RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 79 - Testo della
Trasmissione giovedì 20 marzo 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Intervento dell’episcopato
thailandese sulla condizione delle donne nel continente asiatico
La Congregazione missionaria
dello Spirito Santo festeggia 25 anni di presenza in Pakistan
A settembre, mostra sul medioevo
europeo a Parma.
Il premier incaricato
palestinese Abu Mazen avvia le consultazioni per la formazione del nuovo
governo
Un aereo cubano dirottato
in Florida
Morti quattro volontari
della Croce Rossa in Costa d’Avorio.
20 marzo 2003
IL PROFONDO DOLORE DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA
NOTIZIA DELL’AVVIO DELLE OSTILITA’ IN IRAQ. LA SANTA SEDE DEPLORA
L’INTERRUZIONE DELLE TRATTATIVE, MENTRE I CRISTIANI
DELLE
COMUNITA’ CATTOLICHE E ORTODOSSE IRACHENE
SI
PREPARANO A CONSACRARE IL PAESE MEDIORIENTALE ALLA “VERGINE DELLA PACE”
- A
cura di Alessandro De Carolis -
In preghiera per il popolo iracheno. E’
iniziata così, nella quiete della sua cappella privata, la mattina di Giovanni
Paolo II. Alle 7.00, ora consueta della sua celebrazione eucaristica, il Papa,
informato dell’avvio delle ostilità nel Golfo Persico, ha offerto la Messa per
la popolazione del Paese mediorientale, da lunghe settimane al centro della sua
attenzione e dei suoi appelli. Appelli che fino all’ultimo istante - fino a
ieri mattina - hanno tentato di far prevalere sulle armi la logica del dialogo
e della riconciliazione.
Circa
tre ore e mezzo prima della Messa del Pontefice, alle 5.30 del mattino, ora
locale, i primi missili cruise lanciati sull’Iraq dalle navi
statunitensi e i primi bombardamenti aerei avevano segnato l’inizio della
seconda Guerra del Golfo. La prima offensiva, più mirata che massiccia, ha
comunque visto Baghdad e altri centri del Paese mediorientale colpiti in alcuni
siti definiti di “opportunità” dal comando americano. In tarda mattinata, il
direttore della Sala Stampa vaticana, Navarro Valls, ha voluto esprimere il
dolore e la condanna della Santa Sede per la nuova, drammatica pagina apertasi
all’alba di oggi. Ecco le parole del portavoce vaticano, al microfono di
Alessandro De Carolis:
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R. – La Santa Sede ha appreso con profondo dolore
l’evolversi degli ultimi eventi in Iraq. Da una parte, lamenta che il governo
iracheno non abbia raccolto le risoluzioni delle Nazioni Unite e lo stesso
appello del Papa che chiedevano un disarmo del Paese. Dall’altra parte, deplora
che si sia interrotta la via delle trattative secondo il diritto internazionale
per una soluzione pacifica del dramma iracheno.
D. – Avete notizie, nel frattempo, sulla situazione della
Chiesa cattolica in Iraq?
R. – Abbiamo qualche notizia: si apprende con
soddisfazione che le varie istituzioni cattoliche in Iraq continuano a svolgere
le loro attività di assistenza a quelle popolazioni e per contribuire a questa
opera di solidarietà, come già avevo annunziato qualche giorno fa, anche la
Nunziatura apostolica rimarrà aperta in questo periodo nella sua sede di
Baghdad.
D. – Come ha accolto il Papa la notizia dell’avvio delle
ostilità?
R. – Con profondo dolore. E’ stato informato molto presto,
al mattino, e naturalmente con profondo dolore. Mi pare che queste siano le
parole che rispecchiano i sentimenti del Santo Padre in quel momento.
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La notizia dell’attacco militare
alla scadenza dell’ultimatum era stata preannunciata due giorni fa alla Santa
Sede dal segretario di Stato americano, Colin Powell. Questi aveva telefonato
personalmente al segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Jean
Louis Tauran, per spiegargli la decisione statunitense. Ora, dunque,
la campagna militare Operation Iraqi Freedom, operazione Libertà per
l’Iraq, ha cominciato a ridisegnare gli equilibri dello scacchiere
mediorientale. Prima di addentrarci nel complesso quadro politico-militare di
queste prime ore di conflitto, ci soffermiamo per qualche istante sulle
impressioni di uno dei protagonisti della diplomazia vaticana, il cardinale Pio
Laghi che - inviato dal Papa dal presidente Bush alla vigilia della guerra per
rilanciare in extremis il confronto parlato - non dissimula, al microfono di
Alessandro Gisotti, la propria amarezza per le successive scelte dei Paesi
belligeranti:
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R. – E’ uno spirito di profonda tristezza, perché la
guerra è proprio la scelta sbagliata, la scelta peggiore. Ci sono tanti mali,
ma questo è proprio il male peggiore. Non ce ne sono altri di questo tipo. Il
mio pensiero va, prima di tutto, a coloro che sono in quella regione. Immagino
mamme con i bambini in braccio. Immagino le loro sofferenze. I bambini
chiederanno “perchè scappiamo da una parte all’altra?”. “Perché andiamo nei
rifugi?”. “Ci potremo salvare?”. Tanta gente in preda al terrore: questo è
quello che provoca la guerra. Il mio pensiero va a loro e va anche a quanti
sono lì ad aiutare il popolo iracheno. Questi sono i pensieri. Spero,
soprattutto, che non si allarghi il conflitto e non si arrivi all’uso di armi
micidiali. Non ci sono barriere oggi. Non c’è un gruppo religioso e un gruppo
etnico da una parte e un gruppo religioso e un gruppo etnico dall’altra parte.
Sono molto triste. Naturalmente oltre alla tristezza c’è anche la preghiera che
si innalza al Signore.
D. – Eminenza, lei è stato alla Casa Bianca come inviato
speciale del Papa, come ambasciatore di pace. Perché il presidente americano
non ha ascoltato le parole del Pontefice?
R. – E’ un perché che rimane per me un enigma. Io ho
cercato di manifestare quella che era la profonda preoccupazione del Papa ed
evitare che si ricorresse alla violenza. Naturalmente credo, e penso – lui me
l’ha fatto capire – che il popolo americano viva ancora di quella sindrome
dell’11 settembre 2001. E’ stata una ferita inferta al cuore ancora sanguinante
degli Stati Uniti e, in larga parte della popolazione, ha prodotto un incubo,
quasi che quell’attacco fosse uno dei primi e che potessero seguirne altri.
Quindi, bisognava evitarlo. Purtroppo, però, loro hanno parlato di una guerra
preventiva e questo non è giustificabile. Penso che Bush avesse ancora questa
buona volontà di affidarsi a quei mezzi persuasivi per cui il presidente Saddam
si affrettasse a far vedere che aveva distrutto le armi micidiali e disarmasse.
D. – La guerra in Iraq sta dividendo il mondo. Cosa fare
ora per sanare queste profonde ferite?
R. – Adesso bisogna
mettere mano a questo principio di solidarietà e soprattutto far leva
sull’amore. Le Nazioni Unite sono in crisi. L’Europa stessa, l’Unione Europea è
in crisi. E poi quello che mi preoccupa è in quello che noi cercavamo, cioè il
dialogo fra il cristianesimo e l’islam, che si possa alzare una barriera, o
meglio si approfondisca un fossato, per cui si renda difficile parlare fra
popoli di una fede in Dio e che ci troviamo divisi perché la guerra, perché la
violenza, perché l’ingiustizia ci dividono. Bisogna sanare soprattutto queste
situazioni di ingiustizia esistenti. Non bisogna mai perderle di vista.
**********
Intanto, in Iraq, come accennava il direttore della Sala Stampa
vaticana, si registra un grande fermento in favore della pace. Le Chiese cristiane del Paese si
sono mobilitate in preghiera, già prima che l’avvio del conflitto assumesse contorni
definiti. E domani pomeriggio i patriarchi, vescovi, i sacerdoti e i fedeli
delle Chiese latina, siriana e armena cattolica, insieme a quelle siriana ortodossa
e assira, consacreranno solennemente l’Iraq alla Madonna, ponendolo sotto la
sua protezione. La cerimonia si svolgerà, alle 18 ora irachena, nella
cattedrale caldea di San Giuseppe a Baghdad, davanti alla statua della vergine
pellegrina “Regina della pace”.
L’avvio della guerra segna sempre
l’inizio o il rafforzamento di sentimenti di solidarietà, spirituale e
materiale, con le popolazioni colpite. Dai vescovi australiani giunge oggi, in
una nota, il richiamo alle parole del Papa e il rigetto della guerra
preventiva. Il Patriarca di Venezia, Angelo Scola, invita alla preghiera “affinché
il Dio della pace cambi il nostro cuore e quello degli attori del conflitto”.
Un pensiero condiviso dal cardinale Roberto Tucci che, nell’intervista di
Rosario Tronnolone, si sofferma sulle cause che hanno portato al conflitto:
**********
R. – Io credo innanzitutto che bisogna mettere un punto
fermo sulle enormi responsabilità di Saddam Hussein non solo in questi ultimi
tempi, ma in tutto il tempo del suo governo sull’Iraq e soprattutto da dopo la
guerra del Golfo, perché non ha ottemperato alle decisioni dell’Onu e quindi ha
reso la situazione tremendamente critica. Al tempo stesso, però, sono convito
che non è stato fatto tutto quello che si poteva fare per evitare la guerra.
Credo che sia una sconfitta non delle nostre preghiere, ma una sconfitta della
ragione. E’ una sconfitta del Vangelo non nel senso che il Vangelo sia
smentito, ma che il Vangelo non è compreso. Questa mattina, mentre celebravo la
Messa, improvvisamente mi sono distratto per un momento e ho ricordato quella
frase di Papa Giovanni negli ultimi giorni della sua vita, quando ebbe a
dichiarare che non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a
comprenderlo meglio. E credo ci vorrà ancora del tempo per comprenderlo come si
deve per quanto riguarda la pace.
D. – E veniamo invece all’atteggiamento degli Stati Uniti.
Dicevamo che non è stato forse fatto tutto quello che si poteva fare per
evitare la guerra ...
R. – Credo che quando si conoscerà tutto si vedrà che
praticamente questa guerra era stata già decisa qualunque fosse il risultato
delle ispezioni dell’Onu. Questo è grave, secondo me. Ma certamente con questo
non voglio criticare l’America. Ho grande stima per gli americani, ho molti amici
tra gli americani. Ricordo sempre la grande, ottima collaborazione con i
vescovi e con gli esperti teologi americani durante il Concilio. Ricordo che è
merito soprattutto del cattolicesimo americano, rappresentato dai loro vescovi,
dai loro teologi, se il Concilio Vaticano ha approvato documenti
dell’importanza di quello sulla libertà religiosa, o quello sul nuovo
atteggiamento verso Israele, verso la religione ebraica. Vi sono grandi
conquiste che dobbiamo all’America, oltre tutta la riconoscenza che dobbiamo
per quello che l’America ha fatto soprattutto nell’ultima guerra mondiale e
dopo la guerra mondiale. Ricordo che uno dei più grandi e alti momenti della
politica estera americana è stato il Piano Marshall. Manco a dirlo era un
militare, eppure è stato più ragionevole dei politici, è stato più politico dei
politici. Però, si può dissentire, tanto è vero che nella stessa America – e
questo è un grande pregio dell’America – si leggono articoli di critica alla
politica attuale di Bush. C’è un’opinione pubblica che viene sondata attraverso
i vari sondaggi, ma ci sono anche delle teste pensanti che criticano e la
stampa americana – il Washington Post, il New York Times, ecc. –
pubblica questi articoli. Questa è una grande cosa. Speriamo che anche durante
la guerra, la libertà di stampa americana non si autocensuri troppo, come è
successo nella Guerra del Golfo.
D. – Credo che ci sia un pericoloso atteggiamento di
generalizzazione di antiamericanismo in questo periodo?
R. – Sì, però bisogna stare attenti perché
l’antiamericanismo non farà bene a nessuno. Non farà certamente bene
all’America, ma non farà bene neppure all’Europa e soprattutto è pericoloso
perché indebolisce, in fondo, la forza dei Paesi democratici. Però bisogna
stare attenti anche a non cadere in una specie di fondamentalismo chiamiamolo
occidentale, perché sarebbe blasfemo chiamarlo cristiano. Non vorrei che alla
fine si desse ragione a quella tesi, così discussa anche dagli storici e dai
politologi, di Huntington – “The clash of civilizations” – e cioè che
non c’è niente da fare: è inevitabile, ineluttabile lo scontro delle civiltà,
cioè la civiltà chiamiamola occidentale - e non diciamo cristiana perché
sarebbe anche questo piuttosto erroneo – e la civiltà islamica. Credo che
invece questa guerra inasprisca piuttosto il contrasto e ci sia il pericolo
nella politica attuale americana che si arrivi veramente sempre più ad uno
scontro di civiltà che non gioverebbe a nessuno. Tra l’altro, credo che i primi
a esserne colpevolizzati saranno i popoli del Medio Oriente, soprattutto il
popolo palestinese. La situazione del confronto tra Israele e palestinesi non
sarà certo migliorata da questa guerra.
D. – Lei prima accennava al Piano Marshall e quindi alla
presenza di un militare che era stata in qualche modo positiva. Proprio
nell’amministrazione Bush, la presenza di Colin Powell è stato uno degli
atteggiamenti forse più umani all’interno di questa amministrazione ...
R. – Certamente, però era l’unico militare, in fondo,
nelle alte sfere dell’am-ministrazione americana. Purtroppo non ce l’ha fatta,
piano piano ha dovuto ripiegare. Comunque ho la mia ammirazione per questo uomo
che, per lo meno, nella prima fase delle discussioni, ha avuto il coraggio di
indurre ad atteggiamenti più prudenti. Adesso siamo davanti ad una situazione –
diciamo – inevitabile perché la guerra è avvenuta, è una sconfitta della ragione,
a mio parere; non è Dio che non ha ascoltato le nostre preghiere, ma siamo noi
uomini che non abbiamo ascoltato la voce di tante persone, di tanti popoli che
hanno reagito contro questa guerra; non hanno ascoltato le voci anche del
diritto internazionale, perché questa guerra certamente è al di là di ogni
legalità, di ogni legittimità, di ogni legittimazione internazionale e l’unico
organismo che poteva darla è l’Onu. Certamente le conseguenze sono molto forti,
perché è certamente un colpo notevole all’autorevolezza dell’Onu, l’unico ente
che poteva mettere pace senza arrivare alla guerra. Si è, in un certo senso,
distrutta: distrutta è esagerato, ma certamente è stata vulnerata, è stata
ferita l’unità della Comunità Europea. Certamente si darà adito con questa
guerra ad una più forte presa dei fondamentalisti islamici sulla massa dei
popoli islamici. Le conseguenze sono molto gravi, ma adesso ci dobbiamo
preoccupare piuttosto dell’immediato e del futuro. Nell’im-mediato, la grande
preoccupazione del Papa, come di tutti noi cristiani e non cristiani, di
persone che ragionano con la propria testa e che hanno ancora un cuore umano, è
la preoccupazione per la popolazione civile, certamente anche la preoccupazione
per i militari che moriranno da una parte e dall’altra. La popolazione civile
certamente non è colpevole e inevitabilmente verrà colpita. Poi c’è tutta la
tragedia immediatamente susseguente alla guerra, anzi comincia con la guerra e
continua anche dopo la guerra: il disastro umanitario di un Paese già tanto
colpito: la guerra con l’Iran, la guerra del Golfo, le sanzioni, eccetera. Qui
vedremo se l’Onu veramente sarà capace di rivalersi almeno in questo momento
dell’assistenza sanitaria. Ho letto oggi nel rapporto della Radio Vaticana
sulla situazione pubblicato dal Radiogiornale della nostra Radio, come le
istanze umanitarie abbiano chiesto cifre corrispondenti alla necessità, ma ne
hanno raccolto per ora solamente un quarto o un quinto di quello che sembra
necessario per l’assisten-za a quelli che rimarranno nel Paese e quelli che
saranno i profughi nei vari Paesi circonvicini – se riusciranno a passare!
D. – Sono in molti a sostenere che il fondamentalismo
islamico, il pericolo che questo potrebbe rappresentare, può essere fermato
solo dall’islamismo moderato. Questo conflitto aiuterà o creerà problemi?
R. – Questo conflitto certamente indebolisce l’islamismo
moderato, questo è ineluttabile. Quello che bisogna, però, guardare è se questa
politica si ferma qui o continua. Veramente non vorrei enfatizzare una frase
che, tutto sommato, mi è piaciuta in un editoriale di Luigi Geninazzi
sull’Avvenire di qualche giorno fa, il quale parlava di ‘democrazia imperiale’.
Però qualcosa di giusto c’è in questa frase e cioè: che una sola potenza,
perché prevale dal punto di vista militare e dal punto di vista economico,
possa imporsi senza nessuna convalida internazionale o senza un appoggio
veramente ampio dell’opinione pubblica mondiale, possa assurgere ad arbitro di
tutto. Il governo americano deve stare attento a questo perché non credo che
sia un vantaggio per gli americani che si crei una situazione di aggressività
antiamericana, in parte giustificata, in parte eccessiva oltre la ragione. Mi
ricordo che quando ci fu l’11 settembre fui sorpreso con enorme ammirazione dal
fatto che più di una rivista, di un settimanale importante americano intitolava
un largo,molto obiettivo servizio “Perché ci odiano?”, “Why do they hate us?”.
Bisognerebbe che anche su questo si riflettesse, che anche l’America rifletta
su questo. Ed è importante che siano stati gli americani a cominciare, a fare
questo processo. Speriamo che questo processo continui e che veramente il
governo americano cerchi di riallacciare buoni rapporti con i Paesi con i quali
adesso ha avuto contrasti per quanto riguarda questa guerra; che non sia un
continuo andare avanti da soli, senza pesare le conseguenze sul piano
umanitario, sul piano politico che questo comporta.
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Il Papa ha ricevuto stamani in udienza l’arcivescovo
filippino Osvaldo Padilla, nunzio apostolico in Nigeria.
Sempre questa mattina, il
Pontefice ha ricevuto sei vescovi della Conferenza episcopale dell’Indonesia,
in visita “ad Limina”.
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ciudad Real, in Spagna,
presentata dal vescovo mons. Rafael Torija de la Fuente, per limiti di età.
Come nuovo vescovo di Ciudad Real, Giovanni Paolo II ha quindi nominato il
presule mons. Antonio Algora Hernando, finora vescovo di Teruel y Albarracìn.
In Argentina, il Papa ha accettato
(in data 19 marzo) la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Alto Valle
del Rio Negro, presentata dal vescovo salesiano mons. José Pedro Pozzi, per
limiti di età. Il Pontefice ha quindi nominato vescovo di Alto Valle del Rio
Negro il presule mons. Néstor Hugo Navarro, finora ausiliare di Bahìa Blanca.
In Colombia, il Santo Padre ha
nominato vescovo di Arauca il sacerdote Carlos Germàn Mesa Ruiz, 59enne, del
clero di Tunja, finora rettore del
Seminario maggiore.
Infine, il Santo Padre ha nominato
ausiliare della diocesi di Suwon, in Corea, il sacerdote 51enne Mathias Lee
Yong-Hoon, del clero locale, finora professore nel Seminario maggiore,
elevandolo alla dignità vescovile.
LO “SPIRITO DELLA PRIMA ORA RIMANGA INTATTO”
STIMOLANDOVI A
“PROGETTARE NUOVI E CORAGGIOSI INTERVENTI SULLE FRONTIERE DELLA
CARITA”.
QUESTO L’INVITO DEL PAPA AI RELIGIOSI DI DON ORIONE,
IN OCCASIONE DEL PRIMO CENTENARIO DELL’APPROVAZIONE
DELLA PICCOLA OPERA DELLA DIVINA PROVVIDENZA
- Servizio di Paolo Ondarza -
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“Impegno primario di ogni consacrato, è tendere alla
santità”. Questa l’esortazione di Giovanni Paolo II nel messaggio indirizzato a
don Roberto Simionato, direttore generale della Piccola Opera della Divina
Provvidenza, in occasione del primo centenario dell’approvazione canonica
dell’Istituto. Il documento, datato 8 marzo 2003 e diffuso oggi, rievoca la vita
del fondatore dell’Opera, don Luigi Orione, allievo di Don Bosco e dedito nel
corso di tutta la sua esistenza, lunga 68 anni, all’educazione dei fanciulli e
all’assistenza ai più deboli. Scriveva in una lettera del 1897: “All’ombra di
ogni campanile sorgerà una scuola cattolica, all’ombra di ogni croce un
ospedale”.
Nel 1903 finalmente il vescovo di Tortona decretò la
costituzione della congregazione religiosa maschile dei Figli della Divina
Provvidenza, a cui seguirono la nascita delle Piccole Suore missionarie
della Carità ed i più recenti Istituto Secolare Orionino e Movimento
Laicale Orionino. Il Papa invita la famiglia di don Orione ad affrontare le
“nuove situazioni e le vicende quotidiane” della vita contemporanea con la
stessa creatività, tenacia e volontà
che caratterizzarono l’intera vicenda umana e spirituale di don Orione.
“Guardare al futuro, nel quale lo Spirito proietta per fare ancora cose
grandi”. Si legge nel documento: “Voi non avete solo una gloriosa storia da
ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Gli Istituti sono
invitati a riproporre con coraggio l’intraprendenza, l’inventiva e la santità
dei fondatori come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi”.
Un appello dunque alla “perseveranza nel cammino della
santità attraverso le difficoltà che segnano le vicende quotidiane”.
Un’esortazione alla “fedeltà creativa in un mondo che cambia, per camminare,
come amava ripetere don Orione, ‘alla
testa dei tempi’”. “Non abbiate paura – prosegue il Santo Padre – a ricercare
con paziente costanza questa ‘misura alta’ della vita cristiana”, non accontentatevi
“di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una
religiosità superficiale”. Sono le parole dello stesso don Orione ai suoi religiosi
a concludere il messaggio per il primo centenario dall’approvazione della sua
Opera: “Tutta la vostra vita sia sacra a dare Cristo al popolo e il popolo alla
Chiesa di Cristo; arda essa e splenda di Cristo, e in Cristo si consumi in una
luminosa evangelizzazione dei poveri; la nostra vita e la nostra morte siano un
cantico dolcissimo di carità, e un olocausto al Signore”.
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SUOR CARITA’, LA PROSSIMA BEATA SVIZZERA, AL SECOLO
CAROLINA BRADER,
INVITTA MISSIONARIA TRA GLI INDIGENI DI AMERICA LATINA
- Servizio di Giovanni Peduto -
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Nata
nel 1860 a Kaltbrunn, in Svizzera, e dotata di un’intelligenza fuori dal
comune, la piccola Carolina modellò il suo cuore con una solida formazione cristiana,
un intenso amore a Gesù Cristo ed un’affettuosa devozione alla Vergine Maria.
Quando il mondo rifulgeva davanti a lei attraendola con tutte le sue lusinghe,
la voce di Cristo cominciò a farsi sentire nel suo cuore e decise di abbracciare
la vita consacrata. Il primo marzo 1881 vestì l’abito Francescano, ricevendo il
nome di Maria Carità dell’Amore dello Spirito Santo. Grazie alla sua
preparazione pedagogica, fu destinata all’insegnamento nel collegio unito al
monastero di Alstätten.
Nel
1888 Suor Carità e sei compagne partirono missionarie per Chone, in Ecuador.
Nel 1893, dopo un duro lavoro e aver catechizzato innumerevoli gruppi di
bambini, fu destinata alla fondazione di Tuquerres, in Colombia. Lì manifestò
il suo ardore missionario: amava gli indigeni e non lesinava alcuno sforzo per
raggiungerli, sfidando la furia delle onde dell’oceano, le intricate selve ed
il freddo intenso degli altipiani. Il suo zelo non conosceva riposo. La
preoccupavano soprattutto i più poveri, gli emarginati, coloro che ancora non
conoscevano il Vangelo.
Di
fronte all’urgente necessità di trovare più missionarie per un così vasto campo
di apostolato, appoggiata dal religioso tedesco Reinaldo Herbrand, fondò nel
1894 la Congregazione delle Francescane di Maria Immacolata, che si fornì
all’inizio di giovani svizzere le quali, guidate dallo zelo missionario,
seguirono l’esempio di Suor Carità. A quelle si unirono subito le vocazioni
autoctone, soprattutto della Colombia, che ingrossarono le file del nascente
Istituto e si estesero in vari paesi. Nel 1933 la Congregazione ottenne
l’approvazione pontificia.
Nella
sua attività apostolica, Suor Carità seppe amalgamare molto bene la
contemplazione e l’azione. Esortava le sue figlie ad una preparazione
accademica efficiente ma “senza che si spegnesse lo spirito della santa orazione
e devozione”. Indirizzò il suo apostolato principalmente verso l’educazione,
soprattutto negli ambienti poveri ed emarginati. Le fondazioni si susseguirono
ovunque la necessità lo richiedeva. Quando si trattava di seminare il seme
della Buona Novella, non esistevano per lei frontiere né alcun ostacolo.
Anima
eucaristica per eccellenza, trovò in Gesù Sacramentato i valori spirituali che
dettero calore e senso alla sua vita. Sospinta da questo amore a Gesù
Eucaristia, mise tutto il suo impegno nell’ottenere il privilegio
dell’Adorazione Perpetua diurna e notturna, che lasciò come il patrimonio più
stimato alla sua comunità, insieme con l’amore e la venerazione ai sacerdoti
come ministri di Dio.
Ad
82 anni, presentendo la morte, esortava le sue figlie: “Me ne vado; non
lasciate le buone opere che sono nelle mani la Congregazione: l’elemosina e la
molta carità verso i poveri, grandissima carità tra le suore, l’adesione ai
vescovi ed ai sacerdoti”. Il 27 febbraio 1943, aveva 82 anni, fu l’ultimo giorno
della sua vita. Appena si diffuse la notizia della sua morte, cominciò a
passare davanti ai suoi resti mortali un’interminabile processione di devoti
che chiedevano reliquie e si raccomandavano alla sua intercessione. Ai funerali
la gente diceva: “E’ morta una santa”. La sua tomba è meta costante di devoti
che l’invocano per le loro necessità.
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IERI A
GINEVRA L’INCONTRO TRA IL CARDINALE KASPAR E IL METROPOLITA KYRILL
PER GUARDARE INSIEME AI PROBLEMI ESISTENTI
TRA CATTOLICI E ORTODOSSI RUSSI
Il
Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha diffuso oggi un comunicato in cui informa
di un incontro avvenuto ieri, 19 marzo 2003, a Ginevra tra il cardinale Walter
Kasper, presidente di questo dicastero della Santa Sede, e sua eminenza Kyrill,
metropolita di Smolensk e Kaliningrad e presidente del dipartimento per le
relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato ortodosso di Mosca. Insieme
hanno discusso della situazione delle relazioni tra la Chiesa cattolica e la
Chiesa ortodossa russa. Durante la conversazione i due hanno concordato di
tenere ulteriori consultazioni nell’intenzione di risolvere i problemi esistenti
tra le due Chiese.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Così stigmatizza la prima
pagina: “La follia della guerra”.
Poco dopo la scadenza
dell’ultimatum, un primo bombardamento statunitense colpisce Baghdad. Le Forze
armate irachene per ritorsione lanciano alcuni missili “Scud” sul territorio
del Kuwait.
Una giornata triste e dolorosa
per la Comunità internazionale.
Nelle
vaticane, il Messaggio del Papa in occasione del centenario dell’approva-zione
canonica della Piccola Opera della Divina Provvidenza.
Una pagina dedicata
all’importante ricorrenza.
L'omelia dell'arcivescovo
Schleck durante la Santa Messa in occasione della solennità di San Giuseppe.
Un articolo di Fidel Gonzalez
Fernandez dal titolo “Il santuario di Guadalupe, cuore cattolico dell'America”:
un simposio a Roma organizzato presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: positive valutazioni internazionali sulla nomina del premier
palestinese.
Operazione militare contro
“Al Qaeda” nel Sud dell’Afghanistan.
Nella pagina culturale, un
contributo di Angelo Mundula dal titolo “Il mondo è folle ma noi possiamo non
esserlo”: di fronte ai paradossi della vita umana.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica in riferimento all’Iraq.
Scioperi, veglie e
manifestazioni contro la guerra in varie città.
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20
marzo 2003
CIRCA
333 MILA EURO SONO STATI DONATI DURANTE IL 2002
AL SANTUARIO
MARIANO DI FATIMA. UNA SOMMA CHE HA PERMESSO DI PORTARE
AIUTI
CONCRETI ALLE POPOLAZIONI SOFFERENTI IN VARIE PARTI DEL MONDO
FATIMA.
= La carità dei pellegrini al Santuario di Fatima è preziosa per le popolazioni
che soffrono. Il Santuario mariano ha diffuso ieri la lista dei Paesi che nel
2002 hanno beneficiato delle offerte ricevute durante le celebrazioni
religiose. Il Santuario – secondo fonti di agenzia – ha ricevuto complessivamente
circa 333 mila euro. Il denaro è stato destinato a varie istituzioni ed opere
di carità come la campagna contro la fame in Angola (99 mila euro), gli aiuti
ai bambini del Mozambico (70 mila euro), il sostentamento delle missioni (30
mila euro) e il finanziamento delle comunicazioni sociali della Chiesa
cattolica (19 mila euro). A queste somme si aggiungono le offerte dirette da
parte di privati. Una parte di queste è stata destinata agli aiuti umanitari
per Timor Est (circa 1.700 euro), per la Guinea Bissau (5 mila euro) e per i
bambini afgani (circa 4.700 euro). (M.A.)
L’UNICEF
HA LANCIATO IERI UN APPELLO PER POTENZIARE GLI INVESTIMENTI
IN
FAVORE DELL’ISTRUZIONE IN AFGHANISTAN. NEL MESSAGGIO SI ESPRIME
PREOCCUPAZIONE
PER IL NON ACCESSO O L’ABBANDONO
DEL
SISTEMA SCOLASTICO DA PARTE DELLE BAMBINE AFGANE
NEW
YORK. = Nonostante la fine del regime dei talebani, in Afghanistan l’accesso
all’istruzione scolastica per le donne è ancora rischio. L’appello è stato
lanciato ieri dall’Unicef, che ha chiesto un potenziamento degli investimenti
in favore dell’educazione femminile. La prossima settimana è previsto il lancio
della seconda “Campagna nazionale di ritorno alla scuola”, attraverso la quale
milioni di bambini potranno accedere ad un’istruzione scolastica adeguata, ma
l’Unicef lamenta il basso numero di iscrizioni delle bambine, specialmente
nella scuola elementare. Quest’anno perciò la campagna mirerà ad evitare che le
bambine saltino o abbandonino l’istruzione scolastica. Da quando ha cominciato
ad operare sul territorio afgano, l’Unicef ha distribuito circa 10 mila
tonnellate di materiale didattico (libri, quaderni, penne, banchi, lavagne) a
favore di più di 50 mila maestri e 4 milioni di alunni ed ha organizzato corsi
di formazione ed aggiornamento per gli insegnati. Nel messaggio diffuso ieri
l’Unicef ha attirato anche l’attenzione sulle strutture sanitarie all’interno
degli edifici scolastici. Circa il 60 per cento delle 700 scuole afgane infatti
non sono provviste di ambulatori adeguati a prestare assistenza agli alunni.
(M.A.)
FORTE
INTERVENTO DELL’EPISCOPATO THAILANDESE SULLA CONDIZIONE DELLE DONNE NEL
CONTINENTE ASIATICO. I PRESULI DENUNCIANO LO SFRUTTAMENTO
E LA
DISCRIMINAZIONE DI CUI LE DONNE SONO VITTIME
BANGKOK.
= La Conferenza episcopale della Thailandia ha espresso con una Lettera
pastorale la propria vicinanza nei confronti delle donne sfruttate e discriminate
nel continente asiatico. Il presidente della Commissione per la donna
dell’episcopato, mons. Lawrence Thienchai Samanchit, vescovo di Chanthaburi ed
autore del documento, ha invitato i cattolici a non restare passivi di fronte
alla violenza di cui tante donne sono vittime. “Discriminazione e violenza
cominciano già in casa – scrive il presule – e continuano sul luogo di lavoro e
perfino dentro il sistema legale: molte donne sono trattate semplicemente come
un oggetto, nella prostituzione, nel turismo e nell’industria dello
spettacolo”. “Il contributo della donna – lamenta il presule – è stato con
frequenza disprezzato o ignorato, fatto che ha portato un impoverimento
spirituale dell’umanità”. Attraverso il richiamo dell’Esortazione apostolica “Ecclesia
in Asia”, nella quale Giovanni Paolo II esprimeva la preoccupazione della
Chiesa per la condizione della donna nel continente, mons. Thienchai Samanchit
esorta tutte le Chiese asiatiche alla promozione di attività che tutelino i
diritti e la dignità della donna. In Thailandia l’episcopato si è attivato già
nel 2000, grazie alla creazione della Commissione di cui mons. Thienchai
Samanchit è presidente. Iniziative per un maggiore coinvolgimento delle donne
nella vita della Chiesa, corsi per sensibilizzare i sacerdoti ad una pastorale
specifica per le donne e la promozione ed il sostegno di cooperative sono
alcune delle attività che la Commissione porta avanti. Non è un caso che queste
proposte vengano dalla Thailandia. Nel Paese asiatico la prostituzione rende
schiave circa 2 milioni di donne, sfruttate dal turismo ed abbandonate ad ogni
sorta di violenza e precarietà. La Thailandia è uno dei paesi asiatici più colpiti
dall’Aids, prima causa di mortalità nel Paese. (M.A.)
LA
CONGREGAZIONE MISSIONARIA DELLO SPIRITO SANTO FESTEGGIA
25
ANNI DI PRESENZA IN PAKISTAN. UN MISSIONE ISPIRATA
DAI
VALORI EVANGELICI E DAL DIALOGO INTERRELIGIOSO
LAHORE.
= I missionari Spiritani festeggiano in questi giorni il 25.mo anniversario
della loro presenza in Pakistan. Furono inviati dalla Congregazione per
l’evangelizzazione dei popoli su richiesta della Conferenza episcopale locale
e, dopo due anni, il vescovo di Multan gli affidò la cura della parrocchia di
Rahim yar Khan, nel Punjab. L’anniversario offre quindi la possibilità di
tracciare un bilancio del servizio svolto. I missionari operano in una zona
molto povera, abitata anche dalla tribù dei marwari bheel, popolazione di
religione indù discriminata per casta, colore della pelle, religione e
occupazioni. Nel corso di questi anni sono riusciti a ricevere la stima e
l’apprezzamento di questa comunità e di quella islamica. Dialogo e solidarietà,
ascolto e sollecitudine, sono stati costanti punti di riferimento della loro
missione. Con la tribù dei marwari bheel i missionari si impegnano soprattutto
per istruzione, cure mediche, formazione professionale delle donne e,
naturalmente, dialogo interreligioso. Nei confronti della comunità cattolica i
missionari si occupano invece dell’assistenza spirituale di circa 1.500 famiglie
cattoliche. La pastorale consiste nella visita regolare alle famiglie, nella
catechesi, e nella presenza nelle scuole e negli ospedali. I missionari inoltre
mettono grande impegno nella formazione del laicato: gestiscono corsi biblici,
seguono alcuni movimenti ecclesiali e guidano gruppi di studio di teologia.
(M.A.)
IN SRI
LANKA I CATTOLICI DI JAFFNA POTRANNO RITORNARE SULL’ISOLA DI PALAITHIVO PER
FESTEGGIARE SANT’ANTONIO. CON IL PROCESSO DI PACE IN CORSO
L’ESERCITO
CINGALESE HA REVOCATO IL BANDO DI ACCESSO ALL’ISOLA
IMPOSTO
AI TEMPI DELLA GUERRA CIVILE
JAFFNA.
= Il processo di pace in corso da oltre un anno in Sri Lanka tra il governo e i
ribelli delle “Tigri per la liberazione della patria Tamil” (Ltte) porta
benefici alla minoranza cattolica del Paese asiatico. Dopo una richiesta
presentata dall’episcopato di Jaffna - città settentrionale teatro di vari
scontri durante la guerra - l’esercito cingalese ha deciso in questi giorni di
togliere il ventennale bando alle visite a Palaithivu, isoletta nella laguna di
Jaffna dove per lungo tempo si svolgeva una festa in onore di Sant’Antonio.
Dopo anni di divieto, le autorità hanno concesso l’accesso alla piccola isola.
L’episcopato di Jaffna si sta ora organizzando per tenere i festeggiamenti il
prossimo 23 marzo. Per accedere all’isola i fedeli dovranno munirsi di un permesso
assegnato dall’esercito. I cristiani in Sri Lanka sono circa l’8 per cento
della popolazione, mentre la maggioranza (69 per cento) è buddista ed un altro
15 per cento è induista. Nel 1983 le “Tigri per la liberazione della patria
Tamil”, di religione induista, iniziarono una lotta armata contro la maggioranza
cingalese e buddista per uno Stato autonomo nel nord e nell’est del Paese. A
seguito del processo di pace, le “Tigri” dichiararono la loro disponibilità ad
accettare una proposta politica di tipo federalista. (M.A.)
LA
CITTA’ DI PARMA SI PREPARA AD OSPITARE A SETTEMBRE
UNA
MOSTRA SUL MEDIOEVO EUROPEO, CHE TROVA
NEL CRISTIANESIMO
IL
FILO CONDUTTORE. LA RASSEGNA E’ CURATA
DALLO STUDIOSO JACQUES LE GOFF,
PARMA.
= Capolavori d’arte ma anche oggetti della vita quotidiana, manoscritti,
sigilli, arazzi, candelabri, miniature, opere di diversa natura e provenienza,
sono stati scelti per la Mostra “Il medioevo europeo di Jacques Le Goff” che
sarà inaugurata a Parma il 27 settembre dal presidente della Commissione
europea Romano Prodi. Il palazzo della Pilotta ospiterà la sintesi della
ricerca di uno dei più importanti
studiosi del Medioevo come Le Goff, in una esposizione che racchiuderà
l’essenza stessa dell’Europa, le sue origini, i tratti comuni delle Nazioni che
la compongono, i passaggi storici che ne hanno caratterizzato la nascita, lo sviluppo, la presa di coscienza
dell'unitarietà attraverso il filo conduttore del Cristianesimo. “Fin dalle sue
origini l' Europa - ha scritto Le Goff dimostra che l’unità può nascere dalla
diversità delle nazioni: nazioni europee e unità europea sono legate”. E
attorno agli oggetti saranno allestite gigantografie di monumenti e spazi,
delle cattedrali gotiche, di chiostri romanici, di palazzi comunali, edifici e
chiese scelti in parti diverse del continente, spesso lontanissime tra loro,
eppure caratterizzati da aspetti sorprendentemente comuni, come un portale, un
bassorilievo, la figura di un santo o di un angelo. Il percorso espositivo è
allestito dal comitato scientifico presieduto dallo stesso Le Goff e composto,
oltre che dal Soprintendente per il Patrimonio storico e artistico di Parma e
Piacenza, anche da esperti di altri spazi espositivi, tra cui il Museo
nazionale del medioevo di Parigi, l'Historical Museum of Gotland, il Victorian
& Albert Museum di Londra, il Nacional d'Art de Catalunya di Barcellona.
Alla mostra, aperta fino al 31 gennaio 2004, faranno da corollario conferenze,
percorsi di visite e laboratori didattici. (R.G.)
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20
marzo 2003
CON IL
LANCIO DI MISSILI CRUISE SU BAGHDAD, E’ INIZIATA NELLA NOTTE
LA SECONDA GUERRA DEL GOLFO. DURE REAZIONI
DEI PAESI, CHE, IN QUESTI MESI,
SI
SONO IMPEGNATI A TROVARE UNA SOLUZIONE PACIFICA ALLA CRISI IRACHENA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Il tempo della pace nel Golfo Persico si è esaurito
purtroppo questa notte, quando i primi missili americani cruise hanno
colpito Baghdad. Una guerra di liberazione, nelle parole di George Bush. Un
atto criminale per Saddam Hussein. Secondo il ministro dell'informazione
iracheno, i raid hanno provocato un morto e due feriti, ma non hanno colpito
obiettivi strategici. La risposta irachena, d’altro canto, non si è fatta
attendere: nella mattinata, sei scud sono stati lanciati contro il territorio
kuwaitiano, dove è stanziato il grosso delle truppe statunitensi. Tuttavia,
Baghdad ha dichiarato che l’Iraq non avrebbe bombardato il Kuwait con missili
scud in quanto non ne possiederebbe. Come previsto, l’inizio della seconda
Guerra del Golfo, è stato annunciato dal presidente americano con un discorso
alla nazione, come ci riferisce da New York Paolo Mastrolilli:
**********
IN THESE HOURS AMERICAN ...
“Sotto
mio ordine le forze della coalizione hanno cominciato a colpire obiettivi
selezionati di importanza militare per diminuire la capacità di Saddam Hussein
di combattere”. Con queste parole alle 10.15 di ieri sera a Washington il
presidente Bush ha annunziato l’inizio della guerra in Iraq. Il conflitto non è
cominciato con la pioggia di bombe del ’91, ma con una serie di attacchi mirati
contro lo stesso Saddam e la leadership del Paese. Circa 40 missili a guida
satellitare sono stati lanciati dalle navi nel Golfo Persico, nel Mar Rosso,
mentre i bombardieri invisibili F117 sorvolavano la capitale. L’attacco
iniziale aveva proprio lo scopo di decapitare la leader-ship per accorciare i
tempi del conflitto, ma Saddam è sopravvissuto e si è rivolto alla popolazione
con un discorso televisivo, in cui ha accusato Bush di essere il nemico di Dio
e dell’umanità e ha inneggiato alla guerra santa contro i sionisti. Quindi, ha
incitato la popolazione a resistere, promettendo la vittoria e l’umiliazione
degli infedeli invasori. La campagna vera e propria con le centinaia di bombe
nelle prime ore per scoraggiare l’esercito iracheno, e l’invasione di terra per
prendere il controllo del Paese, potrebbe cominciare ora in qualsiasi momento.
Bush ha detto che lo scopo dell’offensiva è disarmare l’Iraq e liberare la
popolazione dalla dittatura. Quindi, ha aggiunto che gli Stati Uniti useranno
tutta la loro forza e non accetteranno altro risultato che la vittoria.
Da New
York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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L’attacco su Baghdad ha provocato immediate reazioni
politiche in tutto il mondo. La Francia, ha detto Chirac, si “rammarica” per un’azione
militare intrapresa senza l’avallo delle Nazioni Unite, auspicando che la
guerra sia breve. Stesso tono nelle dichiarazioni del Cremlino: Putin ha
definito l’attacco uno “sbaglio politico” che può mettere a repentaglio
“l’intero sistema della sicurezza internazionale”. Dal canto suo, il governo
cinese ha chiesto la fine immediata delle operazioni militari, definendo
l’attacco americano una “violazione della Carta dell’Onu e delle leggi
internazionali”. Per il cancelliere tedesco, Schroeder, “la guerra é sempre la
sconfitta della politica”. A Bruxelles, dove oggi si tiene un Vertice dei
leader dell’Unione europea, Prodi ha affermato che questo “è un giorno triste e
cupo per tutte le nazioni del mondo”. Il presidente della Commissione europea
ha, inoltre, esortato tutti a “pregare perché la guerra sia breve e meno
sanguinosa possibile”. Un auspicio espresso anche dal premier italiano
Berlusconi. Ribadito, intanto, in queste ore il sostegno all’operazione
militare anglo-americana da parte dei governi di Spagna, Bulgaria, Australia,
Giappone e Afghanistan. Ma torniamo alle drammatiche ore dell’attacco,
attraverso la testimonianza, da Baghdad, di Alberto Negri, inviato speciale del
Sole-24-Ore:
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R. -
Era già quasi l’alba. Il cielo era chiaro. I colpi delle contraeree sono stati
nutriti, ma molto brevi. Ci sono stati tre attacchi differenti, ma molto
concentrati. Alla fine, forse, non ci sono stati più di 20-25 minuti in totale
di bombardamenti. Per quanto ne sappiamo non sono stati colpiti obiettivi in
città, se non forse un palazzo di Saddam Hussein. Ma la zona della riva destra
del Tigri, quella dove si concentrano alcuni dei palazzi principali del rais,
la sede della polizia segreta, la sede del partito Baath, quella zona non è
stata ancora colpita, e lì si trova il simbolo e il cuore del potere di Saddam.
L’impressione è proprio quella che questa notte invece di un bombardamento
massiccio siano state mandate delle ‘punture di spillo’, dei messaggi
attraverso queste bombe, forse per saggiare la capacità di resistenza del
regime ed aspettare un po’ prima di scatenare un vero e proprio attacco. Certo,
se si procedesse a questo ritmo ci vorrebbero dei mesi prima di finire questa
guerra, e credo che invece dovremo aspettarci ben altro nei prossimi giorni.
**********
Proprio stamani, il ministro della difesa britannico Hoon
ha dichiarato che non bisognerà aspettare molto per un’azione militare più
ampia, sottolineando che truppe di terra anglo-americane sono posizionate lungo
il confine fra il Kuwait e l'Iraq pronte per entrare in azione. Sempre Hoon ha
però riconosciuto la “guerra potrebbe non essere breve”. Secondo l’emittente
Sky News, inoltre, due divisioni dell’esercito iracheno, nel sud del Paese,
sarebbero pronte ad arrendersi. Stamani, tuttavia, Uday Hussein, figlio
maggiore del rais ha chiamato i suoi miliziani a prepararsi al “martirio” nella
guerra contro gli americani. Un appello che secondo Latif Al Saadi - rifugiato politico iracheno, sfuggito alle
persecuzioni di Saddam Hussein - non sarà raccolto dall’esercito dell’Iraq:
**********
R. –
L’esercito iracheno, soldati, ufficiali, sottoufficiali, non combatteranno per
far rimanere al potere Saddam Hussein. Io credo che Saddam abbia realizzato un
piano di guerra urbana, quartiere per quartiere, strada per strada. Ha
terrorizzato la gente, soprattutto, spingendola a non uscire e a non fare altre
rivolte, tranne quella parte speciale della guardia repubblicana.
**********
Un altro fronte caldo della crisi irachena è Israele, che
nel guerra del Golfo del 1991 fu colpito da missili iracheni. Sullo spirito con
il quale la popolazione sta vivendo questi momenti, ascoltiamo Guido Olimpio,
corrispondente del Corriere della Sera a Gerusalemme, raggiunto telefonicamente
da Giada Aquilino:
**********
R. – Per ora i programmi della giornata, della vita
quotidiana, sono intatti, nel senso che le scuole sono dichiarate aperte.
Ovviamente c’è molta vigilanza, molta sorveglianza, e si possono sentire in
cielo i passaggi ripetuti dei caccia. Il ministero della difesa ha annunciato
che il Paese sarà pattugliato 24 ore su 24 per evitare eventuali incursioni di
aerei iracheni.
D. - La popolazione vive questa paura e questo timore di
possibili ritorsioni irachene sullo Stato ebraico?
R. – Non eccessivamente, rispetto al ’91. Anzi direi che
la maggioranza dell’opinione pubblica ritiene che non ci sia pericolo. Però c’è
una vigilanza continua. E soprattutto il timore maggiora va agli attentati
terroristici. Infatti tutte le ambasciate, i consolati e gli obiettivi
israeliani all’estero sono stati messi in stato di allerta e sono state
rafforzate le misure di sicurezza.
**********
Se, dunque,
la guerra è ormai iniziata, non si ferma tuttavia l’azione dei pacifisti, che,
in ogni angolo del mondo, stanno organizzando iniziative di protesta contro
l’intervento armato in Iraq. Negli Stati Uniti, centinaia di persone hanno
manifestato davanti alla Casa Bianca, ma anche a Boston e Los Angeles.
Imponente la mobilitazione in tutta Europa: in migliaia sono già scesi in
piazza ad Atene, Berlino, Vienna, Roma e Londra, ma anche in Australia e in
India. Stamani, intanto, si è svolta una manifestazione spontanea di sostegno
all'Iraq nella cittadina palestinese di Beit Hannun, nella striscia di Gaza.
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20 marzo 2003
- A cura di Giancarlo La Vella -
Gli
Stati Uniti, pur impegnati sul fronte iracheno, continuano anche a perseguire
l’obiettivo della lotta al terrorismo con la caccia ad Osama Bin Laden. In
Afghanistan numerosi raid si sono concentrati nel sud del Paese e nel mirino ci
sarebbero vertici e militanti di Al Qaeda. Stamani, inoltre, il mullah Omar -
capo supremo del destituito regime talebano - ha esortato il popolo iracheno ad
unirsi alla Jihad contro il nemico americano.
Il premier palestinese incaricato, Abu Mazen, avvia
oggi le consultazioni per la formazione del nuovo governo dell'Anp, dopo aver
accettato la nomina da parte del presidente Yasser Arafat. Il neopremier
consulterà per primi i membri del Comitato esecutivo dell'Organizzazione per la
liberazione della Palestina e quindi tutte le forze politiche e le personalità
nazionali palestinesi, oltre ai
parlamentari del Consiglio legislativo, il parlamento palestinese.
Le autorità cubane hanno confermato il dirottamento
di un DC-3 della compagnia aerea dell’Avana in un aeroporto della Florida,
negli Stati Uniti. L'aereo, con 35 persone a bordo, 23 passeggeri, 6 membri
d'equipaggio e 6 pirati dell'aria, era in volo ieri sera dall’Isola della
Gioventù, 100 chilometri a sud dell'Avana, alla capitale cubana.
In Costa d’Avorio sono stati
ritrovati senza vita quattro volontari della locale Croce Rossa. Gli impiegati
erano scomparsi il 12 gennaio scorso. Ignote le cause della loro morte.
Ci spostiamo in Italia. E’ salito a tre il numero
delle persone decedute nel crollo di un palazzo nella città toscana di Livorno.
L’edificio è parzialmente crollato ieri in seguito all’esplosione causata da
una fuga di gas. Quattro i feriti.
Continua il timore per la diffusione della polmonite
atipica. Sono 264 i casi di malattia accertati e nove i morti, secondo l'ultimo
bollettino dell'Organizzazione mondiale della sanità. Il maggior numero di
infezioni si registra a Hong Kong con 150 casi di infezione.
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