RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 132 - Testo della
Trasmissione di lunedì 12 maggio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Oltre un milione di persone senza
tetto in Kenya, sconvolto dalle alluvioni.
Attentato kamikaze dei separatisti ceceni: almeno
40 morti per un camion-bomba davanti ad una sede locale dell’amministrazione
filorussa.
Powell in Egitto, per
cercare una soluzione alla crisi mediorientale. Gli israeliani tornano ad
isolare la striscia di Gaza.
Giunto in Iraq il nuovo amministratore americano,
Bremer. Il generale Franks discioglie il partito di Saddam Hussein.
La situazione nella Repubblica democratica del
Congo all’esame dell’Onu. Trenta vittime negli ultimi giorni: tra loro, due
religiosi.
È Vujanovic, candidato del premier Djukanovic, il
nuovo presidente del Montenegro.
12 maggio 2003
PACE E BUONE CONDIZIONI DI VITA PER LE
POPOLAZIONI DEL MEDIO ORIENTE
PROVATE “DA TENSIONI E INGIUSTE OPPRESSIONI”. LO HA CHIESTO IL PAPA
NELL’UDIENZA AI DOCENTI
E AGLI STUDENTI ROMANI DELLE CHIESE ORIENTALI,
INVITANDO A STIMOLARE IL DIALOGO TRA CATTOLICI E ORTODOSSI
- A cura di Alessandro De Carolis -
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La pace si rafforzi nei Paesi del Medio Oriente e,
sull’esempio delle Chiese cattoliche di quelle regioni, si promuova
l’inculturazione del Vangelo, evitando “le tensioni fra latini e orientali” e
stimolando “il dialogo fra cattolici e ortodossi”. Sono i due auspici di
Giovanni Paolo II emersi dal suo discorso rivolto stamani ai sacerdoti, alle
religiose e ai seminaristi appartenenti alle Chiese d’Oriente, ma presenti a
Roma per il perfezionamento degli studi. In circa 500, sono stati ricevuti in
udienza nella Sala Clementina, guidati dal cardinale Ignace Moussa I Daoud, prefetto
della Congregazione per le Chiese Orientali.
Dopo aver precisato di avere “bene presenti le complesse
problematiche e le sfide” che l’attualità pone a quelle realtà ecclesiali, il
Papa, prima di addentrarsi in temi più prettamente dottrinali e formativi, si è
soffermato sulla situazione sociopolitica dei Paesi dell’area mediorientale.
“Mi viene spontaneo - ha detto il Pontefice - ribadire con forza l'auspicio che
si consolidi sempre più in quelle regioni la pace, e che soluzioni eque e
pacifiche restituiscano concordia e buone condizioni di vita a popolazioni già
tanto provate da tensioni e ingiuste oppressioni. Voglia il Signore - ha
soggiunto - illuminare i responsabili delle nazioni, perché si adoperino
coraggiosamente, nel rispetto del diritto, per il bene di tutti e per la libertà
di ogni comunità religiosa”.
Spostando poi l’attenzione ai
vari seminari romani di rito, lingue e percorso di studi orientali, Giovanni
Paolo II ha apprezzato gli sforzi prodotti dai vari istituti in campo
pastorale, spirituale, formativo, culturale. In particolare, dal punto di vista
pedagogico, il Papa ha ribadito l’importanza di approfondire la “conoscenza
della liturgia delle Chiese d'Oriente e delle tradizioni spirituali dei padri e dei dottori
dell'Oriente cristiano”:
“Occorre
prendere esempio dalle Chiese d'Oriente per l'inculturazione del messaggio del
Vangelo: evitare le tensioni fra latini e orientali e stimolare il dialogo fra
cattolici e ortodossi”.
Inoltre, ha concluso il Pontefice, “è utile formare in
istituzioni specializzate per l'Oriente cristiano teologi, liturgisti, storici
e canonisti in grado di diffondere, a loro volta, la conoscenza delle Chiese
d'Oriente, come pure impartire nei seminari e nelle facoltà teologiche un
insegnamento adeguato su tali materie, soprattutto per i futuri sacerdoti”.
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UDIENZE
A VESCOVI DELL’INDIA IN VISITA “AD LIMINA”
E RINUNCIA CON SUCCESSIONE IN SPAGNA E
ANDORRA
Il Papa
ha ricevuto questa mattina alcuni presuli indiani, sia di rito siro-malabarese
che di rito siro-malankarese, in visita “ad Limina”. Si tratta di antiche
comunità cattoliche di origine siriaca, della regione del Malabar, nell’India
meridionale, la cui nascita secondo la tradizione risale alla predicazione
dell’apostolo Tommaso.
Fu Pio XI che nel 1923 istituì la provincia ecclesiastica
siro-malabarica, direttamente dipendente dalla Santa Sede. Il rito malabarico è
sostanzialmente quello caldeo, termine derivante dall’antica Mesopotamia,
modificato dal secolo XVI con l’infiltrazione di usanze latine. La lingua è il
siriaco, il calendario e il canto seguono l’uso caldeo. Alcune preghiere della
Messa provengono dalla liturgia romana.
La comunità cattolica siro-malankarese nel IV secolo entrò
in contatto con le Chiese siro-caldee, adottando nel culto le tradizioni liturgiche antiochene e la
lingua siriaca. Lo stesso Pio XI, nel 1932, istituì la gerarchia cattolica
siro-malankarese, comprendente l’eparchia metropolitana di Trivandrum e
l’eparchia di Tiruvalla. In seguito, furono istituite le eparchie di Battery
(1978), di Marthandon (1996) e di Muvattupuzha (2003).
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Urgell, in Spagna e principato di Andorra,
presentata dal vescovo mons. Joan Marti Alanis, per limiti di età. Gli succede
il presule mons. Joan Enric Vives Sicilia, finora vescovo coadiutore della
stessa diocesi di Urgell.
DOMENICA PROSSIMA SARA’ PROCLAMATO SANTO
IL
VESCOVO POLACCO GIUSEPPE SEBASTIANO PELCZAR, FONDATORE DELLA
CONGREGAZIONE
DELLE ANCELLE DEL SACRO CUORE DI GESU’
- A
cura di Giovanni Peduto -
La Chiesa si arricchisce di quattro nuovi Santi domenica prossima:
due suore italiane, una suora e un vescovo polacchi; tutti fondatori. Oggi
parliamo di Giuseppe Sebastiano Pelczar nato nel 1842 a Krczyna, un piccolo
paese ai piedi dei Monti Carpazi, presso Krosno. Mentre era studente ginnasiale
prese la decisione di dedicarsi al servizio di Dio poiché, come possiamo
leggere nel suo diario, “gli ideali terreni impallidiscono, l’ideale della vita
lo vedo nel sacrificio e l’ideale del sacrificio lo vedo nel sacerdozio”.
Completato il sesto anno di scuola entrò nel Seminario minore e, nel 1860,
iniziò gli studi teologici presso il Seminario maggiore di Przemysl.
Ordinato sacerdote nel 1864, Giuseppe Sebastiano per un
anno e mezzo fu vicario della parrocchia di Sambor. Negli anni 1866-1868
proseguì gli studi a Roma, dove, oltre ad acquisire una profonda cultura,
sviluppò un grande e mai sopito amore per la Chiesa e per il suo Capo visibile,
il Papa. Subito dopo il ritorno in patria, fu docente nel seminario di Przemyl
e in seguito, per 22 anni, professore dell’Università Jaghellonica di Cracovia.
Come professore e preside della Facoltà di Teologia si guadagnò la fama di uomo
illuminato, di ottimo insegnante, di organizzatore e amico dei giovani.
Desiderando realizzare l’ideale del sacerdote che pone
generosamente la sua vita al servizio del prossimo, ideale che si era
prefissato sin dai primi anni, Don Pelczar non si limitò soltanto a svolgere un
lavoro scientifico, ma si dedicò con passione anche ad attività sociali e
caritative. Diventò membro attivo della Società di San Vincenzo de’ Paoli e
della Società dell’Educazione Popolare della quale fu preside per sedici anni.
In quel periodo, la società dell’Educazione Popolare fondò centinaia di
biblioteche, organizzò molti corsi gratuiti e distribuì tra la gente più di 100
mila libri, come pure aprì una scuola per le persone di servizio. Nel 1891, per
iniziativa di Don Pelczar, venne fondata la Confraternita della Santissima
Maria Vergine Regina della Polonia, che oltre agli scopi religiosi svolgeva
funzioni sociali, come l’aiuto agli artigiani, ai poveri, agli orfani e ai
servi malati, e specialmente a quelli disoccupati.
Sotto la spinta dei gravi problemi sociali del tempo,
sicuro di interpretare la volontà di Dio, nel 1894 fondò a Cracovia la
Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, ponendo come suo carisma
la diffusione del Regno dell’amore del Cuore di Gesù. Era suo desiderio che le
suore della nuova congregazione diventassero segno e strumento di tale amore
verso le ragazze bisognose, i malati e quanti avessero bisogno di aiuto. Nel
1899 venne nominato vescovo ausiliare di Przemysl e, un anno dopo, ordinario di
quella diocesi della quale per 25 anni ne fu pastore zelante, promuovendo il
bene delle anime a lui affidate.
Nonostante le condizioni di salute non buone, il vescovo
Pelczar si dedicò con impegno instancabile ad attività religiose e sociali. Per
ravvivare nei fedeli lo spirito della fede visitava spesso le parrocchie, si
prodigava per accrescere il livello morale e intellettuale del clero, dando egli
stesso l’esempio di una profonda pietà. Si immedesimò nei bisogni dei suoi
fedeli ed ebbe molta cura degli abitanti più poveri della sua diocesi. I
giardini d’infanzia, le mense per i poveri, i ricoveri per i senza tetto, le
scuole d’avviamento professionale per le ragazze, l’insegnamento gratuito nei
Seminari per i ragazzi poveri: sono soltanto alcune delle opere nate grazie
alle sue iniziative. In particolare, ebbe molto a cuore la condizione degli
operai, i problemi dell’emigrazione, molto attuali in quel periodo, e quelli
dell’alcoolismo.
Fu insomma un lavoratore instancabile. Ne dà prova, tra
l’altro, la sua ricchissima eredità letteraria di cui fanno parte numerose
opere teologiche, storiche e di diritto canonico, nonché manuali, libri di
preghiere, lettere pastorali, discorsi e omelie. Il vescovo Giuseppe Sebastiano
Pelczar morì la notte tra il 27 e il 28 marzo del 1924, lasciando il ricordo di
un uomo di Dio, che nonostante i tempi difficili in cui ebbe a vivere ed
operare aveva fatto sempre la volontà del Signore.
Il 2 giugno del 1991, durante il suo quarto pellegrinaggio
in Polonia, Giovanni Paolo II lo proclamò Beato. Oltre che nella cattedrale di
Przemysl dove si trovano le sue reliquie, egli è particolarmente venerato nella
chiesa della Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù a Cracovia. La
sua memoria liturgica cade il 19 gennaio. Domenica sarà santo.
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“Parola, Eucaristia,
Riconciliazione – tre realtà che la Chiesa e il mondo attendono dal sacerdote”
è il titolo che apre il giornale in riferimento alla quarantesima Giornata
mondiale di preghiera per le vocazioni, nel corso della quale Giovanni Paolo II
ha ordinato trentuno nuovi sacerdoti. A centro pagina, in un corsivo del
direttore Mario Agnes, il ricordo dell’attentato subito dal Papa il 13 maggio
di ventidue anni fa. Sempre in prima pagina, con approfondimenti all’interno,
la tragica notizia di massacri nella regione congolese nord-orientale
dell’Ituri: sembra siano state uccise non meno di trentadue persone.
Nelle vaticane, l’omelia e la
cronaca delle ordinazioni sacerdotali della domenica del Buon Pastore.
L’udienza del Papa alle Chiese Cattoliche Orientali e l’articolo del nostro
inviato a Cracovia sulle celebrazioni in onore di Giovanni Paolo II per il
venticinquesimo anniversario del Pontificato.
Nelle pagine estere, il punto della situazione Medio
Oriente con la missione di Powell che tenta di rilanciare il dialogo. In Iraq
il diplomatico Bremer è giunto a Baghdad per sostituire il generale Garner alla
direzione dell’Amministrazione provvisoria. A Roma, alla Fao, la ventinovesima
sessione del Comitato della sicurezza alimentare.
Nella pagina culturale, La recente riscoperta del pittore
seicentesco emiliano Ludovico Lana.
Nelle pagine italiane, in primo piano il tema
dell’economia e il problema ecologico a Napoli.
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12 maggio 2003
SOLENNE CELEBRAZIONE IN ONORE DI
GIOVANNI PAOLO II A CRACOVIA,
PER IL
25.MO DI PONTIFICATO
-
Servizio di padre Federico Lombardi -
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Nell’Aula magna dell’università Jaghellonica di Cracovia
si è svolta stamani una importante celebrazione in occasione del 25.mo
Pontificato di Giovanni Paolo II. E’ la prima di una serie di manifestazioni
organizzate dal ministero degli Esteri nei diversi Istituti italiani di cultura
all’estero sotto il titolo: “La mia seconda patria”. Giovanni Paolo II infatti
considera l’Italia sua seconda patria ed è il più famoso utilizzatore della
lingua italiana oggi vivente nel mondo. Era giusto che la prima di queste
manifestazioni avesse luogo a Cracovia, da dove Karol Wojtyla è partito appunto
per Roma 25 anni fa.
Il cardinale Macharski ha dato la sua testimonianza sulle
radici polacche del Papa, sui luoghi e le persone della prima parte della sua
vita, mentre il cardinale Sepe ha tracciato un sintetico quadro del
pontificato, letto nella chiave dell’attuazione del Concilio, del Giubileo e
della proiezione della Chiesa verso il Terzo Millennio.
Il presidente della Camera dei deputati, onorevole Casini,
capo della delegazione italiana, ha sviluppato il tema dell’Europa, in cui
anche la Polonia si appresta ad entrare, come Europa non allargata ma
riunificata ed ha richiesto, ancora una volta, con forza, che la nuova Carta
costituzionale contenga una chiara affermazione delle radici cristiane
dell’Europa come desiderato dal Papa.
Il cardinale Ratzinger, presente anch’egli, ha presieduto
ieri qui a Cracovia le celebrazioni per il 750.mo della canonizzazione di Santo
Stanislao martire, nel suo saluto conclusivo ha messo in rilievo il ruolo di
mediazione,svolto da Giovanni Paolo II fra la cultura polacca e quella italiana,
mediazione che apre alla speranza di incontri e non di scontri fra le diverse
culture nell’attuale situazione mondiale.
Una mattinata ricca di contributi impegnativi, integrati
dalla proiezione di immagini del Pontificato, a cura del Centro Televisivo
Vaticano e di Telepace e dalla musica di Stelvio Cipriani e dalla voce di
Amedeo Minghi. Oggi pomeriggio la manifestazione continua con i rintocchi
augurali per Giovanni Paolo II della grande campana della cattedrale del Wawel,
che saranno trasmessi in diretta da Rai Uno.
Un buon inizio, dunque, per questo interessante ciclo di
celebrazioni promosso dal sotto-segretario Mario Baccini e coordinato da Piero
Schiavazzi, che continuerà nei prossimi mesi con le conferenze di diversi
vaticanisti italiani sui 25 anni di Pontificato nelle sede degli Istituti
italiani di New York, Strasburgo, Buenos Aires e di altre città del mondo.
Da Cracovia, padre Federico Lombardi.
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NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL
CONGO:
GLI SCONTRI TRA LE ETNIE HEMA E
LENDU
DEVASTANO LA CITTÀ DI BUNIA. MORTI
ANCHE DUE SACERDOTI
- Con noi, padre Valerio Shango -
Non si
ferma la violenza a Bunia, nel nord est della Repubblica Democratica del Congo,
sconvolta dalle stragi delle etnie in lotta Hema e Lendu. Anche stamani si sono uditi tiri
di armi da fuoco, mentre la città è ormai nelle mani dei ribelli filorwandesi
dell’Unione dei patrioti congolesi (Upc). Oggi la situazione nella regione
dell’Ituri verrà discussa dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ma intanto si è
appreso che oltre trenta civili sono stati uccisi nelle ultime ore: tra loro,
anche bambini. E la violenza, nella notte tra venerdì e sabato scorsi, ha
colpito a morte pure due religiosi cattolici della zona. Ce lo conferma padre
Valerio Shango, portavoce in Italia dei vescovi del Congo - ex Zaire, al
microfono di Giada Aquilino:
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R. – A Bunia c’è una escalation della violenza, ad opera
delle milizie Hema e Lendu, in guerra totale tra loro. I danni sono gravissimi e, al
di là dei saccheggi alle strutture, ci sono purtroppo tanti morti fra i civili
e i religiosi. In una chiesa della periferia di Bunia, a Nyakasunza, sono stati uccisi padre
Aimé, che era vice
parroco, il parroco Mateseso e, con loro, anche tanti laici e civili inermi.
D. – Padre, perché questa violenza tra Hema e
Lendu?
R. – Questa violenza esiste già da anni. La popolazione
Lendu rappresenta la maggioranza a Bunia ed è la popolazione originaria della
zona. Gli Hema provengono invece dall’Uganda ed erano alleati di Kampala. Oggi
appoggiano il leader dell’Unione dei patrioti congolesi, Thomas
Lubanga,
filorwandese. Quindi, l’Uganda ha capovolto la propria strategia, appoggiando
la popolazione Lendu e questo ha attivato di nuovo l’odio interetnico. Si
tratta dunque di uno scontro tra Rwanda ed Uganda per il controllo del
territorio e di tutte quelle ricchezze che ci sono a Bunia: i giacimenti d’oro
e di petrolio, soprattutto. Questo è il tema di fondo: l’Uganda non vuol
perdere il controllo e il Rwanda vorrebbe conquistare tutta l’area.
D. – Nella zona sono in azione i caschi blu dell’Onu, con
la missione Monuc. Quali
sono i loro compiti? Perché non possono evitare questi massacri?
R. – Purtroppo la missione della Monuc si limita soltanto
all’applicazione degli accordi di cessate il fuoco, alla protezione del
personale Onu e dei loro materiali. A dicembre l’Onu ha riconfermato, tramite
la risoluzione 1445, gli stessi compiti per la missione. Invece, il governo di
Kinshasa aveva chiesto che venisse modificato lo statuto della Monuc, che fosse
una missione non solo di interposizione tra le forze belligeranti, ma anche con
qualche compito umanitario a favore delle popolazioni civili e con la capacità
di disarmare i belligeranti. Si spera che presto il Consiglio di Sicurezza
faccia qualcosa per adeguare questa presenza alla realtà del Congo – ex Zaire,
per non far naufragare il processo di pace in corso nella Repubblica
Democratica del Congo.
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AMNESTY INTERNATIONAL SCOPRE
GLI ORRORI DEL PASSATO
NELL’IRAQ
DEL DOPO SADDAM HUSSEIN
- Con
noi Marco Bertotto -
Emergono con il passare del tempo gli orrori del regime di
Saddam Hussein in Iraq. Crimini perpetrati nel disprezzo assoluto dei
fondamentali diritti dell’uomo. Proprio in questi giorni, una delegazione di Amnesty
International - presente nella zona meridionale dell’Iraq - ha visitato una
fossa comune. Intanto, i delegati dell’organizzazione umanitaria stanno
raccogliendo informazioni e testimonianze sul posto, come spiega Marco Bertotto
- presidente di Amnesty Italia - al microfono di Alessandro Gisotti:
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R. – In numerose interviste e contatti con membri della
comunità locale abbiamo sostanzialmente rilevato una sete di giustizia ed una
necessità di fare i conti con il passato. Continuiamo ad avere notizie dei
crimini commessi durante gli anni del regime. Abbiamo ad esempio rilevato una
fossa comune ad Abul Khasib dove sembra che si trovino i corpi di moltissime
persone che sono state vittime della repressione del 1991. Crimini del passato
che continuano ad emergere e quindi la necessità di costruire una giustizia per
il futuro.
D. – C’è anche la realtà di centinaia, migliaia di persone
scomparse sotto il regime di Saddam Hussein e, quindi, anche la tragica pagina
di tante persone che cercano in questo momento di trovare delle notizie sui
propri cari …
R. – Sì, oggi nelle città irachene, a Baghdad come a
Bassora, sono tantissimi i famigliari che cercano di avere notizie, di
ritrovare parenti scomparsi negli anni precedenti, di avere notizia su quale sia
stata la loro sorte. C’è quindi una necessità e per questo abbiamo scritto al
presidente Bush e al primo ministro Blair, che le forze occupanti si assumano
la responsabilità di proteggere e tutelare tutte le prove che possono essere
utili a, eventualmente, ritrovare i corpi di queste persone e forse trovare
persone scomparse ancora vive, ma soprattutto identificare quelle che sono
state le responsabilità nel passato e fornire prove utili a procedimenti
giudiziari, per verificare ed accertare le responsabilità.
D. – Il popolo iracheno è vissuto sotto il giogo di una
dittatura terribile. Di cosa ha bisogno ora l’Iraq per avviarsi verso una
situazione di normalità, soprattutto nel campo dei diritti umani?
R. – Nel campo dei diritti umani, l’Iraq ha bisogno di un
programma complessivo che metta al centro della ricostruzione sociale del Paese
proprio il tema dei diritti umani, a partire dalla giustizia. Noi abbiamo più
volte richiamato le forze occupanti a permettere il dispiegamento di una
commissione di esperti delle Nazioni Unite, che abbia l’incarico proprio di
studiare un programma complessivo sulla giustizia in Iraq. Si dovrebbe partire
da questo, così come dal dispiegamento di una componente di osservatori sui
diritti umani, che sappiano verificare i crimini commessi nel passato,
ricercare gli abusi, ricercare violazioni dei diritti umani e costruire prove e
documentazioni che siano utili agli organismi delle Nazioni Unite, alle forze
occupanti stesse e poi al nuovo governo dell’Iraq per fare i conti con il
passato, per processare i responsabili dei crimini commessi nei decenni
precedenti e costruire nuove basi per l’Iraq.
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12 maggio 2003
IN UGANDA
41 GIOVANI SEMINARISTI DELL’ARCIDIOCESI DI GULU
SONO STATI SEQUESTRATI, SABATO SCORSO, DAI RIBELLI
DELL’ESERCITO
DI LIBERAZIONE DEL SIGNORE. DURANTE L’AZIONE COMPIUTA
DAI MILIZIANI
È RIMASTO PURTROPPO UCCISO UN RAGAZZO
CHE SI ERA RIFUGIATO NELLA STRUTTURA ECCLESIALE
- A cura di Amedeo Lomonaco -
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KAMPALA. = “I seminaristi sequestrati stanno bene e
contiamo di rilasciarli appena possibile”. È quanto ha dichiarato ieri sera in
una telefonata all’Agenzia missionaria Misna una voce anonima aggiungendo che i
41 seminaristi rapiti, sono stati vittima, di un’azione compiuta, nella notte
tra sabato e domenica scorsi, da un’unità armata dell’Esercito di resistenza
del signore (Lra). Nel seminario minore di Lachor, che si trova a circa 10
chilometri dal centro di Gulu, avevano trovato rifugio alcuni civili,
soprattutto bambini, che temevano di essere catturati e rapiti dai
guerriglieri. Uno di loro è purtroppo rimasto ucciso nel corso di una lunga
sparatoria. L’arcivescovo di Gulu, mons. John Baptist Odama, ha
detto all'Agenzia Fides che il momento è delicato. “Chiedo la preghiera di
tutti – ha affermato il presule - affinché i ragazzi siano liberati il prima
possibile”. Sempre nella notte tra sabato e domenica, una
missione cattolica è stata saccheggiata dai ribelli dello Lra. Si tratta della
parrocchia di Namokora, dell’arcidiocesi di Gulu, situata a 60 chilometri ad
est della città di Kitgum. I missionari, i sacerdoti Guido Miotti e Gerardo
Fuentes Murillo, sono fortunatamente usciti incolumi dalla terribile esperienza.
Intanto, a rendere la situazione della regione sempre più drammatica, sono le
notizie di un presunto focolaio di Ebola nel vicino Sudan. Al momento non è
ancora stato possibile appurare la causa della febbre emorragica che avrebbe
già mietuto alcune vittime in una località nella zona sudanese dell’Equatoria,
una sessantina di chilometri dal confine con l’Uganda. L’esercito di Kampala
avrebbe intensificato i controlli alla frontiera, vietando l'accesso nel Paese
a chiunque, che giungendo dal Sudan, presenti sintomi sospetti. Si teme che
l’ingresso di nuovi reparti dello Lra in territorio ugandese, possa causare una
nuova epidemia di Ebola.
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DOPO
LA SICCITÀ E LA CARESTIA IL KENYA E’ SCONVOLTO, IN QUESTI GIORNI,
DAL DRAMMA DELLE ALLUVIONI CHE HANNO LASCIATO
SENZA TETTO
PIÙ DI UN MILIONE DI PERSONE
NAIROBI. = Altre nove persone sono morte nel fine
settimane in Kenya a causa delle alluvioni che dalla fine di aprile stanno
colpendo il Paese. Sale così a 49 il numero totale delle vittime provocate
dall’eccezionale ondata di maltempo. Delle nove persone morte nel fine
settimane, 6 sono state trascinate dalle acque nel distretto settentrionale di
Marsabit e 3 sono annegate nel distretto centrale di Meru. Le alluvioni hanno
lasciato un milione di persone senza tetto e continuano a minacciare ampie zone
del Paese. La situazione più grave è quella del distretto di Baringo, nel nord
del Paese, dove le piogge stanno provocando danni enormi ad un sistema agricolo
recentemente già provato dalla siccità. La stessa Nairobi paga ancora le
conseguenze delle inondazioni che, in questi giorni, stanno ripetutamente
colpendo il Kenya. Da giorni un milione dei suoi abitanti è senza acqua potabile
per i danni subiti, a causa delle piogge intense, da un bacino artificiale che
rifornisce alcuni quartieri della capitale. Il governo di Nairobi ha iniziato,
con la collaborazione della Croce Rossa e degli organismi delle Nazioni Unite,
a distribuire medicinali, aiuti alimentari ed impermeabili grazie a speciali
voli umanitari in grado di raggiungere anche le zone che finora erano rimaste
isolate. (A.L.)
“IL DIALOGO TRA ISLAMICI
E CRISTIANI PUÒ SUPERARE LE FRONTIERE
E FACILITARE L’INTEGRAZIONE”. LO HA DETTO,
COMMENTANDO IL LAVORO
FIN QUI SVOLTO DAL COMITATO ISLAM IN EUROPA,
L’INCARICATO DEL SERVIZIO PER L'ECUMENISMO
E IL DIALOGO DELLA DIOCESI DI MILANO, DON
GIAMPIERO ALBERTI
MILANO.
= Offrire alle Chiese cristiane d'Europa suggerimenti sulle implicazioni del
dialogo tra islamici e cristiani, promuovere incontri con il mondo musulmano e
facilitare lo scambio d'informazioni e di esperienze. “Era questo il compito
affidato al Comitato islam in Europa, una missione che, mi sento di dire,
abbiamo sostanzialmente svolto”. A parlare è l’incaricato per i rapporti con
l'islam del Servizio per l'ecumenismo e il dialogo della diocesi di Milano, don
Giampiero Alberti. A cinque anni dal suo insediamento il Comitato, voluto
congiuntamente dal Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee) e
dalla Conferenza delle Chiese d'Europa (Kek), ha concluso il suo mandato con
l'incontro di Strasburgo dello scorso marzo. Sulla complessità e sulla
difficoltà del dialogo con l'islam don Alberti, unico italiano presente nel
Comitato Ccee-Kek, è realista ma moderatamente ottimista. “Credo – ha affermato
- che il dialogo si stia sviluppando grazie alla reciproca conoscenza ed alla
strada dell’integrazione”. Se i semi del dialogo sono già stati gettati, resta
da capire quanto questo incontro possa favorire un'apertura anche nei Paesi
d'origine della diaspora musulmana. “Non credo – ha concluso don Alberti - che
il mondo musulmano sia intransigente come lo si vuole dipingere oggi. Gli
immigrati musulmani che si aprono al dialogo riescono infatti a contagiare con
idee nuove anche le realtà dei loro Paesi di provenienza”. E’ questo un fatto
che fa ben sperare per il futuro di questo nostro mondo prigioniero, purtroppo,
di troppe divisioni. (A.L.)
SI
SONO CONCLUSE IERI A PADOVA LE GIORNATE NAZIONALI DELLE SALE
DELLA COMUNITÀ. IL CONVEGNO È STATO PROMOSSO
DALL’ASSOCIAZIONE CATTOLICA
ESERCENTI CINEMA IN COLLABORAZIONE CON LA CEI ED
IL CENTRO
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI DELLA DIOCESI DI
PADOVA
PADOVA.
= “Uno spazio dove autenticamente si fa cultura, cioè si coltiva il gusto, la
mente e il cuore”. E’ la definizione della sala della comunità, che emerge
dalla nota della Cei in materia, in cui si denuncia anche “una forte
omologazione del gusto”. Proprio su questi temi si sono concluse ieri a Padova
le Giornate nazionali delle sale della comunità promosse dall’Associazione
cattolica esercenti cinema (Acec), in collaborazione con l’Ufficio Cei per le
comunicazioni sociali, il Servizio Cei per il progetto culturale ed il Centro
delle comunicazioni sociali della diocesi di Padova. “Dare visibilità e
compattezza, anche nei confronti della realtà ecclesiale e della pubblica
amministrazione alle circa 1000 sale della comunità presenti in Italia,
costituite per collaborare ad una crescita umana e cristiana delle persone che
le frequentano”. Questo, secondo il responsabile del settore cinema e
spettacolo dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, don Dario Viganò, è
stato il senso dell’iniziativa. “Verso le sale della comunità - ha spiegato -
il legislatore è chiamato a rivolgere, proprio per il loro ruolo aggregativo,
culturale e formativo, una maggiore attenzione”. Le sale della comunità
costituiscono uno spazio sempre più “polifunzionale” in grado di reggere anche
la sfida della “competitività” con le sale cinematografiche del circuito
commerciale. La maggioranza
di questi luoghi, oltre il 23 per cento, hanno alle spalle quasi cinquant’anni
di vita, e la metà di essi sono ubicati in centri con meno di 10 mila abitanti.
Questi sono alcuni dei dati emersi da una ricerca in materia, effettuata
dall’Università cattolica e presentata da Alberto Bourlot e Mariagrazia Falchi
nel corso del convegno conclusosi con una tavola rotonda sul tema “Le Sale
della comunità e la complessità della comunicazione oggi”. (A.L.)
INTERVENTO DI NEW DELHI SUL
CONTROVERSO “DOCUMENTO SULLA LIBERTÀ
DI RELIGIONE”
APPROVATO DALL’ASSEMBLEA DEL GUJARAT. CITANDO LA COSTITUZIONE INDIANA IL
GOVERNO HA RICORDATO
CHE
“TUTTI SONO UGUALMENTE INVESTITI DEL DIRITTO DI PROFESSARE,
PRATICARE
E DIFFONDERE LIBERAMENTE LA RELIGIONE”
NEW
DELHI. = La Commissione nazionale per le minoranze (Ncm), organismo che dipende
dal governo centrale dell’India, ha chiesto al governatore del Gujarat di
cancellare un comma della controversa legge, denominata “Documento sulla libertà
di religione”, sulle conversioni religiose forzate, approvata dall’assemblea
locale il 26 marzo. Nei giorni scorsi il vice presidente della Ncm, Tarlochan
Singh, in una lettera inviata al governatore del Gujarat, ha richiamato la sua
attenzione sul comma 5 della legge. “Chiunque converta qualsiasi persona da una
religione ad un’altra – vi è scritto – dovrà prima chiedere il permesso al
magistrato distrettuale”. Tarlochan Singh ha dunque sollecitato il governatore
ad eliminare queste frasi dal testo di legge, sostenendo che sono contrarie a
quanto stabilito dalla Costituzione indiana, laddove si dice che “tutti sono
ugualmente investiti del diritto di professare, praticare e diffondere
liberamente la religione”. (M.A.)
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12 maggio 2003
- A
cura di Andrea Sarubbi -
La violenza in
Cecenia continua a mietere vittime: almeno 40 persone sarebbero morte ed una
settantina sarebbero rimaste ferite, per l’esplosione di un camion-bomba contenente
una tonnellata di tritolo nel distretto di Nadterechny. Il veicolo è esploso mentre
si lanciava a grande velocità contro gli edifici dell’amministrazione locale e
dei servizi segreti nel villaggio di Snamenskoie, un’ottantina di chilometri a
nordovest di Grozny. Per il governo filorusso non sembrano esserci dubbi sulla
matrice separatista dell’attentato kamikaze, e lo stesso presidente russo,
Vladimir Putin, ha lanciato un monito alla guerriglia: Mosca – ha detto – non
permetterà che venga impedito “il processo di soluzione politica” nella regione.
Sulla situazione attuale, Giancarlo La Vella ha intervistato Mario Nordio,
docente di Storia dell’Asia alla Ca’ Foscari di Venezia:
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R. - La situazione è quella conflittuale fra un governo
filorusso e una opposizione che è sfrangiata, che ha subito tutte le pressioni
del post 11 settembre. Accanto ad una componente tradizionale, che è quella
della lunga guerriglia, esistono alcune componenti che tendono invece ad
entrare nelle grandi costellazioni di questo network del terrore che
ogni tanto porta qualche colpo.
D.- Quali obiettivi ha questo network del terrore,
come Lei lo definisce?
R.- Quello di mantenere molto alta la tensione, tenendo
presente che nella dottrina militare russa la sicurezza va al primo posto –
così come nella dottrina militare statunitense – e dunque minacciarla significa
toccare uno dei punti sensibili. Quello che mi stupisce, nelle modalità operative,
è che non ci siano state le due autobombe, che di solito sono il marchio di
fabbrica di questo network.
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Ma oltre alla Cecenia, la violenza in Caucaso ha colpito
nuovamente anche la vicina repubblica del Daghestan. Un ordigno è scoppiato
questa mattina nell’automobile del vice ministro degli Interni, Magomed Omarov,
rimasto ferito.
Grande attenzione in Medio Oriente sulla missione di Colin
Powell. Il segretario di Stato americano è arrivato stamattina al Cairo per un
colloquio con il presidente egiziano, Hosni Mubarak. Javier Solana,
responsabile europeo per la politica estera, ha invece annunciato che incontrerà
nei prossimi giorni il presidente dell’Anp, Arafat. Nel frattempo, qualcosa
sembra muoversi anche tra israeliani e palestinesi: sabato sera, riferisce oggi
un quotidiano di Ramallah, si sarebbero incontrati i responsabili per la sicurezza
delle due parti, nel tentativo di trovare un accordo su Gaza e Betlemme. Ma la
tensione è comunque alta, anche per la decisione israeliana di bloccare
nuovamente la striscia di Gaza:
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Gaza è di nuovo isolata. Non sono potuti tornare a lavoro
in Israele le migliaia di pendolari a cui ieri era stato riattivato il
permesso. Ma, precisano fonti militari, il passaggio è consentito per le
missioni diplomatiche e per ragioni umanitarie, e le merci possono transitare
per il valico di Karmi. Al confine tra Gaza ed Egitto, a Rafah, sempre la
scorsa notte i soldati hanno scoperto e distrutto dei passaggi sotterranei.
Vista la resistenza, due palestinesi sono stati uccisi e due feriti. E quattro
attivisti di Hamas sono stati arrestati, due a Betlemme e due a Ramallah, città
in cui opera un gruppo di guerriglieri che - sostengono le autorità militari
israeliane – avrebbe la base nel quartiere generale di Arafat. Questo scenario
offusca le prospettive di una riattivazione del dialogo di pace, aperto ieri
dalla missione del segretario di Stato americano, che ha avuto colloqui con i
primi ministri israeliano e palestinese, rispettivamente a Gerusalemme e a
Gerico. Powell li ha spronati, riscontrando dichiarazioni di buona volontà di
entrambi. E, in effetti, un loro incontro è previsto per il fine settimana:
prima, cioè, della partenza di Sharon per Washington.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Continuano le
defezioni all’interno del governo britannico a proposito della linea tenuta dal
premier Blair sull’Iraq. Il ministro per lo Sviluppo internazionale Clare
Short, si è dimessa oggi. In Iraq intanto il nuovo amministratore americano,
Paul Bremer, è giunto oggi a Bassora, nel sud del Paese, per cominciare la sua
missione. L’ex diplomatico sostituirà l’anziano generale Jay Garner, capo del
governo provvisorio. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Il Washington Post ha scritto che il reparto
incaricato di cercare le armi di distruzione di massa si prepara al ritiro,
senza averle trovate. Altri specialisti dovrebbero continuare la caccia alle
sostanze chimiche, biologiche e nucleari, che il presidente Bush aveva usato
come giustificazione principale della guerra. Il cambio nell’amministrazione
americana avviene proprio mentre cresce la pressione da parte della maggioranza
sciita. Ieri, l’ayatollah Mohammad Baqer Hakim, rientrato dall’esilio in Iran,
ha visitato Nassiriya, chiedendo ancora la creazione di uno Stato islamico e la
partenza dei soldati stranieri. Intanto, il generale Franks, comandante delle
truppe americane, ha dichiarato disciolto il partito Baath di Saddam Hussein,
invitando la popolazione a consegnare tutti i documenti che possiede, per fare
luce su anni di dittatura e forse anche sulla sorte della leadership.
Per Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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È iniziato nel segno del dialogo il mandato di Domitien
Ndayizeve, nuovo presidente del Burundi. Il capo di Stato hutu,
succeduto due settimane fa al tutsi Pierre Buyoya, è da ieri in missione
nei Paesi vicini: in Uganda – Paese che guida l’iniziativa di pace – ha
incontrato il presidente Yoweri Museveni, ed in Tanzania – sede dei negoziati –
il collega Benjamin Mkapa. Oggi ultima tappa nella Repubblica democratica del
Congo, dove è previsto un colloquio con Joseph Kabila.
L’ex premier Filip Vujanovic ha vinto le elezioni
presidenziali di ieri in Montenegro, una delle due entità, insieme alla Serbia,
della nuova unione che ha preso il posto della Federazione jugoslava.
Precedentemente altre due consultazioni per l’alta carica erano fallite per il
mancato raggiungimento del quorum. Il servizio di Emiliano Bos:
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Con il 63 per cento dei consensi, Filip Vujanovic – il
candidato del partito di governo del premier, l’uomo forte Milo Djukanovic – si
è aggiudicato la corsa per la massima carica dello Stato. Ma ancora una volta
la disaffezione è stata particolarmente elevata: soltanto il 48 per cento degli
aventi diritto al voto si è recato alle urne. Vujanovic aveva già stravinto
nelle due tornate elettorali dei mesi scorsi, ma stavolta – grazie ad un
recente voto del Parlamento, che ha abolito la soglia della partecipazione
minima – ha sconfitto anche il fantasma dell’astensionismo. Alle sue spalle,
con il 31 per cento dei voti, il leader dell’alleanza liberale Miodrag Zivkovic,
mentre il terzo sfidante, l’ecologista Dragan Hajdukovic, ha raccolto poco più
del 4 per cento. “La strada verso l’Europa, la partnership per la Nato, le
riforme economiche e sociali: sono queste le priorità per i montenegrini”, ha
detto il neo capo di Stato, dopo le prime proiezioni dei risultati che saranno
ufficializzati tra oggi e domani dalla Commissione elettorale.
Per la Radio Vaticana, Emiliano Bos.
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Nove elettori lituani su dieci hanno detto sì all’Europa.
In un referendum dall’esito abbastanza prevedibile, salva qualche apprensione
per raggiungimento del quorum, il 91 per cento dei votanti ha approvato
l’ingresso nell’Unione europea. E questa mattina sono giunte a Vilnius le congratulazioni
di Romano Prodi, presidente della Commissione europea, che ha sottolineato la
“scelta storica” della repubblica ex sovietica.
Si aggrava di ora in ora il bilancio delle vittime di
polmonite atipica. Quelle delle ultime 24 ore sono state almeno 18: dodici in
Cina (nove delle quali nella sola Pechino) tre ad Hong Kong ed altrettante a
Taiwan. Nella stessa Cina, il numero di contagi ha ormai superato quota 5 mila,
su un totale di 7 mila nel mondo: la vicepremier, Wu Yi, sottoporrà l’emergenza
all’Organizzazione mondiale della Sanità, nella riunione in programma a Ginevra
la settimana prossima.
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