RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 205 - Testo della Trasmissione di giovedì 24 luglio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa trascorrerà tutta la giornata nell’area montuosa del Gran Sasso. E’ la settima volta che Giovanni Paolo II visita la regione abruzzese.

 

Uniti per vivere il Vangelo: all’insegna di questo tema si ritrovano oggi all’Urbaniana di Roma tremila vietnamiti della diaspora. Ai nostri microfoni il promotore dell’incontro, il reverendo Giuseppe Dinh Duc Dao.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La difficile transizione verso la democrazia nell’Iraq del dopo-Saddam. Intervista con mons. Isaac Jacques, rettore dell’università pontificia Babel College di Baghdad.

 

Raggiunto l’accordo tra governo e golpisti a São Tomé e Principe. Con noi, il vescovo dell’arcipelago, mons. Rodas de Sousa Ribas.

 

Il mondo universitario e dell’associazionismo in prima linea contro la chiusura dell’ufficio Onu di Roma. Intervista con la prof.ssa Maria Rita Saulle e il presidente della Focsiv, Sergio Marelli.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Rilasciati ieri nelle Isole Salomone tre pastori anglicani rapiti dai ribelli. Intanto è giunto nell’arcipelago il contingente di pace guidato dall’Australia.

 

In Liberia emergenza colera. Decine di morti e centinaia di contagi nelle ultime settimane.

 

Allarme per il disboscamento dell’Honduras. Appello di ambientalisti e Caritas Italia.

 

L’arcivescovo di Canterbury in visita alle comunità anglicane dell’Africa occidentale.

 

L’ex presidente del Nicaragua, Ortega, chiede scusa pubblicamente alla Chiesa per l’opposizione esercitata durante gli anni di governo sandinista.

 

24 ORE NEL MONDO:

Prosegue in Iraq la resistenza antiamericana: altri 3 soldati Usa uccisi dal fuoco nemico.

 

Cresce la tensione tra Iran e Canada, dopo la controversa vicenda della morte della giornalista Zahra Kazemi.

 

Ancora violenza in Medio Oriente, mentre il premier palestinese Mahmoud Abbas è giunto a Washington per colloqui con George Bush.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

24 luglio 2003

 

        

PER LA SETTIMA VOLTA, GIOVANNI PAOLO II IN ABRUZZO: IL PAPA

TRASCORRERA’ TUTTA LA GIORNATA SULLE MONTAGNE DEL GRAN SASSO

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Prosegue il soggiorno estivo del Papa nella ridente città laziale di Castel Gandolfo. Oggi, tuttavia, il Santo Padre trascorre tutta la giornata, in Abruzzo, nella zona montuosa del Gran Sasso.

 

E’ la settima volta che il Pontefice si reca nella regione abruzzese. La prima visita avvenne nel 1980 a L’Aquila e al cantiere del Traforo autostradale del Gran Sasso, dove impartì una benedizione all’importante opera in via d’ultimazione. Quindi, è tornato in Abruzzo nel 1983, due volte nel 1985 e, ancora, nel 1986. Infine, il 20 giugno del 1993, il Papa ha visitato proprio l’area del Gran Sasso. Qui, nella suggestiva cornice del monte più alto dell’Appennino centrale, il Papa recitò l’Angelus domenicale e non mancò di esprimere parole emozionate per lo straordinario paesaggio. “Il silenzio della montagna e il candore delle nevi – affermò in quell’occasione – ci parlano di Dio e ci additano la via della contemplazione, non solo come strada maestra per fare esperienza del Mistero, ma anche quale condizione per umanizzare la nostra vita e i reciproci rapporti”.

 

 

UDIENZE E NOMINE

 

Il Papa ha nominato vescovo della diocesi brasiliana di Pesqueira il reverendo Francesco Biasin, del clero di Padova, per molti anni sacerdote fidei donum in Brasile. Mons. Biasin è nato ad Arzercavalli, nella diocesi padovana, il 6 settembre 1943. Dopo aver compiuto gli studi nei seminari minore e maggiore della città veneta, fu ordinato sacerdote il 20 aprile 1968 a Padova, dove è incardinato. Nel 1972 ha frequentato un corso di spiritualità sacerdotale presso la scuola sacerdotale dei Focolari, a Frascati. Nel 1980 è stato inviato in Brasile come sacerdote fidei donum, per lavorare nella diocesi di Petrópolis.

 

Dal 1981 al 1990, è stato parroco della Cattedrale e vicario generale, nella diocesi di Duque de Caxias. E’ stato inoltre membro della commissione regionale dei presbiteri del Regionale Leste 1 della Conferenza episcopale del Brasile (CNBB). Dal 1991 è stato direttore spirituale del seminario maggiore di Nova Iguaçu a Itaguaí, dove è stato anche vicario generale e amministratore diocesano. Da poco è rientrato in Italia, dove da 4 mesi ricopre l’incarico di responsabile dell’ufficio missionario diocesano della diocesi di Padova.

 

Il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi tailandese di Ratchaburi, presentata dal vescovo John Bosco Manat Chuabsamai, per sopraggiunti limiti d’età.

 

 

TREMILA VIETNAMITI DELLA DIASPORA SI RADUNANO IN QUESTI GIORNI A ROMA

ALL’INSEGNA DEL TEMA “UNITI PER VIVERE E PROCLAMARE IL VANGELO”.

CON NOI IL REVERENDO GIUSEPPE DINH DUC DAO

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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E’ un incontro di fede della comunità cattolica vietnamita della diaspora, organizzato dall’Ufficio per il coordinamento della pastorale dei vietnamiti nel mondo, presso la Pontificia Università Urbaniana. La cerimonia inaugurale, questa sera alle 20.00, sarà presieduta dal prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, il cardinale Crescenzio Sepe. Seguirà la Liturgia eucaristica celebrata da mons. Philip Edward Wilson, arcivescovo di Adelaide, in Australia, sede di un’importante comunità vietnamita. I partecipanti provengono da sedici Paesi in rappresentanza di due milioni di vietnamiti della diaspora, il trenta per cento dei quali sono cattolici. Per l’occasione è venuto a Roma anche il presidente della Conferenza episcopale vietnamita, mons. Paulo Nguyen Van Hoa, vescovo di Nha Trang. Con noi ora il reverendo Giuseppe Dinh Duc Dao, vice direttore del Centro Internazionale di Animazione Missionaria, che ha organizzato il raduno...

 

D. - Qual è stata l’occasione per una tale iniziativa?

 

R. – Lo scopo di questo raduno è quello di rinnovare la vita di fede della comunità cattolica vietnamita della diaspora e rinsaldare l’unità di tutti, per poter rispondere all’invito Duc In Altum del Santo Padre per tutta la Chiesa in questo terzo millennio.

 

D. – Cosa rappresenta quindi per voi questo incontro?

 

R. – E’ molto importante per noi, perché è l’occasione per rinnovare la fede di tutti. Abbiamo scelto questa data, perché così quest’anno possiamo commemorare 470 anni dell’evangelizzazione del Vietnam. Ricordiamo anche i 70 anni dell’ordinazione episcopale del primo vescovo vietnamita e il 15.mo anniversario della canonizzazione dei nostri antenati martiri per l’amore e la fede in Cristo.

 

D. – Quali legami ci sono tra i vietnamiti della diaspora e la madrepatria?

 

R. – I vietnamiti vivono sotto l’autorità dei vescovi locali, ma come sentimento, come identità culturale, come tradizione religiosa la comunità cattolica vietnamita in diaspora sente un profondo e intimo legame con la Chiesa madre in Vietnam. Infatti, dappertutto, dove sono andato a visitare le comunità, ho sempre trovato un amore molto profondo verso il Vietnam. Quindi, si può dire che l’identità della comunità cattolica vietnamita in diaspora oggi ha due dimensioni, citando l’espressione del Santo Padre, “respira con due polmoni”: uno è vietnamita e l’altro è locale. Un cattolico vietnamita in diaspora appartiene alla Chiesa locale con tutti i diritti e i doveri e vuole essere un membro attivo in tutti i sensi. Ma dall’altra parte ricorda anche la sua origine che continua a correre nelle sue vene, come il sangue, ogni giorno.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina si apre con la situazione in Iraq, sottolineando che si continua ogni giorno a morire: uccisi, nel Nord, altri tre soldati Usa. Per Bush “l’ex regime è finito”.

 

Nelle vaticane, un pagina dal tema “Un anno dalla Giornata Mondiale della Gioventù celebrata a Toronto dal 23 al 28 luglio 2002”.

Un articolo sul XXV anniversario di ministero presbiterale di mons. Angelo Spinillo, vescovo di Teggiano-Policastro.

 

Nelle pagine estere. Liberia: centinaia di civili cercano di fuggire da Monrovia devastata dai bombardamenti.

Medio Oriente: appello alla pacificazione lanciato da Washington in vista delle missioni di Sharon e Abu Mazen alla Casa Bianca.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Franco Lanza sulla raccolta di racconti di Erri De Luca dal titolo “Il contrario di uno”.

 

Nelle pagine italiane, in rilievo il tema della giustizia e l’emergenza-siccità.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

24 luglio 2003

 

 

RAGGIUNTO L’ACCORDO TRA GOLPISTI E GOVERNO A SÃO TOMÉ E PRINCIPE

- Con noi mons. Rodas de Sousa Ribas -

 

Si è concluso senza spargimento di sangue il tentato golpe a São Tomé e Principe, piccolo arcipelago nel golfo di Guinea. I militari avevano preso il potere lo scorso 16 luglio, mentre il presidente ed il ministro degli Esteri erano fuori dal Paese. Maggiori dettagli nel servizio di Giulio Albanese:

 

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Con un accordo negoziato da mediatori internazionali - in primo piano Nigeria e Gabon – il capo dello Stato Fradique de Menezes è finalmente ritornato a casa. Il Parlamento ha votato all’unanimità un’amnistia per i golpisti. Il prossimo passo è ora la creazione di un governo di unità nazionale. De Menezes è arrivato a São Tomé, accompagnato dal presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, poche ore dopo l’annuncio dell’accordo raggiunto tra le parti e firmato dal capo dei golpisti, il maggiore Pereira. São Tomé e Principe sono due isole vulcaniche al largo dell’Africa occidentale e si trovano a galleggiare come per incanto su ampi giacimenti di petrolio ancora tutti da sfruttare, e non è escluso, dice qualcuno, che dietro questa vicenda ci siano interessi davvero legati all’oro nero.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Per un commento sugli accordi raggiunti, Jean-Charles Putzolu ha intervistato il vescovo di São Tomé, mons. Rodas de Sousa Ribas .

 

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R. - I negoziati fortunatamente sono giunti a buon fine. Ci aspettavamo che non sarebbero durati troppo a lungo: sapevamo, infatti, che i militari fin dall’inizio non desideravano rovesciare il governo con un colpo di Stato. Non si è trattato di un attacco contro i membri del governo, ma contro la situazione economica in cui l’isola versa. L’azione militare è stata pensata con il fine di richiamare l’attenzione della comunità internazionale e lo scopo è stato raggiunto. Ora la comunità internazionale è attenta alla realtà dell’isola, si può procedere. La grande preoccupazione della Chiesa in questi ultimi giorni era che venisse raggiunto un accordo tra golpisti e governo senza violare la dignità di nessuno, nel rispetto di tutti. Per quanto riguarda la situazione economica, il governo si è già adoperato, ma trattandosi di un esecutivo giovane con un solo anno di vita alle spalle la strada da percorrere per il progresso economico dell’isola è ancora lunga. Ogni sforzo e sacrificio fatto dalla popolazione è finalizzato a raggiungere il traguardo fissato dalla Banca Mondiale per la cancellazione del debito estero.

 

D. - Che ruolo ha svolto la Chiesa in questa situazione?

 

R. - Personalmente ho dialogato con i militari dopo il golpe, ho ascoltato le loro richieste, le loro idee. Non conoscevo inizialmente quali fossero le loro intenzioni, ma poi parlando con loro la situazione è divenuta man mano più chiara. Mi sono quindi permesso di suggerire loro qualche idea, ma non in qualità di rappresentante della Chiesa ma come un semplice cittadino di São Tomé e Principe. Non ho espresso giudizi morali, ho semplicemente dato qualche idea, che a giudicare da come stanno evolvendosi le cose, i militari hanno preso in considerazione per quanto riguarda le trattative con la Banca Mondiale. Posso dire che le mie idee hanno influito sugli accordi.

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APPELLO DEL MONDO ACCADEMICO E DELLE ONG ITALIANE PER IMPEDIRE

L’IMMINENTE CHIUSURA DELL’UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE DI ROMA

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Sorpresa e amarezza: questi i sentimenti che hanno accompagnato nel mondo universitario e dell’associazionismo italiano la notizia della chiusura del ufficio Onu di Roma, il prossimo 31 dicembre. La decisione assunta, recentemente, dal segretario generale delle Nazioni Unite si inserisce in una riforma organizzativa che prevede la chiusura di tutti i centri d’informazione dell’Onu dei Paesi dell’Europa occidentale e la contestuale apertura di un centro regionale a Bruxelles. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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(musica)

 

Un punto di riferimento per la promozione dei diritti umani attraverso la conoscenza dell’organizzazione che appartiene a tutti noi: le Nazioni Unite. Dal 1956, il centro d’informazione dell’Onu di Roma promuove campagne d’informazione sui temi fondamentali della pace, dello sviluppo e dei diritti fondamentali. Ora, il centro di piazzetta San Marco, com’è usualmente chiamato dai tanti - studenti, intellettuali, cittadini comuni – che lo frequentano sta per chiudere i battenti, nell’ambito di una ristrutturazione del Palazzo di Vetro. Numerosi docenti universitari e rappresentanti delle Ong italiane hanno firmato una lettera aperta al ministro degli Esteri, Frattini, affinché il governo intervenga nelle sedi opportune per scongiurare la chiusura dell’ufficio Onu di Roma. Tra loro anche la prof.ssa Maria Rita Saulle, docente di diritto internazionale all’ateneo romano “La Sapienza”, che spiega il suo rapporto particolare con la sede italiana delle Nazioni Unite:

 

R. - Devo dire che la presenza di questo ufficio è stato fondamentale per i miei libri e le mie ricerche, dovunque mi sia trovata in qualunque parte del mondo. In più c’è l’utilità di avere dei funzionari con i quali scambiare un’opinione sull’opportunità di valutare un documento. Ci sono, poi, altri aspetti di questa presenza che sono, per esempio, il fatto di sentire le Nazioni Unite vicine. Una presenza del’Onu diretta nei confronti dell’Italia.

 

D. – Cosa perde l’Onu e cosa perde la società civile italiana con la chiusura dell’ufficio di Roma?

 

R. – Io ho definito già quest’ufficio una specie di ambasciata delle Nazioni Unite presso l’Italia. Quando l’ambasciata viene chiusa, i rapporti diplomatici, per così dire, si interrompono. E’ un interesse veramente sostanziale, proprio dal punto di vista dei contenuti, avere permanentemente un rapporto diretto con le Nazioni Unite. Non parliamo poi dell’università, del fatto che i giovani possano andare, non solo a reperire i documenti, ma anche a formarsi ai principi della Carta delle Nazioni Unite acquisendo i meccanismi, la conoscenza concreta sul campo.

 

D. – Quali azioni può intraprendere il governo italiano per impedire la chiusura dell’ufficio dell’Onu di Roma?

 

R. – Spero che l’Italia continui ad essere uno degli Stati, che maggiormente sovvenzionano gli enti internazionali. Nel momento in cui l’Italia riuscisse ad attribuire a queste Organizzazioni internazionali gli stessi, o maggiori contributi, rispetto al passato, potrebbe chiedere come contropartita il mantenimento della sede delle Nazioni Unite a Roma.

 

E l’ufficio Onu di Roma è stato negli anni un valido sostegno alle iniziative delle Ong, come sottolinea il presidente della Focsiv, Sergio Marelli:

 

R. - Sicuramente direi che per noi il ruolo fondamentale dell’ufficio in Italia delle Nazioni Unite è quello di avere un interlocutore a noi vicino che possa essere un orientamento, una guida, un momento di confronto costante sulle varie politiche, anche sui vari coinvolgimenti che le Nazioni Unite prevedono, in particolare, per il mondo non governativo e per le Ong. Senz’altro, quest’ufficio si è sempre dimostrato molto attento al sostegno di campagne, soprattutto quelle di informazione e di educazione allo sviluppo, che le nostre Ong promuovono qui in Italia sulle grandi questioni legate al problema dei rapporti nel Sud, della cooperazione internazionale.

 

D. – Quale la perdita maggiore per il mondo delle Organizzazioni non governative italiane, qual’ora venisse chiuso l’ufficio delle Nazioni Unite di Roma?

 

R. – Fondamentalmente la perdita di poter avere un’istituzione sopranazionale, spesso percepita come un po’ lontana dai cittadini, ma che invece è fuori dalla porta di casa. La possibilità quindi di avere una struttura delle Nazioni Unite che riavvicini in qualche modo i cittadini a queste Organizzazioni che rischiano di essere, un po’, solo nel Palazzo di Vetro di New York.

 

D. – Il segretariato generale dell’Onu ha motivato la decisione con la necessità di risparmiare e ridistribuire le risorse in favore dei Paesi in via di sviluppo. Come valuta questa scelta del Palazzo di Vetro?

 

R. – Noi riteniamo che all’interno di questa urgente e necessaria riforma delle Nazioni Unite, quella della revisione dei costi di questa struttura, sia uno dei punti qualificanti. Peccato però che ancora una volta si dimostra il fatto che quando bisogna andare a ridurre un  i costi e le spese, si va ad intaccare proprio quei settori dove c’è una partecipazione o un rapporto con la società civile e le Ong.

 

(musica)

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L’IRAQ ATTENDE TEMPI MATURI PER L’AUTOGOVERNO,

MA LA FINE DEL REGIME NON È ANCORA DEMOCRAZIA

- Con noi, mons. Isaac Jacques -

 

Il futuro del popolo iracheno preoccupa fortemente la Chiesa locale. Lo ha ribadito ieri a Torino il segretario generale dei vescovi caldei, mons. Isaac Jacques, in una conferenza presso l’Istituto missioni della Consolata. Il presule – rettore dell’Università Pontificia Babel College di Baghdad – sostiene che “l’uccisione di Uday e Qusay Hussein non cambia assolutamente nulla nel panorama iracheno”. Ce ne spiega le ragioni, al microfono di Andrea Sarubbi:

 

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R. - L’importante non sono le persone, ma il popolo. Le persone vanno e vengono, ma i valori sono storici. Per esempio, ora in Iraq la convivenza tra tutte le religioni presenti è veramente una realtà. E l’assenza di un governo sta dimostrando che non ci sono guerre di religione tra sunniti e sciiti, cristiani e musulmani… Anzi, si vede che il popolo ha nella sua vita e nel suo sangue queste tendenze di convivenza.

 

D. – Bush ha detto “il regime di Saddam è finito e non tornerà più”. Questo significa automaticamente democrazia per l’Iraq?

 

R. – Veramente, non so come rispondere. Le cose non sono così chiare, non è nero o bianco… Non so come andranno le cose. Noi vescovi iracheni ci incontriamo quasi ogni settimana per studiare gli sviluppi della situazione e prendere posizione. Ma non è semplice rispondere alla sua domanda.

 

D. – Che cosa manca, allora, all’Iraq, per arrivare alla democrazia?

 

R. – Che gli iracheni abbiano un proprio governo, quando sarà il momento giusto per guidare se stessi. Questo manca, ma aspettiamo che arrivi il momento opportuno.

 

D. – Ed il momento opportuno non è adesso?

 

R. – Senz’altro non è adesso.

 

D. – Mons. Jacques, si parla molto della resistenza irachena ai soldati americani. Voi che siete in Iraq, come la vivete?

 

R. – Quando si sente che un soldato americano è stato ucciso, forse c’è la tendenza a generalizzare, come se ci fosse una resistenza dappertutto, contro gli americani. Ma questa mi sembra una esagerazione, perché alcuni casi isolati non significano che si tratti di una rivolta generale. Ho visto a Baghdad i soldati americani che giocavano con i bambini per le strade. E poi, mi sembra siano tutti convinti che non è il momento che gli americani lascino il Paese.

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CHIESA E SOCIETA’

24 luglio 2003

        

 

È SBARCATO OGGI SULLE ISOLE SALOMONE IL PRIMO CONTINGENTE DI PACE GUIDATO DALL’AUSTRALIA.

NEL PAESE, LACERATO DA CINQUE ANNI DI GUERRA CIVILE,

SONO STATI INTANTO RILASCIATI TRE PASTORI ANGLICANI RAPITI DAI RIBELLI

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

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HONIARA. = A Guadalcanal, la maggiore delle isole Salomone, sono stati rilasciati, ieri, tre pastori anglicani della ‘Confraternita della Melanesia’ rapiti sei settimane fa dai ribelli guidati da Harold Keke. Lo riferisce la radio australiana, Abc, precisando che i tre religiosi hanno raggiunto la capitale Honiara, teatro di sanguinosi scontri tra milizie etniche, dopo otto ore di viaggio su una piccola imbarcazione. La liberazione degli ostaggi arriva mentre sono giunti, ad Honiara, i primi 800 uomini del contingente multinazionale guidato dall’Australia. I soldati sono sbarcati sulla storica “Red beach”, la spiaggia da dove, nel 1942, i marines statunitensi lanciarono l’offensiva contro i giapponesi stanziati nell’isola di Guadalcanal. L’attuale dispiegamento di forze sarà il più massiccio, nella regione, proprio dagli anni del secondo conflitto mondiale. L’intervento, approvato dal parlamento delle isole Salomone, è finalizzato ad aiutare le autorità locali a riprendere il controllo dell’arcipelago lacerato da cinque anni di guerra civile. Il primo compito della forza di pace sarà quello di ristabilire l’ordine nella capitale e di disarmare le bande armate presenti nella città. Nel complesso scenario politico del Paese non mancano, comunque, le iniziative spirituali. I padri salesiani della diocesi di Honiara hanno promosso, dal 18 al 20 luglio scorso, un seminario dal titolo “Il vero amore aspetta…”. L’incontro, svoltosi in preparazione della Giornata mondiale della gioventù di Colonia nel 2005 e conclusosi con una Santa Messa celebrata dall’arcivescovo di Honiara, mons. Adrian Smith, è stato organizzato con l’obiettivo di riscoprire valori centrali quali la castità e la purezza.

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IN LIBERIA SCATTA L’ALLARME COLERA. NEL PAESE GIÁ DURAMENTE PROVATO

DALLA GUERRA CIVILE, DIVERSE CENTINAIA DI PERSONE SONO STATE CONTAGIATE.

SI CONTANO GIA’ I PRIMI MORTI A CAUSA DELLA TERRIBILE EPIDEMIA

 

MONROVIA. = La gravosa piaga del colera non cessa di minacciare diversi luoghi del mondo, ma l’ultimo allarme è scattato proprio in Liberia, il Paese africano che in questi giorni si trova nell’occhio del ciclone per la grave situazione bellica. Secondo le cifre raccolte dai servizi sanitari operativi nella capitale, nel solo mese di giugno sono stati riportati 1280 casi con 15 decessi. Nella prima settimana di luglio, il totale dei casi registrati a Monrovia è di 1630 con 15 decessi, ma il bilancio potrebbe essere superiore, considerata l’impossibilità di avere dati certi per le precarie condizioni di sicurezza che vigono nel Paese. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è impegnata a sostenere il ministero della Salute con la distribuzione di medicinali, di forniture mediche e cloro alle Ong, che operano a Monrovia. Insieme all’Unicef fornisce alle comunità e alle strutture sanitarie materiale informativo sanitario sulla prevenzione e il controllo del colera. Le epidemie sono particolarmente facilitate dalla mancanza delle più correnti norme igieniche. L’insorgere della malattia avviene dopo 2-3 giorni, presentando vomito e diarrea, che portano ad una grave disidratazione, perdita di sostanze minerali e aumento dell’acidità del sangue nei tessuti, con rischio di collasso cardiocircolatorio e morte. La causa principale della diffusione del colera nei Paesi più poveri è l’inquinamento dell’acqua, causato dalla precarietà del sistema fognario. Anche il pesce, ingerito senza adeguata cottura, la verdura, la frutta e le bevande prodotte con acqua inquinata facilitano il diffondersi della malattia. Ne sono colpiti numerosi Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina. (M.D.)

 

 

ALLARME DELLA CARITAS ITALIANA CONTRO IL DISBOSCAMENTO DELL’HONDURAS.

PER DENUNCIARE QUESTA GRAVE PIAGA SOCIALE È GIUNTO IN ITALIA

IL LEADER DEL MOVIMENTO AMBIENTALISTA DELLA REGIONE DI OLANCHO,

PADRE ANDRÉS TAMAJO

 

TEGUCIGALPA. = “In Honduras l’indiscriminato taglio dei boschi provoca effetti ambientali e sociali devastanti quali l’inaridimento dei suoli, l’innalzamento delle temperature, la dispersione delle falde acquifere, la perdita dei raccolti e l’aumento della povertà”. E’ questo il grido di allarme lanciato dalla Caritas italiana e ribadito dalla guida del movimento ambientalista della regione di Olancho, il sacerdote salvadoregno, padre Andrés Tamayo, giunto oggi a Roma per denunciare le gravi conseguenze dell’aggressione alle risorse forestali del Paese centro-americano. Proprio la spinosa questione della distruzione dei boschi è stata lo sfondo, purtroppo, della morte di un operatore della pastorale sociale-Caritas di Juticalpa. Si tratta del dirigente del movimento ambientalista di Olancho, Carlos Arturo Reyes Mendez, ucciso venerdì scorso nel villaggio di El Rosario per essersi apertamente schierato contro le continue operazioni di disboscamento. Ma le denunce ambientaliste, fortunatamente, non si arrestano grazie all’opera di padre Tamajo che, il 27 giugno scorso, ha dovuto lasciare l’Honduras al termine della “Marcha por la defensa de la vida”. In quella occasione, circa 30 mila partecipanti hanno espresso le loro proteste contro il taglio massiccio dei boschi del dipartimento di Olancho, riserva “forestale” del Paese. (A.L.)

 

 

L’ARCIVESCOVO DI CANTERBURY, ROWAN WILLIAMS, SI TROVA DA IERI IN VISITA NELL’AFRICA OCCIDENTALE.

NEL CORSO DEL SUO VIAGGIO INCONTRERÁ LE COMUNITÁ ANGLICANE LOCALI,

GLI ESPONENTI DELLE ALTRE CONFESSIONI RELIGIOSE E I RAPPRESENTANTI DELLE ISTITUZIONI

 

ACCRA. = L’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha iniziato ieri un viaggio pastorale nel continente africano, che lo porterà a visitare le comunità anglicane presenti  in Ghana, Sierra Leone e Gambia. I tre Paesi che ospiteranno il primate d’Inghilterra sono parte della provincia anglicana dell’Africa occidentale, presieduta dal reverendo Robert Okine, latore dell’invito all’arcivescovo di origine gallese. Oggi ha luogo l’incontro ufficiale con il presidente della Repubblica del Ghana, John Agyekum Kufuor, al termine del quale l’arcivescovo officerà una liturgia. Domenica, invece, il capo della Chiesa anglicana terrà un discorso durante una manifestazione organizzata all’interno dello stadio nazionale di Freetown, in Sierra Leone. Il primate anglosassone, nel corso della sua visita, ha anche in agenda incontri con rappresentanti delle chiese cristiane, esponenti della classe politica e delegati delle società tradizionali africane. Rowan Williams siede sulla cattedra di Canterbury dal 27 febbraio 2002. Sposato con due figli, dopo la laurea in teologia conseguita presso il Christ’s College di Cambridge e il dottorato di ricerca a Oxford con una tesi sulla cristianità in Russia, ha diviso la sua vita tra l’insegnamento (in Sudafrica e in India) e il ministero parrocchiale. (M.D.)

 

 

SCUSE UFFICIALI AI VESCOVI DALL’EX PRESIDENTE DEL NICARAGUA, DANIEL ORTEGA.

IL GOVERNO SANDINISTA NEGLI ANNI OTTANTA AVEVA CONTRASTATO CON FORZA

LE ATTIVITÁ DELLA CHIESA NEL PAESE CENTROAMERICANO

 

MANAGUA. = Il segretario generale del Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln) ed ex presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, riferisce l’agenzia Aci Prensa, ha rivolto pubblicamente le scuse alla Chiesa e ai vescovi del Paese centroamericano per l’intransigenza del suo governo nei confronti dei cattolici nei primi anni ottanta. Lo ha fatto in occasione del discorso pronunciato lo scorso 19 luglio a Plaza de la Fe, in occasione del 24.mo anniversario della rivoluzione sandinista. L’amministrazione Ortega fu particolarmente dura con i vertici della Chiesa locale, dei quali cercava di diminuire l’influenza e il prestigio. L’esecutivo espulse inoltre 18 preti, contestò pesantemente i presuli e arrivò addirittura a censurare i documenti della Santa Sede, così come gli atti della Conferenza episcopale nicaraguese. (M.D.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

24 luglio 2003

 

 

- A cura di Barbara Castelli -

 

In primo piano l’Iraq. Ormai non ci sono più dubbi: sono proprio Uday e Qusay Hussein le vittime del raid americano di mercoledì a Mossul, nel nord dell’Iraq. Lo ha confermato Washington, senza però escludere che uno dei due figli di Saddam si sia suicidato prima dell’irruzione statunitense. La Casa Bianca ha ribadito la propria soddisfazione per l’obiettivo raggiunto. Il servizio di Elena Molinari:

 

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“Il regime di Saddam se ne è andato per sempre e non tornerà più. Il giorno dopo l’uccisione di Uday e Qusay Hussein, George Bush incassa il credito del successo e ne presenta il conto al resto del mondo. Per realizzare il nostro progetto in Iraq - ha detto Bush - tutte le nazioni devono contribuire militarmente e finanziariamente”. A suo dire la situazione in Iraq è incoraggiante. “La strategia americana - ha detto - sta dando risultati, anche se il clima è di guerra continua”. Negli Stati Uniti, intanto, c’è sollievo per l’eliminazione dei due temibili fratelli, ma non abbastanza da mettere a tacere le domande sulla legittimità della guerra. La Casa Bianca appare per la prima volta in difficoltà. Dopo aver negato per settimane di essere al corrente che il documento sul presunto acquisto iracheno di uranio in Africa era inaffidabile, si è appreso, infatti, che l’amministrazione Bush era stata avvertita dalla Cia ad ottobre. Ciononostante, un riferimento al documento venne usato da Bush a gennaio per convincere gli americani della necessità della guerra.

 

Da New York, Elena Molinari, per la Radio Vaticana.

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In Iraq, intanto, nonostante l’uccisione dei figli di Saddam, la resistenza antiamericana non si placa. Tre soldati statunitensi sono stati uccisi oggi in un attacco nel nord dell’Iraq; mentre un veicolo militare statunitense è stato dato alle fiamme, nel centro di Baghdad, davanti alla moschea di Al Gilani. Anche due iracheni oggi hanno perso la vita. Le truppe americane hanno, infatti, aperto il fuoco contro un’auto che non si era fermata a un check-point. L’auto si è incendiata e i suoi due occupanti sono morti.

 

Due giorni dopo il monito del presidente statunitense Bush, l’Iran ha ammesso ieri, per la prima volta, che fra i terroristi di al Qaeda detenuti nelle sue carceri vi sono esponenti di spicco della rete di Osama bin Laden. Secondo fonti diplomatiche, tra i detenuti ci sarebbero anche un figlio del principe del terrore, Said, il ‘numero due’ dell’organizzazione, l’egiziano Ayman al Zawahri, e il portavoce, il kuwaitiano Suleiman Abu Ghaith. Scettica la reazione di Washington all’annuncio di Teheran.

 

L’Iran ha accusato oggi la polizia canadese di aver ucciso un iraniano a Vancouver e ha chiesto ad Ottawa di portare in tribunale i responsabili di questo “crimine”. L’annuncio viene in un momento di tensione tra Iran e Canada, in seguito alla morte della giornalista irano-canadese, Zahra Kazemi. Il Canada ha, infatti, richiamato il proprio ambasciatore a Teheran e ha annunciato che riesaminerà i rapporti con  l'Iran.

 

Trasferiamoci in Medio Oriente dove, nonostante la tregua, proseguono gli episodi di violenza. Ieri sera un israeliano è stato accoltellato a Gerusalemme da un gruppo di adolescenti palestinesi; mentre stamani a Ramallah un’unità speciale dell’esercito israeliano ha catturato un palestinese, membro dei Tanzim, ricercato da Israele. Sul piano diplomatico, intanto, il ministro degli Esteri israeliano Shalom è in visita alla Casa Bianca. Giunto a Washington anche il primo ministro palestinese, Mahmoud Abbas. Graziano Motta:

 

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In missione a Washington per preparare la visita della settimana ventura di Sharon alla Casa Bianca, il ministro degli Esteri israeliano ha visto criticare la cosiddetta barriera di sicurezza con i Territori palestinesi. Il segretario di Stato, Powell, ha chiesto a Shalom che la sua costruzione sia sospesa e, comunque, sia modificato il tracciato. Di fatto, su questo punto Washington si è allineato sulla posizione del primo ministro palestinese Abu Mazen, che oggi comincia la sua visita nella capitale federale e domani sarà ricevuto da Bush. Shalom ha, tuttavia, notato che non è questa una divergenza importante fra Israele e Stati Uniti. “Importante - ha detto - è la nostra convergenza sul fatto essenziale che l’autorità palestinese smantelli le infrastrutture terroristiche, sequestri le armi dei membri delle organizzazioni della rivolta, ponga fine alle incitazioni all’odio e alla violenza”. Sull’altro tema che Abu Mazen solleverà a Washington - la scarcerazione dei prigionieri palestinesi - Shalom ha detto che questa ci sarà, anche se non figura nella “Road map”, il piano di pace, e sarà uno degli argomenti dell’incontro di Shalom con Bush.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Si è concluso in maniera pacifica il tentato colpo di Stato a Sao Tomé e Principe. I militari, che avevano preso il potere lo scorso 16 luglio, hanno siglato ieri un accordo “effettivo” per il ripristino dell’ordine costituzionale. Anche il presidente, Fradique de Menezes, ha fatto rientro nel Paese.

 

Trasferiamoci nelle Filippine, dove ieri 21 persone sono rimaste vittime del passaggio del tifone Imbudo. Secondo quanto ha riferito la protezione civile, inoltre, il tifone, che viaggia a circa 170 km orari, ha provocato più di 20 milioni di dollari di danni alle proprietà agricole e alle attrezzature del Paese.

 

L’Ecowas - la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale - ha annunciato ieri l’invio in Liberia di 1.300 soldati nigeriani. I tempi della missione, però, sono ancora da stabilire, e nel frattempo la situazione peggiora: nelle ultime ore, i ribelli hanno conquistato un ponte strategico, che controlla l’accesso a Monrovia. Obiettivo dei guerriglieri è, a questo punto, sostituire il presidente Taylor alla guida del Paese. Ce lo conferma Massimo Alberizzi, esperto di questioni africane del Corriere della Sera, intervistato da Andrea Sarubbi:

 

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R. - Vogliono che Taylor capisca che è inutile che cerchi di rimanere agganciato al potere, perché tanto non ce la fa neppure dal punto di vista militare. Oltretutto, credono che Taylor stia cercando un qualche modo di riarmarsi e, quindi, vogliono evitare che riesca farlo.

 

D. - Quando c’era Bush in Africa, Taylor aveva dato la propria disponibilità a dimettersi. Perché non lo fa adesso?

 

R. - Taylor non può andarsene, è ostaggio dei suoi. Se lui se ne andasse immediatamente i suoi sarebbero massacrati.

 

D. - Anche i ribelli avevano la possibilità di far finire questa guerra, bastava che accettassero il piano di pace dell’Ecowas. Lo hanno respinto, dicendo: “Saremmo esclusi dal governo di transizione”…

 

R. - E’ sciocco lasciar fuori i ribelli. Potrà essere forse eticamente sbagliato coinvolgerli, ma politicamente sono quelli che hanno la partita in mano. Tutta la parte civile della Liberia, arrivando i ribelli e instaurando un regime a modo loro, rischierebbe di essere emarginata. Quindi, tutti i negoziati di pace fallirebbero immediatamente. 

 

D. - Ieri sera l’Ecowas ha finalmente deciso l’invio di 1300 soldati nigeriani in Liberia, che cosa potrà cambiare adesso?

 

R. - Non credo molto ai contingenti di pace africani, se non sono almeno guidati da una forza leader, che in questo caso dovrebbe essere quella degli Stati Uniti. Ma mentre gli Stati Uniti sono pronti ad intervenire in Iraq, dove hanno grandi interessi, qui avrebbero solamente un interesse di tipo storico ed etico. Non mi pare che Bush sia sensibile a questi temi.

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In Turchia, ieri la Commissione parlamentare sulla corruzione ha chiesto l’apertura di un’inchiesta parlamentare su 25 ex membri del governo. Tra gli indagati figurano anche gli ex premier Bulent Ecevit e Mesut Yilmaz e l’ex ministro dell’economia, Kemal Dervis. Lo ha riferito l’agenzia di stampa Anadolu, specificando che questi ultimi sono sospettati di corruzione ed abuso di potere.

 

 

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