RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 206 - Testo della Trasmissione di venerdì 25 luglio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Con il saluto del Santo Padre presentato dal cardinale Crescenzio Sepe, si è aperto ieri sera in un clima di festa a Roma il grande raduno dei cattolici vietnamiti della diaspora. Con noi, il sacerdote Giuseppe Hoang Minh Thang.

 

Nella gioiosa attesa del Papa in settembre, i vescovi della Slovacchia invitano i cattolici a pregare per il Successore di Pietro con la corona del rosario.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si aggrava l’emergenza umanitaria in Liberia per gli scontri fra governativi e ribelli. Un Rapporto di Medici senza Frontiere. Le testimonianze di Massimo Alberizzi e Christopher Stokes.

 

Inaugurata in Kenya la prima radio cattolica, voce dei credenti aperta a tutta la società. Ai nostri microfoni, il missionario comboniano padre Joseph Caramazza.

 

Europa bloccata sulla moratoria universale delle esecuzioni capitali. Intervista con Sergio D’Elia.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La serie di attentati dell’Eta condannata con forza in Spagna dall’arcivescovo di Valencia.

 

Almeno 10 mila giovani asiatici attesi in agosto a Bangalore per il loro terzo incontro continentale promosso dai vescovi sul tema della pace.

 

Giovani in pellegrinaggio verso Assisi. Parte oggi la 23.ma marcia francescana.

 

In Australia incontri e dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani. Promotori i padri gesuiti.

 

Attacco a pellegrini indù: i vescovi indiani condannano l’aggressione.

 

24 ORE NEL MONDO:

Secondo il segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld, la pubblicazione delle foto con i cadaveri dei figli di Saddam era indispensabile.

 

Approvato dalla Camera dei deputati il decreto legge sulla missione militare italiana in Iraq.

 

Nuovo appuntamento per la pace in Medio Oriente: si incontrano oggi il presidente americano, George Bush, ed il premier palestinese, Abu Mazen.

                                                                                    

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 luglio 2003

 

 

IERI SERA PRESSO LA PONTIFICIA UNIVERSITA’ URBANIANA

L’INAUGURAZIONE UFFICIALE DEL GRANDE RADUNO A ROMA DEI VIETNAMITI

DELLA DIASPORA. DOMENICA LA GRANDE CONCELEBRAZIONE CONCLUSIVA

IN SAN PIETRO. CON NOI IL VICE RESPONSABILE DEL PROGRAMMA IN LINGUA VIETNAMITA DELLA NOSTRA EMITTENTE,

IL REV.DO GIUSEPPE HOANG MINH THANG

 

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Grande festa ieri sera alla Pontificia Università Urbaniana per l’apertura del pellegrinaggio che vede confluiti a Roma circa tremila vietnamiti sparsi nei vari continenti. Il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, il cardinale Crescenzio Sepe, ha offerto loro il primo saluto a nome anche del Santo Padre. Lo stesso porporato alle ore 10.00 di domenica prossima nella Basilica Vaticana presiederà la solenne concelebrazione di chiusura dell’avvenimento assieme a 50 sacerdoti.

 

L’assemblea è stata preceduta da due anni di preparazione che hanno visto, oltre all’intenso coinvolgimento delle famiglie, anche frequenti incontri delle diverse comunità e la visita in quattro continenti della statua pellegrina della Madonna di La Vang, patrona del Vietnam, tra le comunità in esilio. La peregrinatio è stata caratterizzata da tre elementi: unità fra tutte le componenti vietnamite della diaspora; amore per tutti e in particolare per i sofferenti; testimonianza con l’impegno di annunciare il Vangelo agli altri.

 

Secondo stime attendibili sono circa 600 mila i cattolici vietnamiti che vivono in diaspora, cui vanno aggiunti un migliaio di sacerdoti, e un altro migliaio fra religiosi, religiose e seminaristi. Il totale dei vietnamiti della diaspora è di due milioni. Le nostre emissioni in lingua vietnamita sono un valido strumento di contatto fra loro e con la madrepatria, come ora ci illustra il vice responsabile del programma, il rev.do Giuseppe Hoang Minh Thang:

 

“Ringrazio di questa bellissima occasione per presentare un po’ il nostro lavoro nella radio che è la voce del Santo Padre. Il nostro programma è tra i più giovani della Radio Vaticana, 23 anni di vita, però per lungo tempo, insieme a Radio Veritas di Manila, siamo stati la finestra quasi unica attraverso la quale la Chiesa del Vietnam ha potuto mettersi in contatto con la Chiesa universale. Il nostro programma consiste in un notiziario quotidiano di circa 10-12 minuti, poi l’attività della Santa Sede, del Santo Padre, i suoi viaggi apostolici; infine la situazione delle varie Chiese locali nel mondo intero; è la rubrica dell’attualità della Chiesa in Asia, in Africa, in America Latina, ma anche in Europa, per far vedere ai cattolici vietnamiti, anche in Vietnam, i legami che uniscono la Chiesa in tutto il mondo. Accanto a tutti ciò, un giorno a settimana curiamo anche l’udienza generale e l’Angelus domenicale in modo che i nostri ascoltatori possano ascoltare la voce viva del Santo Padre. Poi riportiamo gli avvenimenti più importanti della Chiesa universale ed ogni settimana abbiamo un commento circa gli avvenimenti nel mondo intero e sulle intenzioni del Santo Padre”.

 

A Roma è giunto in questi giorni il presidente della Conferenza episcopale vietnamita, mons. Paul Nguyen Van Hoa, vescovo di Nha Trang. Le giornate romane prevedono momenti liturgici, incontri di condivisione e di scambio, spazi di approfondimento per categoria: sacerdoti e religiosi, genitori, giovani, associazioni e movimenti, operatori dei mass media.

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La presenza all’incontro del presidente dei vescovi vietnamiti, mons. Nguyen Van Hoa, sembra aprire qualche spiraglio da parte del governo di Hanoi verso la Chiesa cattolica i cui fedeli sono cresciuti del 15 per cento negli ultimi 5 anni. Grande anche la ricchezza di vocazioni religiose, limitate solo dai divieti posti dal governo agli ingressi in seminario. Servizio di Riccardo Cascioli.

 

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Segnali di apertura da parte del governo di Hanoi si erano manifestati all’inizio del 2002, quando fu concessa l’autorizzazione a tutti i vescovi vietnamiti di recarsi a Roma per la visita ad Limina. In quell’occasione il Papa ha sottolineato la richiesta al governo di rispettare l’autonomia e l’indipendenza della Chiesa: un riferimento al pieno controllo che il regime comunista mantiene sulle attività ecclesiastiche e soprattutto su quelle dei vescovi, dei sacerdoti e dei seminaristi, in un Paese dove la minoranza cattolica può contare su oltre 2 mila preti diocesani e 12 mila tra religiosi e religiose. Più recentemente va poi sottolineata l’autorizzazione all’incontro, svoltosi all’inizio di luglio, nella diocesi meridionale di Bui Chu fra i rappresentanti delle 46 congregazioni religiose presenti in Vietnam. Era il primo dopo 50 anni.

 

Per la Radio Vaticana, Riccardo Cascioli.

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NOMINA IN ACCADEMIA PONTIFICIA E PROVVISTA DI CHIESA IN USA

 

Il Papa ha nominato prelato segretario della Pontificia Accademia di Teologia il teologo mons. Piero Coda, professore nella Pontificia Università Lateranense. La Pontificia Accademia di Teologia, fondata nel 1695 da Cosimo de’ Girolami, poi cardinale, fu approvata da Clemente XI nel 1718 e sostenuta da altri Pontefici, fino a Giovanni Paolo II, che nel 1999 ne ha approvato i nuovi Statuti. Il fine dell’Accademia è quello di curare e promuovere gli studi teologici e il dialogo tra le discipline teologiche e filosofiche. Per meglio conseguire tale finalità, è unita con un legame speciale alla Congregazione per l’Educazione Cattolica. In particolare, organizza convegni nazionali e internazionali e, a partire dal 2002, pubblica una rivista  teologica intitolata “PATH” a scadenza semestrale, edita dalla Libreria Editrice Vaticana.

 

Mons. Piero Coda, che è anche consultore del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, è stato finora “accademico ordinario” della Pontificia Accademia di Teologia e subentra ora nella carica di “prelato segretario” all’arcivescovo Angelo Amato, eletto dal Papa nel dicembre 2002 segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, al posto di mons. Tarcisio Bertone, divenuto a sua volta arcivescovo di Genova.

 

Negli Stati Uniti d’America, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Scranton, in Pennsylvania, presentata dal vescovo mons. James Clifford Timlin, per raggiunti limiti di età. Come nuovo vescovo di Scranton, il Papa ha quindi nominato il presule mons. Joseph Francis Martino, finora ausiliare di Philadelphia. (P.Sv.)

 

 

      LA GIOIOSA ATTESA DI GIOVANNI PAOLO II DA PARTE DELLA CHIESA SLOVACCA.

IN UNA LETTERA PASTORALE, I VESCOVI DEL PAESE SOLLECITANO I FEDELI

A PREPARARSI SPIRITUALMENTE ALL’ARRIVO DEL PAPA

 

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

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“Noi vogliamo pregare ininterrottamente per il Pietro dei nostri tempi e aiutarlo nel suo impegnativo e responsabile ruolo di Pastore del popolo di Dio”. L’affermazione che sintetizza l’impegno di un’intera comunità ecclesiale, si riferisce a Giovanni Paolo II ed è contenuta nelle prime righe della lettera pastorale che i vescovi della Slovacchia hanno indirizzato ai cattolici del Paese, in vista dell’attesa visita che il Papa vi compirà dall’11 al 14 settembre prossimi.

 

I presuli esortano i fedeli slovacchi ad “intensificare”, in questo periodo di attesa e di preparazione, la loro vita spirituale così da “rinnovare” la devozione di ciascuno alla Chiesa. Quattro, spiegano i vescovi, sono i livelli per realizzare questa maggiore identificazione tra la Chiesa e i cristiani: a livello individuale, di famiglia, di comunità parrocchiale e di diocesi particolare. Ma “il primo segno dell’unità della Chiesa è l’amore per i pastori”, si legge nella lettera pastorale, ispirata al salmo di Cristo Buon Pastore. I presuli sollecitano i loro connazionali a partecipare con maggiore dedizione alla vita sacramentale e liturgica nelle rispettive parrocchie, nelle quali dovrebbero fiorire iniziative concrete di riflessione spirituale e di lavoro apostolico. Anche le famiglie slovacche sono chiamate dai vescovi a riservare momenti di vita domestica alla “preghiera comune”, in particolare con la recita del Rosario.

 

“Il Rosario è una preghiera che prende il suo nome dalle rose. Ognuna delle dieci ‘Ave Maria’ - prosegue la lettera pastorale - è come una rosa spirituale”. In questo anno speciale dedicato al Rosario, concludono i vescovi slovacchi, “noi vogliamo confezionare un ricco bouquet spirituale di queste rose per il Santo Padre”. Pregando in questo modo, tutti noi “saremo uniti alla Chiesa”, della quale Giovanni Paolo II “verrà a rinforzare la fede, la speranza e la carità”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

"Ancora una volta il tragico viso della guerra": è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento alla decisione delle autorità statunitensi di diffondere le foto degli sfigurati cadaveri dei due figli di Saddam Hussein.

 

Nelle vaticane, un approfondito articolo di Giovanni Alberti sull'attualità della luminosa testimonianza di Santa Maria Goretti. Concluso l'anno centenario della morte della "piccola e dolce martire della purezza". 

Un articolo dell'arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi sui Santi Gioacchino ed Anna: il 26 luglio si celebra la loro memoria liturgica.

Nel cammino della Chiesa in Asia, un articolo di Gabriele Nicolò sull'intensa attività pastorale promossa, in Corea del Sud, dalla Congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo.

 

Nelle pagine estere, Liberia: a Monrovia migliaia e migliaia di civili in ostaggio della violenza sempre più diffusa.

Medio Oriente: Abu Mazen negli Usa per incontrare Bush.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Armando Rigobello sugli Atti del Convegno internazionale dedicato al tema "Germania latina - Latinitas teutonica".

Una monografica sul tema "L'attualità dell'Accademia Nazionale dei Lincei nel quarto centenario della fondazione".

 

Nelle pagine italiane, tra i temi in rilievo, la giustizia e l'economia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

25 luglio 2003

 

 

SI AGGRAVA L’EMERGENZA UMANITARIA IN LIBERIA,

DOVE CONTINUANO SENZA SOSTA GLI SCONTRI TRA LE TRUPPE GOVERNATIVE E LE FORZE RIBELLI DEL LURD

 (LIBERIANI UNITI PER LA RICONCILIAZIONE E LA DEMOCRAZIA).

SULLA SITUAZIONE IL RAPPORTO DI MEDICI SENZA FRONTIERE

- Intervista con Massimo Alberizzi e Christopher Stokes -

 

Continuano ininterrotti da sette giorni i bombardamenti su Monrovia, capitale della Liberia. Il fuoco si abbatte sui tre ponti strategici: due che conducono al centro della città e quello che collega il porto all’aeroporto. Lo Stato maggiore dell’Esercito regolare sostiene che le forze governative stanno mantenendo le posizioni. Intanto, da Lagos, in Nigeria, fonti militari fanno sapere che i due battaglioni che costituiranno l’avanguardia della forza di interposizione arriveranno domenica. Gli Stati Uniti forniranno appoggio logistico alle forze africane, ma non hanno ancora deciso se inviare proprie truppe. Ma sentiamo, al microfono di Andrea Sarubbi, la testimonianza dell’inviato del Corriere della Sera, Massimo Alberizzi, giunto da poco a Monrovia.

 

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R. - Quando si arriva dalla parte opposta a quella dove sono i ribelli a Monrovia, i sobborghi sono tranquilli. Ad esempio, per raggiungere l’albergo Mamba Point, avremmo dovuto attraversare il centro, che però è pieno di bande armate che saccheggiano, derubano. Piuttosto che una zona in conflitto, sembra terra di nessuno, dove quindi chiunque ha un fucile detta legge e impone agli altri la propria legge.

 

D. – Hai detto che il tuo albergo è a Mamba Point, ma questo non è il quartiere dove ci sono state più vittime negli ultimi giorni?

 

R. – Sì, perché è il quartiere dove ci sono le ambasciate, anzi, l’unica ambasciata è quella americana, che stamattina hanno cominciato a bombardare. Hanno bombardato anche gli alberghi, tra i quali quello dove sono alloggiato.

 

D. – La Chiesa ha avvertito di una possibile catastrofe umanitaria. Ha detto che ci    sono migliaia di sfollati. Tu ne hai visti?

 

R. – Sì. Il centro è completamente deserto e ciò vuol dire che la gente si è rifugiata altrove e, soprattutto, qui accanto a Mamba Point dove ci sono anche i palazzi delle Nazioni Unite. Tutti i cortili sono pieni di gente. Dormono quasi in piedi, appoggiati gli uni agli altri. Non c’è più posto e soprattutto potete immaginare le condizioni igieniche di questa gente. Infatti manca anche l’acqua e c’è il pericolo che scoppi un’epidemia di colera, cosa che per altro, secondo me, sta già avvenendo.

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Ma sulla situazione umanitaria, “Medici senza frontiere” ha presentato ieri, in contemporanea in diversi paesi, un rapporto intitolato “Una popolazione intrappolata in un vortice di violenza e fuga”. Una relazione di vent’otto pagine in cui sono raccolte le storie di violenze arbitrarie, rapine, abusi sessuali, reclutamento forzato e allontanamento dai propri cari subiti dai liberiani in quattordici anni di guerra civile. Al microfono di Dorotea Gambardella, la testimonianza di Christopher Stokes, direttore delle operazioni di Medici senza frontiere nell’Africa occidentale.

 

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R. – LIBERIA IS REALLY A HUMANITARIAN DISASTER …  

In Liberia c’è una vera e propria emergenza umanitaria. Attualmente a Monrovia, la capitale, è intrappolato un milione di abitanti a cui nelle ultime settimane si sono aggiunte alcune decine di migliaia di sfollati in cerca di un rifugio sicuro. La gente soffre per tutta una serie di problemi: innanzitutto l’epidemia di colera, provocata dalle scarse condizioni igieniche, che ogni settimana nei nostri centri fa registrare circa 350 nuovi casi; poi c’è il gravissimo problema della malnutrizione, che affligge il 70% dei bambini che arrivano nei nostri ospedali, ciò perché mancano i rifornimenti di viveri dall’esterno. Inoltre il costo del cibo nei mercati, spesso chiusi, è esorbitante e la gente è talmente povera da non avere denaro sufficiente per acquistarlo. Il risultato è che la sopravvivenza di molte persone e dei profughi in particolare, dipende dalle razioni distribuite dalle organizzazioni umanitarie. Il terzo problema riguarda le violenze e gli abusi inflitti alla popolazione civile da entrambe le fazioni belligeranti.

 

D. - In che modo state affrontando la situazione?

 

R. – POPULATION NEED MEDICAL ASSISTENCE…

La gente ha innanzitutto bisogno di assistenza medica. L’unico ospedale pubblico a Monrovia è stato saccheggiato, i degenti sono stati evacuati e adesso è chiuso. Quindi abbiamo allestito due centri di pronto soccorso all’interno dei nostri uffici, dove forniamo assistenza medica, chirurgica e trattamenti contro il colera. Attualmente i pazienti sono circa duecento.

 

D. - Purtroppo dal vostro rapporto risulta che anche gli stupri sono frequenti. É prevista nei vostri centri l’assistenza psicologica alle donne che hanno subito violenza?

 

R. – WHAT WE DO IN THE CASE OF WOMEN BEING RAPED…

Quando ci si presenta un caso di stupro, somministriamo subito cure per evitare il contagio da Aids, se le donne arrivano a 48 o al massimo 72 ore dalla violenza ci è più facile agire. Purtroppo nella condizione in cui ci troviamo, siamo costretti a dare la priorità all’ingente numero di malati di colera e a concentrarci sull’assistenza medica. Quindi non siamo in grado di fornire sostegni psicologici, cosa che in genere facciamo.

 

D. - Qual’è l’obiettivo del vostro rapporto?

 

R. – TO SHOW THAT THIS CONFLICT …

Innanzitutto far sapere a tutti che la guerra in Liberia dura da quattordici anni. È vero la popolazione sta soffrendo di più nell’ultimo periodo, per la recrudescenza del conflitto. Un conflitto che però, vogliamo sottolinearlo, non è iniziato sette settimane fa, quando è stata attaccata Monrovia e il mondo ha iniziato a interessarsene. Il secondo obiettivo è denunciare le uccisioni, le violenze, i saccheggi, il reclutamento forzato, anche dei bambini, ogni sorta di violazione dei diritti umani perpetrati a danno dei civili sia dall’esercito governativo, sia dalle forze ribelli.

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INAUGURATA IN KENYA LA PRIMA RADIO CATTOLICA,

AL SERVIZIO DEL VANGELO E DELLA SOCIETA’

- Intervista con padre Joseph Caramazza -

 

Un sogno costruito con grande impegno, un moderno strumento messo al servizio del Vangelo. Lo scorso 6 luglio, in Kenya, Radio Waumini, la prima emittente cattolica del Paese africano, ha inaugurato le proprie trasmissioni. “È la conclusione di un processo iniziato 10 anni fa - ha dichiarato con entusiasmo padre Renato Kizito Sesana, comboniano e direttore dell’emittente - e allo stesso tempo il punto di partenza di una nuova opera di evangelizzazione”. La Radio, che vuole rappresentare le diversità del Kenya e promuovere valori quali la giustizia, la pace, la solidarietà e la comprensione reciproca, trasmette in un raggio di 150 km dalla capitale Nairobi. I programmi, che a breve raggiungeranno anche le città di Kisumu, Nyeri e Mombasa, sono in lingua inglese e Kiswahili. Diverse le mani che hanno contribuito alla realizzazione di questo progetto. La Conferenza Episcopale Italiana e l’associazione italiana “Cuore Amico” hanno offerto la maggior parte dei fondi necessari; mentre il Circuito Marconi, un’associazione di emittenti cattoliche italiane, ha messo a disposizione le proprie competenze tecniche. Al microfono di Beth Hay, del programma inglese-africa, ascoltiamo il commento del missionario comboniano, padre Joseph Caramazza, direttore di “New People Media Centre” in Kenya.

 

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R. - La Chiesa a Nairobi, in Kenya, sta vivendo un momento molto felice dal punto di vista dei mass media. Da poche settimane poi, funziona anche la radio nazionale, Radio Waumini, che viene chiamata ‘Radio dei Credenti’. E’ una radio a carattere religioso, ma è aperta a tutta la società keniana. Per il momento copre la città di Nairobi e alcune grandi città all’esterno. Poco a poco le altre diocesi che lo vorranno potranno creare radio locali che, da una parte si uniranno a quella nazionale in alcune ore della giornata, e dall’altra potranno fare dei programmi locali, che toccano la realtà locale.

 

D. - Quale è stata la reazione della gente all’apertura della prima radio cattolica in Kenya?

 

R. - Il popolo qui a Nairobi ha accolto molto bene la nascita di questa radio cattolica e c’è molto entusiasmo per adesso. Speriamo che questo continui anche perché sostenere il lavoro della radio non è facile. Molti giovani stanno mettendo a disposizione il loro tempo e le loro capacità per creare nuovi programmi, raccogliere informazioni e dare voce alla gente che ascolta la radio. La radio ora sta vivendo un momento molto buono perché ascoltata da molte persone anche al di fuori della Chiesa cattolica e molti dei pulmini che fanno da taxi la usano come radio di sottofondo da far ascoltare ai passeggeri. Un grazie grande bisogna dirlo al padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano, che ha accettato la sfida, ha dato vita a questa radio e sta portando avanti il lavoro.

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LA DIFFICILE IMPRESA

PER UNA MORATORIA UNIVERSALE DELLE ESECUZIONI CAPITALI

- Intervista con Sergio D’Elia -

 

Quattro condanne a morte eseguite negli Stati Uniti, due in Texas, una in Virginia e l’altra in Oklahoma negli ultimi tre giorni. Sempre in America un ex procuratore dell’Indiana scende in campo a fianco del detenuto da lui stesso condannato alla pena capitale nel 1986, per cercare di bloccare l’iter dell’iniezione letale, in attesa di un test del Dna. Sono le ultime, contrastanti, notizie sul fronte della pena di morte, una questione su cui anche l’Unione Europea si è interrogata nei giorni scorsi quando il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha portato all’attenzione dei colleghi europei la proposta di risoluzione sulla moratoria universale delle esecuzioni capitali da presentare alla prossima Assemblea generale dell’Onu. Una proposta che non ha raggiunto il consenso auspicato. Il ‘no’ dell’Europa era prevedibile e tuttavia inaccettabile per Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino”. Adriana Masotti l’ha intervistato.  

 

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R. – Era esattamente prevedibile. Non avevamo dubbi sul tipo di accoglienza che questa proposta avrebbe avuto, soprattutto in considerazione dei precedenti dell’Unione Europea sulla questione della moratoria. Non dimentichiamo che già nel ’94 i “duri e puri” dell’Europa si erano astenuti quando la proposta fu presentata - allora fu ancora il governo italiano, in Assemblea generale dell’Onu. E poi nel ’99, quando la stessa Unione Europea presentò la proposta per poi ritirarla all’ultimo minuto, per paura di perdere. In realtà, per paura di perdere si è rinunciato anche a combattere. Ora, però, non è finita qui. Noi chiediamo al governo italiano di farsi dare dall’Unione Europea le sue valutazioni, i suoi dati, perché sembra che la motivazione principale al no sia la mancanza dei numeri necessari in Assemblea generale per vincere sulla moratoria. Il governo italiano deve chiedere ai suoi partner quali sono le loro previsioni, quali sono i Paesi ostili a questa proposta in Assemblea generale, perché io ho l’impressione che l’ostilità sia soprattutto a livello europeo.

 

D. – C’è, da parte di chi è impegnato da tempo contro le esecuzioni capitali, l’impressione che qualcosa in questi anni sia cambiata riguardo alla pena di morte. Come mai allora ancora tanta difficoltà?

 

R. – Qui le ipotesi sono due. O ci sono perplessità e dubbi sulla possibilità di farcela, ma questi si sciolgono riunendo gli esperti e sottoponendo loro i dati - ci sono almeno 100 Paesi su 191 membri dell’Onu, quindi la maggioranza assoluta, che possono votare questa risoluzione - o rimane un’altra ipotesi, e cioè che all’interno dell’Unione Europea ci sia qualcuno che lavora per conto terzi, per far fallire l’unica iniziativa ragionevolmente pragmatica, e quindi veramente rigorosa, contro la pena di morte, che è quella di una moratoria delle esecuzioni. C’è un’asse, evidentemente, Londra-Washington, come pure sulla Cina. I francesi sembra che si stiano preoccupando di non andare in rotta di collisione sulla pena di morte con la Cina. Sono posizioni che rischiano di regalarci altri 10 anni di pene capitali.

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CHIESA E SOCIETA’

25 luglio 2003

 

 

NON SI FERMANO IN SPAGNA GLI ATTENTATI DELL’ETA.

QUESTA MATTINA L’ESPLOSIONE DI UNA BOMBA AD ESTELLA. DURA CONDANNA DEL TERRORISMO

DALL’ARCIVESCOVO DI VALENCIA, MONS. AGUSTIN GARCIA-GASCO VICENTE

 

VALENCIA. = Una forte condanna del terrorismo è stata espressa dall’arcivescovo di Valencia, mons. Agustin Garcia-Gasco Vicente, in seguito alla serie di attentati compiuti questa settimana dal gruppo separatista basco dell’Eta, l’ultimo dei quali accaduto questa mattina ad Estella, nella Spagna settentrionale, dove un ordigno è stato fatto esplodere nel tribunale cittadino, provocando il ferimento di due persone. Il presule ha affermato con chiarezza come la logica che guida l’Eta sia manifestamente disumana e mostri tutta la vulnerabilità della società di fronte a coloro che si pongono al di fuori di ogni legge civile e religiosa, che impone all’uomo di non uccidere il suo simile. Mons. Garcia-Gasco Vicente ha invocato una necessaria ed efficace risposta legislativa e giudiziaria da parte delle autorità, per fermare i terroristi e ha chiesto la solidarietà incondizionata di tutti i cittadini nei confronti delle vittime e delle forze dell’ordine. L’arcivescovo ha concluso la sua dichiarazione con l’invito, rivolto ai cattolici e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, di creare le condizioni per un futuro di pace, di convivenza e di speranza, in cui non ci sia mai posto per la violenza. (M.D.)  

 

 

TUTTO PRONTO A BANGALORE PER IL TERZO INCONTRO DELLA GIOVENTÚ ASIATICA.

SONO ATTESI 10 MILA GIOVANI DAL 9 AL 16 AGOSTO PER CONFRONTARSI

 SULLA NECESSITÁ DELLA PACE

 

BANGALORE. = È tutto pronto a Bangalore per il terzo “Asian Youth Meeting”, l’evento che si svolgerà nella capitale dello Stato del Karnataka (India meridionale) dal 9 al 16 agosto 2003, già ribattezzato la “Gmg asiatica”. L’incontro, promosso dalla Conferenza Episcopale dell’India in collaborazione con la Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (FABC), avrà come tema “I giovani dell’Asia per la pace” e dovrebbe vedere, secondo le aspettative degli organizzatori, la partecipazione di oltre 10 mila giovani, in rappresentanza di numerosi paesi asiatici. Hanno confermato la propria partecipazione delegazioni da Pakistan, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka, Laos, Cambogia, Mongolia, Corea, Giappone, Macao, Malaysia, Indonesia, Filippine, oltre, naturalmente, a molte diocesi dell’India. L’evento avrà un rilievo particolare per la Chiesa asiatica: alla celebrazione inaugurale ospite d’onore sarà suor Nirmala Joshi, superiora generale delle Missionarie della Carità, che parlerà sul tema “Madre Teresa e i giovani”. A Bangalore gli organizzatori e i numerosi giovani locali stanno mettendo a punto tende e luoghi per l’ospitalità, manifesti, striscioni e scenografie. E la grande croce di bambù, che ha girato in pellegrinaggio le diocesi indiane, si prepara a tornare a nella città indiana che ospita l’incontro. “L’incontro sarà un tripudio di colori, razze e culture, di giovani uniti nello stesso spirito: la ricerca e l’amore per Gesù Cristo”, commenta all’agenzia Fides padre Peter Chung Chi-Kin, direttore del Centro di pastorale giovanile della diocesi di Macao, che si appresta ad accompagnare in India una folta delegazioni di giovani cinesi. “I giovani sono entusiasti e già pregustano questa esperienza di comunione e condivisione con altri coetanei dell’Asia. Sarà per loro una grande opportunità di aprirsi a culture diverse e conoscere gli ampi orizzonti della missione della Chiesa”. I delegati si confronteranno su quale può essere il contributo dei giovani dell’Asia per la riconciliazione all’interno dei diversi paesi del continente, spesso sconvolti da guerre, conflitti etnici e civili, disordini sociali, per creare una autentica cultura di pace a livello locale e globale.  All’incontro parteciperanno non solo giovani cattolici ma anche ospiti di altre religioni. L’intenzione è quella di allargare il più possibile il discorso della pace, coinvolgendo buddisti, induisti, musulmani, fedeli di altre religioni. In appositi seminari verranno approfonditi i quattro pilastri della pace, indicati dall’enciclica “Pacem in Terris” di Papa Giovanni XXIII (verità, giustizia, amore e libertà) considerati a diversi livelli: individuale, comunitario, nazionale, universale. Le occasioni di confronto e discussione affronteranno anche questioni di ordine pratico, che toccano la realtà giovanile: globalizzazione, lotta al terrorismo, aids, abuso di droga e alcool, squilibri ecologici, disoccupazione, fondamentalismo, consumismo, crisi di valori. (M.D.)

 

 

GIOVANI IN PELLEGRINAGGIO VERSO ASSISI. PARTE OGGI LA 23.MA MARCIA

 FRANCESCANA ORGANIZZATA DAI FRATI MINORI SUL TEMA “AMARE OLTRE”

 

ASSISI. = Migliaia di giovani in marcia con Francesco d’Assisi. Da oggi al 2 agosto parte da tutte le province dei frati minori francescani, la tradizionale marcia a piedi dei giovani verso Assisi, giunta quest’anno alla sua 23.ma edizione. Slogan che accompagnerà i partecipanti in questa faticosa, ma significativa iniziativa è “Amare oltre”. Si tratta di un’occasione di vita in fraternità articolata in dieci giorni di condivisione piena della preghiera, delle gioie, ma anche delle non poche difficoltà che, non è difficile immaginarlo, non mancheranno in un peregrinare lungo 80 km. A nutrire di coraggio e impegno lo spirito dei marcianti vengono in soccorso una serie di spunti di riflessione offerti dai frati minori quotidianamente sulla base delle Sacre Scritture e delle Fonti Francescane. A conclusione del loro cammino, il 2 Agosto i giovani, fatto il proposito di orientare la propria vita a Cristo, confessati, comunicati e dopo aver pregato secondo le intenzioni del Papa, faranno il loro ingresso in Porziuncola. Proprio in quel giorno infatti si celebra presso la Basilica di santa Maria degli Angeli, dove l’antica chiesetta è conservata, la festa del Perdono d’Assisi che consente, per intercessione del poverello l’indulgenza plenaria a chiunque vi si rechi desideroso di riconciliarsi con il Creatore. (P.O.)

 

 

COLLABORAZIONE E DIALOGO INTERRELIGIOSO. I GESUITI AUSTRALIANI

ORGANIZZANO INCONTRI CON ESPONENTI MUSULMANI DEL PAESE OCEANICO

 

CANBERRA. = Trovare vie pratiche di collaborazione tra cristianesimo e islam e sottolineare l’importanza della collaborazione fra le fedi. Con questo spirito, “Uniya”, il centro per la giustizia sociale della Compagnia di Gesù in Australia, in collaborazione con “Eureka Street”, il mensile dei Gesuiti dedicato a diffondere esperienze in linea con la dottrina sociale della Chiesa, sta organizzando, in questa seconda metà del mese di luglio, una serie di incontri sul tema dei rapporti tra cristiani e musulmani, intitolata “Musulmani e Cristiani. Dove siamo?”. Il primo incontro si è svolto a Brisbane il 15 luglio e l’ultimo appuntamento sarà a Perth, il 1.mo agosto. “Dobbiamo trovare il modo di far svolgere alle religioni un ruolo più forte nel diventare parte di una risposta piuttosto che parte di un problema”, spiega in un comunicato suor Patty Fawkner, direttrice di “Uniya”. “Crediamo – aggiunge – che la serie di seminari sia un positivo contributo per creare una cultura di pace all’interno della società australiana”. I relatori degli incontri sono tre: il gesuita Frank Brennan, direttore associato di “Uniya”, padre Dean Madigan, già direttore del Centro studi per la religione alla Università Gregoriana di Roma e l’islamista Abdullah Saeed, docente all’Università di Melbourne. (M.D.)

 

 

LA CONFERENZA EPISCOPALE INDIANA HA ESPRESSO LA PROPRIA CONDANNA

PER L’ATTACCO COMPIUTO DAI RIBELLI AI PELLEGRINI INDÙ. 

DURANTE L’AGGUATO, AVVENUTO LUNEDÌ SCORSO, SONO MORTI SEI FEDELI

 

NEW DELHI. = La conferenza dei vescovi cattolici dell’India (Cbci) ha duramente condannato l’assalto di lunedì scorso a Katra, nel territorio del Kashmir, contro pellegrini indù diretti verso il tempio induista di Vaishno Devi. L’agguato, condotto presumibilmente da miliziani delle formazioni separatiste islamiche, ha causato la morte di sei fedeli ed il ferimento di altri 46. “Siamo scioccati – ha detto all’agenzia Misna il vice segretario generale della Cbci, Donald De Souza – perché questi episodi rivelano la follia maligna degli assassini”. La conferenza dei presuli include, nel suo sdegno, anche l’omicidio, avvenuto all’indomani dell’assalto ai pellegrini, di nove soldati indiani morti per l’attacco suicida di due miliziani islamici ad un campo militare di Tanda, nei pressi di Akhnoor, ad una trentina di chilometri da Jammu. “La Chiesa cattolica - ha dichiarato De Souza - continua a sostenere gli sforzi dei governi di India e Pakistan per risolvere le tensioni tra i due Paesi che non devono essere distolti, nel loro sforzo di avviare il processo di pace, da questi gravi episodi di violenza”. (A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

25 luglio 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

“La morte di Uday e Qusay Hussein sarà vendicata”. E’ questa la minaccia di un gruppo di estremisti iracheni, i sedicenti “Fedayn di Saddam”, che fa crescere lo stato di allerta nelle truppe americane, anche ieri bersaglio di attentati. Il presidente americano, George Bush, ha ribadito ieri che la morte di Uday e Qusay certifica “la fine del regime di Saddam”. Ma la sorte dell’ex rais continua ad essere avvolta da un alone di mistero. I soldati statunitensi hanno assaltato, oggi, una casa a Fallujah, nella parte occidentale dell’Iraq, dove sospettavano si nascondesse Saddam Hussein. Lo ha reso noto l’emittente televisiva araba Al Jazeera, che ha mostrato le immagini dell’abitazione distrutta. Negli Stati Uniti, intanto, fa discutere la decisione del Pentagono di pubblicare le foto dei corpi dei due figli di Saddam. Ce lo conferma Elena Molinari:

 

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“La decisione di mostrare al mondo le immagini dei corpi di Uday e Qusay Hussein l’ho presa io”, dice con orgoglio il segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld. Per ore le reti americane non avevano trasmesso altro, ma il segretario rifiuta ogni paragone con le forze dei soldati americani uccisi, che l’Iraq diede in pasto alle sue televisioni. Secondo lui era, dunque, indispensabile rendere le immagini di dominio pubblico, perché gli iracheni avevano bisogno di una conferma. La speranza che l’uccisione dei due eredi di Saddam fermasse le imboscate contro i soldati statunitensi, però, ieri si era affievolita. Altri tre militari della 101.ma divisione  aviotrasportata sono morti infatti quando il loro convoglio è stato attaccato nel nord del Paese, a Sud di Mossul. La divisione delle cosiddette “Aquile urlanti” ha già perso 5 uomini da martedì, quando i figli di Saddam Hussein sono stati uccisi.

 

Da New York, Elena Molinari, per la Radio Vaticana.

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La Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato due accordi di libero scambio con Cile e Singapore, due intese che l’amministrazione statunitense considera le prime di una nuova era, senza ostacoli, negli scambi commerciali. Si tratta infatti dei primi accordi di libero scambio, stipulati dal governo di Washington, con un Paese dell’America del Sud e con uno Stato orientale. Gli accordi sono stati approvati ad ampia maggioranza ed il via libera del Senato è atteso la prossima settimana.

 

In Italia la Camera dei deputati ha approvato il decreto legge sulla missione militare in Iraq. I voti a favore sono stati 229, i contrari 131 e gli astenuti 8. Il provvedimento, che lascia completamente insoddisfatti i responsabili delle organizzazioni non governative e del volontariato impegnati nell’assistenza umanitaria nel Paese arabo, passa ora all’esame del Senato.

 

Il Senato giapponese ha invece respinto oggi una mozione di sfiducia contro il governo del primo ministro liberaldemocratico (Ldp), Junichiro Koizumi, presentata dai partiti di opposizione nel tentativo di bloccare l’approvazione di una controversa legge che prevede l’invio di circa 1.000 soldati in missione di appoggio alle forze anglo-americane nelle operazioni di ricostruzione dell’Iraq.

 

Restiamo in Giappone, dove il 2002 è stato, purtroppo, un anno nero per l’elevato numero di suicidi: oltre 32.000 persone si sono infatti tolte la vita e tra queste, circa 8 mila, lo hanno fatto per disperazione a causa della crisi economica che ha spinto, nel Paese, il tasso di disoccupazione ai livelli peggiori del dopoguerra. I dati, contenuti in un ‘Libro bianco sui suicidi’ e reso noto stamani dalla polizia nipponica, dimostrano inoltre che quasi la metà delle persone che si sono uccise erano senza lavoro e la maggioranza aveva oltre 40 anni.

 

Sono state riaperte dal giudice spagnolo, Baltasar Garzón, le drammatiche pagine della dittatura militare che ha guidato l’Argentina dal 1976 al 1983. Su sua richiesta di estradizione, la magistratura di Buenos Aires ha ordinato ieri l’arresto di 45 alti ufficiali, tra cui gli ex dittatori Videla e Massera per i reati di genocidio e tortura ai danni di cittadini spagnoli residenti in Argentina nel periodo della dittatura. Il servizio di Maurizio Salvi:

 

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Respinta nel 1991 dall’ex presidente De la Rúa la richiesta di arrestare decine di alti ufficiali implicati nel processo per i desaparecidos di origine spagnola è improvvisamente tornata sul tavolo di un giudice argentino che ne ha deciso l’esecuzione. Ciò si deve ad un clima diverso, promosso dal presidente Néstor Kirchner, il quale ha sostenuto che i reati in materia di diritti umani sono di competenza esclusiva della giustizia e che i governi non devono esercitare interferenze. E ancora mercoledì, a Washington, per incontrare il presidente George Bush, Kirchner ha dichiarato che dovrebbero essere abrogate le leggi di obbedienza dovute al punto finale, grazie a cui personaggi come Videla, Massera e Suarez Mason hanno evitato il carcere. Intanto, gli ordini di arresto sono stati comunicati ai responsabili delle tre armi, che devono ora mettere gli ex militari argentini a disposizione della giustizia.

 

Da Buenos Aires, Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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In Medio Oriente la tregua è stata interrotta da un nuovo, ennesimo episodio di violenza. Almeno sette persone sono rimaste ferite a causa di una violenta esplosione avvenuta nel tardo pomeriggio di ieri nella prigione centrale di Gaza. Anche i segnali provenienti dal fronte politico non sembrano, purtroppo, andare incontro alla ‘Road map’. Secondo il premier palestinese Mahmoud Abbas, alias Abu Mazen, “Israele mina la visione di pace del presidente americano, George Bush, continuando a costruire insediamenti ed erigendo un muro per separare lo Stato ebraico dalla Cisgiordania”. Sul piano diplomatico, proseguono intanto i colloqui a Washington: ieri l’incontro tra il ministro palestinese Dahlan ed il segretario per la sicurezza nazionale americana, Condoleezza Rice, oggi quello tra Abu Mazen e George Bush. Sull’attività diplomatica del premier palestinese negli Stati Uniti, ci riferisce Graziano Motta:

 

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Abu Mazen ha incontrato i membri della Commissione Esteri del Congresso e in serata una rappresentanza della comunità ebraica statunitense. Ad essi ha anticipato alcune linee che esporrà al presidente della sua visione del processo di pace e di come potrà nascere lo Stato palestinese nella divisione della terra con gli israeliani. Ha detto che occorre tracciare una linea precisa su una carta dal Nord al Sud, con ciò escludendo ogni enclave israeliana corrispondente agli attuali insediamenti di coloni nei territori. Ha inoltre insistito sui pericoli che a suo avviso creerà la costruzione della barriera di sicurezza intrapresa dal governo Sharon, lungo approssimativamente alla linea dell’armistizio del ’67. Intanto, sulla controversa liberazione dei prigionieri palestinesi da parte d’Israele è stato reso noto a Gerusalemme che la lista con i nomi dei beneficiari e dei diritti da essi compiuti sarà pubblicata prima delle scarcerazioni per consentire ai familiari delle vittime del terrorismo di presentare ricorsi dinanzi all’Alta Corte.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Ancora in primo piano la questione del rilascio dei detenuti palestinesi: è salita a 600 nomi la lista dei prigionieri candidati alla scarcerazione, stilata dai servizi di sicurezza israeliani. Decine dei quasi 250 nomi, aggiunti negli ultimi giorni, appartengono a militanti di Hamas, della Jihad islamica e del Fronte popolare di liberazione della Palestina.

 

Dopo le polemiche per la morte della fotografa di Montreal, Zahara Kazemi, rimangono tesi i rapporti tra Iran e Canada. Il Paese nord-americano ha respinto le accuse del governo di Teheran, secondo il quale le forze dell’ordine canadesi avrebbero ucciso un iraniano a Vancouver.

 

In Liberia nuove esplosioni, avvenute oggi a Mamba, nel quartiere diplomatico di Monrovia, hanno causato la morte di almeno undici civili. Lo ha rivelato l’agenzia France Presse.

 

 

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