RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 135 - Testo della
Trasmissione di giovedì 15 maggio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
All’Assemblea del Celam, il ruolo e le sfide
dell’America Latina nell’era della globalizzazione.
L’Argentina ha un nuovo
presidente: Menem si ritira, Kirchner alla Casa Rosada senza ballottaggio.
Dopo gli attentati di
Riad, l’America teme nuovi attacchi. Non cessa l’allarme terrorismo in Cecenia.
Medio Oriente, Powell
invita le parti ad un compromesso. Oggi da Arafat l’inviato europeo, Solana.
La crisi nordcoreana
verso una soluzione diplomatica, con la mediazione di Tokyo e Seul.
Civili in fuga da Bunia,
dove proseguono gli scontri. Il presidente congolese Kabila incontra i capi
delle fazioni in lotta.
NO ALLA GUERRA E AL TERRORISMO
COME RISORSA
PER LA SOLUZIONE DEI CONTRASTI,
LA DIPLOMAZIA E GLI ORGANISMI INTERNAZIONALI SERVANO LA CAUSA DELLA
PACE.
COSI’ GIOVANNI PAOLO II NEL DISCORSO A 12 NUOVI AMBASCIATORI
RICEVUTI IN UDIENZA PER LE LETTERE CREDENZIALI
- A cura di Alessandro Gisotti, Alessandro De Carolis e Paolo Salvo -
La pace “non può realizzarsi a discapito delle persone e
dei popoli”: non può essere perseguita sull’onda della guerra e del terrorismo,
mezzi incapaci di riportare l’equilibrio e la concordia. La pace può davvero
costruirsi “quando tutti sono parte e protagonisti nell’edificazione” del
tessuto sociale. Sono alcuni dei concetti sui quali Giovanni Paolo II si è
soffermato, con forza e a più riprese, nel discorso generale e nei singoli
interventi rivolti stamani ai nuovi ambasciatori di Australia, Zimbabwe, Siria,
Trinidad e Tobago, Etiopia, Lettonia, Isole Fiji, Burundi, Georgia, Vanuatu,
Moldova e Pakistan, ricevuti in udienza per la presentazione delle Lettere
credenziali. Nel discorso rivolto collegialmente al gruppo dei diplomatici, il
Pontefice ha dato molto spazio al ruolo che la diplomazia e le organizzazioni
internazionali possono e devono avere nel promuovere la pace. Il servizio di
Alessandro Gisotti:
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Le religioni siano “fonte di unità e di pace”: è la viva
esortazione del Pontefice, che ha ribadito come mai il sentimento religioso
debba porre gli uomini gli uni contro gli altri. Il nostro mondo, ha detto,
vive un periodo difficile. Una situazione, che richiama i responsabili delle
nazioni ad “impegnarsi sempre in favore della pace”. Di qui, l’importanza della
diplomazia che deve ritrovare i suoi “caratteri di nobiltà”. L’attenzione per
il dialogo, la fraternità e la solidarietà, ha sottolineato, devono essere
“alla base dell’attività diplomatica e delle istituzioni internazionali,
incaricate di promuovere la pace”. Un bene prezioso, questo, non solo per gli
individui, ma anche per i popoli e gli Stati, perché lo “sviluppo durevole non
può fondarsi che sulla sicurezza e la concordia”.
In un’era segnata da gravi conflitti, ha proseguito, la
comunità internazionale si è dotata di organismi specifici per impedire le
guerre. Le Nazioni Unite sono allora chiamate ad “essere più che mai il luogo
centrale delle decisioni riguardanti la ricostruzione della pace”. Il Pontefice
ha messo, inoltre, l’accento sugli organismi umanitari, esortati a rinnovare il
proprio impegno. Tale sforzo, ha segnalato, “aiuterà le popolazioni colpite a
riprendere in mano il proprio destino, permettendogli di passare dalla paura
alla speranza, dallo smarrimento alla costruzione del proprio avvenire”.
Non poteva, poi, mancare un riferimento all’enciclica Pacem
in Terris. Nel suo 40.mo anniversario, ha affermato, è particolarmente
opportuno far proprio l’invito di Giovanni XXIII, affinché la vita sociale si
regga sui quattro pilastri “verità, giustizia, amore e libertà”. Soffermandosi,
quindi, sulle tragedie che ogni guerra porta con sé, il Papa ha rivolto un pensiero speciale ai giovani,
“spesso i più afflitti dalle situazioni di guerra”. Avendo subito immani
sofferenze, ha avvertito, potrebbero essere “tentati dalla spirale della
violenza”. E’ dunque nostro dovere “prepararli ad un avvenire di pace” e alla
“solidarietà fraterna”. Giovanni Paolo II ha, infine, sottolineato come queste
siano le “preoccupazioni della Chiesa Cattolica”, impegnata nelle relazioni tra
i popoli a rispondere alla sua missione primordiale: “manifestare la vicinanza
di Dio a tutti gli uomini”.
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Sullo sfondo dei drammatici avvenimenti che hanno
interessato e tuttora interessano l’area del Medio Oriente, Giovanni Paolo II
ha, come detto, parlato lungamente di pace anche nei discorsi ai singoli
rappresentanti diplomatici. “La guerra, che ha di nuovo prevalso, non può
essere considerata come mezzo per la risoluzione dei conflitti”, ha ribadito
con forza rivolgendosi al nuovo ambasciatore siriano presso la Santa Sede, la
signora Siba Nasser. Nel ricordare i tragici attentati dell’11 settembre 2001,
il Papa ha esortato a ricercare - all’interno di un “franco e approfondito”
dialogo internazionale - le cause scatenanti del terrorismo il quale, ha
osservato, “mette in pericolo in modo insostenibile il bene comune della pace”.
Pace sempre a rischio anche in Terra Santa, una regione del mondo - ha
soggiunto il Pontefice - “continuamente oggetto di conflitti nel corso della
storia”. Ai governanti di quell’area, il Papa ha lanciato l’invito a lavorare,
con “spirito coraggioso e audace”, per rispondere alle “legittime aspirazioni”
delle popolazioni, che chiedono di poter vivere “sulla loro terra in
indipendenza e sovranità”.
Gli scenari dell’attualità internazionale sono ritornati
anche nel discorso al nuovo ambasciatore del Pakistan presso la Santa Sede, la
signora Fauzia Mufti Abbas. Le recenti guerre in Afghanistan e Iraq, ha notato
il Papa, hanno convogliato sul Pakistan “un’attenzione senza precedenti dei
media internazionali”, che ha offerto al Paese l’opportunità “di contribuire
grandemente alla pace”. Giovanni Paolo II ha apprezzato l’impegno delle
autorità pakistane nel riavvicinamento all’India sulla questione del Kashmir,
ma ha anche denunciato le violenze e i vandalismi che tuttora colpiscono i
cristiani. Comprese, ha aggiunto il Pontefice, le ineguaglianze nell’accesso al
lavoro e di trattamento all’interno delle istituzioni riguardanti le minoranze
etniche.
Un
forte incoraggiamento viene espresso da Giovanni Paolo II al proseguimento del
processo di pace tra Etiopia ed Eritrea. Lo ha detto al nuovo ambasciatore
etiopico, Negash Kebret, sottolineando due aspetti ugualmente importanti di
questo processo: il ruolo attivo della comunità internazionale, ma anche
l’impegno e la buona volontà delle parti direttamente coinvolte per raggiungere
un’autentica riconciliazione.
Anche nell’indirizzo all’ambasciatore del Burundi, Terence
Nsanze, il Papa auspica “l’impegno concreto” dell’intera società a tutti i
livelli nel processo attuale, nuova tappa del cammino verso la riconciliazione
e lo stabilimento della pace, in applicazione degli Accordi di Arusha, per
porre fine a dieci anni di sanguinosa guerra civile tra le etnie hutu e tutsi,
costata più di 300 mila morti e un gran numero di profughi. Con il rispetto
degli accordi per il cessate-il-fuoco, Giovanni Paolo II si augura che tutti
gli abitanti del Paese “operino coraggiosamente per giungere ad una pace
duratura, fondata sulla giustizia e sul perdono, al fine di poter vivere in
sicurezza sulla loro terra, patrimonio comune di tutti i burundesi, nel quale
tutti sono chiamati a riconoscersi fratelli”.
Nel discorso all’ambasciatore dello Zimbabwe, Kelebert
Nkomani, il Pontefice indica “l’autentico bene comune”, insieme alla giustizia
per tutti e alla cultura del dialogo, i criteri idonei per affrontare il
programma governativo di riforma agraria avviato nel Paese africano. Il Papa
menziona in proposito un documento dal titolo “Verso una migliore distribuzione
della terra”, pubblicato nel 1997 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e
della Pace, nel quale tale riforma viene definita “un processo complesso e
delicato” che sarebbe erroneo ridurre semplicemente alla espropriazione dei
grandi latifondi. In primo luogo, infatti, si deve considerare la giustizia nei
confronti di tutti, “se si vuole sanare le ferite del passato e costruire un
futuro più luminoso”. Il Papa sottolinea pure il significato che la Santa Sede
attribuisce alla propria attività diplomatica, con tutti i componenti della
comunità internazionale, “per promuovere la pace e l’armonia tra i popoli, guardando
sempre al bene comune e allo sviluppo integrale degli individui e delle nazioni”.
Spostando, poi, lo sguardo all’Europa, Giovanni Paolo II
si è soffermato, con l’ambasciatore della Georgia, Alexander D. Chikvaidze, sui
progressi socioeconomici ottenuti dal Paese caucasico. Allo stesso tempo, però,
lo ha messo in guardia da uno sviluppo staccato dalla “sua intrinseca
connessione con i diritti umani”. In una nazione nella quale il cristianesimo
ha dato “profondi contributi” nel passato, il Papa ha auspicato che essa,
crocevia tra l’Europa e l’Asia, lavori per la propria stabilità fedele ai
valori del Vangelo. Così come tuteli sempre il diritto alla libertà di fede,
all’interno del fondamentale dialogo ecumenico tra cattolici e ortodossi.
Anche con il nuovo rappresentante diplomatico della
Lettonia, Alberts Sarkanis, il Pontefice ha sottolineato i valori della
Dottrina sociale della Chiesa come fonte ispiratrice “degli universali principi
di giustizia e pace tra gli individui e i gruppi”. In quest’ottica, si può
meglio comprendere - ha detto Giovanni Paolo II – il ruolo che la cristianità
deve avere nel Paese baltico, che si appresta a diventare uno dei Paesi
dell’Europa unita del terzo millennio. Un traguardo verso cui puntare
rispondendo alle “grandi richieste etiche di giustizia sociale, diritti umani e
bene comune”. “Per edificare una società veramente umana, che onora la dignità
di chiunque e permette un autentico dialogo tra le sue varie componenti - ha
affermato il Papa rivolgendosi all’ambasciatore della Moldova, Mihail Laur - è
necessario offrire una formazione ai cittadini, specialmente ai giovani”. Formazione
che permetta loro di acquisire “un vero umanesimo, aperto alla dimensione etica
e religiosa”, una “giusta concezione della democrazia e dei diritti umani, la
conoscenza e il rispetto di culture e di valori spirituali delle diverse
civiltà”.
Grazie al suo ruolo emergente nella regione del Pacifico,
l’Australia ha l’opportunità di “divenire un importante agente di pace” per le
nazioni dell’area. E’ quanto sottolineato dal Pontefice nel discorso
indirizzato all’ambasciatore australiano, John Joseph Herron. Il Papa ha lodato
anche l’impegno dell’Australia nelle missioni di peace-keeping, ricordando il
caso di Timor Est, segno del “desiderio di dare un contributo alla sicurezza
internazionale, necessaria ad un autentico sviluppo socio-economico”. Quindi,
si è soffermato sulle “difficoltà relative all’accoglienza dei rifugiati e
all’annosa questione dei diritti territoriali degli Aborigeni”. Questioni, ha
avvertito, che solo rispettando “la prospettiva dell’unità essenziale
dell’umanità” possono “trovare delle soluzioni compassionevoli e davvero
umanitarie”.
L’impegno a rendere le differenze motivo di mutuo
arricchimento, è stato, invece, il tema chiave del discorso all’ambasciatore
delle Isole Fiji, Emitai Lausiki Boladuadua. Giovanni Paolo II ha riconosciuto
gli sforzi compiuti dai figiani nella costruzione di una società caratterizzata
da un “autentico pluralismo e dal pieno rispetto per i membri di razza, cultura
e religione diversa”. Società “multi-culturali e pluri-religiose” come Fiji, ha
affermato, sono un significativo esempio per sviluppare “nuovi modelli di unità
nella diversità”. Ha, così, ribadito che una pace vera e duratura si basa sul
rispetto della dignità umana, la solidarietà e la promozione della giustizia.
Di qui, ha sottolineato l’impegno della Chiesa di Fiji nell’ “eliminare le
cause di conflitti razziali, sociali e religiosi”, promuovendo “un sereno e
rispettoso dialogo tra i diversi elementi” della società figiana.
Il multi-culturalismo in primo piano, anche, nel discorso
al rappresentante diplomatico di Vanuatu, Michel Rittie. Il Santo Padre ha
esortato i governanti della giovane repubblica del Pacifico ha far sì che “la
diversità sia sempre al servizio dell’unità nazionale”. Poi, ha espresso vivo
apprezzamento per la vocazione di Vanuatu a “divenire partner di una nuova
stabilità internazionale”, nel momento in cui i conflitti e la violenza
continuano a “rendere fragili gli equilibri mondiali”. Tutte le nazioni,
nessuna esclusa, ha aggiunto, devono raccogliere “la sfida della pace” senza
trascurare alcun mezzo, affinché questa “sia effettiva e durevole”. E’
essenziale, ha detto ancora, che tutte gli Stati “a prescindere dal loro peso
sullo scacchiere mondiale, siano riconosciuti quali agenti della crescita e del
bene comune”, nella comune lotta contro i flagelli che minacciano l’umanità.
La centralità della persona umana, paradigma di ogni
progresso economico, ha caratterizzato il discorso all’ambasciatore di Trinidad
e Tobago, Learie Edgar Rousseau. Un vero sviluppo che non sia “limitato alla
mera soddisfazione delle necessità materiali”, ma assicuri un’equa
distribuzione delle ricchezze e un responsabile utilizzo delle risorse
naturali, deve “sempre contenere un aspetto morale”. Tale obiettivo, ha
affermato, richiede un sostegno di tutta la comunità internazionale, ma molto
può essere raggiunto a livello regionale. E’ allora auspicabile, ha detto,
spegnere gli eccessi del nazionalismo al fine di raggiungere accordi per una
cooperazione economica e sociale.
“IL VOSTRO
OBIETTIVO PRIORITARIO SIA TENDERE ALLA SANTITÀ”.
E’ L’INVITO DEL PAPA AGLI ALUNNI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA
ECCLESIASTICA,
RICEVUTI QUESTA MATTINA IN
UDIENZA
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Giovanni Paolo II ha ricevuto in
udienza, questa mattina, gli alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica,
guidati dal presidente dell’Istituto, l’arcivescovo spagnolo Justo Mullor
Garcia. Fondata da Papa Clemente XI, nel 1701, la Pontificia Accademia
Ecclesiastica ha lo scopo di preparare giovani ecclesiastici al servizio
diplomatico nella Santa Sede, dopo aver conseguito la laurea in Diritto
Canonico.
Sottolineando l’opportunità di
poter entrare in contatto con le molteplici e diverse realtà ecclesiali e
sociali, il Pontefice ha ricordato l’importanza di questa peculiare “missione”
alla quale gli alunni sono chiamati.
“Per assolvere in modo fedele i compiti che vi saranno affidati – ha
affermato il Papa - è indispensabile che, a partire dagli anni di formazione,
il vostro obiettivo prioritario sia tendere alla santità”. Il Santo Padre ha evidenziato come la
ricerca della perfezione evangelica, obiettivo già espresso dal Papa durante la
visita di due anni fa in occasione del terzo Centenario dell’Istituto, richieda
uno sforzo quotidiano fondato sulla preghiera, sull’ascolto della parola di Dio
e sulla partecipazione al Sacrificio eucaristico.
“Il vostro servizio – ha
concluso Giovanni Paolo II – sarà tanto più proficuo quanto più vi adopererete,
con animo autenticamente sacerdotale, a promuovere la crescita delle Chiese
locali, collegandole con la Cattedra di Pietro, e per il bene dei popoli”.
UDIENZA E NOMINA
Il Papa ha ricevuto in udienza
questa mattina il ministro degli Esteri della Repubblica di Polonia,
Wlodzimierz Cimoszewicz, con sei persone del seguito.
Il Santo Padre ha nominato
consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei
Sacramenti il padre Fabio Bernardo D’Onorio, abate dell’Abbazia territoriale di
Montecassino.
MARIA DE MATTIAS, UNA DONNA FORTE
DELL’800 CHE SEPPE FAR RIVALORIZZARE
LA
POTENZA REDENTRICE DEL SANGUE DI CRISTO, DOMENICA SARA’ SANTA.
CON
NOI, SUOR VITTORIA TOMARELLI
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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Maria De Mattias è una donna dell’800 che ha offerto il
suo contributo alla santità della Chiesa in un servizio coraggioso e profetico
alla società del suo tempo. Originaria della Ciociaria, nata a Vallecorsa nel
1805, ha saputo leggere attraverso le tumultuose vicende dell’epoca il filo
conduttore della storia. “La salvezza è operata da Gesù Cristo e solo il suo
Sangue può ristabilire il bell’ordine di cose sulla terra”, come lei diceva.
Radicata in questa spiritualità, mediata da San Gaspare del Bufalo, ha
orientato la sua esistenza alla contemplazione del mistero redentivo e
all’annuncio di esso a tutto il popolo, mediante la catechesi, la predicazione
e l’insegnamento. A questo scopo ha fondato, nel 1834, la Congregazione delle
Adoratrici del Sangue di Cristo, in Acuto, provincia di Frosinone. Ha iniziato
la sua opera attraverso la scuola, istituzione nascente all’epoca nello Stato
Pontificio, ed ha usato questo ministero come mezzo per formare e catechizzare,
spinta dalla esigenza di salvare le anime che costano a Gesù tutto il suo
Sangue. Con noi la superiora generale delle Adoratrici del Sangue di Cristo,
suor Vittoria Tomarelli: qual è stata l’intuizione di fondo di Maria De
Mattias?
R. – Ella era convinta che la riforma della società nasce
dal cuore della persona e che questa si trasforma quando riesce a comprendere
quanto sia preziosa agli occhi di Dio e di quanto amore sia stata fatta
oggetto. Questa era una buona notizia che le ha dato la forza e la motivazione
che l’ha portata sulle strade del mondo e tra la gente, perché, come ella
diceva, tutti potessero conoscere l’amore crocifisso Gesù.
D. – Ad ogni cerimonia di canonizzazione viene esposto un
arazzo sulla facciata di San Pietro, raffigurante in questo caso la nuova Santa
...
R. – L’immagine, nella dinamicità dell’atteggiamento,
esprime bene la forza missionaria del carisma. Maria De Mattias è spinta verso
il mondo dalla Croce gloriosa aspersa di Sangue. Le mani aperte dicono la
disponibilità e prontezza al dono totale. I suoi piedi seguono la linea rossa
dell’amore e della misericordia per l’umanità intera. Abbiamo scelto questa
immagine perché vogliamo fare uscire, dalle nostre case, la forza dirompente
del suo carisma e portarla al mondo come apostola del Sangue di Cristo.
D. – Quale significato assume per voi questa
canonizzazione?
R. – La canonizzazione di Maria De Mattias, in questo
momento storico, mi sembra proprio una risposta della Provvidenza all’umanità
sofferente che grida verso Dio. Oggi, quando le guerre in diversi luoghi
pongono interrogativi al cuore, all’intelligenza, con la potenza dei Santi ella
può ancora gridare “Non più Sangue, Signore! Non più Sangue!”, perché il Sangue
che ha salvato il mondo è già stato versato. Anche oggi, quando il valore della
persona umana è in crisi e barattato con ogni bene di consumo, lei sempre può
dire e può proclamare che ogni persona è sacra e degna di rispetto perché
redenta dal Sangue di Gesù. Tutte noi, che domenica saremo in Piazza San Pietro
per onorarla, indosseremo un cappello rosso su cui è scritto ‘Tu vali il Sangue
di Cristo’.
Alla morte di Maria De Mattias, avvenuta a Roma il 20
agosto 1866, la Congregazione nascente contava circa 200 Adoratrici ed oltre 60
comunità, non solo in Italia, ma anche in Inghilterra, Francia, Svizzera e
Germania. Oggi, le Adoratrici del Sangue di Cristo sono presenti nei 5
Continenti e contano circa 2000 religiose. Lungo la sua storia, la
Congregazione ha potuto lodare Dio non solo attraverso le attività educative,
di promozione umana e caritative, di catechesi, ma anche per il dono della
persecuzione per la fede (in Cina, in Albania, nel Congo belga nel passato e,
recentemente, in Bosnia e in Guinea Bissau) e anche con il martirio (5
Adoratrici uccise in Liberia nel 1992).
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Apre il giornale, con significativa
evidenza, il seguente titolo "Il senso spirituale e religioso sia una
fonte di unità e di pace e non ponga mai gli uomini gli uni contro gli
altri": Giovanni Paolo II, ricevendo gli ambasciatori di dodici Paesi per
la presentazione delle Credenziali, ha sottolineato l'alta missione del loro
servizio e l'attualità della "Pacem in Terris" del Beato Giovanni
XXIII.
Al contempo si
evidenzia: "La diplomazia riacquisti il suo spirito
nobile".
Nelle vaticane, i discorsi del
Santo Padre agli ambasciatori.
Nel discorso alla comunità
della Pontificia Accademia Ecclesiastica, il Papa ha sottolineato che il
segreto dell'efficacia di ogni ministero e servizio nella Chiesa si trova nella
preghiera e nella devota partecipazione al Sacrificio eucaristico.
Nelle pagine estere, Iraq:
nuova bozza degli Usa all'Onu per l'abolizione dell'embargo; a Bassora
un'esplosione provoca la morte di sei bambini.
Medio Oriente: sei palestinesi
uccisi in incursioni israeliane.
Russia e Stati Uniti rafforzano
la volontà di combattere congiuntamente il terrorismo internazionale.
Nella pagina culturale, un
contributo di Emanuela Ghini dal titolo "La filosofia cristiana tra
Ottocento e Novecento e il magistero di Leone XIII": un convegno internazionale
a Perugia dal 29 maggio.
Nelle pagine italiane, in primo
piano il tema delle pensioni.
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15 maggio 2003
- Intervista con Luisa Santolini
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“La famiglia, unità fondamentale della vita sociale,
riflette le debolezze e le energie della società e allo stesso tempo è motore e
destinatario dello sviluppo della comunità”. Recita così il preambolo della
risoluzione con cui nel 1993 l’Onu proclamava la “Giornata Internazionale della
Famiglia” fissandone la data il 15 maggio
di ogni anno. L’iniziativa costituisce una preziosa occasione per discutere dei
problemi e degli interventi a favore dei nuclei familiari, con particolare attenzione
alle giovani coppie. Nel messaggio per l’edizione di quest’anno il segretario
generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, sollecita però i leader mondiali ad
un maggiore impegno per porre la famiglia al centro delle politiche, destinando
ad essa adeguate risorse. Annan invita anche le organizzazioni non governative
a svolgere un importante ruolo. In Italia il Forum delle associazioni familiari
ha promosso, in occasione della Giornata, un convegno a Roma, presso la Camera
dei Deputati con la presenza di esperti e politici italiani ed europei. Il tema
scelto: “La famiglia sfida dell’Europa”. Al microfono di Adriana Masotti, Luisa
Santolini, presidente del Forum.
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R. - L’Europa si sta costruendo in questi mesi, dalla ratifica della
Convenzione all’allargamento verso l’Est alla presidenza italiana, noi non
vorremmo che la famiglia in tutto questo panorama fosse trascurata come
soggetto della nuova Europa: è una sfida, perché riteniamo che gli Stati
dovranno trovare una piattaforma comune di politiche, di approcci
all’universo-famiglia. Altrimenti, il crollo demografico dell’Europa diventerà
un’ecatombe.
D. – Ecco, facciamo un po’ il
confronto tra le politiche familiari in Italia e quelle negli altri Paesi
europei: c’è un modello a cui ispirarsi?
R. – Ce ne sono vari, di modelli, non tutti esaustivi ma ... diciamo:
modello fiscale, Francia, Germania; in Italia non c’è nessuna differenza,
praticamente, tra una famiglia con due figli ed una coppia che non ne ha, dal
punto di vista fiscale. La politica dei servizi: al nord dell’Europa, si sa che
ci sono servizi ben diversi. Tutela della maternità, tempi del lavoro e tempi
della famiglia, altro grave problema che all’estero è stato risolto – penso
alla Danimarca o all’Olanda – con un part-time molto diffuso, soprattutto a
favore delle donne, che non vengono penalizzate, per questo.
D. – Eppure, l’Italia è nota per essere un Paese che ci
tiene alla famiglia ...
R. – Sì, però ci tiene dando la famiglia per scontata, oppure avendo
della famiglia un’idea piuttosto idilliaca, romantica ... ma le famiglie sono
concrete e hanno problemi di scuola, di tasse, di salute, di anziani e quindi
su queste cose bisogna confrontarsi, perché le famiglie italiane,
effettivamente, reggono più che all’estero, i figli nati fuori dal matrimonio
sono meno che all’estero, ci si separa di meno ... Quindi, la famiglia in
Italia tiene ancora: ma fino a quando, se non sarà sostenuta? Tant’è vero che
siamo l’ultimo Paese al mondo in fatto di fertilità ...
D. – E’ la nona volta che si celebra la Giornata internazionale della
famiglia, e quando è stata indetta dall’Onu si diceva: “La famiglia, unità
fondamentale della vita sociale”. Ecco, le sembra ce in questi anni la famiglia
abbia perso o acquistato terreno?
R. – Probabilmente, ne ha perso nel mondo occidentale ma dobbiamo avere
una visione anche un po’ planetaria perché invece in molti altri Paesi la
famiglia non ha perso. L’Africa è tanto povera ma l’istituto-famiglia in Africa
è una cosa seria, importante. Nel mondo occidentale, la famiglia viene confusa
con altre forme di convivenza, la famiglia diventa un fatto culturale e
un’opzione: in questo senso, ha perso. Dall’altro, invece, c’è una grande voglia
di famiglia, c’è un grande ritorno della famiglia come ammortizzatore sociale,
come risorsa, come spina dorsale di un Paese. Noi siamo qui proprio per dire
che occorre investire sulla famiglia, perché la famiglia restituirà quello che
su di lei è stato investito.
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LA FIERA INTERNAZIONALE DEL LIBRO
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Servizio di Fabrizio Accatino -
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Un taglio all’insegna della fantasia e dell’allegria
quello dell’edizione 2003 della Fiera del Libro di Torino. A farla da padrone
saranno infatti i colori. Oltre alla miriade di pastelli variopinti che
campeggiano sul poster della manifestazione, ai colori verranno dedicati
diversi incontri e convegni. Mons. Gianfranco Ravasi parlerà di ‘Colori dei
simboli e della liturgia cristiana’; Lalla Romano di ‘Codici dei colori nella
poesia’; Fuad Allam e Malek Chebel di ‘Forme, simboli e colori dell’islam’; e
poi Vittorio Sgarbi, che parlerà dei ‘Colori dell’universo dell’arte’ e molti
scrittori di giallo, spesso tinto di nero, tra cui Giorgio Faletti e Giancarlo
De Cataldo. E ancora un omaggio a due maestri delle tinte: Emanuele Luzzati e
Bruno Munali. Il perché di questa scelta ce lo spiega il direttore della Fiera,
Ernesto Ferrero:
“Abbiamo scelto il colore, perché il colore fa parte
integrante della nostra vita. Van Gogh scriveva al fratello: “Voglio esprimere
con il rosso e con il verde le violente passioni dell’umanità”. Adesso non
tutte le passioni sono violente, ma certamente la simbologia del colore è
qualcosa che ci accompagna ogni giorno e che declineremo in vari modi
nell’arte, nella scienza, nella letteratura, nel costume, nella moda, nello
sport, nella natura ...”
Quest’anno il Paese ospite sarà il Canada, presente con una trentina dei
suoi migliori scrittori. Si sentiranno un po’ a casa loro, perchè l’Italia è in
assoluto il Paese al mondo che più traduce la letteratura canadese. E poi
l’appendice del World Political Forum, che si aprirà il 19, giorno di chiusura
della Fiera. Una due giorni dedicata all’attualità più stringente, quella che
tinge di grigio e spesso di nero i quotidiani che leggiamo. Su temi quali
l’islam, la guerra, la globalizzazione, si confronteranno leader o ex leader
politici di livello internazionale: gli ex presidenti della Repubblica,
Francesco Cossiga e Oscar Luigi Scalfaro, ma anche tra i tanti Enrique Cardoso,
Lee Peng, Michail Gorbaciov. Rolando Picchioni, il segretario della Fiera:
“Noi partiamo da una concezione soprattutto generalistica
della Fiera, per cui mega libreria, grande convenistica, scambio di diritti, ad
una Fiera che è sempre più articolata su qualcosa di specifico, di
specialistico, anche perché non abbiamo la sindrome dell’accerchiamento, ma
dobbiamo stare attenti, guardarci intorno su cosa appare all’orizzonte.
Dobbiamo assolutamente prevenire le possibili vie di fuga degli editori nei
confronti di altri appuntamenti.
Da Torino, per la Radio Vaticana,
Fabrizio Accatino.
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PARTERRE DI CELEBRITA’ IERI SERA AL
PALAZZO DEL CINEMA DI CANNES
PER LA
SERATA INAUGURALE DEL FESTIVAL 2003,
ALL’INSEGNA DELLO SLOGAN “VIVA
IL CINEMA”
L’attrice italiana Monica Bellucci, maestra di cerimonie,
ieri sera, per l’apertura della 56.ma edizione del Festival del Cinema di
Cannes. La star spagnola Penelope Cruz è stata invece la protagonista del film
d’apertura, fuori concorso, “Fanfan la tulipe” del francese Gérard Krawczyk,
uno scialbo remake della celebre pellicola con Gina Lollobrigida e
Gerard Philippe. Un tentativo a metà di riesumare il genere ‘cappa e spada’ con
le imprese di uno spavaldo soldato di ventura che sposerà la figlia del re. Ora
tocca al concorso! L’Italia è presente con l’avvio della retrospettiva omaggio
a Federico Fellini nel decennale della scomparsa, mentre le note delle
indimenticabili colonne sonore di Nino Rota vengono diffuse di continuo sulla
Croisette. Oggi l’attenzione è dedicata all’atteso “Matrix 2” del quale
ci parla, dalla città della Costa Azzurra, Nicola Falcinella.
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E’ ‘The Matrix Reloaded’, che non delude, la vera
apertura della 56.ma edizione del Festival del Cinema di Cannes. Il film
conferma le attese. La seconda puntata della saga Cyborg, dei fratelli
Andy e Larry Wachowski, è un tripudio di effetti speciali tra sogno, paura del
futuro e ambizioni filosofiche. Il giocattolo regge: regala divertimento, tante
citazioni cinefile e non scontenta chi cerca un minimo di pensiero. La matrice,
ovvero la tabella di numeri che regola la macchina che vuole distruggere la terra
di Zion, difesa dall’attore Keanu Reeves, è perfetta, priva di errori. Punto
debole del sistema, la possibilità di scelta lasciata ai suoi componenti. La
libertà di decidere, che è affidata all’eroe Neo, il personaggio di Reeves,
consente nel finale di riaprire i giochi e lasciare spazio alla terza puntata
in arrivo tra sei mesi.
Passando al concorso, apertura in serata con ‘Ce
jour-là’ di Raoul Ruiz, ‘noir’ grottesco ambientato in Svizzera e
molto debitore alle atmosfere di Luis Buñuel, un apologo sulla follia e sulla
sete di denaro legata ad un’eredità contesa e poca fiducia nelle istituzioni
statali. Fra gli interpreti, Michel Piccoli. L’altra sezione ufficiale di
Cannes, ‘Un certain regard’, apre con ‘La Cruz del Sur’, opera d’esordio
dell’argentino Pablo Reyero: un film cui spetta il compito di confermare il
momento d’oro del cinema del Paese sudamericano che contrasta con la crisi
economica e sociale dell’Argentina.
Da Cannes, per la Radio Vaticana, Nicola Falcinella.
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15 maggio 2003
COOPERAZIONE
GLOBALE, SVILUPPO UMANO, PACE UNIVERSALE E SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE.
SONO QUESTE LE PRIORITÀ INDICATE DALL’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE,
OSSERVATORE PERMANENTE
DELLA SANTA SEDE ALL’ONU,
DOPO LA CHIUSURA DEI
LAVORI DELLA COMMISSIONE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
- A cura di Paolo Mastrolilli -
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NEW
YORK. = “La fase del dopo Johannesburg dovrebbe aprire un nuovo capitolo nella
cooperazione globale, finalizzata a promuovere lo sviluppo umano integrale,
ottenendo la prosperità, la pace universale e la salvaguardia dell’ambiente”.
E’ questa la sollecitazione ribadita dall’arcivescovo Celestino Migliore,
Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, dopo la chiusura dei lavori
della Commissione per lo sviluppo sostenibile. “La Santa Sede - ha detto mons.
Migliore parlando con la Radio Vaticana - ha insistito su tre aspetti: il primo è il multilateralismo”. Nelle recenti
Conferenze di Doha, Monterrey e Johannesburg sono stati assunti degli impegni.
Ad esempio quello di perseguire uno sviluppo rispettoso della natura o quello
di promuovere la crescita dei Paesi poveri, inserendoli nel circuito della
produzione e del commercio. Occorre anche rivedere il sistema delle barriere e
dei sussidi economici nei Paesi ad economia forte, al fine di permettere ai
Paesi poveri di inserirsi nella rete del mercato mondiale. Secondo il presule,
la ricerca di un’equa distribuzione delle risorse significa, soprattutto per
gli Stati che seguono la strada del multilateralismo, rispettare tutti gli
impegni sottoscritti. “In secondo luogo - ha affermato l’arcivescovo - il
contributo della Santa Sede ha integrato il concetto dello sviluppo sostenibile
precisando che questo si incentra sulla persona umana, con la convinzione che
essa, e perciò la comunità locale e le varie società, sono i veri attori dello
sviluppo”. Questo è importante se si pensa al fatto che spesso un mero
trasferimento di fondi, anche se ingenti, non fa che generare benefici
commerciali ed economici per il donatore. “Infine, nel solco della dottrina
sociale della Chiesa, che ha ampiamente sviluppato i principi di sussidiarietà
e solidarietà - ha dichiarato il nunzio - la delegazione della Santa Sede ha
ribadito che gli accordi di parternariato, promossi dalla Conferenza di
Johannesburg, vengano monitorati da precisi meccanismi di verifica per
garantire meglio il servizio al bene comune ed evitare la privatizzazione dello
sviluppo, fenomeno che penalizza i Paesi più deboli”.
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NELLO STATO DEL PUNJAB, NELL’INDIA
SETTENTRIONALE, SONO MORTE STAMANI
ALMENO 38 PERSONE A
CAUSA DI UN INCENDIO DIVAMPATO
ALL’INTERNO DI UN TRENO
PASSEGGERI
LADHOWAL. = Sono almeno 38 i morti in un incendio
divampato questa mattina all’interno di un treno passeggeri nei pressi della
stazione di Ladhowal, a 20 chilometri da Ludhiana, nell’India settentrionale.
Un portavoce delle ferrovie ha detto che, poco dopo la partenza, le fiamme si
sono sviluppate in tre vagoni letto del convoglio, il ‘Frontier Mail’, che era
diretto a Amritsar, città santa dei sikh. Al momento non sono ancora chiare le
cause dell’incidente e anche il bilancio delle vittime resta provvisorio. Un
passeggero ha raccontato alla stampa locale di essersi svegliato e aver visto
delle fiamme vicino al bagno della carrozza sui cui viaggiava. L’uomo ha subito
tirato la leva dell’allarme e avvisato gli altri passeggeri. Un’altra persona
presente sul treno ha detto di aver contribuito a mettere in salvo diversi
viaggiatori, tra cui molte donne e bambini, in una delle carrozze interessate
dall’incendio. Non è però riuscito a inoltrarsi nelle altre due a causa della
spessa coltre di fumo che si era creata. Le Indian Railways, che hanno 150 anni
di storia e sono l’azienda ferroviaria più grande dell’India, hanno una rete di
63 mila chilometri, 7.085 stazioni, quasi 13 milioni di passeggeri al giorno,
oltre undicimila treni quotidiani e 1 milione e 650 mila impiegati. Essendo uno
dei mezzi di trasporto più economici, i treni sono molto utilizzati e sono
spesso sovraccarichi. A causa della scarsa manutenzione e delle strutture
inadeguate si verificano ogni anno, nel Paese, circa 300 incidenti ferroviari.
(A.L.)
IL RUOLO E LE
SFIDE DEL CONTINENTE LATINOAMERICANO NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE.
SONO QUESTI I TEMI AL CENTRO DELLA 29.MA ASSEMBLEA
ORDINARIA DEL CELAM,
IN PROGRAMMA FINO A DOMANI IN PARAGUAY
- A cura di Maurizio Salvi -
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TUPARENDÀ. = Uno dei temi al
centro del dibattito della 29.ma Assemblea ordinaria del Consiglio episcopale
Latinoamericano (Celam), in programma fino a domani a Tuparendà, in Paraguay, è
la profonda preoccupazione della Chiesa cattolica per il ruolo limitato che
giocano i Paesi del Sud America nella nuova realtà geopolitica mondiale
dominata dalla globalizzazione. La questione è stata illustrata a porporati,
arcivescovi e vescovi, fra cui il prefetto della Congregazione dei vescovi,
mons. Giovanni Battista Re, dall’arcivescovo di Tegucicalpa, il cardinale
hondureño Oscar Rodriguez Maradiaga. “La realtà geopolitica di oggi – ha affermato
il cardinale - ci dice che il nostro Continente, non gioca un ruolo rilevante
nel contesto dell’economia mondiale”. “La nostra debolezza - ha spiegato - risiede
nella disintegrazione continentale che è la causa principale dell’impossibilità
di rispondere alle necessità di popoli sempre più impoveriti”. Il delicato tema
tocca direttamente i contenuti del “Piano globale”, il programma che il Celam è
chiamato a varare per il prossimo quadriennio. Questo strumento potrebbe
servire a favorire i non più rinviabili processi di integrazione. A tal
riguardo, il cardinale Rodriguez Maradiaga ha sottolineato gli sforzi del
Parlamento latino-americano, del Mercosur, il mercato comune dei Paesi del
Continente Latinoamericano, e della comunità andina. Nel successivo dibattito è
intervenuto il cardinale venezuelano Baltazar Enrique Porras che ha evidenziato
come, fra le cause della difficile situazione sociale di milioni di
latino-americani, vi sia una diffusione molto insoddisfacente della democrazia.
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LE RESPONSABILITÀ DEI GRAVI DISORDINI, AVVENUTI IN
BOLIVIA LO SCORSO MESE DI FEBBRAIO,
NON SONO
SOLO DELLA POLIZIA MA ANCHE DEI MILITARI.
LO AFFERMA L’ASSEMBLEA DEI DIRITTI UMANI DEL
PAESE LATINOAMERICANO
LA PAZ. = L’Assemblea permanente dei
diritti umani della Bolivia (Apdhb) ha espresso forti perplessità per il
giudizio dato dagli investigatori dell’Organizzazione degli Stati americani
(Osa) sui gravi disordini avvenuti nel Paese lo scorso mese di febbraio.
Secondo il presidente dell’organismo, Waldo Albarracín, il rapporto dell’Osa
“tenta di giustificare l’azione delle forze armate per addossare le responsabilità
dei fatti direttamente alla polizia”. Tra il 12 e il 13 febbraio scorsi, dopo
l’annuncio di nuove misure economiche da parte del governo, un gruppo di agenti
delle forze dell’ordine scatenò nella capitale La Paz una sommossa, sfociata in
uno scontro armato con l’esercito, di fronte al palazzo della presidenza.
Teatro delle proteste fu Plaza Murillo dove la rivolta, repressa nel sangue,
causò la morte di 33 persone e il ferimento di altre 200. L'Osa ha affermato
che questi gravi episodi di violenza non furono un tentativo di destabilizzare
le istituzioni quanto piuttosto un colpo di testa di alcuni elementi della
polizia, legittimamente fermati dai militari. Questa tesi non è condivisa da
Albarracín secondo il quale “non si può criminalizzare la condotta degli uni e
santificare quella degli altri”. Il documento dell’Osa, secondo il presidente
dell’Apdhb, presenta un’evidente contraddizione quando afferma “che non si trattò
di un’insurrezione popolare ma che i soldati intervennero per difendere la democrazia”.
(A.L.)
È MORTO NELLA
NOTTE TRA MARTEDI’ E MERCOLEDI’ SCORSI ALL'ETÀ DI 97 ANNI
PADRE RENÈ
VOILLAUME, “IL PADRE DEL DESERTO DEL XX SECOLO”
PARIGI. = Il sacerdote francese
Renè Voillaume, ribattezzato “il padre del deserto del XX secolo”, è morto
nella notte tra martedì e mercoledì scorsi all'età di 97 anni ad
Aix-en-Provence. E’ stato il primo dei “Piccoli Fratelli”, la congregazione
religiosa fondata da Charles de Foucauld, il grande missionario contemplativo che ha
testimoniato in Africa il valore della preghiera e del Vangelo. Renè
Voillaume, nato a Versailles il 19 luglio 1905, entrò nel seminario maggiore di
Saint-Sulpice a Issy-les-Moulineaux nel 1923. Dopo aver studiato lingua araba e
islamistica a Tunisi, nel 1933, si stabilì con altri giovani sacerdoti francesi
nell'Algeria del Sud, a El-Abiodh. Qui ha costituito la prima Fondazione dei
“Piccoli Fratelli di Gesù”. L’ordine, di cui padre Voillaume ha ricoperto la
carica di superiore generale fino al 1965 , dopo aver ottenuto l'approvazione
canonica nel 1936, non tardò a svilupparsi. Nel 1968 “il padre del deserto” ha
predicato gli esercizi spirituali per la Quaresima a Papa Paolo VI e nel 1963
ha fondato l’ordine delle “Piccole Sorelle del Vangelo”. Con i suoi libri,
tradotti in decine di lingue e venduti in milioni di copie, padre Voillaume ha
segnato generazioni di fedeli cattolici, dando vita ad un nuovo tipo di
spiritualità, più “radicalmente evangelica”. (A.L.)
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15 maggio 2003
- A
cura di Andrea Sarubbi e Stefano Cavallo -
Senza bisogno del ballottaggio, l’Argentina ha da
ieri un nuovo presidente. Alla Casa Rosada andrà fino al 2007 il peronista
Nestor Kirchner, che al primo turno del 27 aprile scorso aveva ottenuto circa
il 22 per cento dei voti. L’ex capo di Stato Carlos Menem – che tre settimane
fa era in testa, con il 24 per cento dei consensi – ha infatti rinunciato alla
sfida di domenica, a causa delle previsioni molto negative dei sondaggi più
recenti. Da Buenos Aires, Maurizio Salvi:
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La rinuncia è stata presentata in serata dalle autorità
elettorali che l’hanno convalidata, sospendendo quindi il ballottaggio di
domenica. E sarà dunque Kirchner ad assumere la presidenza il 25 maggio, dalle
mani del capo dello Stato uscente. Per parte sua, Menem si è diretto alla
nazione attraverso un messaggio televisivo preregistrato, in cui ha accusato il
governo di avergli creato un clima impossibile per il secondo turno ed ha assicurato
di non voler abbandonare la politica. Negli ambienti politici si sostiene che
la rinuncia significa che non è andato in porto un tentativo di accordo,
l’unico che avrebbe potuto convincere Menem ad accettare e perdere il
ballottaggio, rafforzando così la figura di Kirchner, che ora invece è
presidente con solo il 22 per cento dei voti del primo turno.
Da Buenos Aires, Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.
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È salito a 34 morti, tra cui 9 kamikaze, il
bilancio degli attentati di lunedì a Riad. La settimana scorsa la Casa Bianca
aveva mandato in Arabia Saudita il vice-consigliere per la sicurezza nazionale,
Hadley, per avvertire le autorità locali di possibili attentati e per chiedere
loro di intensificare le misure preventive. Lo hanno rivelato i media
americani, spiegando così l’irritazione di Washington verso Riad. Il servizio
da New York:
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Ieri il
presidente Bush ha parlato con il principe Abdullah, capo del governo saudita,
per coordinare la risposta ai terroristi, ed il ministro degli Esteri di Riad
ha detto che Al Qaeda si pentirà degli attacchi lanciati nella capitale. Gli
esperti di intelligence temono che gli attentati di lunedì notte siano solo
l’inizio di una nuova campagna del terrore in Medio Oriente, Africa, Asia e
forse nello stesso territorio degli Stati Uniti. Gli inquirenti sembrano
convinti che le esplosioni in cui sono morte 34 persone erano state organizzate
da una cellula guidata da Khalid bin Muhammad al Juhani, un uomo di Al Qaeda
entrato in Arabia diversi mesi fa con documenti falsi e sfuggito ad uno scontro
con la polizia che all’inizio di maggio lo stava cercando insieme ad altri 18
terroristi. Bush ha detto che una metà della leadership dell’organizzazione di
Osama Bin Laden è stata neutralizzata, ma resta ancora molto lavoro da fare per
impedire altri attacchi. Al Congresso, però, alcuni senatori lo hanno
criticato, dicendo che la guerra in Iraq è stata una distrazione dall’obiettivo
più importante e pericoloso.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Non cessa l’allarme terrorismo in Cecenia, dove si
continuano a contare le vittime degli ultimi attentati. Ai 59 morti del
camion-bomba di Znamenskoie, lunedì, si sono aggiunti i 14 dell’attentato
suicida di ieri a Islikhan-Iurt, ad opera di due donne kamikaze. Un’altra
trentina di donne, ha detto questa mattina il ministero degli Esteri ceceno,
sarebbe pronta a farsi saltare in aria per provocare nuove stragi. Alla Duma, intanto,
il presidente russo Putin ha proposto un’amnistia per i guerriglieri che si
arrenderanno entro il primo agosto. Ne restano fuori, però, gli autori di reati
gravi.
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu esaminerà oggi
una nuova bozza di risoluzione sull’Iraq. Il testo presentato da Stati Uniti,
Gran Bretagna e Spagna subirà delle modifiche per cercare di ottenere
l’approvazione della Russia. Il segretario di Stato americano, Powell, ha
ammesso che persistono “alcuni problemi” sul ruolo degli ispettori e sulle
sanzioni, aggiungendo che Washington è disponibile ad esaminare la possibilità
di una loro “sospensione provvisoria”.
Lo stesso Powell ha parlato, da Sofia, della
situazione in Medio Oriente, invitando israeliani e palestinesi ad essere
“pronti a fare dei compromessi”. Ma Arafat, questa mattina, ha ribadito le
proprie condizioni: “la pace non sarà realizzabile finché Israele non si
ritirerà dai Territori”. Il presidente dell’Anp – che nel pomeriggio vedrà
l’inviato europeo Solana – ha inoltre chiesto la restituzione delle terre da
parte dei coloni. Non sembrano rassicuranti neppure le notizie dal terreno:
quattro palestinesi sono stati uccisi nelle ultime ore, in un’incursione israeliana
nel nord della striscia di Gaza.
In Asia cresce il numero di vittime della polmonite
atipica. Nelle ultime 24 ore sono morte 14 persone, la metà delle quali ad Hong
Kong. Altri 4 decessi si sono verificati in Cina, dove i contagi sono quasi
5.200, e Taiwan ha registrato 3 casi mortali. Mentre la paura cresce anche nelle
Filippine, dove sta aumentando il numero dei malati, sembra scongiurata
l’emergenza in Canada: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che
l’epidemia è sotto controllo.
I ribelli della provincia separatista di Aceh, in
Indonesia, parteciperanno sabato prossimo a Tokyo alla riunione con i
rappresentanti del governo di Jakarta, per tentare di salvare il processo di
pace. Il gruppo indipendentista chiede, però, il coinvolgimento del Centro
Henry Dunant di Ginevra, artefice del cessate-il-fuoco firmato a dicembre. In
caso di insuccesso delle trattative, l’esecutivo indonesiano ha già preparato
una vasta offensiva militare contro la provincia ribelle a maggioranza
musulmana.
No alla presenza di armi nucleari nella penisola
coreana, sì alla completa, verificabile e irreversibile eliminazione del
programma di riarmo atomico di Pyongyang. È la posizione espressa ieri a
Washington dal presidente degli Stati Uniti, George Bush, e dal suo collega
sudcoreano, Roh Moo Hyun, come ci riferisce Chiaretta Zucconi:
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Nel documento rilasciato dopo l’incontro al vertice, i due
leader hanno espresso viva preoccupazione per l’ammissione di Pyongyang di possedere
armi nucleari, ma concordato sul fatto che la strada diplomatica resta al
momento la migliore per raggiungere una risoluzione pacifica della crisi
iniziata lo scorso ottobre. Una dichiarazione della quale il presidente
sudcoreano Roh non può che ritenersi soddisfatto. Nonostante le rassicurazioni
di Bush sull’intenzione di risolvere in modo pacifico la crisi con il Nord sino
alla vigilia del summit, la Sud Corea non ha nascosto infatti i suoi timori per
un possibile ed improvviso cambiamento di rotta del presidente americano, a
favore della linea dura. Timori che si sarebbero dissolti nella mezz’ora di
colloqui a porte chiuse, ha confermato lo stesso Roh. Trenta minuti durante i
quali le parti si sono trovate d’accordo anche sul fatto che Sud Corea e
Giappone sono essenziali per giungere ad una definizione di successo della
questione nucleare.
Per Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.
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Il presidente congolese Joseph
Kabila al lavoro per fermare il conflitto in corso a Bunia, nel nordest del
Paese. Il capo di Stato ha incontrato stamattina separatamente i leader delle
due fazioni ribelli – le etnie hema e lendu – e li rivedrà
insieme nel pomeriggio. Intanto, le notizie provenienti dal capoluogo
dell’Ituri continuano a destare preoccupazione: il bilancio dei combattimenti
di ieri è di 10 morti ed un centinaio di feriti, mentre la popolazione è ancora
in fuga dalla città. Forti le accuse al contingente Onu, ma il capo della
missione, Amos Namanga Ngongi, ha detto che “si è evitato un bagno di sangue
solo per la presenza dei caschi blu”.
Il Tribunale penale internazionale per il Rwanda,
con sede ad Arusha, ha condannato oggi all’ergastolo Eliezer Niyitegeka,
ministro dell'informazione durante il genocidio del 1994 in Rwanda. L'ex ministro,
50 anni, doveva rispondere di otto capi d'accusa per massacri di tutsi
sulle colline di Bisesero, nella parte occidentale del Paese africano. Secondo
una stima delle autorità di Kigali, un milione di persone, hutu e tutsi
moderati, furono trucidati nel genocidio del 1994 nel Paese africano.
Prosegue il dibattito sulla nuova Costituzione
europea. Dal governo greco, attuale presidente di turno dell’Unione, giunge la
proposta che il futuro presidente del Consiglio europeo sia eletto direttamente
dai cittadini. L’iniziativa, appoggiata dal delegato del Parlamento irlandese,
è stata giudicata “suggestiva, ma di difficilissima realizzazione” dal
vicepremier italiano, Gianfranco Fini, membro della Convenzione.
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