RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 202 - Testo della Trasmissione di lunedì 21 luglio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’Europa non dimentichi le proprie radici cristiane: vasta eco per le parole del Papa, ieri all’Angelus. La riflessione del rettore della Lateranense, mons. Rino Fisichella, sul ruolo che la cultura può svolgere nella costruzione della casa comune europea.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Con un appello a rinnovare lo slancio missionario, si è concluso ieri il primo congresso nazionale missionario del Brasile. Con noi, padre Daniel Lagni, presidente delle Pontificie opere missionarie brasiliane.

 

La lotta all’Aids in primo piano nel programma quinquennale dell’Oms, varato oggi dal nuovo direttore, Jong Wook Lee. Ai nostri microfoni: il direttore tecnico di Oms Europa, Roberto Bertollini.

 

L’impegno della Caritas per fronteggiare l’emergenza idrica nel mondo: ce ne parla Paolo Beccegato.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Nuove tecnologie e Ogm al centro dell’Assemblea della federazione internazionale delle università cattoliche, riunita da domani in Uganda.

 

Si realizza il sogno del presidente-poeta Senghor: posta a Dakar la prima pietra del museo della civiltà nera.

 

Il patriarca di Venezia, Angelo Scola, per la festa del Redentore: il Veneto sia modello di civiltà.

 

Generazioni a confronto e mutamenti nella fede. Inizia oggi a Torino il Congresso della società internazionale di sociologia delle religioni.

 

Il cinema che viene da lontano, raccontato in un dossier realizzato dall’Agenzia Fides.

 

24 ORE NEL MONDO:

Non si interrompe la drammatica sequenza di violenze in Iraq: morti a Baghdad un soldato statunitense ed un interprete iracheno.

 

Incertezza sui risultati concreti raggiunti ieri nell’incontro tra il premier israeliano, Sharon, e quello palestinese, Abu Mazen.

 

Resta drammatica la situazione in Liberia: la capitale Monrovia continua ad essere teatro di sanguinosi scontri.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

21 luglio 2003

 

 

RIVITALIZZARE LE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA: VASTA ECO PER L’APPELLO

 DEL PAPA ALL’ANGELUS DI IERI. LA RIFLESSIONE DEL RETTORE DELLA LATERANENSE,

 MONS. RINO FISICHELLA, SUL RUOLO DELLA CULTURA NELL’EDIFICAZIONE

DELLA NUOVA CASA COMUNE EUROPEA

 

Il cristianesimo è un “elemento centrale e qualificante” dell’Europa, un patrimonio che non può essere disperso. All’angelus domenicale di ieri, Giovanni Paolo II è tornato a sottolineare la centralità delle radici cristiane per l’edificazione della nuova casa comune europea. Una sfida che vede l’istituzione universitaria chiamata ad assumere un ruolo insostituibile. Aspetto, questo, che il Pontefice ha messo in evidenza sabato scorso ricevendo a Castel Gandolfo i partecipanti al Simposio “Università e Chiesa in Europa”. Nel discorso per l’occasione, il Santo Padre ha ribadito che l’università non deve smarrire la propria natura, “che rimane principalmente culturale”. Un passaggio sul quale si sofferma mons. Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. - Mi ha fatto molto piacere sentire il Santo Padre ritornare su quelli che sono i temi essenziali. Ha ancora una volta ribadito il primato della cultura che è una cosa che, a questo livello, indica una strada che deve essere percorsa. Il cristianesimo può veramente dire di essere “esperto” nella cultura, perché da duemila anni entra nelle diverse culture e le rispetta a tal punto da farne emergere la verità che esse contengono. Quindi, in qualche modo, riportando il tema della Chiesa e delle cultura ha ulteriormente cercato di superare quella frattura di cui Paolo VI parlava, cioè che il mondo di oggi sembra rivelare una frattura quasi insanabile tra la cultura e la Chiesa. A me sembra che il lavoro svolto dal Papa in questi anni non fa che riconfermare l’impegno per ricucire i due ambiti.

 

D. – Il rapporto tra Università e Chiesa – ha affermato il Papa – ci conduce direttamente al cuore dell’Europa. Quanto e cosa possono fare oggi le istituzioni universitarie per la costruzione della nuova Europa?

 

R. – Fare una profonda memoria storica. Noi non dobbiamo dimenticare che è stata la Chiesa che ha dato vita alle università. Noi sappiamo benissimo quello che era l’Europa e la cultura nel Medioevo. Era essenzialmente mantenuta e tenuta viva all’interno dei monasteri. Ed è dai monasteri che si è andati incontro a questa dimensione di universitas, cioè questa capacità di poter esprimere a tutti quello che era la ricchezza della cultura. Bisogna ricordare che il cristianesimo ha promosso la cultura, l’ha sempre voluta e ne ha dato anche quella espressione che oggi noi conserviamo.

 

D. – Giovanni Paolo II non perde occasione per ribadire che la fede cristiana ha plasmato la cultura dell’Europa. Quali i rischi che il Vecchio Continente può correre nel dimenticare le proprie radici?

 

R. – C’è il grande rischio della dimenticanza. L’oblio è un nemico terribile per l’uomo, non soltanto in questo caso, ma per qualsiasi cosa noi compiamo. Si tratta di mantenere vive quelle che sono le radici dell’istituzione dell’università. E questo io ritengo sia oggi ancora più valido, nel momento in cui si cerca di ricomporre nell’unità originaria la nuova Europa. L’università è innanzitutto ricerca, luogo dove le varie componenti si ritrovano; è capacità di stare insieme; è la capacità di saper guardare al futuro con molta lungimiranza.

 

D. – Accanto al mondo della cultura, quanto, secondo lei, la politica, le istituzioni a livello europeo sono sensibili ai richiami del Papa?

 

R. – C’è una sensibilità che è sicuramente dovuta al fatto che si riconosce che il Papa tocca delle tematiche reali, coerenti ed essenziali. Bisognerebbe però che questo ascolto si traducesse più immediatamente anche in un’aderenza legislativa. Inutile nasconderci che da parte nostra permane sempre, nello stesso modo, e con una profonda intensità, il volere che i politici abbiano a guardare con profonda lungimiranza a quello che stanno facendo in questo mesi. La presenza nella carta costituzionale di un richiamo esplicito a quello che è il ruolo che il cristianesimo, e solo il cristianesimo, ha avuto per l’Europa credo sia non solo un riconoscimento di ciò che è stato realmente fatto - e quindi la memoria storica - ma sia anche un gesto di grande lungimiranza soprattutto per le generazioni che verranno nel futuro. Sarebbe veramente triste dover pensare che le generazioni prossime si dovranno incontrare con una costituzione in cui viene meno ciò che ancora oggi invece è patrimonio di tutta quanta la popolazione europea.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina il titolo "Il cristianesimo elemento centrale e qualificante nella complessa storia del Continente": all'Angelus, Giovanni Paolo II sottolinea ancora una volta il contributo della Chiesa alla nuova Costituzione Europea.

 

Nelle vaticane, una pagina ad un mese dal Viaggio apostolico del Papa in Bosnia ed Erzegovina.

Due pagine dedicate al IV Incontro dei presidenti delle Commissioni Episcopali d'Europa per la Famiglia e per la Vita.

 

Nelle pagine estere, riguardo all'Iraq si sottolinea che "le operazioni di guerra sono finite ma la guerriglia prosegue senza tregua".

Medio Oriente: nessun accordo tra Sharon ed Abu Mazen.

 

Nella pagina culturale, "Il 'vero tesoro' dell'Isola di Montecristo" è il titolo dell'articolo di Fabrizio Contessa sui luoghi dove Alexandre Dumas ambientò il suo celebre romanzo; luoghi che oggi sono una stupenda riserva naturale.

 

Nelle pagine italiane, in rilievo i temi del lavoro e delle pensioni.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

21 luglio 2003

 

 

LA CHIESA IN BRASILE ACCOLGA CON RINNOVATO SLANCIO LA PROPRIA VOCAZIONE MISSIONARIA.

CON QUESTA ESORTAZIONE SI E’ CONCLUSO, IERI A BELO HORIZONTE,

IL PRIMO CONGRESSO MISSIONARIO NAZIONALE DEL PAESE LATINO AMERICANO

 

Con un rinvigorito spirito evangelizzatore si è concluso ieri a Belo Horizonte, nello stato brasiliano di Minas Gerais, il primo Congresso missionario nazionale del Paese latino americano. Chiamati a riflettere sul tema “Inviati ai confini del mondo per annunciare il Vangelo della pace, a partire dalla povertà, dall'alterità e dal martirio in mezzo a noi” i 400 partecipanti - tra membri dei consigli missionari diocesani, rappresentanti di istituzioni e organismi impegnati nell'animazione missionaria delle Chiese - hanno tratteggiato le sfide della Chiesa in Brasile. L'iniziativa è stata promossa dal Consiglio missionario nazionale (COMINA) con l’intento di approfondire il contributo della Chiesa in Brasile al secondo Congresso missionario americano e settimo Congresso missionario latinoamericano (CAM 2 - COMLA 7), in programma a Città del Guatemala il prossimo novembre. Sui lavori del Congresso, Raimundo Lima, del programma brasiliano, ha raccolto il commento di padre Daniel Lagni, presidente delle Pontificie Opere Missionarie in Brasile e presidente del I° Congresso missionario nazionale.

 

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R. - Questo è stato il primo congresso missionario nazionale della Chiesa cattolica in Brasile ed è stato un momento molto importante per approfondire la tematica della missione, soprattutto la missione rivolta all’estero, la missione “ad gentes”. Il Congresso ha rappresentato anche l’occasione per guardare al futuro, in vista del CAM 2 e COMLA 7, il prossimo novembre in Guatemala. In questi 4 giorni, abbiamo cercato di approfondire la tematica della missione su tre ambiti per noi molto importanti: la povertà, l’alterità, cioè gli altri, le altre culture e gli altri popoli, e il martirio, realtà molto viva e presente in tutta la Chiesa latino-americana e anche in tutta la Chiesa universale.

 

D. - Pensando all’Amazzonia, quali sono le sfide per la Chiesa in Brasile?

 

R. - L’Amazzonia rappresenta praticamente il 40 per cento del territorio nazionale. Dobbiamo, quindi, guardare con molta responsabilità alla presenza e all’attività della Chiesa in tutta l’Amazzonia, soprattutto per quanto riguarda una nuova spinta evangelizzatrice e una stretta collaborazione tra le Chiese e le diocesi. Un gemellaggio, perciò, che non sia solo economico, ma anche umano, con addetti alla pastorale, con suore, con preti. Lo scorso maggio, la Conferenza episcopale ha elaborato un progetto per la Chiesa dell’Amazzonia, approvato nell’ultima Assemblea generale, invitando tutti a contribuire alla nuova evangelizzazione, anche per quello che riguarda l’aspetto culturale. Si pensa, infatti, a dar vita ad una Università dell’Amazzonia, perché rappresenta un mondo con le sue caratteristiche specifiche dal punto di vista culturale, geografico, etnico. Ci sono centinaia di tribù indigene che hanno bisogno di una riscoperta dei loro valori, della loro cultura e anche della loro fede.

 

D. - La Chiesa si è sempre battuta contro la piaga della fame. Un tema di grande attualità in Brasile è senz’altro il Programma “Fame Zero” del governo di Inacio Lula da Silva. Qual è la partecipazione della Chiesa in questo programma?

 

R. - La Chiesa ha iniziato prima del governo a fare questo tipo di lavoro, da molti anni. Due anni fa, ha cominciato un programma specifico di educazione e alimentazione per la popolazione più povera. Il nostro obiettivo non è dare solo cibo nell’immediato, ma creare condizioni per l’auto-sostentamento dei popoli e della gente, con il lavoro, lo studio, l’educazione, la salute. Quindi, un programma molto più ampio. Quello del governo è molto importante, anche se è stato criticato per certi versi. Dobbiamo dare sì il cibo, il pesce, ma dobbiamo anche insegnare a pescare. Questo è il problema più grosso, quello dell’educazione, della formazione, della salute, quello di guardare la persona umana nel suo insieme, anche nell’aspetto culturale e della fede. 

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TRACCIATO STAMANI DAL NUOVO DIRETTORE GENERALE DELL’OMS,

 JONG WOOK LEE, IL PIANO D’AZIONE PER I PROSSIMI CINQUE ANNI.

TRA LE PRIORITA’ LA LOTTA ALL’AIDS E ALLE MALATTIE DERIVANTI DAL FUMO

- Con noi Roberto Bertollini -

 

La lotta all’Aids, al polio, alle malattie derivanti dal fumo, dall’inquinamento e dalla cattiva alimentazione: sono queste le priorità dell’Organizzazione mondiale della Sanità per i prossimi cinque anni. Le ha tracciate stamattina a Ginevra il nuovo direttore generale, il sudcoreano Jong Wook Lee, che ha preso il posto della norvegese Gro Harlem Brundtland. A Roberto Bertollini, direttore tecnico di Oms Europa, Andrea Sarubbi ha chiesto di tracciare un bilancio di quest’ultimo mandato:

 

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R. – Direi che sono stati anni molto importanti, nel senso che il nostro direttore generale ha fatto sì che l’agenda della sanità fosse prioritaria all’interno dell’agenda più generale dello sviluppo e della politica internazionale. Questo è stato uno dei più grandi obiettivi raggiunti dalla dott.ssa Brundtland. E accanto a questo, la convenzione quadro contro il tabacco, che è stata approvata recentemente nel maggio di quest’anno e che, per la prima volta, mette sul piano di un trattato internazionale una battaglia di sanità pubblica per sconfiggere questo flagello responsabile di molti milioni di morti all’anno.

 

D. – Negli ultimi tempi comunque non sono mancate le difficoltà, ne cito una su tutte: l’epidemia della Sars …

 

R. – Certamente questa è stata una difficoltà che ha messo alla prova il ruolo delle organizzazioni internazionali, in particolare dell’Oms, nel garantire la sanità e la salute nel mondo. Direi che nonostante ci siano stati dei problemi iniziali - il ritardo della notificazione dei casi da parte della Cina, e così via –quello che è successo dopo ha, tuttavia, dimostrato da un lato l’efficienza del sistema di monitoraggio e di sorveglianza, e dall’altro anche la necessità che ci sia un’agenzia internazionale di questo livello e con queste capacità, che possa in qualche modo coordinare le risposte a tali problemi. La Sars purtroppo non è stata la prima di queste emergenze e non sarà senz’altro l’ultima.

 

D. – In cima alla lista delle emergenze che attendono il nuovo direttore ce n’è una: la lotta all’Aids …

 

R. -  L’Aids è un problema davvero drammatico. Ci sono 30 milioni di persone affette da questo virus nell’Africa subsahariana, dove i farmaci che consentono di controllare l’epidemia sono disponibili solo per una piccola minoranza della popolazione. Ovviamente, è un problema che necessita degli interventi e degli aiuti dei Paesi più ricchi e ovviamente della volontà politica e dell’impegno anche delle popolazioni, e dei governi dei Paesi affetti. Si tratta senz’altro di una delle priorità ricordate dal nuovo direttore generale nel suo discorso di insediamento.

 

D. -  E a parte la lotta all’Aids, quali obiettivi si pone l’Organizzazione mondiale della sanità per i prossimi 5 anni?

 

R. – Sostenere questi obiettivi relativi alle malattie infettive che ancora affliggono una buona parte della popolazione del mondo, in particolare quindi l’Aids, la tubercolosi e la malaria; concludere l’altra grande campagna dell’Oms contro la polio - siamo molto vicini, ma manca ancora qualche sforzo – e continuare la battaglia contro le malattie non trasmissibili. Il tabacco è una delle cause principali. Abbiamo raggiunto questo obiettivo della convenzione quadro. Dobbiamo prima di tutto metterlo in pratica e inoltre estendere il nostro impegno anche ad altri fattori, come l’inquinamento ambientale, l’alcool, la denutrizione, l’obesità. Da ultimo, ma non ultimo, il problema della sorveglianza epidemiologica e dei costi del sistema sanitario, che sono un problema importante per tutto il mondo.

 

D. – A proposito di costi del sistema sanitario, la Santa Sede ha più volte ribadito la necessità di un accesso libero da parte dei Paesi poveri ai farmaci essenziali. Una soluzione purtroppo non è stata ancora trovata, secondo lei si troverà?

 

R. – Noi ci auguriamo che si trovi, perché una soluzione a questo problema significa la vita per moltissima gente. L’accesso ad alcuni farmaci essenziali è ormai un diritto umano e, quindi, come tale non può essere in nessun modo alterato o cancellato da pratiche di natura commerciale. Penso, quindi, che la cosa più importante sia avere consapevolezza di questo e consentire che in condizioni eccezionali come quelle dell’epidemia dell’Aids si consenta la produzione di farmaci generici che permettano alle popolazioni affette di essere curate. Non è accettabile che una persona che vive in un Paese come l’Uganda non possa avere accesso agli stessi farmaci di cui ha invece diritto un’altra persona in un altro Paese del mondo.

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IL PIANO DELLA CARITAS PER FARE FRONTE ALL’EMERGENZA IDRICA NEL MONDO:

UNA MANO TESA VERSO QUELLE CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PERSONE

CHE OGNI ANNO NON DISPONGONO DI ACQUA POTABILE

- Ai nostri microfoni Paolo Beccegato -

 

La siccità in Italia e in altre zone d’Europa ha riportato in primo piano la questione delle risorse idriche, proprio nell’anno dichiarato dall’Onu Anno Internazionale dell’acqua. La Caritas torna a ribadire l’invito a una politica solidale, sottolineando l’importanza di diffondere nuovi modelli comportamentali. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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La siccità mette a rischio la fornitura regolare di acqua, manda in crisi le produzioni idriche, provoca un rincaro dei prezzi di beni alimentari essenziali. Ma se da situazione di crisi, come quella dell’Italia, spostiamo lo sguardo alle emergenze dell’intero pianeta, va ricordato che quasi un miliardo e  mezzo di persone non ha accesso all’acqua potabile, due miliardi e mezzo non dispongono di impianti igienici adeguati, 5 milioni muoiono ogni anno per malattie legate alla scarsa qualità dell’acqua. L’Onu ha lanciato più volte l’allarme per il futuro affermando che nei prossimi anni le guerre si combatteranno per il controllo delle risorse idriche, che già rappresentano un patrimonio se pensiamo che il mercato dell’acqua, secondo la Banca mondiale, è stimato in 1000 miliardi di dollari. Un patrimonio che, però, è di tutti, sottolinea la Caritas che ha avviato progetti concreti. Ne parla Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale:

 

“Tra i tanti certamente segnaliamo quelli in Iraq, che è un Paese molto strano perché i due grossi fiumi Tigri e Eufrate non permettono l’accesso all’acqua potabile per tutta la popolazione. Il primo progetto, in Iraq, permetterà di raggiungere l’acqua, di depurarla e di distribuirla a centinaia di migliaia di persone, circa 300 mila. Altri progetti sono in Mauritania, soprattutto per l’accesso all’acqua potabile, e in Etiopia per la perforazione di pozzi. Poi c’è il problema opposto, zone dove l’acqua ha causato dei disastri per eccesso, a causa di inondazioni e per gli uragani. Pensiamo soprattutto alla ricostruzione dopo l’uragano Mitch in Salvador, Honduras, Nicaragua e Guatemala, o ad altre situazioni simili”.

 

Resta la raccomandazione di adottare nelle zone più ricche del pianeta comportamenti più responsabili che partano dalla considerazione che l’acqua è una risorsa limitata…

 

“L’attenzione ai Paesi più poveri è dovuta al fatto che la distribuzione dell’acqua, in modo particolare, è più carente. Però, certamente in termini di responsabilità dobbiamo pensare ai Paesi occidentali. Hanno il più grosso consumo di energia, le più grosse emissioni di anidride carbonica e di altri fattori inquinanti e certamente non possono esimersi dal rivedere alcune politiche. Poi dobbiamo educarci ad un maggiore senso di responsabilità nell’uso, nei consumi. Una sobrietà crescente può permettere l’equa distribuzione delle ricchezze, anche della ricchezza acqua”.

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CHIESA E SOCIETA’

21 luglio 2003

 

 

LE NUOVE TECNOLOGIE AL CENTRO DELL’ASSEMBLEA DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DELLE UNIVERSITÁ CATTOLICHE,

RIUNITA DA DOMANI IN UGANDA

 

ENTEBBE. = La città di Entebbe, in Uganda, ospiterà questa settimana la 21.ma assemblea generale della Federazione internazionale delle università cattoliche (Fiuc). L'assemblea si svolgerà dal 22 al 26 luglio ed avrà come tema: “Nuove tecnologie e progresso dell'umanità - Impegno e responsabilità delle università cattoliche”. L'incontro vuole proseguire e approfondire la riflessione avviata dalle due ultime assemblee generali di Santiago del Cile e di Fremantle in Australia, che avevano trattato il ruolo delle università cattoliche di fronte alle sfide del XXI secolo e il rapporto fra pedagogia universitaria e formazione integrale. Ad Entebbe, i partecipanti rifletteranno sulle potenzialità delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e, ancora, delle biotecnologie per capire se esse sono veramente da considerarsi come un progresso per l'umanità e definire il ruolo delle università cattoliche in questo ambito. L'incontro si articolerà in tre fasi: nella prima, i partecipanti saranno invitati a scoprire la rete universitaria cattolica africana e in particolare a conoscere la “Uganda Martyrs University”. Discuteranno poi delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, mentre nell'ultima fase dell'assemblea si discuterà di biotecnologie, con un'attenzione particolare alla questione degli organismi geneticamente modificati (Ogm) sulla quale il dibattito nel mondo scientifico e nell'opinione pubblica è ancora molto aperto. I partecipanti si concentreranno sulle implicazioni etiche di queste tecnologie e sulla posizione degli istituiti di ricerca cattolici in merito, nel solco della tradizione cristiana e del Magistero della Chiesa. Le liturgie di apertura e di chiusura dell’assemblea saranno rispettivamente presiedute dal cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, e dal cardinale Emmanuel Wamala, arcivescovo di Kampala. (M.D.)

 

 

POSTA LA PRIMA PIETRA PER IL MUSEO DELLA CIVILTÁ NERA DI DAKAR.

SI REALIZZERÁ IL SOGNO DEL PRESIDENTE-POETA SENEGALESE SENGHOR

 

DAKAR. = La prima pietra di quello che sarà il nuovo museo della civiltà nera è stata posta. Il presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, ha dato ufficialmente inizio ai lavori per il progetto architettonico che dovrà concretizzare il sogno di Léopold Sédar Senghor, il presidente-poeta che guidò il Senegal dal 1960 al 1980, dando ampio rilievo alla cultura africana, soprattutto nelle sue espressioni artistiche più significative. "Questa cerimonia rappresenterà un punto di riferimento sul lungo cammino dell'affermazione della personalità del popolo nero", ha detto il presidente senegalese, subito dopo aver inaugurato i lavori. “Il nostro genio artistico - ha sottolineato Wade - trova ancora oggi la sua ispirazione nell'intimità delle famiglie, grazie soprattutto all'artigianato, che ha fatto conoscere la nostra cultura nel mondo, anche nei musei delle capitali occidentali”. La costruzione sarà realizzata da un giovane architetto senegalese, avrà una forma futurista ed occuperà uno spazio circolare di 100 metri di diametro. Il primo a immaginare la realizzazione di un museo “afro” fu proprio Senghor, quando nel 1966 organizzò a Dakar il “Festival mondiale delle arti negre”. Solo la mancanza di mezzi economici, ha spiegato l'attuale presidente, ha causato questo grande ritardo nell'esaudire il sogno di Senghor, considerato uno dei massimi intellettuali ed artisti dell'intero continente africano, tanto da essere chiamato, nel 1984, a far parte della prestigiosa Académie Française. (M.D.)

 

 

NON SOLO LUOGO DI BENESSERE ECONOMICO, MA ESEMPIO E MODELLO DI CIVILTÁ.

PER IL VENETO, MA CON LO SGUARDO RIVOLTO A TUTTA L’ITALIA, L’ESORTAZIONE

DEL PATRIARCA DI VENEZIA, MONS. ANGELO SCOLA, NELL’OMELIA

IN OCCASIONE DELLA LA FESTA DEL REDENTORE

 

VENEZIA. = Non è sufficiente costruire un valido e competitivo modello di sviluppo economico, se questo non si evolve in un compiuto modello di civiltà. E’ il senso del richiamo del patriarca di Venezia, mons. Angelo Scola, nel corso dell’omelia per la festa del Redentore, celebrata ieri nel capoluogo veneto. E proprio guardando al notevole progresso che ha portato il nord-est d’Italia ai primi posti nella produttività dell’intero continente europeo, mons. Scola ha ricordato come per ogni autentica civiltà non sia sufficiente solo generare maggiore benessere, bensì un intreccio creativo di dimensioni materiali e spirituali che consentano ai singoli e al popolo di praticare una vita buona. “È civile – ha affermato il patriarca – una società nella quale il valore di ogni singolo, sempre radicato nella comunità, è riconosciuto e perseguito in tutte le umane espressioni dall’individuo, dalle famiglie, dai corpi intermedi, in una parola da tutta la società civile al cui servizio sono chiamate le autorità istituzionali di ogni ordine e grado”. Certamente non mancano anche i problemi, che mons. Scola, ha individuato nel decremento della natalità, nelle tensioni sociali collegate al fenomeno dell’immigrazione, nella microcriminalità, nelle nuove povertà. Una speranza per il futuro potrebbe venire, nelle parole del patriarca, dall’impegno diretto dei giovani in politica, a patto, però, che cali l’alto tasso di litigiosità che sta attualmente caratterizzando il rapporto fra i partiti e le forze politiche in Italia. (M.D.)

 

 

GENERAZIONI A CONFRONTO SUL FATTO RELIGIOSO. SI APRE A TORINO

IL CONGRESSO DELLA SOCIETÁ INTERNAZIONALE DI SOCIOLOGIA DELLE RELIGIONI.

 

TORINO. = Sarà “Religione e generazioni” il tema del ventisettesimo congresso biennale della Società internazionale di sociologia delle religioni, che ha inizio oggi presso l’università di Torino. I lavori, che si prolungheranno fino a venerdì prossimo, si articoleranno in sessioni plenarie e sessioni tematiche, con l’obiettivo di studiare l’influenza dei cambiamenti generazionali sull’evoluzione del fenomeno religioso in vari luoghi del mondo. La prima delle due sessioni plenarie sarà dedicata a sviluppare il tema del rapporto fra religione e generazioni guardando ad alcuni Paesi africani teatro di conflitti, all’Asia meridionale del post-colonialismo e all’America latina, protagonista di particolari casi di sincretismo e commistione religiosa. La seconda plenaria tratterà invece l’atteggiamento dei giovani dell’Europa centrale ed orientale di fronte all’ateismo di Stato imposto alle generazioni precedenti, la gestione del patrimonio religioso e culturale dei padri da parte della gioventù musulmana emigrata nell’Europa occidentale, nonché il rapporto delle nuove generazioni europee nei confronti delle radici cristiane del continente. Le sessioni tematiche approfondiranno, invece, argomenti specifici come l’esoterismo, la secolarizzazione, il terrorismo religioso, i matrimoni misti, la relazione fra religione ed economia, nonché quella fra Stato e religioni. Sovrintendono all’organizzazione del congresso Franco Garelli (università di Torino), il presidente della Società internazionale di sociologia delle religioni Jim Beckford (università di Warwick), il segretario generale della Società medesima, Karel Dobbelaere (università di Lovanio). (M.D.)  

 

 

DOSSIER SUL CINEMA CHE VIENE DA LONTANO. L’AGENZIA FIDES ALLA SCOPERTA

DI CONTENUTI E VALORI DI UNA CINEMATOGRAFIA POCO CONOSCIUTA

DAL GRANDE PUBBLICO

 

CITTÀ DEL VATICANO. = “Non è pensabile una nuova evangelizzazione che non coinvolga il mondo dello spettacolo, così importante per la formazione della mentalità e dei costumi. La Chiesa attende che nel cinema, nella televisione, nella radio, nel teatro e in ogni altra forma di intrattenimento sia trasfuso quel lievito evangelico grazie al quale ogni realtà umana sviluppa al massimo le sue potenzialità positive.” Queste le parole di Giovanni Paolo II, il 17 dicembre 2000, in occasione del Giubileo del mondo dello spettacolo. Con queste premesse l’agenzia Fides vuole compiere un viaggio attraverso cinematografie poco conosciute, ma spesso ricche di storia, contenuti e tematiche importanti, in una serie di dossier dedicati al cinema dei vari continenti. L’obiettivo è quello di cercare di invertire la tendenza in base alla quale molto spesso un film africano, o cinese, o latinoamericano pur essendo portatore di valori morali e spirituali non indifferenti, resta escluso dai grandi circuiti internazionali. La prima parte del dossier, curato dalla giornalista Miela Fagiolo d’Attilia, è già ora disponibile sul sito dell’agenzia www.fides.org. (M.D.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

21 luglio 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

L’Iraq in primo piano con l’ennesimo attacco antiamericano, perpetrato stamani nell’area settentrionale di Baghdad e costato la vita ad un militare statunitense e ad un interprete iracheno, confermando la drammatica situazione del dopoguerra nel Paese arabo. Per garantire una più efficace cornice di sicurezza nel Golfo Persico, “gli Stati Uniti – ha rivelato ieri sera il primo ministro turco, Erdogan - hanno chiesto alla Turchia di inviare truppe in Iraq”. Il tema dei possibili rinforzi alleati in Iraq, figura anche tra gli argomenti toccati nella visita tra il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, giunto ieri in Texas, ed il presidente americano, George Bush. Accanto ad attività prettamente militari, sono state intanto avviate, in Iraq, anche altre iniziative: i soldati italiani, che partecipano alla missione “Antica Babilonia”, sono infatti impegnati, da questa mattina, nel programma “Sesterzi”, operazione che prevede il pagamento degli stipendi agli ex militari iracheni con i fondi dell’Autorità provvisoria della coalizione (Acp). Ma il programma più importante è sicuramente quello che riguarda la ricostruzione del Paese. E proprio il futuro politico iracheno è stato discusso oggi nel dibattito aperto, a Bruxelles, dal Consiglio affari generali. Ce ne parla Andrea Sarubbi:

 

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“Vincere la pace è molto più difficile che vincere la guerra”: davanti ai ministri degli Esteri europei, il presidente della Commissione, Romano Prodi, ha ricordato stamattina a Bruxelles che la strada è ancora lunga. Forse anche più di quanto abbia previsto lo statunitense Paul Bremer – capo dell’amministrazione provvisoria – che ieri da Baghdad ha fissato un calendario abbastanza preciso: tra i 6 e gli 8 mesi per la nuova costituzione irachena, meno di un anno per il governo. Washington sa di essere di fronte ad un compito difficile: nei giorni scorsi il Pentagono ha ammesso di non essersi preparato abbastanza per un dopoguerra così cruento, ed oggi è arrivata la conferma della richiesta di truppe anche alla Turchia dopo il sì di Bulgaria, Ungheria, Romania e Polonia. Ma non c’è altra strada, al momento, che quella attuale: lo ha riconosciuto lo stesso Kofi Annan, segretario generale dell’Onu, chiedendo al Consiglio di sicurezza di appoggiare il lavoro dei 25 amministratori scelti dalla coalizione anglo-americana.

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La morte dello scienziato, David Kelly, sembra aver inflitto un duro colpo alla credibilità del governo britannico ed al suo premier, Tony Blair. In un sondaggio pubblicato oggi dal quotidiano “Daily Telegraph”, l’83 per cento degli intervistati ritiene che il decesso del microbiologo possa essere direttamente collegabile allo scontro sulle armi di distruzione di massa. La Bbc ha intanto confermato che la sua fonte degli scoop sui servizi segreti inglesi era proprio David Kelly. Mentre il primo ministro britannico Tony Balir, giunto oggi in Cina, non preferisce pronunciarsi sulla vicenda, il magistrato, Lord Hutton, incaricato di svolgere l'inchiesta sul caso Kelly, ha annunciato che la maggior parte dei suoi atti processuali saranno resi pubblici ed ha dichiarato di voler riferire i risultati della sua indagine al più presto.

 

Fortunatamente non sono gravi le ferite riportate dai quattro paracadutisti italiani della Folgore vittime, ieri, di un agguato in Afghanistan. I soldati erano di pattuglia su due automezzi della Task Force “Nibbio”, di stanza a Khost, in una zona a circa 20 chilometri a sud-est di Gardez.

 

Episodi di violenza si registrano, purtroppo, anche in Medio Oriente: soldati israeliani hanno ucciso, la scorsa notte, un militante palestinese che stava attivando una bomba al passaggio del loro veicolo militare, ad est di Jenin, in Cisgiordania. E nonostante le attese, l’incontro di ieri tra il premier israeliano, Ariel Sharon, ed il primo ministro, Abu Mazen, non sembra aver prodotto progressi determinanti per la ‘Road map’. Ce lo conferma Graziano Motta:

 

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Nessuna decisione concreta sul ritiro dei soldati israeliani da altre località della Cisgiordania. Sharon lo ha condizionato alla presentazione di un piano credibile palestinese, sul mantenimento della sicurezza e nemmeno sulla scarcerazione dei prigionieri palestinesi. L’esame è rinviato a dopo il ritorno di Sharon ed Abu Mazen dal viaggio a Washington, rispettivamente il 25 e il 29 di questo mese. Verosimilmente, Abu Mazen è rimasto deluso. Si attendevano dei progressi su questo problema per le forti pressioni esercitate dalle organizzazioni della rivolta che hanno proclamato la tregua. E’ così giunto a respingere seccamente una lista di persone, una sessantina, membri di Hamas e della Jihad, che Israele è già disposto a far uscire dalle prigioni. Alla riunione del Consiglio dei ministri israeliano, il ministro della Difesa Mofaz ha riferito che in generale la situazione è migliorata. “E’ diminuito in particolare il numero degli allarmi attentati, ma le organizzazioni estremiste – ha detto – sono sempre attivissime”.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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È ormai guerra aperta a Monrovia, capitale della Liberia, Paese dove la situazione, precipitata nonostante un accordo nei giorni scorsi tra il presidente Taylor ed i ribelli, appare ormai fuori controllo. Una squadra di 41 marines statunitensi è intanto partita per il Paese africano con l’obiettivo di assicurare una migliore protezione all’ambasciata americana di Monrovia. Washington intanto conferma che le sue forze militari, sebbene invocate da molti liberiani, non interverranno nel Paese se non saranno prima dispiegate truppe di peacekeeping africane. Il servizio di Giulio Albanese:   

 

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Il quartiere di Mamba Point continua ad essere sotto il fuoco ed anche l’edificio che ospita l’emittente cattolica Radio Veritas è andato distrutto almeno in parte, perché centrato da due colpi di artiglieria pesante. Si è anche appresa la notizia di una forte esplosione avvenuta sempre ieri in un edificio, un tempo adibito a tempio massonico, in cui avevano trovato riparo numerosi sfollati. Nella fatale circostanza, oltre 20 persone hanno perso la vita. “Il numero delle vittime è certamente alto in tutto il quartiere di Mamba Point”, ha raccontato un sacerdote locale, precisando che sono numerosi i cadaveri anche sulle strade, nel tentativo da parte ribelle di raggiungere il palazzo presidenziale difeso dalle forze lealiste. Intanto, il capo di Stato, Charles Taylor, ha ripetuto ancora una volta a chiare lettere la sua posizione. “Io dico - ha dichiarato - che non lascerò questo Paese, che non mi muoverò di un millimetro, fino a quando non arriverà una forza internazionale che garantisca la pace”.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Speranze per il processo di pace in Burundi. Il governo e i ribelli hutu delle “Forze della Difesa e della Democrazia” si sono impegnati a rispettare il cessate-il-fuoco siglato lo scorso dicembre. Le consultazioni di ieri tra il presidente burundese, Domiitien Ndayizeye, e i guerriglieri si sono svolte sotto l’egida del presidente ugandese, Yoweri Museveni, e del capo di Stato della Tanzania, Benjamin Mkapa.

 

Si è aperto oggi a Casablanca, in Marocco, il processo per gli attentati dello scorso 16 maggio, che costarono la vita a 44 persone. Al banco degli imputati 52 persone, sospettate di essere legate al gruppo integralista marocchino Salafia Jihadia.

 

Restiamo in Africa: a São Tomé e Principe, dove ieri sera sono stati liberati sette ministri e un consigliere giuridico che mercoledì scorso erano stati imprigionati dai militari autori del golpe nel piccolo arcipelago. “Questa liberazione – ha dichiarato il maggiore Fernando Pereira - è un gesto importante che apre una finestra per la soluzione della crisi nel Paese”.

 

Porte chiuse al nucleare e avanti tutta con l'energia efficiente e pulita. Dai ministri europei dell’Ambiente e dell’Energia, che hanno partecipato al Vertice conclusosi ieri a Montecatini, arriva un segnale chiaro: l'atomo e la ricerca restano fuori dalle possibili strategie per integrare le politiche dell’ambiente nella produzione di energia. La risposta a Kyoto e allo sviluppo sostenibile, passa invece per 5 punti chiave, che vanno dallo sviluppo dei biocombustibili, dell’efficienza energetica, del mercato dell’elettricità ‘verde’, al rafforzamento della ricerca e dell'innovazione.

 

 

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