RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 134 - Testo della Trasmissione di mercoledì 14 maggio 2003

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La speranza che vince la paura con la preghiera penitenziale e la fede in Dio padre misericordioso, nella catechesi biblica del Papa all’udienza generale in Piazza San Pietro

 

Uniti in preghiera per la pace nel mondo. Così mons. Michael Fitzgerald nel tradizionale messaggio ai buddisti per la festa di Vesak

 

Tra i nuovi santi di domenica prossima, la figlia di un doge, Virginia Centurione  Bracelli, che stupì Genova per il suo amore verso i poveri.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Tra paure e speranze, migliaia di profughi iracheni pronti a tornare in patria, grazie all’impegno dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati: con noi, Laura Boldrini

 

Una denuncia della povertà materiale e morale dell’uomo, nello spettacolo “Il banchiere  errante” di Moni Ovadia: intervista con l’attore e cantante ebreo.

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’Assemblea del Celam aperta ieri in Paraguay con un’analisi dei drammi umani dell’America Latina

 

La missione di pace in Costa d’Avorio approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu

 

Esplosione in una miniera di carbone in Cina: almeno 63 i morti

 

Stasera al varo la 56.ma edizione del Festival di Cannes

 

A Genova, mostra dedicata a quanti da oltre 400 anni si spingono in terre lontane per aiutare gli altri

 

L’Organizzazione mondiale contro la tortura denuncia maltrattamenti nella Repubblica Democratica del Congo.

 

24 ORE NEL MONDO:

Nuovo attentato terroristico in Cecenia: una donna si è fatta esplodere a Iliskhan-Iourt, nel sud est, uccidendo almeno 10 persone

 

E’ salito a 34 il bilancio ufficiale delle esplosioni di lunedì a Riad: gli Stati Uniti accusano Al Qaeda

 

Iraq: scoperta una fossa comune a sud di Baghdad. Al momento, sono oltre duemila i corpi riesumati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

14 maggio 2003

 

LA SPERANZA RADICATA IN DIO PADRE MISERICORDIOSO FEDELE ALLE SUE PROMESSE, NELLA CATECHESI BIBLICA DEL PAPA

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

 

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Il cantico della speranza che nasce dal fuoco della persecuzione. E’ quello che Azaria leva dalle fiamme della fornace, nella quale l’ha precipitato il re babilonese Nabucodonosor per non aver voluto abiurare la propria fede in Dio. La figura e la preghiera a Dio del giovane Azaria, simbolo di Israele costretto in esilio e disperso dalla diaspora, sono state questa mattina oggetto di riflessione per Giovanni Paolo II, durante l’udienza generale in Piazza San Pietro.

 

L’azione del Cantico biblico, compreso nel testo greco del Libro di Daniele, vede Azaria “in mezzo al fuoco” insieme ad altri due fedeli ebrei, Anania e Misaele. I tre accettano come una “giusta pena” il loro supplizio: la persecuzione, ha spiegato il Papa, è il mezzo attraverso il quale “Dio purifica il popolo peccatore”. Nelle parole di Azaria, il tono è privo di ribellione verso il cielo. Si tratta, ha osservato il Pontefice, di “una preghiera penitenziale, che non sfocia nello scoraggiamento e nella paura, ma nella speranza. Nonostante “la situazione tragica del presente”, che li vede vittime perseguitate di un popolo in esilio, la prova del martirio non impedisce ad Azaria di ripensare alla benedizione e alle promesse di pace e di fecondità che Dio ha rivolto in passato ad Abramo, Isacco e Giacobbe. “Dio è fedele e non smentirà le sue promesse”, ha affermato il Papa:

 

“Anche se la giustizia esige che Israele sia punito per le sue colpe, permane la certezza che l’ultima parola sarà quella della misericordia e del perdono (...) L’attesa non è quella della morte, ma di una nuova vita, dopo la purificazione”.

 

E il segno più evidente della purificazione da parte del penitente, ha proseguito Giovanni Paolo II, è il “cuore contrito” e “lo spirito umiliato”. E’ questo il “sacrificio più prezioso e accetto” a Dio, al quale viene offerto “l’io rinnovato dalla prova” perché lo accolga “in segno di conversione e di consacrazione al bene”:

 

“Con questa disposizione interiore cessa la paura, si spengono la confusione e la vergogna e lo spirito si apre alla fiducia in un futuro migliore, quando si compiranno le promesse fatte ai padri”.

 

Dopo aver concluso la catechesi, citando una preghiera di San Massimo il Confessore ispirata al Cantico di Azaria, il Pontefice si è rivolto in undici lingue ai pellegrini radunati sotto il luminoso sole che inondava questa mattina Piazza San Pietro. Tra i presenti, salutati da Giovanni Paolo II, anche gli appartenenti al “Comitato 8 ottobre 2001” di Milano, che raduna i parenti delle vittime del tragico incidente di Linate che due anni fa vide la morte di 118 persone. Al momento di porgere il proprio saluto al Papa, si è appreso che il presidente del Comitato milanese, Paolo Pettinaroli, ha donato a Giovanni Paolo II un’opera dell’artista Mario Antonetti, realizzata con lo stesso granito rosso svedese utilizzato per il monumento in memoria delle vittime, eretto nel Parco Forlanini di Milano.

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PROVVISTE DI CHIESE IN COLOMBIA, BRASILE E CANADA

 

Il Papa ha istituito in Colombia la nuova diocesi di Vélez, con territorio distaccato dalla diocesi di Socorro y San Gil, rendendola suffraganea della Chiesa metropolitana di Bucaramanga. Come primo vescovo di Vélez, il Pontefice ha nominato il sacerdote 46enne Luis Albeiro Cortés Rendòn, del clero diocesano di Pereira, finora rettore del locale seminario maggiore. La nuova diocesi di Vélez ha una superficie di quasi 5 mila kmq, con circa 190 mila abitanti. I cattolici sono il 90 per cento della popolazione, distribuiti in 28 parrocchie e assistiti da 39 sacerdoti. Vi sono inoltre 51 religiose e 27 seminaristi maggiori.

 

In Brasile, il Santo Padre ha nominato vescovo di Colatina il presule salesiano mons. Décio Zandonade, finora ausiliare di Belo Horizonte.

 

In Canada, il Papa ha nominato ausiliare di Toronto il sacerdote 61enne Daniel Bohan, del clero di Moncton, finora parroco e vicario episcopale per i fedeli anglofoni, elevandolo alla dignità vescovile.

 

 

UNIRSI IN PREGHIERA PER LA PACE NEL MONDO:

COSI’, L’ARCIVESCOVO MICHAEL FITZGERALD,

PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO,

NEL MESSAGGIO AI BUDDISTI PER LA FESTA DI VESAKH

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

 

         In questo drammatico inizio di Millennio, “non possiamo vivere senza impegnarci nel promuovere la grande causa della pace nel mondo”. E’ l’invito del presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, l’arcivescovo Michael Fitzgerald, contenuto nel messaggio per la festa di Vesakh, la più importante per i Buddisti, che si celebra oggi nei Paesi di tradizione therevada. Un messaggio, che è soprattutto un gesto di amicizia, una tradizione intrapresa nel 1995 dal cardinale Francis Arinze.

 

Nell’attuale situazione internazionale, osserva il presule, bisogna essere consapevoli di “quanto si avverta in maniera acuta nel nostro mondo la questione della pace”. Ogni giorno, prosegue, siamo “testimoni di nuove scene di spargimento di sangue, di violenza, di scontro”. Noi, cristiani e buddisti, sottolinea, siamo convinti che l’origine di ogni conflitto sia da collocarsi “nei cuori umani caratterizzati da desideri egoistici, in particolare dal desiderio del potere”. La pace deve allora “abitare nel cuore degli uomini prima di divenire una realtà sociale”. Il modo più efficace per promuovere la pace, prosegue, è fare del proprio meglio “per superare l’egoismo profondamente radicato nei cuori umani”.

 

 Mons. Fitzgerald si sofferma poi sull’anno del Rosario, proclamato dal Papa ed indica la “meravigliosa coincidenza” con i buddisti, che utilizzano il Mala per pregare. “Il Rosario per i cattolici e il Mala per i buddisti – rileva – sono semplici, ma profonde e significative preghiere”, che, in virtù del loro “carattere meditativo”, hanno in comune un effetto rasserenante su quelli che li usano per pregare”. Per noi cattolici, spiega nel messaggio il presidente del dicastero vaticano, la recita del Rosario ci aiuta ad essere più disponibili verso i poveri e gli afflitti. “Nella vostra tradizione buddista – aggiunge – pregare il Mala aiuta a divenire operatori di pace”.

 

 

LA FIGLIA DEL DOGE DIVENTA SANTA: VIRGINIA CENTURIONE BRACELLI.

STUPI’ GENOVA PER IL SUO AMORE AI POVERI

- A cura di Giovanni Peduto -

 

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Nasceva nel 1587 a Genova dal doge della Repubblica, Giorgio Centurione, che la volle sposa a Gaspare Grimaldi Bracelli, giovane e ricco erede di illustre casata, incline ad una vita sregolata e al vizio del gioco. Dall’unione nacquero due bambine: Lelia e Isabella.

 

La vita coniugale di Virginia fu di breve durate. Gaspare Bracelli, infatti, nonostante il matrimonio e la paternità, non abbandonò lo stile di vita gaudente, tanto da ridursi in fin di vita. Virginia, con silenziosa pazienza, preghiera e amabile attenzione, cercò di convincere il marito ad una condotta più morigerata. Purtroppo, per le sue sregolatezze, Gaspare si ammalò, ma si spense cristianamente nel 1607. Rimasta vedova a soli 20 anni, Virginia fece voto di castità perpetua, rifiutando l’occasione di seconde nozze propostale dal padre e visse ritirata in casa della suocera, curando l’educazione, e l’amministrazione dei beni, delle figlie e dedicandosi alla preghiera e alla beneficenza.

 

Nel 1610 sentì più chiaramente la particolare vocazione a “servire Dio nei poveri”. Pur essendo controllata severamente dal padre e senza mai trascurare la cura della famiglia, cominciò a impegnarsi per i bisognosi. Ad essi sovveniva o direttamente, distribuendo in elemosine la sua rendita dotale, o per mezzo delle istituzioni benefiche del tempo. Collocate convenientemente le figlie in matrimonio, Virginia si dedicò a tempo pieno alla cura dei fanciulli abbandonati, dei vecchi, dei malati, alla promozione degli emarginati e particolarmente alle fanciulle bisognose, per le quali prese in affitto il vuoto convento di Montecalvario, dove si trasferì con le sue assistite che pose sotto la protezione di Nostra Signora del Rifugio. Dopo tre anni, l’opera contava già tre case con circa 300 ricoverate. Virginia ritenne quindi opportuno chiederne il riconoscimento ufficiale al Senato della Repubblica.

 

Le assistite di Nostra Signora del Rifugio divennero per la Santa le sue “figlie” per eccellenza, con le quali divideva il cibo e le vesti, le istruiva con il catechismo e le addestrava al lavoro perché si guadagnassero il proprio sostentamento. Con il tempo, l’opera si svilupperà in due Congregazioni religiose: le Suore di Nostra Signora del Rifugio di Monte Calvario e le Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario, queste ultime per volontà del Papa che nel 1827 le aveva volute a Roma.

 

A Virginia non mancarono prove di ogni genere, come d’altronde a tutti i santi. Infatti, con il crescere delle attività e degli sforzi, Virginia vide decrescere intorno a sé il numero delle collaboratrici, particolarmente delle donne borghesi e aristocratiche che temevano di compromettere la propria reputazione nel trattare con gente di basso rango e seguendo una guida che, per quanto nobile e santa, si dimostrava un po’ temeraria nelle imprese. Ma essa non si arrese. Mentre la sua salute fisica declinava rapidamente, Virginia parve attingere nuova forza dalla solitudine morale.

 

Nel 1637, ottenne che la Repubblica prendesse la Vergine come protettrice. Perorò presso l’arcivescovo della città l’istituzione delle Quarantore, che si iniziarono a Genova verso la fine del 1642, e la predicazione delle missioni popolari (1643). Si interpose per appianare le frequenti e sanguinose rivalità che insorgevano, per futili motivi, tra le nobili famiglie ed i cavalieri. Nel 1647 ottenne la riconciliazione tra la Curia arcivescovile ed il Governo della Repubblica, tra loro in lotta per pure questioni di prestigio. Senza mai perdere di vista i più abbandonati, era sempre disponibile per qualunque persona che, indipendentemente dal ceto sociale, si rivolgesse a lei per aiuto.

 

Gratificata dal Signore con estasi, visioni, locuzioni interiori ed altri doni mistici speciali, moriva il 15 dicembre 1651, all’età di 64 anni. Giovanni Paolo II l’ha proclamata Beata in occasione della sua visita pastorale a Genova, il 22 settembre 1985. Domenica la dichiara Santa.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

“Orrore, angoscia, sbigottimento” è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento alla nuova ondata di terrorismo; per Colin Powell gli attacchi in Arabia Saudita potrebbero essere stati sferrati da membri di “Al Qaeda”. 

 

Nelle pagine vaticane, la catechesi e la cronaca dell’udienza generale.

Un articolo di Vittorio Pascucci dal titolo “La Riforma permanente come unico riferimento a Cristo”: il pensiero di san Giovanni Leonardi.

Un articolo di padre Gianfranco Grieco su un volume che raccoglie gli Esercizi spirituali predicati a Giovanni Paolo II e alla Curia Romana dall'’rcivescovo Angelo Comastri.

 

Nelle pagine estere, Iraq: scoperte fosse comuni a sud di Bagdad.

L’Amministrazione Usa annuncia l’espulsione di quattordici diplomatici cubani da Washington e da New York.

L’India annuncia il ritorno di un ambasciatore in Pakistan.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Francesco Licinio Galati dal titolo: “La novità di Don Alberione”: il volume di Domenico Agasso sul Fondatore dei Paolini.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano i temi della delega ambientale e della legge comunitaria 2003.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

14 maggio 2003

 

TRA PAURE E SPERANZE, MIGLIAIA DI PROFUGHI IRACHENI 

SONO PRONTI A TORNARE IN PATRIA, GRAZIE ALL’IMPEGNO

DELL’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU PER I RIFUGIATI

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

 

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(musica)

 

Ritornare in patria, dopo lunghi anni lontani dalla propria terra a causa di un terribile regime. Sono migliaia, centinaia di migliaia gli iracheni che sfuggiti alle persecuzioni di Saddam Hussein vivono, tra mille difficoltà, nei campi profughi allestiti nei Paesi confinanti con l’Iraq. Ora che la dittatura è caduta, sono in tanti a sperare di poter tornare nei luoghi dove sono nati. Tornare per abbracciare i propri cari, per costruire un futuro nuovo da iracheni in Iraq. Un rimpatrio irto d’ostacoli, che vede lo strenuo impegno dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. La portavoce dell’organismo umanitario, Laura Boldrini, è in questi giorni in Iran, Paese che ospita il maggior numero di iracheni della diaspora. L’abbiamo raggiunta telefonicamente per farci raccontare le speranze, le paure e i sentimenti delle persone che ha incontrato:

 

R. – Noi abbiamo visitato dei campi, che si trovano ad ovest dell’Iran. La sensazione è che la gente voglia veramente tornare a casa il prima possibile. Questa è gente che di fatto ha perso tutto. Ci sono persone che sono in gravi difficoltà, specialmente vedove che non hanno più un marito che possa mantenere la famiglia, persone che vorrebbero tornare a casa il prima possibile, ma non sa come fare. Per noi sarà un compito abbastanza impegnativo, perché comunque gli iracheni hanno anche altre aspettative. Sanno che il loro Paese è un Paese ricco, sanno che hanno perso molto andandosene via e quindi si interrogano su cosa li aspetterà dopo, a chi dovranno chiedere un lavoro, quale sarà l’autorità a cui far riferimento, chi gli darà la casa che è stata distrutta da Saddam Hussein, come riusciranno mandare i figli a scuola. Ci sono poi, come dire, altre influenze. Chiaramente qui parliamo di sciiti, che hanno anche come riferimento dei capi. E’ chiaro che per loro sarà importante avere un sostegno o comunque un via libera da parte di queste autorità.

 

D. – Come si svilupperà questo programma per il ritorno in patria dall’Iran dei migliaia di iracheni della diaspora?

 

R. – Siamo in una fase preliminare e stiamo negoziando con le autorità iraniane, perché il rimpatrio va fatto sempre con un accordo tripartito, cioè il Paese che ospita, il Paese di origine e l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. In Iran, ancora oggi, c’è un milione di rifugiati afghani, nonostante l’anno scorso ne siano stati rimpatriati circa 500 mila. Credo che il rimpatrio degli iracheni sarà un po’ su quella falsariga. Quindi, verranno potenziati i centri di registrazione, i mezzi di trasporto, il personale locale. E quindi dovrebbe seguire questa esperienza afghana.

 

D. – Una volta tornati in Iraq si è pensato ad un programma per l’integrazione nella società irachena di questi profughi lontani dalla propria terra da tanti anni?

 

R. – Ci sarà da fare un’operazione molto capillare, perché queste persone non hanno più un’abitazione. Questo è il problema numero uno. Hanno perso tutto, sono scappati letteralmente portando con sé solo quello che avevano addosso. Parliamo degli sciiti, che sono stati repressi dopo la rivolta nel ’91, gente che ha lasciato tutto e che adesso non ha più riferimenti. Quindi, bisognerà occuparsi di loro in maniera abbastanza completa. C’è bisogno di molte risorse. Per adesso l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati ha chiesto 118 milioni di dollari alla comunità internazionale e ci auguriamo di avere risposte positive, per lo meno in questa fase.

 

D. – Ci sono iniziative particolari per raccogliere fondi a favore di questa battaglia di civiltà?

 

R. – Sì, vorrei segnalare il “Pavarotti and Friends”, che quest’anno sarà dedicato proprio a questo: ai rifugiati iracheni nei Paesi limitrofi per aiutarli a rifarsi una vita, a riportarli a casa e ad integrarsi. La storia di questa gente è stata molto trascurata in questa crisi sovraesposta. Quindi, direi che è molto giusta la scelta di volere invece continuare a parlare di un Iraq fuori casa, cioè di quegli iracheni che hanno sofferto più di tutti il regime e che per sopravvivere sono stati costretti alla fuga.

 

(musica)

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UNA DENUNCIA DELLA POVERTA’ MATERIALE E MORALE DELL’UOMO

NELLO SPETTACOLO “IL BANCHIERE ERRANTE DI MONI OVADIA.

AI NOSTRI MICROFONI L’ATTORE E CANTANTE EBREO

 

Il 20 per cento degli uomini possiede l’80 per cento delle ricchezze della terra e le usa per scatenare guerre. Questa la denuncia dello spettacolo “Il Banchiere errante”, in scena fino al 18 maggio all’Ambra Jovinelli di Roma e poi al Piccolo Teatro Strehler di Milano. Scritto e diretto da Moni Ovadia, il racconto ironico del rapporto fra ebrei e denaro, cadenzato da brillanti musiche dal vivo di Carlo Boccadoro, intende sfatare pregiudizi e retorica, diventando riflessione universale sulla povertà materiale e morale dell’uomo, come spiega lo stesso protagonista al microfono di A.V.:

 

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R. – Io penso che la colpa non sia del denaro, anzi il denaro è uno strumento formidabile per vedere le relazioni tra gli uomini e dell’uomo con se stesso. Dico sempre: provate a chiedere un prestito quando avete difficoltà economiche e conterete il numero degli amici. Allora, ha una potenza simbolica perché è una cosa che sta per un’altra. Ma questo stare per qualcos’altro permette di celare le pulsioni o di rivelare sul piano simbolico quelle che non hai il coraggio di rivelare su un piano morale. Quindi è un apologo a favore del denaro e invece contro l’uomo che una volta di più, per negare le proprie responsabilità, le scarica sul denaro.

 

D. – Nel finale dello spettacolo la drammatica sequenza di cifre e di percentuali mette a nudo una realtà atroce: quanto le guerre e la povertà sono determinate dal denaro...

 

R. – Oggi c’è la totale subordinazione della politica all’economia, ma non solo della politica, ma anche dei valori. Il finale, però, per tornare al discorso è la denuncia dell’abuso del denaro, è quello che crea gli orrori perché solo un uso diverso del denaro sarebbe salvifico. Il denaro oggi permette di fare interventi rapidi a soccorso di coloro che soffrono e invece è trattenuto a monte. Cito una lunga litania; i dati, che sono presi dal commercio ecosolidale, dai Padri comboniani (mio grande amico è padre Zanottelli), dalla Caritas, dall’Onu,  sono spaventosi: il 6 per cento delle ricchezze delle 200 più grandi fortune del mondo risolverebbero i problemi più urgenti, fame, sanità, istruzione.

 

D. – Colin Powell ha portato a Israele una proposta,che è un’offerta economica per  la pace in Medio Oriente...

 

R. – Credo che l’attivazione di impetuosi processi economici sia una della chiavi di volta, questo non c’è dubbio, di un consolidamento del processo di pace, ma il primo luogo in cui scavare la pace è il proprio cuore. Naturalmente l’economia di Israele è depressa e le depressioni economiche giocano a sfavore dei processi democratici, attivano populismi, demagogie. Certo, poi naturalmente bisognerà che questo flusso economico ricada anche sul popolo palestinese il quale è in condizioni disperate e disperanti. Credo che questo sia una buona cosa, soprattutto se interverrà anche la comunità europea, se interverranno anche altre forze,organismi internazionali ed anche se lo Stato d’Israele che ha strutture molto moderne, intervenga ad attivare gli stessi processi presso il vicino palestinese.

 

D. – Questa speranza la lascia anche, secondo lei, il nuovo governo palestinese?

 

R. – Abu Mazen gode del favore sia del governo israeliano, sia degli americani. Qualunque pace venga fatta dovrà essere sottoposta a referendum presso i due popoli, nella pienezza di un processo democratico.

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CHIESA E SOCIETA’

14 maggio 2003

 

È INIZIATA IERI LA 29.MA ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO EPISCOPALE LATINO AMERICANO: IL PRESIDENTE USCENTE MONS. JIMENEZ CARVAJAL

DENUNCIA UN MONDO “POSSEDUTO DALLA PRESSIONE DEL SUCCESSO”

- A cura di Maurizio Salvi -

 

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TUPARENDA’. = I lavori della 29.ma Assemblea si sono aperti ieri a Tuparendá, in Paraguay, con una conferenza del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi sugli orientamenti per il ministero pastorale, e quindi si sono concentrati sulle incredibili condizioni infraumane in cui vivono milioni di persone in America-Latina. A riguardo è intervenuto il presidente uscente del Celam, mons. Jorge Jimenez Carvajal, secondo il quale l’emarginazione e l’indigenza superano oggi tutto quello che credevamo possibile e portano le persone a pagare il prezzo della morte morale e spirituale per garantire la sopravvivenza fisica. Fra gli esempi avanzati dal vescovo colombiano: il traffico di organi, il sequestro di bambini, la prostituzione dei minorenni, la diffusione del consumo di droga ed il reclutamento forzato dei giovani in atti di violenza. Sul banco degli imputati è salito il fenomeno della globalizzazione che secondo mons. Jimenez Carvajal, compromette oggi le dimensioni socio-economiche e culturali di un mondo posseduto dalla pressione del successo. Nella seconda parte della giornata, invece, l’Assemblea ha ascoltato le relazioni riguardanti i principali problemi esistenti a livello regionale. Oggi i lavori entrano nella parte centrale con una discussione delle linee generali del nuovo piano globale del Celam per il periodo 2003-2007 sul tema “Verso una Chiesa-casa e scuola di comunione e solidarietà in un mondo globalizzato. Umanizzare la globalizzazione, globalizzando la solidarietà”.

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APPROVATA DAL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU

LA MISSIONE DI PACE IN COSTA D’AVORIO: DELL’INIZIALE CONTINGENTE

PROPOSTO DA ANNAN, RESPINTO DAGLI USA PERCHÉ GIUDICATO TROPPO COSTOSO, SONO STATI CONCESSI UN MASSIMO DI 76 UOMINI

 

NEW YORK. = È stata approvata ieri sera all’unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu la missione di pace in Costa d’Avorio. Il Palazzo di vetro ha stabilito di inviare un massimo di 76 osservatori militari, iniziando con un primo contingente di 26 unità che in futuro potranno essere affiancati da altri 50 osservatori, “se il segretario generale lo riterrà necessario e se le condizioni di sicurezza lo permetteranno”, come riportato dall’ambasciatore pachistano all’Onu, Munir Akram, presidente di turno del Consiglio. Inizialmente il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, aveva richiesto al Consiglio di sicurezza un contingente composto, oltre che dai 76 militari poi concessi, anche di 85 civili provenienti dall’estero e altri 89 locali per funzioni di amministrazione e gestione della missione. Gli Stati Uniti si sono opposti definendo dispendiosa questa ipotesi e opinando per una riduzione della componente militare della Minuci. La missione comprenderà comunque anche osservatori civili, cui saranno affidate le questioni politiche, legali, umanitarie e di diritti umani. Il loro compito sarà quello di mantenere sotto osservazione il processo di ‘cessate-il-fuoco’ sottoscritto dalle fazioni in lotta negli scorsi mesi. I Caschi blu, con un mandato iniziale di sei mesi, affiancheranno i 4000 soldati francesi già presenti da mesi in territorio ivoriano, ed i 1250 inviati dalla Comunità economica dei Paesi dell'Africa occidentale. Come le altre missioni Onu, anche quella in Costa d'Avorio sarà identificata da un acronimo: 'Minuci', dal francese “Mission des Nations Unies en Côte d'Ivoire”. La Costa d’Avorio nelle ultime settimane sembra lentamente avviata verso la normalità,  dopo essere stata scossa per mesi da una crisi, iniziata con il tentativo di colpo di Stato del 19 settembre 2002. (S.C.)

 

 

ESPLOSIONE IN UNA MINIERA DI CARBONE IN CINA: ALMENO 63 PERSONE SONO MORTE, MENTRE 23 RISULTANO AL MOMENTO DISPERSE

 

PECHINO. = A seguito dell’esplosione avvenuta ieri in una miniera di carbone nella zona orientale della Cina, almeno 63 persone sono morte e altre 23 risultano disperse. L’incidente si è verificato nella cava di Luling, di proprietà dello Stato, situata vicino alla città di Hefei intorno alle 16, ora locale. Al momento dell’esplosione in miniera si trovavano 113 persone: fin’ora le persone portate in salvo sono 27, dieci delle quali si trovano in ospedale. Le squadre di soccorso, che finora hanno recuperato alcune decine di cadaveri, temono di non riuscire a riportare all’aperto in vita altri minatori rimasti intrappolati all’interno della miniera, che si trovano a 590 metri sotto il livello del suolo. È stata aperta un’indagine sulle cause della tragedia, che per il momento restano ancora tutte da verificare. L’industria mineraria cinese è la principale al mondo, ma è anche quella che fa registrare il maggior numero di infortuni sul lavoro, dovuti principalmente alla mancanza di un’adeguata formazione dei lavoratori ed alla mancanza di adeguate misure di sicurezza: in base ai dati del Governo l’anno scorso sono stati 4.500 i minatori rimasti uccisi in incidenti sul lavoro, benché le stime non ufficiale arrivino a contare diecimila morti. (S.C.)

 

 

STASERA AL VARO LA 56.MA EDIZIONE DEL FESTIVAL DEL CINEMA DEI CANNES, QUEST’ANNO DEDICATO A FEDERICO FELLINI, NEL DECENNALE DELLA SUA MORTE.

- A cura di Robert Molhant -

 

CANNES.= Si apre questa sera la 56.ma edizione del Festival del cinema di Cannes con la proiezione fuori concorso del film “Fanfan La Tulipe”, nel quale Vincent Perez dà libero corso al suo talento di schermitore e Penelope Cruz, succede a Gina Lollobrigida. Il Comitato selezionatore ha visionato circa 2.500 film, scegliendone soltanto 20 di 13 Paesi. Ci si ritroverà l’iraniana Samira  Makhmalbaf, Lars von Trier, Berdrand Blier, André Téchiné, Denys Arcand, Clint Eastwood, Alexander Sokourov, Peter Greenaway. Il festival di quest’anno sarà dedicato a Federico Fellini – nel decennale della morte , il cui grido “Viva il Cinema” campeggia nel manifesto di Cannes 2003 , mentre altri omaggi saranno resi a Jeanne Moreau, Maurice Pialat e Daniel Tosca du Plantier. Quest’anno il Festival sarà anche musicale, saranno infatti seguiti brani di Nino Rota. Per chi non potrà entrare nel Palazzo del cinema i film sarà proiettati sulla spiaggia, mentre gli assenti potranno visitare il sito Internet del Festival.

 

 

“VIAGGI TRA TERRE, UOMINI E SPIRITI”: QUESTO IL TITOLO DELLA MOSTRA A GENOVA DEDICATA A QUANTI, DA OLTRE 400 ANNI,

SI SPINGONO IN TERRE LONTANE PER AIUTARE GLI ALTRI

- A cura di Dino Frambati -

 

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GENOVA. = Missionari, ma anche esploratori i frati cappuccini, da quasi 400 anni, da quando cioè spingendosi in terre lontane per aiutare gli altri, scoprirono anche usi, costumi e dimensioni spirituali fino ad allora sconosciuti alla nostra cultura. A testimoniare tutto ciò è il contenuto di una mostra che si è aperta presso l’auditorium, accanto alla Chiesa di Santa Caterina a Genova, dal titolo “Viaggi tra terre, uomini e spiriti”. Una rassegna dove è possibile ammirare i manoscritti di padre Giovanni Galazzi, che reca testimonianze importanti dell’Africa Nera del 1670, oppure di padre Giuseppe Maria che si inoltrò fino al Tibet, o le memorie scritte da padre Annibale di Genova che nel 1751 iniziò un viaggio verso l’America Latina via Lisbona. Scritti esemplari che si affiancano agli oggetti, altri protagonisti della mostra. Da citare un cavaliere “Dogon” ligneo del XVII sec. Proveniente dal Mali; una collezione di croci etiopi uniche in Europa e ricche di spiritualità ed un Buddha thailandese del XIX sec., oltre a vari feticci di chiodi diffusi tra le popolazioni del Congo. A concludere la rassegna ci sono anche foto ed immagini, forse sbiadite dal tempo, ma significative a farci comprendere come la fede spesso aiuti anche conoscenza e cultura.

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DENUNCIA DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE CONTRO LA TORTURA:

CINQUE PERSONE, ACCUSATE DI ESSERE COMBATTENTI MAYI-MAYI,

SONO STATE TORTURATE E RINCHIUSE IN CONDIZIONI DISUMANE

NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

 

KINSHASA. = Cinque persone sono detenute in condizioni disumane in un carcere sotterraneo a Kitshanga, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Lo denuncia l’Organizzazione mondiale contro la tortura (Omct) in una lettera aperta inviata a Adolphe Onusumba, presidente della ‘Coalizione congolese per la democrazia’ (Rcd-Goma), la formazione ribelle che controlla la zona orientale dell’ex Zaire. Janvier Buingo, Shekyumba, Bahati Zingza, Kabongo e Pascal Kalisa, come scritto nel documento, sono stati arrestati un mese fa senza un preciso mandato da un battaglione militare con l’accusa di essere combattenti Mayi-Mayi, uno dei gruppi armati che combatte contro la Rcd-Goma. Secondo le informazioni raccolte dall’Omct, i cinque sarebbero stati torturati e sono detenuti in condizioni precarie, senza acqua né cibo. Fino ad ora sarebbe stato negato l’accesso ai parenti, che non avrebbero quindi potuto visitare i detenuti né consegnare loro alcune medicine. (S.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

14 maggio 2003

 

- A cura di Giada Aquilino -

 

 

Un nuovo attentato terroristico ad opera di una donna kamikaze è stato compiuto oggi in Cecenia e ha causato almeno venti morti. Lo ha annunciato l'amministrazione filorussa a Grozny. L’ennesima azione separatista è avvenuta nel villaggio di Iliskhan-Iourt, nella regione di Vedeno, nel sud est della Repubblica caucasica. Soltanto lunedì scorso, sempre in Cecenia, l’esplosione di un camion-bomba contenente 2 tonnellate di tritolo aveva provocato 59 vittime a Znamenskoie.

 

Ancora violenze nei Paesi arabi. Dopo l’attentato di lunedì sera a Riad, costato la vita ad almeno 34 persone, oggi nella città yemenita di Jibla - 300 chilometri a sud di Sanaa - un giudice è rimasto ferito per l’esplosione di una bomba in un tribunale. Un uomo è stato arrestato: è sospettato di aver lanciato una granata all’interno del tribunale. Nello stesso palazzo di giustizia, la scorsa settimana era stato condannato a morte un esponente di Al Qaeda, giudicato responsabile dell’uccisione di tre cittadini statunitensi.

 

Intanto, proprio in relazione all’attentato di Riad contro tre complessi residenziali abitati prevalentemente da occidentali, il presidente americano Bush ha assicurato che gli Stati Uniti non abbasseranno la guardia contro il terrorismo. Per il segretario di Stato Usa Powell, ieri sul luogo della strage, non c’è dubbio che dietro gli attentati ci sia Al Qaeda. Il servizio da New York:

 

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Proprio nei giorni scorsi le autorità saudite e americane avevano lanciato la caccia a 19 membri dell’organizzazione di Osama Bin Laden, sospettate di preparare attentati in concomitanza con la fine della guerra in Iraq e l’arrivo di Powell a Riad. Il capo della diplomazia di Washington è stato in Medio Oriente per promuovere il nuovo piano di pace tra israeliani e palestinesi e ieri è arrivato in Arabia come previsto, nonostante gli attentati. Powell ha detto che il terrorismo colpisce ovunque ed è una minaccia per l’intero mondo civilizzato. Il dipartimento di Stato ha richiamato in patria dall’Arabia Saudita tutto il personale diplomatico non essenziale. Il presidente Bush ha dichiarato che l’attacco di Riad ricorda a tutti che la guerra al terrorismo continua e ha promesso di vincerla, impegnandosi nello stesso tempo a stabilizzare l’Iraq. Alcuni parlamentari però hanno detto che forse gli attentati si potevano evitare, se Washington si fosse concentrata su Al Qaeda invece che su Baghdad.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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E da Riad, Powell è volato a Mosca dove ha già incontrato il ministro degli Esteri russo Igor Ivanov, per colloqui su Iraq e Medio Oriente. Al termine dell’incontro, Powell ha accusato i ''terroristi internazionali'' per gli attentati in Cecenia e in Arabia Saudita, sottolineando come Stati Uniti e Russia debbano ''lavorare insieme'' per sconfiggere le ''minacce transnazionali''. Powell in giornata sarà ricevuto al Cremlino dal presidente russo Putin, il quale il 1° giugno a San Pietroburgo incontrerà il presidente statunitense George Bush.

 

Decine e decine di iracheni in lacrime hanno assistito questa mattina all'esumazione di centinaia di corpi da una fossa comune presso la città di Al Hilla, nella provincia di Babilonia, 100 km a sud di Baghdad. I marine americani hanno riferito che 2600 corpi sono stati già riportati alla luce, ma secondo alcune testimonianze la fossa potrebbe contenerne 10 mila. Ieri il Congresso nazionale iracheno (Cni) di Ahmed Chalabi aveva annunciato che nella fossa comune erano stati scoperti i resti di 15 mila persone, uccise dal regime di Saddam Hussein.

 

Sono stati liberati e stanno bene 17 dei 32 turisti europei scomparsi nel Sahara algerino dal 19 febbraio scorso. La liberazione è avvenuta ad Amguid, nella regione di Tamanrasset, circa 1900 chilometri a sud di Algeri, dopo un'operazione condotta dalle forze armate. A catturare i 32 turisti - 16 tedeschi, 10 austriaci, 4 svizzeri, un olandese e uno svedese - sarebbe stato un gruppo armato non identificato. Al momento si ignora la sorte degli altri ostaggi, mentre è stata confermata la morte di 9 rapitori, uccisi dall’esercito algerino.

 

Sono forti le proteste nei centri arabi di Israele per il blitz dello Shin Bet, la forza di sicurezza interna, che ieri ha arrestato 15 integralisti islamici arabi-israeliani sospettati di aiutare economicamente le famiglie dei kamikaze palestinesi. Stamani, poi, un attivista palestinese è stato ucciso in scontri con i soldati  dello Stato ebraico a Nablus, nel nord della Cisgiordania. La cronaca delle ultime ore, nel servizio di Graziano Motta:

 

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E’ stata una notte di violenze nella Striscia di Gaza. Militari israeliani a protezione dell’insediamento di coloni di Netzarim hanno reagito ad un attacco di guerriglieri palestinesi, uccidendone quattro e ferendone almeno uno. Il bilancio non coincide con un’altra versione, secondo cui si trattava di agenti della sicurezza palestinese, tre dei quali erano stati uccisi e due feriti. Nel sud della Striscia, a Khan Yunis, reparti blindati israeliani hanno demolito delle abitazioni palestinesi da cui provenivano sparatorie ostili. Uno degli elicotteri di appoggio ha sganciato un missile, che ha causato 26 feriti. La persistente violenza mistifica gli sforzi di pace, segnati tuttavia da divergenti posizioni occidentali. Il presidente di turno dell’Unione europea e ministro degli Esteri greco Papandreu - contrariamente al segretario di Stato Usa, Powell - ha voluto incontrare Arafat. Il primo ministro israeliano Sharon per questo avrebbe fatto a meno di riceverlo. Alla fine ha avuto con lui un colloquio, ma i suoi collaboratori anticipano che non vedrà il rappresentante dell’Unione europea, Solana, anch’egli incaricato di sostenere la “Road Map”, cioè il piano di pace del presidente Bush.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Sembrava che fosse tornata la calma a Bunia, nel nord est della Repubblica Democratica del Congo, dopo giorni di scontri tra le etnie Hema e Lendu. Ma stamani tiri d’arma da fuoco sono stati uditi nuovamente nel capoluogo dell’Ituri, dove continuano a imperversare i ribelli dell’Unione dei patrioti congolesi di Thomas Lubanga. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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Gli uomini di Lubanga in queste ultime ore si sono macchiati degli stessi crimini commessi nei giorni scorsi dai reparti appartenenti all’etnia Lendu, che fino a lunedì controllavano la città congolese. Testimoni oculari parlano di una situazione disperata, fatta di morte e distruzione. In città regna sempre più il caos, il tutto sotto gli occhi degli uomini della Monuc, la missione delle Nazioni Unite nell’ex Zaire, che continuano ad essere spettatori inermi del dramma che li circonda. Intanto, è giunta notizia che sono fuggite le centinaia di poliziotti, spediti dal governo di Kinshasa qualche giorno fa per garantire l’ordine nella città congolese, dopo il ritiro delle truppe ugandesi. Senza elettricità, acqua e cibo da cinque giorni, Bunia ormai è sempre più un inferno.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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“Non vi deluderò”. Con queste parole l'ex presidente argentino Carlos Menem ha assicurato ieri sera i propri sostenitori, mentre sono ancora forti le voci su una sua intenzione di rinunciare a sfidare Nestor Kirchner nel ballottaggio presidenziale di domenica prossima. Oggi Menem renderà nota la sua posizione.

 

Si è aperto oggi al Tribunale penale internazionale dell'Aja il processo a tre ufficiali serbo bosniaci accusati di aver partecipato nel ’95 al massacro di oltre 7000 musulmani a Srebrenica, nella Bosnia orientale. Gli accusati dovranno rispondere di genocidio e crimini contro l'umanità e di guerra.

 

La Camera bassa del Parlamento russo, la Duma, ha ratificato oggi il Trattato che riduce ad un terzo gli arsenali nucleari russi e statunitensi. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri di Mosca. Il Senato degli Stati Uniti aveva in passato già ratificato l'accordo, noto formalmente come ''Trattato di Mosca''.

 

Un milione, due secondo i sindacati. Tanti erano ieri in Francia i lavoratori scesi in piazza per manifestare contro la decisione del premier Jean-Pierre Raffarin di riformare il sistema pensionistico, aumentando il numero degli anni lavorati prima di avere diritto alla pensione. Di fronte allo sciopero, che ha paralizzato trasporti aerei, ferroviari e autoferrotranviari, il governo di centrodestra ha detto che la riforma delle pensioni andrà avanti ad ogni costo.

 

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