RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 133 - Testo della Trasmissione di martedì 13 maggio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’importanza del patrimonio liturgico e le sfide della secolarizzazione, temi affrontati dal Papa nel discorso a due gruppi di presuli indiani, ricevuti stamani al termine della visita ad limina.

 

Il cordoglio del Pontefice per l’uccisione di due sacerdoti e le altre vittime della violenza nella Repubblica Democratica del Congo.

 

La solidarietà di Giovanni Paolo II al popolo della Colombia, afflitto dal terrorismo, attraverso una delegazione di presuli in visita nel Paese, sotto il patrocinio di Cor Unum.

 

Ventidue anni fa in piazza San Pietro, il tragico attentato al Papa. Con noi, l’arcivescovo di Genova, Tarcisio Bertone.

 

La straordinaria figura di Orsola Ledóchowska, che il Papa proclamerà santa domenica prossima tratteggiata dal postulatore della causa di canonizzazione, padre Paolo Molinari.

 

La sollecitudine della Chiesa per lo sviluppo e la pace nella giustizia, sottolineata a Cotonou, nel Benin, dall’arcivescovo Martino, presidente di Giustizia e Pace.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Alta tensione in Arabia Saudita dopo gli attentati a Riad e l’acuirsi dell’ostilità antiamericana nella regione. Ai nostri microfoni, i giornalisti Guido Olimpio e Alberto Negri.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Si riunisce da oggi in Paraguay il Consiglio Episcopale Latinoamericano.

 

Continua l’ondata di violenza nella Repubblica Democratica del Congo.

 

Gli incidenti stradali prima causa di morte violenta secondo il drammatico dato dell’Organizzazione mondiale della sanità.

 

Sul tema “Bambini e ragazzi indigeni” si è aperta ieri a New York la seconda sessione del Forum permanente sulle popolazioni indigene.

 

“Chiesa e mezzi di comunicazione sociale”: questo il tema del Convegno, promosso dall’Università cattolica San Antonio di Murcia, che si aprirà giovedì prossimo nella città spagnola.

 

In India, nella diocesi di Bagdogra, è stato inaugurato il primo ospedale cattolico.

 

 

24 ORE NEL MONDO:

Sanguinoso attentato a Riad; oggi Powell nella capitale araba per discutere la pace in Medio Oriente.

 

In corso la storica visita in Libano del presidente iraniano, Kathami.

 

Riprendono dopo un anno e mezzo le relazioni diplomatiche tra India e Pakistan.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

13 maggio 2003

 

 

LA RICCHEZZA DEL PATRIMONIO LITURGICO E LE SFIDE POSTE AI CRISTIANI

 DALLA SECOLARIZZAZIONE, IN PRIMO PIANO NEI DISCORSI RIVOLTI STAMANI

DA GIOVANNI PAOLO II A DUE GRUPPI DI PRESULI INDIANI, DI RITO

 SIRO-MALABARESE E SIRO-MALANKARESE, RICEVUTI IN UDIENZA

 AL TERMINE DELLA VISITA AD LIMINA

 

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

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La celebrazione dell’Eucaristia nel rito siro-malabarese ha svolto “un ruolo vitale nel modellare l’esperienza della fede in India”. Giovanni Paolo II lo ha sottolineato indicando come il mistero eucaristico vada vissuto quale “fonte di riconciliazione”. D’altro canto, ha avvertito, i presuli sono chiamati a vigilare attentamente contro “lo sperimentare di singoli sacerdoti che attentano all’integrità della liturgia”. Il Pontefice ha, così, esortato a “rinnovare il patrimonio rituale alla luce dei documenti conciliari”. Un rinnovamento possibile, che attraverso una catechesi adeguata “potrà portare frutti abbondanti”. Ha, quindi, espresso parole di incoraggiamento, affinché “la liturgia non sia soltanto studiata, ma anche celebrata nella sua integrità e bellezza”. Di qui, il Pontefice ha rivolto l’attenzione alla cura pastorale dei cattolici orientali dell’India. Riecheggiando l’Ecclesia in Asia, ha messo l’accento sul bisogno di “superare paure e incomprensioni, a volte emerse tra le Chiese orientali e la Chiesa latina”. In tale contesto, ha lodato gli “sforzi” compiuti dai presuli siro-malabaresi per superare tali ostacoli. L’autentica evangelizzazione, ha proseguito, “deve essere sensibile alla cultura e le tradizioni locali”, sempre rispettando il “diritto inalienabile di ogni persona alla libertà religiosa”. Tuttavia, “tale apertura non deve mai indebolire l’impegno a proclamare Cristo, via, verità e vita”.

 

Nel discorso indirizzato al gruppo di presuli siro-malankaresi, il Santo Padre ha ricordato come la loro sia una delle realtà cattoliche cresciute più velocemente nel mondo. Quindi, ha messo in rilievo l’“eredità mistica” dell’India. “La tradizione liturgica siro-malankarese - ha constatato - è un tesoro che riflette la natura universale dell’opera salvifica di Cristo nello straordinario contesto indiano”. Giovanni Paolo II non ha poi mancato di rimarcare il ruolo della Chiesa in un tempo di secolarizzazione come quello attuale. I presuli, ha avvertito, devono indicare ai fedeli l’urgenza di una “sempre più profonda riflessione sulle questioni sociali e morali”. Tutti i cristiani, ha ribadito, sono chiamati a contrastare “l’attuale crisi di valori”, nella testimonianza costante di “quelle verità universali che vanno manifestate nella vita quotidiana”. Per rispondere a questa sfida, ha spiegato, è necessaria “un’inculturazione dell’etica cristiana a tutti i livelli della società umana”. Un obiettivo complesso, ha affermato, “che non può essere ottenuto senza un’adeguata riflessione e valutazione”, assicurando che il messaggio di Cristo “non sia mai modificato nel tentativo di renderlo socialmente o culturalmente più accettabile”.

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IL DOLORE DEL PAPA PER L’UCCISIONE DI DUE SACERDOTI

E PER LE ALTRE VITTIME DELLA VIOLENZA

NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

 

- A cura di Paolo Salvo -

 

Il Papa ha espresso il suo dolore per le recenti vittime della violenza, tra cui due sacerdoti, nella Repubblica Democratica del Congo, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, indirizzato al vescovo di Bunia, luogo del massacro avvenuto nella notte tra sabato e domenica.

 

“Sconvolto dai fatti drammatici che hanno causato la morte dei padri François Xavier Mateso ed Aimé Ndjabu, della parrocchia di Nyakasanza, il Santo Padre – è detto nel messaggio – affida i defunti, così come tutte le persone che sono state uccise nelle stesse circostanze, alla misericordia infinita del Dio d’amore e di pace. Le esprime la sua viva partecipazione e la incarica di assicurare della sua preghiera  i familiari delle vittime ed i cristiani della parrocchia di Nyakasanza. Il Papa – prosegue il telegramma – invita ciascuno ad impegnarsi ogni giorno alla sequela di Cristo per rifiutare la violenza, che è una strada senza avvenire, e per costruire una pace durevole fondata sulla giustizia e sul rispetto delle persone. In segno di conforto, Sua Santità impartisce la Benedizione Apostolica a tutte le persone toccate da questo lutto”.

 

 

NOMINA DI CURIA E PROVVISTA IN UCRAINA

 

Il Papa ha nominato capo ufficio nella Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli mons. Francesco Di Muzio, della Prelatura dell’Opus Dei.

 

In Ucraina, il Santo Padre ha nominato vescovo coadiutore dell’eparchia di Kolomyia-Chernivtsi il sacerdote Volodymyr, di 44 anni, finora decano di Tlumach e vicario giudiziale della stessa circoscrizione ecclesiastica.

 

 

QUEL 13 MAGGIO DEL 1981

 

- Intervista con mons. Tarcisio Bertone -

 

22 anni fa, il 13 maggio 1981, giorno anniversario dell’apparizione della Madonna a Fatima, una mano ha attentato alla vita di Giovanni Paolo II. Un fatto sconvolgente, come per far tacere la voce profetica del “Papa venuto da lontano“, che con il suo autorevole ed incisivo ministero pastorale ha esercitato un influsso positivo in momenti decisivi per le sorti dell’umanità. Sorprendente la data dell’attentato in Piazza San Pietro, proprio il 13 maggio, giorno dedicato dalla Chiesa alla Madonna di Fatima. Come leggere oggi questo drammatico avvenimento? C’è un legame tra l’intervento straordinario della Madonna nella vita del Papa, che poi si è rivelato al centro del terzo segreto di Fatima, al centro di un disegno più ampio legato al crollo dei muri, con l’attuale fase storica che stiamo vivendo? Al microfono di Carla Cotignoli risponde l’arcivescovo di Genova, mons. Tarcisio Bertone. 

 

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R. - E’ una connessione molto bella. Sappiamo qual è la devozione profonda del Papa a Maria, Totus Tuus e sappiamo come Maria ha avuto una protezione speciale per il nostro Papa, deviando quella pallottola in modo da salvargli la vita. Così, la Signora del messaggio di Fatima continua a leggere i segni del nostro tempo, a guidare il Papa, a guidare anche noi in questa opera di salvezza.

 

D. – Il Papa, proprio in questo ultimo tempo, con grandissima insistenza ha richiamato tutta l’umanità e ha suscitato un’ondata di preghiera a Maria, un’ondata di rosari proprio per la pace, nei momenti drammatici che abbiamo vissuto. Secondo lei, così come si è visto il disegno di Fatima compiersi con il crollo dei muri e con la salvezza del Papa stesso, si può vedere un qualche segno dell’intervento di Maria anche nei drammi del mondo di oggi?

 

R. – E’ ancora troppo presto per verificare i risultati positivi di questa preghiera massiccia e incessante che sale dalla terra al cielo e che il Papa ha proposto, però qualche segno si può già vedere. Anzitutto a me sembra che un segno positivo sia l’atteggiamento dei  musulmani che hanno saputo distinguere bene il problema guerra dal problema dello scontro di religione ed hanno apprezzato unanimemente l’azione del Santo Padre e quindi l’atteggiamento della Chiesa cattolica. D’altra parte, sappiamo che la preghiera è un’arma debole apparentemente ma è un’arma potente per cambiare la storia del mondo, come avvenuto nei tornanti dell’evoluzione della storia, quindi è un’arma debole, ma un’arma molto potente la preghiera e in modo speciale il rosario. Quindi la promessa della Madonna  a Fatima – “alla fine il mio cuore immacolato trionferà” – la promessa sicura, indefettibile della vittoria del bene sul male e della vittoria della maternità di Maria e quindi della potenza di Dio su ogni difficoltà e su ogni ostacolo che si possa frapporre al progetto di Dio.

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LA SOLIDARIETA’ DEL PAPA ALLA POPOLAZIONE DELLA COLOMBIA,

MARTORIATA DALLA VIOLENZA, ATTRAVERSO

UNA DELEGAZIONE DI VESCOVI D’EUROPA E NORD AMERICA,

CON IL PATROCINIO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO “COR UNUM”

 

- A cura di Paolo Salvo -

 

Una delegazione di vescovi europei e nordamericani, patrocinata dal Pontificio Consiglio Cor Unum, si è recata ieri in Colombia, dove resterà fino al 19 maggio, per recare il messaggio e la solidarietà di Giovanni Paolo II alla popolazione di questo Paese latinoamericano, “che vede continuamente minacciati dal terrorismo – come nota un comunicato – la convivenza pacifica e i diritti umani”.

 

La delegazione, guidata dall’arcivescovo Paul Josef Cordes, presidente di Cor Unum, organismo caritativo della Santa Sede voluto da Paolo VI nel 1971, comprende il direttore dell’organizzazione tedesca Misereor, mons. Josef Sayer, e i rappresentanti delle Conferenze episcopali di Italia, Spagna, Francia, Austria, Svizzera e Stati Uniti d’America.

 

Il fitto programma della visita, sia ecclesiale che civile, prevede incontri della delegazione ad alto livello, con il presidente della Repubblica, Alvaro Uribe Vélez e con altre autorità, con il nunzio apostolico Beniamino Stella, con i vescovi della Colombia, con esponenti delle organizzazioni non governative cattoliche, sia con i rappresentanti dell’Onu per i diritti umani e per i rifugiati.

 

I temi guida che i vescovi affronteranno nei loro incontri saranno “le indicazioni del Santo Padre sulla costruzione di una civiltà dell’amore e sulla corresponsabilità tra le istituzioni dello Stato e della Chiesa per combattere l’ingiustizia, la povertà e la violenza”. Nel comunicato si ricorda che la Fondazione Populorum Progressio, voluta da Giovanni Paolo II con sede a Bogotà e presieduta da Cor Unum, dal 1992 ad oggi, ha erogato aiuti per 15 milioni di dollari in favore delle popolazioni indigene e contadine dell’America Latina.

 

“In un momento in cui la Chiesa in Colombia continua a subire episodi di violenza”, la nota di Cor Unum indica nella visita di questa delegazione di vescovi europei e nordamericani “una manifestazione di comunione ecclesiale ed un forte appello alla solidarietà di tutto il mondo con questo Paese martoriato, quale ‘arma’ per incamminarsi su una strada di pace”.

 

 

LA SOLLECITUDINE DELLA CHIESA CATTOLICA PER LO SVILUPPO,

LA GIUSTIZIA E LA PACE, IN UN DISCORSO A COTONOU (BENIN)

DELL’ARCIVESCOVO RENATO MARTINO,

NEL SUO PRIMO VIAGGIO PASTORALE IN AFRICA COME PRESIDENTE

DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

 

- A cura di Paolo Scappucci -

 

“Lo sviluppo non può costruirsi su conflitti, discriminazioni, rancori, esclusioni né sulla forza delle armi. Esso richiede l’accordo, la solidarietà, l’unione delle forze, l’attenzione all’altro, la giustizia, il rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti”. Lo afferma il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, arcivescovo Remato Martino, a Cotonou, nel Benin, in un discorso sul tema: “La sollecitudine della Chiesa cattolica per lo sviluppo, la giustizia e la pace”, all’apertura di un convegno organizzato dalla Fondazione Adenauer e dal locale Istituto degli Artigiani della Giustizia e della Pace, con titolo: “Stabilità politica e sviluppo: l’apporto della dottrina sociale della Chiesa” (13-15 maggio 2003).

 

Il presule, al suo primo viaggio pastorale in Africa da quando ricopre il nuovo incarico a capo del dicastero, affronta tra l’altro il grave problema delle cause dei conflitti che insanguinano il continente, individuandone una anzitutto nella cupidigia delle risorse di cui abbondano il suolo e il sottosuolo africano. “Tali ricchezze – rileva l’arcivescovo Martino – sono bramate da gruppi d’interesse che sfruttano l’estensione e la permanenza dei conflitti per sporchi commerci, versando tangenti ai dirigenti dei Paesi produttori. Ci vorrebbe – egli aggiunge – più solidarietà, più giustizia, più partecipazione alla gestione di queste risorse”.

 

Un’altra causa di conflitti non meno preoccupante, indicata dall’arcivescovo Martino, è l’esclusione dell’altro, sotto forma di discriminazione etnica e di odio razziale, per superare i quali necessitano educazione ai valori e conversione dei cuori, così da favorire l’accettazione del diverso, l’apprezzamento reciproco, il mutuo rispetto. L’esigenza di pace tra gruppi e popoli per il presule deve tradursi in una solidarietà più grande. “Si tratta – egli afferma – di un’esigenza avvertita in maniera urgente nell’epoca della mondializzazione, in cui l’accento sulla libertà del mercato rischia di lasciare ai margini del progresso e dello sviluppo zone intere del pianeta e una parte importante dell’umanità, che non possono concorrere a forze pari con i Paesi industrializzati”.

 

Evidenziando che il diritto allo sviluppo e il diritto alla pace sono indivisibili e interdipendenti, mons. Martino rileva che la vera elevazione dell’uomo si ottiene con il rispetto dei valori come il diritto alla vita, l’identità di ciascun popolo, l’uguaglianza tra le persone, la solidarietà, la libertà, la verità, la salvaguardia dell’ambiente. Sul problema cruciale del debito internazionale, il presidente di Giustizia e Pace ripete tra l’altro la necessità che le somme liberate dalla remissione di tale debito siano investite in settori prioritari come la sanità, l’educazione e gli altri servizi sociali: alla generosità dei Paesi industrializzati deve corrispondere un più acuto senso di responsabilità da parte dei Paesi beneficiari. Facendo eco alle parole del Papa, l’arcivescovo Martino ribadisce che l’Africa non ha bisogno di pietà, ma di solidarietà e di giustizia. D’altra parte, gli africani non potranno da soli uscire dal marasma in cui li hanno affondati decenni di dipendenza e di oppressione, di violenze e di antagonismi d’ogni sorta. Vi riusciranno unicamente con l’aiuto e la solidarietà della comunità internazionale.

 

 

FU APOSTOLA DELLA GIOVENTU’ FEMMINILE DI MEZZA EUROPA IN TEMPI DIFFICILI,

ORSOLA LEDÓCHOWSKA CHE IL PAPA PROCLAMA SANTA DOMENICA PROSSIMA

 

- A cura di Giovanni Peduto -

 

Giulia Maria Ledóchowska, poi Orsola in religione, era nata nel 1865 a Loosdorf, in Austria, dove allora la famiglia, che era polacca, risiedeva in una tenuta di loro proprietà.

 

A 21 anni entrò nel convento delle Orsoline di Cracovia, in Polonia, dove fu insegnante ed educatrice, venendo molto apprezzata per la sua attività in questi settori. Con un profondo intuito spirituale ed apostolico provvide ad istituire un pensionato per signorine. Animata come era da un grande zelo apostolico, fondò al tempo stesso, tra le studentesse, l’Associazione delle Figlie di Maria: essa infatti intendeva soprattutto far sì che le giovani crescessero con un’educazione radicata nei valori cristiani e questi fossero da loro autenticamente vissuti e professati. Per 3 anni la Ledóchowska esercitò le funzioni di Superiora del convento delle Suore Orsoline di cui faceva parte; si recò successivamente in Russia, dove riuscì ad adattarsi, con molta sagacia e generosità, alle condizioni in cui era venuta a trovarsi: imparò la lingua russa, superò l’esame di Stato e così nel 1908 la filiale del convento di Cracovia divenne una casa autonoma delle Orsoline nella stessa città di Pietroburgo, con un pensionato per ragazze.

 

Nel 1910, sempre attenta alle necessità altrui, Orsola Ledóchowska diede avvio in Carelia – appartenente allora alla Russia – ad una scuola per ragazze diretta secondo le più moderne idee pedagogiche di quei tempi: l’edificio era situato presso una spiaggia sul golfo di Finlandia. Di qui il nome dato alla casa appunto di Merentähti (‘stella del mare’ in finlandese). Ivi aprì anche una scuola all’aria aperta per le giovani di salute cagionevole. Spinta dall’amore di Cristo, stabilì pure contatti con la popolazione locale di religione protestante: con la sua bontà Orsola aprì i cuori della gente e la cappella cattolica divenne ben presto luogo di preghiera anche per i finlandesi.

 

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914 fu causa di un nuovo indirizzo della sua vita: essendo di cittadinanza austriaca, la Ledóchowska divenne oggetto di persecuzione da parte della polizia russa e, a motivo di ciò, dovette trasferirsi in Svezia, a Stoccolma: qui ella riuscì ben presto a dare avvio ad una scuola e ad aprire un pensionato. Nel suo intento di sostenere i cattolici nella fede, fin dal 1916 fondò anche il giornale Solglimtav, che tuttora si pubblica ad Uppsala, anche se con un titolo diverso da quello originario (attualmente Katolsk Kyrkotodnig).

 

Nel 1917 la Ledóchowska si trasferì dalla Svezia alla Danimarca allo scopo di svolgere in questo Paese una intensa opera assistenziale in favore dei profughi polacchi. Vi rimase fino al 1919, avendo Aalborg come centro della sua attività. Tutte queste vicende e questi spostamenti da lei vissuti per essere là dove c’erano delle giovani che avevano bisogno di sostegno e di educazione, facevano maturare in lei quell’anelito a proposito del quale scriveva a sua sorella Maria Teresa: “Desidererei riunire tutte le persone che vogliono lavorare per Dio nel campo educativo – e sono tante – per creare una specie di “cavalleria leggera”, che potrebbe essere spostata dove necessitano buone educatrici!”.

 

Nel 1920 si distaccò dal suo Istituto allo scopo di dar vita ad una nuova Congregazione religiosa, alla quale diede il titolo di Orsoline del Sacro Cuore di Gesù agonizzate, ottenendo per essa la prima approvazione nel 1923 e poi quella definitiva nel 1930. Al momento della morte di Orsola Ledóchowska, l’Istituto da lei fondato contava oltre 700 suore, operanti apostolicamente in 44 case erette in vari Paesi europei ed anche a Roma, dove la fondatrice si spense il 29 maggio 1939.

 

La Beatificazione di Orsola Ledóchowska fu celebrata dal Santo Padre a Poznań, in Polonia, il 20 giugno 1983. Domenica prossima lo stesso Giovanni Paolo II la proclamerà Santa in Piazza San Pietro. Una peculiarità di Orsola Ledóchowska è stata il suo legame con la Compagnia di Gesù. Ce lo spiega il postulatore della sua causa di canonizzazione, padre Paolo Molinari:

 

“Lei era sorella di Wladimiro Ledóchowski, che fu generale della Compa-gnia fino al 1942, e sorella di Maria Teresa Ledóchowska, fondatrice del Sodalizio San Pietro Claver, per sostenere le missioni in Africa. Aveva avuto anche uno zio che era stato cardinale. Quindi, c’è una ricchezza di ambiente in cui lei crebbe da bambina e a cui si aprì sempre di più da adolescente e poi da signorina. Tutto questo evidentemente ha avuto molto a che fare con la sua apertura di spirito apostolico. Certamente i rapporti che aveva con il fratello Wladimiro e con la sorella, e una certa conoscenza di quello che era lo spirito della Compagnia di Gesù, hanno avuto le loro ripercussioni, i loro influssi sul suo modo di lasciarsi plasmare da Dio ed avere quella mobilità che un’azione apostolica come la sua richiedeva”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina si apre sottolineando con forza  il "feroce attentato" compiuto contro la pace, in riferimento alle due stragi, in Cecenia e in Arabia Saudita, che in poche ore hanno sconvolto la Comunità internazionale, chiamata ad affrontare le violenze con metodi efficaci.  

 

Nelle vaticane, nel discorso al gruppo dei presuli di rito siro-malankarese dell'India, il Santo Padre ha sottolineato che occorre un'inculturazione dell'etica cristiana a tutti i livelli della società, assicurando che il messaggio di Cristo non venga mai diluito o alterato.

Nel discorso al gruppo dei presuli di rito siro-malabarese dell'India, Giovanni Paolo II ha esortato a lavorare affinché i fedeli ricevano il sostegno spirituale che meritano.

Un articolo dell'arcivescovo di Lecce sulla figura di San Mattia Apostolo, di cui il 14 maggio ricorre la memoria liturgica.

 

Nelle pagine estere, il telegramma di cordoglio del Papa per i sacerdoti uccisi durante gli scontri fra milizie di etnie rivali nella Repubblica Democratica del Congo.

Medio Oriente: Israele chiude Gaza per il rischio di attentati.

Filippine: ultimatum ai ribelli islamici.

Un articolo di Gabriele Nicolò sui lavori, in svolgimento alla Fao, del Comitato sulla Sicurezza alimentare.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Maria Antonietta Pavese che ripercorre, nel 150 della nascita, la vicenda biografica ed artistica di Van Gogh.

Nell' "Osservatore libri", un approfondito contributo di Angelo Mundula su un libro che raccoglie tutte le opere di Leonardo da Vinci. 

 

Nelle pagine italiane, in primo piano i temi delle pensioni e dell'economia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

13 maggio 2003

 

 

GLI ATTENTATI DI RIAD E LE MINACCE DI AL QAEDA:

IN ARABIA SAUDITA CRESCE L’OSTILITÀ ANTIAMERICANA

 

- Con noi, Guido Olimpio ed Alberto Negri -

 

Si raffreddano i rapporti tra Stati Uniti ed Arabia Saudita, dopo l’attentato antiamericano di ieri sera a Riad. Un’azione che “intensificherà la lotta al terrorismo” da parte di Washington, ha commentato Colin Powell, prima di visitare questa mattina uno dei luoghi colpiti dell’esplosione. Il segretario di Stato americano si è detto convinto che nell’azione ci sia “il marchio di Al Qaeda”. E della stessa opinione è anche Guido Olimpio, esperto di intelligence del Corriere della Sera, intervistato da Andrea Sarubbi:

 

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R. – Sicuramente c’è dietro qualche gruppo che si ispira ad Osama Bin Laden. Sappiamo infatti che, proprio negli ultimi tempi, la rete di Osama Bin Laden è cresciuta e si è rafforzata in Arabia Saudita. Proprio per questo, gli americani avevano invitato i propri cittadini ad escludere l’Arabia Saudita ed altri Paesi in questo momento.

 

D. – Possiamo dire che si è rotta definitivamente l’alleanza del petrolio tra Washington e Riad?

 

R. – Diciamo che, negli ultimi mesi, il peso specifico saudita nel Golfo è diminuito sul profilo strategico, perché gli americani sono ormai in Iraq e qualche settimana fa hanno deciso di spostare il loro comando centrale in Qatar. Ritengo, comunque, che queste tensioni e questi attacchi siano legati alla stessa nascita di Al Qaeda, concepita come movimento che doveva ottenere il ritiro americano dalla zona del Golfo.

 

D. – Ma Al Qaeda oggi è in declino, come dicono molti a Washington, oppure no?

 

R. – Ci sono state delle analisi frettolose che parlavano della fine di Al Qaeda. È chiaro che gli arresti di personaggi importanti ne hanno ridotto la capacità strategica, ma ciò non significa che questa rete terroristica non possa compiere azioni su un quadro regionale. Dopo l’11 settembre, si pensa sempre ad Al Qaeda come ad un’organizzazione in procinto di compiere maxi attentati. In realtà, da allora ad oggi, i gruppi affini ad Al Qaeda – magari anche non direttamente collegati – hanno colpito più volte. Pensiamo a Bali, dove ad ottobre l’esplosione nella discoteca Sari club ha causato più di 200 morti. Quindi, non è vero che non sia in grado di agire.

 

R. – In che modo?

 

D. – È un tipo di azione diversa, ma non escludo che ci possa essere un altro 11 settembre. Perché non dimentichiamo che, in genere, i grandi attentati di Al Qaeda sono stati preparati per anni: due, tre anni di preparazione. Ciò non toglie che nel frattempo ci siano attentati ‘minori’, ma che comunque hanno provocato perdite.

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L’attentato di Riad, ultimo episodio di un’insofferenza crescente da parte saudita nei confronti della presenza militare americana, conferma forse in modo definitivo l’allontanamento politico del Paese arabo dagli Stati Uniti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Alberto Negri, inviato speciale del “Sole 24 ore”:

 

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R. – Questi attentati arrivano dopo un periodo piuttosto cruciale, importante, preceduto dalla decisione americana fondamentale di dichiarare il ritiro dei propri soldati dalle basi in Arabia Saudita. Se ne sono capiti benissimo i motivi, che sono stati generati soprattutto dalla decisione dell’Arabia Saudita di rifiutarsi di cedere le basi agli americani per gli attacchi in Iraq. Ed ora che gli Stati Uniti occupano più o meno stabilmente l’Iraq, è evidente che la decisione americana vede in qualche modo “sanzionato” un distacco che è stato percepito molto bene in tutto il mondo arabo.

 

D. – Proprio nel momento in cui gli americani sono diventati forti nella regione con la conquista dell’Iraq, ti sembra invece che paradossalmente siano deboli proprio perché obiettivi di potenziali attacchi come quello di Riad?

 

R. – Qualche tempo fa avevo scritto che, se avessero occupato l’Iraq, gli Stati Uniti avrebbero cambiato una parte della loro stessa storia, perché da potenza solo transatlantica sarebbero diventati anche una potenza transatlantico-mediorientale. Evidentemente, con questa azione militare, sono diventati non soltanto una potenza protagonista della politica mediorientale, ma un attore coinvolto a tempo pieno, quotidianamente. Sul versante del processo di pace tra israeliani e palestinesi, quindi, gli Stati Uniti non possono più apparire i mediatori imparziali, perché hanno degli interessi diretti, consistenti e quotidiani nella regione. D’altra parte, proprio questo coinvolgimento li mette in attrito con gli altri Paesi confinanti con l’Iraq.

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CHIESA E SOCIETA’

13 maggio 2003

 

 

UN “PIANO GLOBALE” PER AFFRONTARE LE PROSSIME SFIDE DEL CONTINENTE LATINO AMERICANO.

E’ QUESTO IL TEMA DELLA 29.MA ASSEMBLEA ORDINARIA DEL CELAM,

CHE SI SVOLGE A PARTIRE DA OGGI NELLA CITTÀ DI TUPARENDÀ, IN PARAGUAY

- A cura di Maurizio Salvi -

 

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TUPARENDA’. = A partire da oggi e fino mercoledì prossimo, si svolge a Tuparendà, in Paraguay, la 29.ma assemblea ordinaria del Consiglio episcopale Latinoamericano (Celam) per il rinnovo della presidenza dell’organismo. Per quattro giorni nove cardinali, 16 arcivescovi ed oltre 40 vescovi discuteranno la redazione di un nuovo “piano globale” per la Chiesa cattolica latino-americana degli anni a venire. L’obiettivo è stato confermato dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi, che aprirà i lavori con una conferenza sul tema: “Orientamenti per il ministero pastorale dei vescovi”. Secondo il porporato l’appuntamento è molto importante perché permetterà di studiare i problemi peculiari dell’America Latina e le possibilità, per il Continente, di affrontare le sfide della nostra epoca. A tal riguardo, il presidente uscente colombiano del Celam, mons. Jorge Enrique Jimenez Carvajal, ha segnalato che fra queste sfide vi sono la povertà e la fragilità delle democrazie di alcuni Paesi latino-americani. Per il messicano Riccardo Cueller poi un altro dei temi caldi da esaminare riguarda la globalizzazione, che presenta limiti e potenzialità, e “ci interroga su come la Chiesa possa contribuire a frenare i suoi riflessi negativi sulla gente”. Un tema centrale questo anche per il segretario generale belga della Commissione dei vescovi dell’Unione Europea, mons. Noel Treanor, invitato all’incontro. Secondo il presule la Chiesa deve sistematizzare il problema e vedere come sia possibile coniugare la sua dottrina sociale con la realtà politica quotidiana.

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“BISOGNA ARRESTARE IL CICLO DI VIOLENZE CHE STA MARTORIANDO L’ITURI”.

QUESTO L’APPELLO DELL’ARCIVESCO DI KISANGANI, MONS. MONSENGWO PASINYA,

A SEGUITO DELL’ONDATA DI VIOLENZA CHE STA INSANGUINANDO

L’AREA NORDORIENTALE DEL CONGO

 

BUNIA. = “Le ultime notizie che ci arrivano da Bunia, nel Congo, generano in noi una profonda inquietudine perché la situazione ci appare troppo grave per non levare, ancora una volta, la nostra voce di pastori e condannare con fermezza queste azioni fratricide che stanno decimando la popolazione dell’Ituri”. Lo ha affermato l’arcivescovo di Kisangani, mons. Laurent Monsengwo Pasinya, manifestando così la propria preoccupazione per l’ondata di violenza che sta insanguinando il capoluogo della regione nord-orientale del Paese. Nonostante l’intervento dei 675 caschi blu uruguaiani inviati dall’Onu, la città congolese continua ad essere sconvolta dai sanguinosi scontri tra le etnie Lendu e Hema. Nella notte tra sabato e domenica, nel corso di un assalto alla parrocchia di Nyakasunza, alla periferia di Bunia, sono state uccise oltre 30 persone da un gruppo di ribelli di etnia Lendu. Tra le vittime ci sono due sacerdoti: si tratta del parroco, padre François Mateso, e del vice parroco, padre Aimè Ndjabu. “Chiediamo agli uni e agli altri - aggiunge mons. Monsengwo - di fermare questo ciclo di violenza e di avviare, senza indugi, iniziative utili al perdono ed alla riconciliazione fraterna”. Le speranze di ristabilire un clima di pace nel Paese sono ora affidate, secondo l’arcivescovo, alla Missione di osservatori delle Nazioni Unite in Congo (Monuc), al Consiglio di sicurezza dell’Onu ed alle grandi potenze. “E’ necessario – conclude il presule – che questi soggetti prendano misure energiche ed efficaci in vista della cessazione delle ostilità in Ituri e nel Paese”. (A.L.)

 

 

GLI INCIDENTI STRADALI SONO LA PRIMA CAUSA DI MORTE VIOLENTA.

E’ IL DRAMMATICO DATO CHE EMERGE DALLE ULTIME STATISTICHE DIFFUSE IERI

A GINEVRA DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ

 

GINEVRA. = Gli incidenti stradali fanno più vittime delle guerre e dei suicidi. E’ questo il drammatico dato che emerge dalle ultime statistiche diffuse ieri a Ginevra dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Tra i decessi dovuti ad infortuni o ad atti violenti gli incidenti stradali, con oltre 1,2 milioni di morti, sono in vetta alla macabra statistica stilata dall'Oms. I suicidi, con 815 mila vittime l'anno, sono la seconda causa  di morte violenta nel mondo. Altre cause di morte violenta sono gli omicidi, responsabili  del decesso di 520 mila individui l'anno, gli  annegamenti e le intossicazioni. A questi drammatici dati si aggiungono quelli relativi alle guerra che, con riferimento all'anno 2000, hanno mietuto 310 mila vittime. “Al notevole numero di morti – afferma la nota dell’Oms - si sommano i milioni di feriti e disabili causati ogni anno nel mondo dagli incidenti e dagli atti violenti”. L'Oms stima, inoltre, che quasi il 90 per cento dei decessi dovuti a traumi sopraggiungono in Paesi in via di sviluppo. Sono numerosi gli strumenti che hanno già consentito di ridurre in modo notevole le vittime di atti violenti e traumi. L'Oms ricorda, tra questi, l'uso della cintura di sicurezza, la lotta al consumo eccessivo d'alcol, e l’adozione di adeguate norme di protezione sul lavoro. (A.L.)

 

 

SUL TEMA “BAMBINI E RAGAZZI INDIGENI” SI E’ APERTA IERI A NEW YORK

LA SECONDA SESSIONE DEL FORUM PERMANENTE SULLE POPOLAZIONI INDIGENE

- A cura di Elena Molinari -

 

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NEW YORK. = “E’ urgente mettere i bisogni delle popolazioni indigene fra le priorità delle Nazioni Unite”. Con queste parole ieri pomeriggio il vice segretario generale dell’Onu, Angela King, ha aperto lo speciale Forum che il Palazzo di Vetro dedicato alle popolazioni indigene. A nome di Kofi Annan, King ha presentato tutte le difficoltà che ancora mettono in pericolo l’esistenza stessa delle popolazioni native di una terra, ma in minoranza rispetto all’etnia dominante. Discriminazione, dunque, esclusione dal potere sia economico che politico della maggioranza e condizioni di emarginazione simbolicamente rappresentate dal volto di un bambino indigeno. Ed è proprio sui bambini e sui ragazzi che il secondo Forum permanente si dedicherà con maggiore attenzione, per dare loro le stesse opportunità dei loro coetanei. Questo senza che debbano rinunciare al patrimonio di cultura e tradizioni della loro gente.

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“CHIESA E MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE”. E’ IL TEMA DEL CONVEGNO,

PROMOSSO DALL'UNIVERSITÀ CATTOLICA SAN ANTONIO DI MURCIA,

CHE SI APRIRÀ GIOVEDI’ PROSSIMO NELLA CITTÀ SPAGNOLA

 

MURCIA. = Giovedì prossimo si aprirà a Murcia, in Spagna, il 2º Congresso internazionale sul tema “Chiesa e mezzi di comunicazione sociale”. Il convegno, promosso dall'Università Cattolica San Antonio di Murcia, sarà incentrato sul ruolo svolto dai mezzi di comunicazione cattolici nel XXI secolo. Costituiranno oggetto di dibattito la dimensione etica e morale dei media, l'evangelizzazione della cultura nella società dell'informazione, la situazione attuale della stampa e degli strumenti radio-televisivi cattolici. A presiedere il convegno sarà il presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, l'arcivescovo John Patrick Foley. L’incontro si concluderà sabato prossimo con l’intervento del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Joaquín Navarro Valls. Saranno inoltre presenti il vescovo di Cartagena, mons. Manuel Ureña, il responsabile dei servizi informativi centrali della Radio Vaticana, padre Ignacio Arregui, ed il direttore di Telepace, mons. Guido Todeschini. (A.L.)

 

 

NELLA DIOCESI DI BAGDOGRA, IN INDIA,

È STATO INAUGURATO IL PRIMO OSPEDALE CATTOLICO.

SI TRATTA DEL “NAV JEEVAN HOSPITAL” DELLE SUORE FIGLIE DELLA CROCE

 

BAGDOGRA. = Il primo ospedale cattolico nello Stato indiano del Nord Bengala è stato inaugurato nei giorni scorsi nella diocesi di Bagdogra. Si tratta del “Nav Jeevan Hospital” delle Suore Figlie della Croce, una congregazione impegnata nell’assistenza ai poveri e ai malati presente nella regione dal 1935. La struttura ospedaliera, che conta 150 posti letto, provvederà alle esigenze sanitarie della popolazione delle diocesi di Bagdogra, Jalpaiguri e Darjeeling. Sono stati i due presuli ordinari di Bagdogra e di Darjeeling, mons. Thomas D’Souza e mons. Stephen Lepcha, a benedire i nuovi locali alla presenza delle autorità locali. Tra questi, il ministro per lo sviluppo che ha elogiato il prezioso lavoro delle Figlie della Croce nell’area. (L.Z. - A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

13 maggio 2003

 

 

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

Almeno 10 americani ed un numero imprecisato di cittadini di altre nazionalità, per un totale di 25 vittime, hanno perso la vita nell’attentato avvenuto ieri sera a Riad, capitale dell’Arabia Saudita. Quattro esplosioni, provocate da altrettante autobombe, hanno devastato una zona residenziale vicino ad interessi statunitensi. “Nell’azione terroristica c’è il marchio di Al Qaida” - ha detto stamattina il segretario di Stato americano, Colin Powell, giunto stamani a Riad per colloqui sul piano di pace israelo-palestinese. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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Le prime tre esplosioni, preparate usando autobombe, sono avvenute una dopo l’altra davanti agli edifici di una zona residenziale abitata soprattutto da stranieri, mentre per la quarta è stata scelta la sede di una compagnia saudita e americana. L’Arabia è il Paese di origine di Osama Bin Laden, che ha spesso citato la presenza delle truppe americane sul suo territorio come una delle ragioni degli attentati di Al Qaida, la rete terroristica creata da lui. Alla fine di aprile il Pentagono ha annunciato la decisione di ritirare le sue forze dall’Arabia per spostarle in Qatar, perché la caduta di Saddam Hussein ha diminuito la necessità strategica nella regione. In Iraq, intanto, ieri si sono consegnati agli americani Rihab Rashid Taha, nota come la “Dottoressa Germe” per il suo ruolo nel programma di riarmo biologico iracheno, e l’ex capo di Stato maggiore delle forze armate, Ibrahim Ahmad al-Sattar Muhammad. La notizia è stata annunciata nel giorno in cui il nuovo amministratore provvisorio americano, Paul Bremer, è arrivato a Baghdad.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Intanto, prima di giungere a Riad, Powell ha concesso alla Giordania un aiuto di 700 milioni di dollari, come compensazione per l’impatto causato al Paese dalla guerra in Iraq. La missione del segretario di Stato americano prosegue, dunque, mentre nei Territori rimane alta la tensione e sorgono nuovi contrasti sul ruolo di Arafat, accusato da Israele di ospitare a Ramallah gruppi attivi della guerriglia palestinese. Il servizio di Graziano Motta:

 

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Powell - lasciati a Gerusalemme due suoi stretti collaboratori, che hanno avuto con israeliani e palestinesi discussioni tecniche sulla prima fase della “Road map”, il piano di pace, relative ai problemi della sicurezza - aveva avuto ieri colloqui al Cairo e ad Amman, per coagulare consensi e sostegno sulla riattivazione del processo di pace. L’Egitto, in particolare, è impegnato da tempo a convincere i vari gruppi politici palestinesi a cessare la rivolta armata, ma sostiene la figura e il ruolo di Arafat, così pure la Giordania. I due Paesi non condividono per questo le posizioni degli Stati Uniti, che in linea con Israele vedono il rais come un ostacolo. E su questo atteggiamento c’è un’altra spaccatura. Il ministro degli Esteri greco, Papandreu, presidente di turno dell’Unione Europea, che ha intrapreso una missione di appoggio al processo di pace, si recherà in visita da Arafat, che Powel ha invece boicottato. Ieri, intanto, ancora violenze nei territori: tre palestinesi sono rimasti uccisi nella Striscia di Gaza, due a Rafah, uno a Kahn Yunis. Inoltre in Galilea sono stati arrestati 13 esponenti di primissimo piano del movimento islamico di Israele, accusati tutti di collegamento con fondamentalisti palestinesi e stranieri.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Storico viaggio del presidente iraniano, Mohammad Khatami, in Libano. Il leader di Teheran è giunto ieri a Beirut per una visita ufficiale di tre giorni nell'ambito di una missione nella regione, per ridurre le recenti pressioni esercitate dagli Stati Uniti su Damasco e Teheran. In quello che è il primo viaggio in Libano di un capo di Stato iraniano, dalla rivoluzione islamica nel 1979, la visita di Khatami arriva a ridosso della fine della guerra in Iraq, Paese con cui l'Iran ha combattuto un sanguinoso conflitto dal 1980 al 1988.

 

Segnali di disgelo tra India e Pakistan. New Delhi ha annunciato l’invio di un proprio ambasciatore ad Islamabad che dovrebbe essere operativo in tempi brevi. L’India aveva interrotto i rapporti diplomatici col Pakistan circa un anno e mezzo fa, quando, nel dicembre 2001, ribelli islamici filopakistani attaccarono il parlamento indiano

 

In Uganda il rapimento dei 40 studenti del Seminario di Lachor, a Gulu, non va considerata un’azione mirata contro la Chiesa o le missioni cattoliche, ma rientra nel clima di estrema insicurezza che attanaglia l’intero nord del Paese. Lo ha dichiarato ieri l’arcivescovo di Gulu, mons. John Baptist Hodama. Sulle motivazioni dell’episodio, ci riferisce Giulio Albanese:

 

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In sostanza il sequestro dei giovani sarebbe stato compiuto da un gruppo di ribelli che avrebbe agito con l’intento di sbarcare il lunario, rubando e saccheggiando, come normalmente avviene tra questi fuoriusciti del movimento, che dalla fine degli anni ’80 semina morte e distruzione nei distretti Acholi. I 40 seminaristi, catturati nella notte tra sabato e domenica scorsi dai ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore, potrebbero essere rilasciati da un momento all’altro. Intanto è nata “Oduru Kuc”, ovvero “richiesta di pace” nella lingua degli Acholi, un nuovo cartello di organizzazioni che coordinerà tutte le prossime iniziative per i negoziati di pace tra i ribelli e il governo di Kampala, un cartello che vede la Chiesa cattolica in prima fila per ridare speranza alla gente.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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La violenza torna a colpire in Algeria. Sei estremisti islamici sono stati uccisi da un bombardamento dell’esercito in una zona montuosa della regione di Relizane, 300 chilometri ad ovest di Algeri. Proprio i fondamentalisti, invece, hanno fatto esplodere ieri una bomba artigianale nella località di Baghlia, 50 chilometri ad est della capitale: il bilancio è di un poliziotto morto e sette civili feriti.

 

È salito a 54 morti, fra cui 7 bambini, il bilancio dell’attentato di ieri nel villaggio ceceno di Snamenskoie, un’ottantina di chilometri a nord-ovest di Grozny. Numerosi anche i feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni. Mentre il presidente russo Putin ha duramente criticato l’episodio, voluto – ha detto – da chi vuole impedire la soluzione politica della crisi tra Mosca e la guerriglia cecena, un portavoce del governo separatista della repubblica caucasica ha aperto stamani uno spiraglio al dialogo, chiedendo alla Russia di riconoscere la leadership dell’indipendentista Maskhadov e di accettare una tregua, con la mediazione dell’Unione Europea.

 

Ultimatum del governo filippino ai ribelli del Fronte di liberazione islamico Moro, protagonisti di numerosi attentati nell’isola di Mindanao. “Se non cesseranno gli attacchi contro i civili entro il 1° giugno – ha detto questa mattina la presidente, Gloria Macapagal Arroyo – il Fronte sarà inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche e come tale combattuto”. Il capo di Stato ha inoltre invitato gli attivisti islamici a prendere le distanze da gruppi come Abu Sayyaf e la Jemaah Islamiya indonesiana.

 

Nuove tensione provocate dalla Corea del nord, alla vigilia della visita alla Casa Bianca del presidente sudcoreano, Roh Moo Hyun. Pyongyang ha infatti annunciato l’abbandono dell’accordo per la denuclearizzazione della penisola coreana, firmato con Seul nel 1992: la motivazione ufficiale sarebbe la necessità di potersi difendere da eventuali attacchi militari statunitensi.

 

Continua ad aggravarsi in Cina il bilancio delle vittime della Sars, la polmonite atipica, con dieci morti nelle ultime 24 ore. Anche ad Hong Kong, si registra oggi la morte di sette persone. Nel tentativo di coordinare la lotta all’epidemia, la Malaysia ha annunciato lo svolgimento di una Conferenza internazionale sul virus, in programma tra un mese.

 

 

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