RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 187 - Testo della Trasmissione di domenica 6 luglio 2003

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Difendere la castità è difendere l’amore autentico. Lo ha detto il Papa all’Angelus, in Piazza San Pietro, invitando i giovani a riscoprire la dimensione spirituale durante il periodo di vacanze.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Inaugurata a Graz, in Austria, l’assemblea europea della Conferenza delle religioni per la pace. Intervista con Lisa Palmieri

 

In 65 milioni alle urne, in Messico, per le elezioni parlamentari: ne parliamo con Maurizio Chierici

 

Guerriglia e sfollati, piaghe della Colombia che preoccupano la Chiesa locale: con noi, l’arcivescovo Luis Augusto Castro Quiroga

 

Tra Italia e Somalia una nuova partnership, siglata nel 43.mo anniversario della nascita della Repubblica africana

 

La visione della Croce nell’interpretazione di 24 artisti.  Sosta a Roma, nella Chiesa degli artisti, una mostra itinerante dedicata al simbolo della cristianità.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La condanna della comunità internazionale per il “disumano” attentato terroristico di Mosca

 

In Iraq, una bomba uccide sette poliziotti locali. Tensione tra Usa e Turchia

 

Referendum, in Corsica, per decidere sull’autonomia

 

Tra rigide misure di sicurezza, si svolge oggi la marcia degli orangisti in Irlanda del nord

 

Le vocazioni alla vita religiosa al centro del Congresso europeo dei responsabili della pastorale vocazionale

 

Inizia oggi il Sinodo della Chiesa cattolica della Repubblica Ceca.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

6 luglio 2003

 

       

IL MARTIRIO DI SANTA MARIA GORETTI,

MESSAGGIO AI GIOVANI DI OGGI SUL VALORE DELLA CASTITA’.

LO HA RICORDATO IL PAPA IN PIAZZA SAN PIETRO,

NELL’ULTIMO ANGELUS PRIMA DELLA PARTENZA PER CASTEL GANDOLFO

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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La castità del cuore e del corpo va difesa, perché custodisce l’amore autentico. L’affermazione di Giovanni Paolo II, questa mattina all’Angelus, viene da una storia tragica e luminosa di cento anni fa. Una storia di miseria sociale e umana - sprofondata  nelle paludi della campagna laziale – che offrì la cornice all’episodio, divenuto immortale, del martirio di “Marietta”, Maria Goretti, icona della purezza giovanile. Una virtù che il Pontefice ha invitato tutti, e soprattutto i giovani, a riscoprire insieme alla dimensione spirituale, durante il periodo estivo.

 

Nel Santuario di Nettuno, cittadina in provincia di Roma affacciata sul Tirreno, si concludono oggi le celebrazioni per il centenario della morte della Santa delle Ferriere. E il Papa ha voluto parlare di questa ragazza “fragile, ma cristianamente matura”. Una ragazza portatrice di un messaggio che arriva diretto ai giovani del terzo millennio. “Marietta”, ha affermato il Pontefice, ricorda “che la vera felicità esige coraggio e spirito di sacrificio, rifiuto di ogni compromesso con il male e disposizione a pagare di persona, anche con la morte, la fedeltà a Dio e ai suoi comandamenti”. Un messaggio, ha esclamato, davvero “attuale”:

 

“Oggi si esaltano spesso il piacere, l'egoismo o addirittura l'immoralità, in nome di falsi ideali di libertà e di felicità. Bisogna riaffermare con chiarezza che la purezza del cuore e del corpo va difesa, perché la castità "custodisce" l'amore autentico”.

 

Come ogni virtù, ha osservato Giovanni Paolo II, “la purezza di cuore esige un quotidiano allenamento della volontà e una costante disciplina interiore. Richiede anzitutto l’assiduo ricorso a Dio nella preghiera”. Alla vigilia del suo trasferimento a Castel Gandolfo, per il riposo estivo, il Papa ha invitato i credenti ad approfittare del tempo estivo, libero dalle fatiche lavorative, per sgombrare l’animo dagli affanni e dedicare più spazio all’interiorità:

 

“Le molteplici occupazioni e i ritmi accelerati della vita rendono talora difficile coltivare questa importante dimensione spirituale. Le vacanze estive, però, che per alcuni cominciano proprio in questi giorni, se non vengono ‘bruciate’ nella dissipazione e dal semplice divertimento, possono diventare un'occasione propizia per ridare respiro alla vita interiore”.

 

Molti gli argomenti ricordati e i gruppi salutati dal Papa in varie lingue, al termine dell’Angelus. A partire dalla Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei loro familiari, approvata 13 anni fa dall’Onu. Ricordando con soddisfazione l’importanza di uno strumento legislativo che, ha sottolineato, considera il lavoratore immigrato “una persona unita alla sua famiglia”, Giovanni Paolo II ha colto l’occasione per un appello internazionale:

 

“Auspico che una più vasta adesione degli Stati ne rafforzi l'efficacia affinché, con l’adozione di simili provvedimenti e la costante collaborazione internazionale, il complesso fenomeno delle migrazioni possa svolgersi nella legalità e nel rispetto delle persone e delle famiglie”.

 

L’incoraggiamento del Pontefice ha poi raggiunto anche i rappresentanti di Caritas Internationalis, che animeranno da domani la 17.ma Assemblea generale sul tema “Mondializzare la solidarietà”. E un ringraziamento il Papa lo ha diretto anche ai pellegrini croati di Dubrovnik, presenti in Piazza San Pietro, ricordando “l’indimenticabile ospitalità” riservatagli durante la sua recente visita apostolica nei Balcani.

 

“Arrivederci tutti a Castel Gandolfo!”

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OGGI IN PRIMO PIANO

6 luglio 2003

 

 

VALORI E STRUMENTI PER COSTRUIRE UNA PACIFICA CONVIVENZA IN EUROPA.

A GRAZ, AL VIA L’ASSEMBLEA CONTINENTALE

DELLA CONFERENZA MONDIALE DELLE RELIGIONI PER LA PACE

- Intervista con Lisa Palmieri -

 

“I valori condivisi per la vita comune delle città europee” è il tema su cui si svolgerà, da stamani a mercoledì prossimo, l’Assemblea europea della Conferenza mondiale delle Religioni per la Pace. Sede dell’incontro, la città di Graz, in Austria, eletta capitale europea della cultura 2003. Sull’appuntamento, che vedrà riuniti oltre 300 rappresentanti di tutte le comunità religiose dell’Europa, Adriana Masotti ha intervistato Lisa Palmieri, vice-presidente della sezione europea della Conferenza:

 

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R. - L’Assemblea si chiama progetto “Europa interreligiosa”. Ci sono tre aree principali su cui terremo alcuni workshops, e naturalmente lo scopo di tutto quanto è la convivenza pacifica, creativa, tra le tante comunità religiose in Europa. I temi particolari che tratteremo sono, per prima cosa, l’educazione, la formazione e la cultura. Per seconda, l’identità, i riti, i simboli. Per terza, i media, il linguaggio e l’informazione.

 

D. – Questa Assemblea, dunque, si occuperà della convivenza in Europa. Quali sono oggi, secondo voi, gli ostacoli maggiori per una convivenza davvero pacifica e armoniosa?

 

R. – Naturalmente, c’è la resistenza di tante comunità europee per il “diverso”. Dunque, si parlerà anche del valore che riguarda questa figura e cercheremo di far scoprire il fatto che, in fondo, siamo tutti diversi. Anche se apparteniamo alla stessa comunità religiosa, abbiamo delle identità diverse. E allora non è in gioco solo la tolleranza, ma anche rispetto e apprezzamento per l’altro.

 

D. – Quale contributo possono dare le religioni alla costruzione di un’Europa capace di integrare le diversità?

 

R. – Dobbiamo cercare anzitutto di stabilire che ci sono dei valori che sottoscriviamo  tutti quanti. Nella città di Graz si è organizzato un Convegno degli imam dell’Europa: sono intervenuti in 150 ed hanno fatto una dichiarazione molto bella. Intendiamo appoggiare queste forze, che si mostrano aperte. E vogliamo anche andare avanti con “l’educazione”, la sensibilizzazione dei giornalisti sul come si può scrivere, rapportare i fatti, la verità, in modo da approfondire gli argomenti senza creare manicheismi artificiali. Non importa definire teoricamente dove c’è il bene contro il male, mentre importa cominciare a capire la complessità religiosa e storica di ogni conflitto, tra etnie diverse e comunità religiose diverse, dove sono coinvolte differenti comunità religiose. Mi riferisco, ad esempio, al modo in cui vengono diffuse  le notizie che riguardano il Medio Oriente: se i lettori, le persone che guardano la televisione vengono preparati meglio, allora l’informazione pubblica è più sfumata, capisce meglio i problemi e può collaborare con i politici che devono lavorare per la pace.

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IL MESSICO ALLE URNE ATTENDE CONFERME E RILANCI

DAL NUOVO CORSO DEMOCRATICO

- Intervista con Maurizio Chierici -

 

Domenica di elezioni, in Messico. Circa 65 milioni di persone sono chiamate ad eleggere il nuovo Parlamento. A contendersi i 500 seggi, sono il Partito rivoluzionario istituzionale, ex partito unico, il Partito di azione nazionale del presidente Fox, ed il Partito della rivoluzione democratica: tre formazioni che da altrettanti anni hanno esteso la loro influenza sulle istituzioni messicane del nuovo corso democratico. Ma che tipo di Paese è quello che affronta questa tornata elettorale? Giancarlo la Vella lo ha chiesto a Maurizio Chierici, esperto di America Latina:

 

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R. – Il Messico che si presenta a queste elezioni è il Messico del presidente Fox ma è anche il Messico dove, per la prima volta nella sua storia repubblicana, si sta sperimentando una vera democrazia. Perché il potere non è più in mano solo al Pri, il Partito rivoluzionario istituzionale, ma si è equamente ripartito fra tre partiti: il Pan - che è il partito della destra, di Fox – il Pri, appunto, e il Prd, il Partito della rivoluzione democratica. Quindi, per poter governare, le tre forze sono state costrette a dialogare. Ecco perché sono importanti queste elezioni: perché sono il bilancio dei primi tre anni di una democrazia articolata in Messico.

 

D. – Qual è il bilancio di questa fase di cambiamento?

 

R. – I problemi sono giganteschi. Essendo così vicino agli Stati Uniti, il Messico ne ha molti. Da quelli comuni ai Paesi confinanti con il mondo ricco e quindi contrabbando, traffico di droga, clandestini – circa 6 mila al giorno che varcano il confine Usa in cerca di lavoro. E poi ci sono i vecchi problemi: ad esempio, il problema dell’acqua. Gli Stati Uniti, in virtù di un accordo risalente a 50 anni fa, prendono acqua dal Messico e la pagano ancora come la pagavano mezzo secolo addietro. Situazioni che generano frizioni, quindi, che poi si riflettono anche in altri ambiti, come nel caso dell’astensione del Messico nella guerra contro l’Iraq.

 

D. – Quali sono le novità di queste elezioni?

 

R. – La novità è che le donne, in questo momento, sono in maggioranza rispetto agli uomini e restano tuttora le più penalizzate in tutte e tre le aree del Messico: quello del Nord, di frontiera con gli Stati Uniti, il Messico burocratico delle capitali e il Messico povero del Sud. Dal voto delle donne potranno arrivare sorprese. Teniamo presente, inoltre, che più della metà della popolazione che vota ha meno di 35 anni e ci sono sei milioni di elettori in più negli ultimi tre anni: malgrado l’enorme emigrazione, il Messico continua a crescere.

 

D. – Tra i problemi interni da risolvere, secondo te, c’è ancora quello degli indios del Chiapas, che chiedono un riconoscimento della loro cultura?

 

R. – Sì, perché il Pri che ha governato il Paese per 80 anni, scaricava i protagonisti che erano coinvolti negli scandali, assegnava loro delle terre nel Chiapas e questo rubava spazi agli indios, relegandoli sempre più in una specie di ghetto. E non è che il Pan, il partito di destra, abbia fatto molto contro questo. Certo, la violenza apparente di una volta c’è meno, anche se ci sono ancora rigurgiti.

 

D. – Ritieni che il Messico - ricco com’è di materie prime – abbia ancora uno spazio di miglioramento?

 

R. – Il Messico, ma anche il Brasile, sono tutti Paesi che hanno enormi spazi di miglioramento. Il problema vero è vedere come questo miglioramento possa rispecchiarsi nella politica.

 

D. – Quindi, il rischio è che si produca ricchezza, ma che essa non venga poi ben ridistribuita?

 

R. – Questa è la ricetta del neo-liberismo, dove la ricchezza non è distribuita. Prendiamo il Paese più civile dell’America Latina, il Cile: lì esiste ancora un 30 per cento di società che domina esattamente come l’ha lasciata Pinochet, e un 70 per cento che arranca. E parliamo del Paese che sembra quasi la Svezia dell’America Latina!

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IN COLOMBIA NON SI FERMA LA VIOLENZA DELLA GUERRIGLIA

E RIMANE DRAMMATICA LA SITUAZIONE DI MILIONI DI SFOLLATI.

L’APPRENSIONE DELL’EPISCOPATO LOCALE

- Intervista con mons. Luis Augusto Castro Quiroga -

 

“Non c’e regione in Colombia nella quale la violenza non abbia stabilito il suo tragico e macabro dominio, con le conseguenze che tutti conosciamo: esilio forzato, rovina delle coltivazioni tradizionali, abbandono della terra”. Così il cardinale arcivescovo di Bogotà, Pedro Rubiano Saenz, ha aperto martedì scorso l’Assemblea dell’episcopato colombiano. Profonda la preoccupazione dei vescovi per la crisi del Paese, sconvolto da quarant’anni di guerra civile. Il conflitto tra il governo e i gruppi guerriglieri di ispirazione marxista ha causato più di 300 mila morti e milioni di sfollati, con ripercussioni nella società e nell’economia. E sullo sfondo, il traffico di cocaina, del quale cui la Colombia è il maggior produttore mondiale, che causa continui omicidi e corruzione. La Chiesa cattolica locale cerca di mediare tra governo e guerriglieri. L’episcopato colombiano ha costituito la Commissione di conciliazione nazionale e il presidente della repubblica, Alvaro Uribe, ha coinvolto alcuni esponenti del clero nella comitato che ha il compito di trattare con i guerriglieri. Tra di loro, l’arcivescovo Luis Augusto Castro Quiroga, vicepresidente della conferenza episcopale che, al microfono di Matteo Ambu, spiega i motivi per i quali la Chiesa ricopre questo ruolo nelle trattative:

 

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R. – Sono motivi diversi. Anzitutto, la Chiesa cattolica ha sempre cercato di conservare un’apertura piena con tutti i gruppi, per motivi di evangelizzazione. Essa non può dire: “Ci interessiamo di un settore e tralasciamo l’altro”. Non si è identificata con una sponda, per essere contro l’altra sponda, ma ha cercato di rimanere nel mezzo. Ha così potuto avere la porta aperta da tutte le parti. Un secondo motivo riguarda l’autorità morale che la Chiesa ha in Colombia. Il terzo, è che la Chiesa è presente ovunque, per cui ha possibilità di contatti in ogni luogo del Paese.

 

D. – Però adesso il dialogo si è arrestato. Perché?

 

R. – Da una parte si discuteva, durante il processo di dialogo, di come tale parlare sembrasse condurre alla pace. Dall’altra parte, le azioni della guerriglia restavano terribili, in termini di violenza. Siamo arrivati dunque ad un momento in cui non si è voluto accettare più un dialogo a quelle condizioni, perché attorno ad un tavolo si diceva una cosa, ma poi si agiva in un’altra maniera al di fuori.

 

D. – Le Nazioni Unite possono potenziare il loro ruolo per arrivare alla pace?

 

R. – Il presidente colombiano ha fatto delle richieste specifiche perché le Nazioni Unite aiutassero questo processo. Però, evidentemente, ci sono delle difficoltà. Innanzitutto, il presidente voleva che le Nazioni Unite prendessero il posto dello Stato, del governo stesso, e dialogassero direttamente con la guerriglia. L’Onu, invece, hanno risposto: “No, noi non possiamo prendere il posto dello Stato. Noi possiamo essere dei testimoni di un processo che va avanti. Però gli interlocutori sono sempre i gruppi in guerra e lo Stato”. Anche la guerriglia ha detto di no alle Nazioni Unite, se il suo ruolo era quello dello Stato. Ma non si è opposta alla sua presenza come testimone di eccezione, speciale.

 

D. – Il traffico di stupefacenti che rilevanza ha in quello che adesso sta avvenendo in Colombia?

 

R. – Tutti i gruppi in guerra hanno fatto la scelta della cocaina come principale mezzo di sostentamento delle loro forze. Ecco perché anche lo Stato sapendo questo fa una lotta molto forte contro questa sostanza stupefacente. Senza la cocaina, la guerra non ci sarebbe, non almeno in quelle proporzioni con le quali la vediamo in questo momento.

 

D. – Riguardo ai tanti profughi che questo conflitto sta causando, la Chiesa come li aiuta?

 

R. – Cerca di avere dei programmi speciali per loro. Attraverso la pastorale sociale nazionale e le pastorali sociali diocesane, si portano avanti dei programmi di accoglienza, perché queste persone possano cominciare ad essere autonome. Il secondo punto è aiutare le persone a ritornare ai posti di provenienza, per questo occorre che il luogo da dove provenivano dia delle garanzie di sicurezza. Penso che in questo momento sia la sfida più grande, sociale, che ha la Chiesa qui in Colombia. Stiamo parlando di 3-4 milioni di persone. Direi che più del 50 per cento di queste persone sono bambini, giovani e donne.

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LA NUOVA PARTNERSHIP TRA ITALIA E SOMALIA

PROMOSSA DAL FORUM ITALO-SOMALO IN OCCASIONE DEL 43.MO ANNIVERSARIO

DELLA NASCITA DELLA REPUBBLICA NELLO STATO AFRICANO

- Servizio di Stefano Leszczynski -

 

Quarantatre anni fa, la Repubblica Democratica di Somalia acquistava l’indipendenza, al termine dell’Amministrazione fiduciaria italiana. Per la comunità internazionale, il Paese era avviato allo sviluppo ed al progresso, ma tutte le aspettative furono ampiamente disattese. Oggi la Somalia è nelle mani dei “signori della guerra”, i capoclan che lottano per smembrare la nazione e che hanno ridotto il Paese sul lastrico. Di questa terribile situazione politica ed umanitaria, si è discusso a Roma in occasione del Convegno intitolato “Una nuova partnership italo-somala per la pace e la ricostruzione”, svoltosi alla presenza di alcuni rappresentanti del governo italiano. Il servizio è di Stefano Leszczynski:

 

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Dalla caduta del regime golpista di Siad Barre, nel 1991, la Somalia è un Paese senza Stato in cui comandano i capo-clan ed i più forti tra i signori della guerra. Non ci sono rappresentanze diplomatiche, non esistono al momento referenti ufficiali e l’unica risorsa del Paese sono le rimesse dei numerosi membri della diaspora. Dopo il drammatico fallimento della missione internazionale ‘Restore hope’ sotto l’egida dell’Onu, la situazione umanitaria della Somalia è andata costantemente peggiorando. Oggi, le speranze sono riposte unicamente nella Conferenza di El Doret, in Kenya, tra il governo di transizione ed i gruppi di miliziani, promossa dall’Autorità intergovernativa allo sviluppo Igad. Ma sentiamo la posizione del governo italiano attraverso le parole del sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica:

 

“Vi è un’organizzazione regionale come l’Igad, del Corno d’Africa, che si è assunta la responsabilità della mediazione. Nel processo di pace, sono coinvolti i Paesi confinanti con la Somalia - perché è ovvio ed evidente che in questo momento sul territorio somalo esistono interferenze di Paesi terzi - e il popolo somalo, che in questo momento è rappresentato da 450 esponenti dei vari clan, selezionati in base ad un criterio stabilito dall’Igad, per discutere del futuro della Somalia. Oggi avremmo bisogno di osservatori africani nel Paese per garantire la cessazione delle ostilità ed avremmo bisogno di costruire, insieme ai somali, quelle operazioni di Capacity building di Institutional building di cui la Somalia ha assolutamente bisogno”.

 

La Comunità internazionale ha quindi nuovamente accordato fiducia allo Stato del Corno d’Africa e s’impegna a garantire l’aiuto necessario alla sua ripresa. A condizione però che cessi la guerra civile e parta la ricostruzione istituzionale del Paese. Il commento di mons. Pietro Parolin, sottosegretario vaticano per i Rapporti con gli Stati:

 

“La soluzione sta nelle mani dei somali. Ci vorrà una grande assunzione di responsabilità da parte di tutte le componenti della società somala per arrivare alla pace e arrivare alla ricostruzione del Paese, dilaniato da oltre 13 anni di guerra civile. Naturalmente, una assunzione di responsabilità che dovrà essere accompagnata e favorita dalla comunità internazionale. Credo che in quest’ottica ci sia un vasto campo di forme di cooperazione differenti che dovrà essere esplorato, cercando di appoggiare tutti quegli sforzi che possono essere concretamente posti in essere per risolvere i problemi della Somalia”.

 

La diaspora somala vuole giocare comunque un ruolo determinante nel futuro della Somalia. Sentiamo Angelo Masetti, portavoce del Forum Italia-Somalia:

 

“Bisogna dire che la Somalia è da sempre un “terreno minato” per chi tenti di avviare forme di collaborazione. Molti soggetti si sono proposti in questi ultimi anni come possibili interlocutori in un processo di riconciliazione e si sono poi dimostrati dei millantatori. Noi esuli somali riteniamo di aver dimostrato, in questo periodo, di poter veramente rappresentare un punto di riferimento per questo processo, che riteniamo possa essere lungo ma positivo”.

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L’ARTE E IL MISTERO DELLA CROCE:

A ROMA, UNA MOSTRA NELLA CHIESA DEGLI ARTISTI

- Servizio di Benedetta Capelli -

 

La Croce come segno di conciliazione tra terra e cielo, vita e morte, condanna e redenzione. Nei suoi differenti aspetti, alcuni artisti italiani e stranieri si sono confrontati con questo simbolo e ne è nata una mostra, “Il cammino della Croce”, pensata in omaggio al “Giubileo della Croce” celebrato in Spagna a Carava de La Cruz. Fino al 15 luglio, sarà possibile visitarla nella Chiesa degli artisti di Roma, ma l’allestimento si sposterà lungo la via Francigena, l’antica strada che collegava Canterbury a Roma, per toccare anche Toscana e Marche. Il servizio di Benedetta Capelli:

 

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(musica)

 

Ventiquattro opere di artisti diversi ispirate al tema della Croce, 24 realizzazioni che stupiscono per originalità, intensità e forza espressiva nel pensare questo simbolo. “La Croce è il centro dell’universo, - afferma mons. Frisina, rettore della Chiesa degli artisti di Roma - il punto fermo intorno a cui ruota la storia del mondo e a cui tutti gli uomini possono guardare per comprendere e vivere” e sembra proprio che a questo significato profondo gli artisti si siano ispirati. Ma qual è il senso e lo spirito di questa mostra? Risponde Stefania Severi, curatrice dell’allestimento:

 

“Sta nel cogliere nella diversità delle soluzioni, nella diversità dei materiali e quindi anche della realizzazione il modo i cui ogni artista affronta il tema della Croce in maniera assolutamente individuale e autonoma, mettendo quindi molto di se stesso in ognuna di queste sue opere. C’è chi vede la Croce come momento propedeutico alla Risurrezione, c’è chi invece sottolinea la componente drammatica, c’è chi infine sottolinea il legame con la Madre, il dolore della morte del Figlio e c’è chi ancora preferisce realizzare il simbolo assoluto. E’ in fondo il riflesso della varietà che corrisponde, per ciascuno di noi, ai diversi momenti della nostra vita, in cui l’esperienza della Croce può essere vissuta in una gamma di sfaccettature estremamente ampia”. 

 

Bronzo, legno, plexiglas, gesso, tele trattate secondo tecniche tipiche del ‘600. Attraverso questi materiali gli artisti hanno espresso il loro modo di sentire il Crocifisso, adattandone la forza evocativa alle loro poetiche. Non mancano foglie verdi che rimandano al sangue di Cristo, in linea con la sensibilità verso l’ambiente dell’artista De Gasperi. O l’evocazione della Croce in una composizione di rami di betulla su di un vestito vuoto, segno dell’abbandono della vanità, realizzato per l’occasione dalla costumista Paradiso. Ma c’è un’opera che più di altre nasconde un ospite inatteso. Ancora Stefania Severi:

 

“Si tratta di una struttura molto verticale, un palo della Croce - che poi è l’albero della vita - sulla cui cima c’è il Cristo che però ha staccato un braccio dalla parte orizzontale della Croce per tenderlo verso l’umanità mentre, lungo l’asse verticale, l’umanità stessa si arrampica tendendo le braccia per giungere al Cristo e la figura più vicina al Cristo è quella del Santo Padre. E soprattutto in questo momento - nel quale vediamo il Santo Padre così sofferente e ci colpisce questa sua volontà di continuare, di fare, di donare – io trovo che l’immagine del Cristo che è sul punto di dare la mano al Santo Padre sia una cosa molto commovente”.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

6 luglio 2003

 

                                                                                                            

DURA CONDANNA DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER L’ATTENTATO CHE IERI

A MOSCA HA FATTO 15 MORTI. POTENZIATE LE MISURE DI SICUREZZA DELLA CITTA’

- A cura di Matteo Ambu -

 

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MOSCA. = All’indomani dell’attentato avvenuto a Mosca durante un festival di musica rock, unanimi e sentiti giungono al governo russo il cordoglio e la condanna della comunità internazionale. Stati Uniti, Unione Europea, ma anche i singoli governi di Gran Bretagna, Francia, Italia, Israele e Iran hanno inviato al presidente della Repubblica, Vladimir Putin, messaggi nei quali manifestano la loro vicinanza alle vittime e al dolore delle famiglie. Comune il rigetto dell’atto terroristico, definito in alcuni dei messaggi con i termini di “abominevole” e “disumano”, e ferma la volontà di opporsi al terrorismo. Intanto, a Mosca, il Ministero dell’interno ha disposto il rafforzamento delle misure di sicurezza attraverso la presenza di pattuglie di polizia negli ospedali, nei teatri e nei centri commerciali. L’attentato di ieri ha causato la morte di 15 persone, comprese la due ragazze kamikaze, una delle quali si è scoperto essere cecena. I separatisti del presidente della Repubblica di Cecenia, Aslan Maskhadov, negano però ogni responsabilità. Dietro l’attentato, gli inquirenti moscoviti sospettano dei fondamentalisti islamici legati a Basaiev. Proprio sulla questione cecena ieri, prima dell’attentato, Vladimir Putin aveva fatto un importante annuncio, rendendo noto che il prossimo 5 ottobre si terranno le elezioni presidenziali in Cecenia, destinate a garantire alla repubblica caucasica ampia autonomia all’interno della Federazione russa.

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ANCORA SANGUE IN IRAK. IERI SETTE POLIZIOTTI IRACHENI SONO MORTI A CAUSA DELL’ESPLOSIONE DI UNA BOMBA, MENTRE LA CATTURA DI MILITARI TURCHI PENETRATI NELL’IRAK SETTENTRIONALE HA RESO TESE LE RELAZIONI TRA WASHINGTON E ANKARA

- A cura di Paolo Mastrolilli -

 

NEW YORK. = Nuove violenze hanno colpito l’Iraq e un nuovo attrito è sorto fra gli Stati Uniti e la Turchia. Almeno sette poliziotti iracheni sono morti e circa 40 sono rimasti feriti, quando una bomba è esplosa ieri davanti alla loro sede. Le reclute avevano appena finito un ciclo di addestramento con i militari americani per entrare nelle nuove forze dell’ordine della città di Ramadi, a circa 60 miglia ad ovest di Baghdad. L’attacco forse puntava a colpire gli addestratori oppure a punire le persone che avevano scelto di collaborare con le forze di occupazione. Un’altra crisi invece si è aperta tra Washington e Ankara, dopo la cattura di 11 membri delle forze speciali turche nel nord dell’Iraq, controllato dalla minoranza curda. Secondo fonti di stampa, i militari si trovano nel Paese allo scopo di uccidere il governatore curdo di Kirkuk, la città al centro dei ricchi giacimenti petroliferi della regione settentrionale. Ankara teme che i curdi iracheni cerchino di costruire uno Stato indipendente, minacciando anche l’integrità territoriale dei suoi confini, dove proprio nella zona sud orientale vive un’ampia minoranza curda. La Turchia ha protestato per l’incidente che il segretario di Stato, Powell, ha discusso con il collega di Ankara, Abdullah Gul.

 

 

LA CORSICA OGGI AL REFERENDUM PER DECIDERE SE ACCETTARE L’AUTONOMIA PROPOSTA DAL GOVERNO DI PARIGI. INCERTEZZA SUL RISULTATO DELLE URNE

 

AJACCIO. = Importanti consultazioni elettorali si tengono oggi in Corsica. L’isola francese del Mediterraneo, nel quale da 30 anni si susseguono sanguinosi scontri tra separatisti e forze dell’ordine, è chiamata a decidere con un referendum il suo futuro istituzionale. Attualmente è divisa in due province, Bastia e Ajaccio, che dipendono da Parigi. Il referendum odierno, voluto dal governo, potrebbe permettere alla Corsica di raggiungere l’autonomia e dotarsi di un’assemblea che rappresenti gli interessi di tutta l’isola e legiferi in materia d’ambiente, turismo (grande risorsa economica) e tasse.  Per il governo, un esito positivo della consultazione popolare disinnescherebbe le minacce separatiste. I seggi sono aperti dalle otto di questa mattina, ma sull’esito delle votazioni c’è grande l’incertezza, aumentata in questi giorni dall’arresto di Yvan Colonna, uno dei separatisti corsi più ricercati, da anni latitante, accusato di aver ucciso nel 1988 il prefetto della Corsica, Claude Erignac. (M.A.)

 

 

SI SVOLGE OGGI IN IRLANDA DEL NORD LA MARCIA DEGLI ORANGISTI.

NOTEVOLI LE MISURE DI SICUREZZA PREDISPOSTE DALLA POLIZIA BRITANNICA

 

BELFAST.  = Imponenti misure di sicurezza sono state predisposte oggi in Irlanda del Nord dalle forze dell’ordine britanniche in occasione dell’annuale marcia degli orangisti a Drumcree nella contea di Armagh. Circa duemila poliziotti, che hanno montato come di consueto transenne e organizzato posti di blocco, vigileranno sulla sicurezza di quella che è considerata tra le manifestazioni più importanti degli unionisti, il cui percorso attraversa zone dove la maggioranza della popolazione è nazionalista. La marcia ricorda la vittoria di Guglielmo d’Orange (da qui il termine orangista) sul re cattolico Giacomo II, avvenuta nel 1690 nella battaglia di Boyne. (M.A.)

 

 

LA CURA DELLE VOCAZIONI, UN IMPEGNO CHE COINVOLGE TUTTI I CRISTIANI.

QUESTO L’INVITO CHE GIUNGE DA VARSAVIA, DOVE SONO RIUNITI

I RESPONSABILI EUROPEI DELLA PASTORALE VOCAZIONALE

 

VARSAVIA. = Si conclude oggi a Varsavia la riunione annuale del Servizio europeo per le vocazioni (Evs) e del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). Il tema dell’incontro è stato “L'integrazione di una rinnovata pastorale vocazionale nelle strutture della pastorale ordinaria”. I partecipanti - tra cui figuravano il prefetto per la Congregazione per l’Educazione cattolica, il cardinale Zenon Grocholewski, e il primate di Polonia, il cardinale Józef Glemp - hanno riflettuto sui mezzi attraverso i quali la pastorale vocazionale può coinvolgere tutta la comunità ecclesiale e diventare un ambito del quale ogni fedele ha cura. Proprio in un periodo nel quale rispondere alla chiamata della vita religiosa richiede grande fede e coraggio, l’Europa ha bisogno di evangelizzatori. Per questo, secondo il coordinatore di Evs, Reiner Birkenmeir, occorre che i responsabili e i formatori siano in grado di rinnovare e aggiornare la pastorale vocazionale, così da renderla in grado di fronteggiare i dubbi, le inquietudini e le paure presenti nella società contemporanea. E importante spiegare, per esempio, in cosa consiste il ministero sacerdotale e il servizio da esso reso o l’importanza del celibato. Ma per portare avanti questi progetti – hanno rilevato i partecipanti - è necessario il contributo di tutta la comunità ecclesiale, a cominciare dalle famiglie - invitate a pregare affinché nascano vocazioni - e dalle parrocchie, chiamate ad avere un’attenzione particolare per i loro giovani e a curare la pastorale vocazionale già nel loro ambito. (M.A.)

 

 

I CATTOLICI CECHI DI FRONTE ALLE SFIDE POSTE DA UN PAESE

PRONTO ALL’INGRESSO IN EUROPA. INIZIA OGGI LA PRIMA SESSIONE

DEL SINODO DELLA CHIESA CATTOLICA NELLA REPUBBLICA EST EUROPEA

 

VELEHRAD. = Per la prima volta dalla caduta del Muro di Berlino, i cattolici cechi si ritrovano per riflettere sulla portata del Concilio Vaticano II. Comincia oggi, nel santuario di Velehard, in Moravia, la prima sessione del Sinodo della Chiesa nella Repubblica Ceca. Vescovi, presbiteri, religiosi e laici si ritrovano all’insegna del tema “Non lasciamoci prendere il futuro”  per discutere e confrontarsi sulle sfide lanciate alla Chiesa dai mutamenti politici, sociali ed economici del Paese e della prossima entrata nell’Unione Europea. I lavori, che dureranno tre anni, comprendono tra i diversi temi il dialogo interreligioso, il ruolo dei laici nella Chiesa, l’evangelizzazione, l’apostolato sociale e alcuni ambiti della pastorale: i malati, gli anziani e l’iniziazione cristiana. Spazio particolare riceverà la storia del popolo ceco. L’appuntamento è molto atteso dai tutti i cattolici, come un momento di riorganizzazione e slancio verso il futuro. “La nostra chiesa - ha dichiarato all’agenzia Sir, l’arcivescovo di Olomuc, mons. Jan Graubener - ha perso molto negli anni passati, ma ha fatto vedere che è in grado di affrontare i totalitarismi violenti. Pur ‘modesta’, ha vissuto il mistero della croce e ha preservato una sana pietà popolare, specie mariana. Ma ora ha bisogno di alzare la testa, di avere autocoscienza dei propri valori, di volontà ed entusiasmo per condividere con gli altri il tesoro della fede, di portare il Vangelo nella società. Ma per far questo ha bisogno di una necessaria formazione ed educazione”. (M.A.)

 

 

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