RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 198- Testo della Trasmissione di giovedì 17 luglio 2003

 

Sommario

                                                                                    

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La carità del Papa attraverso il Pontificio Consiglio Cor Unum nel 2002. Insieme con Giovanni Paolo II per lenire le ferite provocate dalle calamità naturali e dall’uomo.

 

Incentrato sul ruolo del diritto internazionale per scongiurare i conflitti, il tema della prossima Giornata Mondiale della Pace 2004.

 

Nominati dal Santo Padre i nuovi nunzi apostolici in Marocco e in Camerun.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il contributo del Vangelo per un salto di qualità nell’impegno culturale. E’ la sfida del Simposio “Università e Chiesa in Europa”, che si svolge da oggi pomeriggio a Roma. Con noi, il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, prof. Lorenzo Ornaghi.

 

La Conferenza internazionale di Parigi sull’Aids. Intervista con il prof. Ferdinando Aiuti.

 

Un’inchiesta indipendente sulla morte della giornalista Zahra Kazemi chiesta da Amnesty International al governo iraniano. Ai nostri microfoni, Massimo Cipolla.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Cattolici e luterani di Norvegia insieme il 27 luglio per festeggiare gli 850 anni della diocesi di Trodheim. Presente anche il cardinale Walter Kasper.

 

Gli squilibri geopolitici nell’assistenza umanitaria denunciati dal “Rapporto sulle catastrofi nel mondo”, di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.

 

E’ stato d’emergenza nell’India del nord a causa delle alluvioni. Dall’inizio della stagione monsonica, il maltempo ha causato nella regione la morte di 21 persone e migliaia di senza tetto.

 

Liberare al più presto il leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi: e’ quanto chiesto al governo militare di Myanamar dal segretario generale dell’Onu, Kofi Annan.

 

Un incontro per non dimenticare la diaspora vietnamita: dal 24 al 27 luglio, tremila fedeli del Vietnam di tutto il mondo si ritroveranno alla Pontificia Università Urbaniana.

 

24 ORE NEL MONDO:

Nonostante le pressioni di Al Aqsa, il premier palestinese, Abu Mazen, non interrompe il dialogo con il Israele: la settimana prossima incontrerà Sharon.

 

Il ‘Nigergate’ e l’Iraq: questi i fardelli che stanno gravando sull’amministrazione americana.

 

Approvato in Italia il Dpef: prevista una manovra di 16 miliardi di euro.

 

Sembra tornare verso la normalità la situazione a São Tomé, Paese ieri vittima di un colpo di stato.   

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

17 luglio 2003

 

 

LE CALAMITA’ NATURALI E LE FERITE APERTE DALLE GUERRE E DAL TERRORISMO

OGGETTO CONTINUO DELLA SOLIDARIETA’ DEL PAPA.

IL PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM RENDE NOTE LE CIFRE

DELLA CARITA’ DI GIOVANNI PAOLO II PER IL 2002

 

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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I profughi delle guerre e le vittime del terrorismo, come pure gli scampati ad un terremoto o a un’alluvione. O ancora, il sostegno ai bambini, siano essi gli ospiti di un carcere minorile o segnati nel corpo da quella spaventosa tragedia chiamata Chernobyl. In una parola, la vicinanza “paterna e spirituale” alle persone che ovunque nel mondo siano state in qualche modo toccate “dalla miseria morale e materiale”. Ha davvero i confini stessi del pianeta la solidarietà che il Papa ogni anno, con consistenti donazioni in denaro e gesti concreti di carità, manifesta come suo personale contributo alla soluzione dei gravi problemi che colpiscono spesso intere popolazioni, in particolare nel Sud del mondo.

 

Nel suo rapporto annuale, reso noto oggi, il Pontificio Consiglio Cor Unum - il dicastero pontificio incaricato di coordinare le attività caritative della Chiesa come “testimonianza dell’amore di Dio per l’uomo” - elenca in modo dettagliato tutti gli ambiti e i luoghi che hanno visto materializzarsi la carità di Giovanni Paolo II nel 2002. “Insieme col Papa per lenire le ferite provocate dalle calamità naturali e dall’uomo” si intitola il rapporto che ricorda anzitutto, nelle prime righe, le missioni di solidarietà svolte lo scorso anno in Uganda, in Terra Santa e in Ucraina dall’arcivescovo Paul Cordes, presidente di Cor Unum, inviato a nome del Pontefice. Grazie “alla generosità dei fedeli, comunità e singoli, che – si legge nel rapporto - hanno voluto offrire la loro testimonianza di solidarietà fraterna” rispondendo agli appelli del Papa, specialmente durante le Giornate di digiuno per la pace del dicembre 2001 e per le vittime di tutte le guerre dello scorso aprile, durante il 2002 il dicastero pontificio ha erogato quasi 2 milioni di dollari e 70 mila euro in favore di 49 Stati. In questa sezione - oltre ai contributi versati a Paesi colpiti da calamità naturali come incendi, terremoti, inondazioni, uragani - spicca la cifra di un milione e 321 mila dollari donati per - recita la voce - “terrorismo, guerra e loro conseguenze”.

 

La carità del Papa non ha mai solo un carattere “emergenziale”, ma anche preventivo e formativo, come dimostrano il milione e 900 mila dollari e gli oltre 25 mila euro versati a 48 nazioni, in modo particolare in favore di quelle più povere, per i settori della sanità, dell’educazione, della formazione professionale, dell’agricoltura, o a sostegno di programmi in favore di donne, bambini, anziani. Il rapporto di Cor Unum conclude con le stime di due altre fondazioni caritative e dei progetti di sviluppo approvati e finanziati da entrambe. La Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel ha deciso di ripartire 2 milioni e 350 mila euro per 233 progetti che vanno dall’ambiente, al settore idrico, all’allevamento alla formazione professionale, alle strutture sanitarie. In settori analoghi, la Fondazione Populorum Progressio – creata da Giovanni Paolo II nel ’92 per l’aiuto ai Paesi latinoamericani - ha approvato 223 progetti finanziandoli con circa un milione e 900 mila dollari. Per il 2003, i progetti all’esame della Fondazione sono 259, distribuiti in 21 nazioni del centro e sud America.

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INCENTRATO SUL DIRITTO INTERNAZIONALE,

IL TEMA DELLA PROSSIMA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2004

- A cura di Paolo Salvo-

 

“Il diritto internazionale, una via per la pace”. E’ questo il tema per la Giornata Mondiale della Pace del 2004, che si celebra il 1° gennaio. Lo ha reso noto stamani  un comunicato diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede, in cui si rileva che la recente guerra in Iraq “ha manifestato tutta la fragilità del diritto internazionale, in particolare per quanto riguarda  il funzionamento delle Nazioni Unite”.

 

“L’umanità – è detto nella nota – si trova davanti a una sfida cruciale: se non riuscirà a dotarsi  di istituzioni realmente efficaci per scongiurare il flagello della guerra, il rischio è che il diritto della forza prevalga sulla forza del diritto”. Il tema prescelto muove da una profonda convinzione espressa da Giovanni Paolo II: “Il diritto internazionale è stato  per molto tempo un diritto della guerra e della pace. Credo – dice il Papa – che esso sia sempre più chiamato  a diventare esclusivamente  un diritto della pace concepito  in funzione della giustizia e della solidarietà”. Così il Santo Padre, nel discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, il 13 gennaio 1997.

 

“I principi  fondamentali che ispirano tale convinzione – precisa il comunicato di questa mattina – sono gli stessi che animano l’impegno della Chiesa in favore della pace: l’uguaglianza in dignità di ogni persona umana e di ogni comunità umana, l’unità della famiglia umana, il primato del diritto sulla forza”. Come afferma infatti il Concilio Vaticano II, la pace “non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente  a rendere stabile l’equilibrio delle forze contrastanti, né è effetto di una dispotica dominazione, ma essa viene con tutta esattezza definita ‘opera della giustizia’”.

 

“A livello mondiale, il diritto internazionale – osserva di conseguenza la nota – è chiamato a essere  strumento di una giustizia capace di produrre frutti di pace”. Compito del diritto è quindi “regolare  armoniosamente la realtà internazionale, oggi caratterizzata non più solo da soggetti di natura  statuale, affinché si prevengano i conflitti senza ricorrere alle armi, ma tramite meccanismi e strutture in grado di assicurare la giustizia, rimuovendo le cause di potenziali scontri”.

 

“Il mondo attuale – conclude la nota – ha più che mai bisogno di vivere in un rinnovato e autentico spirito  di legittimità internazionale: la prossima Giornata della Pace intende offrire il contributo della Chiesa in tale prospettiva”.

 

 

NOMINE DI NUNZIATURA IN MAROCCO E IN CAMERUN

 

Il Santo Padre ha accolta la rinuncia presentata, per limiti di età, dall’arcivescovo Domenico De Luca, dall’incarico di nunzio apostolico in Marocco. Il Papa ha quindi nominato nunzio apostolico in Marocco l’arcivescovo Antonio Sozzo, finora nunzio apostolico in Costa Rica.

 

Il Pontefice ha inoltre nominato nunzio apostolico  in Camerun il prelato mons. Eliseo Antonio Ariotti, consigliere di nunziatura, elevandolo alla dignità arcivescovile.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina il tema della Giornata Mondiale della Pace 2003: "Il diritto internazionale una via per la pace".

 

Nelle vaticane, un articolo di Gianfranco Grieco sulla visita del cardinale Crescenzio Sepe nella Repubblica Democratica del Congo: il Paese "chiede di non essere dimenticato".

Una pagina sul tema "La carità del Papa nel 2002, tramite il Pontificio Consiglio 'Cor Uunum' ": Insieme col Papa per lenire le ferite provocate dalle calamità naturali e dall'uomo.

Una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Italia.

 

Nelle pagine estere, riguardo all'Iraq, gli Stati Uniti avviano colloqui con alcuni Paesi per la definizione di una nuova risoluzione dell'Onu.

Medio Oriente: annunciata la visita ufficiale di Abu Mazen a Washington.

Uganda: non si placano le violenze nel Nord. 

 

Nella pagina culturale, un articolo di Franco Lanza sull'opera di Mario Gabriele Giordano "Leopardi e l'altro Vesuvio".

 

Nelle pagine italiane, il Ddl Gasparri verso l'approvazione.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

17 luglio 2003

 

 

IL CONTRIBUTO DEL VANGELO

PER UN SALTO DI QUALITA’ NELL’IMPEGNO CULTURALE:

LA SFIDA AL CENTRO DEL SIMPOSIO “UNIVERSITA’ E CHIESA IN EUROPA”

CHE SI APRE OGGI POMERIGGIO A ROMA

 

- Con noi il prof. Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Universita’ Cattolica -

 

L’Università, “il crocevia dove si connotano le grandi svolte culturali del continente”, dove “si prospettano gli scenari della civiltà del terzo millennio”. Così il cardinale Camillo Ruini, nel messaggio rivolto ai partecipanti al simposio “Università e Chiesa in Europa”” che inizierà oggi pomeriggio all’Università Lateranense. “Portare il Vangelo in Università – afferma ancora il cardinale Ruini - significa contribuire in maniera saliente a quella rilevanza della fede che è capace di generare cultura e, dal di dentro dell’esperienza intellettuale, fa scaturire orizzonti di senso e modelli positivi di vita personale e sociale”.

 

E’ questa la grande sfida che sarà affrontata in questi giorni dai 1400 partecipanti al Convegno. Oltre 20 i rettori di università statali e cattoliche europee, 350 i professori, 800 gli studenti, 41 i Paesi europei rappresentati. Non manca una rappresentanza delle altre Chiese cristiane. Un evento senza precedenti, promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa e dalla Commissione per l’università della Conferenza episcopale italiana. Il Simposio avviene nell’ambito delle manifestazioni celebrative dei settecento anni di fondazione dell’Università La Sapienza di Roma.

 

Un evento che vuol rispondere al forte invito del Papa di domenica scorsa: servire il Vangelo della speranza di fronte ad un’”apostasia silenziosa” della cultura europea.  Ma diamo la parola, al microfono di Carla Cotignoli, al rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, prof. Lorenzo Ornaghi.

 

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R. - Quello del Papa è un grido forte che ci scuote, che deve scuoterci. Ed è innanzitutto la percezione, la consapevolezza che l’Europa si trova davvero ad un bivio: o un’ Europa rassegnata, anche da un punto di vista politico e  forse economico, e dall’altra parte, invece, la strada per un ruolo dell’Europa confacente con tutta la sua storia, con tutta la sua tradizione, cioè una posizione di primato anche culturale nel sistema globale. I segnali di questa “apostasia” davvero ci sono. Noi tendiamo spesso a sintetizzarli con termini che diventano poi neutri, termini un po’ spenti, come “secolarizzazione”, “scristianizzazione”. Direi, invece, l’apostasia silenziosa … occorre riflettere su quel “silenziosa”: cioè giorno dopo giorno, senza che ce ne accorgiamo, viviamo sazi, viviamo senza formulare le domande sul dove stiamo andando, le domande più radicali sul senso della nostra vita.

 

D. - Professor Ornaghi, con questo simposio, in pratica, si riapre un dialogo  tra Università e Cristianesimo. Che cosa può scaturire da questo dialogo?

 

R. - E’ un dialogo tanto più importante, proprio per quella posizione dell’Europa al bivio di cui dicevo poc’anzi. Io penso, senza scadere in eccessi di ottimismo,  che può scaturire molto. Può scaturire una ricognizione di dove siamo come Università e cosa stiamo facendo, soprattutto per evitare una frammentazione pericolosa del sapere, che cosa stiamo facendo per tener fermo il rapporto fra scienza e tecnica, che cosa stiamo facendo, soprattutto, sulla strada di quel nuovo umanesimo che il Papa indica continuamente e che è un orizzonte non utopico, ma un orizzonte davvero reale. Di più. Credo che, se dalle giornate del simposio, uscissimo un po’ tutti noi, docenti e studenti, con la convinzione che la fede è ancora capace di generare cultura e “cultura alta”, credo che il simposio darebbe uno splendido risultato.

 

D. - C’è una domanda da parte del mondo universitario laico di questo apporto, di questa linfa vitale cristiana?

 

R. - A me pare questa domanda, girando un po’ per le università laiche, di avvertirla. Tutti noi studiosi ci accorgiamo che un’età è davvero finita, che quel che ci rimane sono spesso scampoli o scorie di orientamenti segnati spesso anche da ideologie in cui tutti noi siamo stati presi, che quel che ci aspetta davvero è un salto di qualità del nostro impegno culturale. Questa domanda c’è non solo fra cattolici, ma anche fra laici, fra i non credenti. E’ davvero una domanda diffusa.

 

D. - Da parte del mondo culturale cattolico, si può affermare che la cultura cattolica ha già elaborato o ha da offrire questi elementi di novità, almeno in seme, per questo salto di qualità?

 

R. - Io credo che la cultura cattolica abbia questo seme nel suo corredo genetico. Credo, peraltro, che in questa fase, più che dire: “l’abbiamo già”, sia più importante dire: “stiamo elaborando insieme con voi, in dialogo con voi nuovi modelli rilevanti oggi e rilevanti anche per quell’antropologia che è così tipica di noi cattolici”.

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AL CONGRESSO INTERNAZIONALE DI PARIGI SULL’AIDS

L’IMPEGNO DELL’UNIONE EUROPEA. ANCORA LONTANO UN VACCINO PREVENTIVO.

IL GRIDO DISPERATO DEI PAESI POVERI

 

- Intervista con il prof. Ferdinando Aiuti -

 

L'Unione europea garantisce il proprio contributo alla battaglia contro l'Aids, “sfida a tutta l'umanità”. Sono le parole del presidente della Commissione europea, Romano Prodi, intervenuto ieri alla chiusura della Conferenza internazionale di Parigi sull’Aids. Ai lavori è stato sottolineato come un nuovo malato su dieci in Europa non risponda alle cure. Ciò però - hanno detto gli esperti - non deve fermare le campagne destinate a rendere più accessibili i farmaci anti-Aids nei Paesi poveri. Farmaci che, comunque, hanno portato risultati positivi in Occidente, come conferma al microfono di Fabio Colagrande  l’immunologo Ferdinando Aiuti, di ritorno da Parigi:

 

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R. – Sicuramente sono stati fatti dei grossi progressi nel campo dei farmaci antivirali. Sono stati presentati dei nuovi farmaci che agiscono con un meccanismo di azione diverso da quello che finora eravamo abituati ad osservare. Quindi questo dovrebbe superare il problema delle resistenze ai farmaci finora in commercio. Questi farmaci hanno dato un grosso e importante risultato a livello di Paesi del mondo occidentale, i cosiddetti sviluppati, perché la mortalità si è ridotta dell’80-90 per cento e anche la vita media si è allungata di conseguenza. Ma soprattutto, in questi Paesi, si è ridotta anche l’infezione perché le persone che prendono i farmaci trasmettono meno l’infezione ad altre persone perché la replicazione virale è contenuta. Per quanto riguarda il vaccino, purtroppo c’è uno stallo nel senso che non si vede a breve termine un vaccino che sia in grado di essere efficace.

 

D. – Professore Aiuti, è ancora lontana la strada per un vaccino preventivo mentre più raggiungibile è quella per un vaccino terapeutico ...

 

R. –  Da un vaccino preventivo uno si attende una efficacia almeno al 70-80 per cento e con un risultato di riduzione del rischio dell’infezione. Per il vaccino terapeutico il discorso è diverso perché potrebbe essere qualcosa in aggiunta ai farmaci antivirali e quindi un potenziamento dell’immunità. In questo caso il risultato potrebbe essere anche un 30-40 per cento. Il problema poi è quello dei costi.

 

D. -  Come è stato possibile in  Brasile giungere alla distribuzione di cure, che sono riuscite a contenere la micidiale sindrome immunitaria, a bassissimo costo, addirittura gratuito in alcuni casi?

 

R. – In parte perché il governo locale ha capito la gravità ed ha cercato di fare uno sforzo nel settore dei farmaci di nuova generazione. In parte perché hanno superato il discorso del brevetto, non hanno tenuto conto di alcuni farmaci che erano brevettati ed hanno prodotto i farmaci in sede. Dati fondamentali sono che di fronte ad una riduzione dei casi di Aids c’è stato anche un contenimento e ci sarà un contenimento della spesa sanitaria perché chiaramente un minor numero di persone sieropositive significa un minor numero anche di assistenza e maggiori possibilità di lavoro di queste persone.

 

D. – Quindi dare l’accesso alle terapie nei Paesi del Sud e in quelli di via sviluppo è anche una buona scelta economica?

 

R. – Certo. Questo lo ha detto anche Nelson Mandela e cioè che non bastano i 5 miliardi di dollari che Bush ha promesso e anche i 200 milioni di dollari del governo italiano e gli aiuti dell’Unione Europea. Intanto – afferma Mandela – facciamo arrivare questi aiuti, che purtroppo non bastano perché l’epidemia sta dilagando in tutto il continente asiatico. E’ stato anche molto importante che egli abbia segnalato la gravità della situazione in India ed anche in Cina, dove l’epidemia sta aumentando in maniera esponenziale, come avvenuto negli anni Novanta in Africa.

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AMNESTY INTERNATIONAL CHIEDE AL GOVERNO IRANIANO

UN’INCHIESTA INDIPENDENTE SULLA MORTE DELLA GIORNALISTA ZAHRA KAZEMI, ARRESTATA DALLE FORZE DI POLIZIA

 DURANTE LE MANIFESTAZIONI DI PROTESTA DEGLI STUDENTI

 

- Con noi, Massimo Cipolla -

 

Amarezza e stupore hanno accompagnato, in tutto il mondo, la notizia che la giornalista Zhara Kazemi, morta in Iran il 12 luglio scorso, è deceduta per emorragia cerebrale in seguito a percosse da parte della polizia di Teheran. Un’ammissione, quella delle autorità iraniane, che ha drammaticamente confermato le insistite denunce dei familiari della giornalista. Iraniana con passaporto canadese, Zhara era arrivata in Iran il mese scorso per raccontare, attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, le manifestazioni studentesche di protesta contro il governo. Il 23 giugno era stata arrestata, mentre intervistava e fotografava i familiari di alcuni prigionieri politici nei pressi del carcere di Evin. Secondo una prima versione ufficiale, la fotoreporter 54enne si era sentita male durante l’interrogatorio ed era stata trasferita in ospedale, dove era morta per un ictus. Ora, Amnnesty International, unendosi agli appelli di altri numerosi organismi internazionali per i diritti umani, chiede al governo di Teheran di dar corso ad un’inchiesta giudiziaria indipendente sulla morte di Zahra Kazemi. Un’indagine che dovrebbe essere accompagna da altri gesti concreti, come sottolinea Massimo Cipolla, responsabile per l’Iran della sezione Italiana di Amnesty, al microfono di Alessandro Gisotti:

 

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R. - Amnesty International ha accolto con dolore la notizia della morte di Zahra Kazemi ed ha chiesto immediatamente alle autorità iraniane che si faccia piena luce sulle cause che hanno portato alla morte della giornalista. Un’inchiesta immediata, esauriente ed indipendente è quello che noi speriamo che la magistratura iraniana possa portare a termine. Ancora oggi l’Iran non ha ratificato la Convenzione contro la tortura. Sarebbe un passo importante e determinante con il quale il Paese potrebbe dare ragione di un impegno per il futuro nel rispettare la dignità dei propri cittadini. L’intero ordinamento del Paese sembra essere strutturato per non dare garanzie a tutte le persone che fossero in qualche maniera fermate dalle autorità di polizia e poi portate in prigione. Vi sono tribunali militari che giudicano fatti di opinione e quindi i giornalisti e sostanzialmente consentono di non avere accesso alle prove o un accesso alle prove limitato. Non consentono spesso una difesa. E’ questa la condizione di migliaia di detenuti nel Paese. Non ultimi, appunto, coloro che protestano e che chiedono a gran voce le riforme. La situazione della libertà di opinione e di espressione nel Paese è assolutamente deprecabile e ci aspettiamo, come chiediamo da anni, che vengano fatte delle innovazioni legislative, che concretamente portino ad un cambiamento sostanziale.

 

D. – La rivolta degli studenti sembra essersi assopita. Quali sono le vostre informazioni sulla situazione nel Paese dopo le grandi manifestazioni del 9 luglio scorso?

 

R. – C’è stata una manovra complessiva da parte della magistratura, delle autorità di polizia - evidentemente con il consenso delle supreme cariche religiose, poiché diversamente questo non sarebbe potuto accadere - perché la protesta degli studenti iraniani finisse sostanzialmente nel nulla. Certamente non si può non ricordare come il 9 luglio, quando ci fu la Conferenza stampa con la quale si annunciava tra le altre cose anche una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite, gli stessi studenti siano stati brutalmente arrestati. Dobbiamo dire che di quei 3 studenti, in quel momento arrestati, si sa pochissimo. In sostanza, soltanto uno è stato liberato la sera stessa, ma degli altri due non si conosce il luogo di detenzione, né tanto meno le ragioni per le quali questi sono stati arrestati. Temiamo per loro che anche in questo momento possano essere sottoposti a trattamenti crudeli.

 

D. – Cosa può fare la Comunità internazionale per promuovere pacificamente la libertà e la difesa dei diritti umani in Iran?

 

R. – Vale la pena ricordare che l’Iran ha ratificato i “patti del ’66”, che costituiscono un prontuario imprescindibile di come deve essere garantita la persona umana. Vale la pena di ricordare che occorre quindi fare una pressione pacifica, diplomatica, come quella che compie Amnesty International tutti giorni, perché l’Iran porti rispetto e quindi dignità e diritti ai propri cittadini, uomini e donne.

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CHIESA E SOCIETA’

17 luglio 2003

 

 

IN NORVEGIA IL 27 LUGLIO SI SVOLGERA’ UNA CELEBRAZIONE ECUMENICA

PER FESTEGGIARE GLI 850 ANNI DELL’EREZIONE DELLA DIOCESI DI TRODHEIM.

SARA’ PRESENTE  IL CARDINALE WALTER KASPER,

PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI

 

TRONDHEIM.= Cattolici e luterani norvegesi festeggeranno insieme gli 850 anni di erezione della diocesi di Trondheim. La storia è alquanto complessa. La sede arcivescoviLE nasce in questa città nel 1153. Una diocesi che nel medioevo godeva di una grande vivacità. Con la riforma protestante, l’arcivescovo del tempo dovette rifugiarsi in Olanda e la presenza cattolica quasi scomparve completamente. Da allora la sede diocesana fu assunta dalla Chiesa luterana. Solo 50 anni fa, nel 1953, per la prima volta, ritorna nella città un vescovo cattolico. Viene eretta non una diocesi, ma una prelatura territoriale. Mons. Muller, l’attuale vescovo alla guida della piccola comunità cattolica. “Quella di Trondheim è una comunità molto piccola sotto il profilo numerico – sottolinea il vescovo Georg Muller - ma aperta al dialogo con i luterani”. Prova ne è la celebrazione ecumenica  del 27 luglio prossimo che sarà presieduta dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, con la presenza di autorità del mondo civile e politico. (C.C.)

 

 

GLI SQUILIBRI GEOPOLITICI NELL’ASSISTENZA UMANITARIA IN PRIMO PIANO

NEL “RAPPORTO SULLE CATASTROFI NEL MONDO”, PUBBLICATO

A GINEVRA DA CROCE ROSSA E MEZZALUNA ROSSA

 

- A cura di Mario Martelli -

 

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GINEVRA. = Squilibri nell’assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose causati dalla guerra al terrorismo: questo è quanto mette in evidenza il rapporto del 2003 sulle catastrofi nel mondo pubblicato a Ginevra dalla Federazione Internazionale delle società di Croce Rossa e di Mezza Luna Rossa. Questa 11.ma edizione del rapporto rileva un crescente spostamento delle donazioni e delle attività delle Agenzie umanitarie verso interventi associati a conflitti politico strategici, come quelli dell’Afghanistan e dell’Iraq, a scapito di crisi croniche come quelle che continuano a colpire ancora Somalia o Repubblica Democratica del Congo. Ad esempio, nell’aprile di quest’ anno, il Dipartimento degli Stati Uniti per la Difesa ha destinato 1,7 miliardi di dollari per i programmi di soccorso e di ricostruzione in Iraq, mentre al Programma Alimentare Mondiale dell’Onu mancava 1 miliardo di dollari per un’operazione destinata a salvare dalla fame 40 milioni di abitanti in 22 Paesi dell’Africa. Un appello della Federazione Internazionale per fondi destinati alla sopravvivenza di 4 milioni di abitanti dell’Angola, rivolto nel settembre 2002, riusciva dopo 4 mesi a raccogliere solamente il 4 per cento della somma richiesta. Dopo un 2002, che ha portato il maggior numero di catastrofi rispetto a ciascuno degli anni che lo hanno preceduto. Il rapporto non esita ad addossare parte di responsabilità nella situazione, anche agli Organismi di assistenza. Si osserva che il dimenticatoio in cui si trovano alcune regioni del mondo, in preda a crisi croniche, ha la sua origine da mancanza di informazione, da errori di distribuzione e da una collaborazione inadeguata fra le varie organizzazioni e di conseguenza la Comunità internazionale rimane nell’ignoranza della gravità di queste crisi con un’assistenza inadeguata rispetto ai bisogni reali. Si parla anche di emigrazioni definendole un disastro dimenticato e ricordando che la popolazione dell’Unione Europea è in diminuzione con una media tale che se si vorrà conservare il livello della mano d’opera a quello registrato nel 2000, nei prossimi 50 anni saranno necessari 207 milioni di lavoratori emigrati.

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E’ STATO D’EMERGENZA NELL’INDIA DEL NORD A CAUSA DELLE ALLUVIONI.

DALL’INIZIO DELLA STAGIONE MONSONICA, IL MALTEMPO HA CAUSATO

NELLA REGIONE LA MORTE DI 21 PERSONE E MIGLIAIA DI SENZA TETTO

 

NEW DELHI. = Il governo locale dello Stato dell’Assam, nell’India nord orientale, ha decretato ieri lo ‘stato di emergenza’ per affrontare le rovinose alluvioni della stagione dei monsoni, iniziata meno di due mesi fa ma costata già la vita a 21 persone. Venti dei ventiquattro distretti dello Stato sono stati colpiti da nubifragi e straripamenti di fiumi, coinvolgendo oltre 3 milioni e mezzo di abitanti in circa 4500 villaggi e spazzando via più di 3mila abitazioni. Il distretto maggiormente colpito è quello di Dhemaji rimasto quasi isolato per l’interruzione delle vie di comunicazione. Le autorità locali dell’Assam hanno precettato circa 300 battelli per portare soccorsi e mettere in salvo la popolazione. Sono stati, inoltre, allestiti un centinaio di ‘campi di ristoro’ dove la gente può trovare generi di primo conforto. La prima settimana di giugno, le piogge avevano provocato 400 mila sfollati, tutti rientrati dopo pochi giorni e senza registrare vittime. Ma la situazione, come sottolineano le autorità locali, sta progressivamente peggiorando. L’Assam è abitato da 26 milioni di persone su un territorio grande poco più dell’Irlanda. (A.G.)

 

 

LIBERARE AL PIU’ PRESTO IL LEADER DELL’OPPOSIZIONE

AUNG SAN SUU KYI: E’ QUANTO CHIESTO AL GOVERNO MILITARE

DI MYANAMAR DAL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, KOFI ANNAN

 

NEW YORK. = Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha affermato di aver chiesto direttamente al capo della giunta militare birmana la liberazione “il più presto possibile” del leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, arrestata il 30 maggio scorso e detenuta in una località sconosciuta. Annan ha precisato di aver trasmesso tale richiesta in un messaggio al generale Than Shwe tramite il vice ministro degli Esteri birmano, U Khin Maung Win, che ha ricevuto ieri pomeriggio. “Il messaggio - ha aggiunto Annan - afferma in sostanza che io mi aspetto che liberino Aung San Suu Kyi il più presto possibile, e che sono responsabili della sua sicurezza e di quella degli altri membri del suo partito detenuti”.  Il segretario generale dell'Onu ha poi affermato nel suo messaggio al capo della giunta birmana che “il miglior modo di  progredire è di riprendere il dialogo” con l'opposizione. (A.G.)

 

 

UN INCONTRO PER NON DIMENTICARE LA DIASPORA VIETNAMITA:

 DAL 24 AL 27 LUGLIO, TREMILA FEDELI DEL VIETNAM DI TUTTO

IL MONDO SI RITROVERANNO ALLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ URBANIANA

 

ROMA. = A Roma la Pontificia Università Urbaniana ospiterà i fedeli vietnamiti della diaspora. Saranno più di 3 mila da tutto il mondo. L'incontro si svolgerà dal 24 al 27 luglio per iniziativa dell'Ufficio per l’apostolato dei vietnamiti della diaspora. L'Ufficio è istituito presso la Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli. Come spiega il suo coordinatore, padre Giuseppe Dinh Duc Dao, è il primo incontro degli anni Duemila e servirà a “continuare il cammino spirituale iniziato nell'Anno Santo, per rispondere all'invito del Santo Padre, Duc in altum”. La fase preparatoria a questo incontro della diaspora vietnamita dura da un anno. Sono state sensibilizzate le varie famiglie. Sei copie della statua della Madonna di Lavang, il santuario mariano nazionale del Vietnam, hanno girato in pellegrinaggio per tutto il mondo, dove si sono svolti vari convegni nazionali. L'incontro di Roma si aprirà con la Santa Messa celebrata da mons. Philip Edward Wilson, arcivescovo australiano di Adelaide. L'anno 2003 è ricco di anniversari per i fedeli vietnamiti. Si ricordano, tra l’altro, i 30 anni di esistenza proprio della diaspora. Essa cominciò nel 1973, alla fine della guerra tra il Vietnam e gli Stati Uniti. La terza forza politica del Sud Vietnam, composta soprattutto da cattolici e da buddisti, venne perseguitata dal Partito comunista che prese il potere provocando centinaia di migliaia di rifugiati politici in Oceania, in Europa e in America. (A.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

17 luglio 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Apriamo la nostra finestra sul mondo andando in Medio Oriente dove l’itinerario di pace della “Road map” non è certamente privo di ostacoli. Le Brigate dei Martiri di Al Aqsa hanno chiesto al leader palestinese, Yasser Arafat, di “smantellare” il governo di Abu Mazen per porre così fine al coordinamento sulla sicurezza tra l'Autorità nazionale palestinese (Anp) ed Israele. Ma l’attività diplomatica non sembra interrompere, per fortuna, le speranze di pace ed il dialogo. Con questi obiettivi e per discutere sul possibile rilascio dei detenuti palestinesi, si terrà infatti “all'inizio della prossima settimana” l'incontro tra Sharon ed Abu Mazen. L’incontro precederà la partenza del premier palestinese per gli Stati Uniti, dove è atteso dal presidente americano, George Bush, il prossimo 25 luglio.

 

In base ad un sondaggio, svolto su iniziativa dell’emittente televisiva americana “Channel 4”, metà degli abitanti di Baghdad sono contenti che le forze alleate siano intervenute in Iraq. Ma almeno tre quarti degli intervistati hanno riconosciuto che la capitale irachena è molto più pericolosa ora di quanto non fosse prima delle operazioni militari. E proprio sulla difficile situazione del Paese arabo sono incentrati gli incontri di oggi, a Washington, tra il premier britannico, Tony Blair, ed i vertici della Casa Bianca. I colloqui giungono proprio quando il Pentagono è stato costretto ad ammettere che quella in corso, nel Golfo Persico, è una vera e propria guerriglia. Trovandosi di fronte ad uno scenario così complesso, gli Stati Uniti stanno considerando la possibilità di inviare in Iraq, entro l’inverno, due brigate della Guardia nazionale americana formate da un totale di diecimila uomini. Il servizio di Elena Molinari:

 

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L’annuncio dato ieri dal generale che ha sostituito Tommy Francks al comando delle operazioni in Iraq contraddice l’opinione dello stesso segretario alla difesa americano Rumsfeld, che un paio di settimana fa dichiarava che la situazione in Iraq non assomiglia in nessun modo ad una guerriglia. Il generale John Abizaid sostiene che elementi di medio livello del regime di Saddam Hussein, oltre ad agenti dell’Intelligence e ufficiali della Guardia repubblicana si sono organizzati a livello regionale e conducono un conflitto di bassa intensità che è, comunque, una guerra. In 24 ore un militare americano è stato ucciso da una bomba insieme ad un bambino iracheno. Un  altro è morto in un incidente; un aereo militare statunitense è stato preso di mira da un missile terra-area all’aeroporto di Baghdad. E’ salito così a 148 il numero dei soldati americani uccisi dal fuoco nemico nella guerra contro l’Iraq. Uno in più di quelli uccisi durante la guerra del Golfo del 1991.

 

Da New York, Elena Molinari per la Radio Vaticana.

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Affrontiamo ora il delicato tema del cosiddetto “Nigergate”. L’Fbi ha aperto un’inchiesta sui falsi documenti che sostenevano l’esistenza di un traffico di uranio dal Niger all’Iraq. Il direttore della Cia, George Tenet, è già stato ascoltato per cinque ore dalla Commissione dei servizi segreti degli Stati Uniti. Lo ha rivelato la Cnn aggiungendo che l’inchiesta dovrebbe essere estesa anche alle fasi che hanno riguardato l’Italia. Ma il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ed il ministro degli esteri, Franco Frattini, hanno dichiarato che i servizi segreti italiani non sono coinvolti nella vicenda.

 

Restiamo in Italia. Nella tarda serata di ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di programmazione economica e finanziaria: è prevista una manovra da 16 miliardi di euro. Per approfondirne gli aspetti salienti, ascoltiamo il servizio di Giampiero Guadagni:

 

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E’ un Dpef che segna una svolta epocale, ha detto ieri il ministro dell’economia Tremonti presentando il documento a sindacati ed imprenditori, per la verità assai poco soddisfatti. Una svolta epocale – spiega Tremonti – perché i numeri sono stati concordati con l’Unione Europea. La manovra per il 2004 sarà, dunque, di 16 miliardi di euro,due terzi provenienti da misure una tantum, un terzo da misure strutturali. La manovra permetterà di ridurre all’1,8 per cento il deficit statale. Il pareggio di bilancio sarà raggiunto nel 2006 e nello stesso anno il tasso di disoccupazione scenderà sotto l’8 per cento. Non sono previsti interventi sulle pensioni. Il confronto per una possibile riforma della previdenza sarà aperto a fine mese e Berlusconi annuncia che a fine autunno riprenderà la concertazione sociale su tutte le più importanti riforme. Dall’opposizione di centro sinistra arrivano dure critiche al governo.

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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Scontro a fuoco questa mattina tra militari sudcoreani e nordcoreani alla frontiera smilitarizzata tra le due Coree. Nessuno è rimasto ferito, ma l’incidente è avvenuto mentre la diplomazia continua a lavorare per cercare una soluzione alla crisi nucleare innescata da Pyongyang. Su questo spinoso tema, le trattative tra Corea del Nord, Stati Uniti e Cina  dovrebbero riprendere a Pechino entro la fine di luglio. Successivamente il negoziato dovrebbe includere anche Corea del Sud e Giappone.

 

In Pakistan un ordigno è esploso, la scorsa notte, nei pressi dell’Ospedale civile di Hyderabad,  città a 100 chilometri ad Est dal porto di Karachi. Fonti di polizia riferiscono che le persone rimaste ferite nell’esplosione sono dodici. Gli inquirenti attribuiscono l’episodio ad uno dei gruppi integralisti islamici che contestano l'appoggio del governo di Islamabad alla lotta contro il terrorismo guidata dagli Stati Uniti.

 

Anche la Russia, stamani, è stata purtroppo colpita da un grave episodio di violenza: l’esplosione di un auto, avvenuta davanti alla centrale della polizia di Khasavyurt, nell’area occidentale del Daghestan al confine con la Cecenia, ha causato la morte di tre persone.

 

Sembra tornare verso la normalità la situazione di São Tomé e Principe, il Paese nel golfo di Guinea dove una giunta militare di “salvezza nazionale” ha preso il potere dopo il golpe compiuto ieri. Circa 100 turisti intanto sono rimasti bloccati nell'Arcipelago. I ribelli hanno infatti bloccato tutti i voli aerei da e per le isole e i turisti sono in attesa della riapertura degli aeroporti. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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Gli ambasciatori del Portogallo e degli Stati Uniti a São Tomé e Principe avrebbero avviato un negoziato con i militari golpisti che ieri hanno costituito una giunta di salvezza nazionale. L’intento dei diplomatici sarebbe quello di ottenere il rilascio dei ministri del governo locale arrestati durante il colpo di Stato. Intanto dal Portogallo, il ministro degli Esteri Mateus Meira Rita, sorpreso dal golpe, mentre partecipava ad una riunione della Comunità dei Paesi di lingua portoghese, ha detto che i responsabili della comunità lussofona stanno portando avanti tutti gli sforzi possibili per porre termine alla crisi istituzionale nell’Arcipelago dell’Africa Occidentale. Intanto i militari ribelli, che ieri avevano dato un ultimatum ai membri del governo, ai deputati, perché si consegnassero alla polizia, hanno finora liberato un gruppo di 5 deputati e permesso che il primo ministro Maria das Neves, dopo un malore, lasciasse la caserma dove era rinchiusa per essere ricoverata in ospedale.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Nella Repubblica Democratica del Congo almeno 54 persone sono state uccise in nuovi scontri avvenuti vicino a Bunia, nell’area nordorientale del Paese. Sul fronte politico è previsto per oggi a Kinshasa l’insediamento del nuovo governo di transizione. Nella capitale dell’ex Zaire sono giunti Azarias Ruberwa, leader del principale gruppo ribelle Rcd-Goma, e l’altro capo ribelle, Jean-Pierre Bemba, del Movimento di liberazione. Proprio su Bemba gravano pesanti accuse di crimini contro l’umanità commessi nel 2002. Le atrocità perpetrate nella provincia nordorientale dell’Ituri saranno le prime su cui lavorerà la Corte Penale Internazionale dell'Aja. Lo ha annunciato il procuratore capo del Tribunale, il giudice argentino Luis Moreno Ocampo.

 

 

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