RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 149 - Testo della
Trasmissione di giovedì 29 maggio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Dopo 12 anni
la Banca Mondiale riprende le proprie attività in Somalia.
Pace
in Medio Oriente: stasera a Gerusalemme, secondo incontro tra l’israeliano Sharon
e il palestinese Abu Mazen.
Il
premier britannico Blair a Bassora, nell’Iraq meridionale.
Rispetto
del diritto internazionale nella lotta al terrorismo: lo chiedono i Paesi del
gruppo di Shanghai, riuniti a Mosca.
29 maggio 2003
CON L’INVIATO
DEL PAPA, IL CARDINALE JAN PIETER SCHOTTE,
LA GERARCHIA CATTOLICA NEI PAESI BASSI FESTEGGIA
SABATO 7 GIUGNO
150 ANNI DALLA SUA ISTITUZIONE AD OPERA DI PIO IX.
CON NOI, MONS. KAREL KASTEEL
- Servizio di Giovanni Peduto -
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All’insegna del motto “Cattolici
di cuore e di anima”, i fedeli del Paese celebrano l’importante ricorrenza
professando la loro fede con rinnovata energia e con un più deciso impegno di
vita, nella piena consapevolezza di essere parte di una comunità viva e
solidale. Il Beato Pio IX costituì la Gerarchia cattolica nei Paesi Bassi il 4
marzo 1853, dopo la promulgazione della nuova Costituzione olandese del 1848,
che accordava alla Chiesa cattolica uno statuto paritario rispetto a quello
delle altre confessioni. Preceduta da una novena in tutte le parrocchie, sabato
mattina 7 giugno si terrà una solenne concelebrazione nel complesso fieristico
di Utrecht, città dalla quale San Willibrord iniziò la sua predicazione nei Paesi
Bassi tredici secoli or sono.
D. – Quale
cammino hanno percorso i cattolici olandesi in questi 150 anni? Abbiamo posto
la domanda a un figlio della Chiesa olandese, mons. Karel Kasteel, sottosegretario
del Pontificio Consiglio Cor Unum …
R. – La storia della Chiesa risale già nei Paesi Bassi ai primi secoli
del cristianesimo. Ai tempi di Papa Liberio e di San Damaso I andò San
Servazio, un missionario armeno, come primo vescovo nella città che oggi
chiamiamo Maastricht. Qualche secolo dopo nel nord, ad Utrecht, arrivò il
missionario irlandese San Willibrord che fissò la sua sede in quella città che
è diventata metropolitana nel 1559 sotto Papa Paolo IV. Quella fu la prima istituzione della gerarchia in tutti i 17
Paesi Bassi. Adesso ci limitiamo alla provincia di Utrecht, l’attuale Regno dei
Paesi Bassi che purtroppo, a motivo della Riforma protestante, non poté più avere
vescovi dopo qualche tempo. E così, nel 1853, rimossi ormai gli ostacoli, il Beato
Pio IX ripristinò la gerarchia che era già stata istituita nel 1559 e fu un
momento di grande gioia per i cattolici di vedersi riconosciuti a pieno titolo.
Subito dopo, si può dire, la riorganizzazione della Chiesa, sotto la guida
diretta dei vescovi, che inizialmente erano cinque, poi divenuti sette, fu
grande e la fioritura fu notevole: una cinquantina di Seminari che durarono
fino agli anni ’60. Bisogna distinguere due tappe: il primo secolo dopo il
ripristino della gerarchia, dal 1853 alla seconda guerra mondiale, fino al
1950, e gli ultimi 50 anni. Nel primo secolo le vocazioni furono molte,
l’espansione, soprattutto fuori del Paese, notevole, la parte ecumenica un po’
meno, comunque la crescita dei cattolici da 1 milione a 5 milioni e quindi
molti segni positivi. Gli ultimi 50 anni sono stati più difficili, ma direi
che, anche se è presto per giudicare quel periodo, in questo momento
l’antagonismo che c’è stato, la non comprensione verso la Chiesa di Roma, verso
la Chiesa universale, l’aver scelto una via propria di rinnovamento, tutto
questo è rientrato un po’ nei ranghi. Abbiamo adesso di nuovo una Chiesa che dà
segni di una nuova fioritura, ci sono vocazioni e vedo che anche i Movimenti
cominciano ad avere qualche incidenza. Questa festa che faremo il 7 giugno
credo che dimostri una rinnovata volontà, da parte dei cattolici olandesi, di
essere di nuovo Chiesa in pienezza.
La liturgia sarà presieduta
dall’Inviato speciale del Santo Padre, il cardinale Jan Pieter Schotte,
segretario generale del Sinodo dei vescovi. Il gesto di solidarietà al quale i
fedeli sono invitati durante la colletta dell’Eucaristia di sabato 7 giugno è
destinato al sostegno di programmi di assistenza per i rifugiati in Africa.
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29 maggio 2003
REAZIONI E POLEMICHE SULLA BOZZA DELLA
COSTITUZIONE EUROPEA PRESENTATA IERI DAL PRESIDIUM DELLA CONVENZIONE.
NESSUN
RIFERIMENTO ALLE RADICI CRISTIANE DEL VECCHIO CONTINENTE.
CON
NOI IL CARDINALE ROBERTO TUCCI
- A
cura di Paolo Ondarza -
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Non c’è
alcun riferimento esplicito alle “radici cristiane dell’Europa” nella futura
Costituzione europea, il cui testo è stato approvato ieri. Il preambolo, infatti,
sottolinea il ruolo centrale nella cultura europea dell’uomo e dei suoi diritti
inalienabili ed inviolabili: democrazia, libertà, giustizia, solidarietà,
sviluppo e bene comune. Nella Convenzione si parla soltanto dello “slancio
spirituale” che ha percorso l’Europa. La richiesta relativa alle radici
cristiane - fatta dall’ex premier irlandese John Bruton ed invocata in più
occasioni dal Papa - è stata bocciata con la motivazione che in questo caso si
sarebbe dovuto assumere lo stesso atteggiamento nei confronti delle religioni
ebraica e musulmana. Ma questa non è stata la sola polemica innescatasi dopo
l’approvazione di ieri. Ce lo conferma da Bruxelles il corrispondente
dell’Agenzia Sir, Gian Andrea Garancini:
“Stretti nella duplice morsa di Romano Prodi, secondo il
quale la bozza di Costituzione manca di visione, e del presidente della
Convenzione Valéry Giscard d’Estaing, che controbatte accusando la Commissione
di frenare qualsiasi cambiamento, i 205 convenzionali sono chiamati a dibattere
sull’integralità del progetto costituzionale. Resta escluso per il momento il
controverso capitolo sulle istituzioni in merito al quale il Presidium ha deciso
di presentare un nuovo testo per la plenaria del 5 e 6 giugno. Nella 2 giorni
di Bruxelles, dunque, si discuterà degli articoli di tutte e 4 le parti della
bozza costituzionale. Infine, la Convenzione ha preso finalmente visione del
testo del preambolo. Malgrado l’innegabile completezza ed eleganza, ci si
attende una discussione particolarmente accesa per l’assenza di un riferimento
esplicito a Dio ed al cristianesimo a favore di un più generale richiamo alle
eredità culturali, religiose ed umaniste dell’Europa, riferimento atteso a
seguito delle ripetute rassicurazioni dello stesso Giscard”.
Proprio
sul testo della Convenzione e sull’assenza in esso di un riferimento esplicito
a Dio e alle radici cristiane dell’Europa, si espresso stamani il cardinale
Roberto Tucci, intervistato da Rosario Tronnolone.
R. – Credo che questo sia un testo molto buono. Il guaio è
che non hanno il coraggio, i nostri bravi costituenti, di riconoscere non
la fede cattolica o protestante o ortodossa: non si trattava di un’adesione, ma
certamente di riconoscere il fatto storico dell’enorme influsso che ha avuto la
cultura cristiana sulla cultura europea. E credo che questo sia un punto
negativo e mi pare che sia giusta l’indignazione del professor Rumi quando dice
che manca il fattore più unificante dell’Europa, che è stato la cultura
cristiana. Anche recentemente, un intellettuale francese di sinistra, Debré,
diceva che nella scuola francese bisognerebbe introdurre un po’ di cultura
religiosa, non nel senso di una catechesi, del catechismo, ma cultura religiosa
per capire la cultura della Francia!
D. – La difficoltà a dichiarare esplicitamente questa
tradizione religiosa, secondo lei nasce da che cosa?
R. – Nasce da una tradizione in Europa, laicista; poi,
nasce anche dal fatto che si constata nell’Europa occidentale, centrale e anche
centro-orientale una certa perdita di pratica religiosa, di fede ... Questo non
deve far dimenticare che centinaia di milioni di europei si riconoscono nei
valori cristiani, anche se – magari – non credono; oltre che c’è una grande
massa di cristiani che ci credono. Quindi, per me è un’offesa; è un’offesa alla
ragione, è un’offesa al buon senso ed è un’offesa ad una buona parte dei cittadini
dell’Europa.
Ma intanto una nota diffusa congiuntamente nella tarda
mattinata dalla Comece e della Kek, i due organismi rispettivamente dei vescovi
cattolici e delle 126 chiese ortodosse, informa che “il Presidium della
Convenzione europea ha proposto un preambolo alla Costituzione che riconosca il
contributo dell’eredità religiosa in Europa – Continente a maggioranza
cristiana – ai fini di determinare i valori comuni,
fondamentali per un processo di integrazione europea. Un'Europa che disconosce
il proprio passato, che nega il ruolo della religione e della dimensione
spirituale – si legge nella nota delle chiese cristiane - risulterà notevolmente
impoverita nell’affrontare quell’ambizioso progetto bisognoso di tutte le energie
disponibili: costruire un’Europa per tutti”.
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CRISTIANI PIU’ UNITI A BERLINO CON LA GRANDE GIORNATA
ECUMENICA.
L’INVITO
DEL PAPA A UNA COMUNE TESTIMONIANZA DI FEDE
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Servizio di Angelo Paoluzi -
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Il Kirchentag deve diventare un grande segno ecumenico che
quello che ci unisce nella fede è più forte e significativa di quello che ci
divide. E’ uno degli auguri che Giovanni Paolo II ha formulato nel messaggio
indirizzato al Kirchentag ecumenico in corso da ieri sera a Berlino sino al
primo giugno prossimo. Il Papa parla di una comune missione che i cristiani
hanno nei confronti del mondo, nel quale relativismo etico e secolarismo
mettono in forse le basi della fede cristiana e si compiace di quanto si fa in
conoscenza, preghiera, dialogo teologico, impegno per una nuova
evangelizzazione e per il servizio agli ultimi.
Nella storica cornice della Porta di Brandeburgo, il testo
è stato letto dal nunzio apostolico mons. Giovanni Lajolo, dopo il saluto
iniziale del capo dello Stato, Johannes Rau, e prima delle altre autorità.
L’incontro ecclesiale, il primo tra cristiani dopo cinque secoli di
separazione, ha come slogan: ‘Siate una benedizione’, con i seguenti grandi
sottotemi: testimoniare la fede e vivere nel dialogo, cercare l’unità ed
incontrarsi nella diversità, rispettare la dignità umana, preservare la
libertà, modellare il modo, essere responsabili dei propri atti.
200 mila i partecipanti, la metà sono giovani; 3 mila le
occasioni d’incontro alle quali sono presenti oltre 5 mila ospiti da 90 Paesi
di quattro continenti.
Angelo Paoluzi da Berlino, per la Radio Vaticana.
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UN TRIBUTO AL CORAGGIO E ALL’IMPEGNO PER LA PACE.
LE
NAZIONI UNITE CELEBRANO
OGGI
PER LA PRIMA VOLTA LA GIORNATA INTERNAZIONALE DEI PEACEKEEPER:
INTERVISTA
CON STAFFAN DE MISTURA
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Servizio di Alessandro Gisotti -
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FIFTY-FIVE
YEARS AGO…
“Cinquantacinque anni fa dei soldati furono mandati sul
campo di battaglia, sotto una nuova bandiera e per una nuova missione”: una
missione di pace. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan,
ricorda così il significato epocale della prima missione di pace dell’Onu. Lo
fa nel messaggio per l’odierna Giornata Internazionale dei Peacekeeper, che
celebra - per la prima volta nella storia - il coraggio dei “berretti blu”. Donne
e uomini, che hanno sacrificato la propria vita per la nobile causa della pace.
Annan sottolinea come le operazioni di peacekeeping, siano un “tentativo di
affrontare e sconfiggere il lato peggiore dell’essere umano, attraverso ciò che
di meglio è in esso”: contrastare la violenza con la tolleranza, la guerra con
la pace. Un impegno assolto oggi da 37 mila operatori di pace, dispiegati in 14
missioni su tre continenti. Un riconoscimento, quello odierno, accolto con
emozione da Staffan de Mistura, da trent’anni in prima linea - sotto il
vessillo dell’Onu - in difesa della pace. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente
a Beirut, dove ricopre attualmente il delicato compito di rappresentante
personale del segretario generale delle Nazioni Unite per il sud del Libano:
R. - I nostri berretti blu, che sono stati in 50 anni più
di 500 mila, da almeno 60 nazioni, sono persone che meritano di essere
ringraziate. Noi abbiamo perso più di 1800 dei nostri colleghi durante questi
anni. E solo nella zona dove mi trovo adesso, in Medio Oriente, lungo la
frontiera libanese-israeliana-siriana, 220. Ora, tutte queste persone sono
morte per difendere una linea di pace ed è giusto che un giorno all’anno ci
ricordiamo di loro.
D. – Nel corso degli anni la figura del peacekeeper dell’Onu
si è modificata, accresciuta, arricchita, per impegni e compiti da svolgere.
Qual è oggi la funzione primaria di questi operatori di pace?
R. – E’ proprio così. E’ cambiato enormemente il profilo
del peacekeeper. Un tempo le operazioni iniziali - quelle di Cipro, del Kashmir
… - erano puramente stazionarie, di controllo e osservazione. Poi c’è stato un
periodo in cui sono diventate operazioni pro-attive militarmente, come in
Somalia o in Bosnia. Missioni che hanno incontrato grandi difficoltà, perché
non avevano sufficienti mezzi. Oggi abbiamo un nuovo ruolo. C’è bisogno di una
combinazione nuova: devono essere
soldati, ma devono essere anche negoziatori, amministratori, essere
esperti o comunque capaci di gestire l’aiuto umanitario, psicologi, devono
essere sminatori. Ma devono, soprattutto, essere in contatto con la popolazione
locale, perché la guerra quando loro arrivano è finita ed è la pace che va
ricostruita. Questa è la parte più difficile, dove il fucile non serve più.
Serve veramente quella combinazione di cervello e cuore, che il nuovo peacekeeper
deve saper usare.
D. – Ciclicamente, si riaffaccia nel dibattito
internazionale sulle Nazioni Unite la proposta di dotare l’Onu di un vero e
proprio esercito. Qual è la sua opinione al riguardo?
R. – Questo sarebbe il mondo ideale: nel momento in cui il
Consiglio di Sicurezza decide di mandare una forza di intervento o di
interposizione o di osservazione, nel giro di 48 ore avere queste donne e
uomini sul posto. In realtà, questo non avviene mai, come abbiamo visto, perché
ci vogliono mesi e mesi di preparazione, di finanziamento e così via. L’ideale
sarebbe di avere una forza di pronto intervento. In poche parole, poter contare
su 30-40 mila uomini e donne che siano in qualche maniera a disposizione
dell’Onu quando avviene una tale richiesta.
D. – Con la crisi irachena, il Palazzo di Vetro è sembrato
scricchiolare in alcuni momenti. E’ a rischio l’efficacia dell’Onu nelle
operazioni di promozione e rafforzamento della pace se si dovessero verificare
nuove frizioni all’interno del Consiglio di Sicurezza?
R. – Il Palazzo di Vetro, che è lì da più di 50 anni, è
proprio di vetro e ogni tanto scricchiola e come. Si sente proprio il rumore,
la sensazione che venga messa in dubbio la sua validità. Però, sono 30 anni che
lavoro con le Nazioni Unite, e chiunque abbia visto l’Onu in azione non può che
dire che quanto successo con l’Iraq sia avvenuto anche in passato. Ricordiamoci
il Kosovo: la guerra in Kosovo fu dichiarata senza l’avallo delle Nazioni Unite
e poi tutti si ricompattarono con la risoluzione dell’Onu. Il Kosovo oggi sta
rinascendo. Conclusione: non c’è alternativa all’Onu. L’Onu non è perfetta,
perché è lo specchio di quello che siamo noi, di quello che sono le Nazioni e
le divisioni tra loro. Ma anche il meglio delle Nazioni, quando vogliono farlo.
E dato che non c’è alternativa, l’Onu continuerà a volte a scricchiolare, però
poi andrà avanti.
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SPEZZARE LA SPIRALE DELLA VIOLENZA TRA
PALESTINESI E ISRAELIANI:
QUESTO L’OBIETTVO DEL PELLEGRINAGGIO AD AUSCHWITZ
DI EBREI E ARABI D’ISRAELE CONCLUSO OGGI.
CON NOI PADRE EMILE SHOUFANI, PROMOTORE
DELL’INIZIATIVA,
INSIGNITO IERI DEL PREMIO UNESCO 2003 PER
L’EDUCAZIONE ALLA PACE
- A cura di Carla Cotignoli -
“Spezzare la spirale della
violenza”. E’ questo l’obiettivo di un pellegrinaggio senza precedenti ad
Auschwitz (Oświecim) a cui hanno partecipato 135 ebrei e 125 arabi
d’Israele, 25 cristiani e 100 musulmani a cui si sono uniti altri 200
pellegrini da Francia e Belgio, 140 dei quali arabi metà cristiani e metà musulmani
e un gruppo di giornalisti. Iniziato lunedì scorso con la visita al ghetto di
Cracovia, alla grande sinagoga della città, per poi proseguire ad Auschwitz, il
pellegrinaggio si conclude oggi. Ma
ascoltiamo l’ideatore e organizzatore di questa coraggiosa iniziativa: il
parroco greco-melchita-cattolico di Nazareth, l’archimandrita Emile Shoufani,
insignito ieri del Premio Unesco 2003 per l’Educazione alla pace, al microfono
di Bruce de Galzain:
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R. -
NOUS VENONS DE LA SOUFFRANCE DE CETTE SITUATION ...
L’idea del pellegrinaggio è nata proprio perché la
sofferenza di israeliani e palestinesi è sempre più grande, perché subiamo la
demolizione di città e villaggi. Vogliamo spezzare questa spirale che è spirale
di morte, spirale dell’azione e della reazione, degli uni contro gli altri, da
cui non c’è via di uscita, per raggiungere un’altra dimensione che è stata
dimenticata: la dimensione umana, la dimensione della storia, della memoria,
che può aprire al dialogo.
C’EST
UN GESTE GRATUIT, TOTALEMENT. ...
Questo pellegrinaggio vuol
essere gesto totalmente gratuito. Noi siamo andati per ascoltare ciò che il
popolo ebreo dice della sua storia, del dramma della Shoa, siamo andati
per comprendere, essere solidali,
prendere su noi stessi, questa sofferenza. Vorremmo essere una porta che si
apre al cambiamento, alla trasformazione, una porta spalancata sulle due parti:
palestinesi e israeliani, senza
guardare a chi deve fare il primo passo. Si fa astrazione della politica
attuale, non è che siamo insensibili, ma non vogliamo restare imbrigliati nella
sua logica bloccata sul chi deve fare il primo passo. Proprio in questa
dimensione della nostra debolezza, della nostra sofferenza noi abbiamo fatto
questo gesto, un gesto gratuito che non si aspetta la reciprocità, ma vuole
solo raggiungere l’altro e dialogare con lui. Abbiamo vissuto questi giorni in
un clima è di amore, di fraternità di
attenzione verso i sopravvissuti ai campi di sterminio e allo stesso tempo di
desiderio di creare legami tra persone diverse. C’è stato un clima
straordinario!
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29 maggio 2003
I SACERDOTI DEL SACRO CUORE DI GESÙ,
CONOSCIUTI CON IL NOME DI PADRI
DEHONIANI
E RIUNITI A ROMA DALLO SCORSO 12 MAGGIO PER IL XXI CAPITOLO
GENERALE
DELLA LORO CONGREGAZIONE, HANNO ELETTO IL NUOVO
SUPERIORE
GENERALE: È IL PORTOGHESE PADRE JOSÉ ORNELAS CARVALHO
ROMA.
= Il portoghese padre José Ornelas Carvalho è il nuovo superiore generale della
Congregazione dei sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, fondata nel 1878 dal
venerabile padre Leone Dehon. L’elezione è avvenuta martedì scorso durante il
XXI Capitolo generale della Congregazione in svolgimento a Roma dal 12 maggio e
dedicato al tema: “Dehoniani in missione: cuore aperto e solidale”. Padre Josè
Ornelas Carvalho, nato nell’isola portoghese di Madeira il 5 gennaio 1954 e,
fino ad oggi, superiore provinciale del Portogallo dal 2000, è subentrato
all’argentino padre Virginio Domingo Bressanelli. Il Capitolo generale di
quest’anno, incentrato su tre tematiche cruciali quali il ritorno
all’essenziale della vita cristiana, il confronto con le sfide della nostra
epoca e la specificità del servizio apostolico dei Dehoniani, si concluderà il
prossimo 13 giugno. I Dehoniani, tra sacerdoti e religiosi, sono attualmente
circa 2.300 e sono presenti in 38 Paesi. Il loro servizio alla Chiesa si
realizza nel ministero pastorale rivolto agli umili e ai poveri e nella
formazione sacerdotale e religiosa. Forma privilegiata del loro apostolato è
l’attività missionaria. (A.L.)
I CRIMINI COMMESSI A TIMOR EST
DEVONO ESSERE GIUDICATI DA UN TRIBUNALE INTERNAZIONALE.
E’
QUESTO L’APPELLO RIVOLTO DA OLTRE 90 ORGANIZZAZIONI
RELIGIOSE
STATUNITENSI AL GOVERNO DI WASHINGTON
WASHINGTON. = I rappresentanti di oltre 90
organizzazioni religiose statunitensi, in maggioranza cristiane, ma anche
musulmane ed ebree, hanno chiesto al governo del loro Paese di appoggiare la
creazione di un tribunale internazionale per i crimini commessi a Timor Est
prima e dopo il referendum per l’indipendenza del 30 agosto 1999. I leader
religiosi nordamericani hanno invitato il governo di Washington e più in generale
la comunità internazionale a riesaminare i processi contro i responsabili di
questi crimini. Nel documento, diffuso giorni fa in occasione dell’assoluzione
da parte del tribunale di Giakarta del generale Tono Suramatan, i firmatari hanno
ricordato che "i militari indonesiani hanno commesso atrocità senza fine a
Timor Est, tra cui torture, abusi, sterilizzazioni forzate e omicidi". Il
testo si conclude invitando la comunità internazionale a trovare il modo di
"giudicare i crimini di guerra e contro l’umanità compiuti contro la
popolazione di Timor Est e contro l’Onu". Le critiche delle organizzazioni
religiose si vanno ad aggiungere alle molte altre già suscitate dall’attività
del tribunale di Giakarta che, creato con decreto presidenziale e divenuto
operativo nel marzo 2002, ha assolto la maggior parte dei suoi 18 incriminati.
Un altro tribunale sui crimini del 1999, istituito a Dili, ha invece emesso in
oltre due anni decine di condanne e incriminazioni, prendendo in esame denunce
di sterminio, deportazioni, persecuzioni e misteriose scomparse di persone.
(A.L.)
UN ELENCO DI OLTRE 11 MILA
PERSONE SEQUESTRATE IN SUDAN DALLE MILIZIE
FILOGOVERNATIVE.
E’ L’INIZIATIVA DEL RIFT VALLEY INSTITUTE
CHE HA
INVIATO RICERCATORI IN TUTTO IL PAESE
PER
STILARE UNA DETTAGLIATA LISTA DEGLI SCOMPARSI
WASHINGTON. = La schiavitù esiste ancora. Il Rift
Valley Institute, con sede in Kenya, ha compilato un elenco dettagliato di
oltre 11 mila persone sequestrate dalle milizie filogovernative del Sudan, presumibilmente
vendute come schiavi nella zona meridionale del Sudan, dove c’è ancora la
guerra, la più lunga del continente nero. Quarantotto ricercatori sudanesi sono
stati incaricati di percorre la provincia di Bahr-el-Ghazal, in bicicletta e a
piedi, dotati di questionari. Delle oltre 11 mila persone sudanesi scomparse,
il 90 per cento manca ancora all'appello. Nel corso di una conferenza stampa a
Washington, il condirettore del progetto, Jok Madut, ha affermato che “il
rapimento e la schiavitù sono orrendi ma l’importante è che ora sappiamo con
certezza chi è stato rapito, dove e quando”. Secondo l’altro responsabile del
progetto, John Ryle, si può presumere che il numero di persone sequestrate e
costrette alla schiavitù sia in realtà molto più alto. “E' chiaro - ha
aggiunto- che non siamo stati in grado di registrare tutti i nomi e le nostre
sono cifre parziali”. (S.C.)
ANALISI DEI DATI MACROECONOMICI,
VALORIZZAZIONE DEL BESTIAME,
LOTTA
ALL’AIDS E SOSTEGNO ALLE CAPACITÀ DI SVILUPPO.
SARANNO
QUESTE LE PRIORITÀ DELLA BANCA MONDIALE CHE, DOPO 12 ANNI,
HA
RIPRESO LE PROPRIE ATTIVITA’ IN SOMALIA
MOGADISCIO. = La Banca Mondiale
ha ripreso per la prima volta le proprie attività in Somalia da quando, nel
1991, le aveva sospese a causa dello scoppio della guerra civile in seguito
alla caduta del regime di Siad Barre. L’istituzione finanziaria di Washington
afferma, in un comunicato, di voler ora pianificare, nel Paese, i propri
interventi in quattro settori strategici quali l’analisi dei dati macroeconomici,
la valorizzazione del bestiame, la lotta all’Aids ed il sostegno alle capacità
di sviluppo. Prima di decidere la ripresa dei progetti in Somalia, dove i
“signori della guerra” stanno intraprendendo un lento dialogo per la pace, la
Banca Mondiale ha svolto una serie di consultazioni con Paesi donatori, agenzie
dell’Onu e referenti somali. L’istituto di credito internazionale aveva sospeso
i propri prestiti alla Somalia in seguito al “crollo” dello Stato del ’91 e la
ripresa di nuove aperture di credito era stata ostacolata finora dal fatto che
il Paese era del tutto privo di un’amministrazione statale e in condizioni non
affidabili. A Eldoret, in Kenya, da oltre un anno è in corso la
"Conferenza di riconciliazione somala", che in una dozzina di anni
rappresenta già il tredicesimo tentativo di risolvere definitivamente la crisi
del Paese del corno d'Africa. Attualmente il governo di transizione di
Mogadiscio (Tng) controlla alcune zone della capitale e pochi altri settori del
territorio, che è controllato da una galassia di formazioni armate gestite
sulla base dell’appartenenza ai clan. (A.L.)
RICORRE OGGI IL 50° ANNIVERSARIO DELLA
CONQUISTA DELL’EVEREST AD OPERA
DEL
NEOZELANDESE EDMUND HILLARY E DEL NEPALESE TENZING NORGAY
- A
cura di Maria Grazia Coggiola -
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KATHMANDU. = L’impresa viene celebrata in pompa magna da
centinaia di alpinisti oggi riuniti a Kathmandu. Il Nepal vede queste
celebrazioni come l’occasione per rivitalizzare la sua industria turistica
piegata da sette anni di guerriglia maoista, dalla crisi indo-pakistana e da
ultimo anche dalla polmonite atipica. Il re nepalese Gyanendra, sopravvissuto
al massacro della famiglia reale nel 2001, l’anno scorso ha esautorato il primo
ministro e insediato un nuovo governo, che è contestato da quasi tutti i
partiti. Le celebrazioni hanno anche sollevato il problema dell’eccessivo
sfruttamento ecologico e turistico dell’Himalaya. In questi giorni al campo
base dell’Everest, dove ieri si è schiantato un elicottero che trasportava
degli sherpa, sono accampati più di mille alpinisti, un business per il Nepal,
ma anche una minaccia per il delicato ecosistema himalyano.
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“UN CUORE CHE AMA – IL SACRO CUORE
DI GESÙ”. E’ QUESTO IL TITOLO DEL LIBRO
DI
MARCO CARDINALI, REDATTORE DEL PROGRAMMA “ORIZZONTI CRISTIANI”
DELLA
NOSTRA EMITTENTE, CHE SARÀ PRESENTATO OGGI POMERIGGIO A ROMA,
PRESSO
L’ORATORIO DEL SS. SACRAMENTO
ROMA.
= Sarà presentato oggi pomeriggio a Roma, alle ore 18.30 presso l’Oratorio del
SS. Sacramento, “Un cuore che ama – Il Sacro cuore di Gesù”, il libro di Marco
Cardinali, redattore del programma “Orizzonti Cristiani” della nostra
emittente. All’incontro interverranno il segretario della Congregazione per le
cause dei Santi, l’arcivescovo Edward Novak, il direttore dei programmi della
Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano, padre Federico Lombardi, il
presidente dell’Opera diocesana assistenza (Oda), mons. Mario Pieracci ed il
vaticanista de “L’Osservatore Romano”, padre Gianfranco Grieco. Coordinerà
l’incontro Franca Salerno, responsabile di “Orizzonti Cristiani”. (A.L.)
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29 maggio 2003
- A cura di Giada Aquilino e
Stefano Cavallo -
Sforzi diplomatici in primo
piano per la pace in Medio Oriente, una regione dove però non si ferma la
violenza. Stamani un giovane palestinese è stato ucciso dai soldati israeliani
durante un'incursione nella zona di Khan Younis, nel sud della Striscia di
Gaza. Poco prima un militante della Jihad islamica era morto in una sparatoria
a Jenin, nel nord della Cisgiordania. In questo scenario, stasera a Gerusalemme
dovrebbero incontrarsi il premier israeliano Sharon e quello palestinese Abu
Mazen. Sentiamo Graziano Motta:
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I giornali di oggi riferiscono che il primo ministro
israeliano dovrebbe annunciare sia il graduale trasferimento ai palestinesi del
controllo di zone da cui i soldati saranno ritirati, sia l’alleggerimento delle
restrizioni imposte alla popolazione. D’altra parte, in un’intervista al
giornale 'Yedioth Ahronoth', Abbas anticipa che presto sarà raggiunto un
accordo con il movimento fondamentalista Hamas per la sospensione delle azioni
terroristiche contro civili israeliani. Sono, queste, le premesse per una
ripresa del dialogo politico, richieste dal presidente Bush, che – lo ha
confermato ieri la Casa Bianca - martedì 3 giugno sarà a Sharm el Sheikh, per
incontrarvi alcuni leader arabi della regione: fra questi anche Abu Mazen
(Mahmud Abbas), che il 4 giugno il presidente statunitense vedrà di nuovo insieme
a Sharon, ad Aqaba, località giordana sul Mar Rosso. Due vertici per ribadire
la determinazione di Bush nella lotta al terrorismo e il suo impegno personale
nella soluzione del conflitto israelo-palestinese, nonché per illustrare la sua
visione di un nuovo Medio Oriente, dopo la guerra in Iraq.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Un
ammonimento a Siria ed Iran, perché non aiutino il terrorismo internazionale, è
giunto dal premier britannico Tony Blair, arrivato oggi a Bassora, in Iraq. Il
numero uno di Downing Street ha incontrato il capo dell'amministrazione provvisoria
americana, Paul Bremer, l'inviato britannico in Iraq, John Sawers, e le truppe
britanniche schierate nella parte meridionale del Paese. Ma l’uccisione oggi di
un soldato americano in un attacco in Iraq dimostra che Blair - primo leader
occidentale a visitare il Paese dopo la fine della guerra - trova una
situazione piuttosto instabile. Sentiamo Paolo Mastrolilli:
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Ieri la televisione araba Al
Jazeera ha riportato di altri scontri a nord-ovest di Baghdad e ha aggiunto che
un elicottero americano è stato abbattuto e quattro soldati sono morti. Fonti
americane invece hanno ammesso il ferimento di nove militari in scontri
avvenuti nella zona centrale e settentrionale del Paese. I comandanti attribuiscono
questi disordini alle forze residue del partito Baath e agli estremisti ancora
fedeli a Saddam, che cercano di boicottare la stabilizzazione del Paese.
Ieri un sito Internet
mediorientale ha pubblicato un documento presentato come il quarto messaggio
manoscritto dall’ex leader iracheno, in cui Saddam inciterebbe la popolazione
alla resistenza contro americani e inglesi. Nello stesso tempo un gruppo, che
si definisce il Comando generale delle forze armate della resistenza e della
liberazione irachena, ha rivendicato l’attacco di martedì a Fallujah, dove sono
stati uccisi due soldati statunitensi. In questo clima di tensione, l’Agenzia
internazionale per l’energia atomica ha annunciato che la prossima settimana i
suoi tecnici torneranno nel Paese per controllare e ricuperare i materiali
nucleari scomparsi dalle centrali saccheggiate dopo la guerra.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Il
rispetto del diritto internazionale nel quadro della lotta al terrorismo è il
punto cardine della dichiarazione comune firmata oggi a Mosca dai partecipanti
al vertice del gruppo di Shanghai, formato nel ’96 da Russia, Cina,
Kirghizstan, Kazakhstan, Uzbekistan e Tadjikistan. In agenda figurano la
questione della sicurezza in Asia centrale, temi economici e delle comunicazioni.
Primo
giorno oggi a Annemasse, in Alta Savoia, dell’incontro alternativo al G8 di
Evian, intitolato “Vertice per un altro mondo”. L’appuntamento - in programma
fino al 31 maggio - è organizzato da un collettivo di associazioni antimondializzazione
e da organizzazioni non governative. Sabato sera i ‘no global’ accenderanno dei
falo' nel quadro delle proteste anti-G8: il vertice dei ‘Grandi della Terra’,
invece, prenderà il via domenica 1° giugno.
Un’ennesima
scossa di terremoto, pari a 5,8 gradi sulla scala Richter, ha colpito oggi
l'Algeria, intorno alle nostre 4.00 di stamattina. Reazioni di panico hanno
causato il ferimento di alcune persone. L'epicentro del terremoto è stato
localizzato nella zona di Zemmouri, ad est di Algeri. Ed intanto è arrivata
ieri sera nel porto della capitale la nave italiana 'Taurus', con a bordo 2.280
tende, oltre 6.000 coperte e altri aiuti destinati ai sinistrati del terremoto
che, il 21 maggio scorso, ha colpito le regioni di Algeri e Boumerdes.
Un
terremoto ha colpito anche il Perù: nella città di Lima ieri pomeriggio una
scossa che ha superato il quinto livello della scala Richter, con
epicentro nell'Oceano Pacifico, ha provocato il panico tra gli abitanti. Finora non sono
stati registrati feriti, né gravi danni alle cose.
E sempre in Perù, scioperi di docenti, contadini e lavoratori
dei settori sanitario e giudiziario stanno causando da ieri disordini in varie province del
Paese andino. La prima giornata dello stato d’emergenza, decretato dal
presidente Alejandro Toledo, comporta la sospensione di diritti
personali, come le libertà di circolazione e di riunione e l'inviolabilità del
domicilio. Sui motivi
delle proteste, ascoltiamo il servizio di Maurizio Salvi:
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Alla base di tutto vi è una impossibilità del governo di
continuare a rimborsare regolarmente il debito estero, che assorbe il 40 per
cento del bilancio annuo del Paese, e di far fronte allo stesso tempo alle rivendicazioni
di sempre più ampi strati sociali che entrano in una irreversibile povertà. E
se apparentemente i dipendenti del settore sanitario sembrano aver sospeso le
manifestazioni di piazza, così non è per gli insegnanti e gli agricoltori, che
hanno proventi bassissimi e che non hanno ormai più nulla da perdere. Gli
incidenti più gravi di ieri sono avvenuti a Barranca, a circa 200 chilometri da
Lima, dove gruppi di agricoltori non hanno esitato ad affrontare i soldati con
bastoni e pietre, con un bilancio di una ventina di feriti e di circa 100
arrestati. Ma le violazioni alla misura introdotta dal presidente Toledo sono
state numerose e praticamente in quasi tutte le regioni del Perù.
Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.
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Passiamo
all’emergenza Sars. Due persone sono morte per la polmonite atipica in Cina
nelle ultime 24 ore, mentre i nuovi casi di infezione sono 3. Ad Hong Kong le
vittime sono tre e due i nuovi contagi.
Il
nuovo governo cinese ha respinto la richiesta di rivedere il proprio giudizio
sul massacro di piazza Tiananmen, avvenuto nel 1989. Nella notte tra il 3 ed il
4 giugno di quell’anno l'esercito cinese intervenne contro gli studenti che da
giorni occupavano la principale piazza di Pechino: si ritiene che centinaia di
giovani siano stati uccisi. Un gruppo di familiari delle vittime aveva chiesto
al presidente Hu Jintao ed al premier Wen Jiabao di riconsiderare il giudizio
sulla ribellione degli studenti, giudicata ''controrivoluzionaria'' dal partito
comunista cinese.
Potrebbe
essere operativa già la prossima settimana la forza multinazionale di pace per
Bunia, la città della Repubblica Democratica del Congo sconvolta dalle violenze
interetniche tra Hema e Lendu. Ad annunciarlo l’ambasciatore francese all'Onu,
Jean-Marc de La Sabliere.
Si è insediato oggi per il suo secondo mandato il
presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo, uscente dalle votazioni con un
ampio consenso elettorale, ma anche duramente accusato dall’opposizione di
brogli. L’avversario di Obasanjo alle consultazioni dello scorso mese,
Muhammadu Buhari, ha infatti respinto i risultati del voto.
Italia. La Corte d'Appello di
Milano ha dichiarato inammissibile l’istanza di ricusazione presentata
dall’onorevole Cesare Previti nei confronti del collegio giudicante del
processo Sme. I giudici milanesi hanno anche disposto il pagamento, da parte del parlamentare di Forza Italia, di
un'ammenda di 1.000 euro.
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