RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 136 - Testo della
Trasmissione di venerdì 16 maggio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Il
Festival di Cannes: oggi la proiezione di ‘Matrix reloaded’ e di ‘Ce Jour-là’
del cileno Ruiz.
La Russia lavorerà a nuove armi strategiche: lo ha
detto il presidente russo Putin davanti alle Camere riunite.
In Medio Oriente, si dimette il ministro
palestinese Erekat.
Accordo di cessate il fuoco siglato nella
Repubblica democratica del Congo tra governo e milizie in lotta.
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Servizio di Amedeo Lomonaco -
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“Continuate
ad offrire a tutte le Chiese, antiche e nuove, il privilegio di ‘aiutare il
Vangelo’ perché esso venga proclamato a tutti i popoli della Terra”. E’
l’appello rivolto dal Papa ai direttori nazionali delle Pontificie Opere
Missionarie, ricevuti stamani in udienza a conclusione della loro Assemblea
annuale svoltasi a Roma dallo scorso 12 maggio. Giovanni Paolo II ha ricordato
il diritto ed il dovere di tutti i battezzati alla cooperazione missionaria, indispensabile
strumento per l’evangelizzazione del mondo. “Tenete sempre presenti le
crescenti necessità della Chiesa in varie parti del mondo”, ha detto il
Pontefice rimarcando la preoccupante diminuzione degli “aiuti materiali” alle
chiese più povere.
“Nelle
Pontificie Opere Missionarie – ha detto il Papa – s’esprime il dovere e l’ansia
di tutta la Chiesa, di compiere la sua ‘opera maxima’, cioè
l’evangelizzazione del mondo”.
“Loro
compito è di promuovere e sostenere l’animazione missionaria in tutto il popolo
di Dio, mantenendo vivo anzitutto lo spirito apostolico nelle singole Chiese e
sforzandosi di sovvenire ai bisogni di quelle che sono in difficoltà”.
Queste
strutture possono, perciò, ben qualificarsi come “Opere del Papa” e al tempo
stesso “Opere dei vescovi” perché esprimono ed attuano il dovere dell’annuncio
della Buona Novella.
Il
Papa ha aggiunto poi di aver appreso con soddisfazione l’opportuno lavoro di
revisione compiuto per adeguare gli statuti delle Pontificie opere missionarie
alle mutate condizioni dei tempi. In proposito il Pontefice ha elogiato “tutti
coloro che stanno impegnandosi in questo rinnovamento che mira a favorire
sempre più la collaborazione e l’opportuna utilizzazione dei mezzi di
assistenza alle Chiese”.
Giovanni
Paolo II ha quindi ricordato la celebrazione del 160° anniversario della
Pontificia Opera della Santa Infanzia che ricorre quest’anno. Rievocando il
grande impegno di animazione e sensibilizzazione che quest’Opera compie “fin
dall’infanzia” per promuovere la causa missionaria, il Papa ha espresso la
propria gioia per la prossima visita di una vivace delegazione di bambini di
tutto il mondo.
“La Chiesa missionaria – ha
ricordato il Papa - dà quello che riceve, distribuisce ai poveri quello che i
suoi figli più dotati di beni materiali le mettono generosamente a
disposizione. C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.
Il
Pontefice ha infine rivolto l’invito ad invocare Maria, “Regina delle Missioni”,
con la recita del Rosario.
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Il Papa
ha ricevuto in udienza questa mattina l’arcivescovo di Calcutta, mons. Lucas
Sirkar, e altri tre vescovi della Conferenza Episcopale dell’India, in visita
“ad Limina”.
In fine mattinata, il Santo Padre ha ricevuto il cardinale
Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.
UN PROMOTORE STRAORDINARIO DEI DIRITTI UMANI:
L’UNIVERSITA’
DI ROMA “LA SAPIENZA” CONFERISCE A GIOVANNI PAOLO II
LA LAUREA HONORIS CAUSA IN
GIURISPRUDENZA. DOMANI, IN AULA PAOLO VI
LA
SOLENNE CERIMONIA CON LA LECTIO MAGISTRALIS DEL PAPA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
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Per la straordinaria opera svolta a “tutela dei diritti
umani in tutte le loro forme storiche” e per aver aperto la strada al
riconoscimento dei “nuovi diritti, richiesti dalle esigenze del mondo
contemporaneo”: è un passaggio della motivazione con la quale, domani,
l’Università di Roma “La Sapienza” conferirà a Giovanni Paolo II la laurea honoris
causa in giurisprudenza. La cerimonia di conferimento si svolgerà nell’Aula
Paolo VI, dove il Pontefice terrà la Lectio Magistralis. Un
riconoscimento prestigioso sullo sfondo di due eventi straordinari: il 25.mo
anno di pontificato e i 700 anni dalla nascita dell’ateneo romano. Quella di
domani è l’11.ma laurea honoris causa, conferita a Giovanni Paolo II.
Segno tangibile dell’eccezionale contributo dato alla cultura dal Santo Padre,
come sottolinea il rettore de “La Sapienza”, Giuseppe D’Ascenzo:
R. – La figura del Pontefice è una delle figure dominanti
di questo periodo, non soltanto dal punto di vista etico e religioso, ma anche
dal punto di vista culturale. E’ una figura, che ha fatto sì che non
trasformassimo una guerra in guerra di religione. Ha permesso, soprattutto, in
un momento critico di evitare uno scontro tra etnie e popoli. Questo ci ha
portati a valutare nell’insieme la figura del Papa. L’insieme della figura del
Papa spazia in tutti i settori. Avremmo potuto conferirgli una laurea honoris
causa praticamente dalla Scienza della comunicazione all’Economia, alla
Giurisprudenza, alla Filosofia. Abbiamo scelto la laurea in Giurisprudenza
solamente perché è la più antica dell’Università “La Sapienza”. La scelta è
stata fondamentalmente dettata da questo, e da ciò che è stato il suo impegno
nel diritto internazionale, che è stato veramente cospicuo, e che ci ha portato
a questa scelta.
D. – Quali aspetti della figura e del magistero di
Giovanni Paolo II destano maggiore attenzione negli uomini di studi, delle
scienze e della cultura?
R. – La cosa più importante che noi abbiamo rilevato è
stata la sua volontà di armonizzare i popoli e le culture. Dovremmo cercare di
seguire l’approccio della filosofia del Papa. Come Università siamo preparati
ad un certo tipo di cultura. Adesso l’immigrazione sta portando ad un
cambiamento anche di quella che sarà la visione universitaria futura. Noi
avremo studenti di tutte le etnie, di tutte le religioni. Dovremmo far sì che
si possa arrivare alla situazione per cui ognuno di loro si senta a casa
nell’Università. Dovremo noi stessi impegnarci su quello che il Papa ha
cominciato ad insegnarci e cioè capire le religioni degli altri, comprendere le
altre etnie. Questo credo sia forse la cosa più di spicco che il Papa è
riuscito a comunicare all’Università e farci entrare nella filosofia del
cambiamento del sistema culturale.
D. – E’ possibile indicare delle costanti, immutate nel
tempo, nella storia ultrasecolare dell’Università più grande d’Europa?
R. – La cosa più affascinante di tutte è che l’Università
della Sapienza è nata quando già esisteva la scuola pontificia vera e propria.
Nasce come un sistema a cavallo tra i due, in cui non è una scuola
esclusivamente pontificia, perché riceve quelli che sono i contributi della
città a questa scuola. E questa è stata forse l’idea più affascinante che ha
avuto Bonifacio VIII quando ha cominciato a lavorare su questo tema. La
Sapienza nasce all’interno di questi due sistemi e pian piano si muove nella
direzione di diventare lei l’università cittadina, mentre le università
pontificie assumono una loro struttura, una loro caratteristica prettamente
ecclesiastica. Questo ha portato ad una continuità di quella che è la filosofia
della Sapienza, cioè una continua collaborazione con quello che è il territorio
che la circonda, con quelli che sono stati i suoi sistemi fondatori. La
Sapienza si pone e si è sempre posta come un sistema di comunicazione, tanto è
vero che allo stato attuale delle cose stiamo cercando anche di stringere
sempre più i rapporti con gli atenei pontifici perché, gravitando tutti su uno
stesso territorio, vorremmo cercare di farlo diventare sempre più importante.
D. – In un’era caratterizzata da nuovi straordinari modi
di propagazione del sapere, quali sono le sfide più significative per
l’istituzione universitaria?
R. – Le sfide più significative sono quelle di uscire
dalle mura eburnee, che hanno sempre contornato l’Università. Cominciare a
colloquiare sempre più col mondo che ci circonda. Noi stiamo cominciando a
portare corsi di laurea della Sapienza in altri Paesi e questo ci porta a colloquiare
sempre più strettamente con tutti gli altri Paesi del mondo, a portare i loro
studenti da noi e a mandare i nostri studenti, i nostri professori in queste
regioni. Forse, in modo molto più piccolo di quello che ha fatto Giovanni Paolo
II, che è stato capace di viaggiare in tutto il mondo per portare la sua voce
in tutti i Paesi, vorremmo cercare anche noi di portare la nostra piccola voce,
rispetto alla sua, e far sì che questi insegnamenti vengano portati avanti.
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IL CARDINALE ANGELO SODANO
IN KAZAKHSTAN,
PER COMMEMORARE LA VISITA DEL PAPA NELLA REPUBBLICA
ASIATICA
Il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, è partito
quest’oggi alla volta del Kazakhstan, ove rimarrà fino a lunedì 19 maggio per
commemorare il pellegrinaggio apostolico che il Santo Padre Giovanni Paolo II
compì in quella capitale, Astana, nel 2001.
Il porporato si è recato nella grande Repubblica dell’Asia
centrale su invito ufficiale degli ordinari del Kazakhstan e del presidente
della Repubblica, Nursultan Nazarbayev. In rappresentanza del governo kazakho,
inoltre, due membri dell’esecutivo, Erzhan Utembaev ed Alexiei Kekshaev, hanno
accompagnato il porporato durante il volo speciale da Roma ad Astana.
Domani, il cardinale segretario di Stato compirà una
visita ufficiale al capo dello Stato, celebrerà la Santa Messa nella cattedrale
di Astana ed incontrerà i sacerdoti, i religiosi e la comunità cattolica della
capitale. Sono inoltre previste visite alla chiesa ortodossa ed alla moschea.
Domenica, nella città di Karaganda, il cardinale Sodano presiederà una solenne
concelebrazione eucaristica, benedirà la prima pietra della nuova chiesa
cattedrale e visiterà il seminario intitolato a “Maria Regina della Chiesa2.
Sempre a Karaganda, nella giornata di lunedì, il cardinale
segretario di Stato celebrerà una Santa Messa durante la quale incontrerà i
sacerdoti ed i religiosi che lavorano in quella diocesi. Nella medesima città,
prima del rientro a Roma, il cardinale Sodano visiterà la chiesa
greco-cattolica ed il monastero delle Suore Carmelitane Scalze.
UNA RIFLESSIONE CON IL CARDINALE PAUL POUPARD
SULL’INCONTRO
DI BARCELLONA DEI CENTRI CULTURALI CATTOLICI DEI PAESI
CHE SI
AFFACCIANO SUL MEDITERRANEO
- Servizio di Giovanni Peduto -
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Il Pontificio Consiglio della Cultura, assieme alla
fondazione Joan Maragall di Barcellona, ha organizzato questo incontro
regionale di Centri culturali cattolici del Mediterraneo, sulla scia di
analoghi convegni tenutisi negli anni precedenti, sul tema “I Centri culturali
cattolici delle due sponde del Mediterraneo: il loro contributo alla convivenza
fra le culture”. Vi hanno partecipato i responsabili dei Centri culturali di 18
Paesi del Mediterraneo occidentale (Europa e Maghreb), nonché alcuni rappresentanti
di Centri dei Balcani e del Medio Oriente.
La riflessione, a partire da una vasta diversità di
azione, ha incoraggiato a promuovere una vera pastorale della cultura, tenendo conto dell’attualità degli argomenti
fondamentali dell’incontro, specialmente il dialogo fra le diverse culture,
incentrato sul rapporto tra Cristianesimo e Islam.
Nel suo intervento, il cardinale Paul Poupard, che ha
presieduto i lavori, ha ricordato la portata storica del Mediterraneo, come
culla di civiltà e di culture, che fanno parte tuttora della nostra civiltà.
Mare interno e tuttavia aperto all’universalità, il Mediterraneo è il luogo
dove è nata e si è sviluppata la più universale delle religioni: il
Cristianesimo. Ma esso è attraversato oggi da molteplici tensioni e fratture,
non ultimo a causa degli attentati dell’11 settembre, la guerra in Iraq e il
fenomeno migratorio. Nella costruzione di un modello di convivenza tra le
culture, i Centri culturali cattolici hanno un ruolo imprescindibile. Le minoranze
cristiane in paesi arabi, a partire dalla loro esperienza secolare, possono e
devono offrire il loro contributo a questo processo di intendimento reciproco.
Su cosa si è concentrato particolarmente il dibattito? Ce lo dice il cardinale
Poupard:
“Soprattutto sul fatto che viviamo una situazione di
cambiamenti profondi in entrambe le sponde del Mediterraneo. In una parola: la
globalizzazione, che sta modificando profondamente la società e che dà vita ad
una nuova cultura. In Europa, da una parte si avverte l’impatto negativo della
secolarizzazione, come il disprezzo del credente; si vedono statistiche preoccupanti
riguardanti la crisi della cultura e quindi anche la trasmissione della fede.
Dall’altra, però, ci sono anche segni positivi: una nuova ricerca religiosa soprattutto
da parte dei giovani, che si esprime al di fuori dei canali istituzionali. Se
passiamo all’altra sponda del Mediterraneo, il mondo musulmano, è stato detto
che la secolarizzazione avrebbe un impatto positivo, cioè per la prima volta
una rilettura critica della storia, l’abbandono di certi miti fondazionali,
accento sulla dignità della persona, passaggio, pur timido, da una fede sociale
ad una credenza personale, tentativo di conciliare Islam e modernità, attenzione
a nuovi valori soprattutto in relazione al ruolo della donna. Per quanto
riguarda i suoi aspetti negativi, invece, la secolarizzazione spinge in
direzione del fondamentalismo e del materialismo opportunista. Due le priorità
sulle quali si è soffermata la discussione: il dialogo con le nuove generazioni
e il dialogo con l’Islam”.
L’attenzione dei partecipanti all’incontro di Barcellona
si è incentrata poi su alcuni compiti e sfide che hanno davanti a sé i Centri
culturali cattolici: essi devono essere sentinelle dei mutamenti culturali,
strumenti di diffusione di convinzioni cristiane, luoghi di dialogo creativo,
visibilità dell’azione dei cristiani; nonché luoghi di ascolto, di rispetto e
di tolleranza al servizio dell’intelligenza della fede, e luoghi di testimonianza
della carità e della speranza.
Il programma di Barcellona ha previsto anche una giornata
al celebre santuario di Montserrat, nonché diverse visite guidate nella
capitale catalana. L’incontro si è svolto sotto il patrocinio e con l’aiuto del
Governo della Generalitat de Catalunya.
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Continuate
ad offrire a tutte le Chiese, antiche e nuove, il privilegio di "aiutare
il Vangelo" è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento al
discorso di Giovanni Paolo II all'Assemblea Generale del Consiglio Superiore
dei Direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie.
All'interno, l'indirizzo
d'omaggio rivolto al Papa dal cardinale Crescenzio Sepe, all'inizio
dell'udienza.
Sempre in prima, la drammatica
notizia che in Uganda sono stati uccisi quattro dei 41 seminaristi rapiti a
Lachor.
Riguardo al terrorismo, si
sottolinea lo stato di massima allerta in Africa Orientale per la minaccia di
attentati da parte di "Al Qaeda".
Nelle vaticane, l'omelia del
cardinale Saraiva Martins durante la celebrazione Eucaristica, a Cova da Iria,
per la festa liturgica della Beata Vergine di Fatima.
I messaggi dei vescovi del Cile
e del Messico in occasione delle loro rispettive Assemblee Generali.
Il saluto del cardinale Giacomo
Biffi per l'inaugurazione, a Bologna, della nuova sede della Galleria
d'arte moderna "Raccolta Lercaro".
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: il tragico conteggio dei morti segna ogni giorno i Territori.
Iraq: si profila la revoca
delle sanzioni Onu.
Nella pagina culturale, un
contributo di Marco Testi dal titolo "Uno sguardo nostalgico venato di
ironia": "Stampe dell'Ottocento" di Aldo Palazzeschi.
Nelle pagine italiane, in primo
piano il tema della giustizia.
In rilievo anche la questione
dell'immigrazione.
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LA
SLOVACCHIA AD UN PASSO DALL’EUROPA
-
Intervista con mons. Marian Gavenda -
Dopo Lituania, Ungheria, Malta e Slovenia,
oggi e domani tocca alla Slovacchia recarsi alle urne per decidere
sull’ingresso nell’Unione Europea. Un referendum, secondo i sondaggi,
dall’esito piuttosto scontato, con l’unico rischio che non si raggiunga il
quorum. Alle urne sono chiamati quattro milioni di elettori, in maggioranza
euro-entusiasti. Ma non mancano i motivi di scetticismo, come ci conferma mons.
Marian Gavenda, portavoce della Conferenza episcopale slovacca, nell’intervista
di Andrea Sarubbi:
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R. – Paradossalmente, proprio questo è il periodo più sfavorevole. Dopo
il crollo del comunismo, infatti, ci furono grandi illusioni e grandi sogni
sull’Europa: l’opinione comune era che, entrando in Europa, il Paese avrebbe
ripetuto il miracolo dell’Irlanda o del Portogallo che, abbastanza rapidamente,
hanno raggiunto una buona occupazione, una certa stabilità politica nonché sicurezza
e stabilità economiche. Solo negli ultimi cinque mesi, purtroppo, sono stati
pubblicati studi economici più approfonditi, dai quali si deduce che nei prossimi
15 anni la situazione potrebbe essere ancora più difficile di quella attuale:
così, dall’illusione si è passati alla delusione. Ma va detto che le speranze
sono comunque maggiori dei dubbi, ed i cittadini sanno bene che, al momento
attuale, non abbiamo un’alternativa migliore. Speriamo che, con l’entrata in
Europa, almeno alcune zone possano progredire.
D. – Ma come sono divisi gli elettori riguardo
all’ingresso in Europa?
R. – Mentre nelle grandi città molti giovani vedono aperta la possibilità
di studiare, di trovare lavoro – da Bratislava a Vienna sono 60 chilometri, e
già adesso sono in tanti a spostarsi ogni giorno per lavoro e per studio in
Austria – invece la generazione media, quella dei padri di famiglia, è
preoccupata perché teme che, ai livelli più bassi, il campo del lavoro non si
apra.
D. – Ci sono state difficoltà nel cammino della Slovacchia verso
l’integrazione europea?
R. – Sì, specialmente negli anni passati. La colpa si dà al governo di
Mecier, che era orientato fortemente a livello nazionale – non voglio dire
nazionalista – e questa ideologia della nazione non era di per sé favorevole
all’integrazione. Nonostante Mecier stesso ed il suo partito stiano ora
cambiando, bisogna dire che questa loro posizione ha rappresentato un ostacolo:
la Slovacchia è stata guardata a lungo con grande sospetto per quanto
riguardava il rispetto dei diritti umani, la libertà, e questi aspetti hanno
reso più complesse le trattative e rimandato la decisione.
D. – Alcuni osservatori sostengono che la Slovacchia porterà in Europa un
piccolo Terzo Mondo, perché porta con sé il problema della comunità zingare...
R. – Questo è veramente un problema serio, per il quale spesso si rischia
di passare per razzisti. Questa etnia rappresenta un problema serio per
qualsiasi governo, e finora non sono servite le sovvenzioni, né i progetti
educativi e di integrazione: la situazione in Slovacchia rimane problematica,
considerando – tra l’altro – che si tratta di una minoranza abbastanza
numerosa. Sicuramente, l’ingresso in Europa rappresenterà un grosso punto
interrogativo al riguardo, perché gli zingari sono molto inclini a spostarsi ed
a viaggiare, e se avranno questa possibilità cercheranno di approfittarne. Ma
ribadisco che si tratta di un problema serio anche per il governo di
Bratislava: trovare una soluzione, finora, non è stato possibile.
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ISTITUZIONI ED ECONOMIA, LE GRANDI SFIDE
DELL’ARGENTINA,
CON IL
NUOVO PRESIDENTE NESTOR KIRCHNER
- Intervista con Omero Ciai -
Riconciliare le istituzioni con la popolazione e
affrontare subito i temi economici e sociali. Sono queste le priorità elencate
dal neo presidente argentino Nestor Kirchner, nella sua prima uscita ufficiale
dopo la rinuncia al ballottaggio del 18 maggio da parte di Carlos Menem. In
questo modo, il governatore di Santa Cruz è divenuto di fatto il successore di
Eduardo Duhalde alla Casa Rosada per il periodo 2003-2007. Ma cosa ha indotto
Menem a rinunciare al ballottaggio? A.V. lo ha chiesto a Omero Ciai,
inviato del quotidiano ‘La Repubblica’ in Argentina:
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R. – La situazione di Menem era molto difficile; tutti gli istituti di
sondaggio lo davano per sconfitto, la sua poteva diventare una disfatta, era
sotto il 30 per cento e di fronte a questa ipotesi ha preferito ritirarsi.
Kirchner, giustamente, lo accusa di un gesto antidemocratico perché – appunto –
non si è mai visto ... anche Le Pen, sapendo perfettamente che avrebbe perso il
ballottaggio in Francia contro Chirac nelle ultime elezioni francesi, non ha
mai pensato di ritirarsi. Cioè, andare al ballottaggio è comunque una procedura
della democrazia. Il problema rimarrà all’interno del movimento peronista:
tutte le sue anime continueranno a confrontarsi e continueranno a confrontarsi
in maniera molto dura.
D. – Un ritratto di Nestor Kirchner, che ora è il nuovo presidente
argentino ...
R. – Kirchner, in realtà, è l’uomo scelto da Duhalde; è una situazione di
continuità. In realtà, è un leader abbastanza sconosciuto, comunque la sua
vittoria rappresenta una novità continentale nel senso che, sicuramente,
Kirchner sarà un alleato – per esempio – del presidente brasiliano Lula; sarà
anche un buon alleato della parte che resta di mandato a Lagos in Cile e
quindi, in qualche modo, sarà meno condiscendente con gli Stati Uniti ...
D. – Con quale programma si prepara a governare
l’Argentina?
R. – Kirchner, fondamentalmente, ha una strada davanti a
sé, che è quella di re-industrializzare l’Argentina: dopo la crisi del 2001 e
la svalutazione del peso, il programma fondamentale è appunto quello di
riattivare l’industria interna argentina e su questa base, poi, di ricreare posti
di lavoro e di riattivare le esportazioni. Questo è fondamentalmente il
programma che sta seguendo Duhalde e quello che cercherà di seguire Kirchner.
D. – Qual è la situazione attuale dell’Argentina?
R. – I grandi numeri stanno migliorando; comunque, la situazione è ancora
molto pericolosa, molto difficile, non è assolutamente una situazione
stabilizzata. Io temo che quest’inverno – adesso in Argentina sta arrivando
l’inverno – sarà di nuovo un inverno difficile; non mi pare – almeno da quello
che so – che i problemi di fondo siano stati risolti e affrontati nonostante –
appunto – sì, gli aiuti internazionali, ma comunque il rischio di nuove
situazioni, come quelle che si sono vissute l’anno scorso, è sempre possibile.
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16 maggio 2003
È IN CORSO DA IERI IL SECONDO
CONGRESSO INTERNAZIONALE “CHIESA E MEZZI
DI
COMUNICAZIONE” A MURCIA, IN SPAGNA. PRESENTI L’ARCIVESCOVO JOHN PATRICK FOLEY,
PRESIDENTE
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI
SOCIALI
E
JOAQUIN NAVARRO VALLS, PORTAVOCE DEL VATICANO
MURCIA. = “Chiesa e mezzi di comunicazione cattolici nel
XXI secolo”: questo il titolo del secondo congresso internazionale iniziato
ieri a Murcia, in Spagna, nel monastero di Los Jerònoimos, sede dell’Università
cattolica. Tra i partecipanti l’arcivescovo John Patrick Foley, presidente del
Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, che è intervenuto sul tema
dell’etica nella comunicazione. “L’attuale situazione culturale – ha detto il
presule nel suo discorso – registra chiaramente un’ondata di crisi dei valori,
ed i media non contribuiscono proprio ad orientare con dei contenuti validi il
pubblico. Ma non bisogna pensare che la società non aspiri ai valori: in questo
clima di relatività della società contemporanea non passano inosservate persone
capaci di mantenere le proprie convinzioni”. Inoltre “se la coerenza è un
valore adatto per tutte le persone, tale valore si addice in modo particolare a
chi sceglie di seguire Cristo: nel campo della fede la coerenza corrisponde
alla testimonianza con la vita, senza la quale non può esserci credibilità”. A
concludere i lavori, sabato prossimo Joaquìn Navarro Valls, portavoce delle
Santa sede. Tra i temi toccati durante i giorni dell’avvenimento: la dimensione
etica e morale dei media, l’evangelizzazione della cultura nel contesto di una
società mediatica, i mezzi di comunicazione cattolici, e la formazione dei
giornalisti cattolici. (S.C.)
“RACCONTANDO LA TENEREZZA DI DIO”, TEMA DI
UN CONVEGNO DI SPIRITUALITA’
DELLE
SUORE FRANCESCANE MISSIONARIE DI ASSISI, PRESSO LA PRO CIVITATE
CRISTIANA,
PER IL TERZO CENTENARIO DI FONDAZIONE DELL’ISTITUTO
ASSISI.
= Raccontare “la tenerezza di Dio” nella propria storia e nel mondo di oggi. Su
questo tema di ispirazione biblica è in corso da ieri un Convegno di Spiritualità
organizzato dalle Suore Francescane Missionarie di Assisi, presso la Pro
Civitate Cristiana, per celebrare il terzo centenario di fondazione e il primo
centenario della missione di questa famiglia religiosa. Fu infatti nel 1702 che
l’Istituto nacque dall’incontro tra un giovane frate minore conventuale, padre
Giuseppe Antonio Marcheselli, ed una terziaria francescana, Angela del Giglio.
Le Suore Francescane Missionarie di Assisi sono oggi circa 600, diffuse con una
novantina di case in vari Paesi del mondo. “La tenerezza: un bisogno
irrinunciabile” è il tema trattato ieri pomeriggio dalla professoressa Giuliana
Martirani, docente all’Università “Federico II” di Napoli, dopo l’intervento
inaugurale del vescovo di Assisi, mons. Sergio Goretti, e quello della
superiora generale, suor Isabella Ciruzzi. Con una preghiera per la pace nello
“spirito di Assisi”, si concluderà questa sera un pellegrinaggio di
ringraziamento in memoria dei fondatori nella Basilica inferiore di San
Francesco. Per domani pomeriggio, in programma una tavola rotonda sul tema
“Testimoni della tenerezza di Dio oggi”, svolta da alcune suore di Africa,
Asia, America ed Europa. (P.Sv.)
RESTITUITA LA PARTE MANCANTE DELL’AQUILA IN PIETRA,
SIMBOLO DELLO ZIMBABWE, RISALENTE AL XII-XIV SECOLO.
ALTRE
QUATTRO STATUE SIMILI SONO STATE RICONSEGNATE AL PAESE DALLA REPUBBLICA
SUDAFRICANA
HARARE. = Con una cerimonia altamente simbolica, il corpo
di un’aquila in pietra, uccello simbolo dello Zimbabwe che compare come effigie
anche sulla bandiera nazionale e sulle banconote, è stato oggi finalmente
riunito alla sua testa. Il reperto archeologico era stato portato via dagli
inglesi quando il Paese si chiamava ancora Rhodesia, dopo essere stato divelto
dalle mura della più importate città dell'antica e poco conosciuta civiltà
Munhumatapa: ‘Zimbabwe’, da cui ha preso poi il nome lo Stato africano. La
scultura, datata tra il XII e XIV secolo, era stata presa nel 1906 da coloni
inglesi, e dopo essere passata per le mani di un collezionista privato, era poi
stata acquisita dal Museo etnologico di Berlino. Con la caduta nella seconda
guerra mondiale della capitale tedesca, l’aquila senza testa era stata
trasferita dall’armata russa al museo di Leningrado, per poi tornare di nuovo a
Berlino. Già altre quattro statue di aquile in pietra saponaria sono state
consegnate dal Sud Africa ad Harare negli ultimi anni; ne resterebbe una quinta
nelle mani di Pretoria sul cui destino le autorità culturali dei due Paesi
africani stanno discutendo. (S.C.)
IL
CARDINALE VITHAYATHIL ILLUSTRA LE LINEE GUIDA DELLA CHIESA INDIANA
SIRO-MALABRESE: UNA CHIESA DEDICATA ALLA VOCAZIONE
ED ALLA MISSIONE,
FONDATA NEL 52 D.C. DA SAN TOMMASO APOSTOLO.
CITTÀ DEL VATICANO. = Giunto in
Vaticano nei giorni scorsi per la visita ad limina dei vescovi
siro-malabaresi il cardinale Varkey Vithayathil, arcivescovo maggiore di
Ernakulam-Angamaly, ha spiegato le linee della Chiesa indiana siro-malabarese,
di rito caldeo, nata dalla predicazione di San Tommaso apostolo nel 52.d.C.
“Chiesa autonoma” in piena comunione con Roma, ha il suo centro nello Stato
indiano del Kerala (India sud occidentale) con 3,9 milioni di fedeli. La sua
grande vitalità appare soprattutto nel campo vocazionale: oltre 6mila sacerdoti
(211 nuovi ordinati nel 2002) 30mila suore. “Il Santo Padre ha ricordato che la
nostra Chiesa non è mai stata separata dalla Sede di Pietro”. “Le famiglie pregano
molto in casa; è abitudine che, prima di cena, genitori e figli recitino
insieme il rosario.” La Chiesa siro-malabarese ha anche un autentico spirito
missionario: “Vogliamo essere missionari, come ha sottolineato il Concilio
Vaticano II, riconoscendo a tutte le Chiese. Sulla delicata situazione
dell’India, dove i missionari sono accusati di nascondere ambizioni di proselitismo
sotto la maschera di servizio sociale, il cardinale Vithayathil commenta: “In
India nostri missionari sono ben visti. I fondamentalisti insistono sul fatto
che i missionari hanno volti e nomi europei, e sono quasi tutti stranieri. Noi,
invece, siamo una Chiesa del tutto indiana.” (S.C.)
LA RISPOSTA DEL FRONTE DI
LIBERAZIONE ISLAMICO MORO AL PRESIDENTE
DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE DELLE FILIPPINE, L’ARCIVESCOVO ORLANDO QUEVEDO:
“SIAMO
DAVVERO INTERESSATI A COLLOQUI DI PACE”
MANILA. = In risposta alla
recente lettera dei vescovi filippini, i ribelli del Fronte di liberazione
islamico moro si sono detti ancora “realmente interessati a colloqui di pace
sinceri” con il governo. La fazione indipendentista ha inviato ieri al
all’arcivescovo Orlando Quevedo, presidente della Conferenza episcopale delle Filippine
(Cbcp) un messaggio in cui il principale movimento ribelle filippino ha cercato
di esporre le ragioni della propria battaglia, esprimendo cordoglio per le
morti di civili innocenti, e inoltre
ricordando i tanti musulmani deceduti nel 2000, quando i governativi
sganciarono una potente bomba su villaggi vicini al quartier generale del Milf,
Camp Abubakar. Nella lettera dei ribelli si legge una esplicita condanna del
terrorismo, tuttavia si difendono i recenti attacchi sferrati contro le
località di Maigo e Siocon. Le morti di civili sono definite “danni
collaterali”, probabilmente causati proprio dalle truppe regolari. (S.C.)
FESTIVAL DI CANNES: OGGI LA PROIEZIONE DI ‘MATRIX RELOADED’ E DI
‘CE JOUR-LÀ’ DEL CILENO RUIZ.
PRESENTI
ANCHE L’ARGENTINA E CUBA. INOLTRE 20 SCENE INEDITE DA ‘APRILE’ DI MORETTI
E L’OMAGGIO
DI WIM WENDERS AL BLUES, CON ‘THE SOUL OF A MAN’
- A
cura di Nicola Falcinella -
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CANNES. = Divertimenti cinefili nella giornata di ieri, la
seconda, del Festival del cinema di Cannes, sia per l’ipertecnologico The
Matrix Reloaded che Ce jour-là di Raoul Ruiz, che ha aperto il
concorso pescando a piene mani in cento anni di cinema. Il cileno Ruiz racconta
una svizzera carica di luoghi comuni, in un grottesco gioco al rialzo di
uccisioni, segno di una società in disfacimento. Un film ambizioso, a lungo
intrigante, che si perde in una critica qualunquistica. Conciliare divertimento
e pensiero, all’americana si intende, è l’obiettivo che si propone invece The
Matrix, ed entro certi limiti raggiunge lo scopo. Il film dei fratelli Wachowski,
tra una settimana sugli schermi italiani, presenta diversi livelli di lettura e
accontenta tutti: chi cerca l’intrattenimento puro e chi si interroga sul
futuro. Deludono i primi due film sudamericani presentati, entrambi provenienti
da Paesi in gravi crisi. La Cruz del Sur dell’argentino Pablo Reyero è
un road movie senza speranza, tra la ricerca dell’amore, fuga e traffico
di droga. Entre Cyclones del cubano Enrique Colina è una commedia
scialba su una Cuba di maniera, evitando ogni legame con l’attualità e il
sociale. Oggi è la giornata di Nanni Moretti, che presenta 20 scene mai montate
del suo lungometraggio Aprile del ’97 e un documentario su una famiglia
di farmacisti italo-americani a New York. Infine, Wim Wenders, con The soul
of a man, omaggio al blues attraverso le storie di genialità disperate di
Willie Johnson, J.B. Lenoir e Skip James. Uno stato d’animo più che un genere
musicale in un film nostalgia che riscopre musicisti quasi dimenticati.
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16 maggio 2003
- A
cura di Giada Aquilino -
Il
terrorismo ceceno non vincerà e la Russia, di fronte alle nuove minacce, si
prepara a produrre altre armi strategiche. E’ l’annuncio del presidente russo
Putin, nell'ultimo discorso del suo mandato davanti alle Camere riunite, prima
delle presidenziali del 2004. La Russia - ha annunciato il capo del Cremlino -
sta elaborando una riforma militare che prevede la realizzazione di ''armi di
nuova generazione, comprese quelle strategiche'' per garantire difesa e sicurezza,
e si prepara a ''rafforzare e modernizzare le armi nucleari deterrenti''. Il
servizio di Giuseppe D’Amato:
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Nella sala di
marmo del Cremlino, oggi era presente tutta la Russia che conta: parlamentari,
ministri, rappresentanti religiosi e regionali. In circa un’ora, Putin ha
parlato in maniera assai realistica dei risultati ottenuti nei suoi 3 anni di
presidenza e delle riforme in corso. L’economia migliora, ma non a sufficienza.
Ancora un quarto della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Il
tenore di vita è disomogeneo. Persistono gravi problemi sociali e poi il rublo
deve diventare completamente convertibile. “La Russia non può vivere isolata”,
ha detto Putin. Importante è l’entrata del Paese nel G8. Presto si spera
nell’adesione al Wto. La Cecenia rimane la spina nel fianco, ma il presidente è
apparso fiducioso con la sua soluzione politica del conflitto coi separatisti e
le prossime elezioni generali nella Repubblica caucasica.
Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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Il
nuovo governo palestinese del premier Abu Mazen subisce le prime defezioni,
alla vigilia dell'incontro previsto per domani sera tra il premier israeliano
Ariel Sharon e lo stesso Abu Mazen. Il ministro palestinese Saeb Erekat,
incaricato dei negoziati di pace, ha infatti rassegnato le dimissioni nelle
mani del primo ministro. Il servizio di Graziano Motta:
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Erekat, sostenuto da Arafat, vorrebbe essere lui a condurre le trattative.
Contesta che Abbas gli abbia affiancato anche il ministro per gli Affari di
sicurezza, Mohammed Dahlan. Intanto, si accentua la divisione tra Stati Uniti
ed Unione Europea sul ruolo di Yasser Arafat. Il colloquio di domani tra Sharon
e Abbas, a poche ore dalla partenza del primo ministro israeliano per
Washington, dovrebbe riguardare la prima fase della ‘Road Map’, il piano di
pace del presidente Bush, ovvero i modi per far cessare le violenze nei Territori,
in particolare quelle della guerriglia palestinese che continua a lanciare
dalla Striscia di Gaza razzi e proiettili di mortaio. Sul territorio
israeliano, decine di mezzi blindati proseguono l’occupazione, cominciata ieri,
della zona frontaliera di Beit Hanoun.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Nuova
ondata di arresti stamani in Iraq ad opera delle forze americane.
Cinquantacinque iracheni accusati di saccheggio sono stati catturati, mentre
sono state rafforzate tutte le misure
di sicurezza. Già ieri il nuovo amministratore americano Paul Bremer, parlando
per la prima volta a Baghdad, si era soffermato sui piani per riportare
l’ordine nel Paese. E gli Stati Uniti contemporaneamente hanno proposto all’Onu
una nuova risoluzione per togliere le sanzioni all’Iraq. Washington, appoggiata
da Londra, spera che il documento possa essere discusso, votato e approvato già
mercoledì prossimo.
Ed un appello per la revoca “il prima possibile” delle
sanzioni internazionali contro l’Iraq è giunto anche dal segretario di Stato
americano Colin Powell e dal cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, nel loro
incontro di stamani a Berlino. Il faccia a faccia è avvenuto dopo le divergenze
sulle opposte prese di posizioni di Stati Uniti e Germania a proposito della
crisi irachena: quando il presidente Bush decise di attaccare il regime di
Saddam Hussein, Schroeder infatti si oppose all’operazione militare.
Stamani
all’alba è atterrato all'aeroporto di Londra-Heathrow l'ultimo aereo della
British Airways proveniente dal Kenya. Ieri il ministero dei Trasporti di
Londra, a seguito di un allarme su possibili attentati di Al Qaeda, ha deciso
la sospensione fino a nuovo ordine di tutti i voli da e per il Paese africano.
Sentiamo Alessandro Scafi:
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Fonti di polizia del Kenya hanno segnalato la presenza nel
Paese di militanti di Al Qaeda, mentre le autorità statunitensi hanno
espressamente sconsigliato ai cittadini americani di recarsi in Kenya. Il
governo di Nairobi ha criticato la misura cautelativa, che ha definito estrema
e che, secondo le autorità locali, fa il gioco degli eventuali terroristi
concedendo loro una vittoria morale. Ma le misure, insistono le autorità
responsabili dell’aviazione britannica, sono state prese per via delle
informazioni fornite dai servizi segreti sulla presenza di Al Qaeda nel Paese e
in considerazione della storia dell’attività terroristica in Kenya. Nel
novembre scorso, vicino a Mombasa, 15 persone erano rimaste uccise in un
attacco suicida contro un albergo di proprietà israeliana, in coincidenza con
un tentativo fallito di abbattere un velivolo carico di turisti provenenti da
Israele.
Da Londra, per la Radio Vaticana, Alessandro Scafi.
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''Per ora questo dibattito può avvenire solo in seno alla
Convenzione''. Così il presidente della Commissione europea Romano Prodi
risponde, in una lettera, a Valéry Giscard d'Estaing: il presidente della
Convenzione Ue lo aveva invitato nei giorni scorsi ad un confronto sulla nuova
Costituzione, respingendo però la posizione di Prodi di tenerlo nella plenaria
della stessa Convenzione.
“L'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Nadia
Desdemona Lioce è un nuovo importante risultato” per assicurare alla giustizia
gli assassini dei professori D'Antona e Biagi. A dichiararlo è stato il
ministro dell'Interno italiano, Giuseppe Pisanu, a seguito dell'ordinanza nei
riguardi della brigatista rossa firmata oggi dal gip di Bologna. In
particolare, il coinvolgimento della Lioce nell'omicidio Biagi – avvenuto nel
marzo del 2002 - risulterebbe dalle indagini condotte dalla Digos emiliana in
collaborazione con un pool di esperti investigativi. La Lioce inoltre sarebbe
stata riconosciuta in un filmato registrato alla stazione di Bologna.
Non
cessa l’emergenza Sars in Cina. Quattro persone sono morte nelle ultime 24 ore,
portando a 275 il totale delle vittime di polmonite atipica nel Paese. Mentre
si attende la riunione dell’Organizzazione mondiale della Sanità - la prossima
settimana a Ginevra - per fare il punto sull’epidemia, il governo cinese ha
deciso di adottare misure drastiche, come l’ergastolo o la pena di morte, per
chi rifiuta di sottoporsi alla cura. Ce lo conferma da Pechino, Francesco
Sisci, corrispondente del quotidiano “La Stampa”:
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Alcune persone rifiutano di essere messe in quarantena o
addirittura alcuni malati rifiutano di essere curati, convinti come sono che il
ricovero in ospedale sia una specie di ‘preludio’ alla morte. Ci sono decine,
se non centinaia, di casi di persone fuggite dagli ospedali, a cui è stata data
la caccia come se fossero criminali, proprio perché volevano morire a casa
loro. Contro questi poveretti che hanno tanta paura dell’ospedale e della Sars
da non arrendersi alle ragioni che gli vengono offerte per la cura, l’unica
norma per il governo sembra quella di minacciarli di pena di morte.
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Un
accordo di cessate il fuoco tra il presidente congolese Joseph Kabila e i
membri delle milizie Hema e Lendu in lotta nell’ex Zaire è stato siglato oggi a
Dar es Salaam, in Tanzania. Non cessano però le tensioni che da giorni
sconvolgono Bunia, nel nord est della Repubblica democratica del Congo, dove –
si è appreso solo oggi – domenica scorsa sono rimaste uccise due volontarie
della Croce Rossa locale. Ora i combattimenti si stanno estendendo anche a
località circostanti. Secondo l’Agenzia missionaria Misna, scontri tra
miliziani Lendu e uomini dell'Unione patrioti congolesi (Upc), appoggiati da
alcuni gruppi armati di Hema, hanno interessato la località di Mbidjo, a
qualche decina di chilometri dal capoluogo dell’Ituri.
I
ribelli del Movimento Aceh Libero (Gam) minacciano di boicottare la riunione
per le trattative di pace col governo indonesiano, in programma domani a Tokyo,
se le autorità di Jakarta non rilasceranno al più presto la delegazione di
cinque negoziatori del movimento separatista di Aceh, fermata stamani. Il
vertice ospitato dal Giappone deve riunire rappresentanti del governo
indonesiano, dei separatisti e il centro svizzero ‘Henry Dunant’, che patrocinò
l'accordo di pace di dicembre per la soluzione della crisi di Aceh.
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