RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 133 - Testo della
Trasmissione di martedì 13 maggio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Si riunisce da oggi in Paraguay il Consiglio Episcopale
Latinoamericano.
Continua l’ondata di
violenza nella Repubblica Democratica del Congo.
In India,
nella diocesi di Bagdogra, è stato inaugurato il primo ospedale cattolico.
Sanguinoso attentato a Riad; oggi Powell nella
capitale araba per discutere la pace in Medio Oriente.
In corso la storica visita in Libano del
presidente iraniano, Kathami.
Riprendono dopo un anno e mezzo le relazioni
diplomatiche tra India e Pakistan.
13 maggio 2003
LA RICCHEZZA DEL
PATRIMONIO LITURGICO E LE SFIDE POSTE AI CRISTIANI
DALLA
SECOLARIZZAZIONE, IN PRIMO PIANO NEI DISCORSI RIVOLTI STAMANI
DA GIOVANNI PAOLO II A DUE GRUPPI DI PRESULI
INDIANI, DI RITO
SIRO-MALABARESE E SIRO-MALANKARESE, RICEVUTI IN UDIENZA
AL TERMINE
DELLA VISITA AD LIMINA
- Servizio di Alessandro Gisotti -
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La celebrazione dell’Eucaristia
nel rito siro-malabarese ha svolto “un ruolo vitale nel modellare l’esperienza
della fede in India”. Giovanni Paolo II lo ha sottolineato indicando come il
mistero eucaristico vada vissuto quale “fonte di riconciliazione”. D’altro
canto, ha avvertito, i presuli sono chiamati a vigilare attentamente contro “lo
sperimentare di singoli sacerdoti che attentano all’integrità della liturgia”.
Il Pontefice ha, così, esortato a “rinnovare il patrimonio rituale alla luce
dei documenti conciliari”. Un rinnovamento possibile, che attraverso una catechesi
adeguata “potrà portare frutti abbondanti”. Ha, quindi, espresso parole di
incoraggiamento, affinché “la liturgia non sia soltanto studiata, ma anche celebrata
nella sua integrità e bellezza”. Di qui, il Pontefice ha rivolto l’attenzione
alla cura pastorale dei cattolici orientali dell’India. Riecheggiando l’Ecclesia
in Asia, ha messo l’accento sul bisogno di “superare paure e
incomprensioni, a volte emerse tra le Chiese orientali e la Chiesa latina”. In
tale contesto, ha lodato gli “sforzi” compiuti dai presuli siro-malabaresi per
superare tali ostacoli. L’autentica evangelizzazione, ha proseguito, “deve
essere sensibile alla cultura e le tradizioni locali”, sempre rispettando il
“diritto inalienabile di ogni persona alla libertà religiosa”. Tuttavia, “tale
apertura non deve mai indebolire l’impegno a proclamare Cristo, via, verità e
vita”.
Nel discorso indirizzato al
gruppo di presuli siro-malankaresi, il Santo Padre ha ricordato come la loro
sia una delle realtà cattoliche cresciute più velocemente nel mondo. Quindi, ha
messo in rilievo l’“eredità mistica” dell’India. “La tradizione liturgica
siro-malankarese - ha constatato - è un tesoro che riflette la natura
universale dell’opera salvifica di Cristo nello straordinario contesto indiano”.
Giovanni Paolo II non ha poi mancato di rimarcare il ruolo della Chiesa in un
tempo di secolarizzazione come quello attuale. I presuli, ha avvertito, devono
indicare ai fedeli l’urgenza di una “sempre più profonda riflessione sulle
questioni sociali e morali”. Tutti i cristiani, ha ribadito, sono chiamati a
contrastare “l’attuale crisi di valori”, nella testimonianza costante di
“quelle verità universali che vanno manifestate nella vita quotidiana”. Per rispondere
a questa sfida, ha spiegato, è necessaria “un’inculturazione dell’etica
cristiana a tutti i livelli della società umana”. Un obiettivo complesso, ha
affermato, “che non può essere ottenuto senza un’adeguata riflessione e
valutazione”, assicurando che il messaggio di Cristo “non sia mai modificato
nel tentativo di renderlo socialmente o culturalmente più accettabile”.
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IL DOLORE DEL PAPA PER
L’UCCISIONE DI DUE SACERDOTI
E PER LE ALTRE VITTIME DELLA VIOLENZA
NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
- A cura di Paolo Salvo -
Il Papa ha espresso il suo dolore per le recenti
vittime della violenza, tra cui due sacerdoti, nella Repubblica Democratica del
Congo, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo
Sodano, indirizzato al vescovo di Bunia, luogo del massacro avvenuto nella
notte tra sabato e domenica.
“Sconvolto dai fatti drammatici
che hanno causato la morte dei padri François Xavier Mateso ed Aimé Ndjabu,
della parrocchia di Nyakasanza, il Santo Padre – è detto nel messaggio – affida
i defunti, così come tutte le persone che sono state uccise nelle stesse
circostanze, alla misericordia infinita del Dio d’amore e di pace. Le esprime
la sua viva partecipazione e la incarica di assicurare della sua preghiera i familiari delle vittime ed i cristiani
della parrocchia di Nyakasanza. Il Papa – prosegue il telegramma – invita
ciascuno ad impegnarsi ogni giorno alla sequela di Cristo per rifiutare la violenza,
che è una strada senza avvenire, e per costruire una pace durevole fondata
sulla giustizia e sul rispetto delle persone. In segno di conforto, Sua Santità
impartisce la Benedizione Apostolica a tutte le persone toccate da questo
lutto”.
Il Papa ha nominato capo ufficio nella Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli mons. Francesco Di Muzio, della Prelatura
dell’Opus Dei.
In Ucraina, il Santo Padre ha
nominato vescovo coadiutore dell’eparchia di Kolomyia-Chernivtsi il sacerdote
Volodymyr, di 44 anni, finora decano di Tlumach e vicario giudiziale della
stessa circoscrizione ecclesiastica.
- Intervista con mons. Tarcisio
Bertone -
22 anni fa, il 13 maggio 1981,
giorno anniversario dell’apparizione della Madonna a Fatima, una mano ha
attentato alla vita di Giovanni Paolo II. Un fatto sconvolgente, come per far
tacere la voce profetica del “Papa venuto da lontano“, che con il suo
autorevole ed incisivo ministero pastorale ha esercitato un influsso positivo
in momenti decisivi per le sorti dell’umanità. Sorprendente la data
dell’attentato in Piazza San Pietro, proprio il 13 maggio, giorno dedicato
dalla Chiesa alla Madonna di Fatima. Come leggere oggi questo drammatico avvenimento?
C’è un legame tra l’intervento straordinario della Madonna nella vita del Papa,
che poi si è rivelato al centro del terzo segreto di Fatima, al centro di un
disegno più ampio legato al crollo dei muri, con l’attuale fase storica che
stiamo vivendo? Al microfono di Carla Cotignoli risponde l’arcivescovo di
Genova, mons. Tarcisio Bertone.
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R. - E’ una connessione molto
bella. Sappiamo qual è la devozione profonda del Papa a Maria, Totus Tuus
e sappiamo come Maria ha avuto una protezione speciale per il nostro Papa,
deviando quella pallottola in modo da salvargli la vita. Così, la Signora del
messaggio di Fatima continua a leggere i segni del nostro tempo, a guidare il
Papa, a guidare anche noi in questa opera di salvezza.
D. – Il Papa, proprio in questo ultimo tempo, con
grandissima insistenza ha richiamato tutta l’umanità e ha suscitato un’ondata
di preghiera a Maria, un’ondata di rosari proprio per la pace, nei momenti
drammatici che abbiamo vissuto. Secondo lei, così come si è visto il disegno di
Fatima compiersi con il crollo dei muri e con la salvezza del Papa stesso, si
può vedere un qualche segno dell’intervento di Maria anche nei drammi del mondo
di oggi?
R. – E’ ancora troppo presto per verificare i risultati positivi di questa
preghiera massiccia e incessante che sale dalla terra al cielo e che il Papa ha
proposto, però qualche segno si può già vedere. Anzitutto a me sembra che un
segno positivo sia l’atteggiamento dei
musulmani che hanno saputo distinguere bene il problema guerra dal
problema dello scontro di religione ed hanno apprezzato unanimemente l’azione
del Santo Padre e quindi l’atteggiamento della Chiesa cattolica. D’altra parte,
sappiamo che la preghiera è un’arma debole apparentemente ma è un’arma potente
per cambiare la storia del mondo, come avvenuto nei tornanti dell’evoluzione
della storia, quindi è un’arma debole, ma un’arma molto potente la preghiera e
in modo speciale il rosario. Quindi la promessa della Madonna a Fatima – “alla fine il mio cuore
immacolato trionferà” – la promessa sicura, indefettibile della vittoria del bene
sul male e della vittoria della maternità di Maria e quindi della potenza di
Dio su ogni difficoltà e su ogni ostacolo che si possa frapporre al progetto di
Dio.
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LA SOLIDARIETA’ DEL
PAPA ALLA POPOLAZIONE DELLA COLOMBIA,
MARTORIATA DALLA VIOLENZA, ATTRAVERSO
UNA DELEGAZIONE DI VESCOVI D’EUROPA E NORD AMERICA,
CON IL PATROCINIO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO “COR
UNUM”
- A cura di Paolo Salvo -
Una delegazione di vescovi europei e nordamericani,
patrocinata dal Pontificio Consiglio Cor
Unum, si è recata ieri in Colombia, dove resterà fino al 19 maggio, per
recare il messaggio e la solidarietà di Giovanni Paolo II alla popolazione di
questo Paese latinoamericano, “che vede continuamente minacciati dal terrorismo
– come nota un comunicato – la convivenza pacifica e i diritti umani”.
La delegazione, guidata dall’arcivescovo Paul Josef
Cordes, presidente di Cor Unum,
organismo caritativo della Santa Sede voluto da Paolo VI nel 1971, comprende il
direttore dell’organizzazione tedesca Misereor,
mons. Josef Sayer, e i rappresentanti delle Conferenze episcopali di Italia,
Spagna, Francia, Austria, Svizzera e Stati Uniti d’America.
Il fitto programma della visita, sia ecclesiale che
civile, prevede incontri della delegazione ad alto livello, con il presidente
della Repubblica, Alvaro Uribe Vélez e con altre autorità, con il nunzio
apostolico Beniamino Stella, con i vescovi della Colombia, con esponenti delle
organizzazioni non governative cattoliche, sia con i rappresentanti dell’Onu
per i diritti umani e per i rifugiati.
I temi guida che i vescovi affronteranno nei loro
incontri saranno “le indicazioni del Santo Padre sulla costruzione di una
civiltà dell’amore e sulla corresponsabilità tra le istituzioni dello Stato e
della Chiesa per combattere l’ingiustizia, la povertà e la violenza”. Nel
comunicato si ricorda che la Fondazione Populorum
Progressio, voluta da Giovanni Paolo II con sede a Bogotà e presieduta da Cor Unum, dal 1992 ad oggi, ha erogato
aiuti per 15 milioni di dollari in favore delle popolazioni indigene e
contadine dell’America Latina.
“In un momento in cui la Chiesa in Colombia continua
a subire episodi di violenza”, la nota di Cor
Unum indica nella visita di questa delegazione di vescovi europei e nordamericani
“una manifestazione di comunione ecclesiale ed un forte appello alla
solidarietà di tutto il mondo con questo Paese martoriato, quale ‘arma’ per
incamminarsi su una strada di pace”.
LA
SOLLECITUDINE DELLA CHIESA CATTOLICA PER LO SVILUPPO,
LA GIUSTIZIA E LA PACE, IN UN
DISCORSO A COTONOU (BENIN)
DELL’ARCIVESCOVO RENATO MARTINO,
NEL SUO PRIMO VIAGGIO PASTORALE
IN AFRICA COME PRESIDENTE
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA
GIUSTIZIA E DELLA PACE
- A cura di Paolo Scappucci -
“Lo sviluppo non può costruirsi su conflitti,
discriminazioni, rancori, esclusioni né sulla forza delle armi. Esso richiede
l’accordo, la solidarietà, l’unione delle forze, l’attenzione all’altro, la
giustizia, il rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti”. Lo
afferma il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace,
arcivescovo Remato Martino, a Cotonou, nel Benin, in un discorso sul tema: “La
sollecitudine della Chiesa cattolica per lo sviluppo, la giustizia e la pace”,
all’apertura di un convegno organizzato dalla Fondazione Adenauer e dal locale
Istituto degli Artigiani della Giustizia e della Pace, con titolo: “Stabilità
politica e sviluppo: l’apporto della dottrina sociale della Chiesa” (13-15
maggio 2003).
Il presule, al suo primo viaggio pastorale in Africa
da quando ricopre il nuovo incarico a capo del dicastero, affronta tra l’altro
il grave problema delle cause dei conflitti che insanguinano il continente,
individuandone una anzitutto nella cupidigia delle risorse di cui abbondano il
suolo e il sottosuolo africano. “Tali ricchezze – rileva l’arcivescovo Martino
– sono bramate da gruppi d’interesse che sfruttano l’estensione e la permanenza
dei conflitti per sporchi commerci, versando tangenti ai dirigenti dei Paesi
produttori. Ci vorrebbe – egli aggiunge – più solidarietà, più giustizia, più
partecipazione alla gestione di queste risorse”.
Un’altra causa di conflitti non meno preoccupante,
indicata dall’arcivescovo Martino, è l’esclusione dell’altro, sotto forma di
discriminazione etnica e di odio razziale, per superare i quali necessitano
educazione ai valori e conversione dei cuori, così da favorire l’accettazione
del diverso, l’apprezzamento reciproco, il mutuo rispetto. L’esigenza di pace
tra gruppi e popoli per il presule deve tradursi in una solidarietà più grande.
“Si tratta – egli afferma – di un’esigenza avvertita in maniera urgente
nell’epoca della mondializzazione, in cui l’accento sulla libertà del mercato
rischia di lasciare ai margini del progresso e dello sviluppo zone intere del
pianeta e una parte importante dell’umanità, che non possono concorrere a forze
pari con i Paesi industrializzati”.
Evidenziando che il diritto allo sviluppo e il
diritto alla pace sono indivisibili e interdipendenti, mons. Martino rileva che
la vera elevazione dell’uomo si ottiene con il rispetto dei valori come il
diritto alla vita, l’identità di ciascun popolo, l’uguaglianza tra le persone,
la solidarietà, la libertà, la verità, la salvaguardia dell’ambiente. Sul
problema cruciale del debito internazionale, il presidente di Giustizia e Pace
ripete tra l’altro la necessità che le somme liberate dalla remissione di tale
debito siano investite in settori prioritari come la sanità, l’educazione e gli
altri servizi sociali: alla generosità dei Paesi industrializzati deve corrispondere
un più acuto senso di responsabilità da parte dei Paesi beneficiari. Facendo
eco alle parole del Papa, l’arcivescovo Martino ribadisce che l’Africa non ha
bisogno di pietà, ma di solidarietà e di giustizia. D’altra parte, gli africani
non potranno da soli uscire dal marasma in cui li hanno affondati decenni di
dipendenza e di oppressione, di violenze e di antagonismi d’ogni sorta. Vi
riusciranno unicamente con l’aiuto e la solidarietà della comunità
internazionale.
FU APOSTOLA
DELLA GIOVENTU’ FEMMINILE DI MEZZA EUROPA IN TEMPI DIFFICILI,
ORSOLA LEDÓCHOWSKA CHE IL PAPA PROCLAMA SANTA
DOMENICA PROSSIMA
- A cura di Giovanni Peduto -
Giulia Maria Ledóchowska, poi Orsola in religione,
era nata nel 1865 a Loosdorf, in Austria, dove allora la famiglia, che era
polacca, risiedeva in una tenuta di loro proprietà.
A 21 anni entrò nel convento delle Orsoline di
Cracovia, in Polonia, dove fu insegnante ed educatrice, venendo molto apprezzata
per la sua attività in questi settori. Con un profondo intuito spirituale ed
apostolico provvide ad istituire un pensionato per signorine. Animata come era
da un grande zelo apostolico, fondò al tempo stesso, tra le studentesse,
l’Associazione delle Figlie di Maria: essa infatti intendeva soprattutto far sì
che le giovani crescessero con un’educazione radicata nei valori cristiani e
questi fossero da loro autenticamente vissuti e professati. Per 3 anni la
Ledóchowska esercitò le funzioni di Superiora del convento delle Suore Orsoline
di cui faceva parte; si recò successivamente in Russia, dove riuscì ad
adattarsi, con molta sagacia e generosità, alle condizioni in cui era venuta a
trovarsi: imparò la lingua russa, superò l’esame di Stato e così nel 1908 la
filiale del convento di Cracovia divenne una casa autonoma delle Orsoline nella
stessa città di Pietroburgo, con un pensionato per ragazze.
Nel
1910, sempre attenta alle necessità altrui, Orsola Ledóchowska diede avvio in
Carelia – appartenente allora alla Russia – ad una scuola per ragazze diretta
secondo le più moderne idee pedagogiche di quei tempi: l’edificio era situato
presso una spiaggia sul golfo di Finlandia. Di qui il nome dato alla casa appunto
di Merentähti (‘stella del mare’ in finlandese). Ivi aprì anche una
scuola all’aria aperta per le giovani di salute cagionevole. Spinta dall’amore
di Cristo, stabilì pure contatti con la popolazione locale di religione
protestante: con la sua bontà Orsola aprì i cuori della gente e la cappella cattolica
divenne ben presto luogo di preghiera anche per i finlandesi.
Lo
scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914 fu causa di un nuovo indirizzo
della sua vita: essendo di cittadinanza austriaca, la Ledóchowska divenne
oggetto di persecuzione da parte della polizia russa e, a motivo di ciò,
dovette trasferirsi in Svezia, a Stoccolma: qui ella riuscì ben presto a dare
avvio ad una scuola e ad aprire un pensionato. Nel suo intento di sostenere i
cattolici nella fede, fin dal 1916 fondò anche il giornale Solglimtav,
che tuttora si pubblica ad Uppsala, anche se con un titolo diverso da quello
originario (attualmente Katolsk Kyrkotodnig).
Nel
1917 la Ledóchowska si trasferì dalla Svezia alla Danimarca allo scopo di
svolgere in questo Paese una intensa opera assistenziale in favore dei profughi
polacchi. Vi rimase fino al 1919, avendo Aalborg come centro della sua
attività. Tutte queste vicende e questi spostamenti da lei vissuti per essere
là dove c’erano delle giovani che avevano bisogno di sostegno e di educazione,
facevano maturare in lei quell’anelito a proposito del quale scriveva a sua
sorella Maria Teresa: “Desidererei riunire tutte le persone che vogliono
lavorare per Dio nel campo educativo – e sono tante – per creare una specie di
“cavalleria leggera”, che potrebbe essere spostata dove necessitano buone
educatrici!”.
Nel
1920 si distaccò dal suo Istituto allo scopo di dar vita ad una nuova
Congregazione religiosa, alla quale diede il titolo di Orsoline del Sacro Cuore
di Gesù agonizzate, ottenendo per essa la prima approvazione nel 1923 e poi
quella definitiva nel 1930. Al momento della morte di Orsola Ledóchowska,
l’Istituto da lei fondato contava oltre 700 suore, operanti apostolicamente in
44 case erette in vari Paesi europei ed anche a Roma, dove la fondatrice si
spense il 29 maggio 1939.
La
Beatificazione di Orsola Ledóchowska fu celebrata dal Santo Padre a Poznań,
in Polonia, il 20 giugno 1983. Domenica prossima lo stesso Giovanni Paolo II la
proclamerà Santa in Piazza San Pietro. Una peculiarità di Orsola Ledóchowska è
stata il suo legame con la Compagnia di Gesù. Ce lo spiega il postulatore della
sua causa di canonizzazione, padre Paolo Molinari:
“Lei era sorella di Wladimiro
Ledóchowski, che fu generale della Compa-gnia fino al 1942, e sorella di Maria
Teresa Ledóchowska, fondatrice del Sodalizio San Pietro Claver, per sostenere
le missioni in Africa. Aveva avuto anche uno zio che era stato cardinale.
Quindi, c’è una ricchezza di ambiente in cui lei crebbe da bambina e a cui si
aprì sempre di più da adolescente e poi da signorina. Tutto questo
evidentemente ha avuto molto a che fare con la sua apertura di spirito apostolico.
Certamente i rapporti che aveva con il fratello Wladimiro e con la sorella, e
una certa conoscenza di quello che era lo spirito della Compagnia di Gesù,
hanno avuto le loro ripercussioni, i loro influssi sul suo modo di lasciarsi
plasmare da Dio ed avere quella mobilità che un’azione apostolica come la sua
richiedeva”.
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La prima pagina si
apre sottolineando con forza il "feroce attentato" compiuto
contro la pace, in riferimento alle due stragi, in Cecenia e in Arabia Saudita,
che in poche ore hanno sconvolto la Comunità internazionale, chiamata ad affrontare
le violenze con metodi efficaci.
Nelle vaticane, nel discorso al
gruppo dei presuli di rito siro-malankarese dell'India, il Santo Padre ha
sottolineato che occorre un'inculturazione dell'etica cristiana a tutti i
livelli della società, assicurando che il messaggio di Cristo non venga mai
diluito o alterato.
Nel discorso al gruppo dei
presuli di rito siro-malabarese dell'India, Giovanni Paolo II ha esortato a
lavorare affinché i fedeli ricevano il sostegno spirituale che meritano.
Un articolo dell'arcivescovo di
Lecce sulla figura di San Mattia Apostolo, di cui il 14 maggio ricorre la
memoria liturgica.
Nelle pagine estere, il
telegramma di cordoglio del Papa per i sacerdoti uccisi durante gli
scontri fra milizie di etnie rivali nella Repubblica Democratica del Congo.
Medio Oriente: Israele chiude
Gaza per il rischio di attentati.
Filippine: ultimatum ai ribelli
islamici.
Un articolo di Gabriele Nicolò
sui lavori, in svolgimento alla Fao, del Comitato sulla Sicurezza alimentare.
Nella pagina culturale, un
articolo di Maria Antonietta Pavese che ripercorre, nel 150 della nascita, la
vicenda biografica ed artistica di Van Gogh.
Nell' "Osservatore
libri", un approfondito contributo di Angelo Mundula su un libro che
raccoglie tutte le opere di Leonardo da Vinci.
Nelle pagine italiane, in primo
piano i temi delle pensioni e dell'economia.
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13 maggio 2003
GLI ATTENTATI DI RIAD E LE
MINACCE DI AL QAEDA:
IN
ARABIA SAUDITA CRESCE L’OSTILITÀ ANTIAMERICANA
- Con
noi, Guido Olimpio ed Alberto Negri -
Si raffreddano i rapporti tra
Stati Uniti ed Arabia Saudita, dopo l’attentato antiamericano di ieri sera a
Riad. Un’azione che “intensificherà la lotta al terrorismo” da parte di
Washington, ha commentato Colin Powell, prima di visitare questa mattina uno
dei luoghi colpiti dell’esplosione. Il segretario di Stato americano si è detto
convinto che nell’azione ci sia “il marchio di Al Qaeda”. E della stessa
opinione è anche
Guido Olimpio, esperto di intelligence del Corriere della Sera,
intervistato da Andrea Sarubbi:
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R. – Sicuramente c’è dietro qualche gruppo che si ispira
ad Osama Bin Laden. Sappiamo infatti che, proprio negli ultimi tempi, la rete
di Osama Bin Laden è cresciuta e si è rafforzata in Arabia Saudita. Proprio per
questo, gli americani avevano invitato i propri cittadini ad escludere l’Arabia
Saudita ed altri Paesi in questo momento.
D. – Possiamo dire che si è rotta definitivamente
l’alleanza del petrolio tra Washington e Riad?
R. – Diciamo che, negli ultimi mesi, il peso specifico
saudita nel Golfo è diminuito sul profilo strategico, perché gli americani sono
ormai in Iraq e qualche settimana fa hanno deciso di spostare il loro comando
centrale in Qatar. Ritengo, comunque, che queste tensioni e questi attacchi
siano legati alla stessa nascita di Al Qaeda, concepita come movimento che
doveva ottenere il ritiro americano dalla zona del Golfo.
D. – Ma Al Qaeda oggi è in declino, come dicono molti a
Washington, oppure no?
R. – Ci sono state delle analisi frettolose che parlavano
della fine di Al Qaeda. È chiaro che gli arresti di personaggi importanti ne
hanno ridotto la capacità strategica, ma ciò non significa che questa rete
terroristica non possa compiere azioni su un quadro regionale. Dopo l’11
settembre, si pensa sempre ad Al Qaeda come ad un’organizzazione in procinto di
compiere maxi attentati. In realtà, da allora ad oggi, i gruppi affini ad Al
Qaeda – magari anche non direttamente collegati – hanno colpito più volte.
Pensiamo a Bali, dove ad ottobre l’esplosione nella discoteca Sari club ha
causato più di 200 morti. Quindi, non è vero che non sia in grado di agire.
R. – In che modo?
D. – È un tipo di azione diversa, ma non escludo che ci
possa essere un altro 11 settembre. Perché non dimentichiamo che, in genere, i
grandi attentati di Al Qaeda sono stati preparati per anni: due, tre anni di
preparazione. Ciò non toglie che nel frattempo ci siano attentati ‘minori’, ma
che comunque hanno provocato perdite.
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L’attentato di Riad, ultimo episodio di un’insofferenza
crescente da parte saudita nei confronti della presenza militare americana,
conferma forse in modo definitivo l’allontanamento politico del Paese arabo
dagli Stati Uniti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Alberto Negri, inviato
speciale del “Sole 24 ore”:
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R. – Questi
attentati arrivano dopo un periodo piuttosto cruciale, importante, preceduto
dalla decisione americana fondamentale di dichiarare il ritiro dei propri
soldati dalle basi in Arabia Saudita. Se ne sono capiti benissimo i motivi, che
sono stati generati soprattutto dalla decisione dell’Arabia Saudita di rifiutarsi
di cedere le basi agli americani per gli attacchi in Iraq. Ed ora che gli Stati
Uniti occupano più o meno stabilmente l’Iraq, è evidente che la decisione
americana vede in qualche modo “sanzionato” un distacco che è stato percepito
molto bene in tutto il mondo arabo.
D. – Proprio nel momento in cui gli americani sono
diventati forti nella regione con la conquista dell’Iraq, ti sembra invece che
paradossalmente siano deboli proprio perché obiettivi di potenziali attacchi
come quello di Riad?
R. – Qualche tempo fa avevo scritto che, se avessero
occupato l’Iraq, gli Stati Uniti avrebbero cambiato una parte della loro stessa
storia, perché da potenza solo transatlantica sarebbero diventati anche una
potenza transatlantico-mediorientale. Evidentemente, con questa azione militare,
sono diventati non soltanto una potenza protagonista della politica
mediorientale, ma un attore coinvolto a tempo pieno, quotidianamente. Sul
versante del processo di pace tra israeliani e palestinesi, quindi, gli Stati
Uniti non possono più apparire i mediatori imparziali, perché hanno degli
interessi diretti, consistenti e quotidiani nella regione. D’altra parte,
proprio questo coinvolgimento li mette in attrito con gli altri Paesi
confinanti con l’Iraq.
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13 maggio 2003
UN “PIANO GLOBALE” PER
AFFRONTARE LE PROSSIME SFIDE DEL CONTINENTE LATINO AMERICANO.
E’ QUESTO IL TEMA DELLA 29.MA ASSEMBLEA ORDINARIA
DEL CELAM,
CHE SI SVOLGE A PARTIRE DA OGGI NELLA CITTÀ DI
TUPARENDÀ, IN PARAGUAY
- A cura di Maurizio Salvi -
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TUPARENDA’. = A partire da oggi
e fino mercoledì prossimo, si svolge a Tuparendà, in Paraguay, la 29.ma
assemblea ordinaria del Consiglio episcopale Latinoamericano (Celam) per il
rinnovo della presidenza dell’organismo. Per quattro giorni nove cardinali, 16
arcivescovi ed oltre 40 vescovi discuteranno la redazione di un nuovo “piano
globale” per la Chiesa cattolica latino-americana degli anni a venire.
L’obiettivo è stato confermato dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto
della Congregazione per i vescovi, che aprirà i lavori con una conferenza sul tema:
“Orientamenti per il ministero pastorale dei vescovi”. Secondo il porporato
l’appuntamento è molto importante perché permetterà di studiare i problemi peculiari
dell’America Latina e le possibilità, per il Continente, di affrontare le sfide
della nostra epoca. A tal riguardo, il presidente uscente colombiano del Celam,
mons. Jorge Enrique Jimenez Carvajal, ha segnalato che fra queste sfide vi sono
la povertà e la fragilità delle democrazie di alcuni Paesi latino-americani.
Per il messicano Riccardo Cueller poi un altro dei temi caldi da esaminare
riguarda la globalizzazione, che presenta limiti e potenzialità, e “ci
interroga su come la Chiesa possa contribuire a frenare i suoi riflessi negativi
sulla gente”. Un tema centrale questo anche per il segretario generale belga
della Commissione dei vescovi dell’Unione Europea, mons. Noel Treanor, invitato
all’incontro. Secondo il presule la Chiesa deve sistematizzare il problema e
vedere come sia possibile coniugare la sua dottrina sociale con la realtà
politica quotidiana.
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“BISOGNA ARRESTARE IL
CICLO DI VIOLENZE CHE STA MARTORIANDO L’ITURI”.
QUESTO L’APPELLO DELL’ARCIVESCO DI KISANGANI, MONS.
MONSENGWO PASINYA,
A SEGUITO DELL’ONDATA DI VIOLENZA CHE STA
INSANGUINANDO
L’AREA NORDORIENTALE DEL CONGO
BUNIA.
= “Le ultime notizie che ci arrivano da Bunia, nel Congo, generano in noi una
profonda inquietudine perché la situazione ci appare troppo grave per non
levare, ancora una volta, la nostra voce di pastori e condannare con fermezza
queste azioni fratricide che stanno decimando la popolazione dell’Ituri”. Lo ha
affermato l’arcivescovo di Kisangani, mons. Laurent Monsengwo Pasinya, manifestando
così la propria preoccupazione per l’ondata di violenza che sta insanguinando
il capoluogo della regione nord-orientale del Paese. Nonostante l’intervento
dei 675 caschi blu uruguaiani inviati dall’Onu, la città congolese continua ad
essere sconvolta dai sanguinosi scontri tra le etnie Lendu e Hema. Nella notte
tra sabato e domenica, nel corso di un assalto alla parrocchia di Nyakasunza,
alla periferia di Bunia, sono state uccise oltre 30 persone da un gruppo di ribelli
di etnia Lendu. Tra le vittime ci sono due sacerdoti: si tratta del parroco,
padre François Mateso, e del vice parroco, padre Aimè Ndjabu. “Chiediamo agli
uni e agli altri - aggiunge mons. Monsengwo - di fermare questo ciclo di
violenza e di avviare, senza indugi, iniziative utili al perdono ed alla
riconciliazione fraterna”. Le speranze di ristabilire un clima di pace nel
Paese sono ora affidate, secondo l’arcivescovo, alla Missione di osservatori
delle Nazioni Unite in Congo (Monuc), al Consiglio di sicurezza dell’Onu ed
alle grandi potenze. “E’ necessario – conclude il presule – che questi soggetti
prendano misure energiche ed efficaci in vista della cessazione delle ostilità
in Ituri e nel Paese”. (A.L.)
GLI
INCIDENTI STRADALI SONO LA PRIMA CAUSA DI MORTE VIOLENTA.
E’ IL DRAMMATICO DATO CHE EMERGE DALLE ULTIME
STATISTICHE DIFFUSE IERI
A GINEVRA DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ
GINEVRA. = Gli incidenti stradali fanno più vittime
delle guerre e dei suicidi. E’ questo il drammatico dato che emerge dalle
ultime statistiche diffuse ieri a Ginevra dall'Organizzazione mondiale della
sanità (Oms). Tra i decessi dovuti ad infortuni o ad atti violenti gli
incidenti stradali, con oltre 1,2 milioni di morti, sono in vetta alla macabra
statistica stilata dall'Oms. I suicidi, con 815 mila vittime l'anno, sono la
seconda causa di morte violenta nel
mondo. Altre cause di morte violenta sono gli omicidi, responsabili del decesso di 520 mila individui l'anno,
gli annegamenti e le intossicazioni. A
questi drammatici dati si aggiungono quelli relativi alle guerra che, con
riferimento all'anno 2000, hanno mietuto 310 mila vittime. “Al notevole numero
di morti – afferma la nota dell’Oms - si sommano i milioni di feriti e disabili
causati ogni anno nel mondo dagli incidenti e dagli atti violenti”. L'Oms
stima, inoltre, che quasi il 90 per cento dei decessi dovuti a traumi
sopraggiungono in Paesi in via di sviluppo. Sono numerosi gli strumenti che hanno
già consentito di ridurre in modo notevole le vittime di atti violenti e
traumi. L'Oms ricorda, tra questi, l'uso della cintura di sicurezza, la lotta
al consumo eccessivo d'alcol, e l’adozione di adeguate norme di protezione sul
lavoro. (A.L.)
SUL
TEMA “BAMBINI E RAGAZZI INDIGENI” SI E’ APERTA IERI A NEW YORK
LA SECONDA SESSIONE DEL FORUM PERMANENTE SULLE POPOLAZIONI
INDIGENE
- A cura di Elena Molinari -
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NEW YORK. = “E’ urgente mettere
i bisogni delle popolazioni indigene fra le priorità delle Nazioni Unite”. Con
queste parole ieri pomeriggio il vice segretario generale dell’Onu, Angela
King, ha aperto lo speciale Forum che il Palazzo di Vetro dedicato alle
popolazioni indigene. A nome di Kofi Annan, King ha presentato tutte le
difficoltà che ancora mettono in pericolo l’esistenza stessa delle popolazioni
native di una terra, ma in minoranza rispetto all’etnia dominante. Discriminazione,
dunque, esclusione dal potere sia economico che politico della maggioranza e
condizioni di emarginazione simbolicamente rappresentate dal volto di un bambino
indigeno. Ed è proprio sui bambini e sui ragazzi che il secondo Forum permanente
si dedicherà con maggiore attenzione, per dare loro le stesse opportunità dei
loro coetanei. Questo senza che debbano rinunciare al patrimonio di cultura e
tradizioni della loro gente.
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“CHIESA
E MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE”. E’ IL TEMA DEL CONVEGNO,
PROMOSSO DALL'UNIVERSITÀ CATTOLICA SAN ANTONIO DI
MURCIA,
CHE SI APRIRÀ GIOVEDI’ PROSSIMO NELLA CITTÀ SPAGNOLA
MURCIA. = Giovedì prossimo si aprirà a Murcia, in
Spagna, il 2º Congresso internazionale sul tema “Chiesa e mezzi di
comunicazione sociale”. Il convegno, promosso dall'Università Cattolica San
Antonio di Murcia, sarà incentrato sul ruolo svolto dai mezzi di comunicazione
cattolici nel XXI secolo. Costituiranno oggetto di dibattito la dimensione
etica e morale dei media, l'evangelizzazione della cultura nella società
dell'informazione, la situazione attuale della stampa e degli strumenti
radio-televisivi cattolici. A presiedere il convegno sarà il presidente del
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, l'arcivescovo John Patrick
Foley. L’incontro si concluderà sabato prossimo con l’intervento del direttore
della Sala Stampa della Santa Sede, Joaquín Navarro Valls. Saranno inoltre
presenti il vescovo di Cartagena, mons. Manuel Ureña, il responsabile dei
servizi informativi centrali della Radio Vaticana, padre Ignacio Arregui, ed il
direttore di Telepace, mons. Guido Todeschini. (A.L.)
NELLA
DIOCESI DI BAGDOGRA, IN INDIA,
È STATO INAUGURATO IL PRIMO OSPEDALE CATTOLICO.
SI TRATTA DEL “NAV JEEVAN HOSPITAL” DELLE
SUORE FIGLIE DELLA CROCE
BAGDOGRA. = Il primo ospedale
cattolico nello Stato indiano del Nord Bengala è stato inaugurato nei giorni
scorsi nella diocesi di Bagdogra. Si tratta del “Nav Jeevan Hospital” delle
Suore Figlie della Croce, una congregazione impegnata nell’assistenza ai poveri
e ai malati presente nella regione dal 1935. La struttura ospedaliera, che
conta 150 posti letto, provvederà alle esigenze sanitarie della popolazione
delle diocesi di Bagdogra, Jalpaiguri e Darjeeling. Sono stati i due presuli
ordinari di Bagdogra e di Darjeeling, mons. Thomas D’Souza e mons. Stephen
Lepcha, a benedire i nuovi locali alla presenza delle autorità locali. Tra
questi, il ministro per lo sviluppo che ha elogiato il prezioso lavoro delle
Figlie della Croce nell’area. (L.Z. - A.L.)
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13 maggio 2003
- A
cura di Giancarlo La Vella -
Almeno 10 americani ed un
numero imprecisato di cittadini di altre nazionalità, per un totale di 25
vittime, hanno perso la vita nell’attentato avvenuto ieri sera a Riad, capitale
dell’Arabia Saudita. Quattro esplosioni, provocate da altrettante autobombe,
hanno devastato una zona residenziale vicino ad interessi statunitensi.
“Nell’azione terroristica c’è il marchio di Al Qaida” - ha detto stamattina il
segretario di Stato americano, Colin Powell, giunto stamani a Riad per colloqui
sul piano di pace israelo-palestinese. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Le prime tre esplosioni, preparate usando autobombe, sono
avvenute una dopo l’altra davanti agli edifici di una zona residenziale abitata
soprattutto da stranieri, mentre per la quarta è stata scelta la sede di una
compagnia saudita e americana. L’Arabia è il Paese di origine di Osama Bin
Laden, che ha spesso citato la presenza delle truppe americane sul suo
territorio come una delle ragioni degli attentati di Al Qaida, la rete
terroristica creata da lui. Alla fine di aprile il Pentagono ha annunciato la
decisione di ritirare le sue forze dall’Arabia per spostarle in Qatar, perché
la caduta di Saddam Hussein ha diminuito la necessità strategica nella regione.
In Iraq, intanto, ieri si sono consegnati agli americani Rihab Rashid Taha,
nota come la “Dottoressa Germe” per il suo ruolo nel programma di riarmo
biologico iracheno, e l’ex capo di Stato maggiore delle forze armate, Ibrahim
Ahmad al-Sattar Muhammad. La notizia è stata annunciata nel giorno in cui il
nuovo amministratore provvisorio americano, Paul Bremer, è arrivato a Baghdad.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Intanto, prima di giungere a
Riad, Powell ha concesso alla Giordania un aiuto di 700 milioni di dollari,
come compensazione per l’impatto causato al Paese dalla guerra in Iraq. La
missione del segretario di Stato americano prosegue, dunque, mentre nei Territori
rimane alta la tensione e sorgono nuovi contrasti sul ruolo di Arafat, accusato
da Israele di ospitare a Ramallah gruppi attivi della guerriglia palestinese.
Il servizio di Graziano Motta:
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Powell - lasciati a Gerusalemme
due suoi stretti collaboratori, che hanno avuto con israeliani e palestinesi
discussioni tecniche sulla prima fase della “Road map”, il piano di pace,
relative ai problemi della sicurezza - aveva avuto ieri colloqui al Cairo e ad
Amman, per coagulare consensi e sostegno sulla riattivazione del processo di
pace. L’Egitto, in particolare, è impegnato da tempo a convincere i vari gruppi
politici palestinesi a cessare la rivolta armata, ma sostiene la figura e il
ruolo di Arafat, così pure la Giordania. I due Paesi non condividono per questo
le posizioni degli Stati Uniti, che in linea con Israele vedono il rais come un
ostacolo. E su questo atteggiamento c’è un’altra spaccatura. Il ministro degli
Esteri greco, Papandreu, presidente di turno dell’Unione Europea, che ha intrapreso
una missione di appoggio al processo di pace, si recherà in visita da Arafat,
che Powel ha invece boicottato. Ieri, intanto, ancora violenze nei territori:
tre palestinesi sono rimasti uccisi nella Striscia di Gaza, due a Rafah, uno a
Kahn Yunis. Inoltre in Galilea sono stati arrestati 13 esponenti di primissimo
piano del movimento islamico di Israele, accusati tutti di collegamento con
fondamentalisti palestinesi e stranieri.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Storico viaggio del presidente iraniano, Mohammad Khatami,
in Libano. Il leader di Teheran è giunto ieri a Beirut per una visita ufficiale
di tre giorni nell'ambito di una missione nella regione, per ridurre le recenti
pressioni esercitate dagli Stati Uniti su Damasco e Teheran. In quello che è il
primo viaggio in Libano di un capo di Stato iraniano, dalla rivoluzione
islamica nel 1979, la visita di Khatami arriva a ridosso della fine della
guerra in Iraq, Paese con cui l'Iran ha combattuto un sanguinoso conflitto dal
1980 al 1988.
Segnali di disgelo tra India e Pakistan. New Delhi ha
annunciato l’invio di un proprio ambasciatore ad Islamabad che dovrebbe essere
operativo in tempi brevi. L’India aveva interrotto i rapporti diplomatici col
Pakistan circa un anno e mezzo fa, quando, nel dicembre 2001, ribelli islamici
filopakistani attaccarono il parlamento indiano
In
Uganda il rapimento dei 40 studenti del Seminario di Lachor, a Gulu, non va
considerata un’azione mirata contro la Chiesa o le missioni cattoliche, ma
rientra nel clima di estrema insicurezza che attanaglia l’intero nord del
Paese. Lo ha dichiarato ieri l’arcivescovo di Gulu, mons. John
Baptist Hodama. Sulle
motivazioni dell’episodio, ci riferisce Giulio Albanese:
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In sostanza il sequestro dei giovani sarebbe stato
compiuto da un gruppo di ribelli che avrebbe agito con l’intento di sbarcare il
lunario, rubando e saccheggiando, come normalmente avviene tra questi
fuoriusciti del movimento, che dalla fine degli anni ’80 semina morte e
distruzione nei distretti Acholi. I 40 seminaristi, catturati nella notte tra
sabato e domenica scorsi dai ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore,
potrebbero essere rilasciati da un momento all’altro. Intanto è nata “Oduru
Kuc”, ovvero “richiesta di pace” nella lingua degli Acholi, un nuovo cartello
di organizzazioni che coordinerà tutte le prossime iniziative per i negoziati
di pace tra i ribelli e il governo di Kampala, un cartello che vede la Chiesa
cattolica in prima fila per ridare speranza alla gente.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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La violenza torna a colpire in Algeria. Sei
estremisti islamici sono stati uccisi da un bombardamento dell’esercito in una
zona montuosa della regione di Relizane, 300 chilometri ad ovest di Algeri.
Proprio i fondamentalisti, invece, hanno fatto esplodere ieri una bomba
artigianale nella località di Baghlia, 50 chilometri ad est della capitale: il
bilancio è di un poliziotto morto e sette civili feriti.
È salito a 54 morti, fra cui 7 bambini, il bilancio
dell’attentato di ieri nel villaggio ceceno di Snamenskoie, un’ottantina di
chilometri a nord-ovest di Grozny. Numerosi anche i feriti, alcuni dei quali in
gravi condizioni. Mentre il presidente russo Putin ha duramente criticato
l’episodio, voluto – ha detto – da chi vuole impedire la soluzione politica
della crisi tra Mosca e la guerriglia cecena, un portavoce del governo
separatista della repubblica caucasica ha aperto stamani uno spiraglio al
dialogo, chiedendo alla Russia di riconoscere la leadership dell’indipendentista
Maskhadov e di accettare una tregua, con la mediazione dell’Unione Europea.
Ultimatum del governo filippino ai ribelli del
Fronte di liberazione islamico Moro, protagonisti di numerosi attentati
nell’isola di Mindanao. “Se non cesseranno gli attacchi contro i civili entro
il 1° giugno – ha detto questa mattina la presidente, Gloria Macapagal Arroyo –
il Fronte sarà inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche e come
tale combattuto”. Il capo di Stato ha inoltre invitato gli attivisti islamici a
prendere le distanze da gruppi come Abu Sayyaf e la Jemaah Islamiya
indonesiana.
Nuove tensione provocate dalla Corea del nord, alla
vigilia della visita alla Casa Bianca del presidente sudcoreano, Roh Moo Hyun.
Pyongyang ha infatti annunciato l’abbandono dell’accordo per la
denuclearizzazione della penisola coreana, firmato con Seul nel 1992: la
motivazione ufficiale sarebbe la necessità di potersi difendere da eventuali
attacchi militari statunitensi.
Continua ad aggravarsi in Cina il bilancio delle
vittime della Sars, la polmonite atipica, con dieci morti nelle ultime 24 ore.
Anche ad Hong Kong, si registra oggi la morte di sette persone. Nel tentativo
di coordinare la lotta all’epidemia, la Malaysia ha annunciato lo svolgimento
di una Conferenza internazionale sul virus, in programma tra un mese.
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