RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 191 - Testo della Trasmissione di giovedì 10 luglio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa da oggi nella residenza estiva di Castel Gandolfo. Con noi, il sindaco Maurizio Colacchi e il vescovo di Albano mons. Agostino Vallini.

 

Appello di Giovanni Paolo II al perdono tra i popoli di Polonia e Ucraina, che ricordano domani il sanguinoso eccidio nella regione di Volinia durante la seconda guerra mondiale.

 

Il cordoglio del Santo Padre per le vittime della sciagura fluviale in Bangladesh.

 

Il bilancio consuntivo della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, presentato stamani alla stampa dal cardinale Sergio Sebastiani. Il porporato ai nostri microfoni.

 

L’intervento di mons. Celestino Migliore alla riunione degli Stati sul commercio illegale delle armi leggere.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Le emergenze della Somalia e l’opera della Chiesa cattolica nel Paese africano oppresso dalla povertà. Intervista con il vescovo mons. Giorgio Bertin.

 

Aperto oggi a Maputo il secondo vertice della nuova Unione Africana. Ne parliamo con Domenico Quirico.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Forti critiche dei vescovi della Comece agli orientamenti della Commissione Europea per la ricerca sulle cellule staminali di embrioni umani.

 

Nuove speranze di pace per Betlemme. I cristiani guardano con fiducia alla ‘Road Map’, mentre riprendono i corsi all’Università.

 

L’appello del cardinale Castrillon Hoyos in favore della ripresa della trattative tra governo e guerriglia in Colombia.

 

Prima visita in Nepal del nunzio apostolico, l’arcivescovo Pedro Lopez Quintana.

 

Aumentano nel 2002 le offerte ad “Aiuto alla Chiesa che soffre”.  Per sostenere le comunità cattoliche in difficoltà.

 

24 ORE NEL MONDO:

 Annunciati da Washington venti milioni di dollari per l’Autorità Palestinese.

 

Tragedia nelle Filippine dove sono morte sei persone in seguito all’esplosione di una bomba.

 

Tre morti e un ferito: è il drammatico bilancio della scorsa notte a Baghdad.

 

Approvato il testo definitivo della bozza globale della futura Costituzione dell’Unione Europea.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

10 luglio 2003

 

 

L’ABBRACCIO DEI FEDELI DI CASTEL GANDOLFO AL PAPA, DA STAMANI

 NELLA RIDENTE CITTA’ LAZIALE PER IL SUO SOGGIORNO ESTIVO.

CON NOI IL VESCOVO DI ALBANO, MONS. AGOSTINO VALLINI

ED IL SINDACO DI CASTEL GANDOLFO, MAURIZIO COLACCHI

- A cura di Alessandro De Carolis -

        

Un libro da terminare sulla sua esperienza pastorale e umana di vescovo, approfittando della quiete di un luogo che da oltre 500 anni custodisce il riposo dei Papi, all’ombra della suoi magnifici giardini e della sua vegetazione lussureggiante, che scende dolcemente lungo le sponde del lago sottostante. Da oggi, saranno queste l’occupazione preferita e la cornice naturale che accompagneranno la pausa estiva di Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo. Dopo la partenza verso le 10,30 dal Vaticano, il Papa è giunto nel Palazzo apostolico della sua residenza estiva, accolto dal benvenuto del vescovo di Albano, mons. Agostino Vallini, e del sindaco di Castel Gandolfo, Maurizio Colacchi. Il soggiorno del Pontefice durerà ininterrottamente fino a settembre e sarà caratterizzato dall’usuale ridimensionamento della sua attività giornaliera.

 

Il breve viaggio col quale i Pontefici contemporanei sono soliti raggiungere la località affacciata sul lago di Albano non ha nulla a che vedere con i solenni, e al tempo stesso rustici arrivi in carrozza – narrati dalle cronache del tempo - accompagnati da scoppi di mortaretti e dall’eccitazione degli abitanti locali, che segnarono, a metà del ‘500, le prime escursioni papali nell’area di Castel Gandolfo. Il nome dell’attuale località dei Castelli Romani viene dalla famiglia dei Gandulphi, proprietari, nel XII secolo, della piccola fortezza quadrata che sorgeva sul posto, successivamente divenuta proprietà dei Savelli. Fu Clemente VIII a disporre l’acquisizione della roccaforte da parte della Camera Apostolica, nel 1596. Ma si deve a Urbano VIII, nel 1626, l’elezione della nuova proprietà a rango di stabile residenza estiva pontificia. Nei secoli successivi, il complesso delle Ville pontificie venne ampliato a più riprese, grazie all’ingegno di alcuni tra i più grandi architetti dell’epoca, come il Maderno, che si occupò di dotare il castello originario della grande ala che si protende verso il lago. Mentre Gian Lorenzo Bernini fu autore dei disegni che permisero ad Alessandro VII di completare il palazzo pontificio. Si arriva così al 1773, quando Clemente XIV estende ancor più i confini della residenza con l’acquisto dell’adiacente Villa del cardinale Camillo Cybo. L’attuale dimensione delle Ville viene raggiunta con i Patti Lateranensi del 1929, con l’acquisizione di Villa Barberini che contiene preziosi resti della Villa dell’imperatore Domiziano.

 

Arte, natura, aria salubre, colpo d’occhio che, col passare degli anni, non perde di fascino. La residenza castellana dei Papi raduna in 55 ettari tutti gli elementi più tipici, ricercati da chi si appresta a godere di un periodo di riposo. E insieme al lato paesaggistico, si rinnova ogni anno l’aspetto umano testimoniato dall’immutato affetto col quale gli abitanti e la comunità ecclesiale di Castel Gandolfo si stringono attorno al Pontefice. Lo conferma il vescovo della diocesi di Albano, mons. Agostino Vallini, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R.  - La gente, non solo di Castel Gandolfo, ma di Albano, dei Castelli e direi un po’ di tutta la diocesi, attende questo avvenimento di anno in anno. Quando il Papa parte da Castello c’è sempre come un senso di mestizia, perché, insomma, non c’è più il Papa. Quando il Papa arriva c’è grande fermento, c’è grande gioia, soprattutto la domenica, quando tutti accorrono e partecipano, vengono anche tante persone dalle più diverse provenienze, anche dal resto del mondo, ma la verità è che è un appuntamento desiderato, atteso e che tutta la gente vive con grande emozione, con grande piacere, anzi, direi che a mano a mano che passano gli anni, cresce questo affetto filiale e devoto verso Giovanni Paolo II.

 

D. - Quali sono, secondo lei gli aspetti che Giovanni Paolo II mostra di apprezzare di più nel suo soggiorno a Castel Gandolfo?

 

R. – Direi proprio la semplicità della nostra gente che gli manifesta tanta attenzione e tanto affetto. Se posso raccontarle un piccolo episodio, la domenica all’Angelus hanno il grande privilegio di salutare il Santo Padre, di ricevere una particolare benedizione le mamme con i bambini piccoli. C’è una corsa, la domenica, per potersi accostare al palco papale ed essere inseriti nel gruppo dei privilegiati. Proprio questa semplicità, questo rapporto immediato, affettuoso, devoto, le persone lo esprimono in maniera molto sentita ed il Santo Padre mi pare che lo gradisca molto. Si intrattiene in questo rapporto paterno che fa tanto del bene, non solo da un punto di vista umano, di tenerezza e di bontà, ma anche di testimonianza, di fede e di amore al Signore, quindi, è uno scambio, potremmo dire, di amorosi sensi tra il Santo Padre e la nostra gente.

 

D. – Ecco, accanto a questo aspetto emozionale di affetto da parte dei fedeli, c’è poi, evidentemente, anche la bellezza di questa terra di Castel Gandolfo …

 

R. – Sì, Castello e tutti i Castelli romani certamente, per il verde, il fresco, anche se quest’anno non tanto, per la verità, ma speriamo che il soggiorno del Santo Padre possa essergli tonificante e di grande serenità e ripresa, dal punto di vista del fisico.

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Celebre, e più volte ricordata, è la battuta di Giovanni Paolo II che definì molti anni fa Castel Gandolfo “Vaticano numero due”. Un appellativo del quale gli abitanti vanno orgogliosi, a cominciare dai loro responsabili. Al microfono di Alessandro De Carolis, il sindaco di Castel Gandolfo, Maurizio Colacchi, descrive i sentimenti di un’intera cittadina:

 

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R. - Ogni anno per noi è sintomo di grande felicità, poter ospitare il Santo Padre per le sue vacanze estive e quindi c’è la città che sta vivendo questo momento con grande fibrillazione.

 

D. – In che cosa consiste il vostro impegno, come amministrazione cittadina, per quanto riguarda la sicurezza durante il soggiorno del Papa?

 

R. – Come amministrazione comunale mettiamo a disposizione naturalmente le nostre risorse, che sono legate alla presenza dei nostri vigili, però debbo dire che è tutta la città che si fa promotrice di un’azione di vigilanza, perché Castel Gandolfo resti, anche in quel periodo, una città tranquilla, una città sicura.

 

D. – Vi saranno delle manifestazioni particolari, legate in qualche modo alla presenza del Pontefice?

 

R. – Noi vogliamo che qui il Santo Padre possa veramente riposare in serenità ed in tranquillità. Questo è l’obiettivo dei castellani. E poi aspettiamo due eventi importanti, che sono la Santa Messa per i castellani del 15 agosto, celebrata dal Santo Padre e poi quando c’è la sagra delle pesche. Quest’anno ci sarà il 27 di luglio. Abbiamo la possibilità, con dei giovani e le giovani di Castel Gandolfo, vestite da castellane, di rendere omaggio al Santo Padre, portando il frutto della nostra terra, che è la pesca.

 

D. - Dal suo punto privilegiato di osservazione, cosa nota di diverso nelle abitudini della sua cittadina con la presenza del Papa durante il suo soggiorno?

 

R. – Cambia completamente. Sembra una cosa scontata, ma non lo è. Soltanto la presenza del portone aperto, con le guardie svizzere, questo già dà un senso diverso alla nostra città. Gli dà qualcosa di veramente caratteristico, unico, e quindi il nostro augurio più grande, che possiamo fare al Santo Padre, è quello di riposare a Castel Gandolfo, di potersi ritemprare per successivi lavori, che lui dovrà svolgere negli anni avvenire, in tutto il mondo.

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Con il trasferimento del Papa a Castel Gandolfo, sono sospese tutte le udienze private e speciali. Durante il periodo estivo, la consueta udienza generale del mercoledì avrà luogo alle ore 10.30 nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Nello stesso luogo, da domenica 13 luglio, sarà recitata la preghiera mariana dell’Angelus.

 

 

“NON ESISTE GIUSTIZIA SENZA PERDONO E FRAGILE SAREBBE LA COLLABORAZIONE SENZA UNA RECIPROCA APERTURA”.

COSÌ IL PAPA INVITA ALLA RICONCILIAZIONE I POPOLI DI POLONIA

E UCRAINA CHE DOMANI RICORDANO IL SANGUINOSO ECCIDIO

CHE COINVOLSE LE COMUNITÀ DELLA REGIONE DELLA VOLINIA

DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

- A cura di Matteo Ambu -

 

“Il nuovo millennio, da poco iniziato, esige che ucraini e polacchi non restino prigionieri delle loro tristi memorie, ma, considerando gli eventi passati con uno spirito nuovo, si guardino l’un l’altro con occhi riconciliati, impegnandosi ad edificare un futuro migliore per tutti”. Con parole che invitano al perdono reciproco, Giovanni Paolo II scrive ai popoli di Polonia e Ucraina che domani commemoreranno i tragici fatti della Volinia. Nel luglio del 1943, lungo il confine orientale della Polonia, abitato da ucraini, polacchi ed ebrei, la promessa non mantenuta da parte dei tedeschi di creare una regione autonoma ucraina scatenò tra le comunità un terribile eccidio che causò la morte di decine di migliaia di persone.

 

“Nel turbine del secondo conflitto mondiale – ricorda con dolore il Papa -  quando più urgente sarebbe stata l’esigenza di solidarietà e di aiuto reciproco, l’oscura azione del male avvelenò i cuori, e le armi fecero scorrere sangue innocente”. Fatti tragici dopo i quali non è possibile costruire la pace, la giustizia ed il rispetto della vita se prima non avviene il perdono reciproco. “Come Dio ha perdonato a noi in Cristo – scrive il Papa – così occorre che i credenti sappiano vicendevolmente perdonare le offese ricevute e chiedere perdono delle proprie mancanze”. Per questo il Santo Padre ricorda il Grande Giubileo del 2000, nel quale la Chiesa davanti al mondo ha chiesto perdono delle colpe dei suoi figli: un atteggiamento che il Papa propone anche alla società civile. “Non esiste giustizia senza perdono – afferma con vigore Giovanni Paolo II - e fragile sarebbe la collaborazione senza una reciproca apertura”.

 

Perciò il messaggio di Giovanni Paolo II, indirizzato ai cardinali Józef Glemp, Marian Jaworski e Lubomyr Husar, alla fine, manifesta la propria sollecitudine per i giovani polacchi e ucraini, che non possono essere ostacolati nell’affrontare il domani da storiche diffidenze e violenze, ma è necessario educare secondo lo spirito di una memoria riconciliata.

 

 

TELEGRAMMA DI CORDOGLIO DEL PAPA

PER LE VITTIME DELLA SCIAGURA FLUVIALE IN BANGLADESH

 

Il Papa ha espresso questa mattina al nunzio apostolico in Bangladesh, l’arcivescovo Paul In-Nam Tschang, il proprio cordoglio per la grave sciagura fluviale avvenuta nella notte tra lunedì scorso e ieri nel Paese asiatico, che ha causato circa 600 vittime. “Profondamente rattristato – si legge nel telegramma in lingua inglese a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano - per la tragica perdita di vite causata dall’incidente del traghetto di linea, nei pressi della città di Chandpur, il Santo Padre assicura a tutte le persone coinvolte la propria vicinanza nella preghiera. Il Santo Padre affida le vittime alla misericordia dell’Onnipotente, e sopra le famiglie in lutto e tutte le persone colpite invoca la divina forza e il divino conforto”.

 

 

NOMINA DI COADIUTORE IN CILE

 

In Cile, il Santo Padre ha nominato vescovo coadiutore di Rancagua il presule mons. Alejandro Goic Karmelic, finora vescovo di Osorno. La diocesi di Rancagua è attualmente retta da mons. Francisco Javier Prado Arànguiz, 74enne, della Congregazione di Picpus.

 

 

CONTI IN ROSSO PER LA SANTA SEDE NEL BILANCIO CONSUNTIVO CONSOLIDATO 2002

PRESENTATO OGGI IN SALA STAMPA VATICANA. CRESCONO LE OFFERTE DEI FEDELI.

AI NOSTRI MICROFONI IL CARDINALE SERGIO SEBASTIANI

- Servizio di Paolo Ondarza –

 

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Per il secondo anno consecutivo è ancora negativo il segno del bilancio consuntivo consolidato della Santa Sede. Conti in rosso anche per lo Stato della Città del Vaticano. E’ quanto messo in evidenza questa mattina dal presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, cardinale Sergio Sebastiani, nel corso di una conferenza stampa di presentazione dei dati in sala Stampa Vaticana. Ascoltiamolo:

 

“Come è noto, nel 2002 l’economia mondiale è incorsa in una fase in cui si sono accentuati i sintomi della crisi iniziata nell’ultima parte dell’anno 2000, di cui ancora non si riesce a intravedere la fine. Tutto ciò non poteva non influire negativamente anche sul nostro bilancio 2002. Si tratta del secondo risultato negativo che fa seguito ad un periodo di avanzi di bilancio fino a tutto il 2000. Ricordate il sogno di Giuseppe delle vacche magre e delle vacche grasse? Ecco,  fino all’anno 2000, possiamo dire che c’è stato il periodo delle vacche grasse. Adesso viviamo quello delle vacche magre. Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo fatto ciò che ci dice proprio la Scrittura. Cosa fanno tutte le famiglie? Quando vivono un periodo positivo mettono da parte le provviste, mentre quando i conti non tornano ricorrono ai propri risparmi. Così stiamo facendo anche noi.”

 

Nel documento relativo ai conti della Santa Sede figurano entrate per 216.575.034,00 euro ed uscite pari a 230.081.756,00 euro, con un disavanzo di euro 13.506.722,00. Gran parte delle uscite sono da legare ai costi di gestione ordinaria e straordinaria della Curia Romana, attiva quotidianamente a servizio del Papa con 2659 lavoratori, di cui 744 ecclesiastici, 351 religiosi e 1564 laici; 892 i pensionati. Spese cospicue hanno riguardato l'acquisto e la costruzione di nuove Sedi per le Rappresentanze Pontificie  e la costruzione a Roma di un complesso immobiliare da destinare a fini istituzionali.

 

Non più rosea la situazione economica, relativa sempre al 2002, per la Città del Vaticano, la cui attività, nelle mani di 1511 dipendenti - 4 alti dirigenti, 75 religiosi, 1432 laici e 566 pensionati - provvede la gestione del territorio e dell'esercizio di attività di supporto logistico alla Santa Sede. Il disavanzo, pari a 16.048.508 euro è stato  provocato dalla riduzione dei ricavi in vari settori delle proprie attività e dal contributo dato per coprire parte del disavanzo della Radio Vaticana, per la prima volta da quest’anno a carico anche della Città del Vaticano, oltre che, come già negli anni passati, della Santa Sede.

 

Nei bilanci, entrambi sottoposti a  verifica e certificazione, figurano anche le offerte  raccolte  con l'Obolo di San Pietro: 52.836.693,50 dollari, cifra che il Papa ha destinato ad interventi caritativi nel Terzo Mondo, in quei luoghi provati da guerre e calamità naturali e all'avvio del progetto romano Don Orione di accoglienza per pellegrini disabili. Positivo nel 2002 l'incremento delle offerte rispetto al 2001: +1.80 per cento. A tale riguardo i cardinali  del Consiglio manifestano profonda gratitudine verso coloro che  con il loro contributo  "rispondono con il Santo Padre al grido di aiuto di quanti si trovano nella povertà e nel bisogno".

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L’INTERVENTO DI MONS. CELESTINO MIGLIORE, A NOME DELLA SANTA SEDE,

SUL COMMERCIO ILLEGALE DELLE ARMI LEGGERE E DI PICCOLO CALIBRO

 - A cura di Paolo Salvo -

 

La comunità internazionale dovrebbe avviare senza indugio un ampio dibattito per raggiungere un accordo completo e giuridicamente vincolante, volto a ridurre e sradicare definitivamente il traffico illegale delle armi leggere e di piccolo calibro. E’ l’auspicio espresso dall’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York, intervenendo ieri l’altro al primo incontro biennale degli Stati su questa materia.

 

“Ci troviamo sulla soglia di un nuovo e, forse, lungo processo nell’area del disarmo” – ha detto mons. Migliore – a partire dalla Conferenza del 2001con il relativo “piano di azione”, che “rappresenta una sfida significativa per l’intera comunità internazionale”. Il primo aspetto sul quale l’osservatore della Santa Sede ha richiamato l’attenzione è quello relativo alla responsabilità degli Stati nell’arrestare il traffico illecito delle armi leggere e di piccolo calibro, con il loro bagaglio di morte e distruzione.

 

Sul piano delle forniture, l’arcivescovo Migliore ha posto in risalto le iniziative concrete, contenute nel “piano di azione”, volte a rafforzare i meccanismi di prevenzione, riduzione, responsabilità e controllo, con particolare riguardo ai sistemi per l’identificazione e la distruzione delle scorte di armi illegali. Per quanto riguarda la richiesta di questo tipo di armi, il presule ha notato con favore che il “piano di azione” offre alcune indicazioni allo scopo di promuovere, attraverso attività educative, “una cultura della pace e della vita”, coinvolgendo i diversi protagonisti della società civile.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina il titolo “Il nuovo millennio esige che ucraini e polacchi si guardino con occhi riconciliati”: Messaggio di Giovanni Paolo II ai cardinali Glemp, Jaworski e Husar in occasione della commemorazione ufficiale di riconciliazione ucraino-polacca, nel sessantesimo anniversario dei tragici fatti della Volinia.

Sempre in prima, il telegramma di cordoglio del Papa per le vittime del tragico naufragio del traghetto in Bangladesh.

 

Nelle vaticane, una pagina sulla festa di San Benedetto, 11 luglio, patrono d’Europa.

Due pagine dedicate al cammino della Chiesa in Italia, con contributi che illustrano le diverse iniziative pastorali promosse nelle diocesi.

 

Nelle pagine estere, in Iraq non si placano le violenze: uccisi tre soldati statunitensi.

Un articolo sul rapporto dell’Unicef dedicato alle drammatiche condizioni di vita dei bambini in Africa.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Angelo Mundula sulla “buona tavola” nell’antica Roma.

Una monografica sul tema “Le nuove acquisizioni (1980-2003) della Collezione di arte contemporanea dei Musei vaticani”.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano i diversi aspetti della situazione politica.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

10 luglio 2003

 

 

SOMALIA: LE EMERGENZE DI UN PAESE POVERO,

IL LAVORO DELLA CHIESA CATTOLICA

 

- Intervista con mons. Giorgio Bertin -

 

L’assemblea generale della Caritas Internationalis, in corso a Roma fino a sabato 12 luglio, sta tracciando gli orizzonti di impegno dell’organizzazione sullo scenario mondiale per i prossimi anni. Nel segno della globalizzazione della solidarietà, gli oltre 400 delegati stanno componendo il mosaico delle principali urgenze umanitarie, potendo contare sull’esperienza e sulle testimonianze dirette di rappresentanti di quasi tutte le nazioni della terra. Una nazione che sta vivendo una situazione politica e sociale particolarmente complicata, e in determinate zone realmente drammatica, è la Somalia. Lo Stato del corno d’Africa è attraversato da forti spinte disgregatrici, è spesso teatro di violenze e guerriglia, ed è una delle regioni più povere del mondo. Al microfono di Massimo Donaddio, mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e Amministratore apostolico di Mogadiscio, ha tracciato un quadro sintetico del Paese:  

 

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R. – La Somalia del Nord Ovest ha dichiarato la sua indipendenza e si è data il nome di Repubblica del Somaliland. Non è riconosciuta da alcuni, ma il lato positivo è che per lo meno c’è una tranquillità nell’ordine. Una seconda parte della Somalia, la parte Nord-Est, ha una certa unità e un’autorità, anche se non democraticamente eletta. Per il resto rimane preoccupante la situazione del Centro-Sud del Paese, dove purtroppo la società non ha potuto esprimere nessuna forma di autorità unica. In questi giorni però spero si stia concludendo il lungo processo della 14.ma Conferenza di riconciliazione e di pace, che mi auguro riesca a riportare un po’ di ordine.

 

D. – Quali sono, secondo lei, oggi, le priorità da affrontare per migliorare le condizioni di vita della popolazione somala? Che cosa sta facendo la Caritas per questo?

 

R. – La priorità per migliorare la situazione della popolazione somala è proprio quella di un ritorno ad una certa legalità e ad un certo ordine. La Caritas Somalia svolge soprattutto un’azione umanitaria. Nel Somaliland abbiamo fatto qualche lavoro proprio a nome nostro – e lo facciamo ancora – come Caritas. Invece nel Centro-Sud della Somalia le nostre attività sono soprattutto di sostegno a persone e ad organizzazioni che hanno qualche possibilità di lavorare e di raggiungere i più poveri. Perché appunto il problema principale nel Centro-Sud Somalia rimane quello della sicurezza e noi, quindi, con il nostro nome ci potremmo esporre ad attacchi di malintenzionati, soprattutto di persone che utilizzerebbero il nome della religione per degli scopi molto più bassi.

 

D. – Che ruolo gioca in questo momento la Chiesa cattolica in Somalia e a che livello sono i rapporti con la comunità musulmana?

 

R. – La Chiesa in Somalia ufficialmente non c’è. Siamo presenti con individui che sono cristiani. Però, tradizionalmente, la Chiesa aveva un suo ruolo e continua a giocarlo, perché in questi anni abbiamo incontrato tantissimi interlocutori. Il nostro lavoro è quello di dire: “Guardate che la povertà, le malattie sono problemi che toccano tutti gli esseri umani, a prescindere dalla loro religione, dalla loro fede. Noi, che siamo credenti, cerchiamo di collaborare insieme”. 

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L’AFRICA SOGNA IL MODELLO EUROPEO:

PASSA PER MAPUTO IL FUTURO DELL’UNIONE

 

- Con noi, Domenico Quirico -

 

Si è aperto questa mattina a Maputo, in Mozambico, il secondo summit della nuova Unione africana, nata dalle ceneri dell’Oua. Primo provvedimento preso dai leader dei 53 Paesi partecipanti è il reintegro del Madagascar, sospeso per un anno dall’Unione in seguito alla guerra civile. Nei tre giorni del vertice si discuterà anche delle nuove istituzioni africane, il cui modello di riferimento sarà l’Unione europea. Ce lo conferma Domenico Quirico, esperto di questioni africane del quotidiano “La Stampa”, al microfono di Andrea Sarubbi:

 

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R. - Il riferimento all’Europa è esplicito nel progetto dell’Unione africana. Quanto sia possibile questo tipo di imitazione politica è molto difficile dirlo, ed io sono sostanzialmente abbastanza pessimista. Pensiamo, ad esempio, ad alcune delle istituzioni che dovrebbero nascere con l’Unione africana. C’è il problema gigantesco dell’economia, con le possibilità della costruzione di una banca centrale ed il progetto – molto utopistico – una moneta comune. Ma basta guardare alla condizione economica dei vari Paesi dell’Africa, alla loro dipendenza dalle esportazioni delle materie prime, per capire che un progetto di questo genere è estremamente futuribile. Poi ci sono gli enormi problemi dell’integrazione tra i vari leader del Continente: tutta gente che vuole avere ruoli di prima donna e che difficilmente si accontenterà di essere uno dei tanti presidenti di questa Unione.

 

D. – Tra quali Paesi si giocherà principalmente la lotta per la leadership all’interno dell’Unione africana?

 

R. – In Africa, sostanzialmente, ci si muove attraverso 3 protagonisti: il Sudafrica, la Nigeria e la Libia di Gheddafi. Nigeria e Sudafrica sono sostanzialmente i Paesi dotati di maggiori potenzialità economiche: la Nigeria è un gigante petrolifero, il Sudafrica è l’unico Paese africano dotato di una struttura statuale efficiente. Quello di Gheddafi, invece, è un caso un po’ a parte: il colonnello ha deciso di giocare la carta africana dopo essere stato profondamente deluso dai rapporti con i suoi fratelli arabo-musulmani, che ha visto molto litigiosi e poco inclini ad accettare la sua leadership. Fra i tre, credo che sostanzialmente il Sudafrica dovrebbe essere il Paese di maggiore riferimento, anche se in questi anni – in particolare dopo la fine dell’apartheid, da quando Mbeki ha sostituito Mandela – molte ambizioni di Pretoria in politica estera non si sono poi realizzate. Pensiamo, ad esempio, alla fallita mediazione nella guerra dei Grandi Laghi.

 

D. – A proposito di mediazione, tra le novità dell’Unione africana c’è il diritto di ingerenza: in casi gravi, si può intervenire in un Paese con delle forze comuni. Può rappresentare una svolta per l’Africa?

 

R. – Se questa ingerenza umanitaria, effettivamente, fosse in grado di funzionare, probabilmente molte crisi africane – dalla Liberia alla guerra dei Grandi Laghi, in Africa australe – avrebbero avuto un impatto e delle conseguenze molto diverse. Il problema è capire se questo tipo di ingerenza può effettivamente funzionare, perché il diritto deve essere concretizzato da una forza militare che sia in grado di realizzarlo. Ma finora, tutte le volte in cui l’organizzazione per l’unità africana ha cercato di intervenire nei vari conflitti con le proprie forze di intervento, abbiamo assistito a degli autentici disastri. Pensiamo alla Liberia, in cui venne inviata una forza di interposizione totalmente africana: anziché circoscrivere il conflitto, questo contingente è diventato alla fine uno dei suoi protagonisti. La possibilità che questo sistema funzioni è, quindi, estremamente bassa.

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CHIESA E SOCIETA’

10 luglio 2003

 

 

SEVERE CRITICHE DALLA COMECE AGLI ORIENTAMENTI ETICI ADOTTATI

 DALLA COMMISSIONE EUROPEA PER LA RICERCA SULLE CELLULE STAMINALI

 DI EMBRIONI UMANI. I VESCOVI EUROPEI RIBADISCONO IL VALORE DELLA VITA UMANA IN OGNI MOMENTO DEL SUO SVILUPPO 

- A cura di Laura Forzinetti -

 

BRUXELLES. = I vescovi della Comunità europea hanno reagito aspramente agli orientamenti etici adottati dalla Commissione europea per il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali di embrioni umani, ricerca che comporterebbe, in ogni caso, la distruzione degli embrioni. Ribadendo il valore  intrinseco della vita in ogni momento del suo sviluppo, la Commissione degli episcopati della Comunità Europea (Comece) non accetta che le cellule embrionali umane, anche se di pochi giorni, possano essere utilizzate come una qualsiasi materia prima. Si obietta anche che, per quanto un singolo Stato vieti questo tipo di sperimentazioni, tutti i partner comunitari di fatto contribuiscono al budget della ricerca e quindi, indirettamente, consenzienti o no, sovvenzioneranno anche questi particolari studi. Ecco perché, secondo la Comece, meglio sarebbe non ricorrere agli stanziamenti comunitari per questo tipo di ricerca i cui risultati, peraltro, ancora non si intravedono. Il fatto che poi la Commissione riduca il campo di azione della ricerca agli embrioni esistenti prima del 27 giugno 2002, evitando così che ne vengano creati altri appositamente, non risolve il problema etico fondamentale. La Comece si augura ora che il Consiglio europeo non dia il via libera agli orientamenti espressi oggi dalla Commissione.

 

 

NUOVE SPERANZE DI PACE PER BETLEMME. I CRISTIANI GUARDANO CON FIDUCIA

ALLA ROAD MAP, MENTRE RIPRENDONO I CORSI ALL’UNIVERSITÁ

 

BETLEMME. = La cittadina di Betlemme sembra rivedere in questi giorni una speranza di pace e tranquillità. La comunità cristiana e tutta la popolazione è fiduciosa. È il francescano padre Ibrahim Faltas, superiore della basilica della Natività, a commentare all’agenzia Fides gli attuali sviluppi della situazione nella terra natale di Gesù: “Dopo tre anni di violenza e di odio, la gente è stanca. Israeliani e palestinesi sono arrivati al limite della sopportazione: tutti desiderano una vita migliore. La tregua annunciata nel conflitto ha dato uno spiraglio di speranza a cui occorre attaccarsi con tutte le forze. E’ un’occasione di pace che non dobbiamo sciupare”. La gente di Betlemme vede oggi il territorio della città controllato dalla polizia palestinese e non dall’esercito israeliano. Padre Faltas continua: “Siamo fiduciosi verso questo nuovo itinerario di pace tracciato dalla Road Map. Certo la vita è ancora molto difficile perché mancano turisti e pellegrini e la popolazione di Betlemme vive soprattutto di attività commerciali e servizi al turismo. Speriamo che pian piano la situazioni migliori sempre più e si torni alla normalità”. A Betlemme è ripresa anche l’attività universitaria. Fratel Vincent Malham, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, rettore dell’Università di Betlemme, racconta alla Fides: “Quello che stiamo vivendo sembra il primo piccolo passo verso una speranza di pace e di sicurezza che speriamo non venga di nuovo infranta dalla violenza. Anche nel nostro ateneo le attività accademiche sono in ripresa. Abbiamo inaugurato il 7 luglio, i nostri corsi estivi che serviranno agli studenti per recuperare tante lezioni perdute a causa della chiusura forzata dei mesi scorsi. Nel mese di luglio è prevista anche la cerimonia di laurea per alcuni studenti: un altro segno di speranza per la gioventù”. (M.D.)

 

 

IL CARDINALE CASTRILLON HOYOS HA LANCIATO UN APPELLO

 ALLA GUERRIGLIA COLOMBIANA AFFINCHÉ RIPRENDA LE TRATTATIVE

CON IL GOVERNO E PONGA FINE ALLA VIOLENZA

 

BOGOTÀ. = La Chiesa cattolica torna ancora a levare la sua voce in favore della pace in Colombia tra governo e guerriglia. Il cardinale colombiano Dario Castrillon Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero, ha ricevuto dal presidente della repubblica Alvaro Uribe, l’Ordine di San Carlo, la più alta onorificenza concessa dal governo colombiano. Durante la cerimonia, svoltasi lunedì a Bogotà, il porporato ha chiesto ai guerriglieri di tornare al tavolo delle trattative e accettare le proposte di pace del presidente affinché il Paese possa avere un futuro aperto alla speranza. Il cardinale Castrillon Hoyos ha però rilevato alcuni ostacoli. La dirigenza della guerriglia è cambiata: non è possibile attualmente sapere quali sono i suoi obiettivi, né se la violenza continuerà. Il capo dicastero vaticano ha poi parlato della preoccupazione di Giovani Paolo II. “Domanda sempre della Colombia – ha detto il porporato – e chiede che finisca la tortura del Paese, che finiscano i sequestri, che termini questa folle violenza”. (M.A.)

 

 

PRIMO VIAGGIO IN NEPAL DEL NUOVO NUNZIO APOSTOLICO,

MONS. PEDRO LOPEZ QUINTANA. LA VISITA ALLA COMUNITÁ CATTOLICA LOCALE

AL CENTRO DELLA SETTIMANA DEL RAPPRESENTANTE PONTIFICIO

 

KATHMANDU. =  Una visita di una settimana per conoscere il territorio, salutare le autorità, incoraggiare il personale religioso: questo è stato il programma del primo viaggio compiuto, dal 2 all'8 luglio, in Nepal dal nuovo nunzio apostolico  mons. Pedro Lopez Quintana. Arrivato nella capitale Kathmandu, il nunzio ha visitato molte comunità religiose e, sabato 5 luglio, ha celebrato una Messa per i fedeli cattolici nella cattedrale dell'Assunzione. Durante la sua omelia, mons. Lopez Quintana ha ricordato la storia del cristianesimo in Nepal e ha ringraziato le diverse congregazioni religiose maschili e femminili che hanno contribuito alla crescita della comunità. "Il Vangelo può mettere radici solo se ha un incontro proficuo con le culture e le tradizioni dei popoli ai quali è annunciato – ha detto all’omelia mons. Quintana -. Noi non sradichiamo qualcosa con violenza per porvi qualcos'altro. Annunciare Gesù Cristo non è un atto violento, perché la Chiesa proclama la Buona Novella nella sua interezza, ma allo stesso tempo ha rispetto, amore e stima per la cultura e le tradizioni di quanti ascoltano la predicazione". Mons. Lopez Quintana ha sottolineato che "la proclamazione della Buona Novella talvolta è un compito arduo", incoraggiando la comunità locale a perseverare nella fede, la speranza, la carità. La religione ufficiale del regno del Nepal è l'induismo e sono riconosciute ufficialmente altre due religioni: il buddismo e l'islam. La Chiesa si sta adoperando per rendere il cristianesimo una religione riconosciuta. Questo processo potrebbe essere aiutato dagli ottimi rapporti con il re Gyanendra, il quale è stato educato in scuole cattoliche ed è stato alunno dell'attuale prefetto apostolico in Nepal, il gesuita mons. Anthony Sharma. Attualmente vi sono in Nepal circa 6.000 cattolici. La missione del Nepal è stata istituita nel 1983 ed è stata affidata ai gesuiti. Nel 1996 è stata elevata al rango di prefettura apostolica. (M.D.)

 

 

AUMENTANO LE OFFERTE PER “AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE”. 6.200 PROGETTI

IN 127 NAZIONI PER SOSTENERE LE COMUNITÁ CATTOLICHE IN DIFFICOLTÁ.

IL BILANCIO DELL’ANNO 2002 PRESENTATO NELLA SEDE INTERNAZIONALE DELL’ORGANIZZAZIONE A KÖNIGSTEIN

 

KÖNIGSTEIN. = 71,6 milioni di euro per finanziare 6.200 progetti in 127 nazioni di tutti i continenti. Sono i dati di sintesi del bilancio per l’anno 2002 di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (Acs), l’opera di diritto pontificio fondata da padre Werenfried van Straaten che si prefigge di sostenere le comunità ecclesiali sparse nelle regioni della terra ove sono più difficili le condizioni della Chiesa cattolica. Presentato nella sede internazionale di Königstein, il bilancio registra un aumento della media delle offerte rispetto agli ultimi 5 anni. Tra i Paesi che hanno maggiormente contribuito vi sono la Francia, la Germania e la Svizzera, mentre altri incrementi particolarmente significativi sono stati registrati in Brasile, Olanda e Cile. Riguardo ai progetti finanziati da Acs a seguito di richieste presentate dalle diocesi locali, 18,7 milioni di euro hanno sostenuto la Chiesa in Europa Orientale; 12,8 milioni in America Latina; 11 milioni in Asia e 8,1 milioni in Africa. Nell’Europa dell’Est gli aiuti più consistenti sono giunti in Ucraina e in Russia mentre in Bosnia-Erzegovina Acs sta contribuendo al recupero delle strutture religiose danneggiate o distrutte dalla guerra. In Africa particolarmente consistenti sono stati gli aiuti alla Chiesa nella Repubblica Democratica del Congo e in Sudan. Anche nel 2002, Paese “prioritario” in America Latina si conferma Cuba così come, nel continente asiatico, considerevoli aiuti sono giunti in Vietnam, Cina e Myanmar. In Europa Occidentale sono da rilevare le iniziative dedicate soprattutto al sostegno dei monasteri contemplativi, alla pastorale familiare e alla difesa della vita. Dei 6.200 progetti realizzati, ai primi posti sono quelli per l’edilizia religiosa (31,7 per cento), per il sostentamento del clero (16,7 per cento) e per la formazione (15,6 per cento). A seguire si nota il sostegno ai mezzi di comunicazione, la diffusione di pubblicazioni religiose, gli aiuti alle suore, la fornitura di mezzi di trasporto ai missionari e gli aiuti caritativi. (M.D.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

10 luglio 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Affacciamoci sul mondo con la consueta panoramica e andiamo in Medio oriente. Il Dipartimento di Stato americano ha annunciato l’approvazione di un pacchetto di aiuti del valore di venti milioni di dollari destinati all'Autorità Palestinese. Una decisione, quella di Washington, che rappresenta un chiaro segnale di appoggio al nuovo premier palestinese Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen, ed ai suoi tentativi di far avanzare il processo di pace con Israele. Sul fronte politico, il ministro degli esteri israeliano, Shalom, è giunto stamani a Roma. Nel corso della sua visita Shalom incontrerà il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. I rapporti tra Israele ed Unione Europea, quelli bilaterali con l’Italia e la “road map” saranno i temi dei colloqui.

 

Nelle Filippine sei persone sono rimaste uccise oggi per l’esplosione di una bomba avvenuta nei pressi del mercato della città di Koronadal, nell'isola di Mindanao. Nella stessa zona dove stamani è avvenuto l’attentato, a circa mille chilometri a Sud di Manila, lo scorso maggio un’esplosione uccise 13 persone. L’attentato non è stato ancora rivendicato e la polizia filippina sta indagando.

 

In Iran le manifestazioni studentesche, svoltesi ieri a Teheran, hanno lasciato il segno. Migliaia di giovani e automobilisti hanno intasato in serata le strade intorno all'Università, con scontri tra gruppi di giovani e forze antisommossa della polizia. Le Nazioni Unite, intanto, si apprestano a far partire per il Paese un inviato per i diritti umani che dovrà valutare la situazione dopo le proteste studentesche. I disordini, poi rientrati, sono scoppiati dopo che le autorità iraniane hanno arrestato tre studenti. All’origine degli arresti, ci sarebbe la lettera inviata dagli studenti al segretario generale dell'Onu, Kofi Annan. Ce lo conferma il corrispondente Ansa da Teheran, Alberto Zanconato:

 

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R. - Questa è stata proprio l’iniziativa che probabilmente ha portato alla decisione di arrestare questi dirigenti studenteschi. Sono iniziative di cui si è parlato molto durante la conferenza stampa, in cui gli studenti hanno detto praticamente: “Non ci fidiamo più di questo processo di riforme, di queste democratizzazioni promesse dal presidente Khatami. Ora portiamo le nostre richieste di democrazia e di libertà presso le organizzazioni internazionali, a partire dall’Onu”. C’è quindi questo appello forte al segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Si parla di una situazione di apartheid politico e sociale, che è il risultato di una concezione errata della religione. Quindi, parole molto forti, decisamente contro il regime islamico, che il regime appunto non può tollerare.

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Restando in tema di manifestazioni, andiamo ad Hong Kong dove, davanti al parlamento, circa 50 mila persone hanno protestato ieri chiedendo il ritiro di una legge antisovversione che avrebbe minato la democrazia e condotto il territorio autonomo nella più grave crisi politica dopo il ritorno in Cina, avvenuto nel 1997.

 

In Iraq continua purtroppo la drammatica scia di violenza. Due soldati americani sono rimasti uccisi la notte scorsa in due distinti agguati: il primo è avvenuto a Tikrit, città natale di Saddam Hussein,  l’altro  a Mahmudiyah, pochi chilometri a Sud di Baghdad. Un altro militare statunitense è invece morto in seguito alle ferite riportate in un incidente avvenuto a Balad, 75 km a Nord di Baghdad. Per avvicendare i  reparti da più tempo impegnati nel Golfo, il Pentagono sta approntando un piano di rotazione delle truppe presenti in Iraq. Continua intanto il delicato dibattito sulle armi di distruzione di massa irachene. Ascoltiamo in proposito il servizio di Maurizio Pascucci:

 

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Già lo scorso anno erano state smentite precedenti indicazioni, secondo cui Saddam Hussein avrebbe contattato le autorità del Niger per acquistare uranio destinato alla costruzione di ordigni nucleari. Indicazioni, queste, riprese da Bush nel discorso alla nazione del 28 gennaio. E ancora ieri, il presidente ha reiterato la sua convinzione che il regime di Saddam Hussein fosse comunque in possesso di armi di sterminio, armi che tuttora eludono le ricerche degli alleati in Iraq. “Sono sicuro – ha detto Bush - che Saddam Hussein avesse un programma per la realizzazione di armi di distruzione di massa. Immaginate un mondo in cui questo dittatore fosse in possesso di armi nucleari”. “Nel 1998 – ha aggiunto – il mio predecessore attaccò l’Iraq, basandosi sulle stesse indicazioni di intelligence. E nel 2003, dopo che il mondo aveva intimato il suo disarmo, noi abbiamo deciso di disarmarlo”.

 

Maurizio Pascucci, per la Radio Vaticana.

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Il presidente della Convenzione europea, Valery Giscard d'Estaing, ha constatato l'approvazione del testo definitivo della bozza globale della futura costituzione dell’Unione europea. La bozza sarà consegnata il prossimo 18 luglio, a Roma, al presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi e al presidente del consiglio Silvio Berlusconi, rappresentanti della presidenza italiana dell’Unione europea. Nell’ultima versione del documento sono stati inseriti l’inno europeo e la bandiera dell'Unione.

 

Trasferiamoci in Italia, dove sale la tensione nella maggioranza dopo il repentino fallimento della cabina di regia sulle politiche economiche e sociali. Il premier Berlusconi sdrammatizza, ma Alleanza nazionale e l’Unione democristiana e di centro puntano il dito sui continui strappi della Lega. Ed il centrosinistra chiede un chiarimento politico in Parlamento. Il servizio di Giampiero Guadagni:

 

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E’ certamente il momento più difficile per il governo Berlusconi. Per la prima volta in due anni si parla apertamente di crisi. La Lega ha dato tempo al premier fino a lunedì per un nuovo patto, firmato anche da Alleanza Nazionale e Udc. Le parole di Bossi sono chiare: “Se il capitano non dà la rotta, la nave va sugli scogli”. La Lega dunque è pronta ad uscire dal governo. Per il momento Berlusconi minimizza, ma An e Udc sono sempre più insofferenti verso gli alleati leghisti. L’elenco degli scontri negli ultimi giorni è lunghissimo. Dalla mancata cabina di regia sulle politiche economiche, alla riforma della giustizia, fino alle dichiarazioni del sottosegretario leghista al turismo, Stefani, contro i turisti tedeschi, che ha provocato la decisione del cancelliere tedesco Schroeder di annullare le sue vacanze estive in Italia. Per ultimo l’esame del provvedimento sull’indultino, con la plateale contestazione di ieri sera di alcuni deputati del Carroccio, e l’attacco, anche questa mattina, al presidente della Camera, Casini. Per il centro sinistra, se il governo cade si deve tornare a votare, e l’Ulivo chiede che il governo chiarisca la situazione in Parlamento.

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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Continua il viaggio in Africa del presidente americano, George Bush, che stamani è arrivato in Botswana, Paese dove è stato accolto dal presidente Festus Mogae. La lotta all’Aids e lo sviluppo del commercio tra Stati Uniti e Africa, Continente dove il Botswana è uno dei Paesi più stabili politicamente e prosperi economicamente, sono i temi più significativi previsti nell’incontro tra i due Capi di Stato.

 

In Burundi, sui quartieri sud di Bujumbura, continuano a cadere bombe. Le stanno lanciando, dalle colline sopra la città, i ribelli delle Forze nazionali di liberazione, che ieri sono tornati a chiedere le dimissioni del presidente Ndayizeye.

 

Anche in Somalia si registrano, purtroppo, nuovi scontri. I combattimenti più efferati si sono verificati nella regione di Mudug, zona centrale del Paese. Pesante il bilancio delle vittime: almeno 28 persone sono state uccise e altre 65 ferite tra ieri e martedì scorso.

 

Restiamo in Africa, dove si apre oggi in Mozambico, a Maputo, il secondo summit della nuova Unione africana, nata dalle ceneri dell’Organizzazione dell’unità africana (Oua). Nei tre giorni di lavori – a cui partecipano i leader di 53 Paesi – si discuterà principalmente delle nuove istituzioni che dovrebbero rendere questo organismo, per struttura e funzioni, simile all’Unione europea. La speranza è che questi nuovi soggetti consegnino all’Africa programmi in grado di rilanciare l’economia del Continente Nero.

 

 

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