RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 89 - Testo della
Trasmissione domenica 30 marzo 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Dalle sofferenze del presente può sorgere un’umanità nuova:
con noi mons. Tommaso Valentinetti
CHIESA E SOCIETA’:
Il cardinale Sin,
arcivescovo di Manila, in ospedale per un malore. Le sue condizioni non sono
gravi
Elezioni straordinarie
in Zimbabwe
Oggi gli arabi israeliani celebrano la “Giornata
della terra” e manifestano contro la guerra in Iraq
In Uganda i ribelli dell’Lra confermano il
cessate il fuoco e chiedono trattative con il governo.
30 marzo 2003
DI
FRONTE ALLE INSIDIE ALLA SPERANZA IL PAPA ALL’ANGELUS
HA
RILANCIATO L’ANNUNCIO DELL’AMORE DI DIO
CHE CI
APRE ALL’ACCOGLIENZA DEI FRATELLI.
NUOVO
APPELLO ALLA PREGHIERA PER LE VITTIME E LA PACE IN IRAQ
E IN
OGNI ALTRA REGIONE DEL MONDO.
USCIRA’ IL PROSSIMO GIOVEDI’ SANTO L’ENCICLICA SULL’EUCARISTIA
- A
cura di Carla Cotignoli -
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“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito”. E’ un annuncio consolante che il Papa ha voluto lanciare oggi al
mondo:
“Ascoltiamo questo
consolante annuncio in un momento in cui dolorosi scontri armati insidiano la
speranza dell’umanità in un futuro migliore. Dio "ha tanto amato il
mondo...", afferma Gesù. L'amore del Padre raggiunge, dunque, ogni essere
umano che vive nel mondo. Come non vedere l'impegno che scaturisce da una
simile iniziativa di Dio? L'essere umano, consapevole di un amore così grande,
non può non aprirsi ad un atteggiamento di fraterna accoglienza verso i suoi
simili”.
Il Papa ha poi lanciato un nuovo accorato appello alla
preghiera, un appello che continua a suscitare una corale risposta in tutto il
mondo da parte di diocesi, parrocchie, movimenti e associazioni, con le più
svariate iniziative.
“A Maria ci rivolgiamo, pregandoLa ancora per le vittime
dei conflitti in corso. Invochiamo con accorata e fiduciosa insistenza la sua
intercessione per la pace in Iraq e in ogni altra regione del mondo”.
Il Santo Padre ha poi parlato dell’Eucaristia, definendola “suprema
testimonianza d’amore”, “memoriale della morte, resurrezione di Gesù e della nostra redenzione”, “Pane di vita e
vera ‘manna’”, che “sostiene i credenti nel cammino attraverso il ‘deserto’
della storia verso la ‘terra promessa’ del Cielo”. E ha dato un importante annuncio:
“Al tema
dell’Eucaristia ho voluto dedicare l’Enciclica che, in occasione del prossimo
Giovedì Santo, a Dio piacendo, firmerò durante la Messa in Cena Domini. La
consegnerò simbolicamente ai sacerdoti in luogo della Lettera che per quella
circostanza solitamente a loro dirigo e, attraverso di loro, all’intero popolo
di Dio”.
Il Papa, improvvisando, ha augurato a tutti “buona
domenica”, “buona settimana quaresimale” con lo sguardo già alla Pasqua. Ha
infatti aggiunto: “La Pasqua si avvicina, si avvicina rapidamente!”.
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Anche oggi Giovanni Paolo II,
nel rilanciare l’appello per la pace in Iraq,
non ha ignorato i conflitti che insanguinano molte altre regioni del
mondo, mentre i media hanno quasi completamente incentrato l’attenzione sul
conflitto in Iraq. E’ quanto lamenta il cardinale Bernard Agré, arcivescovo di
Abidjan, in Costa d’Avorio, al microfono di Giovanni Peduto.
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R. – LES PROBLEMES DU PAYS,
LES MALADIES, LE DEVELOPMENT, ...
I problemi del Paese, le malattie, lo sviluppo ... tutti
problemi che ora non interessano più. Per un certo periodo si è parlato della
Costa d’Avorio, ma poi è finito tutto, perché la guerra in Iraq viene prima di
tutto, e tutto il resto non conta più niente. Vediamo con preoccupazione come
la guerra sia scoppiata malgrado l’opposizione di tante persone: i grandi,
oggi, dovrebbero tenere in conto anche l’opinione dei piccoli, e la Chiesa deve
levare la propria voce, come ha fatto il Santo Padre: non è stato ascoltato, ma
molti lo hanno seguito. E’ necessario che questa guerra finisca. E’ già andata
troppo oltre, e oggi si incomincia a dire: ‘Non sarà come previsto, non sarà di
breve durata ...’: perché averla iniziata, questa guerra? Esiste la possibilità
di intendersi, di parlare, di dialogare. La guerra non è mai stata una vera
soluzione!
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30 marzo 2003
L’AVANZATA
VERSO BAGHDAD SI FA PIU’ LENTA, MENTRE LE DIFFICOLTA’ PER LA POPOLAZIONE CIVILE
AUMENTANO. ALLE MANIFESTAZIONI DI PROTESTA
CONTRO
LA GUERRA SI SONO AGGIUNTE OGGI ANCHE PECHINO E GIACARTA
- A
cura di Davide Martino -
Fin
dalla mattinata di oggi sono ripresi i bombardamenti sulla periferia di Baghdad
e su Bassora, dove alcuni soldati britannici si sono scontrati con truppe
paramilitari irachene, facendo 5 prigionieri, uno dei quali è un generale
dell’esercito regolare. Sempre nel sud dell’Iraq due marines sarebbero rimasti
uccisi da bombe a frammentazione americane. La notizia è stata data da alcuni
soldati statunitensi che hanno chiesto di rimanere anonimi. Altri due marines
sarebbero morti venerdì in un incidente stradale. Da questa mattina sono sotto
il fuoco dell’artiglieria anche le città di Mosul e Kalak nel nord del Paese.
L’avanzata verso Baghdad prosegue, ma piuttosto lentamente. Al seguito di una
colonna militare a Nassirya si trova Fausto Biloslavo, intervistato da Andrea Sarubbi.
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R. - Le grosse città sono ancora insicure: ci sono ancora
combattimenti, più che altro di guerriglia, e rastrellamenti strada per strada.
Gli americani si sono dislocati in grandi campi, in mezzo al deserto, che
servono da crocevia per lo smistamento dei rifornimenti e dei rinforzi. Io
adesso sto seguendo una grande colonna di rifornimenti, che è diretta verso
nord.
D. – Siamo all’undicesimo giorno di combattimenti. Tu stai
seguendo questa avanzata verso Baghdad. Rispetto a dieci giorni fa, in che modo
ti sembra cambiata?
R. – Mi sembrava che ci fosse una specie di blitz di
coltello che entrava nel burro, cioè nell’Iraq. Poi questo burro è diventato
ghiaccio e il coltello è stato stritolato.
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L’avvicinamento
a Baghdad porta con sé il problema dei rifornimenti delle truppe americane, la
cui linea si estende ogni giorno che passa. L’assalto kamikaze di ieri potrebbe
essere una nuova tattica per colpire le retrovie alleate, e oggi un camion ha
investito di proposito un gruppo di marines in una base statunitense in Kuwait.
Il servizio di Paolo Mastrolilli.
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Il vice
presidente iracheno Ramadan ha avvertito che questo è solo l’inizio e ha
minacciato simili attacchi in tutto il Paese, contro le forze impegnate
nell’offensiva di terra. L’assalto kamikaze conferma i problemi generati
dall’estensione della linea dei rifornimenti, dopo la rapida avanzata che ha
portato gli americani a 50 miglia da Baghdad. Nel frattempo però continuano i
bombardamenti su tutto il Paese, in particolare sulle tre divisioni della
guardia repubblicana, schierati a difesa di Baghdad, poco fuori dalla città.
Queste sono le truppe che dovrebbero ingaggiare gli americani nella battaglia
decisiva per il controllo della capitale. Il presidente Bush ha detto di essere
soddisfatto dei progressi, ha preparato però il Paese al rischio di altre
perdite. Il Pentagono ha ammesso che alcuni missili sono caduti sul territorio
dell’Arabia Saudita e della Turchia, obbligando a sospendere i lanci, che
passano sopra a questi Paesi. Anche l’ordigno che ha colpito Kuwait City forse
era fuoco amico. Soldati americani poi sono morti anche in un’operazione nel
sud dell’Afghanistan.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrollili.
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Passiamo ora al problema dell’emergenza umanitaria. Per
far fronte alle esigenze della popolazione civile il Consiglio di sicurezza
dell’Onu aveva deciso di far ripartire il programma “Oil for Food”, una
possibilità che Baghdad ha rifiutato. Che interpretazione dare a questo ‘no’ di
Saddam Hussein? Roberto Piermarini lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato
speciale del Corriere della Sera ad Amman.
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R. – Io credo che sia un gesto di orgoglio politico, che
non tiene conto delle sofferenze del popolo, popolo che ha bisogno disperato di
questo cibo. E’ evidente che dire di “sì”, significherebbe dire di “sì” anche
agli americani e agli inglesi, che hanno rotto quello che era un embargo
dell’Onu, che vietava la ripresa del Programma “Petrolio contro cibo”. E qui
vorrei ricordare che il “petrolio contro cibo” è stato interrotto il giorno
prima che iniziasse la guerra.
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Resta
drammatica la situazione per la popolazione irachena per la mancanza di
strutture sanitarie e di medicinali. il ministro della Comunicazione Mohammad
Said al Sahaf ha reso noto che oltre 750mila tonnellate di derrate alimentari
sono state distrutte, oggi, dalle forze britanniche che hanno bombardato
erroneamente un deposito alimentare ed uno di acqua potabile vicino Bassora.
Per capire come reagisce la popolazione civile a questa difficile situazione
Fabio Colagrande ha intervistato Mario Andolina, pediatra italiano appena
rientrato da Bagdad.
Continua ad
essere drammatica la situazione umanitaria in Iraq, gravissima la carenza di
strutture sanitarie e di medicinali. Ma come reagisce la popolazione civile?
Fabio Colagrande lo ha chiesto a Mario Andolina, pediatra italiano, appena
rientrato da Baghdad.
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R. – E’ stato molto difficile parlare con la gente, perché
penso che quelli che sapevano parlare sono già morti. Quindi, hanno selezionato
20 milioni di uomini silenziosi, gente mite e tranquilla che non ha mai
espresso la sua opinione. Il regime è entrato direi nell’anima della gente,
aiutato anche dalle sanzioni, perché sono 10 anni che gli iracheni mangiano
dalle mani di Saddam, il quale dà i buoni pasto. Questo chiaramente ha
rafforzato il regime.
D. - Dott. Andolina, la situazione degli ospedali è stata
definita infernale, sia a Baghdad, sia a Bassora, che lei ha potuto visitare …
R. – Sì, Baghdad ha un aspetto estetico più gradevole,
perché gli ospedali sono moderni. Ma i bambini sono in braccio alle mamme e non
possono essere curati, perchè i farmaci non arrivano per molti motivi. Uno è
l’embargo diretto, e cioè alcuni farmaci sono letteralmente vietati dalle
Nazioni Unite, che Dio li perdoni. Altri sono concessi, ma arrivano sei mesi
dopo l’ordine, come se qualcuno li boicottasse. La nitroglicerina è vietata,
perchè parente dell’esplosivo, anche se ci vogliono 100 mila pillole per fare
un proiettile di pistola.
D. – Quali sono le malattie più diffuse con queste
condizioni igienico-sanitarie?
R. – Siccome le sanzioni vietano l’uso degli insetticidi,
perchè potrebbero essere trasformati in armi chimiche, gli insetti sono
cresciuti a dismisura. Quindi, la malaria è ricomparsa, ed è una malattia
curabile, per lo meno tra i soldati americani. Ma soprattutto il kalazar, una
malattia esotica che era scomparsa dall’Iraq, che ingrossa il fegato e la
milza, per cui la mortalità probabilmente è vicina al 100 per cento. Noi
vediamo un caso ogni 10 anni, loro ne vedono uno ogni dieci giorni. Il
pentostam, il farmaco che la cura, non arriva. Io ho portato uno zaino pieno di
un farmaco simile, ma sarà molto se salveremo dieci vite con questo sistema.
D. – Ecco, poi in mancanza di acqua potabile, 40 gradi
giornalieri e l’umidità fanno il resto …
R. – Questa è la tragedia cronica. Adesso arriva la strage
degli innocenti. La mancanza d’acqua potabile, in un posto che è già fortemente
inquinato, significa una strage. Bassora è una città senza speranza. Le bombe,
i massacri con il fuoco e con il ferro, sono niente al confronto di quello che
sta per succedere: epidemie di colera, tifo saranno l’ultima piaga che
distruggerà quest’area.
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Intanto continuano le manifestazioni pacifiste che si sono
snodate, in questi giorni, nelle principali città d’Italia e del mondo. Il
servizio di Francesca Sabatinelli.
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43 le manifestazioni in 32 province italiane. Sono i
numeri della protesta di chi ripete il suo ‘no’ alla guerra in Iraq. A Bologna,
Napoli e Torino, il maggior numero di partecipanti. Ed è stato proprio a Torino
che si sono registrati scontri fra polizia e un gruppo di autonomi, due i
feriti lievi tra le forze dell’ordine. Al lancio di pietre e oggetti, la
polizia ha risposto con lacrimogeni. Poco dopo, vere e proprie scene da
guerriglia urbana, con vetrine in frantumi, panchine divelte, cassonetti
dell’immondizia dati alle fiamme. In altre città come Brescia e Vicenza
obiettivo dei manifestanti sono stati rispettivamente l’aeroporto militare di
Ghedi e la base americana Ederle, da cui sono partiti per l’Iraq circa 1800
paracadutisti statunitensi. Sono invece stati i bambini delle materne e delle
elementari ad aprire il corteo napoletano conclusosi con un sit-in davanti alla
prefettura, manifestazione turbata dal gesto di un gruppo di disoccupati che ha
dato alle fiamme le bandiere di Gran Bretagna e Stati Uniti. A Roma i pacifisti
hanno invece vestito a lutto con grandi striscioni completamente neri 14 ponti
sul Tevere. E veniamo invece alle manifestazioni nel resto del mondo. Forte lo
spirito antiamericano in quelle avvenute da Beirut dove libanesi e palestinesi
sono sfilati sino alla sede locale delle Nazioni Unite, alla Striscia di Gaza,
alla Cisgiordania, dove a Betlemme centinaia di bambini hanno manifestato in
solidarietà con i loro coetanei iracheni, di fronte alla Basilica della
Natività. 100 mila le persone scese in piazza in numerose città tedesche, e poi
ancora a Ginevra, Lubiana, Marsiglia, Parigi, Atene ed anche Hanoi in Vietnam,
dove gli studenti manifestano ormai ogni giorno, davanti all’ambasciata
americana.
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Questa mattina si sono aggiunte al coro dei pacifisti
anche Pechino, dove sono stati autorizzati a manifestare qualche centinaio di
persone, Giacarta, dove i partecipanti sono stati 200mila e Tegugicalpa, in
Honduras, dove migliaia di persone hanno manifestato davanti alle ambasciate di
Stati Uniti e Spagna. Il segretario generale di Amnesty International, Irene
Kahan, ha consegnato questa mattina una petizione a Tony Blair per ottenere il
rispetto dei diritti dei civili iracheni da parte delle forze britanniche e
l’impegno di controllare che gli Stati Uniti facciano altrettanto.
DALLE SOFFERENZE DEL PRESENTE
PUO’ SORGERE UN’UMANITA’ NUOVA
- Con noi mons. Tommaso Valentinetti, presidente di
Pax Christi Italia -
Una Quaresima,
quella che stiamo vivendo, decisamente contrassegnata dalla crisi
internazionale in corso e dalla guerra in Iraq. Nella catechesi del Mercoledì
delle Ceneri, Giovanni Paolo II aveva detto: “Dobbiamo chiedere a Dio anzitutto
la conversione del cuore, dobbiamo pregare e digiunare per la pacifica
convivenza fra i popoli e le nazioni”. La liturgia di questa IV domenica del
tempo quaresimale ci propone un brano biblico tratto dal secondo libro delle
Cronache in cui si parla delle ingiustizie e degli abomini commessi dal popolo
di Dio e dell’ira del Signore. Adriana Masotti ha chiesto un commento a mons.
Tommaso Valentinetti, vescovo di Termoli-Larino e presidente di Pax Christi
Italia:
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R. – Io dico quello che il Santo Padre disse qualche mese
fa, e cioè che il Signore si è disgustato delle nostre opere, di quelle che
portano alla guerra e di quelle che portano al terrorismo, di quelle che
distruggono il Creato e di quelle che – purtroppo – non pensano agli uomini che
attendono giustizia. A noi spetta implorare perdono, purificazione attraverso
la preghiera, la penitenza ed il digiuno.
D. – La liturgia ci propone la ‘diversità’ di Dio. Ecco, è
forte questo contrasto tra Dio e l’umanità: Dio è amore, ricco di misericordia,
che ci salva mediante la fede e ci fa vivere, da morti che eravamo per i
peccati. Questa è la Buona Novella, portata dal cristianesimo ...
R. – E’ il mistero della riconciliazione. Perché
nonostante che gli uomini compiano opere deleterie, Cristo porta a compimento
il mistero della riconciliazione. Fa sì che le opere della terra, purificate
dal grande amore di Dio, possano risplendere di verità.
D. – Mi viene in mente comunque la questione della libertà
umana. Dio non ci costringe a fare il bene, però se non lo scegliamo, poi, ci
condanniamo da soli ...
R. – Siamo noi che ci mettiamo fuori dalla grazia. La luce
è troppo forte, troppo grande per non poterla vedere, ma gli uomini hanno anche
la capacità di chiudere gli occhi sopra la luce. Gli uomini hanno la libertà di
chiudere gli occhi sopra la luce e quando ci sono anche i profeti che
richiamano alla verità – in questi giorni, Giovanni Paolo II è stato più che mai
il profeta che ha richiamato l’umanità a fare le opere della luce e non fare le
opere delle tenebre – certamente, l’uomo si assume delle responsabilità molto
gravi che lo sottopongono al giudizio di Dio, ma è un autogiudizio, un giudizio
fatto dalle opere stesse.
D. – C’è sempre un mistero davanti a noi: la salvezza che
passa attraverso la Croce. Possiamo pensare che dal dolore e dal buio di questi
giorni può nascere una nuova speranza per l’umanità?
R. – L’enigma della croce è l’enigma presente nella storia
di Gesù così come nella storia dell’umanità. Ma sappiamo molto bene che
dall’enigma della croce poi esce la grande vittoria della resurrezione. Non
vorrei strumentalizzare il dolore di questi giorni; non vorrei che fosse così
automatica l’affermazione che da questo dolore immane possa venir fuori
qualcosa di buono. Il mio augurio e la mia preghiera è che realmente dalle
sofferenze, e soprattutto dall’amore che gli uomini possono riscoprire e
possono riversare su questa umanità malata, possa sorgere un’umanità diversa,
un’umanità più vera, nuova ...
D. – Un’ultima domanda, mons. Valentinetti: lei, quando si
rivolge ai suoi fedeli, che cosa propone, anche di concreto, per questa
Quaresima?
R. – Innanzitutto, di pregare molto per la pace,
specialmente con il Rosario. Scrutare poi la Parola di Dio: non eccedere nella
curiosità dello spettacolo di morte, che purtroppo i mass media in questo tempo
ci stanno mostrando a proposito della guerra; conoscere – sì – le notizie e
conoscere la storia, ma non abbandonarsi agli spettacoli di morte, perché noi
siamo gli uomini e le donne che proclamano la vita. Ed infine, non disperdere
il grande patrimonio di riflessione sulla pace che in questi mesi è stato
elaborato da tanti, perché il futuro di questa umanità sia realmente costruito
insieme per i sentieri della giustizia, della verità, della libertà e della
solidarietà.
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GUARIRE
LA MEMORIA DEL PASSATO PER COSTRUIRE NUOVI RAPPORTI
TRA
ROMA E PECHINO A SERVIZIO DEL POPOLO CINESE
- Con
noi Andrea Riccardi, Agostino Giovagnoli, Elisa Giunipero e padre Wolf D.
Notker -
“Il Papa ha
espresso “compiacimento” per l’iniziativa “tesa a promuovere una più fondata
conoscenza della storia della Chiesa cattolica in Cina” e ha auspicato che “la
memoria del passato susciti un rinnovato servizio al popolo cinese”. Questo il
contenuto del telegramma letto dal cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della
Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, in apertura del convegno “La
Chiesa cattolica in Cina dal 1840 al 1911”. L’evento si è svolto dal 27 al 29
marzo nell’Auditorium della Pontificia Università Urbaniana. Il servizio è di
Dorotea Gambardella.
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Approfondire la
storia della Chiesa e delle varie congregazioni missionarie in Cina dopo il
1840, quando cioè, con la prima guerra dell’oppio, ebbe inizio una pesante
penetrazione europea, fino al crollo dell’Impero e alla proclamazione della
Repubblica, passando attraverso la rivolta dei Boxers. Questo lo scopo del
convegno “La Chiesa cattolica in Cina dal 1840 al 1911”, che intende analizzare
l’atteggiamento della Santa Sede e delle diverse congregazioni missionarie nei
confronti della Cina, della sua cultura e del suo popolo tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Sentiamo in proposito Andrea Riccardi,
docente di Storia Contemporanea all’Università “Roma tre”.
R. – C’è bisogno della storia per capire meglio, una
storia di malintesi, una storia di incomprensioni. Però mi sembra ormai che
dagli studi emerga come la Santa Sede abbia compreso che la Cina era una
civiltà. In questo senso, la lotta della Santa Sede è stata quella per
garantire l’autonomia del proprio rapporto con la Cina. E qui c’è tutta la
storia delle interferenze invece delle potenze coloniali.
D. – Quali sono, quindi, le prospettive secondo lei?
R. – Alla lunga sono ottimista. Credo che bisogna però
trovare le strade giuste. Da un lato le strade diplomatiche tra il governo di
Pechino e la Santa Sede, dall’altro, le strade della conoscenza tra la civiltà,
rappresentata dalla Chiesa cattolica, e la civiltà cinese. Ma io credo che in
questo mondo di globalizzazione i muri debbano cadere. E questi muri, come
vediamo in questo Convegno, risalgono all’Ottocento e prima: sono muri tra
culture, sono i muri che il colonialismo ha costruito.
D. – Abbattere questi muri non significa però
omologazione?
R. – No, io non credo significhi omologazione. E’ la
visione stessa della Chiesa cattolica che non vuole l’omologazione.
Ma in che misura l’analisi del passato può sanare la
frattura tra governo cinese e Chiesa cattolica? Lo abbiamo chiesto al prof.
Agostino Giovagnoli, direttore dell’Istituto di Scienze storiche
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
R. - Noi, in un certo senso, vogliamo raccogliere la sfida
che Giovanni Paolo II ha lanciato, proprio invitando a distinguere tra
l’evangelizzazione e quelle che sono le commistioni con la politica coloniale,
in cui talvolta occorre riconoscere che anche i missionari sono stati
coinvolti.
Deoccidentalizzare le missioni quindi, è un modo per
costruire i rapporti tra Roma e Pechino. L’intuizione fu della Congregazione
missionaria di Propaganda Fide. Ascoltiamo la dottoressa Elisa Giunipero
dell’Università Cattolica di Milano.
R. - Già dal ‘600 la Chiesa e Propaganda Fide avevano
intuito una prospettiva di inculturazione molto avanzata, che poi nel corso del
‘900 si è affermata in Cina, soprattutto a partire dagli anni ’20. Quindi, già
nell’’800 le istruzioni di Propaganda Fide andavano nel senso della creazione
del clero indigeno e dell’affidare la Chiesa in Cina al clero locale. Creare
quindi una Chiesa cinese autonoma. Questa linea ha incontrato poi difficoltà
ulteriori nel 1949, quando con la Rivoluzione comunista si sono sommati altri
problemi a questo sviluppo.
Infine
l’intervento di padre Wolf D. Notker, abate primate dei Monaci Benedettini
Confederati, che dal 1985 si è recato in Cina venti volte.
R. - Da
straniero devo rispettare le autorità locali. Con la Cina io stesso ho trovato
tanti amici anche gente generosa nelle autorità civili. Li ho invitati in
Germania per far vedere a loro anche un’altra realtà.
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30 marzo 2003
MEDIO ORIENTE, ATTENTATO KAMIKAZE QUESTA MATTINA A
NETANYA,
A NORD
DI TEL AVIV. L’ATTACCO E’ STATO RIVENDICATO DALLA JIHAD ISLAMICA
-
Servizio di Graziano Motta -
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GERUSALEMME.
= Ancora Netanya, città costiera poco a nord di Tel Aviv, ma vicinissima ai
territori palestinesi e per questo bersaglio preferito di fondamentalisti
islamici, che provengono solitamente da città come Tulkarem e Jenin. Si
ricorderà che proprio a Netanya in un albergo, l’anno scorso a Pasqua, proprio
in questi giorni, avvenne un gravissimo attentato suicida che colpì le famiglie
che si erano riunite per il Seder, la tradizionale cena pasquale ebraica. Fu
l’inizio di una dura reazione israeliana con la rioccupazione dei territori e
cominciò pure l’assedio della Basilica della Natività di Betlemme, dove si
erano rifugiati degli armati palestinesi. Stavolta l’obiettivo del terrorista
palestinese è stato il Caffè London, nel centro di Netanya, in un‘ora di punta,
attorno a mezzogiorno. Un primo provvisorio bilancio riferisce di una ventina
di feriti, cinque dei quali gravi. Non si conoscono altri particolari, né
rivendicazioni. La guerriglia palestinese è stata attiva questa mattina anche
nella zona di Hebron: un soldato israeliano è stato ferito da un individuo
armato, riuscito a penetrare nella sua base.
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GIORNATA DI SCIOPERO E MOBILITAZIONE PER LA
POPOLAZIONE ARABA ISRAELIANA
CHE OGGI CELEBRA LA “GIORNATA DELLA TERRA”
GERUSALEMME.
= Giornata di sciopero e mobilitazione per l’intera popolazione araba in Israele,
che oggi celebra la “Giornata della terra”. L’anniversario ricorda le
dimostrazioni del 30 marzo 1976, quando sei arabi israeliani furono uccisi
durante le manifestazioni contro la confisca delle terre, represse
sanguinosamente dalla polizia israeliana. Quest’anno, hanno precisato gli
organizzatori, le consuete manifestazioni e i cortei esprimeranno solidarietà
nei confronti del popolo iracheno. Secondo il portavoce Abed Anabtawi,
l’odierna Giornata, giunta alla 27a edizione, si baserà su tre temi principali:
l’opposizione alla distruzione di centinaia di case nei settori arabi
israeliani, con il pretesto che sarebbero costruite senza permesso, nell’ambito
di una “politica discriminatoria”; l’opposizione contro “l’aggressione
israeliana” nei territori palestinesi; l’opposizione alla “campagna coloniale
in Iraq”. Ieri, alla vigilia della Giornata, diverse migliaia di arabi
israeliani si sono radunati a Nazareth per protestare contro la guerra in Iraq.
La polizia israeliana ha oggi dispiegato rinforzi presso le principali località
arabo israeliane dove sono previsti manifestazioni e cortei. La comunità araba
israeliana conta più di un milione di persone e rappresenta circa il 18
percento della popolazione totale di Israele. Gli arabi israeliani sono i discendenti
dei Palestinesi rimasti nelle loro terre alla creazione dello Stato di Israele,
nel 1948. (S.B.)
IL
CARDINALE JAIME SIN, ARCIVESCOVO DI MANILA,
OGGI
IN OSPEDALE DOPO UN MALORE. IL SUO PORTAVOCE RASSICURA:
IL
PORPORATO E’ “COSCIENTE E IN CONDIZIONI STABILI”
MANILA.
= Malore per il cardinale Jaime L. Sin, arcivescovo di Manila, che quest’oggi è
stato ricoverato in ospedale. Il porporato stava celebrando la messa nella sua
residenza, quando è stato colpito da improvvise convulsioni. Rassicurazioni
vengono da un comunicato diffuso dal suo portavoce, il vescovo Socrates B. Villegas, secondo il quale il cardinale è
“cosciente e in condizioni stabili”. “Il cardinale Sin - ha aggiunto - può
parlare e, in verità, si è lamentato con i dottori per la batteria di esami
medici che sta facendo”. Villegas si è rivolto ai fedeli chiedendo loro di
pregare per il completo recupero del porporato. Il cardinale Sin, 75 anni, è
una delle personalità più influenti nella Chiesa filippina, che abbraccia circa
l’80 percento degli 80 milioni di abitanti del paese asiatico. Il porporato ha
infatti rivestito un fondamentale ruolo nelle rivolte popolari che hanno fatto
cadere i governi del dittatore Ferdinando Marcos nel 1986 e del presidente
Joseph Estrada nel 2001, e si è recentemente espresso contro la guerra in Iraq.
(S.B.)
SI
AGGRAVA IL BILANCIO DEL VIRUS DELLA POLMONITE ATIPICA.
SECONDO
L’OMS, LE VITTIME SONO ORMAI 54 E 1550 I CASI REGISTRATI.
PRIMA
VITTIMA ITALIANA, IN THAILANDIA, IL MEDICO CARLO URBANI,
CHE HA
INDIVIDUATO PER PRIMO IL MORBO DELLA SARS
- A
cura di Debora Donnini -
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CASTELPLANIO. = Ucciso dall’infezione che lui stesso aveva
scoperto. La conferma arriva dall’Oms per la quale Carlo Urbani lavorava ad
Hanoi, in Vietnam, dove aveva individuato il primo caso ufficiale su un uomo
d’affari americano. Negli ultimi dieci giorni Urbani era stato colpito da una
forte febbre. Era stato trasferito in Thailandia e aveva convinto la moglie ed
i figli a tornare in Italia. La consorte l’aveva poi di nuovo raggiunto per
assisterlo. “Un uomo speciale, il cui primo obiettivo era aiutare la gente”,
così lo definisce Brudon, rappresentante dell’Oms in Vietnam. Una vita, quella
di Carlo Urbani, consacrata alla ricerca in Paesi come il Laos e la Cambogia.
Aveva rifiutato l’incarico di primario all’ospedale di Macerata per poter
lavorare per l’Associazione Medici senza frontiere, di cui è stato presidente,
e per conto della quale aveva ritirato nel ’99 il Premio Nobel per la pace.
Urbani aveva poi interrotto il suo mandato di presidente, perché chiamato come
infettivologo ad Hanoi dall’Organizzazione mondiale della sanità. “Aveva capito
il pericolo, ma non si è tirato indietro”, commenta Nicoletta Dentico,
direttore generale di Medici senza frontiere, che aggiunge: “Sappiamo che ha
dovuto combattere contro chi trattava questa malattia come qualcosa di
normale”. Intanto in Italia c’è un nuovo caso sospetto ad Ancona. Bisognerà
procedere agli accertamenti, così come per gli altri due: uno a Milano ed uno a
Genova.
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ELEZIONI
STRAORDINARIE IN ZIMBABWE PER DUE IMPORTANTI COLLEGI ELETTORALI DOVE IL PARTITO
DEL PRESIDENTE MUGABE FRONTEGGIA IL MOVIMENTO
PER IL
CAMBIAMENTO DEMOCRATICO
HARARE.
= Seconda giornata di voto in Zimbabwe per due cruciali elezioni straordinarie,
disturbate da episodi di violenza. Le consultazioni si svolgono nei due collegi
elettorali di Kuwadzana e di Highfield, dove il partito al governo del
presidente Robert Mugabe, ZANU-PF, intende vincere lo scrutinio contro il
Movimento per il Cambiamento Democratico (MDC). Ieri il candidato del MDC nel
collegio di Kuwadzana, Nelson Chamisa, ha dichiarato che tre suoi sostenitori
hanno subito un assalto da parte dei membri dello ZANU-PF. La polizia ha però
affermato di non aver ricevuto denunce. I due partiti si sono accusati
reciprocamente di aver commesso violenze durante la campagna elettorale, mentre
gruppi di difesa dei diritti umani riferiscono che centinaia di persone sono
rimaste ferite. Il partito di Mugabe ha un’ampia maggioranza in parlamento e la
vittoria nelle due elezioni gli permetterebbe di avvicinarsi alla maggioranza
di due-terzi necessaria per far approvare cambiamenti costituzionali. Nel 2000
il Movimento per il cambiamento democratico ha vinto le elezioni nei due
collegi, ma i due seggi sono attualmente vacanti per il decesso di uno degli
eletti e per l’espulsione dell’altro dal partito. (S.B.)
IN
UGANDA I RIBELLI CONFERMANO IL “CESSATE IL FUOCO” CON UNA LETTERA
ALLE
COMUNITA’ RELIGIOSE E CHIEDONO DI AVVIARE TRATTATIVE CON IL GOVERNO
PER PORRE FINE AL CONFLITTO ARMATO
KAMPALA.
= In Uganda si apre uno spiraglio di pace. I ribelli dell’Esercito di
resistenza del signore (Lra) hanno infatti consegnato all’Acholi religious
leaders’ peace initiative (Arlpi) - il cartello delle comunità presenti nei
distretti acholi – una lettera nella quale confermano il cessate il fuoco
unilaterale immediato. I ribelli chiedono inoltre di avviare trattative con il
governo per mettere fine al conflitto armato che sconvolge il Paese da 16 anni.
La notizia è stata riferita all’agenzia Misna dalla segreteria dell’Arlpi, che
ha sottolineato come, per la prima volta, le proposte di pace siano state messe
per iscritto dai ribelli. La lettera è stata consegnata questa mattina
all’arcivescovo di Gulu, mons. John Baptist Odama, presidente dell’Arpli, che
l’ha poi data al generale Salim Saleh, fratello del presidente Museveni e
portavoce della Commissione di pace, incaricata dal governo di portare avanti
le trattative. Nella lettera i ribelli chiedono al governo di dichiarare una
tregua analoga e di permettere lo svolgimento di riunioni con alcuni leader
religiosi locali impegnati come mediatori, prima dell’incontro fra la
delegazione dei ribelli e quella del governo. “La situazione è così disperata
che ogni piccola apertura è benvenuta – ha dichiarato alla Misna padre Carlos
Rodriguez Soto, segretario dell’Arlpi – la gente del nord Uganda vive da troppi
anni una violenza assurda ed ha bisogno di pace e di speranza”. (S.B.)
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