RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 85 - Testo della
Trasmissione mercoledì 26 marzo 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Mobilitazione
di preghiera e di solidarietà per il popolo iracheno sotto la tragedia della
guerra. Massicci bombardamenti su Baghdad, notizie contrastanti da Bassora: con
noi, il cardinale Dionigi Tettamanzi, il
generale Luigi Caligaris e il prof. Vincenzo Strika.
CHIESA E SOCIETA’:
Attacco dei ribelli islamici ad un villaggio di Mindanao:
almeno 12 le vittime.
Nuovi scontri in Medio Oriente, Israele presenta
una proposta di pace.
Tensione nella penisola coreana, per le
esercitazioni congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud.
Bolivia, si rompe il dialogo tra governo e
cocaleros.
India e Pakistan ai ferri corti, dopo la strage di
domenica in Kashmir. Omicidio politico in Gujarat.
26 marzo 2003
IL PAPA IN PELLEGRINAGGIO AL
SANTUARIO DI POMPEI IL 7 OTTOBRE
PER
INVOCARE LA PACE NEL MONDO. LO HA ANNUNCIATO ALL’UDIENZA GENERALE
DOPO
LA CATECHESI BIBLICA SUL SALMO 89,
CHE
EVOCA LA CADUCITA’ DELLA VITA UMANA SULLA TERRA
- A cura di Carla Cotignoli -
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“Si perseveri nella recita
della Corona per implorare la pace!” Il nuovo sofferto appello del Papa per la
pace, non solo in Iraq, ma per tutti gli altri conflitti. Lo ha lanciato questa
mattina al termine della catechesi all’udienza generale in Piazza San Pietro -
davanti a oltre 13 mila persone - una catechesi incentrata sulla fragilità
umana, illuminata dalla luce della risurrezione. Le parole del Santo Padre
prendono spunto dalla solennità dell’Annunciazione “che ricorda l’incarnazione
del Figlio di Dio Principe della Pace”, celebrata ieri:
“Recitando la Corona del Santo Rosario, abbiamo meditato questo mistero
con il cuore oppresso dalle notizie che giungono dall'Iraq in guerra, senza dimenticare
gli altri conflitti che insanguinano la Terra. Quanto è importante che, durante
quest’Anno del Rosario, si perseveri nella recita della Corona per implorare la
pace! Chiedo che lo si continui a fare specialmente nei Santuari mariani. A
Maria, Regina del Rosario, affido fin d’ora il proposito di recarmi in
pellegrinaggio nel suo Santuario a Pompei il prossimo 7 ottobre, in occasione
proprio della festa della Madonna del Rosario. La materna intercessione di
Maria ottenga giustizia e pace per il mondo intero”.
Ma
ritorniamo alla catechesi biblica incentrata sul Salmo 89. Sono parole che ci
fanno penetrare nel significato più profondo di quel cambiamento di vita più
volte richiamato dal Papa, insieme alla preghiera, come condizione di pace.
Le
parole del salmo 89 – ha detto Giovanni Paolo II - sono per noi “una grande
lezione” che “ci scuote dalle nostre illusioni e dal nostro orgoglio”: ci ricordano
fragilità della condizione umana, il senso del nostro limite. “La nostra esistenza
ha la fragilità dell’erba spuntata all’alba”. “Ben presto alla freschezza della
vita subentra l’aridità della morte”. Non solo. Il salmista – ricorda il Papa –
“a questa radicale debolezza associa il peccato: “in noi c’è finitudine, ma
anche colpevolezza” e “lo scorrere dei giorni è scandito da ‘fatica e dolore’”.
Ma il salmo, “nei nostri giorni segnati dalla prova”, indica la via per
giungere “alla sapienza del cuore” e “gustare il sapore della speranza”. “Solo
la grazia del Signore – afferma il Papa – può dare consistenza e perennità alle
nostre azioni quotidiane”:
“Con la
preghiera domandiamo a Dio che un riflesso dell’eternità penetri nella nostra
breve vita e nel nostro agire. Con la presenza della grazia divina in noi, una
luce brillerà sul fluire dei giorni, la miseria diventerà gloria, ciò che pare
privo di senso acquisterà significato”.
“E’ la risurrezione di Cristo
– conclude il Papa citando l’antico scrittore cristiano Origene – a darci la
possibilità intravista dal salmista, di ‘esultare e gioire per tutti i giorni
della vita’” e oltre la morte.
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Presenti all’udienza generale anche 500 pellegrini
polacchi, guidati dal cardinale primate Jozef Glemp, che il Papa ha poi
ricevuto in udienza.
DIRITTO UMANITARIO E GUERRA CONTRO
IL TERRORISMO, TRA GLI ARGOMENTI
DELLA
GIORNATA CONCLUSIVA DEL CORSO DI FORMAZIONE PER CAPPELLANI MILITARI,
ORGANIZZATO A ROMA DALLA SANTA SEDE
- A cura di Paolo
Scappucci -
Temi
scottanti come l'applicazione del diritto umanitario e delle sue garanzie nella
guerra contro il terrorismo, la
responsabilità individuale nel diritto umanitario, i tribunali penali internazionali come sfida per le giurisdizioni
degli Stati sono al centro della giornata conclusiva del Corso internazionale di formazione per cappellani
militari, promosso a Roma dalla Santa
Sede presso gli uffici del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
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Affrontando il primo di tali argomenti, l'esperto
spagnolo José Luis Rodrìguez-Villasante
del Comitato
Giuridico Militare del suo Paese ha ribadito la condanna assoluta e senza
eccezioni da parte del diritto
umanitario nei confronti di ogni atto di terrorismo, inteso come impiego di violenza indiscriminata volta a terrorizzare la
popolazione civile. Egli ha anche riaffermato il diritto di popoli e nazioni a difendersi dal terrorismo, crimine di lesa
umanità, senza tuttavia che la
responsabilità penale per atti del genere si possa estendere alle nazioni, etnìe
o religioni cui appartengono i
terroristi. La lotta contro il terrorismo, poi, implica ineludibilmente un impegno politico, diplomatico ed economico per
dare soluzione ragionevole a situazioni di oppressione, di ingiustizia o emarginazione, che costituiscono ìl terreno di coltura del terrorismo stesso. E' stato
comunque evidenziato che la protezione del diritto umanitario durante il conflitti si applica
anche ai terroristi catturati, i quali debbono godere del trattamento di prigionieri di
guerra.
Il prof. Silvio Marcus-Helmons dell'Università cattolica
di Lovanio, dal canto suo, ha sottolineato
la responsabilità individuale, e non solo quella degli Stati, nelle violazioni
del diritto umanitario per crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini
contro l'umanità, nel senso che "il
fatto d'aver agito per ordine del proprio governo o di un superiore gerarchico non
annulla la responsabilità dell'autore secondo il diritto penale internazionale,
se ha avuto moralmente la possibilità di scelta".
Le
conseguenze delle violazioni del diritto umanitario durante i conflitti, le
relative sanzioni come obblighi di
riparazione, rappresaglie, imputazioni per crimini di guerra e azioni di assistenza
umanitaria in favore delle popolazioni colpite sono state illustrate dal
presidente della Commissione di diritto
internazionale umanitario della Croce Rossa, prof. Paolo Benvenuti, mentre la prof.ssa Flavia Lattanzi ha
trattato diffusamente lo spinoso problema dei rapporti e condizionamenti
tra tribunali penali internazionali e le giurisdizioni statali. La conclusione è stata che le corti penali
internazionali, oltre ad operare da stimolo perché i tribunali statali perseguano i criminali e da
guida perché applichino in modo uniforme il diritto umanitario, sono chiamate a
svolgere un'importante funzione deterrente contro chi pensi che in guerra tutto sia permesso e che la
pacificazione internazionale o nazionale possa realizzarsi a danno della giustizia.
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"La tragedia della
popolazione civile" è il titolo che apre, con forza, la prima pagina.
Numerose vittime a Baghdad in
un mercato colpito da un missile.
Sempre in prima, si sottolinea
che "con il cuore oppresso dalle notizie di guerra, il Papa incita a
perseverare nel Santo Rosario".
Medio Oriente: ancora una
bambina assassinata senza pietà.
Nelle vaticane, la catechesi e
la cronaca dell'udienza generale.
La "catena" di
preghiere per la pace che lega le diocesi italiane.
Nel cammino della Chiesa in
America, un articolo su alcune realizzazioni missionarie in Brasile.
Nelle pagine estere, varie
iniziative per fermare la guerra.
Appello dell'Unicef ai
belligeranti affinché tutelino la vita dei più piccoli.
Filippine: vittime civili in
cruenti attacchi di ribelli islamici in città del Sud.
Nella pagina culturale, un
contributo di Gino Concetti dal titolo "La democrazia e le sue
ragioni": l'opera del cardinale Pietro Pavan riedita a cura di Mario Toso.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica con il consueto riferimento all'evolversi della
situazione in Iraq.
I temi del fisco e delle
pensioni.
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26 marzo 2003
LA MOBILITAZIONE DELLA PREGHIERA
E DELLA SOLIDARIETA’ PER IL POPOLO IRACHENO.
CON
NOI L’ARCIVESCOVO DI MILANO DIONIGI TETTAMANZI, PAOLO LORIGA
DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI, RENZO
CIANFANELLI, INVIATO DEL
CORRIERE
DELLA SERA IN KUWAIT E FILIPPO UNGARO DI SAVE THE
CHILDREN ITALIA
-
Servizio di Paolo Ondarza -
L’accorato
e costante appello alla pace che il Santo Padre non si stanca di pronunciare
interpella ogni uomo e in primo luogo ogni cristiano a dire un “no” deciso alla guerra con gesti concreti,
atteggiamenti, ma soprattutto con la potente “arma” della preghiera. Il
Rosario, a cui il Papa ha dedicato l’anno in corso, può divenire così una
catena che unisce il mondo in unico appello alla pace. Uno strumento efficace per “globalizzare la pace” e per opporsi
alla violenza che “è solo e sempre generatrice di altra violenza”.
Queste ultime parole sono state pronunciate lunedì scorso
dall’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, nell’ambito dei
“Dialoghi in Cattedrale” in un intervento sul tema “Lavoro, solidarietà,
libertà: una società globale in chiave umanistica?”, finalizzato a leggere il
fenomeno globalizzazione come opportunità per valorizzare la persona umana. Il
cardinale Tettamanzi non ha mancato poi di fare un riferimento ai rapporti tra
globalizzazione e l’attuale crisi in Iraq. Ascoltiamolo al microfono di Luca
Collodi.
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R. – Penso che
tutto dipenda dal concetto che si ha di globalizzazione. Se per globalizzazione
si intende la interdipendenza su problemi estremamente complessi, difficili o
addirittura drammatici, da questo punto di vista si può rispondere davvero che
la crisi in Iraq sia un segno molto forte di fatica della globalizzazione,
proprio perché si è arrivati a questa conclusione saltando quel confronto in
chiave diplomatica, di indole propriamente mondiale, precisamente in
riferimento all’Onu.
D. – A 40 anni della Pacem in terris, la Pacem
in terris è un modello di globalizzazione da poter seguire per l’uomo?
R. – Direi proprio di sì, perché è proprio in questa
enciclica che si parla per la prima volta del bene comune universale e
soprattutto si parla della famiglia umana come di una unità profonda, indivisa
e indivisibile. In questo senso la convivenza viene presentata come una
convivenza veramente pacifica. Questo è l’anelito più profondo che è insito
nella famiglia umana a questa quadruplice condizione: che sia il frutto della
giustizia, della verità, della solidarietà e della libertà. In questo senso,
forse, dovremmo avere il coraggio di usare di meno il termine pace, perché
rischia di essere un tema che non ha dei contenuti, e presentare invece la pace
come il frutto necessario di queste quattro condizioni. Ecco perché si dice, e
giustamente, che la pace non va detta e non va neppure gridata, ma la pace va
fatta, e va fatta quando si vive secondo verità, secondo giustizia, secondo
solidarietà e secondo libertà.
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E parlando di pace non si può ignorare il coro delle
innumerevoli iniziative di preghiera che, da prima ancora che iniziasse il
conflitto, vengono organizzate in varie parti del mondo. Nel Pakistan centrale
ad esempio, la commissione Giustizia e Pace dei giovani sta promuovendo per il
periodo quaresimale momenti di condivisione fra i giovani cristiani e
musulmani. Negli Stati Uniti, nello Stato del Nevada, vicino a una base
nucleare, sono stati organizzati momenti di preghiera e digiuno per la pace. In
Argentina a Buenos Aires, nella famosissima Plaza de Mayo organizzazioni
cattoliche, evangeliche, ebree e musulmane hanno installato una “Tenda di
incontro per la Pace”, luogo di preghiera aperto 24 ore su 24.
A Roma da ieri pomeriggio a Piazza Colonna, presso la
chiesa dei santi Bartolomeo ed Alessandro, il movimento dei Focolari ha dato il
via ad un’iniziativa analoga titolata “Avamposto della Pace”. Il progetto vuole
favorire incontri di preghiera e testimonianza per la pace realizzati nel cuore
della vita politica, culturale e sociale della città, come spiega ai nostri
microfoni Paolo Loriga, tra i coordinatori dell’idea.
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R. – Lungi dal sentirci impotenti di fronte a questa
guerra, ed anche sostenuti dalle parole del Papa, volevamo coniugare ogni
giorno la pace con la nostra vita quotidiana. Non è infatti l’appuntamento di
un giorno, è un cammino che l’avamposto della pace vuol percorrere insieme a
tutti quelli che sono sensibili al tema della pace. Pace che è violata in Iraq,
ma che è violata in tante altre parti del mondo. Ed anche coniugarla con la
nostra vita quotidiana, perché la pace va calata nella nostra quotidianità e
nei rapporti di ogni giorno, con chi è diverso da noi. Adesso che c’è e cresce
questo timore nei confronti della diversità, noi invece vogliamo scendere in
campo con l’arma del dialogo.
D. – Quali saranno i momenti principali?
R. – L’intento è quello di un’educazione alla pace, e
quindi, momenti di riflessione, un rosario meditato, la celebrazione della
Messa, l’adorazione eucaristica, ma anche testimonianze di chi lavora in Terra
Santa nel dialogo tra israeliani e palestinesi. Si procederà a scoprire sempre
di più la pace come condizione ed anche come cultura, ricordandoci anche
dell’insegnamento di Giovanni XXIII: la pace va sempre coniugata con la verità,
la giustizia, l’amore e la libertà.
D. – Quindi, potremmo dire che la preghiera, il canto, la
musica, il dialogo, come ricordava, costituiscono la particolarità che
distingue questa iniziativa rispetto al variegato movimento pacifista …
R. – Vogliamo dare spazi di silenzio nella confusione
generale e nel tanto parlare di pace, ma anche educarci alla pace, perché non
ne siamo mai consapevoli abbastanza e non ne siamo mai costruttori a
sufficienza.
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E al centro delle iniziative di preghiera è ricorrente la
richiesta di intercessione in favore delle vittime della guerra. Oggi il presidente
della Commissione Europea Romano Prodi ha parlato di un deterioramento della
situazione umanitaria in Iraq. Da parte sua, il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, incontrando la
consigliera per la sicurezza nazionale, Condoleeza Rice, ha ribadito la
disponibilità delle Nazioni Unite ad intervenire nei soccorsi alla popolazione
irachena, a patto che siano garantite ai volontari le condizioni di sicurezza
necessarie per operare sui luoghi del conflitto. “Fino ad allora – ha
continuato Annan - la responsabilità degli aiuti ricadrà su Washington”. In
merito alla crisi umanitaria in Iraq ascoltiamo Renzo Cianfanelli, inviato del
Corriere della Sera in Kuwait, al microfono di Fabio Colagrande.
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La cosa che mi ha colpito a Bassora è stata la seguente.
La gente mi fermava e mi chiedeva se avevo dell’acqua: cioè, non dico del cibo,
ma dell’acqua. Quando hanno visto che avevo delle bottiglie di plastica, mi
hanno detto: ‘Per favore, dammi una bottiglia d’acqua’. Senza acqua nelle città
naturalmente non si può vivere, non si può vivere in nessun posto, nel deserto
meno che mai. Questa è la situazione. Tanto è vero che tra oggi e domani si
stanno già organizzando massicci aiuti umanitari nelle zone dove è possibile
consegnare questi aiuti, per esempio nel porto mercantile di Um Qasr, che è
l’unico porto ad acque profonde dell’Iraq, vicinissimo alla frontiera, e in
altre città e anche nella città di Bassora, almeno nella parte che le forze
britanniche controllano.
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L’allarme crisi umanitaria potrebbe essere il preludio di
un futuro disastroso per i tanti bambini, vittime innocenti del conflitto
appena iniziato. In proposito l’organizzazione per la difesa dell’infanzia Save
the Children, presente in Iraq con i suoi volontari, ha avviato una
raccolta fondi che prevede la distribuzione di beni di prima necessità. Ma
quali sono le condizioni dei bambini in Iraq? Lo chiediamo a Filippo Ungaro,
portavoce di Save the Children Italia.
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R. – Più di 10 anni di sanzioni economiche, anni di conflitti
interni, hanno ridotto il Paese in condizioni abbastanza disastrose,
soprattutto per quanto riguarda i bambini: 500 mila bambini nel 1991 sono morti
a causa della malnutrizione, della mancanza di farmaci di base; rispetto al
1991 la mortalità infantile è raddoppiata; un bambino su 5 è malnutrito.
Quindi, siamo in presenza, ancora prima della guerra, di una crisi umanitaria.
E’ chiaro che la guerra non fa altro che accentuare questa crisi umanitaria.
D. – Quali prospettive minacciano l’infanzia oggi in Iraq?
R. – Si parla di mezzo milione di bambini che potrebbero
morire o comunque rimanere feriti, colpiti in qualche modo, da questa guerra.
Si parla di due milioni di profughi. Si parla di 3 milioni tra mamme, donne,
bambini iracheni che potrebbero aver bisogno di un particolare sostegno
alimentare. 150 mila bambini iracheni inoltre potrebbero rimanere separati
dalle loro famiglie.
D. – Come accennava prima Save the children lavora
in Iraq dal 1991. Quale è stato il frutto dei vostri lavori in questi anni?
R. –
Negli anni precedenti a quest’ultimo conflitto chiaramente ci siamo dedicati
molto al problema dei rifugiati, portando loro assistenza nel nord dell’Iraq,
ed anche assistenza alla popolazione curda, che è stanziata appunto nel nord.
Attualmente abbiamo preparato un piano di emergenza, che prevede vari tipi di
interventi: distribuzioni di beni materiali, di cibo, interventi sanitari,
distribuzione di medicine, kit di emergenza.
D. – Distribuzione che avverrà direttamente sul posto
grazie ai vostri volontari?
R. – Stiamo continuando a lavorare con uno staff di 60
persone nel nord dell’Iraq. Si tratta di staff locale, di personale locale. Il
personale internazionale a causa dello scoppio della guerra è stato evacuato e
sta proprio in queste ore ritornando sul posto. Ci siamo preparati per
affrontare questa emergenza che si prospetta drammatica.
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ANCORA BOMBARDAMENTI MASSICCI SU BAGHDAD: UN
MISSILE FINISCE
SU UN
MERCATO PROVOCANDO UNA STRAGE. NOTIZIE CONTRASTANTI DA BASSORA,
MENTRE
SAREBBERO CENTINAIA I SOLDATI IRACHENI CADUTI NEGLI SCONTRI
CON LE
TRUPPE ANGLO-AMERICANE SULLA VIA VERSO LA CAPITALE IRACHENA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
E’ un attacco missilistico senza tregua quello in corso su
Baghdad in queste ore, mentre le avanguardie delle truppe anglo-americane
puntano verso la capitale dopo scontri sempre più cruenti con l’esercito di
Saddam Hussein. Secondo un ufficiale statunitense sul posto, sarebbero circa
650 i soldati iracheni uccisi nei combattimenti attorno a Najaf, nell’Iraq
centrale. Gravissimo anche il bilancio dell’ultimo raid su Baghdad. Un
funzionario del ministero dell'Informazione iracheno ha dichiarato che una
bomba ha colpito un mercato nella parte settentrionale della capitale,
provocando numerose vittime. Dal canto suo, un giornalista della Reuters
riferisce di aver visto i cadaveri di 15 persone giacere in strada dopo il
tragico attacco. Decine sarebbero i feriti, mentre un medico del Comitato internazionale
della Croce Rossa si sta recando sul luogo colpito per rendersi conto della
situazione e verificare se l’ospedale nelle vicinanze abbia bisogno di aiuti.
Notizie
contrastanti giungono, intanto, da Bassora, nel quadrante sud del conflitto. Il
ministro della Difesa britannico, Hoon, ha ribadito stamani che i soldati
iracheni hanno sparato ieri contro civili inermi per sedare una rivolta popolare
contro il regime di Saddam. Una versione confermata anche dal premier inglese,
Blair. Tuttavia la tv araba Al Jazira ha affermato che non vi sono segni di una
rivolta nella seconda città dell’Iraq. La situazione rimane, quindi, incerta
con le truppe britanniche in attesa dell'ordine di attacco. Proprio nei pressi
di Bassora, nelle ultime ore, due soldati britannici sono stati uccisi dal
“fuoco amico”. Sul fronte nord del conflitto, un campo di Al Qaeda è stato
bombardato stanotte dalle forze aeree americane, che hanno già compiuto in
questi giorni operazioni analoghe nel Kurdistan iracheno contro postazioni
della rete terroristica di Bin Laden. Sempre nella notte, colpita anche la
televisione irachena che ha però ripreso le trasmissioni dopo un black out di
alcune ore. Baghdad, dunque, spazzata anche oggi da una forte tempesta di
sabbia vive ore di angoscia sotto i bombardamenti e in attesa dell’attacco di
terra anglo-americano, come testimonia da Baghdad l’inviato speciale de “Il
Sole-24 Ore”, Alberto Negri, raggiunto telefonicamente da Sergio Centofanti:
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R. – La popolazione irachena in questo momento è rintanata
in casa; si aspetta il peggio, ha cercato di far scorte in una situazione di
attesa carica di tensione e di angoscia per quel che potrà accadere.
D. – Tu che sei a Baghdad, come vedi questa guerra?
R. – Avete
visto le difficoltà incontrate dagli americani soprattutto per espugnare il sud
del Paese, perché le città non sono cadute come gli americani si aspettavano.
Il regime non è ancora collassato, ma continua a mantenere uno stretto
controllo – dove può e dove riesce – sulla popolazione. E questo sarà uno dei
fattori che condizioneranno anche l’assedio a Baghdad. E’ certo che si tratta
di una guerra più difficile di quanto non pensassero i comandi americani.
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Si approssima, dunque, il momento in cui le truppe
anglo-americane entreranno a Baghdad per affrontare quello che molti considerano
lo scontro finale con Saddam Hussein. Un conflitto che assumerà probabilmente
le sembianze della guerriglia urbana contro i fedelissimi del rais. Fonti
d’agenzia, che citano il comando alleato di Doha, riferiscono che il regime
iracheno avrebbe già minato i ponti di accesso alla città e starebbe
intensificando il ricorso a “tattiche terroristiche” per contrastare i militari
americani e britannici. Ma quali saranno i maggiori rischi che potranno
incontrare le forze anglo-americane? Giancarlo La Vella lo ha chiesto al generale
Luigi Caligaris, esperto di strategia e tattica militare:
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R. – Uno è la
possibilità che in qualche modo Saddam Hussein riesca a far uso di aggressivi
chimici o di armi biologiche; un’altra è la possibilità che si arrocchino i
fedelissimi del regime di Saddam all’interno della città. Allora, in questo
caso, bisogna anche fare un discorso sia di capacità militare sia di tenuta
psicologica. E’ chiaro che la guerra più difficile è quella urbana, tranne
forse durante la notte perché se riuscissero – gli americani – ad eliminare
tutte le sorgenti di luce con i sistemi di visori notturni che le forze
anglo-americane possiedono ormai a livello individuale, allora in questo caso
il vantaggio andrebbe per le forze di questa coalizione. Naturalmente, questo
vorrebbe dire che un attacco alla città dovrebbe esser fatto di notte anziché
di giorno.
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Una delle conseguenze politiche più immediate della
guerra in Iraq è la tensione sempre più alta tra Washington e Mosca, specie
dopo le accuse della Casa Bianca al Cremlino sulla vendita di arme russe a
Saddam. Il ministro degli Esteri, Ivanov, ha dichiarato che la Russia chiederà
oggi pomeriggio - nella sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
- “la sospensione immediata delle operazioni militari in Iraq”. Paese, ha
aggiunto il capo della diplomazia russa, che “viene completamente devastato” da
questa guerra, con il rischio di provocare una catastrofe umanitaria. La crisi
del Golfo sarà quindi al centro dell’attenzione al Palazzo di Vetro dell’Onu,
proprio mentre il presidente americano Bush si appresta a ricevere, a Camp
David, il premier britannico Blair nel primo incontro tra i due leader della
coalizione alleata, dall’inizio della Seconda Guerra del Golfo. L’opinione
pubblica americana è, intanto, ancora sotto shock per le immagini dei
prigionieri mostrate dalla tv irachena in questi giorni. Per il New York Times,
alcuni marine sarebbero stati uccisi in vere e proprie esecuzioni. Il
quotidiano americano sostiene che questa ipotesi sarebbe confermata da alcune
sequenze trasmesse dalla televisione di Stato irachena, nelle quali sono stati
mostrati i cadaveri di quattro uomini, alcuni dei quali uccisi apparentemente
con una pallottola alla testa.
Ad una settimana dall’inizio della guerra in Iraq, sono
ormai state ridimensionate le previsioni di rapido collasso del regime
iracheno. La popolazione non si è sollevata contro Saddam Hussein. Un’assenza
di reazione dalle ragioni molteplici, come spiega il prof. Vincenzo Strika,
docente di Storia contemporanea dei Paesi arabi all’Università di Napoli
“L’Orientale”:
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R. – Su tutto quanto sta succedendo agisce una componente
di fondo, e cioè che in sostanza il regime è ben radicato sul terreno. E questo
è un argomento. Poi, i tanti anni di embargo, i bombardamenti continui nel sud
e nel nord. Non mancano gli argomenti. C’è anche una componente patriottica se
vogliamo: uno si sente invaso e reagisce.
D. – Quanto influisce sull’assenza di reazione del popolo
iracheno la paura della repressione da parte del regime, anche in ragione di
quanto successo dopo la prima Guerra del Golfo?
R. – Dopo la prima Guerra del Golfo ci fu un’insurrezione
molto cruenta, specialmente nel sud. Mentre nel nord la situazione fu più
fluida. La repressione maggiore fu nel sud. Lì fu molto cruenta, fu bombardata
Kerbala. Però, non ebbe l’appoggio degli alleati e quindi si è spenta. Il
regime ha fatto una certa politica di avvicinamento verso queste popolazioni.
Anche adesso i curdi sono molto cauti, perché temono i turchi. Quindi, è una
situazione molto complessa.
D. – In uno dei suoi ultimi discorsi Saddam Hussein ha
esortato le tribù irachene a resistere, a combattere. Quanto incide questo
elemento tribale, clanico nella struttura sociale dell’Iraq?
R. – Le tribù in Iraq sono circa 160. Di queste, 19 sono
all’estero e fanno parte dell’opposizione. Anche i capi sono all’estero. Il
resto è stato attirato dal regime. Molti capi tribù sono in Parlamento. La
tribù incide, perché la tribù è indisciplinata. Naturalmente la tribù può
essere stata attirata da una come dall’altra parte. In questo momento si vede
che sta con i governativi.
D. – Nelle città invece la situazione qual è, proprio in
riferimento alle tribù?
R. – All’interno della città sono solidali tra loro, così
i loro clan si mantengono ancora vivi, per ragioni di affinità tribale.
D. – Quali saranno le maggiori difficoltà di governo del
Paese nel dopo Saddam Hussein, anche in ragione di queste divisioni?
R. – Le cose
saranno molto complicate sicuramente, perché l’idea americana di fatto è di
mettere lì un generale di origine araba, ma sempre un generale americano.
Quindi, sarà un governatorato militare, in attesa che si creino le condizioni
per le libere elezioni. Il che, oltretutto, sarà molto difficile, perché se si
dovesse votare in Iraq oggi vincerebbero gli sciiti, e gli sciiti guardano a
Teheran. I curdi non possono essere molto apprezzati per l’ostilità della Turchia.
Sarebbe nuovamente un governo sunnita, e cioè un governo di minoranza, che poi
è quello che è stato sempre. E’ l’elite che ha governato il Paese dall’epoca
dei turchi fino ad oggi.
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26 marzo 2003
“CONCEZIONE EBRAICA E
CRISTIANA DELLA FAMIGLIA”:
QUESTO
IL TITOLO DELL’INCONTRO OSPITATO DALL’UNIVERSITÀ LATERANENSE
OGGI E
DOMANI. A DIALOGO, PER APPROFONDIRE LA RECIPROCA CONOSCENZA
TRA LE
DUE RELIGIONI, STUDIOSI CRISTIANI ED EBREI
ROMA. =
In questo tempo segnato della divisione, appare sempre più urgente la necessità
del dialogo, strumento essenziale per la pace. Per questo studiosi ed esperti
ebrei e cristiani si riuniscono oggi e domani a Roma, nella Pontificia università
Lateranense per il Colloquio “Concezione ebraica e cristiana della famiglia”.
L’incontro è stato proposto dall’Ambasciata d’Israele presso la Santa Sede ed
organizzato dal Pontificio Istituto Giovani Paolo II per studi su matrimonio e
famiglia di Roma e lo Shalom Hartman Institute di Gerusalemme, ente per
l’approfondimento dell’identità ebraica attraverso il dialogo con le altre
culture e religioni. Oggi, durante la giornata inaugurale, i partecipanti
dedicheranno i loro interventi al matrimonio nella rispettiva visione ebraica e
cristiana, mentre domani si affronterà il tema della procreazione responsabile.
Oltre alle conferenze pubbliche, il Colloquio prevede sessioni ristrette di
discussione, cui prenderanno parte insieme ai relatori anche altri studiosi di
diverse nazionalità da loro invitati. (M.A.)
MIGLIAIA DI CITTADINI DEL MOZAMBICO AFFETTI DAL
VIRUS DELL’HIV
SARANNO
CURATI GRAZIE A “DREAM”, IL PROGETTO
ITALIANO PROMOSSO
DALLA
COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO
MAPUTO. = Saranno 30 mila i sieropositivi del Mozambico
che nei prossimi 4 anni riceveranno le cure per combattere l’Aids grazie al
progetto italiano “Dream”. A promuoverlo è stata tre anni fa la Comunità
di Sant’Egidio che avvierà nel Paese un programma di cure, formazione e servizi
sostenuto dal governo italiano. “L’Aids è come una seconda guerra per il
Mozambico – ha detto il coordinatore dell’iniziativa, Leonardo Palombi – ed è
ancora più sanguinosa della prima”. Secondo il ministro della sanità del
Mozambico, Francisco Ferrera Songane, il progetto è la migliore risposta alle
esigenze di pianificazione sanitaria nel territorio. “Abbiamo cominciato a
sognare che è possibile contrastare e sconfiggere l’Aids”, ha affermato uno dei
responsabili della Comunità di San’Egidio, Mario Marazziti. Al progetto
collabora anche la Farmindustria che ha stanziato 350 mila euro per finanziare
le ricerche. “Il nostro sforzo – ha spiegato il presidente di Farmindustria,
Gian Pietro Leoni – non è solo economico perché ci impegneremo a trasmettere ai
medici del Mozambico anche le conoscenze tecniche e scientifiche che abbiamo
maturato nella ricerca sull'Aids”. (A.L.)
LA CONFERENZA EPISCOPALE
PERUVIANA HA ORGANIZZATO A LIMA
UN
SEMINARIO INTERNAZIONALE PER ANALIZZARE IL FENOMENO DELLE MIGRAZIONI.
L’INCONTRO,
INIZIATO LO SCORSO 24 MARZO, SI CONCLUDERÀ DOMANI NELLA CASA DI SANTA ROSA
LIMA.
= Il fenomeno migratorio, divenuto ormai “fenomeno globale”, coinvolge tutte le
nazioni e colpisce milioni di persone nel mondo. La Conferenza episcopale
peruviana, consapevole che anche il Paese andino vive questa realtà densa di
sfide per l’opera pastorale, ha organizzato un Seminario internazionale per approfondire
il tema delle migrazioni seguendo la prospettiva del Vangelo e della Chiesa.
L’incontro, iniziato lo scorso 24 marzo, si concluderà domani a Lima nella Casa
di “Santa Rosa”. I partecipanti al Seminario hanno proposto la creazione di una
rete permanente tra la Chiesa peruviana e gli operatori pastorali per creare
una maggiore coscienza ecclesiale e favorire una costante attenzione ai migranti.
Per domani è prevista una tavola rotonda con i rappresentanti della
Cancelleria, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
(Acnur) e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Omi). Le
testimonianze presentate durante i lavori del Seminario contribuiranno a
definire un piano di azione coordinato tra gli organismi pastorali presenti nel
Paese e le Commissioni episcopali delle nazioni di destinazione degli
emigranti. Sarà così possibile accompagnare in modo integrale il processo di
inserimento a livello pastorale, sociale, culturale e politico dei peruviani
residenti all’estero. (A.L.)
SI E’ APERTO OGGI A ROMA IL CONGRESSO PROMOSSO
DALLA FAO SUL TEMA
“SICUREZZA
ALIMENTARE GLOBALE E RUOLO DELLA FERTILIZZAZIONE SOSTENIBILE”
ROMA.
= Si è aperto oggi a Roma il congresso sul tema "Sicurezza alimentare
globale e ruolo della fertilizzazione sostenibile". L’incontro, promosso
dall'Associazione internazionale dell’industria del fertilizzante (Ifa) e
dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura
(Fao), si concluderà venerdì prossimo. I partecipanti, provenienti da più di 50
Paesi, discutono su come l’uso responsabile dei fertilizzanti possa contribuire
a dare maggiore sicurezza all’alimentazione. Il vice direttore
generale della Fao, David Harcharik, ha detto che la campagna per sradicare la
fame ed aumentare la produzione agricola richiede uno sforzo comune di
istituzioni pubbliche e private. Secondo il presidente dell’Ifa, Vladimir
Puggina, la sicurezza alimentare va ricercata nella giusta combinazione tra le
tecniche di fertilizzazione e le misure politiche da adottare per favorirne la
migliore applicazione. I
dibattiti dei prossimi giorni prenderanno in esame i progressi tecnologici, i
sistemi di gestione delle aziende agricole e le sfide dell’agricoltura. (A.L.)
IN UNA NOTA DIFFUSA IN QUESTI GIORNI
L’EPISCOPATO CUBANO
HA
INVITATO STATO E COMUNITÀ CIVILE A LAVORARE INSIEME PER RISOLVERE
I PROBLEMI
DELLA SOCIETÀ, NEL PIENO RISPETTO DEI DIRITTI DELL’INDIVIDUO
CAMAGUEY.
= La Commissione giustizia e pace dell’episcopato cubano, riunitasi nella città
di Camaguey, ha lamentato in un comunicato diffuso in questi giorni la
detenzione di 75 cittadini che, secondo una nota del governo cubano, avrebbero
cospirato contro gli interessi nazionali. “Lamentiamo - scrivono i presuli -
che nella nostra patria si utilizzino metodi inappropriati per dequalificare e
detenere persone perché pensano o agiscono diversamente dall’ideologia
ufficiale”. La Commissione invita perciò la società civile e lo Stato ad una
costante collaborazione affinché nella soluzione dei problemi di Cuba siano
sempre rispettati l’integrità ed i diritti di ogni individuo. “Non si devono
confondere - suggeriscono i vescovi - i metodi utilizzati con i malviventi e i
modi di trattare chi dissente politicamente. In questo caso bisognerebbe
mettere in moto un dibattito pubblico di idee, un dialogo nazionale”. (M.A.)
“CHE POLITICI E RIBELLI METTANO AL PRIMO
POSTO DELLE LORO PREOCCUPAZIONI L’INTERESSE DELLA NAZIONE E DEI CITTADINI”.
QUESTO
L’APPELLO DEI VESCOVI DEL BURUNDI, AFFINCHÉ CESSI IL CONFLITTO
CHE IN
10 ANNI HA CAUSATO 200 MILA VITTIME
BUJUMBURA.
= La Conferenza dei vescovi del Burundi leva la sua voce contro il conflitto
che insanguina il Paese dal 1993. In una dichiarazione diffusa nei giorni
scorsi i vescovi esprimono il loro dolore per la violazione degli accordi per
il cessate il fuoco firmati nel 2000 in Tanzania, tra i governo e le varie
formazioni ribelli. “Coloro che hanno concluso gli accordi non li rispettano -
scrivono - e continuano le devastazioni. I nostri connazionali, soprattutto la
persone semplici, continuano a morire e i loro beni sono saccheggiati o
distrutti”. Dal suo inizio, la guerra civile ha causato almeno 200 mila vittime.
“Quello che accade ci inquieta molto - dichiarano i vescovi - perché coloro che
hanno firmato l’accordo ancora combattono. La tragedia è provocata da politici
e ribelli che lottano per il potere senza preoccuparsi per la popolazione così
duramente provata. Sembra vogliano governare un paese svuotato della sua
popolazione e privato delle sue risorse”. I vescovi perciò lanciano un accorato
appello. “Noi vogliamo - scrivono - a nome stesso del Signore, lanciare un
grido d’allarme ai politici: che mettano al primo posto delle loro
preoccupazioni l’interesse della nazione e dei cittadini; che rinuncino ai loro
sterili litigi e finiscano di consacrare le loro energie unicamente alla
conquista o al mantenimento del potere a loro solo profitto. Chiediamo - concludono
i presuli - ai paesi stranieri e alle organizzazioni internazionali maggiori
pressioni per far cessare i combattimenti e maggiori sforzi per aiutare le
parti a mettere subito in pratica gli accorsi firmati”. (M.A.)
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26 marzo 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
Ancora violenze a Mindanao, isola delle Filippine
meridionali a maggioranza islamica. Almeno 12 persone sono morte in un attacco
dei guerriglieri del Fronte di liberazione islamico moro (Milf) contro il
villaggio cristiano di M’lang, nel sud dell’isola, seguito da una risposta
militare dell’esercito. Tra i morti, sette civili e cinque ribelli. L’attacco
giunge alla vigilia di un incontro “esplorativo” tra rappresentati del Milf e
del governo previsto per domani a Kuala Lumpur, in Malaysia, per considerare la
possibilità di riprendere i colloqui di pace. Ieri pomeriggio, l’assalto ad un
camion in marcia verso la città di Carmen aveva provocato due vittime.
Nuovi
scontri tra soldati israeliani e palestinesi hanno causato vittime a Betlemme
ed in altre località mediorientali. Secondo fonti non ancora confermate, un
palestinese sarebbe stato ucciso all'alba di oggi mentre cercava di infiltrarsi
armato nella colonia ebraica di Morag, nel sud della striscia di Gaza. Intanto,
da parte dello Stato ebraico è venuta un’iniziativa di pace. Il servizio di
Graziano Motta:
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A Betlemme, una ragazza di 10 anni ed un adulto sono
rimasti uccisi durante uno scontro a fuoco tra guerriglieri e soldati,
impegnati in un’operazione nel centro della città. A Jenin, un ragazzo di 12
anni è stato ucciso ed uno di 15 ferito da soldati. Nella stessa città,
un’unità speciale dell’esercito ha arrestato il capo locale dei tanzim,
accusato di due gravi attentati. Altri arresti a Baalath e a Ramallah. Ma nello
stesso tempo si riscalda il campo delle iniziative di pace. Il consigliere di
Sharon per gli affari di sicurezza, ex capo dei servizi segreti, ha presentato
al ministro della Difesa, Mofaz, un progetto di soluzione del conflitto che
prevede l’accettazione israeliana dello Stato palestinese in cambio della fine
delle ostilità e della rinuncia al diritto dei ritorno dei profughi.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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La
Corea del nord ha deciso di interrompere i colloqui regolari con i
rappresentanti degli Stati Uniti, per protestare contro le manovre militari
congiunte di Washington e Seul in atto nella parte meridionale della penisola.
Pyongyang ha, inoltre, lanciato un monito al Giappone, avvertendolo che “rischia
l’autodistruzione”, se lancerà in orbita due satelliti spia il prossimo 28
marzo.
Sale la
preoccupazione negli Stati Uniti, per la sorte dei suoi emissari dei servizi
segreti impegnati nella lotta al narcotraffico in Colombia. Per la seconda
volta in quaranta giorni, ieri un aereo è precipitato in una zona controllata
dalla guerriglia: si tratta di un Cessna, a bordo del quale viaggiavano tre
americani. Erano partiti in missione per recuperare altri tre inviati
statunitensi, caduti lo scorso 13 febbraio nelle mani delle Farc. La Casa
Bianca non ha voluto divulgare dettagli sull’operazione.
Torna
altissima la tensione in Bolivia, per la protesta dei cocaleros contro
il governo di La Paz. Dopo il “no” dell’esecutivo alle richieste di autorizzare
la coltivazione di mezzo ettaro di coca per ogni famiglia di contadini, i
coltivatori – guidati da Evo Morales, leader del Movimento al socialismo –
hanno occupato ieri un ufficio governativo nella località di Ivigarzama,
compiendo alcuni atti vandalici. Irruzione anche in un’altra sede, quella di
Eterazama. “Il dialogo con il governo è ufficialmente rotto”, ha annunciato
Morales, minacciando nuove mobilitazioni per i prossimi giorni.
India e
Pakistan di nuovo ai ferri corti, dopo la strage di 24 indù avvenuta domenica
scorsa in Kashmir. Il governo di New Delhi ne ha addossato la responsabilità a
quello di Islamabad, in quanto “il metodo e la natura degli obiettivi di questi
atti terroristici sono troppo familiari” per non pensare ad un coinvolgimento
degli estremisti islamici infiltratisi nella regione. L’India agirà ora con
“forza, determinazione e risolutezza”.
Omicidio
politico nel Gujarat, Stato dell’India centro-occidentale. Nel capoluogo
Ahmedabad è stato ucciso questa mattina Haren Panda, ex ministro del governo
locale e figura di spicco del Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito alla
guida dell’esecutivo. Proprio gli attuali vertici del partito sono accusati di
responsabilità nell’omicidio, giunto al termine di una serie di lotte interne
piuttosto cruente.
Caschi
blu nel Sahara occidentale fino al 31 maggio. Lo ha deciso il Consiglio di
sicurezza dell’Onu, prolungando il mandato della missione di pace nel tentativo
di trovare una soluzione al contenzioso che oppone il Marocco ai ribelli del
Polisario (Fronte popolare di liberazione del Saguiat el Hamra e del Río de
Oro). Nonostante la liberazione di alcuni prigionieri di guerra marocchini da
parte dei guerriglieri, le due parti sono ancora distanti sul futuro del
territorio, affidato ad un referendum dai contorni ancora incerti. La forza di
pace dell’Onu, presente dal 1991, conta 230 caschi blu e 35 agenti di polizia
internazionale.
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