RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 79 - Testo della Trasmissione giovedì 20 marzo 2003

 

Sommario

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

In quest’ora di tristezza, la preghiera di Giovanni Paolo II per il popolo iracheno. Il dolore e la deplorazione della Santa Sede per i drammatici sviluppi in Iraq: con noi, il portavoce vaticano Joaquìn Navarro Valls, e i cardinali Pio Laghi e Roberto Tucci

 

Progettate nuovi e coraggiosi interventi sulle frontiere della carità: è l’invito del Papa ai religiosi di don Orione, per i cento anni dell’Opera della Divina Provvidenza

 

Si chiama Suor Carità la prossima beata svizzera, invitta missionaria tra gli indios dell’America Latina

 

Incontro a Ginevra tra il cardinale Walter Kasper  e il metropolita Kyrill, sui problemi tra cattolici e ortodossi russi.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Con il lancio di missili cruise su Baghdad, è iniziata nella notte la seconda guerra del Golfo. Dure reazioni dei Paesi promotori di una soluzione pacifica alla crisi irachena: ai nostri microfoni, Alberto Negri, Guido Olimpio e il rifugiato politico Latif Al Saadi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La carità dei pellegrini al santuario mariano di Fatima per le popolazioni sofferenti in varie parti del mondo

 

Richiesti dall’Unicef maggiori investimenti per l’accesso delle donne all’istruzione scolastica in Afghanistan

 

Intervento dell’episcopato thailandese sulla condizione delle donne nel continente asiatico

 

La Congregazione missionaria dello Spirito Santo festeggia 25 anni di presenza in Pakistan

 

I cattolici di Jaffna potranno tornare sull’isola di Palaythivo per festeggiare Sant’Antonio: con il processo di pace in corso, l’esercito cingalese ha revocato il bando di accesso all’isola

 

A settembre, mostra sul medioevo europeo a Parma.

 

24 ORE NEL MONDO:

Il premier incaricato palestinese Abu Mazen avvia le consultazioni per la formazione del nuovo governo

 

Un aereo cubano dirottato in Florida

 

Morti quattro volontari della Croce Rossa in Costa d’Avorio.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

20 marzo 2003

 

IL PROFONDO DOLORE DI GIOVANNI PAOLO II

ALLA NOTIZIA DELL’AVVIO DELLE OSTILITA’ IN IRAQ. LA SANTA SEDE DEPLORA L’INTERRUZIONE DELLE TRATTATIVE, MENTRE I CRISTIANI

DELLE COMUNITA’ CATTOLICHE E ORTODOSSE IRACHENE

SI PREPARANO A CONSACRARE IL PAESE MEDIORIENTALE ALLA “VERGINE DELLA PACE”

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

         In preghiera per il popolo iracheno. E’ iniziata così, nella quiete della sua cappella privata, la mattina di Giovanni Paolo II. Alle 7.00, ora consueta della sua celebrazione eucaristica, il Papa, informato dell’avvio delle ostilità nel Golfo Persico, ha offerto la Messa per la popolazione del Paese mediorientale, da lunghe settimane al centro della sua attenzione e dei suoi appelli. Appelli che fino all’ultimo istante - fino a ieri mattina - hanno tentato di far prevalere sulle armi la logica del dialogo e della riconciliazione.

 

Circa tre ore e mezzo prima della Messa del Pontefice, alle 5.30 del mattino, ora locale, i primi missili cruise lanciati sull’Iraq dalle navi statunitensi e i primi bombardamenti aerei avevano segnato l’inizio della seconda Guerra del Golfo. La prima offensiva, più mirata che massiccia, ha comunque visto Baghdad e altri centri del Paese mediorientale colpiti in alcuni siti definiti di “opportunità” dal comando americano. In tarda mattinata, il direttore della Sala Stampa vaticana, Navarro Valls, ha voluto esprimere il dolore e la condanna della Santa Sede per la nuova, drammatica pagina apertasi all’alba di oggi. Ecco le parole del portavoce vaticano, al microfono di Alessandro De Carolis:

 

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R. – La Santa Sede ha appreso con profondo dolore l’evolversi degli ultimi eventi in Iraq. Da una parte, lamenta che il governo iracheno non abbia raccolto le risoluzioni delle Nazioni Unite e lo stesso appello del Papa che chiedevano un disarmo del Paese. Dall’altra parte, deplora che si sia interrotta la via delle trattative secondo il diritto internazionale per una soluzione pacifica del dramma iracheno.

 

D. – Avete notizie, nel frattempo, sulla situazione della Chiesa cattolica in Iraq?

 

R. – Abbiamo qualche notizia: si apprende con soddisfazione che le varie istituzioni cattoliche in Iraq continuano a svolgere le loro attività di assistenza a quelle popolazioni e per contribuire a questa opera di solidarietà, come già avevo annunziato qualche giorno fa, anche la Nunziatura apostolica rimarrà aperta in questo periodo nella sua sede di Baghdad.

 

D. – Come ha accolto il Papa la notizia dell’avvio delle ostilità?

 

R. – Con profondo dolore. E’ stato informato molto presto, al mattino, e naturalmente con profondo dolore. Mi pare che queste siano le parole che rispecchiano i sentimenti del Santo Padre in quel momento.

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La notizia dell’attacco militare alla scadenza dell’ultimatum era stata preannunciata due giorni fa alla Santa Sede dal segretario di Stato americano, Colin Powell. Questi aveva telefonato personalmente al segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Jean Louis Tauran, per spiegargli la decisione statunitense. Ora, dunque, la campagna militare Operation Iraqi Freedom, operazione Libertà per l’Iraq, ha cominciato a ridisegnare gli equilibri dello scacchiere mediorientale. Prima di addentrarci nel complesso quadro politico-militare di queste prime ore di conflitto, ci soffermiamo per qualche istante sulle impressioni di uno dei protagonisti della diplomazia vaticana, il cardinale Pio Laghi che - inviato dal Papa dal presidente Bush alla vigilia della guerra per rilanciare in extremis il confronto parlato - non dissimula, al microfono di Alessandro Gisotti, la propria amarezza per le successive scelte dei Paesi belligeranti:

 

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R. – E’ uno spirito di profonda tristezza, perché la guerra è proprio la scelta sbagliata, la scelta peggiore. Ci sono tanti mali, ma questo è proprio il male peggiore. Non ce ne sono altri di questo tipo. Il mio pensiero va, prima di tutto, a coloro che sono in quella regione. Immagino mamme con i bambini in braccio. Immagino le loro sofferenze. I bambini chiederanno “perchè scappiamo da una parte all’altra?”. “Perché andiamo nei rifugi?”. “Ci potremo salvare?”. Tanta gente in preda al terrore: questo è quello che provoca la guerra. Il mio pensiero va a loro e va anche a quanti sono lì ad aiutare il popolo iracheno. Questi sono i pensieri. Spero, soprattutto, che non si allarghi il conflitto e non si arrivi all’uso di armi micidiali. Non ci sono barriere oggi. Non c’è un gruppo religioso e un gruppo etnico da una parte e un gruppo religioso e un gruppo etnico dall’altra parte. Sono molto triste. Naturalmente oltre alla tristezza c’è anche la preghiera che si innalza al Signore.

 

D. – Eminenza, lei è stato alla Casa Bianca come inviato speciale del Papa, come ambasciatore di pace. Perché il presidente americano non ha ascoltato le parole del Pontefice?

 

R. – E’ un perché che rimane per me un enigma. Io ho cercato di manifestare quella che era la profonda preoccupazione del Papa ed evitare che si ricorresse alla violenza. Naturalmente credo, e penso – lui me l’ha fatto capire – che il popolo americano viva ancora di quella sindrome dell’11 settembre 2001. E’ stata una ferita inferta al cuore ancora sanguinante degli Stati Uniti e, in larga parte della popolazione, ha prodotto un incubo, quasi che quell’attacco fosse uno dei primi e che potessero seguirne altri. Quindi, bisognava evitarlo. Purtroppo, però, loro hanno parlato di una guerra preventiva e questo non è giustificabile. Penso che Bush avesse ancora questa buona volontà di affidarsi a quei mezzi persuasivi per cui il presidente Saddam si affrettasse a far vedere che aveva distrutto le armi micidiali e disarmasse.

 

D. – La guerra in Iraq sta dividendo il mondo. Cosa fare ora per sanare queste profonde ferite?

 

R. – Adesso bisogna mettere mano a questo principio di solidarietà e soprattutto far leva sull’amore. Le Nazioni Unite sono in crisi. L’Europa stessa, l’Unione Europea è in crisi. E poi quello che mi preoccupa è in quello che noi cercavamo, cioè il dialogo fra il cristianesimo e l’islam, che si possa alzare una barriera, o meglio si approfondisca un fossato, per cui si renda difficile parlare fra popoli di una fede in Dio e che ci troviamo divisi perché la guerra, perché la violenza, perché l’ingiustizia ci dividono. Bisogna sanare soprattutto queste situazioni di ingiustizia esistenti. Non bisogna mai perderle di vista.

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          Intanto, in Iraq, come accennava il direttore della Sala Stampa vaticana, si registra un grande fermento in favore della pace. Le Chiese cristiane del Paese si sono mobilitate in preghiera, già prima che l’avvio del conflitto assumesse contorni definiti. E domani pomeriggio i patriarchi, vescovi, i sacerdoti e i fedeli delle Chiese latina, siriana e armena cattolica, insieme a quelle siriana ortodossa e assira, consacreranno solennemente l’Iraq alla Madonna, ponendolo sotto la sua protezione. La cerimonia si svolgerà, alle 18 ora irachena, nella cattedrale caldea di San Giuseppe a Baghdad, davanti alla statua della vergine pellegrina “Regina della pace”.

 

L’avvio della guerra segna sempre l’inizio o il rafforzamento di sentimenti di solidarietà, spirituale e materiale, con le popolazioni colpite. Dai vescovi australiani giunge oggi, in una nota, il richiamo alle parole del Papa e il rigetto della guerra preventiva. Il Patriarca di Venezia, Angelo Scola, invita alla preghiera “affinché il Dio della pace cambi il nostro cuore e quello degli attori del conflitto”. Un pensiero condiviso dal cardinale Roberto Tucci che, nell’intervista di Rosario Tronnolone, si sofferma sulle cause che hanno portato al conflitto:

 

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R. – Io credo innanzitutto che bisogna mettere un punto fermo sulle enormi responsabilità di Saddam Hussein non solo in questi ultimi tempi, ma in tutto il tempo del suo governo sull’Iraq e soprattutto da dopo la guerra del Golfo, perché non ha ottemperato alle decisioni dell’Onu e quindi ha reso la situazione tremendamente critica. Al tempo stesso, però, sono convito che non è stato fatto tutto quello che si poteva fare per evitare la guerra. Credo che sia una sconfitta non delle nostre preghiere, ma una sconfitta della ragione. E’ una sconfitta del Vangelo non nel senso che il Vangelo sia smentito, ma che il Vangelo non è compreso. Questa mattina, mentre celebravo la Messa, improvvisamente mi sono distratto per un momento e ho ricordato quella frase di Papa Giovanni negli ultimi giorni della sua vita, quando ebbe a dichiarare che non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio. E credo ci vorrà ancora del tempo per comprenderlo come si deve per quanto riguarda la pace.

 

D. – E veniamo invece all’atteggiamento degli Stati Uniti. Dicevamo che non è stato forse fatto tutto quello che si poteva fare per evitare la guerra ...

 

R. – Credo che quando si conoscerà tutto si vedrà che praticamente questa guerra era stata già decisa qualunque fosse il risultato delle ispezioni dell’Onu. Questo è grave, secondo me. Ma certamente con questo non voglio criticare l’America. Ho grande stima per gli americani, ho molti amici tra gli americani. Ricordo sempre la grande, ottima collaborazione con i vescovi e con gli esperti teologi americani durante il Concilio. Ricordo che è merito soprattutto del cattolicesimo americano, rappresentato dai loro vescovi, dai loro teologi, se il Concilio Vaticano ha approvato documenti dell’importanza di quello sulla libertà religiosa, o quello sul nuovo atteggiamento verso Israele, verso la religione ebraica. Vi sono grandi conquiste che dobbiamo all’America, oltre tutta la riconoscenza che dobbiamo per quello che l’America ha fatto soprattutto nell’ultima guerra mondiale e dopo la guerra mondiale. Ricordo che uno dei più grandi e alti momenti della politica estera americana è stato il Piano Marshall. Manco a dirlo era un militare, eppure è stato più ragionevole dei politici, è stato più politico dei politici. Però, si può dissentire, tanto è vero che nella stessa America – e questo è un grande pregio dell’America – si leggono articoli di critica alla politica attuale di Bush. C’è un’opinione pubblica che viene sondata attraverso i vari sondaggi, ma ci sono anche delle teste pensanti che criticano e la stampa americana – il Washington Post, il New York Times, ecc. – pubblica questi articoli. Questa è una grande cosa. Speriamo che anche durante la guerra, la libertà di stampa americana non si autocensuri troppo, come è successo nella Guerra del Golfo.

 

D. – Credo che ci sia un pericoloso atteggiamento di generalizzazione di antiamericanismo in questo periodo?

 

R. – Sì, però bisogna stare attenti perché l’antiamericanismo non farà bene a nessuno. Non farà certamente bene all’America, ma non farà bene neppure all’Europa e soprattutto è pericoloso perché indebolisce, in fondo, la forza dei Paesi democratici. Però bisogna stare attenti anche a non cadere in una specie di fondamentalismo chiamiamolo occidentale, perché sarebbe blasfemo chiamarlo cristiano. Non vorrei che alla fine si desse ragione a quella tesi, così discussa anche dagli storici e dai politologi, di Huntington – “The clash of civilizations” – e cioè che non c’è niente da fare: è inevitabile, ineluttabile lo scontro delle civiltà, cioè la civiltà chiamiamola occidentale - e non diciamo cristiana perché sarebbe anche questo piuttosto erroneo – e la civiltà islamica. Credo che invece questa guerra inasprisca piuttosto il contrasto e ci sia il pericolo nella politica attuale americana che si arrivi veramente sempre più ad uno scontro di civiltà che non gioverebbe a nessuno. Tra l’altro, credo che i primi a esserne colpevolizzati saranno i popoli del Medio Oriente, soprattutto il popolo palestinese. La situazione del confronto tra Israele e palestinesi non sarà certo migliorata da questa guerra.

 

D. – Lei prima accennava al Piano Marshall e quindi alla presenza di un militare che era stata in qualche modo positiva. Proprio nell’amministrazione Bush, la presenza di Colin Powell è stato uno degli atteggiamenti forse più umani all’interno di questa amministrazione ...

 

R. – Certamente, però era l’unico militare, in fondo, nelle alte sfere dell’am-ministrazione americana. Purtroppo non ce l’ha fatta, piano piano ha dovuto ripiegare. Comunque ho la mia ammirazione per questo uomo che, per lo meno, nella prima fase delle discussioni, ha avuto il coraggio di indurre ad atteggiamenti più prudenti. Adesso siamo davanti ad una situazione – diciamo – inevitabile perché la guerra è avvenuta, è una sconfitta della ragione, a mio parere; non è Dio che non ha ascoltato le nostre preghiere, ma siamo noi uomini che non abbiamo ascoltato la voce di tante persone, di tanti popoli che hanno reagito contro questa guerra; non hanno ascoltato le voci anche del diritto internazionale, perché questa guerra certamente è al di là di ogni legalità, di ogni legittimità, di ogni legittimazione internazionale e l’unico organismo che poteva darla è l’Onu. Certamente le conseguenze sono molto forti, perché è certamente un colpo notevole all’autorevolezza dell’Onu, l’unico ente che poteva mettere pace senza arrivare alla guerra. Si è, in un certo senso, distrutta: distrutta è esagerato, ma certamente è stata vulnerata, è stata ferita l’unità della Comunità Europea. Certamente si darà adito con questa guerra ad una più forte presa dei fondamentalisti islamici sulla massa dei popoli islamici. Le conseguenze sono molto gravi, ma adesso ci dobbiamo preoccupare piuttosto dell’immediato e del futuro. Nell’im-mediato, la grande preoccupazione del Papa, come di tutti noi cristiani e non cristiani, di persone che ragionano con la propria testa e che hanno ancora un cuore umano, è la preoccupazione per la popolazione civile, certamente anche la preoccupazione per i militari che moriranno da una parte e dall’altra. La popolazione civile certamente non è colpevole e inevitabilmente verrà colpita. Poi c’è tutta la tragedia immediatamente susseguente alla guerra, anzi comincia con la guerra e continua anche dopo la guerra: il disastro umanitario di un Paese già tanto colpito: la guerra con l’Iran, la guerra del Golfo, le sanzioni, eccetera. Qui vedremo se l’Onu veramente sarà capace di rivalersi almeno in questo momento dell’assistenza sanitaria. Ho letto oggi nel rapporto della Radio Vaticana sulla situazione pubblicato dal Radiogiornale della nostra Radio, come le istanze umanitarie abbiano chiesto cifre corrispondenti alla necessità, ma ne hanno raccolto per ora solamente un quarto o un quinto di quello che sembra necessario per l’assisten-za a quelli che rimarranno nel Paese e quelli che saranno i profughi nei vari Paesi circonvicini – se riusciranno a passare!

 

D. – Sono in molti a sostenere che il fondamentalismo islamico, il pericolo che questo potrebbe rappresentare, può essere fermato solo dall’islamismo moderato. Questo conflitto aiuterà o creerà problemi?

 

R. – Questo conflitto certamente indebolisce l’islamismo moderato, questo è ineluttabile. Quello che bisogna, però, guardare è se questa politica si ferma qui o continua. Veramente non vorrei enfatizzare una frase che, tutto sommato, mi è piaciuta in un editoriale di Luigi Geninazzi sull’Avvenire di qualche giorno fa, il quale parlava di ‘democrazia imperiale’. Però qualcosa di giusto c’è in questa frase e cioè: che una sola potenza, perché prevale dal punto di vista militare e dal punto di vista economico, possa imporsi senza nessuna convalida internazionale o senza un appoggio veramente ampio dell’opinione pubblica mondiale, possa assurgere ad arbitro di tutto. Il governo americano deve stare attento a questo perché non credo che sia un vantaggio per gli americani che si crei una situazione di aggressività antiamericana, in parte giustificata, in parte eccessiva oltre la ragione. Mi ricordo che quando ci fu l’11 settembre fui sorpreso con enorme ammirazione dal fatto che più di una rivista, di un settimanale importante americano intitolava un largo,molto obiettivo servizio “Perché ci odiano?”, “Why do they hate us?”. Bisognerebbe che anche su questo si riflettesse, che anche l’America rifletta su questo. Ed è importante che siano stati gli americani a cominciare, a fare questo processo. Speriamo che questo processo continui e che veramente il governo americano cerchi di riallacciare buoni rapporti con i Paesi con i quali adesso ha avuto contrasti per quanto riguarda questa guerra; che non sia un continuo andare avanti da soli, senza pesare le conseguenze sul piano umanitario, sul piano politico che questo comporta.

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UDIENZE E NOMINE

 

Il Papa ha ricevuto stamani in udienza l’arcivescovo filippino Osvaldo Padilla, nunzio apostolico in Nigeria.

 

Sempre questa mattina, il Pontefice ha ricevuto sei vescovi della Conferenza episcopale dell’Indonesia, in visita “ad Limina”.

 

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ciudad Real, in Spagna, presentata dal vescovo mons. Rafael Torija de la Fuente, per limiti di età. Come nuovo vescovo di Ciudad Real, Giovanni Paolo II ha quindi nominato il presule mons. Antonio Algora Hernando, finora vescovo di Teruel y Albarracìn.

 

In Argentina, il Papa ha accettato (in data 19 marzo) la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Alto Valle del Rio Negro, presentata dal vescovo salesiano mons. José Pedro Pozzi, per limiti di età. Il Pontefice ha quindi nominato vescovo di Alto Valle del Rio Negro il presule mons. Néstor Hugo Navarro, finora ausiliare di Bahìa Blanca.

 

In Colombia, il Santo Padre ha nominato vescovo di Arauca il sacerdote Carlos Germàn Mesa Ruiz, 59enne, del clero di Tunja, finora rettore  del Seminario maggiore.

 

Infine, il Santo Padre ha nominato ausiliare della diocesi di Suwon, in Corea, il sacerdote 51enne Mathias Lee Yong-Hoon, del clero locale, finora professore nel Seminario maggiore, elevandolo alla dignità vescovile.

 

 

LO “SPIRITO DELLA PRIMA ORA RIMANGA INTATTO” STIMOLANDOVI A

“PROGETTARE NUOVI E CORAGGIOSI INTERVENTI SULLE FRONTIERE DELLA CARITA”.

QUESTO L’INVITO DEL PAPA AI RELIGIOSI DI DON ORIONE,

IN OCCASIONE DEL PRIMO CENTENARIO DELL’APPROVAZIONE

DELLA PICCOLA OPERA DELLA DIVINA PROVVIDENZA

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

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“Impegno primario di ogni consacrato, è tendere alla santità”. Questa l’esortazione di Giovanni Paolo II nel messaggio indirizzato a don Roberto Simionato, direttore generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, in occasione del primo centenario dell’approvazione canonica dell’Istituto. Il documento, datato 8 marzo 2003 e diffuso oggi, rievoca la vita del fondatore dell’Opera, don Luigi Orione, allievo di Don Bosco e dedito nel corso di tutta la sua esistenza, lunga 68 anni, all’educazione dei fanciulli e all’assistenza ai più deboli. Scriveva in una lettera del 1897: “All’ombra di ogni campanile sorgerà una scuola cattolica, all’ombra di ogni croce un ospedale”.

 

Nel 1903 finalmente il vescovo di Tortona decretò la costituzione della congregazione religiosa maschile dei Figli della Divina Provvidenza, a cui seguirono la nascita delle Piccole Suore missionarie della Carità ed i più recenti Istituto Secolare Orionino e Movimento Laicale Orionino. Il Papa invita la famiglia di don Orione ad affrontare le “nuove situazioni e le vicende quotidiane” della vita contemporanea con la stessa creatività, tenacia  e volontà che caratterizzarono l’intera vicenda umana e spirituale di don Orione. “Guardare al futuro, nel quale lo Spirito proietta per fare ancora cose grandi”. Si legge nel documento: “Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Gli Istituti sono invitati a riproporre con coraggio l’intraprendenza, l’inventiva e la santità dei fondatori come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi”.

 

Un appello dunque alla “perseveranza nel cammino della santità attraverso le difficoltà che segnano le vicende quotidiane”. Un’esortazione alla “fedeltà creativa in un mondo che cambia, per camminare, come amava ripetere don Orione,  ‘alla testa dei tempi’”. “Non abbiate paura – prosegue il Santo Padre – a ricercare con paziente costanza questa ‘misura alta’ della vita cristiana”, non accontentatevi “di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale”. Sono le parole dello stesso don Orione ai suoi religiosi a concludere il messaggio per il primo centenario dall’approvazione della sua Opera: “Tutta la vostra vita sia sacra a dare Cristo al popolo e il popolo alla Chiesa di Cristo; arda essa e splenda di Cristo, e in Cristo si consumi in una luminosa evangelizzazione dei poveri; la nostra vita e la nostra morte siano un cantico dolcissimo di carità, e un olocausto al Signore”.

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SUOR CARITA’, LA PROSSIMA BEATA SVIZZERA, AL SECOLO CAROLINA BRADER,

 INVITTA MISSIONARIA TRA GLI INDIGENI DI AMERICA LATINA

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Nata nel 1860 a Kaltbrunn, in Svizzera, e dotata di un’intelligenza fuori dal comune, la piccola Carolina modellò il suo cuore con una solida formazione cristiana, un intenso amore a Gesù Cristo ed un’affettuosa devozione alla Vergine Maria. Quando il mondo rifulgeva davanti a lei attraendola con tutte le sue lusinghe, la voce di Cristo cominciò a farsi sentire nel suo cuore e decise di abbracciare la vita consacrata. Il primo marzo 1881 vestì l’abito Francescano, ricevendo il nome di Maria Carità dell’Amore dello Spirito Santo. Grazie alla sua preparazione pedagogica, fu destinata all’insegnamento nel collegio unito al monastero di Alstätten.

 

Nel 1888 Suor Carità e sei compagne partirono missionarie per Chone, in Ecuador. Nel 1893, dopo un duro lavoro e aver catechizzato innumerevoli gruppi di bambini, fu destinata alla fondazione di Tuquerres, in Colombia. Lì manifestò il suo ardore missionario: amava gli indigeni e non lesinava alcuno sforzo per raggiungerli, sfidando la furia delle onde dell’oceano, le intricate selve ed il freddo intenso degli altipiani. Il suo zelo non conosceva riposo. La preoccupavano soprattutto i più poveri, gli emarginati, coloro che ancora non conoscevano il Vangelo.

 

Di fronte all’urgente necessità di trovare più missionarie per un così vasto campo di apostolato, appoggiata dal religioso tedesco Reinaldo Herbrand, fondò nel 1894 la Congregazione delle Francescane di Maria Immacolata, che si fornì all’inizio di giovani svizzere le quali, guidate dallo zelo missionario, seguirono l’esempio di Suor Carità. A quelle si unirono subito le vocazioni autoctone, soprattutto della Colombia, che ingrossarono le file del nascente Istituto e si estesero in vari paesi. Nel 1933 la Congregazione ottenne l’approvazione pontificia.

 

Nella sua attività apostolica, Suor Carità seppe amalgamare molto bene la contemplazione e l’azione. Esortava le sue figlie ad una preparazione accademica efficiente ma “senza che si spegnesse lo spirito della santa orazione e devozione”. Indirizzò il suo apostolato principalmente verso l’educazione, soprattutto negli ambienti poveri ed emarginati. Le fondazioni si susseguirono ovunque la necessità lo richiedeva. Quando si trattava di seminare il seme della Buona Novella, non esistevano per lei frontiere né alcun ostacolo.

 

Anima eucaristica per eccellenza, trovò in Gesù Sacramentato i valori spirituali che dettero calore e senso alla sua vita. Sospinta da questo amore a Gesù Eucaristia, mise tutto il suo impegno nell’ottenere il privilegio dell’Adorazione Perpetua diurna e notturna, che lasciò come il patrimonio più stimato alla sua comunità, insieme con l’amore e la venerazione ai sacerdoti come ministri di Dio.

 

Ad 82 anni, presentendo la morte, esortava le sue figlie: “Me ne vado; non lasciate le buone opere che sono nelle mani la Congregazione: l’elemosina e la molta carità verso i poveri, grandissima carità tra le suore, l’adesione ai vescovi ed ai sacerdoti”. Il 27 febbraio 1943, aveva 82 anni, fu l’ultimo giorno della sua vita. Appena si diffuse la notizia della sua morte, cominciò a passare davanti ai suoi resti mortali un’interminabile processione di devoti che chiedevano reliquie e si raccomandavano alla sua intercessione. Ai funerali la gente diceva: “E’ morta una santa”. La sua tomba è meta costante di devoti che l’invocano per le loro necessità.

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IERI A GINEVRA L’INCONTRO TRA IL CARDINALE KASPAR E IL METROPOLITA KYRILL

 PER GUARDARE INSIEME AI PROBLEMI ESISTENTI TRA CATTOLICI E ORTODOSSI RUSSI

 

Il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani  ha diffuso oggi un comunicato in cui informa di un incontro avvenuto ieri, 19 marzo 2003, a Ginevra tra il cardinale Walter Kasper, presidente di questo dicastero della Santa Sede, e sua eminenza Kyrill, metropolita di Smolensk e Kaliningrad e presidente del dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato ortodosso di Mosca. Insieme hanno discusso della situazione delle relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa. Durante la conversazione i due hanno concordato di tenere ulteriori consultazioni nell’intenzione di risolvere i problemi esistenti tra le due Chiese.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Così stigmatizza la prima pagina: “La follia della guerra”.

Poco dopo la scadenza dell’ultimatum, un primo bombardamento statunitense colpisce Baghdad. Le Forze armate irachene per ritorsione lanciano alcuni missili “Scud” sul territorio del Kuwait. 

Una giornata triste e dolorosa per la Comunità internazionale.

 

Nelle vaticane, il Messaggio del Papa in occasione del centenario dell’approva-zione canonica della Piccola Opera della Divina Provvidenza.

Una pagina dedicata all’importante ricorrenza.

L'omelia dell'arcivescovo Schleck durante la Santa Messa in occasione della solennità di San Giuseppe.

Un articolo di Fidel Gonzalez Fernandez dal titolo “Il santuario di Guadalupe, cuore cattolico dell'America”: un simposio a Roma organizzato presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: positive valutazioni internazionali sulla nomina del premier palestinese.

Operazione militare contro “Al Qaeda” nel Sud dell’Afghanistan.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Angelo Mundula dal titolo “Il mondo è folle ma noi possiamo non esserlo”: di fronte ai paradossi della vita umana.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica in riferimento all’Iraq.

Scioperi, veglie e manifestazioni contro la guerra in varie città.

 

 

 

 

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CHIESA E SOCIETA’

20 marzo 2003

 

CIRCA 333 MILA EURO SONO STATI DONATI DURANTE IL 2002

AL SANTUARIO MARIANO DI FATIMA. UNA SOMMA CHE HA PERMESSO DI PORTARE

AIUTI CONCRETI ALLE POPOLAZIONI SOFFERENTI IN VARIE PARTI DEL MONDO

 

FATIMA. = La carità dei pellegrini al Santuario di Fatima è preziosa per le popolazioni che soffrono. Il Santuario mariano ha diffuso ieri la lista dei Paesi che nel 2002 hanno beneficiato delle offerte ricevute durante le celebrazioni religiose. Il Santuario – secondo fonti di agenzia – ha ricevuto complessivamente circa 333 mila euro. Il denaro è stato destinato a varie istituzioni ed opere di carità come la campagna contro la fame in Angola (99 mila euro), gli aiuti ai bambini del Mozambico (70 mila euro), il sostentamento delle missioni (30 mila euro) e il finanziamento delle comunicazioni sociali della Chiesa cattolica (19 mila euro). A queste somme si aggiungono le offerte dirette da parte di privati. Una parte di queste è stata destinata agli aiuti umanitari per Timor Est (circa 1.700 euro), per la Guinea Bissau (5 mila euro) e per i bambini afgani (circa 4.700 euro). (M.A.)

 

 

L’UNICEF HA LANCIATO IERI UN APPELLO PER POTENZIARE GLI INVESTIMENTI

IN FAVORE DELL’ISTRUZIONE IN AFGHANISTAN. NEL MESSAGGIO SI ESPRIME

PREOCCUPAZIONE PER IL NON ACCESSO O L’ABBANDONO

DEL SISTEMA SCOLASTICO DA PARTE DELLE BAMBINE AFGANE

 

NEW YORK. = Nonostante la fine del regime dei talebani, in Afghanistan l’accesso all’istruzione scolastica per le donne è ancora rischio. L’appello è stato lanciato ieri dall’Unicef, che ha chiesto un potenziamento degli investimenti in favore dell’educazione femminile. La prossima settimana è previsto il lancio della seconda “Campagna nazionale di ritorno alla scuola”, attraverso la quale milioni di bambini potranno accedere ad un’istruzione scolastica adeguata, ma l’Unicef lamenta il basso numero di iscrizioni delle bambine, specialmente nella scuola elementare. Quest’anno perciò la campagna mirerà ad evitare che le bambine saltino o abbandonino l’istruzione scolastica. Da quando ha cominciato ad operare sul territorio afgano, l’Unicef ha distribuito circa 10 mila tonnellate di materiale didattico (libri, quaderni, penne, banchi, lavagne) a favore di più di 50 mila maestri e 4 milioni di alunni ed ha organizzato corsi di formazione ed aggiornamento per gli insegnati. Nel messaggio diffuso ieri l’Unicef ha attirato anche l’attenzione sulle strutture sanitarie all’interno degli edifici scolastici. Circa il 60 per cento delle 700 scuole afgane infatti non sono provviste di ambulatori adeguati a prestare assistenza agli alunni. (M.A.)

 

 

FORTE INTERVENTO DELL’EPISCOPATO THAILANDESE SULLA CONDIZIONE DELLE DONNE NEL CONTINENTE ASIATICO. I PRESULI DENUNCIANO LO SFRUTTAMENTO

E LA DISCRIMINAZIONE DI CUI LE DONNE SONO VITTIME

 

BANGKOK. = La Conferenza episcopale della Thailandia ha espresso con una Lettera pastorale la propria vicinanza nei confronti delle donne sfruttate e discriminate nel continente asiatico. Il presidente della Commissione per la donna dell’episcopato, mons. Lawrence Thienchai Samanchit, vescovo di Chanthaburi ed autore del documento, ha invitato i cattolici a non restare passivi di fronte alla violenza di cui tante donne sono vittime. “Discriminazione e violenza cominciano già in casa – scrive il presule – e continuano sul luogo di lavoro e perfino dentro il sistema legale: molte donne sono trattate semplicemente come un oggetto, nella prostituzione, nel turismo e nell’industria dello spettacolo”. “Il contributo della donna – lamenta il presule – è stato con frequenza disprezzato o ignorato, fatto che ha portato un impoverimento spirituale dell’umanità”. Attraverso il richiamo dell’Esortazione apostolica “Ecclesia in Asia”, nella quale Giovanni Paolo II esprimeva la preoccupazione della Chiesa per la condizione della donna nel continente, mons. Thienchai Samanchit esorta tutte le Chiese asiatiche alla promozione di attività che tutelino i diritti e la dignità della donna. In Thailandia l’episcopato si è attivato già nel 2000, grazie alla creazione della Commissione di cui mons. Thienchai Samanchit è presidente. Iniziative per un maggiore coinvolgimento delle donne nella vita della Chiesa, corsi per sensibilizzare i sacerdoti ad una pastorale specifica per le donne e la promozione ed il sostegno di cooperative sono alcune delle attività che la Commissione porta avanti. Non è un caso che queste proposte vengano dalla Thailandia. Nel Paese asiatico la prostituzione rende schiave circa 2 milioni di donne, sfruttate dal turismo ed abbandonate ad ogni sorta di violenza e precarietà. La Thailandia è uno dei paesi asiatici più colpiti dall’Aids, prima causa di mortalità nel Paese. (M.A.)

 

LA CONGREGAZIONE MISSIONARIA DELLO SPIRITO SANTO FESTEGGIA

25 ANNI DI PRESENZA IN PAKISTAN. UN MISSIONE ISPIRATA

DAI VALORI EVANGELICI E DAL DIALOGO INTERRELIGIOSO

 

LAHORE. = I missionari Spiritani festeggiano in questi giorni il 25.mo anniversario della loro presenza in Pakistan. Furono inviati dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli su richiesta della Conferenza episcopale locale e, dopo due anni, il vescovo di Multan gli affidò la cura della parrocchia di Rahim yar Khan, nel Punjab. L’anniversario offre quindi la possibilità di tracciare un bilancio del servizio svolto. I missionari operano in una zona molto povera, abitata anche dalla tribù dei marwari bheel, popolazione di religione indù discriminata per casta, colore della pelle, religione e occupazioni. Nel corso di questi anni sono riusciti a ricevere la stima e l’apprezzamento di questa comunità e di quella islamica. Dialogo e solidarietà, ascolto e sollecitudine, sono stati costanti punti di riferimento della loro missione. Con la tribù dei marwari bheel i missionari si impegnano soprattutto per istruzione, cure mediche, formazione professionale delle donne e, naturalmente, dialogo interreligioso. Nei confronti della comunità cattolica i missionari si occupano invece dell’assistenza spirituale di circa 1.500 famiglie cattoliche. La pastorale consiste nella visita regolare alle famiglie, nella catechesi, e nella presenza nelle scuole e negli ospedali. I missionari inoltre mettono grande impegno nella formazione del laicato: gestiscono corsi biblici, seguono alcuni movimenti ecclesiali e guidano gruppi di studio di teologia. (M.A.)

 

IN SRI LANKA I CATTOLICI DI JAFFNA POTRANNO RITORNARE SULL’ISOLA DI PALAITHIVO PER FESTEGGIARE SANT’ANTONIO. CON IL PROCESSO DI PACE IN CORSO

L’ESERCITO CINGALESE HA REVOCATO IL BANDO DI ACCESSO ALL’ISOLA

IMPOSTO AI TEMPI DELLA GUERRA CIVILE

 

JAFFNA. = Il processo di pace in corso da oltre un anno in Sri Lanka tra il governo e i ribelli delle “Tigri per la liberazione della patria Tamil” (Ltte) porta benefici alla minoranza cattolica del Paese asiatico. Dopo una richiesta presentata dall’episcopato di Jaffna - città settentrionale teatro di vari scontri durante la guerra - l’esercito cingalese ha deciso in questi giorni di togliere il ventennale bando alle visite a Palaithivu, isoletta nella laguna di Jaffna dove per lungo tempo si svolgeva una festa in onore di Sant’Antonio. Dopo anni di divieto, le autorità hanno concesso l’accesso alla piccola isola. L’episcopato di Jaffna si sta ora organizzando per tenere i festeggiamenti il prossimo 23 marzo. Per accedere all’isola i fedeli dovranno munirsi di un permesso assegnato dall’esercito. I cristiani in Sri Lanka sono circa l’8 per cento della popolazione, mentre la maggioranza (69 per cento) è buddista ed un altro 15 per cento è induista. Nel 1983 le “Tigri per la liberazione della patria Tamil”, di religione induista, iniziarono una lotta armata contro la maggioranza cingalese e buddista per uno Stato autonomo nel nord e nell’est del Paese. A seguito del processo di pace, le “Tigri” dichiararono la loro disponibilità ad accettare una proposta politica di tipo federalista. (M.A.)

 

 

LA CITTA’ DI PARMA SI PREPARA AD OSPITARE A SETTEMBRE

UNA MOSTRA SUL MEDIOEVO EUROPEO,  CHE TROVA NEL CRISTIANESIMO

IL FILO CONDUTTORE.  LA RASSEGNA E’ CURATA DALLO STUDIOSO JACQUES LE GOFF,

 

PARMA. = Capolavori d’arte ma anche oggetti della vita quotidiana, manoscritti, sigilli, arazzi, candelabri, miniature, opere di diversa natura e provenienza, sono stati scelti per la Mostra “Il medioevo europeo di Jacques Le Goff” che sarà inaugurata a Parma il 27 settembre dal presidente della Commissione europea Romano Prodi. Il palazzo della Pilotta ospiterà la sintesi della ricerca  di uno dei più importanti studiosi del Medioevo come Le Goff, in una esposizione che racchiuderà l’essenza stessa dell’Europa, le sue origini, i tratti comuni delle Nazioni che la compongono, i passaggi storici che ne hanno caratterizzato la  nascita, lo sviluppo, la presa di coscienza dell'unitarietà attraverso il filo conduttore del Cristianesimo. “Fin dalle sue origini l' Europa - ha scritto Le Goff dimostra che l’unità può nascere dalla diversità delle nazioni: nazioni europee e unità europea sono legate”. E attorno agli oggetti saranno allestite gigantografie di monumenti e spazi, delle cattedrali gotiche, di chiostri romanici, di palazzi comunali, edifici e chiese scelti in parti diverse del continente, spesso lontanissime tra loro, eppure caratterizzati da aspetti sorprendentemente comuni, come un portale, un bassorilievo, la figura di un santo o di un angelo. Il percorso espositivo è allestito dal comitato scientifico presieduto dallo stesso Le Goff e composto, oltre che dal Soprintendente per il Patrimonio storico e artistico di Parma e Piacenza, anche da esperti di altri spazi espositivi, tra cui il Museo nazionale del medioevo di Parigi, l'Historical Museum of Gotland, il Victorian & Albert Museum di Londra, il Nacional d'Art de Catalunya di Barcellona. Alla mostra, aperta fino al 31 gennaio 2004, faranno da corollario conferenze, percorsi di visite e laboratori didattici. (R.G.)

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

20 marzo 2003

 

 

CON IL LANCIO DI MISSILI CRUISE SU BAGHDAD, E’ INIZIATA NELLA NOTTE

 LA SECONDA GUERRA DEL GOLFO. DURE REAZIONI DEI PAESI, CHE, IN QUESTI MESI,

SI SONO IMPEGNATI A TROVARE UNA SOLUZIONE PACIFICA ALLA CRISI IRACHENA

 

- Servizio di Alessandro Gisotti -

        

Il tempo della pace nel Golfo Persico si è esaurito purtroppo questa notte, quando i primi missili americani cruise hanno colpito Baghdad. Una guerra di liberazione, nelle parole di George Bush. Un atto criminale per Saddam Hussein. Secondo il ministro dell'informazione iracheno, i raid hanno provocato un morto e due feriti, ma non hanno colpito obiettivi strategici. La risposta irachena, d’altro canto, non si è fatta attendere: nella mattinata, sei scud sono stati lanciati contro il territorio kuwaitiano, dove è stanziato il grosso delle truppe statunitensi. Tuttavia, Baghdad ha dichiarato che l’Iraq non avrebbe bombardato il Kuwait con missili scud in quanto non ne possiederebbe. Come previsto, l’inizio della seconda Guerra del Golfo, è stato annunciato dal presidente americano con un discorso alla nazione, come ci riferisce da New York Paolo Mastrolilli:

 

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IN THESE HOURS AMERICAN ...

“Sotto mio ordine le forze della coalizione hanno cominciato a colpire obiettivi selezionati di importanza militare per diminuire la capacità di Saddam Hussein di combattere”. Con queste parole alle 10.15 di ieri sera a Washington il presidente Bush ha annunziato l’inizio della guerra in Iraq. Il conflitto non è cominciato con la pioggia di bombe del ’91, ma con una serie di attacchi mirati contro lo stesso Saddam e la leadership del Paese. Circa 40 missili a guida satellitare sono stati lanciati dalle navi nel Golfo Persico, nel Mar Rosso, mentre i bombardieri invisibili F117 sorvolavano la capitale. L’attacco iniziale aveva proprio lo scopo di decapitare la leader-ship per accorciare i tempi del conflitto, ma Saddam è sopravvissuto e si è rivolto alla popolazione con un discorso televisivo, in cui ha accusato Bush di essere il nemico di Dio e dell’umanità e ha inneggiato alla guerra santa contro i sionisti. Quindi, ha incitato la popolazione a resistere, promettendo la vittoria e l’umiliazione degli infedeli invasori. La campagna vera e propria con le centinaia di bombe nelle prime ore per scoraggiare l’esercito iracheno, e l’invasione di terra per prendere il controllo del Paese, potrebbe cominciare ora in qualsiasi momento. Bush ha detto che lo scopo dell’offensiva è disarmare l’Iraq e liberare la popolazione dalla dittatura. Quindi, ha aggiunto che gli Stati Uniti useranno tutta la loro forza e non accetteranno altro risultato che la vittoria.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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L’attacco su Baghdad ha provocato immediate reazioni politiche in tutto il mondo. La Francia, ha detto Chirac, si “rammarica” per un’azione militare intrapresa senza l’avallo delle Nazioni Unite, auspicando che la guerra sia breve. Stesso tono nelle dichiarazioni del Cremlino: Putin ha definito l’attacco uno “sbaglio politico” che può mettere a repentaglio “l’intero sistema della sicurezza internazionale”. Dal canto suo, il governo cinese ha chiesto la fine immediata delle operazioni militari, definendo l’attacco americano una “violazione della Carta dell’Onu e delle leggi internazionali”. Per il cancelliere tedesco, Schroeder, “la guerra é sempre la sconfitta della politica”. A Bruxelles, dove oggi si tiene un Vertice dei leader dell’Unione europea, Prodi ha affermato che questo “è un giorno triste e cupo per tutte le nazioni del mondo”. Il presidente della Commissione europea ha, inoltre, esortato tutti a “pregare perché la guerra sia breve e meno sanguinosa possibile”. Un auspicio espresso anche dal premier italiano Berlusconi. Ribadito, intanto, in queste ore il sostegno all’operazione militare anglo-americana da parte dei governi di Spagna, Bulgaria, Australia, Giappone e Afghanistan. Ma torniamo alle drammatiche ore dell’attacco, attraverso la testimonianza, da Baghdad, di Alberto Negri, inviato speciale del Sole-24-Ore:

 

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R. - Era già quasi l’alba. Il cielo era chiaro. I colpi delle contraeree sono stati nutriti, ma molto brevi. Ci sono stati tre attacchi differenti, ma molto concentrati. Alla fine, forse, non ci sono stati più di 20-25 minuti in totale di bombardamenti. Per quanto ne sappiamo non sono stati colpiti obiettivi in città, se non forse un palazzo di Saddam Hussein. Ma la zona della riva destra del Tigri, quella dove si concentrano alcuni dei palazzi principali del rais, la sede della polizia segreta, la sede del partito Baath, quella zona non è stata ancora colpita, e lì si trova il simbolo e il cuore del potere di Saddam. L’impressione è proprio quella che questa notte invece di un bombardamento massiccio siano state mandate delle ‘punture di spillo’, dei messaggi attraverso queste bombe, forse per saggiare la capacità di resistenza del regime ed aspettare un po’ prima di scatenare un vero e proprio attacco. Certo, se si procedesse a questo ritmo ci vorrebbero dei mesi prima di finire questa guerra, e credo che invece dovremo aspettarci ben altro nei prossimi giorni.

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Proprio stamani, il ministro della difesa britannico Hoon ha dichiarato che non bisognerà aspettare molto per un’azione militare più ampia, sottolineando che truppe di terra anglo-americane sono posizionate lungo il confine fra il Kuwait e l'Iraq pronte per entrare in azione. Sempre Hoon ha però riconosciuto la “guerra potrebbe non essere breve”. Secondo l’emittente Sky News, inoltre, due divisioni dell’esercito iracheno, nel sud del Paese, sarebbero pronte ad arrendersi. Stamani, tuttavia, Uday Hussein, figlio maggiore del rais ha chiamato i suoi miliziani a prepararsi al “martirio” nella guerra contro gli americani. Un appello che secondo  Latif Al Saadi - rifugiato politico iracheno, sfuggito alle persecuzioni di Saddam Hussein - non sarà raccolto dall’esercito dell’Iraq:

 

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R. – L’esercito iracheno, soldati, ufficiali, sottoufficiali, non combatteranno per far rimanere al potere Saddam Hussein. Io credo che Saddam abbia realizzato un piano di guerra urbana, quartiere per quartiere, strada per strada. Ha terrorizzato la gente, soprattutto, spingendola a non uscire e a non fare altre rivolte, tranne quella parte speciale della guardia repubblicana. 

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Un altro fronte caldo della crisi irachena è Israele, che nel guerra del Golfo del 1991 fu colpito da missili iracheni. Sullo spirito con il quale la popolazione sta vivendo questi momenti, ascoltiamo Guido Olimpio, corrispondente del Corriere della Sera a Gerusalemme, raggiunto telefonicamente da Giada Aquilino:

 

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R. – Per ora i programmi della giornata, della vita quotidiana, sono intatti, nel senso che le scuole sono dichiarate aperte. Ovviamente c’è molta vigilanza, molta sorveglianza, e si possono sentire in cielo i passaggi ripetuti dei caccia. Il ministero della difesa ha annunciato che il Paese sarà pattugliato 24 ore su 24 per evitare eventuali incursioni di aerei iracheni.

 

D. - La popolazione vive questa paura e questo timore di possibili ritorsioni irachene sullo Stato ebraico?

 

R. – Non eccessivamente, rispetto al ’91. Anzi direi che la maggioranza dell’opinione pubblica ritiene che non ci sia pericolo. Però c’è una vigilanza continua. E soprattutto il timore maggiora va agli attentati terroristici. Infatti tutte le ambasciate, i consolati e gli obiettivi israeliani all’estero sono stati messi in stato di allerta e sono state rafforzate le misure di sicurezza.

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         Se, dunque, la guerra è ormai iniziata, non si ferma tuttavia l’azione dei pacifisti, che, in ogni angolo del mondo, stanno organizzando iniziative di protesta contro l’intervento armato in Iraq. Negli Stati Uniti, centinaia di persone hanno manifestato davanti alla Casa Bianca, ma anche a Boston e Los Angeles. Imponente la mobilitazione in tutta Europa: in migliaia sono già scesi in piazza ad Atene, Berlino, Vienna, Roma e Londra, ma anche in Australia e in India. Stamani, intanto, si è svolta una manifestazione spontanea di sostegno all'Iraq nella cittadina palestinese di Beit Hannun, nella striscia di Gaza.

 

 

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24 ORE NEL MONDO

20 marzo 2003

 

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

 

Gli Stati Uniti, pur impegnati sul fronte iracheno, continuano anche a perseguire l’obiettivo della lotta al terrorismo con la caccia ad Osama Bin Laden. In Afghanistan numerosi raid si sono concentrati nel sud del Paese e nel mirino ci sarebbero vertici e militanti di Al Qaeda. Stamani, inoltre, il mullah Omar - capo supremo del destituito regime talebano - ha esortato il popolo iracheno ad unirsi alla Jihad contro il nemico americano.

 

Il premier palestinese incaricato, Abu Mazen, avvia oggi le consultazioni per la formazione del nuovo governo dell'Anp, dopo aver accettato la nomina da parte del presidente Yasser Arafat. Il neopremier consulterà per primi i membri del Comitato esecutivo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina e quindi tutte le forze politiche e le personalità nazionali palestinesi, oltre ai  parlamentari del Consiglio legislativo, il parlamento palestinese.

 

Le autorità cubane hanno confermato il dirottamento di un DC-3 della compagnia aerea dell’Avana in un aeroporto della Florida, negli Stati Uniti. L'aereo, con 35 persone a bordo, 23 passeggeri, 6 membri d'equipaggio e 6 pirati dell'aria, era in volo ieri sera dall’Isola della Gioventù, 100 chilometri a sud dell'Avana, alla capitale  cubana.

 

In Costa d’Avorio sono stati ritrovati senza vita quattro volontari della locale Croce Rossa. Gli impiegati erano scomparsi il 12 gennaio scorso. Ignote le cause della loro morte.

 

Ci spostiamo in Italia. E’ salito a tre il numero delle persone decedute nel crollo di un palazzo nella città toscana di Livorno. L’edificio è parzialmente crollato ieri in seguito all’esplosione causata da una fuga di gas. Quattro i feriti.

 

Continua il timore per la diffusione della polmonite atipica. Sono 264 i casi di malattia accertati e nove i morti, secondo l'ultimo bollettino dell'Organizzazione mondiale della sanità. Il maggior numero di infezioni si registra a Hong Kong con 150 casi di infezione.

 

 

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