RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 200 - Testo della
Trasmissione di sabato 19 luglio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Si chiude domani a Belo
Horizonte il primo Congresso missionario del Brasile.
Approvati dai
vescovi statunitensi i nuovi direttori sulla catechesi e sul diaconato.
Si tinge di giallo la vicenda dello scienziato inglese, David Kelly, trovato morto non lontano dalla sua abitazione.
L’amministrazione statunitense ha ammesso di non essere preparata ad affrontare il dopo-guerra in Iraq.
Nuovo appuntamento per la pace in Medio Oriente: domani, probabilmente, si incontreranno il premier israeliano Ariel Sharon e quello palestinese Abu Mazen.
19 luglio 2003
LE RADICI CRISTIANE
DELL’EUROPA E IL RUOLO DELL’UNIVERSITA’
NELLA
COSTRUZIONE DELLA CIVILTA’ EUROPEA IN PRIMO PIANO NEL DISCORSO DEL PAPA
AI
PARTECIPANTI AL SIMPOSIO “UNIVERSITA’ E CHIESA IN EUROPA”,
RICEVUTI
STAMANI IN UDIENZA A CASTEL GANDOLFO
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Per
fondare la “prospettiva culturale dell’Europa di oggi e di domani”,
l’università “è chiamata a svolgere un ruolo insostituibile”: è la profonda
riflessione offerta, stamani, da Giovanni Paolo II ai partecipanti al Simposio
“Università e Chiesa in Europa”, ricevuti in udienza nel cortile del Palazzo
Pontificio di Castel Gandolfo. Un discorso nel quale il Papa ha ribadito la
necessità di non dimenticare le radici cristiane nella costruzione della nuova
Europa. Il servizio di Alessandro Gisotti:
**********
Il rapporto tra Università e Chiesa ci “conduce
direttamente al cuore dell’Europa”. Così, di fronte ad un uditorio attento e
caloroso di 1500 tra professori e studenti, Giovanni Paolo II ha voluto mettere
l’accento sul ruolo straordinario svolto nella costruzione della civiltà
europea dall’istituzione universitaria. Soffermandosi sul settimo centenario de
“La Sapienza”, il più antico ateneo dell’Urbe, il Papa ha rammentato come,
proprio nel tredicesimo e quattordicesimo secolo, l’Umanesimo sia nato dalla
“felicissima sintesi tra il sapere teologico, quello filosofico e le altre
scienze”. Una sintesi, ha proseguito, “impensabile senza il Cristianesimo” e la
“secolare opera di evangelizzazione compiuta dalla Chiesa”. Una “memoria
storica indispensabile”, ha poi avvertito, giacché la “nuova Europa non può
progettarsi senza attingere alle proprie radici”. Richiamo, questo, che il Papa
ha esteso alle università, “per eccellenza luogo di ricerca della verità”.
“Come l’Europa non può ridursi a mercato, così
l’università, pur dovendo ben inserirsi nel tessuto sociale ed economico, non
può essere asservita alle sue esigenze, pena lo smarrimento della propria
natura, che rimane principalmente culturale”.
E qui il Santo Padre ha sottolineato il “multiforme
contributo” offerto dalla Chiesa al mondo delle Università. Innanzitutto, con
la presenza di professori e studenti capaci di unire competenza e rigore
scientifico con “un’intensa vita spirituale”, che sappia “animare di spirito
evangelico l’ambiente universitario”. Quindi, ha evidenziato, l’importanza
degli atenei cattolici. E ancora, dei “cosiddetti laboratori culturali”, che,
ha rilevato, costituiscono “una scelta prioritaria della pastorale
universitaria a livello europeo”. Luoghi, ha detto ancora, dove si opera un
“dialogo costruttivo tra fede e cultura, tra scienza, filosofia e teologia”. Al
termine del discorso, il Papa ha acceso la fiaccola delle “Sapientiadi”,
un’olimpiade universitaria, che - dal 27 marzo al 3 aprile dell’anno prossimo -
riunirà a Roma migliaia di giovani provenienti dai cinque continenti. Fiaccola,
che sarà portata con una staffetta nella Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza,
passando per le diverse sedi universitarie romane. Un gesto, ha spiegato il
Papa, per “sottolineare il significato e il valore del settimo centenario” de
“La Sapienza”.
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Torniamo al Simposio su “Università e Chiesa in Europa”,
evento promosso dal consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa e dalla
commissione episcopale italiana per l’Università in collaborazione con il
ministero italiano dell’Istruzione. I temi discussi, in questi giorni, nei vari
seminari alla Pontificia Università Lateranense sono stati affrontati tutti
tenendo presente il riferimento ai bisogni dell’uomo di oggi. Di particolare
rilevanza, dunque, gli interrogativi posti dai nuovi orizzonti della tecnologia
applicata alla medicina. Fausta Speranza ha intervistato il professore emerito
di chirurgia generale dell’Università “La Sapienza”, Giorgio Di Matteo, che ha
preso parte al dibattito su tali questioni etiche.
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R. – E’ un cammino cruciale e anche pieno di interessi del
tutto moderni, perché il progredire ed il ‘dilagare’ delle tecnologie, hanno
proposto dei problemi e degli interrogativi che prima non erano immaginabili e
che comunque non si sono mai verificati. Questi problemi riguardano
prevalentemente l’etica dell’uso delle tecnologie, l’adattamento della
personalità umana morale all’adozione di queste tecnologie, la possibilità che
queste tecnologie vadano al di là di quanto sia previsto ai fini curativi per i
malati ed occupino spazi etici in qualche modo alterandoli.
D. – Quale può essere il cammino da percorrere?
R. – Bisogna controllare le tecnologie, seguire lo
sviluppo delle tecnologie in modo che queste non deroghino da quelli che sono
gli spazi e le aree della spiritualità umana. Al momento in cui derogano e
vanno al di là, bisogna saperle respingere. E’ difficilissimo da affrontare,
però noi ci troveremo continuamente e sempre di più ad affrontarlo.
D. – Sottolineiamo perché? Quali sono, poi, questi rischi?
R. – Il rischio che la tecnologia si imprima in un modo da
sopprimere la individualità umana, da sopravanzare il pensiero morale, da
interferire con i sentimenti, le sensazioni e lo spirito dell’uomo.
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Apre la prima pagina il titolo
"E' indispensabile la memoria storica per fondare la prospettiva culturale
dell'Europa di oggi e di domani": Giovanni Paolo II ai partecipanti al
Simposio europeo sul tema "Università e Chiesa in Europa".
Si sottolinea, sempre in prima,
che "in questa costruzione l'Università è chiamata a svolgere un ruolo
insostituibile se, come la nuova Europa, saprà attingere alle proprie radici e
non essere asservita alle esigenze del mercato".
Nelle vaticane, un articolo di
Hans-Joachim Kracht sulla figura di Leone XIII, nel centenario della morte:
"Un lungimirante precursore della dottrina sociale della
Chiesa".
Un contributo di Domenico De
Gregorio sulla testimonianza di mons. Giovanni Battista Peruzzo, a quarant'anni
dalla morte: "Levò la sua voce durante il Concilio come un antico Padre
della Chiesa".
Un articolo di Antonio Giorgini
nel diciannovesimo anniversario della morte di mons. Luigi Novarese.
Nelle pagine estere, in Iraq
non si placano gli episodi di violenza.
In Medio Oriente vi è attesa
per il nuovo colloquio tra Ariel Sharon ed Abu Mazen.
Nella pagina culturale, un
articolo di Agnese Pellegrini sul romanzo "Naif.Super" di Erlend Loe.
Nelle pagine italiane, in
rilievo il tema del lavoro e l'emergenza-siccità.
Caso-Sofri: le posizioni del
Quirinale e del Guardiasigilli a proposito di un'eventuale grazia.
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19 luglio 2003
SAN
LORENZO RICORDA A 60 ANNI DI DISTANZA LA TRAGEDIA DEL QUARTIERE
- Con
noi, il cardinale Fiorenzo Angelini -
Sessanta anni
fa, la sacralità della città di Roma venne violata dalle bombe che caddero sul
quartiere di San Lorenzo. Una tragedia che costò la vita a 1492 persone.
Colpiti l’orfanotrofio statale in cui morirono 78 bambini e 6 suore, il carcere
minorile e la Basilica di San Lorenzo fuori le mura. Papa Pio XII accorse sul
luogo del disastro e portò conforto alle numerose vittime. Stamattina, il
presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nel Parco dei caduti del 19 luglio
’43, ha inaugurato un monumento in memoria di quei morti. Il servizio di Benedetta
Capelli.
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“Nella memoria dei nostri caduti impegniamoci ad essere
sempre più uniti e solidali per la libertà, per la giustizia, per la
democrazia, per la pace”.
Con queste parole il presidente Ciampi ha inaugurato la
lastra di cristallo con i nomi delle 1492 vittime del bombardamento. Erano le
11 del mattino quando sul quartiere romano di San Lorenzo, una pioggia di
bombe, tirate dagli americani, seminò morte e terrore. Una strage vera, molti i
morti ufficiali ma molti altri cadaveri
non vennero identificati, diecimila i feriti e migliaia di sfollati. Roma, fin
da allora protetta dalla presenza del Papa, era stata ferita. In un’epistola
del giorno successivo al bombardamento, Papa Pio XII ribadiva il suo immenso dispiacere per la violazione di Roma:
“Ricordammo ai belligeranti da qualunque parte militassero, che se volevano
tenere alta la dignità delle loro Nazioni, dovevano rispettare la incolumità
dei pacifici cittadini e i monumenti della fede e della civiltà”. A 4 ore
dall’attacco, il Papa lasciò il
Vaticano per portare conforto alla gente del quartiere. Il racconto del
cardinale Fiorenzo Angelini, allora viceparroco della Chiesa della Natività di
Roma.
“Correndo da una parte all’altra per soccorrere la gente, vidi una
macchina nera che veniva avanti e mi accorsi subito che c’era il Santo Padre Pio XII, allora allargai le
braccia perché lì vicino c’era una bomba di aereo inesplosa. Il Papa scese
dalla macchina con una sensibilità, con uno spirito di carità! Proprio sembrava
il prete dei poveri, il sacerdote degli afflitti, dei feriti ... dovessi fare
un paragone, rappresentava Cristo nel Getsemani, Cristo in croce con i suoi
figli che erano veramente crocifissi, sofferenti ... Ad un certo momento si
rivolse a mons. Montini, e mons. Montini tirò fuori un pacco grande di
banconote, e il Papa incominciò la distribuzione. Io, con molta umiltà, mi
permisi di dire: ‘Padre Santo, la gente che ha bisogno non si trova qui, si
trova sotto le macerie’, per cui le dia al parroco, li distribuirà poi alle
famiglie’, e il Papa accettò questo mio povero consiglio, umile, però molto
pratico. Il Papa poi pregò insieme, ci fu un coro, invocazione della pace, insomma,
il Papa catalizzò immediatamente tutta la zona attorno a sé. Il Papa pregò,
pregammo con lui e poi andò via, ma lasciando un’impronta non ‘consolatoria’,
perché la tragedia era una tragedia compiuta; ma quello che colpì e che ancora
oggi, pensando al cuore di Pio XII, a questo grande, veramente sommo pontefice,
santo pontefice, vidi veramente la presenza di Gesù che era venuto in mezzo
alla gente più derelitta, più abbandonata, più bisognosa in quel momento”.
E il sindaco di Roma, Walter Veltroni, ha consegnato alle
parole di Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, il motivo per non dimenticare
quelle vittime:
“Dimenticare i morti significa ucciderli una seconda
volta, negare la vita che hanno vissuto, la speranza che li sosteneva, la fede
che li animava”.
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L’EPOPEA DI PADRE MATTEO RICCI, SIMBOLO DI ARMONIA
TRA CINA ED EUROPA,
IN UNA
MOSTRA A MACERATA, CITTA’ NATALE DEL POLIEDRICO MISSIONARIO GESUITA
-
Intervista con i professor Filippi Mignini -
“Padre Matteo Ricci. L’Europa
alla Corte dei Ming”: è il titolo che accompagna la suggestiva mostra in corso
da oggi a Macerata. Oltre 200 opere, tra libri preziosi, strumenti musicali e scientifici,
ricostruiscono il lavoro instancabile del missionario gesuita, che alla fine
del ‘500 diede un apporto fondamentale al dialogo e alla reciproca comprensione
tra Cina ed Europa. In autunno l’esposizione si trasferirà a Roma. Il servizio
è di Barbara Castelli:
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(musica)
Missionario
della Compagnia di Gesù, umanista e matematico, astronomo, geografo e
cartografo: è alla poliedrica figura di padre Matteo Ricci che la città natale
di Macerata ha voluto offrire un tributo. Fu chiamato “il saggio d’Occidente” e
riuscì a portare per la prima volta il pensiero occidentale e cattolico alla
corte imperiale della Cina. Eppure l’opera del gesuita Matteo Ricci è ancora
sconosciuta ai più. E’ in questo contesto che matura il desiderio di allestire
una mostra interamente dedicata all’instancabile missionario: “Padre
Matteo Ricci. L’Europa alla Corte dei Ming”, appunto.
Li Madou, come veniva chiamato il gesuita nel Paese
del Drago, impiegò 18 anni per risalire a Pechino da Macao, dove arrivò 32.ne
con la consegna di convertire al cattolicesimo l’imperatore di quello
sconfinato e sconosciuto Paese. La mostra, che in autunno giungerà anche a
Roma, è suddivisa in diverse sezioni, che ripercorrono la formazione culturale
di Matteo Ricci, la vita quotidiana di corte, l’incontro con le religioni
cinesi, la stampa e le arti.
Ma cosa emerge, lungo i corridoi dell’esposizione,
della personalità del missionario gesuita? Abbiamo girato la domanda a Filippo
Mignini, curatore della mostra e ordinario di Storia della filosofia
all’Università di Macerata.
R. – Quello che colpisce anzitutto è la sua ricchezza
umana e la sensibilità per alcuni valori che la cultura occidentale moderna ha
valorizzato e sottolineato molto più tardi. Una apertura quasi ‘innaturale’
all’incontro con lo straniero: su questo fondo naturale, bisogna poi inserire
le sue virtù cristiane e poi quella particolare intelligenza che gli ha
consentito di adottare una strategia particolare nei confronti della Cina, un
Paese fino a quel momento chiuso, estremamente serrato nei confronti di ogni
straniero e che Ricci riconosce come ‘un altro mondo’, sottolineando il
significato particolare della parola ‘mondo’, che significa un’altra civiltà.
D. – Dopo oltre 400 anni dall’arrivo di padre Ricci a
Pechino, qual è l’attualità della sua figura, oggi?
R. – Per quanto riguarda la Cina, Ricci è considerato un
cinese, dai cinesi. Per l’Occidente, Ricci è stato di nuovo presentato dalla
Chiesa, in particolare da Giovanni Paolo II, come un emblema
dell’evangelizzazione del terzo millennio, soprattutto per quel che riguarda la
capacità di inculturazione, il metodo dell’inculturazione. Per quel che
riguarda il grande pubblico, invece, Ricci è una figura ancora da scoprire.
Quel che mi pare importante è che, per quel che riguarda questo problema
fondamentale che è la diffidenza naturale degli uomini nei confronti degli
altri, dei popoli nei confronti degli altri popoli, delle nazioni nei confronti
delle altre nazioni eccetera, invece sia riuscito ad ottenere questa grande
vittoria, perché la Cina lo considera un proprio figlio.
(musica)
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19 luglio 2003
I VESCOVI DEL CANADA IN UNA LETTERA PER I 35 ANNI
DEL
RINNOVAMENTO CARISMATICO NEL PAESE: E’ UN SERVIZIO INESTIMABILE
ALLA
CHIESA CATTOLICA E ALLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
- A
cura di Paolo Salvo -
OTTAWA.
= Il Rinnovamento Carismatico ha reso “un servizio inestimabile” alla Chiesa
cattolica in Canada e uno “straordinario contributo” alla nuova evangelizzazione,
suscitando una più viva consapevolezza della presenza attiva e dell’azione
dello Spirito Santo nella vita dei battezzati. E’ questo il concetto centrale
che la Conferenza episcopale canadese esprime in una Lettera pastorale indirizzata
a tutti i fedeli per i 35 anni di questo movimento ecclesiale nel Paese, dove
il Rinnovamento Carismatico coinvolge oggi – dicono i vescovi – oltre un milione
di cattolici. “Con profonda gratitudine ed un rinnovato senso di speranza nei
nostri cuori, noi – scrivono i vescovi canadesi nella lettera datata a Pentecoste
2003 – invitiamo tutti ad unirsi a noi nel celebrare gli innumerevoli doni e benedizioni
che il Rinnovamento Carismatico ha recato alla vita della nostra Chiesa in
Canada durante questi 35 anni”. Ricorrenza che offre ai vescovi anche
l’opportunità di evidenziare alcune nuove sfide che il Rinnovamento Carismatico
ha davanti mentre la Chiesa “prende il largo” nel nuovo millennio, ricordando
al tempo stesso gli obiettivi che accomunano tanti individui, gruppi di
preghiera, comunità, anche assai diversi tra loro: “la continua conversione
personale a Gesù Cristo, la disponibilità ad accogliere la presenza, la potenza
e i doni dello Spirito Santo, un profondo amore per la Chiesa e la sua opera di
evangelizzazione, un forte senso di fraternità, uno zelo pieno di gioia per il
Vangelo”. Per tutto questo, i vescovi del Canada dicono: “Innalziamo i cuori e rendiamo
grazie”. Tra i “frutti spirituali” del Rinnovamento Carismatico, i presuli
menzionano la “profonda esperienza personale” che si verifica quando il
cristiano è “toccato” dallo Spirito di Dio, la centralità della preghiera,
specialmente di lode e di ringraziamento, sia personale che comunitaria, il
“grande contributo” alla nuova evangelizzazione, attraverso la conversione
personale, la resa completa alla persona di Gesù Cristo, l’ardente desiderio di
essere “battezzati nello Spirito”. La Conferenza episcopale del Canada accoglie
poi con favore, come un “ricco potenziale”, le varie forme in cui trova
espressione nella Chiesa il “ministero di guarigione”, con la preghiera
personale e comunitaria, al di fuori della Messa, possibilmente unita alla
riconciliazione. “Sarebbe davvero meraviglioso – scrivono i vescovi – se le
preghiere per la guarigione e la riconciliazione divenissero una normale
pratica quotidiana, specialmente nelle nostre famiglie cristiane”. I vescovi
del Canada, che si richiamano più volte agli insegnamenti del Papa e del
Concilio, pongono un accento speciale anche sulla formazione permanente dei
fedeli laici: una formazione a tutto campo, spirituale e dottrinale, che
dovrebbe essere “tra le priorità di ogni diocesi”.
SI CHIUDE DOMANI A BELO HORIZONTE IL PRIMO CONGRESSO
MISSIONARIO
DEL BRASILE. 400
RAPPRESENTANTI DELLE DIVERSE DIOCESI E CONGREGAZIONI
DEL PAESE RIUNITI CON
LO SGUARDO RIVOLTO AL CONTINENTE
BELO
HORIZONTE. = “Brasile, la tua vita è missione”. Con questo motto è stato inaugurato,
giovedì scorso, a Belo Horizonte il primo Congresso missionario nazionale del
Brasile, promosso dalle Pontificie Opere Missionarie brasiliane, che si
concluderà domani 20 luglio. Il congresso, che vede la partecipazione di circa
400 persone, fra vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici
rappresentanti delle diverse diocesi, congregazioni e istituti, vuole essere un
momento di preparazione al Congresso Missionario Americano (CAM 2), previsto a
Città del Guatemala, nel prossimo novembre.
Alla sessione d’apertura di giovedì, presso la Pontificia Università
Cattolica di Belo Horizonte, è stato letto il messaggio che il cardinale
Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei
popoli, ha rivolto ai partecipanti. Il
porporato ricorda nel messaggio che “il compito delle numerose commissioni e
consigli, a livello regionale e nazionale direttamente coinvolti in questo
evento d’animazione missionaria è quello di sviluppare e coordinare in modo
agile ed efficace l’opera d’animazione e cooperazione missionaria nel Brasile,
non soltanto come un momento d’incontro e dibattito, ma soprattutto, per fare
emergere e mettere a servizio diretto della missione ad gentes il maggiore
numero di persone ed energie”. Nella sua lettera, il cardinale prefetto del
dicastero missionario richiama gli impegni fondamentali assunti negli ultimi
congressi continentali e ricorda a tutti che il successo dell’azione pastorale
dipende della santità personale degli evangelizzatori. Il primo Congresso Missionario
Nazionale brasiliano si chiuderà, come ricordato, domani con la celebrazione di
invio missionario. (M.D.)
I VESCOVI STATUNITENSI APPROVANO I NUOVI DIRETTORI
SULLA CATECHESI
E
SULLA FORMAZIONE E IL MINISTERO DEI DIACONI PERMANENTI.
ULTIMO
PASSAGGIO LA CONFERMA DELLA SANTA SEDE
WASHINGTON. = I vescovi degli Stati Uniti, nel corso
dell’ultima assemblea plenaria, hanno approvato le nuove direttive sulla catechesi e sulla formazione, il ministero e la
vita dei diaconi permanenti, che ora dovranno essere confermate dalla Santa Sede. Il Direttorio nazionale della
catechesi sostituirà quello risalente al 1979, alla luce dell’insegnamento
contenuto nel “Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica” del 1992 e di
altri documenti ecclesiali pubblicati in quest’ultimo ventennio. Il nuovo
direttorio di 350 pagine sottolinea, in sostanza, l’importanza di catechesi
appropriate per ciascuna categoria di persone, ma anche per diversi contesti
lavorativi e culturali: coppie, singoli, malati, portatori di handicap, detenuti,
immigrati, persone operanti nell’educazione e in altri ambienti professionali.
Il secondo direttorio stabilisce per la prima volta una serie completa di norme
nazionali sulla preparazione al ministero diaconale alla luce delle indicazioni
del Concilio Vaticano II. In particolare, le nuove disposizioni enunciano i
requisiti umani, spirituali, accademici dei diaconi permanenti, indicando
inoltre il percorso formativo che dovranno seguire gli aspiranti diaconi, che
prevede anche un periodo propedeutico di discernimento prima dell’ammissione al
programma di formazione. (M.D.)
SONO POSITIVI GLI ESITI DEL PROGETTO DI COOPERAZIONE
INTERNAZIONALE
PROMOSSO
DALLA CHIESA E DALLE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA PIEMONTESI
IN
OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL 2000.
COINVOLTI
CONTADINI, AGRICOLTORI E ORGANIZZAZIONI DEL BURKINA FASO
TORINO. = Sono passati quasi tre
anni dal lancio del “Progetto Giubileo” da parte della pastorale sociale e del
lavoro piemontese, un’esperienza di cooperazione tra piccoli imprenditori del
nord e del sud del mondo che coinvolge contadini, artigiani, organizzazioni del
Burkina Faso e sette associazioni di categoria piemontesi. Oltre 60 missioni di
imprenditori italiani nel Paese africano, una quindicina di agricoltori e
artigiani burkinabé ospitati in Italia, venti corsi di formazione a cui hanno
partecipato più di 500 piccoli imprenditori locali: questi i risultati resi
noti in un incontro che si è svolto ieri a Torino, da don Gianni Fornero,
responsabile piemontese dell’Ufficio per la pastorale del lavoro. Si fa strada
la proposta di trovare nuovi sentieri per coinvolgere sempre più associati
delle diverse categorie, magari con interventi non solo a livello regionale, ma
anche provinciale. "Siamo partiti dalla convinzione che l’Africa rappresenta
una risorsa e non un problema”, ha sottolineato mons. Fernando Charrier,
vescovo di Alessandria e delegato della
Conferenza episcopale piemontese per i problemi sociali e del lavoro. “Il
nostro intento – ha affermato il presule - è stato quello di lavorare per ricreare una situazione di
giustizia in quella terra, non volevamo fare carità. La collaborazione
rappresenta un sostegno importante per aiutare i nostri fratelli africani a
trovare il livello di civiltà che compete loro. Per troppi secoli il mondo
occidentale li ha sfruttati”. (M.D.)
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19 luglio 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
I
dossier britannici sulle armi di distruzione di massa irachene e le relative
smentite sul presunto traffico di uranio tra Niger ed Iraq, sembrano tingere di
giallo il decesso del 59.enne scienziato inglese, David Kelly. Lo studioso,
trovato morto non lontano dalla propria abitazione, era consulente alla difesa
ed era “sospettato” di essere la fonte delle inchieste condotte dalla rete
televisiva Bbc sui servizi segreti britannici. Secondo l’emittente Sky News, che cita fonti della
polizia, le cause del decesso dello scienziato saranno rese note solo domani, o
forse addirittura lunedì. Ma quale è la posizione assunta dal primo ministro,
Tony Blair, su questa vicenda? Ascoltiamo in proposito, da Londra, Simonetta Musso:
*********
La morte dello scienziato David Kelly ha avuto
ripercussioni politiche immediate. Il premier britannico Tony Blair, in visita
a Tokyo, ha detto che la morte dell’esperto governativo di armi batteriologiche
è stata una terribile tragedia e ha aggiunto che verrà istituita una inchiesta
giudiziaria indipendente per stabilire le circostanze della morte. Kelly,
indicato dallo stesso governo inglese come la possibile fonte di informazione
per l’articolo della BBC, era scomparso lo scorso giovedì. L’articolo in
questione sollevava dubbi sulla credibilità del dossier iracheno indicando come
fossero state aggiunte informazioni esagerate e fuorvianti. Blair ha detto
anche di augurarsi che siano messe da parte speculazioni sul caso per
permettere il normale decorso delle indagini. Blair, infatti, aveva respinto
fino ad ora le richieste di una inchiesta più ampia sul caso della guerra in
Iraq e il possesso da parte di Saddam
Hussein delle armi di distruzione di massa.
Da Londra per la Radio Vaticana, Simonetta Musso.
**********
Negli Stati Uniti è confermata la decisione del
presidente George Bush di non sottoporre ad un processo militare i nove
britannici detenuti a Cuba, nel penitenziario americano di Guantanamo. Una
fonte del Pentagono ha intanto reso noto che 37 detenuti sono stati rilasciati
ed ha aggiunto che i prigionieri liberati saranno trasportati in
Afghanistan.
Nella città afgana di Kandahar è stato lanciato
ieri sera un razzo contro la base delle forze speciali statunitensi, ubicate
nell’ex residenza del mullah Omar. Precedentemente una bomba esplosa su un
convoglio militare, aveva causato il ferimento di tre soldati nei pressi di
Asadabad, nell’Est del Paese. A questa drammatica ondata di violenza bisogna
purtroppo aggiungere anche la morte di otto militari afgani, vittime di
un’imboscata avvenuta ieri a Khost.
L’Afghanistan e soprattutto l’Iraq continuano
a destare le preoccupazioni della comunità internazionale. “Il popolo iracheno
non vuole che la democrazia gli sia imposta dall’esterno. Serve un calendario
chiaro in vista di un ritorno alla piena sovranità”. E’ questo uno dei passi
centrali contenuti nel rapporto del segretario generale dell'Onu, Kofi Annan,
sul dopoguerra in Iraq. Gli Stati Uniti avrebbero intanto accettato, secondo il
quotidiano francese “Le Monde”, un mandato da parte del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite che regoli l'invio di una forza di stabilizzazione in Iraq.
Ma nel Paese arabo la situazione non sembra purtroppo normalizzarsi: un soldato
statunitense è rimasto ucciso ieri dal fuoco nemico a Baghdad. Proprio i
ripetuti attacchi anti-americani sollevano interrogativi sulla gestione del
dopoguerra in Iraq. Ce lo conferma da New York Elena Molinari:
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Anche secondo le stime più caute i soldati americani morti
in Iraq hanno superato il numero dei caduti della prima guerra del Golfo. Il
primato non è passato inosservato negli Usa dove continuano le lamentale e le
polemiche dei familiari dei militari. E’ chiaro a questo punto che gli Stati
Uniti erano impreparati ad affrontare il caos del dopoguerra iracheno. Lo ha
ammesso persino il vice segretario alla difesa americano Paul Wolfowitz attualmente
in Iraq. A Washington intanto la stampa e il Congresso americano continuano ad
indagare sui falsi documenti sull’uranio del Niger che la Casa Bianca ha usato
per giustificare la guerra. Ieri la stampa statunitense chiedeva fra l’altro,
perché il dipartimento di Stato non condivise il documento con gli ispettori
dell’Onu, che ne chiesero una copia già a dicembre. Gli ispettori lo ebbero
solo a febbraio quando la Casa Bianca era ormai pronta a dare l’ultimatum a
Saddam Hussein.
Da New York, Elena Molinari per la Radio Vaticana.
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Dopo
aver affrontato la questione sulle armi di distruzione di massa irachene,
apriamo ora il capitolo relativo ai programmi nucleari della Corea del Nord.
Secondo il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Mohammed El
Baradei, Pyongyang rappresenta attualmente “la minaccia nucleare più grave”.
Dopo aver espresso la propria preoccupazione per il riciclo, da parte dei
nordcoreani, di 8 mila barre di combustibile dalle quali è possibile estrarre
plutonio, El Baradei ha anche manifestato la propria soddisfazione per la
decisione della Cina di riprendere i colloqui con la Corea del Nord.
Il
dialogo sembra essere il protagonista anche del processo di pace in Medio
Oriente. Le speranze di un nuovo importante appuntamento per la ‘Road Map’
derivano dal prossimo incontro che, secondo fonti palestinesi, si terrà domani
tra il premier Abu Mazen ed il primo
ministro israeliano, Ariel Sharon. Il servizio i Graziano Motta:
*********
Non c’è finora conferma da parte israeliana, ma certamente
i due primi ministri hanno in programma di discutere l’andamento della ‘Road
Map’, il piano di pace, prima del viaggio che compiranno a Washington. Abu
Mazen sarà ricevuto da Bush il 25; quattro giorni dopo, Sharon. Dovrebbero
discutere dei due problemi in contestazione: la liberazione di detenuti
palestinesi in maggior numero di quanto Israele abbia previsto e il ritiro dei
soldati da altri grossi centri abitati della Cisgiordania. Problemi collegati,
però, alla situazione sul terreno che, pur non registrando da tempo gravi
attentati, resta caratterizzata da episodi di guerriglia. Sul piano diplomatico
una nuova delusione per Sharon da parte della Commissione dell’Unione Europea,
la cui portavoce a Bruxelles ha ribadito che i suoi rappresentanti
continueranno a mantenere contatti con Yasser Arafat, un dialogo che,
contrariamente a quanto ritiene il primo ministro israeliano, rafforzerà la
posizione di Abu Mazen.
Per la Radio Vaticana. Graziano Motta.
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“La gente è terrorizzata,
sentiamo i rumori degli spari e dobbiamo scappare”. E’ questa la drammatica
testimonianza diretta di un abitante di Monrovia, la capitale liberiana dove
continuano, in periferia, i sanguinosi scontri tra i ribelli e le forze
governative. Migliaia di sfollati stanno cercando rifugio dalle atrocità della
guerra civile ed il leader dei guerriglieri del sedicente gruppo dei “Liberiani
uniti per la riconciliazione e la democrazia” (Lurd), ha comunque ribadito la
propria disponibilità alla ripresa dei negoziati per la formazione di un
governo di transizione se il presidente, Charles Taylor, lascerà il Paese.
Restiamo in Africa. Il Consiglio di sicurezza
dell’Onu ha approvato ieri sera il ritiro definitivo dei ‘caschi blu’ dalla
Sierra Leone. Entro il 2004 i 12 mila soldati della missione delle Nazioni
Unite, attualmente presenti nel Paese, verranno fatti gradualmente rientrare.
E’ passato a Roma il testimone della Costituzione
Europea. Il governo italiano, presidente di turno dell’Unione, ha ricevuto ieri
dal presidente della Convenzione, Valery Giscard D’Estaing, la bozza della
nuova carta. Sarà proprio l’Italia a presiedere la Conferenza intergovernativa
che, ad ottobre, sarà chiamata ad approvare il testo definitivo.
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