RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 149 - Testo della Trasmissione di giovedì 29 maggio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Con l’inviato di Giovanni Paolo II, il cardinale Jan Schotte, la Gerarchia cattolica nei Paesi Bassi festeggia i suoi 150 anni: con noi, il presule olandese mons. Karel Kasteel.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si infiamma il dibattito sulla bozza della Costituzione europea. Nessun riferimento nel preambolo alle radici cristiane del vecchio continente: ai nostri microfoni, il cardinale Roberto Tucci.

 

Cristiani più uniti a Berlino per la prima grande Giornata ecumenica. L’invito del Papa ad una comune testimonianza di fede.

 

Le nazioni Unite celebrano oggi la prima Giornata internazionale dei Peacekeeper, un tributo agli operatori per il mantenimento della pace: intervista con Staffan de Mistura.

 

Spezzare la spirale di violenza tra israeliani e palestinesi, obiettivo del pellegrinaggio ad Auschwitz di ebrei ed arabi d’Israele concluso oggi: ce ne parla il parroco greco cattolico di Nazaret, Emile Shoufani, promotore dell’iniziativa.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Padre José Ornelas Carvalho è il nuovo superiore generale della Congregazione dei sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, fondata nel 1878 dal venerabile padre Leone Dehon.

 

Oltre 90 organizzazioni religiose statunitensi chiedono che i crimini commessi a Timor Est siano giudicati da un tribunale internazionale.

 

Il Rift Valley Institute, con sede in Kenya, ha compilato un elenco dettagliato di oltre 11 mila persone sequestrate dalle milizie filogovernative del Sudan, presumibilmente vendute come schiavi nella zona meridionale del Paese.

 

Dopo 12 anni la Banca Mondiale riprende le proprie attività in Somalia.

 

Ricorre oggi il 50.mo anniversario della conquista dell’Everest ad opera del neozelandese Edmund Hillary e del nepalese Tenzing Norgay.

 

“Un cuore che ama – Il Sacro cuore di Gesù” : questo il titolo del libro di Marco Cardinali, redattore del programma ‘Orizzonti cristiani’ della nostra emittente.

 

24 ORE NEL MONDO:

Pace in Medio Oriente: stasera a Gerusalemme, secondo incontro tra l’israeliano Sharon e il palestinese Abu Mazen.

 

Il premier britannico Blair a Bassora, nell’Iraq meridionale.

 

Rispetto del diritto internazionale nella lotta al terrorismo: lo chiedono i Paesi del gruppo di Shanghai, riuniti a Mosca.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

29 maggio 2003

 

 

CON L’INVIATO DEL PAPA, IL CARDINALE JAN PIETER SCHOTTE,

LA GERARCHIA CATTOLICA NEI PAESI BASSI FESTEGGIA SABATO 7 GIUGNO

150 ANNI DALLA SUA ISTITUZIONE AD OPERA DI PIO IX.

CON NOI, MONS. KAREL KASTEEL

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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All’insegna del motto “Cattolici di cuore e di anima”, i fedeli del Paese celebrano l’importante ricorrenza professando la loro fede con rinnovata energia e con un più deciso impegno di vita, nella piena consapevolezza di essere parte di una comunità viva e solidale. Il Beato Pio IX costituì la Gerarchia cattolica nei Paesi Bassi il 4 marzo 1853, dopo la promulgazione della nuova Costituzione olandese del 1848, che accordava alla Chiesa cattolica uno statuto paritario rispetto a quello delle altre confessioni. Preceduta da una novena in tutte le parrocchie, sabato mattina 7 giugno si terrà una solenne concelebrazione nel complesso fieristico di Utrecht, città dalla quale San Willibrord iniziò la sua predicazione nei Paesi Bassi tredici secoli or sono.

 

D. – Quale cammino hanno percorso i cattolici olandesi in questi 150 anni? Abbiamo posto la domanda a un figlio della Chiesa olandese, mons. Karel Kasteel, sottosegretario del Pontificio Consiglio Cor Unum …

 

R. – La storia della Chiesa risale già nei Paesi Bassi ai primi secoli del cristianesimo. Ai tempi di Papa Liberio e di San Damaso I andò San Servazio, un missionario armeno, come primo vescovo nella città che oggi chiamiamo Maastricht. Qualche secolo dopo nel nord, ad Utrecht, arrivò il missionario irlandese San Willibrord che fissò la sua sede in quella città che è diventata metropolitana nel 1559 sotto Papa Paolo IV. Quella fu la prima  istituzione della gerarchia in tutti i 17 Paesi Bassi. Adesso ci limitiamo alla provincia di Utrecht, l’attuale Regno dei Paesi Bassi che purtroppo, a motivo della Riforma protestante, non poté più avere vescovi dopo qualche tempo. E così, nel 1853, rimossi ormai gli ostacoli, il Beato Pio IX ripristinò la gerarchia che era già stata istituita nel 1559 e fu un momento di grande gioia per i cattolici di vedersi riconosciuti a pieno titolo. Subito dopo, si può dire, la riorganizzazione della Chiesa, sotto la guida diretta dei vescovi, che inizialmente erano cinque, poi divenuti sette, fu grande e la fioritura fu notevole: una cinquantina di Seminari che durarono fino agli anni ’60. Bisogna distinguere due tappe: il primo secolo dopo il ripristino della gerarchia, dal 1853 alla seconda guerra mondiale, fino al 1950, e gli ultimi 50 anni. Nel primo secolo le vocazioni furono molte, l’espansione, soprattutto fuori del Paese, notevole, la parte ecumenica un po’ meno, comunque la crescita dei cattolici da 1 milione a 5 milioni e quindi molti segni positivi. Gli ultimi 50 anni sono stati più difficili, ma direi che, anche se è presto per giudicare quel periodo, in questo momento l’antagonismo che c’è stato, la non comprensione verso la Chiesa di Roma, verso la Chiesa universale, l’aver scelto una via propria di rinnovamento, tutto questo è rientrato un po’ nei ranghi. Abbiamo adesso di nuovo una Chiesa che dà segni di una nuova fioritura, ci sono vocazioni e vedo che anche i Movimenti cominciano ad avere qualche incidenza. Questa festa che faremo il 7 giugno credo che dimostri una rinnovata volontà, da parte dei cattolici olandesi, di essere di nuovo Chiesa in pienezza.

 

La liturgia sarà presieduta dall’Inviato speciale del Santo Padre, il cardinale Jan Pieter Schotte, segretario generale del Sinodo dei vescovi. Il gesto di solidarietà al quale i fedeli sono invitati durante la colletta dell’Eucaristia di sabato 7 giugno è destinato al sostegno di programmi di assistenza per i rifugiati in Africa.

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OGGI IN PRIMO PIANO

29 maggio 2003

 

 

REAZIONI E POLEMICHE SULLA BOZZA DELLA COSTITUZIONE EUROPEA PRESENTATA IERI DAL PRESIDIUM DELLA CONVENZIONE.

NESSUN RIFERIMENTO ALLE RADICI CRISTIANE DEL VECCHIO CONTINENTE.

CON NOI IL CARDINALE ROBERTO TUCCI

 

- A cura di Paolo Ondarza -

 

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Non c’è alcun riferimento esplicito alle “radici cristiane dell’Europa” nella futura Costituzione europea, il cui testo è stato approvato ieri. Il preambolo, infatti, sottolinea il ruolo centrale nella cultura europea dell’uomo e dei suoi diritti inalienabili ed inviolabili: democrazia, libertà, giustizia, solidarietà, sviluppo e bene comune. Nella Convenzione si parla soltanto dello “slancio spirituale” che ha percorso l’Europa. La richiesta relativa alle radici cristiane - fatta dall’ex premier irlandese John Bruton ed invocata in più occasioni dal Papa - è stata bocciata con la motivazione che in questo caso si sarebbe dovuto assumere lo stesso atteggiamento nei confronti delle religioni ebraica e musulmana. Ma questa non è stata la sola polemica innescatasi dopo l’approvazione di ieri. Ce lo conferma da Bruxelles il corrispondente dell’Agenzia Sir, Gian Andrea Garancini:

 

“Stretti nella duplice morsa di Romano Prodi, secondo il quale la bozza di Costituzione manca di visione, e del presidente della Convenzione Valéry Giscard d’Estaing, che controbatte accusando la Commissione di frenare qualsiasi cambiamento, i 205 convenzionali sono chiamati a dibattere sull’integralità del progetto costituzionale. Resta escluso per il momento il controverso capitolo sulle istituzioni in merito al quale il Presidium ha deciso di presentare un nuovo testo per la plenaria del 5 e 6 giugno. Nella 2 giorni di Bruxelles, dunque, si discuterà degli articoli di tutte e 4 le parti della bozza costituzionale. Infine, la Convenzione ha preso finalmente visione del testo del preambolo. Malgrado l’innegabile completezza ed eleganza, ci si attende una discussione particolarmente accesa per l’assenza di un riferimento esplicito a Dio ed al cristianesimo a favore di un più generale richiamo alle eredità culturali, religiose ed umaniste dell’Europa, riferimento atteso a seguito delle ripetute rassicurazioni dello stesso Giscard”.

 

Proprio sul testo della Convenzione e sull’assenza in esso di un riferimento esplicito a Dio e alle radici cristiane dell’Europa, si espresso stamani il cardinale Roberto Tucci, intervistato da Rosario Tronnolone.

 

R. – Credo che questo sia un testo molto buono. Il guaio è che non hanno il coraggio, i nostri bravi costituenti, di riconoscere non la fede cattolica o protestante o ortodossa: non si trattava di un’adesione, ma certamente di riconoscere il fatto storico dell’enorme influsso che ha avuto la cultura cristiana sulla cultura europea. E credo che questo sia un punto negativo e mi pare che sia giusta l’indignazione del professor Rumi quando dice che manca il fattore più unificante dell’Europa, che è stato la cultura cristiana. Anche recentemente, un intellettuale francese di sinistra, Debré, diceva che nella scuola francese bisognerebbe introdurre un po’ di cultura religiosa, non nel senso di una catechesi, del catechismo, ma cultura religiosa per capire la cultura della Francia!

 

D. – La difficoltà a dichiarare esplicitamente questa tradizione religiosa, secondo lei nasce da che cosa?

 

R. – Nasce da una tradizione in Europa, laicista; poi, nasce anche dal fatto che si constata nell’Europa occidentale, centrale e anche centro-orientale una certa perdita di pratica religiosa, di fede ... Questo non deve far dimenticare che centinaia di milioni di europei si riconoscono nei valori cristiani, anche se – magari – non credono; oltre che c’è una grande massa di cristiani che ci credono. Quindi, per me è un’offesa; è un’offesa alla ragione, è un’offesa al buon senso ed è un’offesa ad una buona parte dei cittadini dell’Europa.

 

Ma intanto una nota diffusa congiuntamente nella tarda mattinata dalla Comece e della Kek, i due organismi rispettivamente dei vescovi cattolici e delle 126 chiese ortodosse, informa che “il Presidium della Convenzione europea ha proposto un preambolo alla Costituzione che riconosca il contributo dell’eredità religiosa in Europa – Continente a maggioranza cristiana – ai fini di determinare i valori comuni, fondamentali per un processo di integrazione europea. Un'Europa che disconosce il proprio passato, che nega il ruolo della religione e della dimensione spirituale – si legge nella nota delle chiese cristiane - risulterà notevolmente impoverita nell’affrontare quell’ambizioso progetto bisognoso di tutte le energie disponibili: costruire un’Europa per tutti”.

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CRISTIANI PIU’ UNITI A BERLINO CON LA GRANDE GIORNATA ECUMENICA.

L’INVITO DEL PAPA A UNA COMUNE TESTIMONIANZA DI FEDE

 

- Servizio di Angelo Paoluzi -

 

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Il Kirchentag deve diventare un grande segno ecumenico che quello che ci unisce nella fede è più forte e significativa di quello che ci divide. E’ uno degli auguri che Giovanni Paolo II ha formulato nel messaggio indirizzato al Kirchentag ecumenico in corso da ieri sera a Berlino sino al primo giugno prossimo. Il Papa parla di una comune missione che i cristiani hanno nei confronti del mondo, nel quale relativismo etico e secolarismo mettono in forse le basi della fede cristiana e si compiace di quanto si fa in conoscenza, preghiera, dialogo teologico, impegno per una nuova evangelizzazione e per il servizio agli ultimi.

 

Nella storica cornice della Porta di Brandeburgo, il testo è stato letto dal nunzio apostolico mons. Giovanni Lajolo, dopo il saluto iniziale del capo dello Stato, Johannes Rau, e prima delle altre autorità. L’incontro ecclesiale, il primo tra cristiani dopo cinque secoli di separazione, ha come slogan: ‘Siate una benedizione’, con i seguenti grandi sottotemi: testimoniare la fede e vivere nel dialogo, cercare l’unità ed incontrarsi nella diversità, rispettare la dignità umana, preservare la libertà, modellare il modo, essere responsabili dei propri atti.

 

200 mila i partecipanti, la metà sono giovani; 3 mila le occasioni d’incontro alle quali sono presenti oltre 5 mila ospiti da 90 Paesi di quattro continenti.

 

Angelo Paoluzi da Berlino, per la Radio Vaticana.

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UN TRIBUTO AL CORAGGIO E ALL’IMPEGNO PER LA PACE.

LE NAZIONI UNITE CELEBRANO

OGGI PER LA PRIMA VOLTA LA GIORNATA INTERNAZIONALE DEI PEACEKEEPER:

INTERVISTA CON STAFFAN DE MISTURA

 

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

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FIFTY-FIVE YEARS AGO…

“Cinquantacinque anni fa dei soldati furono mandati sul campo di battaglia, sotto una nuova bandiera e per una nuova missione”: una missione di pace. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ricorda così il significato epocale della prima missione di pace dell’Onu. Lo fa nel messaggio per l’odierna Giornata Internazionale dei Peacekeeper, che celebra - per la prima volta nella storia - il coraggio dei “berretti blu”. Donne e uomini, che hanno sacrificato la propria vita per la nobile causa della pace. Annan sottolinea come le operazioni di peacekeeping, siano un “tentativo di affrontare e sconfiggere il lato peggiore dell’essere umano, attraverso ciò che di meglio è in esso”: contrastare la violenza con la tolleranza, la guerra con la pace. Un impegno assolto oggi da 37 mila operatori di pace, dispiegati in 14 missioni su tre continenti. Un riconoscimento, quello odierno, accolto con emozione da Staffan de Mistura, da trent’anni in prima linea - sotto il vessillo dell’Onu - in difesa della pace. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a Beirut, dove ricopre attualmente il delicato compito di rappresentante personale del segretario generale delle Nazioni Unite per il sud del Libano:

 

R. - I nostri berretti blu, che sono stati in 50 anni più di 500 mila, da almeno 60 nazioni, sono persone che meritano di essere ringraziate. Noi abbiamo perso più di 1800 dei nostri colleghi durante questi anni. E solo nella zona dove mi trovo adesso, in Medio Oriente, lungo la frontiera libanese-israeliana-siriana, 220. Ora, tutte queste persone sono morte per difendere una linea di pace ed è giusto che un giorno all’anno ci ricordiamo di loro.

 

D. – Nel corso degli anni la figura del peacekeeper dell’Onu si è modificata, accresciuta, arricchita, per impegni e compiti da svolgere. Qual è oggi la funzione primaria di questi operatori di pace?

 

R. – E’ proprio così. E’ cambiato enormemente il profilo del peacekeeper. Un tempo le operazioni iniziali - quelle di Cipro, del Kashmir … - erano puramente stazionarie, di controllo e osservazione. Poi c’è stato un periodo in cui sono diventate operazioni pro-attive militarmente, come in Somalia o in Bosnia. Missioni che hanno incontrato grandi difficoltà, perché non avevano sufficienti mezzi. Oggi abbiamo un nuovo ruolo. C’è bisogno di una combinazione nuova: devono essere  soldati, ma devono essere anche negoziatori, amministratori, essere esperti o comunque capaci di gestire l’aiuto umanitario, psicologi, devono essere sminatori. Ma devono, soprattutto, essere in contatto con la popolazione locale, perché la guerra quando loro arrivano è finita ed è la pace che va ricostruita. Questa è la parte più difficile, dove il fucile non serve più. Serve veramente quella combinazione di cervello e cuore, che il nuovo peacekeeper deve saper usare.

 

D. – Ciclicamente, si riaffaccia nel dibattito internazionale sulle Nazioni Unite la proposta di dotare l’Onu di un vero e proprio esercito. Qual è la sua opinione al riguardo?

 

R. – Questo sarebbe il mondo ideale: nel momento in cui il Consiglio di Sicurezza decide di mandare una forza di intervento o di interposizione o di osservazione, nel giro di 48 ore avere queste donne e uomini sul posto. In realtà, questo non avviene mai, come abbiamo visto, perché ci vogliono mesi e mesi di preparazione, di finanziamento e così via. L’ideale sarebbe di avere una forza di pronto intervento. In poche parole, poter contare su 30-40 mila uomini e donne che siano in qualche maniera a disposizione dell’Onu quando avviene una tale richiesta.

 

D. – Con la crisi irachena, il Palazzo di Vetro è sembrato scricchiolare in alcuni momenti. E’ a rischio l’efficacia dell’Onu nelle operazioni di promozione e rafforzamento della pace se si dovessero verificare nuove frizioni all’interno del Consiglio di Sicurezza?

 

R. – Il Palazzo di Vetro, che è lì da più di 50 anni, è proprio di vetro e ogni tanto scricchiola e come. Si sente proprio il rumore, la sensazione che venga messa in dubbio la sua validità. Però, sono 30 anni che lavoro con le Nazioni Unite, e chiunque abbia visto l’Onu in azione non può che dire che quanto successo con l’Iraq sia avvenuto anche in passato. Ricordiamoci il Kosovo: la guerra in Kosovo fu dichiarata senza l’avallo delle Nazioni Unite e poi tutti si ricompattarono con la risoluzione dell’Onu. Il Kosovo oggi sta rinascendo. Conclusione: non c’è alternativa all’Onu. L’Onu non è perfetta, perché è lo specchio di quello che siamo noi, di quello che sono le Nazioni e le divisioni tra loro. Ma anche il meglio delle Nazioni, quando vogliono farlo. E dato che non c’è alternativa, l’Onu continuerà a volte a scricchiolare, però poi andrà avanti.

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SPEZZARE LA SPIRALE DELLA VIOLENZA TRA PALESTINESI E ISRAELIANI:

QUESTO L’OBIETTVO DEL PELLEGRINAGGIO AD AUSCHWITZ

DI EBREI E ARABI D’ISRAELE CONCLUSO OGGI.

CON NOI PADRE EMILE SHOUFANI, PROMOTORE DELL’INIZIATIVA,

INSIGNITO IERI DEL PREMIO UNESCO 2003 PER L’EDUCAZIONE ALLA PACE

 

- A cura di Carla Cotignoli -

 

“Spezzare la spirale della violenza”. E’ questo l’obiettivo di un pellegrinaggio senza precedenti ad Auschwitz (Oświecim) a cui hanno partecipato 135 ebrei e 125 arabi d’Israele, 25 cristiani e 100 musulmani a cui si sono uniti altri 200 pellegrini da Francia e Belgio, 140 dei quali arabi metà cristiani e metà musulmani e un gruppo di giornalisti. Iniziato lunedì scorso con la visita al ghetto di Cracovia, alla grande sinagoga della città, per poi proseguire ad Auschwitz, il pellegrinaggio si conclude oggi.  Ma ascoltiamo l’ideatore e organizzatore di questa coraggiosa iniziativa: il parroco greco-melchita-cattolico di Nazareth, l’archimandrita Emile Shoufani, insignito ieri del Premio Unesco 2003 per l’Educazione alla pace, al microfono di Bruce de Galzain:

 

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R. - NOUS VENONS DE LA SOUFFRANCE DE CETTE SITUATION ...

L’idea del pellegrinaggio è nata proprio perché la sofferenza di israeliani e palestinesi è sempre più grande, perché subiamo la demolizione di città e villaggi. Vogliamo spezzare questa spirale che è spirale di morte, spirale dell’azione e della reazione, degli uni contro gli altri, da cui non c’è via di uscita, per raggiungere un’altra dimensione che è stata dimenticata: la dimensione umana, la dimensione della storia, della memoria, che può aprire al dialogo. 

 

C’EST UN GESTE GRATUIT, TOTALEMENT. ...

Questo pellegrinaggio vuol essere gesto totalmente gratuito. Noi siamo andati per ascoltare ciò che il popolo ebreo dice della sua storia, del dramma della Shoa, siamo andati per  comprendere, essere solidali, prendere su noi stessi, questa sofferenza. Vorremmo essere una porta che si apre al cambiamento, alla trasformazione, una porta spalancata sulle due parti: palestinesi e israeliani,  senza guardare a chi deve fare il primo passo. Si fa astrazione della politica attuale, non è che siamo insensibili, ma non vogliamo restare imbrigliati nella sua logica bloccata sul chi deve fare il primo passo. Proprio in questa dimensione della nostra debolezza, della nostra sofferenza noi abbiamo fatto questo gesto, un gesto gratuito che non si aspetta la reciprocità, ma vuole solo raggiungere l’altro e dialogare con lui. Abbiamo vissuto questi giorni in un  clima è di amore, di fraternità di attenzione verso i sopravvissuti ai campi di sterminio e allo stesso tempo di desiderio di creare legami tra persone diverse. C’è stato un clima straordinario!

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CHIESA E SOCIETA’

29 maggio 2003

 

 

I SACERDOTI DEL SACRO CUORE DI GESÙ, CONOSCIUTI CON IL NOME DI PADRI

DEHONIANI E RIUNITI A ROMA DALLO SCORSO 12 MAGGIO PER IL XXI CAPITOLO

GENERALE DELLA LORO CONGREGAZIONE, HANNO ELETTO IL NUOVO

SUPERIORE GENERALE: È IL PORTOGHESE PADRE JOSÉ ORNELAS CARVALHO

 

ROMA. = Il portoghese padre José Ornelas Carvalho è il nuovo superiore generale della Congregazione dei sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, fondata nel 1878 dal venerabile padre Leone Dehon. L’elezione è avvenuta martedì scorso durante il XXI Capitolo generale della Congregazione in svolgimento a Roma dal 12 maggio e dedicato al tema: “Dehoniani in missione: cuore aperto e solidale”. Padre Josè Ornelas Carvalho, nato nell’isola portoghese di Madeira il 5 gennaio 1954 e, fino ad oggi, superiore provinciale del Portogallo dal 2000, è subentrato all’argentino padre Virginio Domingo Bressanelli. Il Capitolo generale di quest’anno, incentrato su tre tematiche cruciali quali il ritorno all’essenziale della vita cristiana, il confronto con le sfide della nostra epoca e la specificità del servizio apostolico dei Dehoniani, si concluderà il prossimo 13 giugno. I Dehoniani, tra sacerdoti e religiosi, sono attualmente circa 2.300 e sono presenti in 38 Paesi. Il loro servizio alla Chiesa si realizza nel ministero pastorale rivolto agli umili e ai poveri e nella formazione sacerdotale e religiosa. Forma privilegiata del loro apostolato è l’attività missionaria. (A.L.)

 

 

I CRIMINI COMMESSI A TIMOR EST DEVONO ESSERE GIUDICATI DA UN TRIBUNALE INTERNAZIONALE.

E’ QUESTO L’APPELLO RIVOLTO DA OLTRE 90 ORGANIZZAZIONI

RELIGIOSE STATUNITENSI AL GOVERNO DI WASHINGTON

 

WASHINGTON. = I rappresentanti di oltre 90 organizzazioni religiose statunitensi, in maggioranza cristiane, ma anche musulmane ed ebree, hanno chiesto al governo del loro Paese di appoggiare la creazione di un tribunale internazionale per i crimini commessi a Timor Est prima e dopo il referendum per l’indipendenza del 30 agosto 1999. I leader religiosi nordamericani hanno invitato il governo di Washington e più in generale la comunità internazionale a riesaminare i processi contro i responsabili di questi crimini. Nel documento, diffuso giorni fa in occasione dell’assoluzione da parte del tribunale di Giakarta del generale Tono Suramatan, i firmatari hanno ricordato che "i militari indonesiani hanno commesso atrocità senza fine a Timor Est, tra cui torture, abusi, sterilizzazioni forzate e omicidi". Il testo si conclude invitando la comunità internazionale a trovare il modo di "giudicare i crimini di guerra e contro l’umanità compiuti contro la popolazione di Timor Est e contro l’Onu". Le critiche delle organizzazioni religiose si vanno ad aggiungere alle molte altre già suscitate dall’attività del tribunale di Giakarta che, creato con decreto presidenziale e divenuto operativo nel marzo 2002, ha assolto la maggior parte dei suoi 18 incriminati. Un altro tribunale sui crimini del 1999, istituito a Dili, ha invece emesso in oltre due anni decine di condanne e incriminazioni, prendendo in esame denunce di sterminio, deportazioni, persecuzioni e misteriose scomparse di persone. (A.L.)

 

 

UN ELENCO DI OLTRE 11 MILA PERSONE SEQUESTRATE IN SUDAN DALLE MILIZIE

FILOGOVERNATIVE. E’ L’INIZIATIVA DEL RIFT VALLEY INSTITUTE

CHE HA INVIATO RICERCATORI IN TUTTO IL PAESE

PER STILARE UNA DETTAGLIATA LISTA DEGLI SCOMPARSI

 

WASHINGTON. = La schiavitù esiste ancora. Il Rift Valley Institute, con sede in Kenya, ha compilato un elenco dettagliato di oltre 11 mila persone sequestrate dalle milizie filogovernative del Sudan, presumibilmente vendute come schiavi nella zona meridionale del Sudan, dove c’è ancora la guerra, la più lunga del continente nero. Quarantotto ricercatori sudanesi sono stati incaricati di percorre la provincia di Bahr-el-Ghazal, in bicicletta e a piedi, dotati di questionari. Delle oltre 11 mila persone sudanesi scomparse, il 90 per cento manca ancora all'appello. Nel corso di una conferenza stampa a Washington, il condirettore del progetto, Jok Madut, ha affermato che “il rapimento e la schiavitù sono orrendi ma l’importante è che ora sappiamo con certezza chi è stato rapito, dove e quando”. Secondo l’altro responsabile del progetto, John Ryle, si può presumere che il numero di persone sequestrate e costrette alla schiavitù sia in realtà molto più alto. “E' chiaro - ha aggiunto- che non siamo stati in grado di registrare tutti i nomi e le nostre sono cifre parziali”. (S.C.) 

 

 

ANALISI DEI DATI MACROECONOMICI, VALORIZZAZIONE DEL BESTIAME,

LOTTA ALL’AIDS E SOSTEGNO ALLE CAPACITÀ DI SVILUPPO.

SARANNO QUESTE LE PRIORITÀ DELLA BANCA MONDIALE CHE, DOPO 12 ANNI,

HA RIPRESO LE PROPRIE ATTIVITA’ IN SOMALIA

 

MOGADISCIO. = La Banca Mondiale ha ripreso per la prima volta le proprie attività in Somalia da quando, nel 1991, le aveva sospese a causa dello scoppio della guerra civile in seguito alla caduta del regime di Siad Barre. L’istituzione finanziaria di Washington afferma, in un comunicato, di voler ora pianificare, nel Paese, i propri interventi in quattro settori strategici quali l’analisi dei dati macroeconomici, la valorizzazione del bestiame, la lotta all’Aids ed il sostegno alle capacità di sviluppo. Prima di decidere la ripresa dei progetti in Somalia, dove i “signori della guerra” stanno intraprendendo un lento dialogo per la pace, la Banca Mondiale ha svolto una serie di consultazioni con Paesi donatori, agenzie dell’Onu e referenti somali. L’istituto di credito internazionale aveva sospeso i propri prestiti alla Somalia in seguito al “crollo” dello Stato del ’91 e la ripresa di nuove aperture di credito era stata ostacolata finora dal fatto che il Paese era del tutto privo di un’amministrazione statale e in condizioni non affidabili. A Eldoret, in Kenya, da oltre un anno è in corso la "Conferenza di riconciliazione somala", che in una dozzina di anni rappresenta già il tredicesimo tentativo di risolvere definitivamente la crisi del Paese del corno d'Africa. Attualmente il governo di transizione di Mogadiscio (Tng) controlla alcune zone della capitale e pochi altri settori del territorio, che è controllato da una galassia di formazioni armate gestite sulla base dell’appartenenza ai clan. (A.L.)

 

 

RICORRE OGGI IL 50° ANNIVERSARIO DELLA CONQUISTA DELL’EVEREST AD OPERA

DEL NEOZELANDESE EDMUND HILLARY E DEL NEPALESE TENZING NORGAY

- A cura di Maria Grazia Coggiola -

 

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KATHMANDU. = L’impresa viene celebrata in pompa magna da centinaia di alpinisti oggi riuniti a Kathmandu. Il Nepal vede queste celebrazioni come l’occasione per rivitalizzare la sua industria turistica piegata da sette anni di guerriglia maoista, dalla crisi indo-pakistana e da ultimo anche dalla polmonite atipica. Il re nepalese Gyanendra, sopravvissuto al massacro della famiglia reale nel 2001, l’anno scorso ha esautorato il primo ministro e insediato un nuovo governo, che è contestato da quasi tutti i partiti. Le celebrazioni hanno anche sollevato il problema dell’eccessivo sfruttamento ecologico e turistico dell’Himalaya. In questi giorni al campo base dell’Everest, dove ieri si è schiantato un elicottero che trasportava degli sherpa, sono accampati più di mille alpinisti, un business per il Nepal, ma anche una minaccia per il delicato ecosistema himalyano.

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“UN CUORE CHE AMA – IL SACRO CUORE DI GESÙ”. E’ QUESTO IL TITOLO DEL LIBRO

DI MARCO CARDINALI, REDATTORE DEL PROGRAMMA “ORIZZONTI CRISTIANI”

DELLA NOSTRA EMITTENTE, CHE SARÀ PRESENTATO OGGI POMERIGGIO A ROMA,

PRESSO L’ORATORIO DEL SS. SACRAMENTO

 

ROMA. = Sarà presentato oggi pomeriggio a Roma, alle ore 18.30 presso l’Oratorio del SS. Sacramento, “Un cuore che ama – Il Sacro cuore di Gesù”, il libro di Marco Cardinali, redattore del programma “Orizzonti Cristiani” della nostra emittente. All’incontro interverranno il segretario della Congregazione per le cause dei Santi, l’arcivescovo Edward Novak, il direttore dei programmi della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano, padre Federico Lombardi, il presidente dell’Opera diocesana assistenza (Oda), mons. Mario Pieracci ed il vaticanista de “L’Osservatore Romano”, padre Gianfranco Grieco. Coordinerà l’incontro Franca Salerno, responsabile di “Orizzonti Cristiani”. (A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

29 maggio 2003

 

 

- A cura di Giada Aquilino e Stefano Cavallo -

 

Sforzi diplomatici in primo piano per la pace in Medio Oriente, una regione dove però non si ferma la violenza. Stamani un giovane palestinese è stato ucciso dai soldati israeliani durante un'incursione nella zona di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza. Poco prima un militante della Jihad islamica era morto in una sparatoria a Jenin, nel nord della Cisgiordania. In questo scenario, stasera a Gerusalemme dovrebbero incontrarsi il premier israeliano Sharon e quello palestinese Abu Mazen. Sentiamo Graziano Motta:

 

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I giornali di oggi riferiscono che il primo ministro israeliano dovrebbe annunciare sia il graduale trasferimento ai palestinesi del controllo di zone da cui i soldati saranno ritirati, sia l’alleggerimento delle restrizioni imposte alla popolazione. D’altra parte, in un’intervista al giornale 'Yedioth Ahronoth', Abbas anticipa che presto sarà raggiunto un accordo con il movimento fondamentalista Hamas per la sospensione delle azioni terroristiche contro civili israeliani. Sono, queste, le premesse per una ripresa del dialogo politico, richieste dal presidente Bush, che – lo ha confermato ieri la Casa Bianca - martedì 3 giugno sarà a Sharm el Sheikh, per incontrarvi alcuni leader arabi della regione: fra questi anche Abu Mazen (Mahmud Abbas), che il 4 giugno il presidente statunitense vedrà di nuovo insieme a Sharon, ad Aqaba, località giordana sul Mar Rosso. Due vertici per ribadire la determinazione di Bush nella lotta al terrorismo e il suo impegno personale nella soluzione del conflitto israelo-palestinese, nonché per illustrare la sua visione di un nuovo Medio Oriente, dopo la guerra in Iraq.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Un ammonimento a Siria ed Iran, perché non aiutino il terrorismo internazionale, è giunto dal premier britannico Tony Blair, arrivato oggi a Bassora, in Iraq. Il numero uno di Downing Street ha incontrato il capo dell'amministrazione provvisoria americana, Paul Bremer, l'inviato britannico in Iraq, John Sawers, e le truppe britanniche schierate nella parte meridionale del Paese. Ma l’uccisione oggi di un soldato americano in un attacco in Iraq dimostra che Blair - primo leader occidentale a visitare il Paese dopo la fine della guerra - trova una situazione piuttosto instabile. Sentiamo Paolo Mastrolilli:

 

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Ieri la televisione araba Al Jazeera ha riportato di altri scontri a nord-ovest di Baghdad e ha aggiunto che un elicottero americano è stato abbattuto e quattro soldati sono morti. Fonti americane invece hanno ammesso il ferimento di nove militari in scontri avvenuti nella zona centrale e settentrionale del Paese. I comandanti attribuiscono questi disordini alle forze residue del partito Baath e agli estremisti ancora fedeli a Saddam, che cercano di boicottare la stabilizzazione del Paese.

 

Ieri un sito Internet mediorientale ha pubblicato un documento presentato come il quarto messaggio manoscritto dall’ex leader iracheno, in cui Saddam inciterebbe la popolazione alla resistenza contro americani e inglesi. Nello stesso tempo un gruppo, che si definisce il Comando generale delle forze armate della resistenza e della liberazione irachena, ha rivendicato l’attacco di martedì a Fallujah, dove sono stati uccisi due soldati statunitensi. In questo clima di tensione, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha annunciato che la prossima settimana i suoi tecnici torneranno nel Paese per controllare e ricuperare i materiali nucleari scomparsi dalle centrali saccheggiate dopo la guerra.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Il rispetto del diritto internazionale nel quadro della lotta al terrorismo è il punto cardine della dichiarazione comune firmata oggi a Mosca dai partecipanti al vertice del gruppo di Shanghai, formato nel ’96 da Russia, Cina, Kirghizstan, Kazakhstan, Uzbekistan e Tadjikistan. In agenda figurano la questione della sicurezza in Asia centrale, temi economici e delle comunicazioni.

 

Primo giorno oggi a Annemasse, in Alta Savoia, dell’incontro alternativo al G8 di Evian, intitolato “Vertice per un altro mondo”. L’appuntamento - in programma fino al 31 maggio - è organizzato da un collettivo di associazioni antimondializzazione e da organizzazioni non governative. Sabato sera i ‘no global’ accenderanno dei falo' nel quadro delle proteste anti-G8: il vertice dei ‘Grandi della Terra’, invece, prenderà il via domenica 1° giugno.

 

Un’ennesima scossa di terremoto, pari a 5,8 gradi sulla scala Richter, ha colpito oggi l'Algeria, intorno alle nostre 4.00 di stamattina. Reazioni di panico hanno causato il ferimento di alcune persone. L'epicentro del terremoto è stato localizzato nella zona di Zemmouri, ad est di Algeri. Ed intanto è arrivata ieri sera nel porto della capitale la nave italiana 'Taurus', con a bordo 2.280 tende, oltre 6.000 coperte e altri aiuti destinati ai sinistrati del terremoto che, il 21 maggio scorso, ha colpito le regioni di Algeri e Boumerdes.

 

Un terremoto ha colpito anche il Perù: nella città di Lima ieri pomeriggio una scossa che ha superato il quinto livello della scala Richter, con epicentro nell'Oceano Pacifico, ha provocato il panico tra gli abitanti. Finora non sono stati registrati feriti, né gravi danni alle cose.

 

E sempre in Perù, scioperi di docenti, contadini e lavoratori dei settori sanitario e giudiziario stanno causando da ieri disordini in varie province del Paese andino. La prima giornata dello stato d’emergenza, decretato dal presidente Alejandro Toledo, comporta la sospensione di diritti personali, come le libertà di circolazione e di riunione e l'inviolabilità del domicilio. Sui motivi delle proteste, ascoltiamo il servizio di Maurizio Salvi:

 

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Alla base di tutto vi è una impossibilità del governo di continuare a rimborsare regolarmente il debito estero, che assorbe il 40 per cento del bilancio annuo del Paese, e di far fronte allo stesso tempo alle rivendicazioni di sempre più ampi strati sociali che entrano in una irreversibile povertà. E se apparentemente i dipendenti del settore sanitario sembrano aver sospeso le manifestazioni di piazza, così non è per gli insegnanti e gli agricoltori, che hanno proventi bassissimi e che non hanno ormai più nulla da perdere. Gli incidenti più gravi di ieri sono avvenuti a Barranca, a circa 200 chilometri da Lima, dove gruppi di agricoltori non hanno esitato ad affrontare i soldati con bastoni e pietre, con un bilancio di una ventina di feriti e di circa 100 arrestati. Ma le violazioni alla misura introdotta dal presidente Toledo sono state numerose e praticamente in quasi tutte le regioni del Perù.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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Passiamo all’emergenza Sars. Due persone sono morte per la polmonite atipica in Cina nelle ultime 24 ore, mentre i nuovi casi di infezione sono 3. Ad Hong Kong le vittime sono tre e due i nuovi contagi.

 

Il nuovo governo cinese ha respinto la richiesta di rivedere il proprio giudizio sul massacro di piazza Tiananmen, avvenuto nel 1989. Nella notte tra il 3 ed il 4 giugno di quell’anno l'esercito cinese intervenne contro gli studenti che da giorni occupavano la principale piazza di Pechino: si ritiene che centinaia di giovani siano stati uccisi. Un gruppo di familiari delle vittime aveva chiesto al presidente Hu Jintao ed al premier Wen Jiabao di riconsiderare il giudizio sulla ribellione degli studenti, giudicata ''controrivoluzionaria'' dal partito comunista cinese.

 

Potrebbe essere operativa già la prossima settimana la forza multinazionale di pace per Bunia, la città della Repubblica Democratica del Congo sconvolta dalle violenze interetniche tra Hema e Lendu. Ad annunciarlo l’ambasciatore francese all'Onu, Jean-Marc de La Sabliere.

 

Si è insediato oggi per il suo secondo mandato il presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo, uscente dalle votazioni con un ampio consenso elettorale, ma anche duramente accusato dall’opposizione di brogli. L’avversario di Obasanjo alle consultazioni dello scorso mese, Muhammadu Buhari, ha infatti respinto i risultati del voto.

 

Italia. La Corte d'Appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’istanza di ricusazione presentata dall’onorevole Cesare Previti nei confronti del collegio giudicante del processo Sme. I giudici milanesi hanno anche disposto il pagamento, da parte del parlamentare di Forza Italia, di un'ammenda di 1.000 euro.

 

 

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