RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 134 - Testo della
Trasmissione di mercoledì 14 maggio 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
L’Assemblea del Celam aperta ieri in Paraguay con un’analisi
dei drammi umani dell’America Latina
La missione di pace in Costa d’Avorio approvata dal
Consiglio di Sicurezza dell’Onu
Esplosione in una miniera di carbone in Cina: almeno 63 i morti
Stasera al varo la 56.ma edizione del Festival di
Cannes
Nuovo attentato
terroristico in Cecenia: una donna si è fatta esplodere a Iliskhan-Iourt, nel
sud est, uccidendo almeno 10 persone
E’ salito a 34 il
bilancio ufficiale delle esplosioni di lunedì a Riad: gli Stati Uniti accusano
Al Qaeda
Iraq: scoperta una
fossa comune a sud di Baghdad. Al momento, sono oltre duemila i corpi
riesumati.
14 maggio 2003
LA SPERANZA RADICATA IN DIO PADRE MISERICORDIOSO
FEDELE ALLE SUE PROMESSE, NELLA CATECHESI BIBLICA DEL PAPA
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
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Il cantico della speranza che nasce dal fuoco della
persecuzione. E’ quello che Azaria leva dalle fiamme della fornace, nella quale
l’ha precipitato il re babilonese Nabucodonosor per non aver voluto abiurare la
propria fede in Dio. La figura e la preghiera a Dio del giovane Azaria, simbolo
di Israele costretto in esilio e disperso dalla diaspora, sono state questa
mattina oggetto di riflessione per Giovanni Paolo II, durante l’udienza
generale in Piazza San Pietro.
L’azione del Cantico biblico, compreso nel testo greco del Libro di
Daniele, vede Azaria “in mezzo al fuoco” insieme ad altri due fedeli
ebrei, Anania e Misaele. I tre accettano come una “giusta pena” il loro
supplizio: la persecuzione, ha spiegato il Papa, è il mezzo attraverso il quale
“Dio purifica il popolo peccatore”. Nelle parole di Azaria, il tono è privo di
ribellione verso il cielo. Si tratta, ha osservato il Pontefice, di “una
preghiera penitenziale, che non sfocia nello scoraggiamento e nella paura, ma
nella speranza”. Nonostante “la situazione tragica del presente”, che li vede vittime
perseguitate di un popolo in esilio, la prova del martirio non impedisce ad
Azaria di ripensare alla benedizione e alle promesse di pace e di fecondità che
Dio ha rivolto in passato ad Abramo, Isacco e Giacobbe. “Dio è fedele e non
smentirà le sue promesse”, ha affermato il Papa:
“Anche se la giustizia esige che Israele sia punito
per le sue colpe, permane la certezza che l’ultima parola sarà quella della
misericordia e del perdono (...) L’attesa non è quella della morte, ma di una
nuova vita, dopo la purificazione”.
E il segno più evidente della purificazione da parte del
penitente, ha proseguito Giovanni Paolo II, è il “cuore contrito” e “lo spirito
umiliato”. E’ questo il “sacrificio più prezioso e accetto” a Dio, al quale
viene offerto “l’io rinnovato dalla prova” perché lo accolga “in segno di
conversione e di consacrazione al bene”:
“Con questa disposizione
interiore cessa la paura, si spengono la confusione e la vergogna e lo spirito
si apre alla fiducia in un futuro migliore, quando si compiranno le promesse
fatte ai padri”.
Dopo
aver concluso la catechesi, citando una preghiera di San Massimo il Confessore
ispirata al Cantico di Azaria, il Pontefice si è rivolto in undici lingue ai
pellegrini radunati sotto il luminoso sole che inondava questa mattina Piazza
San Pietro. Tra i presenti, salutati da Giovanni Paolo II, anche gli
appartenenti al “Comitato 8 ottobre 2001” di Milano, che raduna i parenti delle
vittime del tragico incidente di Linate che due anni fa vide la morte di 118
persone. Al momento di porgere il proprio saluto al Papa, si è appreso che il
presidente del Comitato milanese, Paolo Pettinaroli, ha donato a Giovanni Paolo
II un’opera dell’artista Mario Antonetti, realizzata con lo stesso granito
rosso svedese utilizzato per il monumento in memoria delle vittime, eretto nel
Parco Forlanini di Milano.
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Il Papa
ha istituito in Colombia la nuova diocesi di Vélez, con territorio distaccato
dalla diocesi di Socorro y San Gil, rendendola suffraganea della Chiesa metropolitana
di Bucaramanga. Come primo vescovo di Vélez, il Pontefice ha nominato il
sacerdote 46enne Luis Albeiro Cortés Rendòn, del clero diocesano di Pereira, finora
rettore del locale seminario maggiore. La nuova diocesi di Vélez ha una superficie
di quasi 5 mila kmq, con circa 190 mila abitanti. I cattolici sono il 90 per
cento della popolazione, distribuiti in 28 parrocchie e assistiti da 39
sacerdoti. Vi sono inoltre 51 religiose e 27 seminaristi maggiori.
In Brasile, il Santo Padre ha nominato vescovo di Colatina
il presule salesiano mons. Décio Zandonade, finora ausiliare di Belo Horizonte.
In Canada, il Papa ha nominato ausiliare di Toronto il
sacerdote 61enne Daniel Bohan, del clero di Moncton, finora parroco e vicario
episcopale per i fedeli anglofoni, elevandolo alla dignità vescovile.
UNIRSI IN PREGHIERA PER LA PACE NEL MONDO:
COSI’,
L’ARCIVESCOVO MICHAEL FITZGERALD,
PRESIDENTE
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO,
NEL
MESSAGGIO AI BUDDISTI PER LA FESTA DI VESAKH
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
In questo
drammatico inizio di Millennio, “non possiamo vivere senza impegnarci nel
promuovere la grande causa della pace nel mondo”. E’ l’invito del presidente
del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, l’arcivescovo Michael
Fitzgerald, contenuto nel messaggio per la festa di Vesakh, la più
importante per i Buddisti, che si celebra oggi nei Paesi di tradizione therevada.
Un messaggio, che è soprattutto un gesto di amicizia, una tradizione intrapresa
nel 1995 dal cardinale Francis Arinze.
Nell’attuale situazione internazionale, osserva il
presule, bisogna essere consapevoli di “quanto si avverta in maniera acuta nel
nostro mondo la questione della pace”. Ogni giorno, prosegue, siamo “testimoni
di nuove scene di spargimento di sangue, di violenza, di scontro”. Noi,
cristiani e buddisti, sottolinea, siamo convinti che l’origine di ogni
conflitto sia da collocarsi “nei cuori umani caratterizzati da desideri
egoistici, in particolare dal desiderio del potere”. La pace deve allora
“abitare nel cuore degli uomini prima di divenire una realtà sociale”. Il modo
più efficace per promuovere la pace, prosegue, è fare del proprio meglio “per
superare l’egoismo profondamente radicato nei cuori umani”.
Mons. Fitzgerald
si sofferma poi sull’anno del Rosario, proclamato dal Papa ed indica la
“meravigliosa coincidenza” con i buddisti, che utilizzano il Mala per
pregare. “Il Rosario per i cattolici e il Mala per i buddisti – rileva –
sono semplici, ma profonde e significative preghiere”, che, in virtù del loro
“carattere meditativo”, hanno in comune un effetto rasserenante su quelli che
li usano per pregare”. Per noi cattolici, spiega nel messaggio il presidente
del dicastero vaticano, la recita del Rosario ci aiuta ad essere più disponibili
verso i poveri e gli afflitti. “Nella vostra tradizione buddista – aggiunge –
pregare il Mala aiuta a divenire operatori di pace”.
LA FIGLIA DEL DOGE DIVENTA SANTA: VIRGINIA
CENTURIONE BRACELLI.
STUPI’
GENOVA PER IL SUO AMORE AI POVERI
- A
cura di Giovanni Peduto -
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Nasceva nel 1587 a Genova dal doge della Repubblica,
Giorgio Centurione, che la volle sposa a Gaspare Grimaldi Bracelli, giovane e
ricco erede di illustre casata, incline ad una vita sregolata e al vizio del
gioco. Dall’unione nacquero due bambine: Lelia e Isabella.
La vita coniugale di Virginia fu di breve durate. Gaspare
Bracelli, infatti, nonostante il matrimonio e la paternità, non abbandonò lo
stile di vita gaudente, tanto da ridursi in fin di vita. Virginia, con silenziosa
pazienza, preghiera e amabile attenzione, cercò di convincere il marito ad una
condotta più morigerata. Purtroppo, per le sue sregolatezze, Gaspare si ammalò,
ma si spense cristianamente nel 1607. Rimasta vedova a soli 20 anni, Virginia
fece voto di castità perpetua, rifiutando l’occasione di seconde nozze
propostale dal padre e visse ritirata in casa della suocera, curando
l’educazione, e l’amministrazione dei beni, delle figlie e dedicandosi alla
preghiera e alla beneficenza.
Nel 1610 sentì più chiaramente la particolare vocazione a
“servire Dio nei poveri”. Pur essendo controllata severamente dal padre e senza
mai trascurare la cura della famiglia, cominciò a impegnarsi per i bisognosi.
Ad essi sovveniva o direttamente, distribuendo in elemosine la sua rendita
dotale, o per mezzo delle istituzioni benefiche del tempo. Collocate
convenientemente le figlie in matrimonio, Virginia si dedicò a tempo pieno alla
cura dei fanciulli abbandonati, dei vecchi, dei malati, alla promozione degli
emarginati e particolarmente alle fanciulle bisognose, per le quali prese in
affitto il vuoto convento di Montecalvario, dove si trasferì con le sue
assistite che pose sotto la protezione di Nostra Signora del Rifugio. Dopo tre
anni, l’opera contava già tre case con circa 300 ricoverate. Virginia ritenne
quindi opportuno chiederne il riconoscimento ufficiale al Senato della
Repubblica.
Le
assistite di Nostra Signora del Rifugio divennero per la Santa le sue “figlie”
per eccellenza, con le quali divideva il cibo e le vesti, le istruiva con il
catechismo e le addestrava al lavoro perché si guadagnassero il proprio
sostentamento. Con il tempo, l’opera si svilupperà in due Congregazioni
religiose: le Suore di Nostra Signora del Rifugio di Monte Calvario e le Figlie
di Nostra Signora al Monte Calvario, queste ultime per volontà del Papa che nel
1827 le aveva volute a Roma.
A
Virginia non mancarono prove di ogni genere, come d’altronde a tutti i santi.
Infatti, con il crescere delle attività e degli sforzi, Virginia vide
decrescere intorno a sé il numero delle collaboratrici, particolarmente delle
donne borghesi e aristocratiche che temevano di compromettere la propria reputazione
nel trattare con gente di basso rango e seguendo una guida che, per quanto
nobile e santa, si dimostrava un po’ temeraria nelle imprese. Ma essa non si
arrese. Mentre la sua salute fisica declinava rapidamente, Virginia parve
attingere nuova forza dalla solitudine morale.
Nel
1637, ottenne che la Repubblica prendesse la Vergine come protettrice. Perorò
presso l’arcivescovo della città l’istituzione delle Quarantore, che si iniziarono
a Genova verso la fine del 1642, e la predicazione delle missioni popolari
(1643). Si interpose per appianare le frequenti e sanguinose rivalità che
insorgevano, per futili motivi, tra le nobili famiglie ed i cavalieri. Nel 1647
ottenne la riconciliazione tra la Curia arcivescovile ed il Governo della
Repubblica, tra loro in lotta per pure questioni di prestigio. Senza mai
perdere di vista i più abbandonati, era sempre disponibile per qualunque
persona che, indipendentemente dal ceto sociale, si rivolgesse a lei per aiuto.
Gratificata
dal Signore con estasi, visioni, locuzioni interiori ed altri doni mistici
speciali, moriva il 15 dicembre 1651, all’età di 64 anni. Giovanni Paolo II
l’ha proclamata Beata in occasione della sua visita pastorale a Genova, il 22
settembre 1985. Domenica la dichiara Santa.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Orrore, angoscia,
sbigottimento” è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento alla nuova
ondata di terrorismo; per Colin Powell gli attacchi in Arabia
Saudita potrebbero essere stati sferrati da membri di “Al
Qaeda”.
Nelle pagine vaticane, la
catechesi e la cronaca dell’udienza generale.
Un articolo di Vittorio
Pascucci dal titolo “La Riforma permanente come unico riferimento a Cristo”: il
pensiero di san Giovanni Leonardi.
Un articolo di padre Gianfranco
Grieco su un volume che raccoglie gli Esercizi spirituali predicati a Giovanni
Paolo II e alla Curia Romana dall'’rcivescovo Angelo Comastri.
Nelle pagine estere, Iraq:
scoperte fosse comuni a sud di Bagdad.
L’Amministrazione Usa annuncia
l’espulsione di quattordici diplomatici cubani da Washington e da New York.
L’India annuncia il ritorno di
un ambasciatore in Pakistan.
Nella pagina culturale, un
contributo di Francesco Licinio Galati dal titolo: “La novità di Don
Alberione”: il volume di Domenico Agasso sul Fondatore dei Paolini.
Nelle pagine italiane, in primo
piano i temi della delega ambientale e della legge comunitaria 2003.
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14
maggio 2003
TRA PAURE E SPERANZE, MIGLIAIA DI PROFUGHI
IRACHENI
SONO PRONTI A TORNARE IN PATRIA, GRAZIE ALL’IMPEGNO
DELL’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU PER I RIFUGIATI
- Servizio di Alessandro Gisotti -
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(musica)
Ritornare in patria, dopo lunghi anni lontani dalla
propria terra a causa di un terribile regime. Sono migliaia, centinaia di
migliaia gli iracheni che sfuggiti alle persecuzioni di Saddam Hussein vivono,
tra mille difficoltà, nei campi profughi allestiti nei Paesi confinanti con
l’Iraq. Ora che la dittatura è caduta, sono in tanti a sperare di poter tornare
nei luoghi dove sono nati. Tornare per abbracciare i propri cari, per costruire
un futuro nuovo da iracheni in Iraq. Un rimpatrio irto d’ostacoli, che vede lo
strenuo impegno dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. La
portavoce dell’organismo umanitario, Laura Boldrini, è in questi giorni in
Iran, Paese che ospita il maggior numero di iracheni della diaspora. L’abbiamo
raggiunta telefonicamente per farci raccontare le speranze, le paure e i
sentimenti delle persone che ha incontrato:
R. – Noi abbiamo visitato dei
campi, che si trovano ad ovest dell’Iran. La sensazione è che la gente voglia
veramente tornare a casa il prima possibile. Questa è gente che di fatto ha
perso tutto. Ci sono persone che sono in gravi difficoltà, specialmente vedove
che non hanno più un marito che possa mantenere la famiglia, persone che
vorrebbero tornare a casa il prima possibile, ma non sa come fare. Per noi sarà
un compito abbastanza impegnativo, perché comunque gli iracheni hanno anche
altre aspettative. Sanno che il loro Paese è un Paese ricco, sanno che hanno
perso molto andandosene via e quindi si interrogano su cosa li aspetterà dopo,
a chi dovranno chiedere un lavoro, quale sarà l’autorità a cui far riferimento,
chi gli darà la casa che è stata distrutta da Saddam Hussein, come riusciranno
mandare i figli a scuola. Ci sono poi, come dire, altre influenze. Chiaramente
qui parliamo di sciiti, che hanno anche come riferimento dei capi. E’ chiaro
che per loro sarà importante avere un sostegno o comunque un via libera da
parte di queste autorità.
D. – Come si svilupperà questo programma per il ritorno in patria dall’Iran
dei migliaia di iracheni della diaspora?
R. – Siamo in una fase preliminare e stiamo negoziando con le autorità
iraniane, perché il rimpatrio va fatto sempre con un accordo tripartito, cioè
il Paese che ospita, il Paese di origine e l’Alto Commissariato Onu per i
Rifugiati. In Iran, ancora oggi, c’è un milione di rifugiati afghani,
nonostante l’anno scorso ne siano stati rimpatriati circa 500 mila. Credo che
il rimpatrio degli iracheni sarà un po’ su quella falsariga. Quindi, verranno
potenziati i centri di registrazione, i mezzi di trasporto, il personale
locale. E quindi dovrebbe seguire questa esperienza afghana.
D. – Una volta tornati in Iraq si è pensato ad un programma per
l’integrazione nella società irachena di questi profughi lontani dalla propria
terra da tanti anni?
R. – Ci sarà da fare un’operazione molto capillare, perché queste persone
non hanno più un’abitazione. Questo è il problema numero uno. Hanno perso tutto,
sono scappati letteralmente portando con sé solo quello che avevano addosso.
Parliamo degli sciiti, che sono stati repressi dopo la rivolta nel ’91, gente
che ha lasciato tutto e che adesso non ha più riferimenti. Quindi, bisognerà
occuparsi di loro in maniera abbastanza completa. C’è bisogno di molte risorse.
Per adesso l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati ha chiesto 118 milioni di
dollari alla comunità internazionale e ci auguriamo di avere risposte positive,
per lo meno in questa fase.
D. – Ci sono iniziative particolari per raccogliere fondi a favore di
questa battaglia di civiltà?
R. – Sì, vorrei segnalare il “Pavarotti and Friends”, che quest’anno sarà
dedicato proprio a questo: ai rifugiati iracheni nei Paesi limitrofi per
aiutarli a rifarsi una vita, a riportarli a casa e ad integrarsi. La storia di
questa gente è stata molto trascurata in questa crisi sovraesposta. Quindi,
direi che è molto giusta la scelta di volere invece continuare a parlare di un
Iraq fuori casa, cioè di quegli iracheni che hanno sofferto più di tutti il
regime e che per sopravvivere sono stati costretti alla fuga.
(musica)
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UNA DENUNCIA DELLA POVERTA’ MATERIALE E MORALE
DELL’UOMO
NELLO
SPETTACOLO “IL BANCHIERE ERRANTE DI MONI OVADIA.
AI NOSTRI
MICROFONI L’ATTORE E CANTANTE EBREO
Il 20 per cento degli uomini possiede l’80 per cento delle
ricchezze della terra e le usa per scatenare guerre. Questa la denuncia dello
spettacolo “Il Banchiere errante”, in scena fino al 18 maggio all’Ambra
Jovinelli di Roma e poi al Piccolo Teatro Strehler di Milano. Scritto e diretto
da Moni Ovadia, il racconto ironico del rapporto fra ebrei e denaro, cadenzato
da brillanti musiche dal vivo di Carlo Boccadoro, intende sfatare pregiudizi e
retorica, diventando riflessione universale sulla povertà materiale e morale
dell’uomo, come spiega lo stesso protagonista al microfono di A.V.:
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R. – Io penso che la colpa non sia del denaro, anzi il
denaro è uno strumento formidabile per vedere le relazioni tra gli uomini e
dell’uomo con se stesso. Dico sempre: provate a chiedere un prestito quando
avete difficoltà economiche e conterete il numero degli amici. Allora, ha una
potenza simbolica perché è una cosa che sta per un’altra. Ma questo stare per
qualcos’altro permette di celare le pulsioni o di rivelare sul piano simbolico
quelle che non hai il coraggio di rivelare su un piano morale. Quindi è un
apologo a favore del denaro e invece contro l’uomo che una volta di più, per
negare le proprie responsabilità, le scarica sul denaro.
D. – Nel finale dello spettacolo la drammatica sequenza di cifre e di
percentuali mette a nudo una realtà atroce: quanto le guerre e la povertà sono
determinate dal denaro...
R. – Oggi c’è la totale subordinazione della politica all’economia, ma
non solo della politica, ma anche dei valori. Il finale, però, per tornare al
discorso è la denuncia dell’abuso del denaro, è quello che crea gli orrori
perché solo un uso diverso del denaro sarebbe salvifico. Il denaro oggi
permette di fare interventi rapidi a soccorso di coloro che soffrono e invece è
trattenuto a monte. Cito una lunga litania; i dati, che sono presi dal
commercio ecosolidale, dai Padri comboniani (mio grande amico è padre
Zanottelli), dalla Caritas, dall’Onu,
sono spaventosi: il 6 per cento delle ricchezze delle 200 più grandi
fortune del mondo risolverebbero i problemi più urgenti, fame, sanità,
istruzione.
D. – Colin Powell ha portato a Israele una proposta,che è un’offerta
economica per la pace in Medio
Oriente...
R. – Credo che l’attivazione di impetuosi processi economici sia una
della chiavi di volta, questo non c’è dubbio, di un consolidamento del processo
di pace, ma il primo luogo in cui scavare la pace è il proprio cuore.
Naturalmente l’economia di Israele è depressa e le depressioni economiche
giocano a sfavore dei processi democratici, attivano populismi, demagogie.
Certo, poi naturalmente bisognerà che questo flusso economico ricada anche sul
popolo palestinese il quale è in condizioni disperate e disperanti. Credo che
questo sia una buona cosa, soprattutto se interverrà anche la comunità europea,
se interverranno anche altre forze,organismi internazionali ed anche se lo Stato
d’Israele che ha strutture molto moderne, intervenga ad attivare gli stessi
processi presso il vicino palestinese.
D. – Questa speranza la lascia anche, secondo lei, il nuovo governo
palestinese?
R. – Abu Mazen gode del favore sia del governo israeliano, sia degli
americani. Qualunque pace venga fatta dovrà essere sottoposta a referendum
presso i due popoli, nella pienezza di un processo democratico.
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14
maggio 2003
È INIZIATA IERI LA 29.MA ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO
EPISCOPALE LATINO AMERICANO: IL PRESIDENTE USCENTE MONS. JIMENEZ CARVAJAL
DENUNCIA UN MONDO “POSSEDUTO DALLA PRESSIONE DEL
SUCCESSO”
- A cura di Maurizio Salvi -
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TUPARENDA’. = I lavori della
29.ma Assemblea si sono aperti ieri a Tuparendá, in Paraguay, con una
conferenza del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei
vescovi sugli orientamenti per il ministero pastorale, e quindi si sono
concentrati sulle incredibili condizioni infraumane in cui vivono milioni di
persone in America-Latina. A riguardo è intervenuto il presidente uscente del Celam,
mons. Jorge Jimenez Carvajal, secondo il quale l’emarginazione e l’indigenza
superano oggi tutto quello che credevamo possibile e portano le persone a
pagare il prezzo della morte morale e spirituale per garantire la sopravvivenza
fisica. Fra gli esempi avanzati dal vescovo colombiano: il traffico di organi,
il sequestro di bambini, la prostituzione dei minorenni, la diffusione del
consumo di droga ed il reclutamento forzato dei giovani in atti di violenza.
Sul banco degli imputati è salito il fenomeno della globalizzazione che secondo
mons. Jimenez Carvajal, compromette oggi le dimensioni socio-economiche e
culturali di un mondo posseduto dalla pressione del successo. Nella seconda
parte della giornata, invece, l’Assemblea ha ascoltato le relazioni riguardanti
i principali problemi esistenti a livello regionale. Oggi i lavori entrano
nella parte centrale con una discussione delle linee generali del nuovo piano
globale del Celam per il periodo 2003-2007 sul tema “Verso una Chiesa-casa e
scuola di comunione e solidarietà in un mondo globalizzato. Umanizzare la
globalizzazione, globalizzando la solidarietà”.
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APPROVATA DAL CONSIGLIO
DI SICUREZZA DELL’ONU
LA MISSIONE DI PACE IN COSTA D’AVORIO: DELL’INIZIALE
CONTINGENTE
PROPOSTO DA ANNAN, RESPINTO DAGLI USA PERCHÉ
GIUDICATO TROPPO COSTOSO, SONO STATI CONCESSI UN MASSIMO DI 76 UOMINI
NEW YORK. = È stata approvata
ieri sera all’unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu la missione di pace
in Costa d’Avorio. Il Palazzo di vetro ha stabilito di inviare un massimo di 76
osservatori militari, iniziando con un primo contingente di 26 unità che in
futuro potranno essere affiancati da altri 50 osservatori, “se il segretario
generale lo riterrà necessario e se le condizioni di sicurezza lo permetteranno”,
come riportato dall’ambasciatore pachistano all’Onu, Munir Akram, presidente di
turno del Consiglio. Inizialmente il segretario generale delle Nazioni Unite,
Kofi Annan, aveva richiesto al Consiglio di sicurezza un contingente composto,
oltre che dai 76 militari poi concessi, anche di 85 civili provenienti
dall’estero e altri 89 locali per funzioni di amministrazione e gestione della
missione. Gli Stati Uniti si sono opposti definendo dispendiosa questa ipotesi
e opinando per una riduzione della componente militare della Minuci. La
missione comprenderà comunque anche osservatori civili, cui saranno affidate le
questioni politiche, legali, umanitarie e di diritti umani. Il loro compito
sarà quello di mantenere sotto osservazione il processo di ‘cessate-il-fuoco’
sottoscritto dalle fazioni in lotta negli scorsi mesi. I Caschi blu, con un
mandato iniziale di sei mesi, affiancheranno i 4000 soldati francesi già
presenti da mesi in territorio ivoriano, ed i 1250 inviati dalla Comunità
economica dei Paesi dell'Africa occidentale. Come le altre missioni Onu, anche
quella in Costa d'Avorio sarà identificata da un acronimo: 'Minuci', dal
francese “Mission des Nations Unies en Côte d'Ivoire”. La Costa d’Avorio
nelle ultime settimane sembra lentamente avviata verso la normalità, dopo essere stata scossa per mesi da una
crisi, iniziata con il tentativo di colpo di Stato del 19 settembre 2002.
(S.C.)
ESPLOSIONE IN UNA MINIERA DI CARBONE IN CINA: ALMENO
63 PERSONE SONO MORTE, MENTRE 23 RISULTANO AL MOMENTO DISPERSE
PECHINO. = A seguito
dell’esplosione avvenuta ieri in una miniera di carbone nella zona orientale
della Cina, almeno 63 persone sono morte e altre 23 risultano disperse.
L’incidente si è verificato nella cava di Luling, di proprietà dello Stato,
situata vicino alla città di Hefei intorno alle 16, ora locale. Al momento
dell’esplosione in miniera si trovavano 113 persone: fin’ora le persone portate
in salvo sono 27, dieci delle quali si trovano in ospedale. Le squadre di
soccorso, che finora hanno recuperato alcune decine di cadaveri, temono di non
riuscire a riportare all’aperto in vita altri minatori rimasti intrappolati
all’interno della miniera, che si trovano a 590 metri sotto il livello del
suolo. È stata aperta un’indagine sulle cause della tragedia, che per il
momento restano ancora tutte da verificare. L’industria mineraria cinese è la
principale al mondo, ma è anche quella che fa registrare il maggior numero di
infortuni sul lavoro, dovuti principalmente alla mancanza di un’adeguata
formazione dei lavoratori ed alla mancanza di adeguate misure di sicurezza: in
base ai dati del Governo l’anno scorso sono stati 4.500 i minatori rimasti
uccisi in incidenti sul lavoro, benché le stime non ufficiale arrivino a
contare diecimila morti. (S.C.)
STASERA AL VARO LA 56.MA
EDIZIONE DEL FESTIVAL DEL CINEMA DEI CANNES, QUEST’ANNO DEDICATO A FEDERICO
FELLINI, NEL DECENNALE DELLA SUA MORTE.
- A cura di Robert Molhant -
CANNES.= Si apre questa sera la
56.ma edizione del Festival del cinema di Cannes con la proiezione fuori
concorso del film “Fanfan La Tulipe”, nel quale Vincent Perez dà libero corso
al suo talento di schermitore e Penelope Cruz, succede a Gina Lollobrigida. Il
Comitato selezionatore ha visionato circa 2.500 film, scegliendone soltanto 20
di 13 Paesi. Ci si ritroverà l’iraniana Samira
Makhmalbaf, Lars von Trier, Berdrand Blier, André Téchiné, Denys Arcand,
Clint Eastwood, Alexander Sokourov, Peter Greenaway. Il festival di quest’anno
sarà dedicato a Federico Fellini – nel decennale della morte , il cui grido
“Viva il Cinema” campeggia nel manifesto di Cannes 2003 , mentre altri omaggi
saranno resi a Jeanne Moreau, Maurice Pialat e Daniel Tosca du Plantier.
Quest’anno il Festival sarà anche musicale, saranno infatti seguiti brani di
Nino Rota. Per chi non potrà entrare nel Palazzo del cinema i film sarà
proiettati sulla spiaggia, mentre gli assenti potranno visitare il sito
Internet del Festival.
“VIAGGI TRA TERRE, UOMINI E SPIRITI”: QUESTO IL
TITOLO DELLA MOSTRA A GENOVA DEDICATA A QUANTI, DA OLTRE 400 ANNI,
SI SPINGONO IN TERRE LONTANE PER AIUTARE GLI ALTRI
- A cura di Dino Frambati -
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GENOVA. = Missionari, ma anche
esploratori i frati cappuccini, da quasi 400 anni, da quando cioè spingendosi
in terre lontane per aiutare gli altri, scoprirono anche usi, costumi e
dimensioni spirituali fino ad allora sconosciuti alla nostra cultura. A
testimoniare tutto ciò è il contenuto di una mostra che si è aperta presso
l’auditorium, accanto alla Chiesa di Santa Caterina a Genova, dal titolo
“Viaggi tra terre, uomini e spiriti”. Una rassegna dove è possibile ammirare i
manoscritti di padre Giovanni Galazzi, che reca testimonianze importanti
dell’Africa Nera del 1670, oppure di padre Giuseppe Maria che si inoltrò fino
al Tibet, o le memorie scritte da padre Annibale di Genova che nel 1751 iniziò
un viaggio verso l’America Latina via Lisbona. Scritti esemplari che si
affiancano agli oggetti, altri protagonisti della mostra. Da citare un
cavaliere “Dogon” ligneo del XVII sec. Proveniente dal Mali; una collezione di
croci etiopi uniche in Europa e ricche di spiritualità ed un Buddha thailandese
del XIX sec., oltre a vari feticci di chiodi diffusi tra le popolazioni del
Congo. A concludere la rassegna ci sono anche foto ed immagini, forse sbiadite
dal tempo, ma significative a farci comprendere come la fede spesso aiuti anche
conoscenza e cultura.
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DENUNCIA DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE CONTRO LA
TORTURA:
CINQUE PERSONE, ACCUSATE DI ESSERE COMBATTENTI
MAYI-MAYI,
SONO STATE TORTURATE E RINCHIUSE IN CONDIZIONI
DISUMANE
NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
KINSHASA. = Cinque persone
sono detenute in condizioni disumane in un carcere sotterraneo a Kitshanga,
nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Lo denuncia l’Organizzazione
mondiale contro la tortura (Omct) in una lettera aperta inviata a Adolphe
Onusumba, presidente della ‘Coalizione congolese per la democrazia’ (Rcd-Goma),
la formazione ribelle che controlla la zona orientale dell’ex Zaire. Janvier
Buingo, Shekyumba, Bahati Zingza, Kabongo e Pascal Kalisa, come scritto nel
documento, sono stati arrestati un mese fa senza un preciso mandato da un
battaglione militare con l’accusa di essere combattenti Mayi-Mayi, uno dei
gruppi armati che combatte contro la Rcd-Goma. Secondo le informazioni raccolte
dall’Omct, i cinque sarebbero stati torturati e sono detenuti in condizioni precarie,
senza acqua né cibo. Fino ad ora sarebbe stato negato l’accesso ai parenti, che
non avrebbero quindi potuto visitare i detenuti né consegnare loro alcune
medicine. (S.C.)
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14
maggio 2003
- A cura di Giada
Aquilino -
Un nuovo attentato terroristico
ad opera di una donna kamikaze è stato compiuto oggi in Cecenia e ha causato
almeno venti morti. Lo ha annunciato l'amministrazione filorussa a Grozny.
L’ennesima azione separatista è avvenuta nel villaggio di Iliskhan-Iourt, nella
regione di Vedeno, nel sud est della Repubblica caucasica. Soltanto lunedì
scorso, sempre in Cecenia, l’esplosione di un camion-bomba contenente 2
tonnellate di tritolo aveva provocato 59 vittime a Znamenskoie.
Ancora violenze nei Paesi
arabi. Dopo l’attentato di lunedì sera a Riad, costato la vita ad almeno 34
persone, oggi nella città yemenita di Jibla - 300 chilometri a sud di Sanaa -
un giudice è rimasto ferito per l’esplosione di una bomba in un tribunale. Un
uomo è stato arrestato: è sospettato di aver lanciato una granata all’interno
del tribunale. Nello stesso palazzo di giustizia, la scorsa settimana era stato
condannato a morte un esponente di Al Qaeda, giudicato responsabile
dell’uccisione di tre cittadini statunitensi.
Intanto, proprio in relazione
all’attentato di Riad contro tre complessi residenziali abitati prevalentemente
da occidentali, il presidente americano Bush ha assicurato che gli Stati Uniti
non abbasseranno la guardia contro il terrorismo. Per il segretario di Stato
Usa Powell, ieri sul luogo della strage, non c’è dubbio che dietro gli
attentati ci sia Al Qaeda. Il servizio da New York:
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Proprio nei giorni scorsi le autorità saudite e americane
avevano lanciato la caccia a 19 membri dell’organizzazione di Osama Bin Laden,
sospettate di preparare attentati in concomitanza con la fine della guerra in
Iraq e l’arrivo di Powell a Riad. Il capo della diplomazia di Washington è
stato in Medio Oriente per promuovere il nuovo piano di pace tra israeliani e
palestinesi e ieri è arrivato in Arabia come previsto, nonostante gli attentati.
Powell ha detto che il terrorismo colpisce ovunque ed è una minaccia per
l’intero mondo civilizzato. Il dipartimento di Stato ha richiamato in patria
dall’Arabia Saudita tutto il personale diplomatico non essenziale. Il
presidente Bush ha dichiarato che l’attacco di Riad ricorda a tutti che la
guerra al terrorismo continua e ha promesso di vincerla, impegnandosi nello
stesso tempo a stabilizzare l’Iraq. Alcuni parlamentari però hanno detto che
forse gli attentati si potevano evitare, se Washington si fosse concentrata su
Al Qaeda invece che su Baghdad.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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E da Riad, Powell è volato a Mosca dove ha già incontrato
il ministro degli Esteri russo Igor Ivanov, per colloqui su Iraq e Medio
Oriente. Al termine dell’incontro, Powell ha accusato i ''terroristi
internazionali'' per gli attentati in Cecenia e in Arabia Saudita,
sottolineando come Stati Uniti e Russia debbano ''lavorare insieme'' per
sconfiggere le ''minacce transnazionali''. Powell in giornata sarà ricevuto al
Cremlino dal presidente russo Putin, il quale il 1° giugno a San Pietroburgo
incontrerà il presidente statunitense George Bush.
Decine e decine di iracheni in lacrime hanno assistito
questa mattina all'esumazione di centinaia di corpi da una fossa comune presso
la città di Al Hilla, nella provincia di Babilonia, 100 km a sud di Baghdad. I marine
americani hanno riferito che 2600 corpi sono stati già riportati alla luce, ma
secondo alcune testimonianze la fossa potrebbe contenerne 10 mila. Ieri il
Congresso nazionale iracheno (Cni) di Ahmed Chalabi aveva annunciato che nella
fossa comune erano stati scoperti i resti di 15 mila persone, uccise dal regime
di Saddam Hussein.
Sono stati liberati e stanno bene 17 dei 32 turisti
europei scomparsi nel Sahara algerino dal 19 febbraio scorso. La liberazione è
avvenuta ad Amguid, nella regione di Tamanrasset, circa 1900 chilometri a sud
di Algeri, dopo un'operazione condotta dalle forze armate. A catturare i 32
turisti - 16 tedeschi, 10 austriaci, 4 svizzeri, un olandese e uno svedese -
sarebbe stato un gruppo armato non identificato. Al momento si ignora la sorte
degli altri ostaggi, mentre è stata confermata la morte di 9 rapitori, uccisi dall’esercito
algerino.
Sono forti le proteste nei
centri arabi di Israele per il blitz dello Shin Bet, la forza di sicurezza
interna, che ieri ha arrestato 15 integralisti islamici arabi-israeliani
sospettati di aiutare economicamente le famiglie dei kamikaze palestinesi.
Stamani, poi, un attivista palestinese è stato ucciso in scontri con i soldati dello Stato ebraico a Nablus, nel nord della
Cisgiordania. La cronaca delle ultime ore, nel servizio di Graziano Motta:
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E’ stata una
notte di violenze nella Striscia di Gaza. Militari israeliani a protezione
dell’insediamento di coloni di Netzarim hanno reagito ad un attacco di
guerriglieri palestinesi, uccidendone quattro e ferendone almeno uno. Il bilancio
non coincide con un’altra versione, secondo cui si trattava di agenti della sicurezza
palestinese, tre dei quali erano stati uccisi e due feriti. Nel sud della Striscia,
a Khan Yunis, reparti blindati israeliani hanno demolito delle abitazioni palestinesi
da cui provenivano sparatorie ostili. Uno degli elicotteri di appoggio ha
sganciato un missile, che ha causato 26 feriti. La persistente violenza
mistifica gli sforzi di pace, segnati tuttavia da divergenti posizioni
occidentali. Il presidente di turno dell’Unione europea e ministro degli Esteri
greco Papandreu - contrariamente al segretario di Stato Usa, Powell - ha voluto
incontrare Arafat. Il primo ministro israeliano Sharon per questo avrebbe fatto
a meno di riceverlo. Alla fine ha avuto con lui un colloquio, ma i suoi
collaboratori anticipano che non vedrà il rappresentante dell’Unione europea,
Solana, anch’egli incaricato di sostenere la “Road Map”, cioè il piano di pace
del presidente Bush.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Sembrava che fosse tornata la
calma a Bunia, nel nord est della Repubblica Democratica del Congo, dopo giorni
di scontri tra le etnie Hema e Lendu. Ma stamani tiri d’arma da fuoco sono
stati uditi nuovamente nel capoluogo dell’Ituri, dove continuano a imperversare
i ribelli dell’Unione dei patrioti congolesi di Thomas Lubanga. Il servizio di Giulio Albanese:
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Gli uomini di Lubanga in queste ultime ore si sono
macchiati degli stessi crimini commessi nei giorni scorsi dai reparti
appartenenti all’etnia Lendu, che fino a lunedì controllavano la città
congolese. Testimoni oculari parlano di una situazione disperata, fatta di
morte e distruzione. In città regna sempre più il caos, il tutto sotto gli
occhi degli uomini della Monuc, la missione delle Nazioni Unite nell’ex Zaire,
che continuano ad essere spettatori inermi del dramma che li circonda. Intanto,
è giunta notizia che sono fuggite le centinaia di poliziotti, spediti dal
governo di Kinshasa qualche giorno fa per garantire l’ordine nella città
congolese, dopo il ritiro delle truppe ugandesi. Senza elettricità, acqua e
cibo da cinque giorni, Bunia ormai è sempre più un inferno.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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“Non vi deluderò”. Con queste parole l'ex presidente
argentino Carlos Menem ha assicurato ieri sera i propri sostenitori, mentre
sono ancora forti le voci su una sua intenzione di rinunciare a sfidare Nestor
Kirchner nel ballottaggio presidenziale di domenica prossima. Oggi Menem
renderà nota la sua posizione.
Si è aperto oggi al Tribunale penale internazionale
dell'Aja il processo a tre ufficiali serbo bosniaci accusati di aver
partecipato nel ’95 al massacro di oltre 7000 musulmani a Srebrenica, nella
Bosnia orientale. Gli accusati dovranno rispondere di genocidio e crimini
contro l'umanità e di guerra.
La Camera bassa del Parlamento russo, la Duma, ha
ratificato oggi il Trattato che riduce ad un terzo gli arsenali nucleari russi
e statunitensi. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri di Mosca. Il Senato
degli Stati Uniti aveva in passato già ratificato l'accordo, noto formalmente
come ''Trattato di Mosca''.
Un milione, due secondo i sindacati. Tanti erano ieri in Francia i
lavoratori scesi in piazza per manifestare contro la decisione del premier Jean-Pierre Raffarin di riformare
il sistema pensionistico, aumentando il numero degli anni lavorati prima di
avere diritto alla pensione. Di fronte
allo sciopero, che ha paralizzato trasporti aerei, ferroviari e
autoferrotranviari, il governo di centrodestra ha detto che la riforma delle
pensioni andrà avanti ad ogni costo.
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