RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 198- Testo della
Trasmissione di giovedì 17 luglio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Nominati dal Santo Padre i nuovi
nunzi apostolici in Marocco e in Camerun.
OGGI IN PRIMO PIANO:
La Conferenza internazionale
di Parigi sull’Aids. Intervista con il prof. Ferdinando Aiuti.
CHIESA E SOCIETA’:
Nonostante le pressioni di Al Aqsa, il premier palestinese, Abu Mazen, non interrompe il dialogo con il Israele: la settimana prossima incontrerà Sharon.
Il ‘Nigergate’ e l’Iraq: questi i fardelli che stanno gravando sull’amministrazione americana.
Approvato in Italia il Dpef: prevista una manovra di 16 miliardi di euro.
Sembra tornare verso la normalità la situazione a São Tomé, Paese ieri vittima di un colpo di stato.
17 luglio 2003
LE CALAMITA’ NATURALI E LE FERITE APERTE DALLE
GUERRE E DAL TERRORISMO
OGGETTO
CONTINUO DELLA SOLIDARIETA’ DEL PAPA.
IL
PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM RENDE NOTE LE CIFRE
DELLA
CARITA’ DI GIOVANNI PAOLO II PER IL 2002
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
**********
I
profughi delle guerre e le vittime del terrorismo, come pure gli scampati ad un
terremoto o a un’alluvione. O ancora, il sostegno ai bambini, siano essi gli
ospiti di un carcere minorile o segnati nel corpo da quella spaventosa tragedia
chiamata Chernobyl. In una parola, la vicinanza “paterna e spirituale” alle
persone che ovunque nel mondo siano state in qualche modo toccate “dalla
miseria morale e materiale”. Ha davvero i confini stessi del pianeta la
solidarietà che il Papa ogni anno, con consistenti donazioni in denaro e gesti
concreti di carità, manifesta come suo personale contributo alla soluzione dei
gravi problemi che colpiscono spesso intere popolazioni, in particolare nel Sud
del mondo.
Nel suo rapporto annuale, reso noto oggi, il Pontificio
Consiglio Cor Unum - il dicastero pontificio incaricato di coordinare le
attività caritative della Chiesa come “testimonianza dell’amore di Dio per
l’uomo” - elenca in modo dettagliato tutti gli ambiti e i luoghi che hanno
visto materializzarsi la carità di Giovanni Paolo II nel 2002. “Insieme col
Papa per lenire le ferite provocate dalle calamità naturali e dall’uomo” si
intitola il rapporto che ricorda anzitutto, nelle prime righe, le missioni di
solidarietà svolte lo scorso anno in Uganda, in Terra Santa e in Ucraina
dall’arcivescovo Paul Cordes, presidente di Cor Unum, inviato a nome del
Pontefice. Grazie “alla generosità dei fedeli, comunità e singoli, che – si
legge nel rapporto - hanno voluto offrire la loro testimonianza di solidarietà
fraterna” rispondendo agli appelli del Papa, specialmente durante le Giornate
di digiuno per la pace del dicembre 2001 e per le vittime di tutte le guerre
dello scorso aprile, durante il 2002 il dicastero pontificio ha erogato quasi 2
milioni di dollari e 70 mila euro in favore di 49 Stati. In questa sezione -
oltre ai contributi versati a Paesi colpiti da calamità naturali come incendi,
terremoti, inondazioni, uragani - spicca la cifra di un milione e 321 mila
dollari donati per - recita la voce - “terrorismo, guerra e loro conseguenze”.
La carità del Papa non ha mai solo un carattere
“emergenziale”, ma anche preventivo e formativo, come dimostrano il milione e
900 mila dollari e gli oltre 25 mila euro versati a 48 nazioni, in modo
particolare in favore di quelle più povere, per i settori della sanità,
dell’educazione, della formazione professionale, dell’agricoltura, o a sostegno
di programmi in favore di donne, bambini, anziani. Il rapporto di Cor Unum
conclude con le stime di due altre fondazioni caritative e dei progetti di
sviluppo approvati e finanziati da entrambe. La Fondazione Giovanni Paolo II
per il Sahel ha deciso di ripartire 2 milioni e 350 mila euro per 233
progetti che vanno dall’ambiente, al settore idrico, all’allevamento alla formazione
professionale, alle strutture sanitarie. In settori analoghi, la Fondazione
Populorum Progressio – creata da Giovanni Paolo II nel ’92 per l’aiuto ai
Paesi latinoamericani - ha approvato 223 progetti finanziandoli con circa un
milione e 900 mila dollari. Per il 2003, i progetti all’esame della Fondazione
sono 259, distribuiti in 21 nazioni del centro e sud America.
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INCENTRATO SUL DIRITTO INTERNAZIONALE,
IL
TEMA DELLA PROSSIMA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2004
- A
cura di Paolo Salvo-
“Il
diritto internazionale, una via per la pace”. E’ questo il tema per la Giornata
Mondiale della Pace del 2004, che si celebra il 1° gennaio. Lo ha reso noto
stamani un comunicato diffuso dalla
Sala Stampa della Santa Sede, in cui si rileva che la recente guerra in Iraq
“ha manifestato tutta la fragilità del diritto internazionale, in particolare
per quanto riguarda il funzionamento
delle Nazioni Unite”.
“L’umanità – è detto nella nota – si trova davanti a una
sfida cruciale: se non riuscirà a dotarsi
di istituzioni realmente efficaci per scongiurare il flagello della
guerra, il rischio è che il diritto della forza prevalga sulla forza del
diritto”. Il tema prescelto muove da una profonda convinzione espressa da
Giovanni Paolo II: “Il diritto internazionale è stato per molto tempo un diritto della guerra e della pace. Credo –
dice il Papa – che esso sia sempre più chiamato a diventare esclusivamente
un diritto della pace concepito
in funzione della giustizia e della solidarietà”. Così il Santo Padre,
nel discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, il 13 gennaio 1997.
“I principi
fondamentali che ispirano tale convinzione – precisa il comunicato di
questa mattina – sono gli stessi che animano l’impegno della Chiesa in favore
della pace: l’uguaglianza in dignità di ogni persona umana e di ogni comunità
umana, l’unità della famiglia umana, il primato del diritto sulla forza”. Come
afferma infatti il Concilio Vaticano II, la pace “non è la semplice assenza
della guerra, né può ridursi unicamente
a rendere stabile l’equilibrio delle forze contrastanti, né è effetto di
una dispotica dominazione, ma essa viene con tutta esattezza definita ‘opera della giustizia’”.
“A livello mondiale, il diritto internazionale – osserva
di conseguenza la nota – è chiamato a essere
strumento di una giustizia capace di produrre frutti di pace”. Compito
del diritto è quindi “regolare
armoniosamente la realtà internazionale, oggi caratterizzata non più
solo da soggetti di natura statuale,
affinché si prevengano i conflitti senza ricorrere alle armi, ma tramite
meccanismi e strutture in grado di assicurare la giustizia, rimuovendo le cause
di potenziali scontri”.
“Il mondo attuale – conclude la nota – ha più che mai
bisogno di vivere in un rinnovato e autentico spirito di legittimità internazionale: la prossima Giornata della Pace
intende offrire il contributo della Chiesa in tale prospettiva”.
Il
Santo Padre ha accolta la rinuncia presentata, per limiti di età, dall’arcivescovo
Domenico De Luca, dall’incarico di nunzio apostolico in Marocco. Il Papa ha
quindi nominato nunzio apostolico in Marocco l’arcivescovo Antonio Sozzo,
finora nunzio apostolico in Costa Rica.
Il Pontefice ha inoltre nominato nunzio apostolico in Camerun il prelato mons. Eliseo Antonio
Ariotti, consigliere di nunziatura, elevandolo alla dignità arcivescovile.
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Apre la prima pagina il tema
della Giornata Mondiale della Pace 2003: "Il diritto internazionale una
via per la pace".
Nelle vaticane, un articolo di
Gianfranco Grieco sulla visita del cardinale Crescenzio Sepe nella Repubblica
Democratica del Congo: il Paese "chiede di non essere dimenticato".
Una pagina sul tema "La
carità del Papa nel 2002, tramite il Pontificio Consiglio 'Cor Uunum' ":
Insieme col Papa per lenire le ferite provocate dalle calamità naturali e
dall'uomo.
Una pagina dedicata al cammino
della Chiesa in Italia.
Nelle pagine estere, riguardo
all'Iraq, gli Stati Uniti avviano colloqui con alcuni Paesi per
la definizione di una nuova risoluzione dell'Onu.
Medio Oriente: annunciata la
visita ufficiale di Abu Mazen a Washington.
Uganda: non si placano le
violenze nel Nord.
Nella pagina culturale, un
articolo di Franco Lanza sull'opera di Mario Gabriele Giordano "Leopardi e
l'altro Vesuvio".
Nelle pagine italiane, il Ddl
Gasparri verso l'approvazione.
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17 luglio 2003
PER UN SALTO DI QUALITA’ NELL’IMPEGNO CULTURALE:
LA SFIDA AL CENTRO DEL SIMPOSIO “UNIVERSITA’ E
CHIESA IN EUROPA”
CHE SI APRE OGGI POMERIGGIO A ROMA
- Con noi il prof. Lorenzo Ornaghi, rettore
dell’Universita’ Cattolica -
L’Università, “il crocevia dove
si connotano le grandi svolte culturali del continente”, dove “si prospettano
gli scenari della civiltà del terzo millennio”. Così il cardinale Camillo
Ruini, nel messaggio rivolto ai partecipanti al simposio “Università e Chiesa
in Europa”” che inizierà oggi pomeriggio all’Università Lateranense. “Portare
il Vangelo in Università – afferma ancora il cardinale Ruini - significa
contribuire in maniera saliente a quella rilevanza della fede che è capace di
generare cultura e, dal di dentro dell’esperienza intellettuale, fa scaturire
orizzonti di senso e modelli positivi di vita personale e sociale”.
E’ questa la grande sfida che
sarà affrontata in questi giorni dai 1400 partecipanti al Convegno. Oltre 20 i
rettori di università statali e cattoliche europee, 350 i professori, 800 gli
studenti, 41 i Paesi europei rappresentati. Non manca una rappresentanza delle
altre Chiese cristiane. Un evento senza precedenti, promosso dal Consiglio
delle Conferenze episcopali d’Europa e dalla Commissione per l’università della
Conferenza episcopale italiana. Il Simposio avviene nell’ambito delle
manifestazioni celebrative dei settecento anni di fondazione dell’Università La
Sapienza di Roma.
Un evento che vuol rispondere al
forte invito del Papa di domenica scorsa: servire il Vangelo della speranza di
fronte ad un’”apostasia silenziosa” della cultura europea. Ma diamo la parola, al microfono di Carla
Cotignoli, al rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, prof.
Lorenzo Ornaghi.
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R. - Quello del Papa è un grido forte che ci scuote, che
deve scuoterci. Ed è innanzitutto la percezione, la consapevolezza che l’Europa
si trova davvero ad un bivio: o un’ Europa rassegnata, anche da un punto di
vista politico e forse economico, e
dall’altra parte, invece, la strada per un ruolo dell’Europa confacente con
tutta la sua storia, con tutta la sua tradizione, cioè una posizione di primato
anche culturale nel sistema globale. I segnali di questa “apostasia” davvero ci
sono. Noi tendiamo spesso a sintetizzarli con termini che diventano poi neutri,
termini un po’ spenti, come “secolarizzazione”, “scristianizzazione”. Direi,
invece, l’apostasia silenziosa … occorre riflettere su quel “silenziosa”: cioè
giorno dopo giorno, senza che ce ne accorgiamo, viviamo sazi, viviamo senza
formulare le domande sul dove stiamo andando, le domande più radicali sul senso
della nostra vita.
D. - Professor Ornaghi, con questo simposio, in pratica,
si riapre un dialogo tra Università e
Cristianesimo. Che cosa può scaturire da questo dialogo?
R. - E’ un dialogo tanto più importante, proprio per
quella posizione dell’Europa al bivio di cui dicevo poc’anzi. Io penso, senza
scadere in eccessi di ottimismo, che
può scaturire molto. Può scaturire una ricognizione di dove siamo come
Università e cosa stiamo facendo, soprattutto per evitare una frammentazione
pericolosa del sapere, che cosa stiamo facendo per tener fermo il rapporto fra
scienza e tecnica, che cosa stiamo facendo, soprattutto, sulla strada di quel
nuovo umanesimo che il Papa indica continuamente e che è un orizzonte non
utopico, ma un orizzonte davvero reale. Di più. Credo che, se dalle giornate
del simposio, uscissimo un po’ tutti noi, docenti e studenti, con la
convinzione che la fede è ancora capace di generare cultura e “cultura alta”,
credo che il simposio darebbe uno splendido risultato.
D. - C’è una domanda da parte del mondo universitario
laico di questo apporto, di questa linfa vitale cristiana?
R. - A me pare questa domanda, girando un po’ per le
università laiche, di avvertirla. Tutti noi studiosi ci accorgiamo che un’età è
davvero finita, che quel che ci rimane sono spesso scampoli o scorie di
orientamenti segnati spesso anche da ideologie in cui tutti noi siamo stati
presi, che quel che ci aspetta davvero è un salto di qualità del nostro impegno
culturale. Questa domanda c’è non solo fra cattolici, ma anche fra laici, fra i
non credenti. E’ davvero una domanda diffusa.
D. - Da parte del mondo culturale cattolico, si può
affermare che la cultura cattolica ha già elaborato o ha da offrire questi
elementi di novità, almeno in seme, per questo salto di qualità?
R. - Io credo che la cultura cattolica abbia questo seme
nel suo corredo genetico. Credo, peraltro, che in questa fase, più che dire:
“l’abbiamo già”, sia più importante dire: “stiamo elaborando insieme con voi,
in dialogo con voi nuovi modelli rilevanti oggi e rilevanti anche per
quell’antropologia che è così tipica di noi cattolici”.
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AL CONGRESSO INTERNAZIONALE DI PARIGI SULL’AIDS
L’IMPEGNO
DELL’UNIONE EUROPEA. ANCORA LONTANO UN VACCINO PREVENTIVO.
IL
GRIDO DISPERATO DEI PAESI POVERI
-
Intervista con il prof. Ferdinando Aiuti -
L'Unione europea garantisce il proprio contributo
alla battaglia contro l'Aids, “sfida a tutta l'umanità”. Sono le parole del
presidente della Commissione europea, Romano Prodi, intervenuto ieri alla
chiusura della Conferenza internazionale di Parigi sull’Aids. Ai lavori è stato
sottolineato come un nuovo malato su dieci in Europa non risponda alle cure.
Ciò però - hanno detto gli esperti - non deve fermare le campagne destinate a
rendere più accessibili i farmaci anti-Aids nei Paesi poveri. Farmaci che,
comunque, hanno portato risultati positivi in Occidente, come conferma al
microfono di Fabio Colagrande
l’immunologo Ferdinando Aiuti, di ritorno da Parigi:
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R. – Sicuramente sono stati fatti dei grossi progressi nel
campo dei farmaci antivirali. Sono stati presentati dei nuovi farmaci che
agiscono con un meccanismo di azione diverso da quello che finora eravamo
abituati ad osservare. Quindi questo dovrebbe superare il problema delle
resistenze ai farmaci finora in commercio. Questi farmaci hanno dato un grosso
e importante risultato a livello di Paesi del mondo occidentale, i cosiddetti
sviluppati, perché la mortalità si è ridotta dell’80-90 per cento e anche la
vita media si è allungata di conseguenza. Ma soprattutto, in questi Paesi, si è
ridotta anche l’infezione perché le persone che prendono i farmaci trasmettono
meno l’infezione ad altre persone perché la replicazione virale è contenuta.
Per quanto riguarda il vaccino, purtroppo c’è uno stallo nel senso che non si
vede a breve termine un vaccino che sia in grado di essere efficace.
D. – Professore Aiuti, è ancora lontana la strada per un
vaccino preventivo mentre più raggiungibile è quella per un vaccino terapeutico
...
R. – Da un vaccino
preventivo uno si attende una efficacia almeno al 70-80 per cento e con un
risultato di riduzione del rischio dell’infezione. Per il vaccino terapeutico
il discorso è diverso perché potrebbe essere qualcosa in aggiunta ai farmaci
antivirali e quindi un potenziamento dell’immunità. In questo caso il risultato
potrebbe essere anche un 30-40 per cento. Il problema poi è quello dei costi.
D. - Come è stato
possibile in Brasile giungere alla
distribuzione di cure, che sono riuscite a contenere la micidiale sindrome
immunitaria, a bassissimo costo, addirittura gratuito in alcuni casi?
R. – In parte
perché il governo locale ha capito la gravità ed ha cercato di fare uno sforzo
nel settore dei farmaci di nuova generazione. In parte perché hanno superato il
discorso del brevetto, non hanno tenuto conto di alcuni farmaci che erano
brevettati ed hanno prodotto i farmaci in sede. Dati fondamentali sono che di
fronte ad una riduzione dei casi di Aids c’è stato anche un contenimento e ci
sarà un contenimento della spesa sanitaria perché chiaramente un minor numero
di persone sieropositive significa un minor numero anche di assistenza e
maggiori possibilità di lavoro di queste persone.
D. – Quindi dare l’accesso alle
terapie nei Paesi del Sud e in quelli di via sviluppo è anche una buona scelta
economica?
R. – Certo. Questo lo ha detto anche Nelson Mandela e cioè
che non bastano i 5 miliardi di dollari che Bush ha promesso e anche i 200
milioni di dollari del governo italiano e gli aiuti dell’Unione Europea.
Intanto – afferma Mandela – facciamo arrivare questi aiuti, che purtroppo non
bastano perché l’epidemia sta dilagando in tutto il continente asiatico. E’
stato anche molto importante che egli abbia segnalato la gravità della
situazione in India ed anche in Cina, dove l’epidemia sta aumentando in maniera
esponenziale, come avvenuto negli anni Novanta in Africa.
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AMNESTY INTERNATIONAL CHIEDE AL GOVERNO
IRANIANO
UN’INCHIESTA
INDIPENDENTE SULLA MORTE DELLA GIORNALISTA ZAHRA KAZEMI, ARRESTATA DALLE FORZE
DI POLIZIA
DURANTE LE MANIFESTAZIONI DI PROTESTA DEGLI
STUDENTI
- Con
noi, Massimo Cipolla -
Amarezza e stupore hanno accompagnato, in tutto il mondo,
la notizia che la giornalista Zhara Kazemi, morta in Iran il 12 luglio scorso,
è deceduta per emorragia cerebrale in seguito a percosse da parte della polizia
di Teheran. Un’ammissione, quella delle autorità iraniane, che ha
drammaticamente confermato le insistite denunce dei familiari della
giornalista. Iraniana con passaporto canadese, Zhara era arrivata in Iran il
mese scorso per raccontare, attraverso l’obiettivo della sua macchina
fotografica, le manifestazioni studentesche di protesta contro il governo. Il
23 giugno era stata arrestata, mentre intervistava e fotografava i familiari di
alcuni prigionieri politici nei pressi del carcere di Evin. Secondo una prima
versione ufficiale, la fotoreporter 54enne si era sentita male durante
l’interrogatorio ed era stata trasferita in ospedale, dove era morta per un
ictus. Ora, Amnnesty International, unendosi agli appelli di altri numerosi
organismi internazionali per i diritti umani, chiede al governo di Teheran di
dar corso ad un’inchiesta giudiziaria indipendente sulla morte di Zahra Kazemi.
Un’indagine che dovrebbe essere accompagna da altri gesti concreti, come
sottolinea Massimo Cipolla, responsabile per l’Iran della sezione Italiana di
Amnesty, al microfono di Alessandro Gisotti:
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R. - Amnesty International ha accolto con dolore la
notizia della morte di Zahra Kazemi ed ha chiesto immediatamente alle autorità
iraniane che si faccia piena luce sulle cause che hanno portato alla morte
della giornalista. Un’inchiesta immediata, esauriente ed indipendente è quello
che noi speriamo che la magistratura iraniana possa portare a termine. Ancora
oggi l’Iran non ha ratificato la Convenzione contro la tortura. Sarebbe un
passo importante e determinante con il quale il Paese potrebbe dare ragione di
un impegno per il futuro nel rispettare la dignità dei propri cittadini.
L’intero ordinamento del Paese sembra essere strutturato per non dare garanzie
a tutte le persone che fossero in qualche maniera fermate dalle autorità di
polizia e poi portate in prigione. Vi sono tribunali militari che giudicano
fatti di opinione e quindi i giornalisti e sostanzialmente consentono di non
avere accesso alle prove o un accesso alle prove limitato. Non consentono
spesso una difesa. E’ questa la condizione di migliaia di detenuti nel Paese.
Non ultimi, appunto, coloro che protestano e che chiedono a gran voce le
riforme. La situazione della libertà di opinione e di espressione nel Paese è
assolutamente deprecabile e ci aspettiamo, come chiediamo da anni, che vengano
fatte delle innovazioni legislative, che concretamente portino ad un
cambiamento sostanziale.
D. – La rivolta degli studenti sembra essersi assopita.
Quali sono le vostre informazioni sulla situazione nel Paese dopo le grandi
manifestazioni del 9 luglio scorso?
R. – C’è stata una manovra complessiva da parte della
magistratura, delle autorità di polizia - evidentemente con il consenso delle
supreme cariche religiose, poiché diversamente questo non sarebbe potuto
accadere - perché la protesta degli studenti iraniani finisse sostanzialmente
nel nulla. Certamente non si può non ricordare come il 9 luglio, quando ci fu
la Conferenza stampa con la quale si annunciava tra le altre cose anche una
lettera al segretario generale delle Nazioni Unite, gli stessi studenti siano
stati brutalmente arrestati. Dobbiamo dire che di quei 3 studenti, in quel
momento arrestati, si sa pochissimo. In sostanza, soltanto uno è stato liberato
la sera stessa, ma degli altri due non si conosce il luogo di detenzione, né
tanto meno le ragioni per le quali questi sono stati arrestati. Temiamo per
loro che anche in questo momento possano essere sottoposti a trattamenti
crudeli.
D. – Cosa può fare la Comunità internazionale per
promuovere pacificamente la libertà e la difesa dei diritti umani in Iran?
R. – Vale la pena ricordare che l’Iran ha ratificato i
“patti del ’66”, che costituiscono un prontuario imprescindibile di come deve
essere garantita la persona umana. Vale la pena di ricordare che occorre quindi
fare una pressione pacifica, diplomatica, come quella che compie Amnesty
International tutti giorni, perché l’Iran porti rispetto e quindi dignità e
diritti ai propri cittadini, uomini e donne.
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17 luglio 2003
IN NORVEGIA IL 27 LUGLIO SI
SVOLGERA’ UNA CELEBRAZIONE ECUMENICA
PER FESTEGGIARE GLI 850 ANNI DELL’EREZIONE DELLA
DIOCESI DI TRODHEIM.
SARA’ PRESENTE
IL CARDINALE WALTER KASPER,
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER L’UNITA’
DEI CRISTIANI
TRONDHEIM.= Cattolici e luterani
norvegesi festeggeranno insieme gli 850 anni di erezione della diocesi di
Trondheim. La storia è alquanto complessa. La sede arcivescoviLE nasce in
questa città nel 1153. Una diocesi che nel medioevo godeva di una grande
vivacità. Con la riforma protestante, l’arcivescovo del tempo dovette
rifugiarsi in Olanda e la presenza cattolica quasi scomparve completamente. Da
allora la sede diocesana fu assunta dalla Chiesa luterana. Solo 50 anni fa, nel
1953, per la prima volta, ritorna nella città un vescovo cattolico. Viene eretta
non una diocesi, ma una prelatura territoriale. Mons. Muller, l’attuale vescovo
alla guida della piccola comunità cattolica. “Quella di Trondheim è una comunità
molto piccola sotto il profilo numerico – sottolinea il vescovo Georg Muller -
ma aperta al dialogo con i luterani”. Prova ne è la celebrazione ecumenica del 27 luglio prossimo che sarà presieduta
dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità
dei cristiani, con la presenza di autorità del mondo civile e politico. (C.C.)
GLI SQUILIBRI GEOPOLITICI
NELL’ASSISTENZA UMANITARIA IN PRIMO PIANO
NEL
“RAPPORTO SULLE CATASTROFI NEL MONDO”, PUBBLICATO
A
GINEVRA DA CROCE ROSSA E MEZZALUNA ROSSA
- A
cura di Mario Martelli -
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GINEVRA. = Squilibri nell’assistenza umanitaria alle
popolazioni bisognose causati dalla guerra al terrorismo: questo è quanto mette
in evidenza il rapporto del 2003 sulle catastrofi nel mondo pubblicato a
Ginevra dalla Federazione Internazionale delle società di Croce Rossa e di
Mezza Luna Rossa. Questa 11.ma edizione del rapporto rileva un crescente
spostamento delle donazioni e delle attività delle Agenzie umanitarie verso
interventi associati a conflitti politico strategici, come quelli dell’Afghanistan
e dell’Iraq, a scapito di crisi croniche come quelle che continuano a colpire
ancora Somalia o Repubblica Democratica del Congo. Ad esempio, nell’aprile di
quest’ anno, il Dipartimento degli Stati Uniti per la Difesa ha destinato 1,7
miliardi di dollari per i programmi di soccorso e di ricostruzione in Iraq,
mentre al Programma Alimentare Mondiale dell’Onu mancava 1 miliardo di dollari
per un’operazione destinata a salvare dalla fame 40 milioni di abitanti in 22
Paesi dell’Africa. Un appello della Federazione Internazionale per fondi destinati
alla sopravvivenza di 4 milioni di abitanti dell’Angola, rivolto nel settembre
2002, riusciva dopo 4 mesi a raccogliere solamente il 4 per cento della somma
richiesta. Dopo un 2002, che ha portato il maggior numero di catastrofi
rispetto a ciascuno degli anni che lo hanno preceduto. Il rapporto non esita ad
addossare parte di responsabilità nella situazione, anche agli Organismi di
assistenza. Si osserva che il dimenticatoio in cui si trovano alcune regioni
del mondo, in preda a crisi croniche, ha la sua origine da mancanza di
informazione, da errori di distribuzione e da una collaborazione inadeguata fra
le varie organizzazioni e di conseguenza la Comunità internazionale rimane
nell’ignoranza della gravità di queste crisi con un’assistenza inadeguata
rispetto ai bisogni reali. Si parla anche di emigrazioni definendole un
disastro dimenticato e ricordando che la popolazione dell’Unione Europea è in
diminuzione con una media tale che se si vorrà conservare il livello della mano
d’opera a quello registrato nel 2000, nei prossimi 50 anni saranno necessari
207 milioni di lavoratori emigrati.
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E’ STATO D’EMERGENZA NELL’INDIA DEL NORD A CAUSA DELLE
ALLUVIONI.
DALL’INIZIO
DELLA STAGIONE MONSONICA, IL MALTEMPO HA CAUSATO
NELLA
REGIONE LA MORTE DI 21 PERSONE E MIGLIAIA DI SENZA TETTO
NEW DELHI. = Il governo locale dello Stato
dell’Assam, nell’India nord orientale, ha decretato ieri lo ‘stato di
emergenza’ per affrontare le rovinose alluvioni della stagione dei monsoni,
iniziata meno di due mesi fa ma costata già la vita a 21 persone. Venti dei
ventiquattro distretti dello Stato sono stati colpiti da nubifragi e
straripamenti di fiumi, coinvolgendo oltre 3 milioni e mezzo di abitanti in
circa 4500 villaggi e spazzando via più di 3mila abitazioni. Il distretto
maggiormente colpito è quello di Dhemaji rimasto quasi isolato per
l’interruzione delle vie di comunicazione. Le autorità locali dell’Assam hanno
precettato circa 300 battelli per portare soccorsi e mettere in salvo la
popolazione. Sono stati, inoltre, allestiti un centinaio di ‘campi di ristoro’
dove la gente può trovare generi di primo conforto. La prima settimana di
giugno, le piogge avevano provocato 400 mila sfollati, tutti rientrati dopo
pochi giorni e senza registrare vittime. Ma la situazione, come sottolineano le
autorità locali, sta progressivamente peggiorando. L’Assam è abitato da 26
milioni di persone su un territorio grande poco più dell’Irlanda. (A.G.)
LIBERARE AL PIU’ PRESTO IL LEADER DELL’OPPOSIZIONE
AUNG
SAN SUU KYI: E’ QUANTO CHIESTO AL GOVERNO MILITARE
DI
MYANAMAR DAL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, KOFI ANNAN
NEW
YORK. = Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha affermato di
aver chiesto direttamente al capo della giunta militare birmana la liberazione
“il più presto possibile” del leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, arrestata
il 30 maggio scorso e detenuta in una località sconosciuta. Annan ha precisato
di aver trasmesso tale richiesta in un messaggio al generale Than Shwe tramite
il vice ministro degli Esteri birmano, U Khin Maung Win, che ha ricevuto ieri
pomeriggio. “Il messaggio - ha aggiunto Annan - afferma in sostanza che io mi
aspetto che liberino Aung San Suu Kyi il più presto possibile, e che sono responsabili
della sua sicurezza e di quella degli altri membri del suo partito
detenuti”. Il segretario generale
dell'Onu ha poi affermato nel suo messaggio al capo della giunta birmana che
“il miglior modo di progredire è di
riprendere il dialogo” con l'opposizione. (A.G.)
UN INCONTRO PER NON DIMENTICARE LA DIASPORA
VIETNAMITA:
DAL 24 AL 27 LUGLIO, TREMILA FEDELI DEL
VIETNAM DI TUTTO
IL
MONDO SI RITROVERANNO ALLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ URBANIANA
ROMA.
= A Roma la Pontificia Università Urbaniana ospiterà i fedeli vietnamiti della
diaspora. Saranno più di 3 mila da tutto il mondo. L'incontro si svolgerà dal
24 al 27 luglio per iniziativa dell'Ufficio per l’apostolato dei vietnamiti
della diaspora. L'Ufficio è istituito presso la Congregazione per l'evangelizzazione
dei popoli. Come spiega il suo coordinatore, padre Giuseppe Dinh Duc Dao, è il
primo incontro degli anni Duemila e servirà a “continuare il cammino spirituale
iniziato nell'Anno Santo, per rispondere all'invito del Santo Padre, Duc in
altum”. La fase preparatoria a questo incontro della diaspora vietnamita dura
da un anno. Sono state sensibilizzate le varie famiglie. Sei copie della statua
della Madonna di Lavang, il santuario mariano nazionale del Vietnam, hanno
girato in pellegrinaggio per tutto il mondo, dove si sono svolti vari convegni
nazionali. L'incontro di Roma si aprirà con la Santa Messa celebrata da mons.
Philip Edward Wilson, arcivescovo australiano di Adelaide. L'anno 2003 è ricco
di anniversari per i fedeli vietnamiti. Si ricordano, tra l’altro, i 30 anni di
esistenza proprio della diaspora. Essa cominciò nel 1973, alla fine della
guerra tra il Vietnam e gli Stati Uniti. La terza forza politica del Sud
Vietnam, composta soprattutto da cattolici e da buddisti, venne perseguitata dal
Partito comunista che prese il potere provocando centinaia di migliaia di
rifugiati politici in Oceania, in Europa e in America. (A.G.)
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17 luglio 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Apriamo
la nostra finestra sul mondo andando in Medio Oriente dove l’itinerario di pace
della “Road map” non è certamente privo di ostacoli. Le Brigate dei
Martiri di Al Aqsa hanno chiesto al leader palestinese, Yasser Arafat, di
“smantellare” il governo di Abu Mazen per porre così fine al coordinamento
sulla sicurezza tra l'Autorità nazionale palestinese (Anp) ed Israele. Ma
l’attività diplomatica non sembra interrompere, per fortuna, le speranze di
pace ed il dialogo. Con questi obiettivi e per discutere sul possibile rilascio
dei detenuti palestinesi, si terrà infatti “all'inizio della prossima
settimana” l'incontro tra Sharon ed Abu Mazen. L’incontro precederà la partenza
del premier palestinese per gli Stati Uniti, dove è atteso dal presidente
americano, George Bush, il prossimo 25 luglio.
In base
ad un sondaggio, svolto su iniziativa dell’emittente televisiva americana “Channel
4”, metà degli abitanti di Baghdad sono contenti che le forze alleate siano
intervenute in Iraq. Ma almeno tre quarti degli intervistati hanno riconosciuto
che la capitale irachena è molto più pericolosa ora di quanto non fosse prima
delle operazioni militari. E proprio sulla difficile situazione del
Paese arabo sono incentrati gli incontri di oggi, a Washington, tra il premier
britannico, Tony Blair, ed i vertici della Casa Bianca. I colloqui giungono
proprio quando il Pentagono è stato costretto ad ammettere che quella in corso,
nel Golfo Persico, è una vera e propria guerriglia. Trovandosi di fronte ad uno
scenario così complesso, gli Stati Uniti stanno considerando la possibilità di
inviare in Iraq, entro l’inverno, due brigate della Guardia nazionale americana
formate da un totale di diecimila uomini. Il servizio di Elena Molinari:
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L’annuncio dato ieri dal generale che ha sostituito Tommy
Francks al comando delle operazioni in Iraq contraddice l’opinione dello stesso
segretario alla difesa americano Rumsfeld, che un paio di settimana fa dichiarava
che la situazione in Iraq non assomiglia in nessun modo ad una guerriglia. Il
generale John Abizaid sostiene che elementi di medio livello del regime di
Saddam Hussein, oltre ad agenti dell’Intelligence e ufficiali della Guardia
repubblicana si sono organizzati a livello regionale e conducono un conflitto
di bassa intensità che è, comunque, una guerra. In 24 ore un militare americano
è stato ucciso da una bomba insieme ad un bambino iracheno. Un altro è morto in un incidente; un aereo
militare statunitense è stato preso di mira da un missile terra-area
all’aeroporto di Baghdad. E’ salito così a 148 il numero dei soldati americani
uccisi dal fuoco nemico nella guerra contro l’Iraq. Uno in più di quelli uccisi
durante la guerra del Golfo del 1991.
Da New York, Elena Molinari per la Radio Vaticana.
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Affrontiamo ora il delicato tema del cosiddetto “Nigergate”.
L’Fbi ha aperto un’inchiesta sui falsi documenti che sostenevano l’esistenza di
un traffico di uranio dal Niger all’Iraq. Il direttore della Cia, George Tenet,
è già stato ascoltato per cinque ore dalla Commissione dei servizi segreti
degli Stati Uniti. Lo ha rivelato la Cnn aggiungendo che l’inchiesta dovrebbe
essere estesa anche alle fasi che hanno riguardato l’Italia. Ma il
sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ed il ministro
degli esteri, Franco Frattini, hanno dichiarato che i servizi segreti italiani
non sono coinvolti nella vicenda.
Restiamo in Italia. Nella tarda
serata di ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di
programmazione economica e finanziaria: è prevista una manovra da 16 miliardi
di euro. Per approfondirne gli aspetti salienti, ascoltiamo il servizio di
Giampiero Guadagni:
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E’ un Dpef che segna una svolta epocale, ha detto ieri il
ministro dell’economia Tremonti presentando il documento a sindacati ed imprenditori,
per la verità assai poco soddisfatti. Una svolta epocale – spiega Tremonti – perché
i numeri sono stati concordati con l’Unione Europea. La manovra per il 2004
sarà, dunque, di 16 miliardi di euro,due terzi provenienti da misure una
tantum, un terzo da misure strutturali. La manovra permetterà di ridurre
all’1,8 per cento il deficit statale. Il pareggio di bilancio sarà raggiunto
nel 2006 e nello stesso anno il tasso di disoccupazione scenderà sotto l’8 per
cento. Non sono previsti interventi sulle pensioni. Il confronto per una
possibile riforma della previdenza sarà aperto a fine mese e Berlusconi
annuncia che a fine autunno riprenderà la concertazione sociale su tutte le più
importanti riforme. Dall’opposizione di centro sinistra arrivano dure critiche
al governo.
Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.
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Scontro a fuoco questa mattina
tra militari sudcoreani e nordcoreani alla frontiera smilitarizzata tra le due
Coree. Nessuno è rimasto ferito, ma l’incidente è avvenuto mentre la diplomazia
continua a lavorare per cercare una soluzione alla crisi nucleare innescata da
Pyongyang. Su questo spinoso tema, le trattative tra Corea del Nord, Stati
Uniti e Cina dovrebbero riprendere a
Pechino entro la fine di luglio. Successivamente il negoziato dovrebbe
includere anche Corea del Sud e Giappone.
In Pakistan un ordigno è esploso, la scorsa notte, nei
pressi dell’Ospedale civile di Hyderabad,
città a 100 chilometri ad Est dal porto di Karachi. Fonti di polizia
riferiscono che le persone rimaste ferite nell’esplosione sono dodici. Gli inquirenti
attribuiscono l’episodio ad uno dei gruppi integralisti islamici che contestano
l'appoggio del governo di Islamabad alla lotta contro il terrorismo guidata
dagli Stati Uniti.
Anche la Russia, stamani, è stata purtroppo colpita da un
grave episodio di violenza: l’esplosione di un auto, avvenuta davanti alla
centrale della polizia di Khasavyurt, nell’area occidentale del Daghestan al
confine con la Cecenia, ha causato la morte di tre persone.
Sembra tornare verso la normalità la situazione di São
Tomé e Principe, il Paese nel golfo di Guinea dove una giunta militare di
“salvezza nazionale” ha preso il potere dopo il golpe compiuto ieri. Circa 100
turisti intanto sono rimasti bloccati nell'Arcipelago. I ribelli hanno infatti
bloccato tutti i voli aerei da e per le isole e i turisti sono in attesa della
riapertura degli aeroporti. Il servizio di Giulio Albanese:
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Gli ambasciatori del Portogallo e degli Stati Uniti a São
Tomé e Principe avrebbero avviato un negoziato con i militari golpisti che ieri
hanno costituito una giunta di salvezza nazionale. L’intento dei diplomatici
sarebbe quello di ottenere il rilascio dei ministri del governo locale
arrestati durante il colpo di Stato. Intanto dal Portogallo, il ministro degli
Esteri Mateus Meira Rita, sorpreso dal golpe, mentre partecipava ad una
riunione della Comunità dei Paesi di lingua portoghese, ha detto che i
responsabili della comunità lussofona stanno portando avanti tutti gli sforzi
possibili per porre termine alla crisi istituzionale nell’Arcipelago
dell’Africa Occidentale. Intanto i militari ribelli, che ieri avevano dato un
ultimatum ai membri del governo, ai deputati, perché si consegnassero alla
polizia, hanno finora liberato un gruppo di 5 deputati e permesso che il primo
ministro Maria das Neves, dopo un malore, lasciasse la caserma dove era
rinchiusa per essere ricoverata in ospedale.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Nella Repubblica Democratica del Congo almeno 54 persone
sono state uccise in nuovi scontri avvenuti vicino a Bunia, nell’area
nordorientale del Paese. Sul fronte politico è previsto per oggi a Kinshasa
l’insediamento del nuovo governo di transizione. Nella capitale dell’ex Zaire
sono giunti Azarias Ruberwa, leader del principale gruppo ribelle
Rcd-Goma, e l’altro capo ribelle, Jean-Pierre Bemba, del Movimento di
liberazione. Proprio su Bemba gravano pesanti accuse di crimini contro
l’umanità commessi nel 2002. Le atrocità perpetrate nella provincia nordorientale dell’Ituri
saranno le prime su cui lavorerà la Corte Penale Internazionale dell'Aja. Lo ha
annunciato il procuratore capo del Tribunale, il giudice argentino Luis Moreno
Ocampo.
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