RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 192 - Testo della
Trasmissione di venerdì 11 luglio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Denunciato
dall’arcivescovo latino di Baghdad l’ignobile traffico di minori nella capitale
irachena.
Nella
bozza della Costituzione europea approvata ieri a Bruxelles, sono stati
ufficialmente indicati il motto, l’inno, la bandiera e la festa dell’Unione.
Il Senato americano ha invitato il presidente,
George Bush, a chiedere l’intervento della Nato in Iraq, Paese dove continuano
gli attacchi alle truppe statunitensi.
Proseguono in medio Oriente gli sforzi diplomatici
per la ‘Road map’: la prossima settimana il premier israeliano, Sharon,
incontrerà il primo ministro palestinese Abu Mazen.
In Pakistan almeno due persone sono morte oggi a
causa di un’esplosione avvenuta a Karachi. Partito intanto “il bus della pace”
che collega il Paese all’India.
11 luglio 2003
IL CALORE DEGLI ABITANTI LOCALI E IL BEL TEMPO,
PRIMI
COMPAGNI DEL 25.MO SOGGIORNO ESTIVO DEL PAPA A CASTEL GANDOLFO
-
Intervista con il dott. Saverio Petrillo -
Il sole
e il caldo, temperati dai 380 metri sul livello del mare sui quali sorge Castel
Gandolfo, stanno accompagnando i primi momenti del soggiorno di Giovanni Paolo
II nella sua residenza estiva. Come già ricordato, durante tutto il periodo di
permanenza nella cittadina laziale, l’attività del Papa non sarà scandita dai
ritmi serrati delle udienze private e speciali, che caratterizzano abitualmente
le sue giornate romane. Faranno eccezione i due appuntamenti settimanali del
mercoledì, alle 10.30, con i pellegrini dell’udienza generale e della domenica,
alle 12, con la recita dell’Angelus.
A parte
ciò, tre udienze particolari occuperanno il Pontefice nelle prossime settimane:
sabato 19 luglio, quando riceverà un migliaio di giovani in rappresentanza degli
universitari europei, mercoledì 6 agosto, quando oltre all’udienza generale,
celebrerà una Messa in suffragio di Paolo VI, e infine sabato 9 agosto, con
l’udienza ai circa mille partecipanti del gruppo “Giovani verso Assisi”. Ieri,
intanto, all’arrivo di Giovanni Paolo II, l’affetto dei castellani è tornato a
manifestarsi puntuale e discreto nei suoi riguardi, come racconta il direttore
del Ville pontificie, il dott. Saverio Petrillo, al microfono di Alessandro De
Carolis:
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R. - Intanto va notata una cosa: quello di quest’anno è il
25.mo soggiorno estivo del Santo Padre a Castel Gandolfo. Già questo è un
record. Poi, come sempre, sottolineerei l’atmosfera festosa: quando arriva a
Castel Gandolfo si vede che il Papa gode di questo clima, di questa natura così
bella che gli si spalanca davanti. Per ciò che concerne i suoi impegni, il
Pontefice avrà un appuntamento con i fedeli sia la domenica che il mercoledì:
la domenica, come di consueto, per l’Angelus, il mercoledì per l’udienza
generale.
D. - A questo proposito va notato che le udienze generali
non si svolgeranno a Roma, ma a Castel Gandolfo ...
R. - Sì, si tratta di una novità rispetto agli anni
passati – anche se già l’anno scorso era stato fatto così. Anziché affacciarsi
dal balconcino, il Santo Padre sarà nel cortile del Palazzo durante l’udienza
generale: quindi a contatto diretto con tutti i pellegrini e i fedeli che
saranno a pochi metri da lui. Questo consente un colloquio veramente più diretto,
molto umano e molto bello.
D. - Forse si tratterà – un po’ anche per i diversi spazi
offerti dall’Aula Paolo VI e da Piazza San Pietro – di udienze generali
numericamente ridotte?
R. - Certamente, perché il cortile del Palazzo apostolico
di Castel Gandolfo ospita dalle 3 alle 4 mila persone. Però, a questo
proposito, è stato messo anche un maxischermo sulla piazza di Castel Gandolfo,
cosicché chi non è fortunato ad entrare nel cortile riesce comunque a seguire
tutta l’udienza.
D. - Al suo arrivo il Papa ha fatto qualche saluto
particolare?
R. - No, perché è arrivato in forma privata. Al suo
passaggio, c’erano persone che sostavano lungo il percorso e nelle adiacenze
del cancello di ingresso alla Villa. Certamente domenica, in occasione
dell’Angelus, ci sarà il saluto del Papa alla popolazione di Castel Gandolfo e
alle autorità.
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SI ACCELERI IL PROCESSO DI PACE TRA ISRAELIANI E
PALESTINESI.
E’ IL
FERVIDO VOTO DEL PAPA, ESPRESSO DAL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO
ANGELO
SODANO IERI SERA NELL’INCONTRO
CON IL
MINISTRO DEGLI ESTERI DI ISRAELE, SILVAN SHALOM
- A cura di Paolo Salvo -
Nel
tardo pomeriggio di ieri, il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, ha
ricevuto in Vaticano il ministro degli Esteri di Israele, Silvan Shalom. Lo ha
reso noto in una dichiarazione il vice direttore della Sala Stampa della Santa
Sede, padre Ciro Benedettini, precisando che il cardinale Sodano era
accompagnato da mons. Pietro Parolin, sottosegretario per i Rapporti con gli
Stati.
“Nel corso dei colloqui, ci si è soffermati – spiega la
nota – sull’attuale processo di riconciliazione e di pace fra israeliani e palestinesi.
A nome del Santo Padre, Sua Eminenza ha espresso il fervente voto di una
intensificazione e di una rapida conclusione di tale processo”.
“L’incontro – conclude il comunicato – ha permesso poi di
passare in rassegna alcune questioni bilaterali che interessano la vita della
Chiesa cattolica in Terra Santa e che dovrebbero essere urgentemente risolte in
base agli impegni dell’Accordo Fondamentale del 1993”.
Nell’agenda del ministro Shalom, giunto a Roma ieri
mattina, incontri con le autorità italiane ed esponenti dell’opposizione. Al
centro dei colloqui, oltre alle questioni bilaterali, i rapporti tra Israele e
Unione Europea e il processo di pace.
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OGGI
SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina la
situazione in Medio Oriente: le divergenze in campo palestinese non arrestano
il cammino negoziale.
Nelle vaticane, una pagina sul
tema "I Pontifici Collegi di Propaganda Fide a Roma, un'esperienza di
cattolicità effettiva".
Nelle pagine estere, in Iraq
non dà tregua la spirale degli attacchi contro le Forze della coalizione.
Ue: approvata la bozza globale
della futura Costituzione.
Per la rubrica dell'
"Atlante geopolitico", un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo
"Un Patto tra le Nazioni per sconfiggere la miseria".
Nella pagina culturale, un
articolo di Franco Patruno sull'inaugurazione, a Bologna, della nuova sede
della "Raccolta Lercaro".
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica.
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11 luglio 2003
IL PRIMATO DI DIO PER
AMARE CON IL SUO AMORE I FRATELLI
IL MESSAGGIO DI SAN BENEDETTO DA NORCIA PATRONO
D’EUROPA
PER COSTRUIRE OGGI LA NUOVA EUROPA UNITA NELLA
DIVERSITA’
- Con noi il benedettino don Paolo Fasséra -
Oggi si festeggia San Benedetto
da Norcia. “Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà”.
Con queste parole lapidarie, Papa Paolo VI tratteggiava la grande figura di
quest’uomo di Dio, patriarca dei monaci d’Occidente. Così inizia la lettera
apostolica Pacis Nuntius con cui, il 24 ottobre 1964, proclamava San
Benedetto “patrono principale dell’intera Europa”. Servizio di Carla Cotignoli.
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Nella fase storica che sta
vivendo il continente, risuonano di particolare attualità le parole della Pacis
Nuntius. Papa Paolo VI situa l’opera di San Benedetto nel contesto storico
in cui ha vissuto, il V secolo dopo Cristo: “Al crollare dell’impero romano,
ormai esausto, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e
altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante
e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l’aurora di una
nuova èra”.
Tre gli strumenti di San
Benedetto per questa grande opera: la croce, il libro e l’aratro, cioè il
Vangelo, la cultura e il lavoro. E’ così – scrive Papa Montini – che lui e i
suoi figli “portarono il progresso cristiano alle popolazioni sparse dal
Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia”.
“Cementò quell’unità spirituale in Europa in forza della quale popoli divisi
sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire l’unico
popolo di Dio”.
E’ questo il sogno di oggi.
“Questa unità – scriveva ancora Paolo VI – purtroppo spezzata in un groviglio
di eventi storici, tutti gli uomini di buona volontà dei tempi nostri tentano
di ricomporre”. Ed è proprio “unità nella diversità” la fisionomia che l’Europa
è chiamata a assumere. E’ questo il motto da ieri fissato nella bozza della
nuova carta costituzionale. Ma qual è il cuore del messaggio che ci ha lasciato
San Benedetto per rispondere a questa sfida? Diamo la parola a don Paolo
Fasséra, procuratore generale della Congregazione benedettina Sublacense di
Roma:
R. -
San Benedetto ha sottolineato, prima di tutto, il primato di Dio e del suo
Regno con la preghiera, la ricerca di Dio, il non anteporre nulla all’amore di
Cristo, per amare con questo amore i fratelli. Secondo: il famoso binomio “Ora
et labora”, il lavoro, l’operosità, la trasmissione della cultura, per
costruire un mondo migliore.
D. – In questa fase storica, di fronte a questa nuova
Europa, c’è una domanda di anima da
dare all’Europa per, non soltanto creare un’unità politica, economica, ma
un’unità dei popoli …
R. – Bisogna partire dai valori spirituali. Bisogna partire
dal primato di Dio. Bisogna purificare i valori che sostengono la nostra
società. Soltanto così si può cementare l’Europa.
D. – Secondo lei, nella società odierna c’è domanda di
questi valori?
R. – Da una parte c’è una grande dispersione. Paolo VI
parla di recuperare l’uomo a se stesso. Nel frazionamento di una civiltà, come
quello che stiamo vivendo, bisogna recuperare l’uomo a se stesso. E dall’altra
parte c’è una grande sete, magari inconfessata, di questi valori.
D. – Proprio ieri è stato definito il motto dell’Europa:
“Unità nella diversità”. Se c’è una paura delle tante nazioni che entrano in
Europa, specialmente quelle che sono meno potenti, è di essere inglobate e di
vedere schiacciata la loro cultura e la loro identità. Che cosa può dire San
Benedetto in questo contesto di unità nella diversità?
R. – Quando lui parla della famiglia monastica, nel
capitolo 3, dice che tutti i fratelli vengono convocati a consiglio e tutti
possono dire il loro pensiero, anzi dice, può darsi che al più piccolo sia
riservata proprio una parola più chiara, più luminosa, più illuminata da parte
di Dio. Il che vuol dire, se lo trasportiamo all’Europa, che tutti sono
fratelli, tutti possono dare la loro opinione, anche i più piccoli. Perché
proprio dai più piccoli può darsi venga … Ma bisogna stare molto attenti alla
persona.
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I GIOVANI IN PRIMO PIANO NELL’ODIERNA GIORNATA
MONDIALE
DELLA
POPOLAZIONE, PROMOSSA DALLE NAZIONI UNITE
- Con
noi, mons. Francesco Di Felice -
“Un miliardo di adolescenti: il diritto alla salute,
all’informazione ai servizi”: è il tema a cui, quest’anno, le Nazioni Unite
hanno dedicato l’odierna giornata mondiale della Popolazione. Nel messaggio per
l’occasione il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, sottolinea come nei Paesi
in via di sviluppo, il 20 per cento della popolazione abbia meno di vent’anni e
pone l’accento sull’educazione alla salute riproduttiva. Una formula, questa,
su cui si sofferma il sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia,
mons. Francesco Di Felice, al microfono di Alessandro Gisotti:
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R. – Anzitutto
dobbiamo vedere il significato del termine stesso, di ‘salute riproduttiva’,
perché si tratta di un termine ambiguo. Noi ne abbiamo già parlato nel nostro
Lexicon, che è stato pubblicato dal nostro Dicastero per la famiglia. Quando si
parla di salute riproduttiva, in realtà si nasconde il rischio della salute,
perché nella concezione, nel significato di salute riproduttiva, c’è la
previsione di un uso del cosiddetto ‘aborto sicuro’, per combattere l’aborto
insicuro, per prevenire tutte le varie malattie. Quindi, di per sé non è per la
salute, ma è contro la vita. Perché la salute è connessa alla vita. Dobbiamo
dire che oggi la grande problematica che riguarda un miliardo di teen-ager, e
dei giovani in genere, è proprio collocata nella formazione e informazione
sessuale.
D. – Nella Giornata mondiale della popolazione, il
segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ci ricorda che un cittadino del mondo
su sei è un adolescente. C’è sufficiente attenzione nelle politiche di sviluppo
a livello internazionale per le esigenze, le aspirazioni dei giovani?
R. – In genere negli organismi, nei fori internazionali,
la problematica dei giovani non è messa in evidenza, come sono avviene per
altre problematiche: la giustizia, i problemi della fame... La promozione della
gioventù è trascurata. Quindi, abbiamo delle gravi carenze, delle deformazioni.
Rischiamo un futuro di personalità non formate da idee, valori. Non abbiamo una
politica di grandi idee, di grandi ideali, che possano dare un futuro sicuro ai
giovani.
D. – Spesso le aree più popolose del mondo soffrono la
piaga della povertà. Qual è la strada migliore per sollevare questi popoli
dalla loro condizione?
R. – I Paesi più poveri in genere hanno le famiglie più
numerose. Alcuni credono che per risolvere questo problema sia necessario
diminuire il numero dei figli. Quindi, fare uso, per esempio, dei
contraccettivi. In realtà, la più grande ricchezza di una nazione è quella di
avere i giovani, di avere quindi un futuro. Vediamo che in India, per esempio,
adesso c’è una crescita del Pil interno del 20 per cento. Nella stessa Cina si
parla di una crescita delle risorse del 30 per cento. Non dobbiamo spaventarci
di queste vite che nascono.
D. – Rispetto alle previsioni di crescita fuori controllo
di qualche anno fa le statistiche mostrano ora che la popolazione mondiale
cresce sì, ma non nella maniera catastrofica annunciata. Che lezione ne
possiamo trarre?
R. – Si parlava, in anni a dietro, dello scoppio
demografico, di questo neo malthusianesimo. Si è visto, poi, in realtà che la
cosa non è così. Quindi, i sociologi si sono sbagliati. Si vede adesso il
pericolo di una mancanza di ricambio generazionale. Tanti sociologi parlano
della piramide rovesciata. Prima la base della piramide erano i giovani. Oggi
abbiamo invece una piramide rovesciata. Ci sono pochi bambini e molti anziani.
Questo comporta un problema sociale, un problema umano. L’unica soluzione è
quella di valorizzare il vero amore nell’ambito della famiglia.
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I MUSULMANI DI BOSNIA RICORDANO OGGI
IL
MASSACRO DI SREBRENICA DELL’11 LUGLIO 1995,
CON LA
TUMULAZIONE DI 282 DELLE 8MILA VITTIME
- Con
noi, Ingrid Badurina -
11 luglio 1995, Bosnia
orientale. Le forze serbe, guidate dal generale Ratko Mladic, entrano a
Srebrenica e passano per le armi oltre ottomila musulmani di Bosnia, per lo più
uomini e ragazzi. Le
donne vengono stipate a migliaia sugli autobus e mandate via da Srebrenica,
città dichiarata fino a quel momento “zona protetta” dalle Nazioni Unite e
presidiata da un contingente olandese. Con le ottomila vittime della violenza
dei fedelissimi di Mladic, i fatti di Srebrenica sono tristemente passati alla
storia come l’eccidio più sanguinoso in Europa dopo la seconda guerra mondiale.
Otto anni dopo, nel cimitero di Potocari, alla periferia di Srebrenica,
migliaia di musulmani assistono oggi alla cerimonia di tumulazione di 282
vittime di quel massacro. Il 31 marzo scorso con un analogo rito erano stati
sepolti i primi 600 corpi identificati con l'analisi del Dna, tra le migliaia
di spoglie esumate in questi anni da decine di fosse comuni. Ma quale ricordo
rimane del massacro di Srebrenica? Risponde Ingrid Badurina, corrispondente dai
Balcani del quotidiano “La Stampa”, intervistata da Giada Aquilino:
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R. - Per la prima volta le vittime sono state ritrovate e,
in parte, identificate. Per i familiari, dopo 8 anni, è un sollievo anche se
non è che l’inizio, visto che sono ancora migliaia le persone che mancano
all’appello e non si sa neanche dove le vittime siano state sotterrate. Le
fosse comuni, infatti, non sono ancora state del tutto localizzate. Il ricordo
dei fatti di Srebrenica in realtà è molto vivo soprattutto nello spirito delle
donne e dei bambini, perché credono che non sia stato fatto abbastanza. Ed
anche 8 anni dopo l’accordo di pace di Dayton del novembre ’95 - che pose fine
alle guerre balcaniche degli anni ‘90 - i musulmani di Bosnia non possono
ritornare a Srebrenica.
D. – Perché i profughi non possono rientrare?
R. – Malgrado il fatto che esista ufficialmente un Paese
unico, cioè la Bosnia–Erzegovina, in realtà le due entità – cioè la Repubblica
Srpska, che è l’entità serba, e la Federazione musulmano-croata, dove ci sono
croati e bosniaci - rimangono assolutamente separate dal punto di vista etnico.
D. – Si sta procedendo all’identificazione delle vittime.
Questo processo che significato ha per i musulmani di Bosnia?
R. – E’ importante soprattutto per i familiari, ma non è
che l’inizio di un lungo processo che dovrebbe sicuramente essere più efficace.
D. - Come appare oggi il ruolo dell’Onu di fronte ai fatti
di Srebrenica?
R. – Nel frattempo c’è stato addirittura un processo in
Olanda, perché all’epoca Srebrenica era un’enclave protetta dall’Onu, con
soldati olandesi. Quando, invece, le forze serbe guidate dal generale Mladic
sono entrate a Srebrenica ed hanno cominciato a separare, sotto gli occhi dei
soldati Onu, i ragazzi dai 16 anni in su dalle donne e i bambini, quegli stessi
soldati non hanno fatto niente. Praticamente è stata una grande sconfitta
dell’Onu.
D. – Di fronte ad un’Europa che si sta allargando, come si
pone la Bosnia-Erzegovina?
R. – L’Europa potrebbe essere il futuro del Paese, come
per la Croazia, che ha già fatto la sua richiesta di candidatura, o per la
Serbia, che sicuramente in un futuro vorrà entrare nell’Ue. L’Europa dunque
potrebbe essere un passo importante per la Bosnia, ma rimangono molte riforme
da fare, molti ostacoli da superare, perché non è una cosa realizzabile nel
giro di pochi anni.
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CONFERITO AL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY
IL
PREMIO GIORNALISTICO “COLOMBE D’ORO PER LA PACE”
-
Servizio di Dorotea Gambardella -
Aver
posto costantemente in primo piano il valore della pace. Questo il motivo per
cui ieri sera, nella suggestiva cornice di Villa Miani a Roma, l’Associazione
non governativa Archivio Disarmo ha insignito del premio Colombe d’oro per la
pace il cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace, e quattro giornalisti. Istituito nel 1986, anno
internazionale della Pace, questo premio giornalistico si prefigge l’obiettivo
di essere di stimolo a tutti gli operatori dell’informazione a farsi portatori
degli ideali di pace, di cooperazione internazionale, di prevenzione e gestione
non armata dei conflitti. Il servizio è di Dorotea Gambardella.
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“La pace sulla bocca di tutti, ma è ancora ben lontana
dall’essere nelle mani di tutti, perché troppe mani di uomini e di popoli sono
sovraccariche di armi”: così il cardinale Roger Etchegaray, che è stato
insignito della Colomba d’oro più importante, quella dedicata alla personalità
internazionale. Il presidente emerito del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace
è stato definito fautore del dialogo come metodo e come scopo per scongiurare i
guasti della guerra.
R. – Il dialogo è alla base di tutto. Due persone non
possono incontrarsi senza dialogare. Il dialogo è necessario in famiglia, in un
villaggio, in una città, in una nazione, tra tutti i popoli. Senza il dialogo
non si può fare nulla, non solo per la pace, ma anche per coabitare insieme. Il
dialogo è difficile, perché per cercare di capire l’altro si deve fare uno
sforzo e avere rispetto.
D. – Lei ha
detto: “La pace è disarmo”. Ma la pace è soltanto mera assenza di armi o è
qualcosa di più?
R. – Non basta
il disarmo. Questo lo dicevo come base della pace. Ma la pace necessita anche
di qualcosa di non materiale, come è il disarmo. Si può parlare anche di
disarmo del cuore: avere un cuore limpido, un cuore aperto, un cuore dolce,
come quello di Gesù.
Oltre al cardinale Etchegaray, l’Associazione Archivio
Disarmo ha conferito il prestigioso premio all’editorialista del Corriere della
Sera, Gianantonio Stella, al fotoreporter Giorgio Salomon, all’attore Luca
Zingaretti e a sua moglie, la scrittrice Margherita D’Amico. Tutti per aver
dimostrato onestà, sensibilità e coraggio nel loro modo di raccontare la
guerra, come ha commentato la prof.ssa Rita Levi Montalcini.
R. – Ho letto
brevemente la loro storia ed è molto importante. Gente che si è impegnata, con
pericolo di vita. Quindi, gente che ha coraggio, che ha fatto vedere le
tragedie della guerra. Credo che sia una buona impresa, una buona iniziativa,
che io approvo completamente.
Ma che significato ha il premio Colombe d’Oro per la pace?
Ci risponde Luca Zingaretti, autore con sua moglie di un documentario
televisivo sui mali dell’Africa.
R. – Spero che
questo premio spinga delle persone a vedere il lavoro che abbiamo fatto in
Uganda, proprio per cercare di attirare l’attenzione sulla situazione nel nord
dell’Uganda, che è terribile. Il mondo in questo momento è pieno di guerre
dimenticate. Infatti, noi abbiamo dedicato questo documentario a chi sta
lottando per la pace, perchè pensiamo che un mondo di pace non sia un’utopia,
ma sia, sicuramente un sogno, ma un sogno possibile.
E sul valore più profondo della pace si è soffermato
Gianantonio Stella:
R. – La pace
non è soltanto l’assenza di conflitto armato. Credo che anche respingere quella
famiglia siriana che era venuta in Italia, chiedendo asilo politico a
Fiumicino, sia un atto di guerra. E’ stata rispedita in Siria, dove questo
ingegnere siriano sarebbe stato poi assassinato in carcere, dopo essere stato
torturato. Non è necessario sparare per fare la guerra, basta anche essere del
tutto indifferenti ad alcune ragioni umanitarie. E’ troppo facile assolversi,
pensando che basti non impugnare un’arma.
D. - Come fa un giornalista ad essere fautore di pace?
R. – Essere un uomo ed essere giornalista sono due cose
che se non coincidono stiamo freschi! Voglio dire che l’essere a favore della
pace, come uomini, è una cosa che poi si riflette automaticamente nel
giornalismo. Chi non è davvero a favore della pace, ma parla di pace solo per
riempirsi la bocca, poi in realtà quando scrive un articolo, quell’articolo
“puzza”.
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11 luglio 2003
IL PRESIDENTE LIBERIANO TAYLOR HA DICHIARATO CHE
LE FORZE DI PACE STATUNITENSI SARANNO BENVENUTE NEL SUO PAESE.
ANCHE
LA CHIESA CATTOLICA AMERICANA HA INVITATO IL PRESIDENTE BUSH
AD UN
IMPEGNO CONCRETO PER PORRE FINE AGLI SCONTRI IN LIBERIA
WASHINGTON.
= Il presidente della Liberia Charles Taylor ha lanciato un appello agli
Stati Uniti perché inviino al più presto una propria forza di pace nel Paese
sconvolto dai combattimenti tra ribelli e forze governative. In un intervista
alla Bbc, Taylor ha ribadito che non lascerà il Paese finché non verrà
dispiegata una forza di pace sul territorio liberiano. “Gli americani - ha
detto Taylor - non devono avere paura che i propri soldati si facciano male in
Liberia. Posso garantire che, ovunque io sia, nessun liberiano sparerà mai ad
un soldato americano, perché tutti desideriamo la loro presenza qui”. Ieri il
segretario di Stato americano, Colin Powell, ha dichiarato che per avere un
decisione definitiva bisognerà aspettare ancora qualche giorno. Intanto però
crescono le richieste, anche interne, affinché il presidente Bush invii una
task force nel Paese africano. Il presidente del Comitato dei vescovi statunitensi per le relazioni
internazionali, il vescovo John Ricard, ha chiesto al governo di fornire il
supporto per dispiegare una forza di pace in Liberia. In una lettera inviata al
consigliere per la sicurezza nazionale, Condoleeza Rice, il presule sostiene la
necessità di una forza di interposizione per prevenire ulteriore spargimento di
sangue e garantire nuove soluzioni politiche che diano stabilità al Paese
africano. Mons. Ricard esorta il governo statunitense ad una decisa e immediata
azione affinché non vadano perdute altre vite umane e la nazione non sprofondi
nell’anarchia, che minaccerebbe anche i Paesi vicini. (M.A.)
L’ARCIVESCOVO LATINO DI BAGHDAD HA DENUNCIATO
L’IGNOBILE TRATTA DI MINORI
NELLA
CAPITALE IRACHENA. DECINE DI BAMBINI SONO SCOMPARSI DAGLI ORFANOTROFI
BAGHDAD.
= La guerra è conclusa, ma in l’Iraq la pace non è arrivata. Non solo perché
la vita di ogni soldato ancora non è sicura, ma anche perché la stessa
esistenza dei cittadini comuni continua ad essere in pericolo. In particolare
l’infanzia sta vivendo una situazione di grande precarietà. La denuncia arriva
dall’arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman. In una lettera
all’organizzazione umanitaria italiana, Peace reporter, il presule rivela che
decine di bambini sono scomparsi dagli orfanotrofi o vengono rapiti mentre sono
per la strada. Secondo mons. Sleiman il problema è costituito dalla mancanza di
un governo stabile. Il riprovevole rapimento dei bambini e la loro scandalosa
vendita ad organizzazioni criminali continuerà sin quando in Iraq non si sarà
instaurato un governo con pieni poteri che sia in grado di combattere tali
attività. I bambini cui si riferisce l’arcivescovo sarebbero un centinaio.
“Potete vederli nelle strade – si legge nella lettera - mentre vendono il
proprio corpo o si drogano usando sostanze importate dall’estero appositamente
per loro. Non posseggo prove circostanziate, non conosco i nomi di chi li
sfrutta, ma è sufficiente guardarsi intorno”. (M.A.)
60 MORTI OGNI ORA E 500 MILA ALL’ANNO PER EFFETTO
DELLE ARMI LEGGERE.
UN
VERTICE ALLE NAZIONI UNITE PER MONITORARE IL PIANO DI LIMITAZIONE
DI
QUESTO “FLAGELLO GLOBALE”
NEW
YORK. = 60 persone uccise nel mondo ogni ora e 500 mila ogni anno per effetto
di armi leggere. Sono alcuni dati del “flagello globale” – come lo ha chiamato
il segretario dell’Onu Kofi Annan – della diffusione delle armi leggere. Il
primo vertice delle Nazioni Unite per valutare l’attuazione del piano d’azione
contro le armi leggere, in corso nella sede dell’Onu a New York, mette in luce
come vi siano annualmente 300 mila vittime in conflitti armati e 200 mila per
omicidi e suicidi. Il vertice rientra nell’ambito dei controlli biennali per
monitorare gli effetti del piano approvato dall’Onu nel luglio 2001.
L’obiettivo è quello di verificare l’attuazione dei limiti sulla produzione e
la vendita di armi, l’identificazione delle armi e le campagne pubbliche contro
la diffusione delle pistole. “La proliferazione delle armi leggere - ha
dichiarato Annan – ha conseguenze anche in termini di alimentazione dei
conflitti, minaccia alle operazioni di pace, rifiuto di aiuti limitazioni allo
sviluppo o ostacolo al rispetto della legge”. (M.D.)
LA SOLUZIONE DELLA CRISI DEL VENEZUELA È UN IMPEGNO
PER TUTTA LA NAZIONE.
CON
QUESTA VIGOROSA ESORTAZIONE I VESCOVI DEL PAESE LATINOAMERICANO
HANNO
APERTO IERI LA LORO ASSEMBLEA PLENARIA
CARACAS.
= La preoccupazione dei vescovi venezuelani per la lunga crisi della nazione è
stato il tema principale affrontato, ieri, durante il primo giorno
dell’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale. Riuniti a Caracas, i
vescovi sono tornati ad esortare i connazionali affinché si impegnino nella
ricerca di una soluzione pacifica. La decisione dei vescovi è stata messa in
risalto dalle dichiarazioni del presidente della Conferenza, l’arcivescovo
Baltazar Porras, che ha detto che esiste una enorme coesione nel corpo
dell’episcopato. “Non possiamo andare avanti - ha detto con decisione il
presule – senza convivenza e rispetto. E’ necessario richiudere la spaccatura
che attualmente divide la società venezuelana”. Mons. Porras ha precisato
inoltre che non spetta solo ai politici risolvere la situazione. “Non possiamo
essere spettatori – ha detto il presidente della Conferenza – perché questo
compete a tutta la società”. L’inizio dell’Assemblea era previsto per lunedì
scorso, ma in seguito alla dolorosa scomparsa del cardinale arcivescovo di
Caracas, Ignacio Antonio Velasco Garcia, i lavori sono stati posticipati.
(M.A.)
NEL GIORNO DELLA COMMEMORAZIONE DEL
MASSACRO DELLA VOLINIA,
LA
CHIESA CATTOLICA IN POLONIA E UCRAINA MANIFESTA L’IMPEGNO PER LA RICONCILIAZIONE
DEI
DUE POPOLI: INTENSIFICATI I RAPPORTI DI COLLABORAZIONE
- A
cura di Aleksander Kowalski -
LEOPOLI. = In occasione della commemorazione odierna dei
sanguinosi scontri che durante la seconda guerra mondiale coinvolsero le
comunità polacche e ucraine della Volinia, la Conferenza episcopale polacca e
la Chiesa greco-cattolica in Ucraina hanno deciso di intensificare i loro
rapporti di collaborazione come segno di riconciliazione. Nei giorni scorsi si
è tenuta a Leopoli, in Ucraina, la riunione delle due delegazioni. Durante i
lavori è stato comune l‘interesse per una riappacificazione tra polacchi e
ucraini, affinché i due popoli partecipino alla costruzione della comunità
europea. I partecipanti alla riunione hanno scambiato informazioni riguardanti
le proposte concordate durante l’incontro precedente dei due gruppi, svoltosi
nel maggio scorso a Lublino. Riguardavano la collaborazione a livello delle
strutture gerarchiche, contatti comunitari e individuali per una conoscenza
reciproca e il perdono di torti subiti, e iniziative volte a costruire
concordia e pace fra i cristiani di entrambe le nazioni. Durante la riunione
inoltre è stato deciso di promuovere ricerche e conferenze comuni riguardanti
esempi positivi di convivenza tra polacchi e ucraini e dare impulso ad una
migliore conoscenza reciproca delle tradizioni orientale e occidentale.
PACE
E DIALOGO INTERRELIGIOSO: QUESTO IL PROGRAMMA PASTORALE
DEL NUOVO PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
FILIPPINA,
L’ARCIVESCOVO FERNANDO CAPALLA
DAVAO. = “Il mio programma è il
dialogo. Ho sempre lavorato per la pace e la riconciliazione a Mindanao, e
continuerò a farlo”. Sono state queste le prime parole da presidente della
Conferenza episcopale delle Filippine di mons. Fernando Capalla, arcivescovo di
Davao, sull’isola di Mindanao, dove è attiva la guerriglia separatista. Il
nuovo presidente è stato eletto durante l’Assemblea dei vescovi filippini, la
settimana scorsa. “L’attività di mediazione e riconciliazione è utile non solo
alla Chiesa e alla popolazione locale – ha spiegato l’arcivescovo – ma
all’intero paese, che ha bisogno di ritrovare unità, fiducia, stabilità. Da
diversi anni siamo impegnati a cercare di risolvere con mezzi pacifici il
conflitto di Mindanao. Ora i gruppi ribelli hanno mostrato nuovamente
disponibilità alla trattativa. C’è una speranza che anche il governo di Manila
deve saper cogliere, viste anche le pressioni che riceve dall’esterno. Il
problema di Mindanao è politico ed economico. Occorre lavorare per il benessere
della popolazione e restituire una vita dignitosa ai profughi”. Mons. Capalla
traccia il sentiero per la pace proposto dalla Chiesa. “Adoperarsi senza sosta
per il dialogo interreligioso e la riconciliazione, fondata sul perdono
reciproco, nello spirito della Bibbia e del Corano. Un autentico spirito di
fede non è un ostacolo per la pace, ma può essere un ponte per creare armonia
fra comunità diverse”. (M.A.)
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11 luglio 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Europa è cominciata una
tappa cruciale per la storia del Vecchio Continente. Ieri a Bruxelles infatti,
è stata firmata la prima copia della bozza di Costituzione che sancisce il
motto dell’Unione, dal titolo “Unita nella diversità”, l’inno ufficiale,
“L’inno alla gioia di Beethoveen”, la bandiera, azzurra “con un cerchio di 12 stelle d'oro”
al centro, l’euro come moneta unica e fissa per il 9 maggio la festa
dell’Europa. Mentre il testo della bozza, approvato ieri, sarà presentato alla
presidenza italiana il prossimo 18 luglio, la costituzione europea dovrebbe
essere definitivamente adottata entro il mese di dicembre. Ascoltiamo da
Bruxelles il servizio di Gianandrea Garancini:
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Come nelle previsioni, l’ultima sessione plenaria
ha appena ritoccato il testo presentato da Valery Giscard d’Estaing il mese
scorso a Salonicco. I 207 convenzionali hanno comunque sottoscritto alcune
modifiche presentate dal presidium. E’ stata inserita la clausola della cosiddetta
“eccezione culturale”, fortemente voluta dalla Francia. La quasi totalità dei
convenzionali ha espresso l’auspicio che la Conferenza intergovernativa di
ottobre, chiamata ad adottare la Costituzione europea, non perda lo spirito
costituente della Convenzione e mantenga quanto più possibile il testo attuale,
estendendo la maggioranza qualificata alla politica estera e migliorando le
politiche relative alla governance economica. 97 convenzionali hanno infine
sottoscritto un appello, con il quale si chiede al governo degli Stati membri
di indire nel 2004 referendum nazionali per ratificare la Costituzione europea.
Da Bruxelles, per Radio Vaticana, Gianandrea
Garancini.
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Proseguono su più fronti i tentativi di far
progredire il processo di pace in Medio Oriente. In un’intervista rilasciata al
quotidiano italiano, il “Corriere della sera”, il premier israeliano, Ariel
Sharon, ha confermato il proprio appoggio ad Abu Mazen. “Voglio aiutare il
primo ministro palestinese – ha dichiarato - perché è un uomo che considera il
negoziato e non il terrorismo la soluzione migliore per giungere alla pace”. I
due premier si incontreranno la prossima settimana per discutere sul possibile
rilascio di un maggior numero di detenuti palestinesi. A confermare l’intensa
attività diplomatica per realizzare la “Road map”, da
Washington è anche arrivata la notizia che Sharon sarà alla Casa Bianca a fine
luglio.
Continuano gli agguati, in varie zone dell'Iraq,
alle truppe americane. La notte scorsa, a Ramadi, circa 100 chilometri ad Ovest
di Baghdad, le forze statunitensi sono state attaccate a colpi di mortaio ma,
fortunatamente, non ci sono state vittime. Oggi, il Programma alimentare
mondiale (Pam) ha denunciato l’intensificarsi di violenze e saccheggi contro
addetti e strutture presenti nel Paese. Il Senato americano, intanto, ha
approvato ieri all’unanimità una risoluzione con cui invita il presidente Bush
a richiedere alla Nato l’invio di truppe in Iraq. Sempre ieri, inoltre, il
segretario di Stato americano, Colin Powell, ha ammesso di avere egli stesso
avuto dubbi sull’attendibilità delle informazioni, rivelatesi poi false, sui
tentativi del regime iracheno di acquistare materiale nucleare in Africa. Ce ne
riferisce Maurizio Pascucci:
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“Ritengo il fatto sia stato gonfiato,
sproporzionato. Rapporti di Intelligence arrivano da ogni parte. A volte sono
il risultato delle due agenzie di Intelligence, a volte arrivano da agenzie
straniere altamente competenti. A volte vengono confermate, a volte no. Uno
cerca di stabilire cosa sia giusto e cosa sbagliato. Molto spesso la
distinzione non è così chiara”. Con queste parole Powell tenta di
sdrammatizzare la polemica che invece non accenna a spegnersi
sull’attendibilità delle informazioni usate per giustificare l’intervento nel
Golfo. Intanto in Iraq continua a crescere il bilancio delle vittime americane
mesi dopo la conclusione del conflitto. Altri tre militari sono rimasti uccisi
in separati incidenti: uno è morto quando il suo convoglio si è trovato sotto
il fuoco nemico a Tikrit, la città natale di Saddam Hussein; gli altri due sono
caduti nell’agguato a sud di Baghdad.
Maurizio Pascucci, per la
Radio Vaticana.
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In
Pakistan, almeno due persone sono morte e numerose altre sono rimaste ferite
oggi in una esplosione avvenuta in un centro commerciale del porto di Karachi,
nell’area meridionale del Paese. Nonostante questo grave episodio di violenza
non mancano comunque segnali di distensione. Dopo 18 mesi di interruzione, è
partito oggi dal Pakistan il primo autobus per l’India. Il mezzo, con a bordo
passeggeri ansiosi di incontrare di nuovo i loro familiari nello Stato
confinante, alimenta le speranze di pace per entrambi i Paesi, divisi dalla
contesa per la regione del Kashmir. Ascoltiamo da New
Delhi, il servizio di Maria Grazia Coggiola:
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E’ partito puntuale alle 6.00,
ora locale, il cosiddetto “bus della pace”, l’unico servizio di collegamento
stradale diretto tra India e Pakistan, creato nel ’98 con uno storico viaggio
del premier Vajpayee, diretto a Lahore per incontrare l’allora primo ministro
pakistano Nawaz Sharif. A bordo c’erano 33 passeggeri, tra cui una decina di
giornalisti. La partenza è stata contestata da un centinaio di radicali indù
nazionalisti, contrari alle aperture che Vajpayee ha di recente offerto al
generale Musharraf. Nonostante la ripresa del bus, sospeso dopo l’attentato al
Parlamento indiano nel dicembre del 2001, le relazioni tra i due Paesi
rimangono tese. In un meeting regionale che si è chiuso ieri a Katmandu, in
Nepal, l’India ha accusato il Pakistan di scarsa cooperazione. Stamattina a
Karachi, un’esplosione in un palazzo di uffici a 12 piani, il Crown Plaza,
sulla strada verso l’aeroporto, ha ucciso due persone e ferito decine di altre.
Da New Delhi, per la Radio
Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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Si è aperto ieri a Maputo, in Mozambico, il
secondo vertice dell’Unione Africana. Nel summit è stata ribadita con forza,
già dal primo giorno dei lavori alla presenza del segretario generale dell’Onu
Kofi Annan, l’impegno per la lotta alla povertà, la crescita economica, la
democrazia e la pace. Ascoltiamo il servizio di Giulio Albanese:
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La riunione si è aperta con
l’annuncio per bocca del presidente sudafricano, Thabo Mbeki, della
reintegrazione nell’Unione del Madagascar, il cui seggio era rimasto vacante
dopo la crisi politico-militare che lo scorso anno aveva messo in ginocchio
l’isola africana. Nella seduta inaugurale si sono subito affrontati temi caldi.
“L’Africa deve diventare un Continente pacifico per realizzare lo sviluppo
economico e sociale” – ha detto senza mezzi termini il capo di Stato
mozambicano, Joaquim Chissano, che succede a Mbeki nella presidenza annuale
dell’Unione Africana. Forte il monito lanciato dal segretario generale delle
Nazioni Unite, Kofi Annan. “L’Onu e il resto della comunità internazionale – ha
detto con tono severo – possono nominare inviati, sollecitare negoziati, ma
nulla di tutto ciò risolverà i conflitti se in Africa non vi sono la volontà
politica e la capacità per passare dalle parole ai fatti”. Il segretario
dell’Onu ha poi esortato i governi africani a porre la lotta contro l’Aids in
cima alle loro priorità.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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In Burundi 28 cadaveri, tra cui
7 bambini, sono stati trovati a Bujumbura in uno dei 3 quartieri meridionali
attaccati, nei giorni scorsi, dai ribelli delle Forze nazionali di liberazione
(Fnl). Lo rivela la France Press.
Restiamo in Africa dove continua il viaggio del
Capo di Stato americano, George Bush, giunto oggi in Uganda. La lotta all’Aids
e il conflitto nella Repubblica democratica del Congo sono i temi più
significativi previsti nell’incontro tra Bush ed il presidente ugandese
Museveni.
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