPOLO CINESE

- Con noi Andrea Riccardi, Agostino Giovagnoli, Elisa Giunipero e padre Wolf D. Notker -

 

“Il Papa ha espresso “compiacimento” per l’iniziativa “tesa a promuovere una più fondata conoscenza della storia della Chiesa cattolica in Cina” e ha auspicato che “la memoria del passato susciti un rinnovato servizio al popolo cinese”. Questo il contenuto del telegramma letto dal cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, in apertura del convegno “La Chiesa cattolica in Cina dal 1840 al 1911”. L’evento si è svolto dal 27 al 29 marzo nell’Auditorium della Pontificia Università Urbaniana. Il servizio è di Dorotea Gambardella.

 

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Approfondire la storia della Chiesa e delle varie congregazioni missionarie in Cina dopo il 1840, quando cioè, con la prima guerra dell’oppio, ebbe inizio una pesante penetrazione europea, fino al crollo dell’Impero e alla proclamazione della Repubblica, passando attraverso la rivolta dei Boxers. Questo lo scopo del convegno “La Chiesa cattolica in Cina dal 1840 al 1911”, che intende analizzare l’atteggiamento della Santa Sede e delle diverse congregazioni missionarie nei confronti della Cina, della sua cultura e del suo popolo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Sentiamo in proposito Andrea Riccardi, docente di Storia Contemporanea all’Università “Roma tre”.

 

R. – C’è bisogno della storia per capire meglio, una storia di malintesi, una storia di incomprensioni. Però mi sembra ormai che dagli studi emerga come la Santa Sede abbia compreso che la Cina era una civiltà. In questo senso, la lotta della Santa Sede è stata quella per garantire l’autonomia del proprio rapporto con la Cina. E qui c’è tutta la storia delle interferenze invece delle potenze coloniali.

 

D. – Quali sono, quindi, le prospettive secondo lei?

 

R. – Alla lunga sono ottimista. Credo che bisogna però trovare le strade giuste. Da un lato le strade diplomatiche tra il governo di Pechino e la Santa Sede, dall’altro, le strade della conoscenza tra la civiltà, rappresentata dalla Chiesa cattolica, e la civiltà cinese. Ma io credo che in questo mondo di globalizzazione i muri debbano cadere. E questi muri, come vediamo in questo Convegno, risalgono all’Ottocento e prima: sono muri tra culture, sono i muri che il colonialismo ha costruito.

 

D. – Abbattere questi muri non significa però omologazione?

 

R. – No, io non credo significhi omologazione. E’ la visione stessa della Chiesa cattolica che non vuole l’omologazione.

 

Ma in che misura l’analisi del passato può sanare la frattura tra governo cinese e Chiesa cattolica? Lo abbiamo chiesto al prof. Agostino Giovagnoli, direttore dell’Istituto di Scienze storiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

 

R. - Noi, in un certo senso, vogliamo raccogliere la sfida che Giovanni Paolo II ha lanciato, proprio invitando a distinguere tra l’evangelizzazione e quelle che sono le commistioni con la politica coloniale, in cui talvolta occorre riconoscere che anche i missionari sono stati coinvolti.

 

Deoccidentalizzare le missioni quindi, è un modo per costruire i rapporti tra Roma e Pechino. L’intuizione fu della Congregazione missionaria di Propaganda Fide. Ascoltiamo la dottoressa Elisa Giunipero dell’Università Cattolica di Milano.

 

R. - Già dal ‘600 la Chiesa e Propaganda Fide avevano intuito una prospettiva di inculturazione molto avanzata, che poi nel corso del ‘900 si è affermata in Cina, soprattutto a partire dagli anni ’20. Quindi, già nell’’800 le istruzioni di Propaganda Fide andavano nel senso della creazione del clero indigeno e dell’affidare la Chiesa in Cina al clero locale. Creare quindi una Chiesa cinese autonoma. Questa linea ha incontrato poi difficoltà ulteriori nel 1949, quando con la Rivoluzione comunista si sono sommati altri problemi a questo sviluppo.

 

         Infine l’intervento di padre Wolf D. Notker, abate primate dei Monaci Benedettini Confederati, che dal 1985 si è recato in Cina venti volte.

 

R. - Da straniero devo rispettare le autorità locali. Con la Cina io stesso ho trovato tanti amici anche gente generosa nelle autorità civili. Li ho invitati in Germania per far vedere a loro anche un’altra realtà.

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CHIESA E SOCIETA’

30 marzo 2003

                                                                                                            

 

 

MEDIO ORIENTE, ATTENTATO KAMIKAZE QUESTA MATTINA A NETANYA,

A NORD DI TEL AVIV. L’ATTACCO E’ STATO RIVENDICATO DALLA JIHAD ISLAMICA

- Servizio di Graziano Motta -

 

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GERUSALEMME. = Ancora Netanya, città costiera poco a nord di Tel Aviv, ma vicinissima ai territori palestinesi e per questo bersaglio preferito di fondamentalisti islamici, che provengono solitamente da città come Tulkarem e Jenin. Si ricorderà che proprio a Netanya in un albergo, l’anno scorso a Pasqua, proprio in questi giorni, avvenne un gravissimo attentato suicida che colpì le famiglie che si erano riunite per il Seder, la tradizionale cena pasquale ebraica. Fu l’inizio di una dura reazione israeliana con la rioccupazione dei territori e cominciò pure l’assedio della Basilica della Natività di Betlemme, dove si erano rifugiati degli armati palestinesi. Stavolta l’obiettivo del terrorista palestinese è stato il Caffè London, nel centro di Netanya, in un‘ora di punta, attorno a mezzogiorno. Un primo provvisorio bilancio riferisce di una ventina di feriti, cinque dei quali gravi. Non si conoscono altri particolari, né rivendicazioni. La guerriglia palestinese è stata attiva questa mattina anche nella zona di Hebron: un soldato israeliano è stato ferito da un individuo armato, riuscito a penetrare nella sua base.

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GIORNATA DI SCIOPERO E MOBILITAZIONE PER LA POPOLAZIONE ARABA ISRAELIANA

 CHE OGGI CELEBRA LA “GIORNATA DELLA TERRA”

 

GERUSALEMME. = Giornata di sciopero e mobilitazione per l’intera popolazione araba in Israele, che oggi celebra la “Giornata della terra”. L’anniversario ricorda le dimostrazioni del 30 marzo 1976, quando sei arabi israeliani furono uccisi durante le manifestazioni contro la confisca delle terre, represse sanguinosamente dalla polizia israeliana. Quest’anno, hanno precisato gli organizzatori, le consuete manifestazioni e i cortei esprimeranno solidarietà nei confronti del popolo iracheno. Secondo il portavoce Abed Anabtawi, l’odierna Giornata, giunta alla 27a edizione, si baserà su tre temi principali: l’opposizione alla distruzione di centinaia di case nei settori arabi israeliani, con il pretesto che sarebbero costruite senza permesso, nell’ambito di una “politica discriminatoria”; l’opposizione contro “l’aggressione israeliana” nei territori palestinesi; l’opposizione alla “campagna coloniale in Iraq”. Ieri, alla vigilia della Giornata, diverse migliaia di arabi israeliani si sono radunati a Nazareth per protestare contro la guerra in Iraq. La polizia israeliana ha oggi dispiegato rinforzi presso le principali località arabo israeliane dove sono previsti manifestazioni e cortei. La comunità araba israeliana conta più di un milione di persone e rappresenta circa il 18 percento della popolazione totale di Israele. Gli arabi israeliani sono i discendenti dei Palestinesi rimasti nelle loro terre alla creazione dello Stato di Israele, nel 1948. (S.B.)

 

 

IL CARDINALE JAIME SIN, ARCIVESCOVO DI MANILA,

OGGI IN OSPEDALE DOPO UN MALORE. IL SUO PORTAVOCE RASSICURA:

IL PORPORATO E’ “COSCIENTE E IN CONDIZIONI STABILI”

 

MANILA. = Malore per il cardinale Jaime L. Sin, arcivescovo di Manila, che quest’oggi è stato ricoverato in ospedale. Il porporato stava celebrando la messa nella sua residenza, quando è stato colpito da improvvise convulsioni. Rassicurazioni vengono da un comunicato diffuso dal suo portavoce, il vescovo Socrates  B. Villegas, secondo il quale il cardinale è “cosciente e in condizioni stabili”. “Il cardinale Sin - ha aggiunto - può parlare e, in verità, si è lamentato con i dottori per la batteria di esami medici che sta facendo”. Villegas si è rivolto ai fedeli chiedendo loro di pregare per il completo recupero del porporato. Il cardinale Sin, 75 anni, è una delle personalità più influenti nella Chiesa filippina, che abbraccia circa l’80 percento degli 80 milioni di abitanti del paese asiatico. Il porporato ha infatti rivestito un fondamentale ruolo nelle rivolte popolari che hanno fatto cadere i governi del dittatore Ferdinando Marcos nel 1986 e del presidente Joseph Estrada nel 2001, e si è recentemente espresso contro la guerra in Iraq. (S.B.)

 

 

SI AGGRAVA IL BILANCIO DEL VIRUS DELLA POLMONITE ATIPICA.

SECONDO L’OMS, LE VITTIME SONO ORMAI 54 E 1550 I CASI REGISTRATI.

PRIMA VITTIMA ITALIANA, IN THAILANDIA, IL MEDICO CARLO URBANI,

CHE HA INDIVIDUATO PER PRIMO IL MORBO DELLA SARS

- A cura di Debora Donnini -

 

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CASTELPLANIO. = Ucciso dall’infezione che lui stesso aveva scoperto. La conferma arriva dall’Oms per la quale Carlo Urbani lavorava ad Hanoi, in Vietnam, dove aveva individuato il primo caso ufficiale su un uomo d’affari americano. Negli ultimi dieci giorni Urbani era stato colpito da una forte febbre. Era stato trasferito in Thailandia e aveva convinto la moglie ed i figli a tornare in Italia. La consorte l’aveva poi di nuovo raggiunto per assisterlo. “Un uomo speciale, il cui primo obiettivo era aiutare la gente”, così lo definisce Brudon, rappresentante dell’Oms in Vietnam. Una vita, quella di Carlo Urbani, consacrata alla ricerca in Paesi come il Laos e la Cambogia. Aveva rifiutato l’incarico di primario all’ospedale di Macerata per poter lavorare per l’Associazione Medici senza frontiere, di cui è stato presidente, e per conto della quale aveva ritirato nel ’99 il Premio Nobel per la pace. Urbani aveva poi interrotto il suo mandato di presidente, perché chiamato come infettivologo ad Hanoi dall’Organizzazione mondiale della sanità. “Aveva capito il pericolo, ma non si è tirato indietro”, commenta Nicoletta Dentico, direttore generale di Medici senza frontiere, che aggiunge: “Sappiamo che ha dovuto combattere contro chi trattava questa malattia come qualcosa di normale”. Intanto in Italia c’è un nuovo caso sospetto ad Ancona. Bisognerà procedere agli accertamenti, così come per gli altri due: uno a Milano ed uno a Genova.

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ELEZIONI STRAORDINARIE IN ZIMBABWE PER DUE IMPORTANTI COLLEGI ELETTORALI DOVE IL PARTITO DEL PRESIDENTE MUGABE FRONTEGGIA IL MOVIMENTO

PER IL CAMBIAMENTO DEMOCRATICO

 

HARARE. = Seconda giornata di voto in Zimbabwe per due cruciali elezioni straordinarie, disturbate da episodi di violenza. Le consultazioni si svolgono nei due collegi elettorali di Kuwadzana e di Highfield, dove il partito al governo del presidente Robert Mugabe, ZANU-PF, intende vincere lo scrutinio contro il Movimento per il Cambiamento Democratico (MDC). Ieri il candidato del MDC nel collegio di Kuwadzana, Nelson Chamisa, ha dichiarato che tre suoi sostenitori hanno subito un assalto da parte dei membri dello ZANU-PF. La polizia ha però affermato di non aver ricevuto denunce. I due partiti si sono accusati reciprocamente di aver commesso violenze durante la campagna elettorale, mentre gruppi di difesa dei diritti umani riferiscono che centinaia di persone sono rimaste ferite. Il partito di Mugabe ha un’ampia maggioranza in parlamento e la vittoria nelle due elezioni gli permetterebbe di avvicinarsi alla maggioranza di due-terzi necessaria per far approvare cambiamenti costituzionali. Nel 2000 il Movimento per il cambiamento democratico ha vinto le elezioni nei due collegi, ma i due seggi sono attualmente vacanti per il decesso di uno degli eletti e per l’espulsione dell’altro dal partito. (S.B.)

 

 

IN UGANDA I RIBELLI CONFERMANO IL “CESSATE IL FUOCO” CON UNA LETTERA

ALLE COMUNITA’ RELIGIOSE E CHIEDONO DI AVVIARE TRATTATIVE CON IL GOVERNO

 PER PORRE FINE AL CONFLITTO ARMATO

 

KAMPALA. = In Uganda si apre uno spiraglio di pace. I ribelli dell’Esercito di resistenza del signore (Lra) hanno infatti consegnato all’Acholi religious leaders’ peace initiative (Arlpi) - il cartello delle comunità presenti nei distretti acholi – una lettera nella quale confermano il cessate il fuoco unilaterale immediato. I ribelli chiedono inoltre di avviare trattative con il governo per mettere fine al conflitto armato che sconvolge il Paese da 16 anni. La notizia è stata riferita all’agenzia Misna dalla segreteria dell’Arlpi, che ha sottolineato come, per la prima volta, le proposte di pace siano state messe per iscritto dai ribelli. La lettera è stata consegnata questa mattina all’arcivescovo di Gulu, mons. John Baptist Odama, presidente dell’Arpli, che l’ha poi data al generale Salim Saleh, fratello del presidente Museveni e portavoce della Commissione di pace, incaricata dal governo di portare avanti le trattative. Nella lettera i ribelli chiedono al governo di dichiarare una tregua analoga e di permettere lo svolgimento di riunioni con alcuni leader religiosi locali impegnati come mediatori, prima dell’incontro fra la delegazione dei ribelli e quella del governo. “La situazione è così disperata che ogni piccola apertura è benvenuta – ha dichiarato alla Misna padre Carlos Rodriguez Soto, segretario dell’Arlpi – la gente del nord Uganda vive da troppi anni una violenza assurda ed ha bisogno di pace e di speranza”. (S.B.)

 

 

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