RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 209 - Testo della Trasmissione di lunedì 28 luglio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il soggiorno estivo del Papa a Castel Gandolfo, tra il calore dei fedeli e la pace della cittadina sul lago. Ce ne parla il direttore delle Ville Pontificie, Saverio Petrillo.

 

Un anno fa Giovanni Paolo II a Toronto, per la 17.ma Giornata Mondiale della Gioventù. Un ricordo dell’evento con il responsabile locale padre Thomas Rosica e due ragazzi della Gmg.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Arrestati in Argentina 43 responsabili di crimini commessi sotto la dittatura. Intervista con la presidente dell’associazione “Nonne di Plaza de Mayo”, Estela Parlotto.

 

L’opera delle missioni cattoliche in Uganda, altra terra africana insanguinata dalla guerra civile. La testimonianza del missionario comboniano padre Pietro Tiboni.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Avviata dalla Chiesa venezuelana la quarta sessione del proprio Concilio plenario. Ministero ordinato, ruolo dei laici e pastorale giovanile, temi centrali per i 300 delegati.

 

Prosegue l’impegno umanitario della Caritas in Iraq. Ambiti principali, sanità e risorse idriche.

 

Inaugurato il metanodotto che collegherà Egitto e Giordania. Nei prossimi anni giungerà fino in Europa.

 

Il Comune di Odessa restituisce ai cattolici tre chiese confiscate dai comunisti dopo la rivoluzione.

 

Le suore di San Francesco d’Assisi festeggiano i cinquant’anni di presenza nella Repubblica Democratica del Congo.

 

24 ORE NEL MONDO:

Secondo i generali americani è ormai imminente la cattura di Saddam Hussein.

 

Storico appuntamento per la pace in Medio Oriente: domani il presidente americano, George Bush, incontrerà il premier israeliano, Ariel Sharon.

 

Nelle Filippine si è conclusa pacificamente la crisi tra il governo ed i ribelli.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

28 luglio 2003

 

 

L’ABBRACCIO CALOROSO DEI FEDELI E LE BELLEZZE NATURALISTICHE,

CORNICE DEL SOGGIORNO ESTIVO DEL PAPA A CASTEL GANDOLFO.

CE NE PARLA IL DIRETTORE DELLE VILLE PONTIFICIE, SAVERIO PETRILLO

 

Lontano dal caldo afoso che attanaglia Roma, ma circondato dal calore dei fedeli di Castel Gandolfo, Giovanni Paolo II prosegue il suo soggiorno estivo nella ridente cittadina laziale. Un periodo caratterizzato, com’è consuetudine, da un ridimensionamento dell’attività giornaliera, che non manca, tuttavia, di offrire significativi momenti di incontro con i pellegrini. Una presenza, quella del Papa nella residenza di Castello, che è ormai una tradizione, ma sempre capace di suscitare nuove emozioni, come conferma – al microfono di Alessandro Gisotti – il dott. Saverio Petrillo, direttore delle Ville Pontificie:

 

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R. – Devo dire che alla presenza del Papa non ci si abitua mai. Personalmente, debbo dire che ogni volta che sento che la macchina del Papa sta per arrivare al Palazzo pontificio, sento dentro di me un’emozione profondissima. Emozione che poi, con l’attuale Pontefice, diventa sempre maggiore anche perché avendo avuto la fortuna di vederlo ormai da 25 anni, c’è un affetto personale che cresce di giorno in giorno.

 

D. – Quali sono gli aspetti di Castel Gandolfo che Giovanni Paolo II sembra apprezzare maggiormente in questi giorni di riposo?

 

R. – Intanto, diciamo che il caldo si sente anche a Castel Gandolfo, però il pomeriggio il paese è allietato dal Ponentino che si fa sentire; e poi c’è il lago, questa coppa verde che c’è tutt’intorno e che dà veramente un senso di pace, di riposo e di sollievo per lo spirito.

 

D. – Ecco, il Papa conoscendo bene questi luoghi li apprezza sempre ...

 

R. – Sempre, ormai li conosce molto bene, perché nessun Papa è stato a Castel Gandolfo per 25 anni di seguito. Conosce molto bene sia i luoghi che questi aspetti ‘climatici’ e di temperatura, di venti ...

 

D. – Cos’è che caratterizza l’abbraccio dei fedeli di Castello al Papa nei momenti di incontro, all’udienza del mercoledì come all’Angelus domenicale?

 

R. – Noi abbiamo la fortuna-sfortuna che il cortile del Palazzo pontificio è piuttosto limitato come ampiezza, per cui i pellegrini vengono a trovarsi ad un metro e mezzo-due metri di distanza dal Santo Padre. C’è un colloquio che non è fatto solo di parole e di canti, ma è un colloquio di gesti e veramente per il Santo Padre e per i pellegrini è possibile guardarsi negli occhi, il che è molto bello. Poi, i pellegrini per ragioni di spazio non possono star seduti, quindi stanno tutti in piedi, e questa vicinanza tra i vari gruppi crea una vicinanza anche spirituale. Le differenze di lingua, le differenze geografiche si annullano e c’è questo ‘essere uno’ di tutta l’assemblea nei confronti dei Santo Padre: quindi, veramente un ‘fare Chiesa’.

 

D. – Ieri all’Angelus il Papa ha ricevuto delle pesche dalla comunità di Castel Gandolfo in occasione della tradizionale sagra dedicata a questa primizia del luogo. Come ha risposto il Santo Padre a questo segno simpatico d’affetto?

 

R. – Il Santo Padre è sempre molto contento quando riceve questo omaggio della popolazione di Castel Gandolfo, che ha questa occasione per far sentire ancora più stretto il legame con il Papa. Debbo dire che poi questo è l’anno 25.mo del pontificato e legata anche alla presenza del Papa, la parrocchia ha dato vita ad un’iniziativa molto bella: quella di aprire una mostra fotografica nella cripta della chiesa parrocchiale, dove ci sono oltre 500 fotografie esposte che sono veramente il tributo di affetto della popolazione al Papa, perché quando il parroco dal pulpito ha chiesto se qualcuno voleva portare delle foto per arricchire questa mostra, c’è stato l’imbarazzo della scelta giacché oltre 1.000-1.500 foto sono giunte in parrocchia e si è dovuto fare una cernita per realizzare questa esposizione.

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PROVVISTE DI CHIESE IN UCRAINA E IN SPAGNA

 

Il Santo Padre ha dato il suo assenso all’istituzione dell’esarcato di Odessa-Krym, in Ucraina, fatta dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Ucraina Cattolica, con territorio distaccato dall’esarcato di Kyiv-Vyshhorod. Al tempo stesso, il Pontefice ha dato pure il suo assenso all’elezione del sacerdote Vasyl Ivasiuk, attuale protosincello dell’eparchia di Sokal, ad esarca della nuova circoscrizione ecclesiastica orientale, fatta dal medesimo Sinodo ucraino. Il nuovo presule Vasyl Ivasiuk, di 43 anni, è stato seminarista clandestino durante il periodo comunista e nel 1989, sempre in clandestinità, ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale.

 

Il nuovo esarcato di Odessa-Krym raggruppa cinque regioni del Sud-Est dell’Ucraina e si estende su 196 mila kmq, con 8 milioni e 700 mila abitanti, di cui 70 mila fedeli cattolici, assistiti da 11 sacerdoti.

 

In Spagna, il Papa ha nominato vescovo di Còrdoba il presule mons. Juan José Asenjo Pelegrina, finora ausiliare di Toledo.

 

 

UN ANNO FA GIOVANNI PAOLO II A TORONTO

PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’:

CON NOI PADRE THOMAS ROSICA E DUE RAGAZZI DELLA GMG

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

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(applausi)

 

L’ATTENTE QUE L’HUMANITE …

L’attesa che l’umanità va coltivando tra tante ingiustizie e sofferenze è quella di una nuova civiltà, ma per una simile impresa si richiede una nuova generazione di costruttori”.

 

VOUS DOUVEZ ỆTRE CES BÂTISSEURS!

“Questi costruttori dovete essere voi!”

 

(musica)

 

Con queste parole 12 mesi fa Giovanni Paolo II  invitava gli oltre un milione di giovani giunti a Toronto per la 17.ma Giornata Mondiale della Gioventù, a divenire il Popolo delle Beatitudini in un contesto storico segnato dalla paura dei violenti attacchi alle Twin Towers dell’11 settembre. “Siate sale della terra, luce del mondo”, quest’esortazione di Gesù risuonava dalle radio e televisioni di tutto il globo ad indicare che qualcosa di molto forte stava verificandosi in un Canada trasformato. Il “vecchio Papa”, per usare una sua espressione”, dava ad una folla oceanica nel cuore della notte di Downsview Park il mandato a continuare ad essere “Sentinelle del mattino” e testimoniare l’Amore di Cristo in ogni contesto. Ma qual è stato il frutto di quelle giornate? Lo chiediamo a padre Thomas Rosica, direttore nazionale e capo esecutivo della Giornata Mondiale della Gioventù 2002.

 

TOUS LES MURS SONT TOMBES …

 Tutti i muri  sono caduti e davvero è stato qualcosa di magnifico. Oggi si cominciano a vedere, qui in Canada, i primi piccolissimi frutti della maturazione della pastorale della gioventù. E’ un processo lento, ma l’importante è che si muova. Ogni Giornata Mondiale della Gioventù dà uno slancio nuovo, uno spirito nuovo ai giovani nel loro cammino di fede, nella loro vita di cristiani. La Gmg di Toronto è giunta in un momento storico particolarmente importante. E’ stato un anno, il 2002, che ha conosciuto molta violenza terroristica, un anno di grandi difficoltà per la Chiesa cattolica soprattutto in Nord America. La Gmg di Toronto è stato un evento particolarmente rilevante perché ha permesso di testimoniare l’importanza della Chiesa, l’importanza del messaggio delle Beatitudini, del Vangelo. E’ stato utile anche per sottolineare la necessità per ogni Chiesa locale, per ogni diocesi di parlare ai giovani. Senza la presenza dei giovani nel cuore della pastorale di una diocesi, che cosa possiamo fare?”.

 

Ed ora ascoltiamo Giada e Matteo. Due giovani che quella sera del 27 luglio 2002 erano lì a Downsview Park.

 

R. – Ho sempre fatto di tutto per partecipare e, per esempio, il viaggio a Toronto è stato particolarmente salato. Ho lavorato sodo per potermi permettere questo pellegrinaggio.

 

R. – Al di là dell’essere magari 500mila 600 mila, che molte volte si dice uno può perdersi in questa grande massa di persone, quando si va con un orecchio aperto, un cuore aperto, il messaggio arriva. Sta parlando a me. Sta proponendo un cammino, una strada.

 

D. – Cosa ti ricordi in particolare di quelle giornate canadesi?

 

R. – Il discorso del Papa durante la veglia di sabato. Era proprio una chiamata a vivere con impegno, con fedeltà e anche abbandono però.

 

D. – Ecco, era un invito a diventare ‘sale della terra e luce del mondo’ …

 

R. – Per diventare ‘luce’ veramente ho bisogno che Dio operi grandi cose in me. Di mio difficilmente potrei essere da esempio per qualcuno, perché sono piena di peccati e sono quella che sono. Noi portiamo questo tesoro in vasi di creta, come dice San Paolo, affinché sia manifesto che la sublimità di questo amore viene da Dio e non da noi.

 

D. – Come fare, quindi per mantenere vivo ciò che si riceve in queste occasioni?

 

R. – Ricordarsi che Dio, in quel momento ci ha incontrato, ci ha chiamato dalle nostre case per dirci che ci ama e cerco di chiedere a Dio che mi aiuti per vivere ancora sempre quell’esperienza che è una esperienza che va sempre in divenire. Non muore mai.

 

R. – Sono esperienze così forti che quando poi sei in crisi, o ti senti giù, il pensiero di queste esperienze ti rinvigorisce …

 

(musica)      

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre, con forza, la prima pagina il titolo “Chiesa in Europa, entra nel nuovo millennio con il Libro del Vangelo!”: all’Angelus, Giovanni Paolo II esorta i credenti del Continente a ritrovare l’entusiasmo evangelico dell’annuncio e della testimonianza.

L’appello del Papa di fronte alle tragiche notizie che giungono dalla Liberia: “Chiedo a tutti coloro che hanno un’arma nelle mani di deporla”.

Sempre in prima, la poesia di Giuseppe Ungaretti dal titolo “La Madre”. Così l’occhiello al testo: “Ai dieci figli della Signora Maria Di Dio Buontempo di Caltanissetta e a quanti non onorano il padre e la madre”.

 

Nelle vaticane, un articolo di Francesco M. Valiante sulla solenne concelebrazione eucaristica - presieduta dal cardinale Crescenzio Sepe nella Basilica Vaticana - a conclusione del grande incontro mondiale della comunità cattolica vietnamita della diaspora.

Un articolo sulle celebrazioni nella ricorrenza - il prossimo 5 agosto - della dedicazione della Basilica romana di Santa Maria Maggiore.

 

Nelle pagine estere, in Iraq si stringe il cerchio attorno a Saddam Hussein.

Un’altra strage di civili nella regione congolese dell’Ituri.

 

Nella pagina culturale, “Quella barbara aggressione alla Città” è il titolo del contributo di Mario Spinelli, a dieci anni dagli attentati a San Giovanni Laterano e a San Giorgio al Velabro. 

Un articolo di Carmine Di Biase sugli Atti del convegno – all’Istituto Suor Orsola Benincasa - dedicato a Raffaele Viviani, “fra teatro, musica, poesia”.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema del “lavoro nero”: il rapporto della Banca d’Italia; al Sud è ancora emergenza.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

28 luglio 2003

 

 

ARRESTATI IN ARGENTINA 43 RESPONSABILI DI CRIMINI

COMMESSI SOTTO LA DITTATURA.

“MAI PIU’!”, IL GRIDO DELLE “NONNE DI PLAZA E MAYO”

- Intervista con Estela Carlotto -

 

In Argentina il giudice Adolfo Canicoba Corral ha già ottenuto l'effettivo arresto di 43 persone delle 46 segnalate a fine di estradizione dal giudice spagnolo Baltasar Garzon nell'ambito di un processo aperto a Madrid da famigliari di desaparecidos argentini di origine spagnola. Si tratta del primo passo da quando nei giorni scorsi il presidente argentino Nestor Kirchner ha deciso l'abrogazione del decreto che impediva l'estradizione dei militari che tra il 1976 ed il 1983 misero in atto nel paese sudamericano una spietata e sistematica persecuzione contro tutti gli oppositori del regime golpista. Sparirono circa 30.000 persone, dopo essere state prelevate dagli squadroni della morte, gruppi formati da componenti dell’esercito e delle forze dell’ordine, e torturate ed uccise nei 365 campi di concentramento clandestini sparsi per l’Argentina. Molti dei figli dei desaparecidos furono sottratti ai loro genitori ed allevati proprio dai militari golpisti o da famiglie benestanti loro conniventi. Da 22 anni le madri dei desaparecidos, ovvero le “Madri di Plaza de Mayo”, marciano sulla piazza dalla quale prendono il nome, chiedendo verità e giustizia per i loro figli scomparsi. A loro si accompagnano le “Nonne di Plaza de Mayo”, attive nella ricerca dei nipoti rapiti ed adottati dai carnefici dei loro genitori. Maria Di Maggio ha sentito per noi Estela Carlotto, presidente dell’associazione “Abuelas de Plaza de Mayo”, da anni impegnata nella ricerca di suo nipote Guido rapito dai militari golpisti dopo l’uccisione della figlia Laura.

 

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R. – YA HAN PASADO 25 ANOS ...

Sono trascorsi 25 anni da quando abbiamo incominciato la nostra lotta e la nostra ricerca. Finora abbiamo trovato 73 bambini, 73 nipoti ma potremmo fare molto di più perché si stima che i bambini dei desaparecidos sequestrati durante la dittatura militare siano circa 500. Prima cercavamo bambini ma oggi cerchiamo uomini e donne adulti e per questo motivo lavoriamo in modo molto diverso rispetto al passato. Quindi, quello che oggi facciamo concretamente è farci conoscere da coloro che hanno dei dubbi sulla propria identità e pensano di essere figli dei desaparecidos, affinché ci cerchino perché noi li stiamo aspettando. Molti ragazzi, inoltre, ricorrono alla nostra associazione per conoscere la loro storia pensando di essere figli di desaparecidos. Questo lavoro si accompagna ad altre attività come il lavoro con la giustizia, infatti abbiamo aperto moltissime cause giudiziarie in tutto il Paese, e con l’assistenza psicologica che è fondamentale innanzitutto per aiutare i giovani che chiedono di conoscere la loro identità e che soffrono per questa situazione di angoscia ma anche per sostenere i famigliari dei bambini scomparsi che non riescono a trovarli così rapidamente come vorrebbero.

 

D. – In questi anni, quale è stato il rapporto tra il governo argentino e le “Nonne di Plaza de Mayo”?

 

R. – TENEMOS UN GOBIERNO ...

In Argentina abbiamo già da 20 anni un governo costituzionale. Noi abbiamo ottenuto il rispetto, non corriamo pericoli e abbiamo libertà di azione ma non riceviamo dal governo un aiuto totale, definitivo sul tema dei desaparecidos. In verità un po’ di aiuto da parte del governo lo abbiamo avuto perché lo Stato ha istituito e finanzia una “Banca Nazionale Genetica”, dove è stato depositato il sangue delle nonne che cercano il loro nipote. Abbiamo anche le leggi di risarcimento che lo Stato argentino ha emanato dietro richiesta dell’Organizzazione degli Stati Americani di Washington. Abbiamo anche ottenuto l’abolizione del servizio militare per i figli dei desaparecidos e dentro lo Stato è stata istituita una “Commissione Nazionale per il Diritto all’Identità” che comprende rappresentanti delle nonne di “Plaza de Mayo” e che contribuisce alla ricerca ed alla localizza-zione dei nipoti desaparecidos. Però tutto questo non è sufficiente perché comunque non riceviamo dallo Stato argentino un aiuto come chiediamo e cioè un aiuto totale e non parziale.

 

D. – Signora Carlotto, in conclusione, cosa si auspica per il futuro?

 

R. – EN ARGENTINA ESTAMOS ...

Innanzitutto oggi in Argentina stiamo vivendo un momento molto difficile: ogni giorno decine di bambini muoiono per fame, non c’è lavoro e circa il 60% degli argentini sono poveri. In ogni modo, la speranza è che questa situazione cambi e che si possa tornare ad essere un Paese come siamo stati anni fa, dove nessuno patisca la fame e dove ci sia lavoro. E per quanto riguarda in particolare noi “Nonne di Plaza de Mayo”, che siamo anche cittadine argentine, stiamo lottando per la verità e la giustizia perché chiediamo che non rimangano impuniti e non condannati i crimini della dittatura. Soprattutto affinché nessun  paese debba soffrire un’analoga situazione, perché sia possibile il famoso “Nunca  mas”.

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L’IMPEGNO DELLE MISSIONI CATTOLICHE IN UGANDA

DOVE LA GUERRA CIVILE CONTINUA A MIETERE VITTIME

- Intervista con padre Pietro Tiboni -

 

L’Africa, un continente che non riesce ad uscire dalla dolorosa spirale della guerra. In questi giorni desta forte apprensione la situazione in Liberia, ma un altro dei Paesi africani che continua a vivere una situazione di drammatica emergenza è l’Uganda, dove il conflitto tra ribelli del cosiddetto Esercito di Resistenza del Signore e militari governativi continua a mietere vittime. Grande la preoccupazione della Chiesa locale che tra mille difficoltà si prodiga nell’assistenza alla popolazione civile. Lo conferma il padre comboniano, Pietro Tiboni, da anni missionario in Uganda, intervistato da Giancarlo La Vella:

 

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R. – L’essere presenti dà forza e coraggio alla gente. Quello che mi stupisce è come i comboniani stessi affrontino la situazione gioiosamente. Possono essere stanchi, pieni di paura ma non vengono via perché per loro lo stare con la gente e aiutarla è la cosa più importante. Credo che questo per la Chiesa sia un elemento fondamentale.

 

D. – Quali sono le persone che si rivolgono direttamente a voi?

 

R. – Tutta la popolazione, perché è costretta a lasciare le case, non può stare nei campi e si concentra in alcuni punti dove non ha niente. E’ tutta la popolazione, ma evidentemente in modo particolare i bambini. L’ultima volta che sono stato a Chicum, nella missione c’erano più di 700 bambini in età fra le elementari e le medie superiori, mandati lì dai vari villaggi. Il parroco era molto timoroso perché la presenza di questi bambini poteva spingere i ribelli a venirseli a prendere. Quindi il timore che la missione potesse essere completamente devastata per portare via i ragazzi. Pertanto l’aiuto dato ai ragazzi è molto importante. Poi  per quelli che tornano, dopo essere stati rapiti per essere usati come soldati, c’è sempre un programma di accoglienza. E’ stata anche organizzata una specie di scuola. Questi ragazzi, che sono stati nel bosco fino a ieri, in una formazione tecnico-pratica mostrano anche maggiore intelligenza di altri. Quindi la presenza dei missionari è veramente efficace.

 

D. – Il vero ostacolo alla vostra opera missionaria?

 

R. – Non penso che ci siano ostacoli da parte del governo e, almeno in generale, neanche da parte dei ribelli. Ultimamente c’è stata una minaccia di uccidere i missionari. Molte missioni sono state saccheggiate, però non è stato ucciso nessun missionario. In precedenza ne sono stati uccisi, ma proprio in questo periodo in cui sembrava che dovesse esserci un massacro non è avvenuto nulla. Ciò di cui c’è bisogno è gente che sia pronta a dare la propria vita. In quel contesto lì, il lavoro missionario è straordinario.

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CHIESA E SOCIETA’

28 luglio 2003
 

 

LA CHIESA VENEZUELANA APRE LA QUARTA SESSIONE DEL PROPRIO CONCILIO PLENARIO.

IL MINISTERO ORDINATO, IL RUOLO DEI LAICI E LA PASTORALE GIOVANILE

AL CENTRO DEI LAVORI DEI TRECENTO DELEGATI

- A cura di Massimo Donaddio -

 

CARACAS. = Con l’obiettivo di tracciare un insieme di linee direttive e di norme che aiutino a rendere concreta e a sviluppare la Nuova Evangelizzazione, si è aperta sabato la quarta sessione del Concilio plenario della Chiesa venezuelana. Una solenne Concelebrazione Eucaristica ha preceduto l’inizio dei lavori, che si terranno presso l’università cattolica di Caracas fino al 31 luglio prossimo e che vedranno radunate circa trecento persone tra vescovi, vicari generali ed episcopali, rettori di seminari, superiori di ordini e congregazioni religiose, rappresentanti dei laici ed altre persone nominate dalla Conferenza Episcopale. Molti sono i temi affrontati in questi giorni dall’assemblea: dal ministero ordinato, al ruolo dei laici, alla pastorale giovanile. Il Concilio Plenario è una espressione della collegialità episcopale. La sua nota caratteristica è che non ha soltanto carattere consultivo ma soprattutto deliberativo: quindi non offre soltanto esortazioni spirituali, orientamenti dottrinali e pastorali, ma anche un corpo normativo nei diversi campi della vita ecclesiale. In questa prospettiva, il Concilio Plenario del Venezuela aveva dedicato le prime due sessioni di lavoro, negli anni 2000 e 2001, alla comunione nella vita della Chiesa, alla proclamazione del Vangelo e al contributo della Chiesa stessa alla costruzione di una nuova società, elaborando anche dei documenti conclusivi. La terza sessione del Concilio, celebrata dal 26 luglio al 2 agosto 2002, aveva invece  analizzato i temi della catechesi e della vita consacrata, producendo altri tre documenti approvati in quella sede. Oggi la Chiesa venezuelana vuole ancora vivere un momento di comunione che porti la comunità cattolica ad una nuova conversione e ad una maggiore solidarietà sociale, particolarmente con i più poveri.

 

 

LA CARITAS PROSEGUE IL SUO IMPEGNO UMANITARIO IN IRAQ. SANITÀ E RISORSE IDRICHE GLI AMBITI DI INTERVENTO PRINCIPALI.

MA NELLE ULTIME SETTIMANE SONO AUMENTATI GLI ATTACCHI AI CONVOGLI DI AIUTI UMANITARI

 

BAGHDAD. = Tra le difficoltà dovute all’insicurezza e alla distruzione delle infrastrutture, continua in Iraq l’impegno della Caritas internazionale. L’organismo ha individuato le aree nelle quali è urgente l’intervento. La guerra infatti ha causato danni ingenti alle abitazioni, ha provocato la chiusura delle scuole, molte delle quali ormai in dissesto, e ha danneggiato gli ospedali, privi di materiale medico. Si svolgono in questi giorni i colloqui tra Caritas Iraq e il ministero della Salute iracheno per trovare a Baghdad tre luoghi nei quali costruire il prossimo mese altrettanti centri di pronto soccorso. A Katosh, invece, è stato aperto un ambulatorio che assiste ogni giorno circa 90 pazienti, mentre è costante l’invio di medicinali e materiale sanitario. Un rapido intervento necessita pure la rete idrica, colpita dai bombardamenti. Giovedì scorso sono arrivati nella capitale irachena tre impianti di depurazione per la produzione di acqua potabile. Ma le operazioni di soccorso sono minacciate dalle imboscate tese dalle resistenza irachena, che non solo attacca le pattuglie statunitensi, ma anche i convogli degli aiuti umanitari. Una testimonianza dell’instabilità nel Paese è giunta da una comunità di suore domenicane statunitensi che vivono a Baghdad, attraverso una lettera inviata alle loro consorelle di Springfield, negli Usa. Le religiose denunciano il clima di incertezza e, soprattutto, rilevano la palese diffidenza esistente tra le truppe della coalizione e la popolazione irachena. In particolare – secondo le domenicane – è difficile per i militari comprendere la mentalità di un popolo così diverso dalla loro cultura. Un’incomprensione che sta creando purtroppo una scia di sangue e sofferenza che è sotto gli occhi di tutto il mondo. (M.A.)

 

 

INAUGURATO UN METANODOTTO CHE COLLEGHERÁ EGITTO E GIORDANIA.

ESEMPIO DI COLLABORAZIONE ECONOMICA INTER-ARABA,

VERRÁ PROLUNGATO NEI PROSSIMI ANNI FINO IN EUROPA

- A cura di Graziano Motta -

 

TABA-AQABA. = Raro esempio di cooperazione economica tra Paesi arabi, un metanodotto che collega Egitto e Giordania, è stato inaugurato ieri dal presidente Moubarak e dal re Abdallah con due cerimonie sulle rive del Mar Rosso, precisamente nelle cittadine egiziana di Taba e giordana di Aqaba, che sono i punti terminali del tratto sottomarino lungo 7 chilometri nel Golfo che porta anche il nome di Eilat, dalla cittadina israeliana a largo della quale è stato collocato. Il metanodotto dai campi egiziani sottomarini del Mediterraneo ad Aqaba è lungo in tutto 270 chilometri. Assicurerà alla Giordania 1 miliardo di metri cubi di gas l’anno, che saranno in buona parte utilizzato dalla centrale termoelettrica di Aqaba. Da qui attraverserà a Nord tutto il Paese, raggiungerà poi la Siria ed entro il 2005 raggiungerà il Libano. Negli anni successivi continuerà con un tratto sottomarino per l’isola di Cipro. Il progetto prevede anche il prolungamento per la Turchia e per l’Europa Continentale con un investimento complessivo di oltre 1 miliardo di dollari. L’export di metano apporterà all’Egitto un introito nel primo anno di 70 milioni di dollari, che saliranno dopo 5 anni a 500 milioni di dollari.

 

 

A ODESSA, IN UCRAINA RESTITUITE DAL COMUNE AI CATTOLICI TRE CHIESE CONFISCATE DAI COMUNISTI DOPO LA RIVOLUZIONE RUSSA.

GLI EDIFICI NECESSITANO DI UN RESTAURO PER IL QUALE I FEDELI SONO IN CERCA DI FONDI

 

ODESSA. = La Chiesa cattolica ucraina ha ricevuto in questi giorni una gioiosa notizia. Il Consiglio comunale della città portuale di Odessa infatti ha approvato all’unanimità la restituzione alla Chiesa cattolica di tre chiese che erano state confiscate dalle autorità comuniste poco dopo la rivoluzione bolscevica del 1917. La diocesi di Odessa-Simferopol è stata ricostituita da Giovanni Paolo nel 2002 su un territorio di una diocesi che esisteva prima della rivoluzione. Sino ad ora il suo primo e attuale vescovo, mons. Bronislaw Bernacki, non disponeva né di un ufficio né di una sala per le riunioni. Con la restituzione degli edifici invece il presule avrà a disposizione spazi anche per tutta l’amministrazione diocesana e per la Caritas. La comunità diocesana è formata da 9 mila fedeli, assistiti da 25 sacerdoti e 24 religiose. Sino ad ora ad Odessa c’era un’unica chiesa cattolica. Confiscata dal governo sovietico e trasformata in una palestra, era stata restituita alla Chiesa cattolica locale circa 10 anni fa, in evidente stato di decadenza. In simili condizioni si trovano le chiese appena restituite. Ma la comunità cattolica di Odessa non è ricca e necessità di donazioni per poter finanziare il restauro. L’organizzazione “Aiuto alla Chiesa che soffre” già collabora con la diocesi con un finanziamento annuale di circa 60 mila euro, ma i fedeli ucraini sperano che in loro aiuto giungano altri benefattori. (M.A.)

 

 

LA CONGREGAZIONE DELLE SUORE DI SAN FRANCESCO D’ASSISI FESTEGGIA

I CINQUANT’ANNI DI PRESENZA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO.

TRA LE ATTIVITÁ L’EDUCAZIONE DEI RAGAZZI E LA CURA DEGLI AMMALATI

 

TSHUMBE. = Primi cinquant’anni di vita religiosa al servizio della diocesi di Tshumbe nella Repubblica democratica del Congo per la Congregazione delle Suore di San Francesco di Assisi. Le religiose hanno festeggiato la ricorrenza lo scorso 15 luglio nella cittadina africana situata nel cuore del Congo e popolata da oltre 700 mila abitanti, di cui 225 mila di religione cattolica: “E’ una grande gioia vedere crescere giorno per giorno la nostra famiglia – ha dichiarato soddisfatta una delle fondatrici, suor Helena Kotandola intervistata dall’agenzia cattolica Fides - All’inizio eravamo in 6. Oggi, dopo 50 anni, siamo una grande famiglia composta da 165 professe, senza contare le novizie e postulanti". “La creazione della Congregazione”, ha continuato suor Helena, “non è stata facile: il nostro ordine è nato grazie agli sforzi del primo vescovo della diocesi mons. Joseph Hagedorens, religioso della Congregazione dei padri passionisti, dopo tante false partenze e innumerevoli difficoltà. Già nel 1935 e poi ancora nel 1943, mons. Hagedorens aveva provato a fondare un ordine diocesano femminile ma senza risultati. Poi finalmente nel luglio 1953 la fondazione del nostro ordine, che diventerà in seguito la Congregazione delle Suore di San Francesco di Assisi". Tra le attività principali religiose, oltre al servizio sociale e pastorale, va ricordata l’educazione dei bambini e dei giovani; la cura degli ammalati e la promozione di numerose opere sociali. (P.O.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

28 luglio 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

L’Iraq continua ad essere un Paese lacerato dall’infinita sequela di attacchi antiamericani. Secondo la polizia irachena due soldati statunitensi sono rimasti uccisi, stamani, in seguito all’esplosione di una bomba avvenuta nel centro di Baghdad. In questo drammatico scenario non mancano, comunque, i segnali di speranza. Tra i programmi di ricostruzione del Paese arabo, assume intatti particolare rilievo l’avvio del progetto “New Eden”, un’importante iniziativa, finanziata con i fondi del ministero italiano per l’ambiente, finalizzata al recupero ed alla depurazione delle acque in Iraq. Nel Paese appare intanto imminente la cattura di Saddam Hussein. “L’ex rais - rivela la rete televisiva americana Cnn - è in fuga e non ha più un rifugio che consideri sicuro: cambia posto di continuo, ogni due, quattro ore”. Il servizio di Elena Molinari:

 

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“Il cappio si stringe”, annunciano con fiducia i generali americani che sono anche in contatto – dicono – con una delle mogli dell’ex rais. Ma la guerriglia in Iraq non è per questo vinta: a sole 24 ore dall’ultima vittima americana, per le truppe statunitensi è stata una delle giornate più sanguinose. Tre soldati sono stati uccisi una cinquantina di chilometri a nord di Baghdad, nella zona sunnita del Paese. Nel pomeriggio, poi, un soldato è morto e due sono rimasti feriti in un attacco su un’autostrada nei pressi di Abu Gharib. Sono sempre i genieri della terza divisione di fanteria, che sarebbero già dovuti essere a casa se la loro missione non fosse stata prorogata. La sensazione che la cattura di Saddam possa essere imminente viene anche da una raffica di soffiate che, secondo il New York Times, stanno arrivando alle truppe d’occupazione, merito – forse – dei 30 milioni di dollari che stanno per essere versati a chi ha portato gli americani al covo di Udai e Qusai.

 

Elena Molinari per la Radio Vaticana.

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In Afghanistan, i militari italiani della missione “Nibbio” hanno trovato, ieri, il più grande arsenale di armi mai individuato dall'inizio della guerra. Fucili di precisione, mitragliatrici, cannoni, bombe, razzi e munizioni sono stati rinvenuti nei pressi di Gardez, vicino al luogo dove una settimana fa 4 militari italiani vennero feriti in un’imboscata. Sono stati intanto catturati dalle forze armate afghane, nella zona di Khost, due fedelissimi del mullah Omar.

 

Aria di crisi tra Libano e Israele. Il motivo delle tensioni è lo stallo nelle trattative per la liberazione dei libanesi detenuti nello Stato ebraico. Il leader del movimento sciita libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha minacciato di catturare altri militari israeliani se non verrà superata la fase attuale dei negoziati. Libano e Israele hanno aderito due anni fa ad un accordo che prevedeva lo scambio di ostaggi tra le parti.

 

Proseguono gli sforzi diplomatici del presidente americano, George Bush, per realizzare la “Road map”, l’itinerario di pace che prevede la nascita di uno Stato palestinese nel 2005. Dopo aver incontrato, venerdì scorso, il ministro palestinese, Abu Mazen, il capo della Casa Bianca riceverà domani, a Washington, il premier israeliano, Ariel Sharon. Ascoltiamo in proposito il servizio di Graziano Motta:

 

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Sharon incontra stamani la Consigliera per la sicurezza Condoleeza Rice e il segretario di Stato Powell, in vista dell’appuntamento di domani con il presidente Bush, dedicato – ha detto l’ambasciatore d’Israele – all’attuazione della ‘Road Map’, il piano di pace. Secondo lui, la costruzione della barriera di sicurezza che separa i territori israeliano e palestinese e che per Bush è un problema, non sarà un punto focale dei colloqui. Da parte sua, un funzionario al seguito di Sharon ha rivelato che saranno 540 i prigionieri che Israele libererà la settimana ventura: 210 di essi sono membri di Hamas e della Jihad islamica, un centinaio di più di quelli autorizzati ieri con un contrastato voto dal Consiglio dei ministri. Sharon riferirà certamente a Bush dei provvedimenti adottati in applicazione della ‘Road Map’, la revoca avvenuta ieri di numerosi posti di blocco sulle principali strade della Cisgiordania, il passaggio in Israele accordato oggi 18 mila lavoratori pendolari di Gaza, la riunione prevista per domani sulle modalità del ritiro dei soldati da altre due città di Cisgiordania, che essi sceglieranno, ad esclusione tuttavia di Ramallah.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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E’ stato di nuovo sospeso a L’Aja il processo a carico dell’ex presidente jugoslavo, Slobodan Milosevic, accusato di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità. Il presidente del Tribunale internazionale, Richard May, ha dichiarato che per le prossime ore si attende un referto medico.

 

Dopo 19 ore di trattative si è conclusa pacificamente la crisi tra il governo filippino e 300 militari ribelli, che si erano asserragliati in un centro commerciale di Manila. Pronunciando oggi il suo discorso sullo stato della nazione, la presidente filippina, Gloria Arroyo, ha menzionato l'ammutinamento dicendo che il governo affiderà ad una commissione indipendente il compito di indagare sulle radici della ribellione. Ci riferisce Maria Grazia Coggiola:

 

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Per la presidente Gloria Arroyo, dietro al tentativo di ammutinamento di un gruppo di soldati ribelli avvenuto durante il week-end, ci sarebbe la mano dell’ex- presidente Josef Estrada. In un raid notturno in una casa di Manila, le autorità hanno arrestato Ramon Cardenas, un braccio destro di Estrada, esautorato dal potere nel gennaio 2001 con l’accusa di corruzione, e oggi agli arresti. Dopo che un secondo ultimatum era scaduto e che la signora Arroyo aveva intimato la resa, i 296 militari ribelli – tra cui 70 ufficiali – ieri sera hanno lasciato il centro commerciale ‘Glorieta’ dove si erano rinchiusi e sono tornati nelle caserme. L’azione era stata organizzata per chiedere le dimissioni della signora Arroyo che aveva ordinato l’arresto di alcuni ufficiali sospettati di aver tentato un colpo di Stato la scorsa settimana. Oltre a rivendicare un migliore trattamento salariale, gli ammutinati accusano il governo di essere corrotto, di vendere armi ai ribelli islamici del Fronte di liberazione Moro e anche di avere inscenato alcune delle recenti stragi terroristiche per ottenere i favori politici ed economici degli Stati Uniti.

 

Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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Trasferiamoci in Liberia, dove dopo una notte di relativa calma, sono purtroppo ripresi, a Monrovia, i combattimenti tra i ribelli e l’esercito fedele al presidente liberiano, Charles Taylor. Sotto tiro è ancora il quartiere diplomatico di Mamba Point, dove si trovano l’ambasciata americana ed altre rappresentanze diplomatiche. Altri scontri sono segnalati anche nella zona orientale della capitale.

 

In Cambogia, a dieci anni dalle prime elezioni multipartitiche, gli  elettori si sono recati in massa alle urne per il rinnovo del Parlamento, con un’affluenza, infatti, di circa l’80 per cento dei votanti. I risultati definitivi non si avranno prima di una decina di giorni, ma il Partito del popolo cambogiano del  premier uscente Hun Sen, guidato da ex comunisti filovietnamiti, è dato per favorito.

 

Il presidente cubano, Fidel Castro, ha criticato l’Unione europea, accusandola di essere asservita agli Stati Uniti. A conclusione delle celebrazioni per il 50.mo anniversario dell’inizio della rivoluzione cubana, Fidel Castro ha inoltre dichiarato di voler rinunciare “per dignità”' agli aiuti umanitari di Bruxelles.

 

Il presidente della Corea del Sud, Roh Moo-Hyun, crede che non sia necessaria la firma di un patto di non aggressione tra Corea del Nord e Stati Uniti, se si darà avvio a negoziati multilaterali per porre fine alla crisi sul nucleare. “Non appena inizierà un dialogo nel quadro di colloqui multilaterali - ha detto Roh in un’intervista alla televisione americana Abc - la Corea del Nord potrà ottenere garanzie per la sicurezza attraverso altre vie”.

 

 

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