RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 183 - Testo della
Trasmissione di mercoledì 2 luglio 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
La
promozione dell’agricoltura nei Paesi emergenti per lo sradicamento della
povertà e lo sviluppo
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Mons. Sean O’Malley nominato arcivescovo di Boston: positivi i
commenti negli Stati Uniti
Il parlamento portoghese ha votato all’unanimità l’istituzione
del municipio di Fatima
Con il discorso all’Europarlamento del presidente del Consiglio Berlusconi ha avuto inizio oggi il semestre di presidenza italiana all’Unione Europea
Lo storico incontro di ieri tra il premier israeliano Sharon e quello palestinese Abbas riaccende concrete speranze di pace per il Medio Oriente
La tensione in Iraq è sempre altissima: è morto stamani uno dei soldati americani ferito ieri nei pressi di Baghdad
Gli Stati Uniti potrebbero inviare una forza di interposizione in Liberia.
2
luglio 2003
PACE E SICUREZZA PER UGANDA E LIBERIA: E’
L’APPELLO DEL PAPA
ALL’UDIENZA
GENERALE DI STAMANI, INCENTRATA SUL SALMO 145,
INNO
ALLA SOVRANITA’ DI DIO SULLA STORIA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
All’udienza
generale di stamani, l’accorato appello di Giovanni Paolo II in favore delle
popolazioni ugandesi e liberiane, afflitte dalla violenza. La catechesi – in
un’Aula Paolo VI, gremita da ottomila pellegrini - è stata dedicata al salmo
145, primo dei cinque “alleluia”, che chiudono la raccolta del Salterio. Il
servizio di Alessandro Gisotti:
*********
L’Africa che soffre nel cuore di
Giovanni Paolo II. Il Papa ha manifestato, stamani, la sua viva preoccupazione
per le drammatiche vicende di Uganda e Liberia, esprimendo la sua vicinanza
alle Chiese locali e incoraggiando tutti i fedeli ad “essere forti e saldi
nella speranza”.
“Con profonda tristezza seguo le drammatiche
vicende della Liberia e della regione settentrionale dell’Uganda. Faccio
appello all’impegno di tutti affinché quelle care popolazioni africane
ritrovino pace e sicurezza, e non venga loro negato il futuro a cui hanno
diritto”.
Prima dell’appello, il Papa ha commentato il salmo 145,
intitolato “Beato chi spera nel Signore”. Inno sacro, che proclama la sovranità
di Dio sulla storia. Il Santo Padre ha sottolineato come gli uomini non siano
abbandonati a se stessi, e che “le vicende delle nostre giornate non sono
dominate dal caos”.
“Il Signore non è un
sovrano distante dalle sue creature, ma è coinvolto nella loro storia, come
Colui che propugna la giustizia, schierandosi dalla parte degli ultimi, delle
vittime, degli oppressi, degli infelici”.
L’uomo, ha avvertito, si trova di fronte ad una scelta
radicale “tra due possibilità contrastanti”. Da un lato, c’è la “tentazione di
confidare nei potenti”, adottando i loro criteri “ispirati alla malvagità,
all’egoismo e all’orgoglio”. Una strada, ha detto, “scivolosa e fallimentare”,
che ha “come meta la disperazione”. D’altro canto, vi è l’opportunità per
l’uomo di intraprendere la “via della fiducia nel Dio eterno e fedele”.
Ricordando, poi, che l’amen è il verbo ebraico della fede, che significa
“fondarsi sulla solidità incrollabile del Signore”, Giovanni Paolo II ha esortato
tutti i fedeli a seguire lo spirito delle Beatitudini. E’, dunque, necessario
vivere “nell’adesione al volere divino, offrire il pane agli affamati, visitare
i prigionieri, sostenere e confortare i malati”. Ancora, “difendere e
accogliere gli stranieri, dedicarsi ai poveri e ai miseri”. L’udienza generale
di stamani è stata resa particolarmente festosa dalla presenza tra i pellegrini
di un gruppo di indios, che, con i loro tamburi, hanno creato un’atmosfera
insolita per la grande Aula Paolo VI.
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ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Nel
corso della mattinata, Giovanni Paolo II ha ricevuto in udienza l’arcivescovo
André Dupuy, nunzio apostolico nella Repubblica Bolivariana del Venezuela.
Il
Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della
diocesi brasiliana di Guarapuava, presentata da mons. Giovanni Zerbini, per
sopraggiunti limiti di età. Gli succede mons. Antônio Wagner da Silva, finora vescovo coadiutore
della medesima diocesi.
APPLICARE IL PRINCIPIO DELLA
RESPONSABILITA’ COLLETTIVA
PER
SRADICARE LA POVERTA’ DALLE AREE RURALI DEL PIANETA:
COSI’
L’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE, OSSERVATORE PERMANENTE
DELLA SANTA SEDE PRESSO LE NAZIONI UNITE,
NEL
DISCORSO PRONUNCIATO ALL’ECOSOC DI GINEVRA
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Bisogna promuovere un approccio integrato per lo sviluppo
rurale dei Paesi poveri. E’ quanto affermato ieri dall’arcivescovo Celestino
Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle
Nazioni Unite, nel discorso pronunciato all’Ecosoc di Ginevra, il Consiglio
economico e sociale dell’Onu. Il presule ha messo l’accento sulla necessità di
stabilire una solida alleanza per lo sviluppo, che coinvolga organismi
internazionali, governi e società civile. La questione della giustizia, ha
avvertito, deve affermarsi nel mondo economico. Di qui, la necessità del
riconoscimento dell’interdipendenza degli interessi sociali, economici e
politici di tutte le nazioni, sia ricche che in via di sviluppo. In tale
contesto, mons. Migliore ha espresso l’auspicio che vengano attuate una “serie
di generose concessioni economiche e commerciali, senza richiedere la reciprocità,
almeno nel breve periodo”. All’insegna del “principio della responsabilità
collettiva”, ha spiegato, i Paesi ricchi dovrebbero affrontare le difficoltà
delle nazioni povere, come se fossero questioni interne.
Un’alleanza per lo sviluppo, dunque, articolata in punti
ben precisi. Innanzitutto, ha affermato l’osservatore vaticano, vanno
incoraggiate quelle tecnologie, che permettono la crescita della produttività
agricola nel rispetto dell’ambiente. Non meno importante sarà il rafforzamento
di regolamenti internazionali che promuovano l’equità nel commercio globale.
Quindi, la cancellazione del debito estero, che impedisce la crescita delle
economie dei Paesi in via di sviluppo. E, ancora, nuovi investimenti pubblici e
privati nel campo dell’educazione e della salute. L’assistenza economica, ha
constatato il presule, non va considerata solo come un aiuto umanitario, ma
anche come una strategia sociale, volta a migliorare le condizioni di quei
soggetti che costituiscono la forza lavoro nelle aree rurali. Mons. Migliore ha
quindi richiamato la comunità internazionale a rispettare gli impegni presi nei
confronti dei più deboli. Nell’individuazione di un’alleanza per lo sviluppo
tra pubblico e privato, ha concluso, vi è la chiave per sradicare la povertà,
soprattutto nelle regioni rurali del pianeta.
GLI
ATTUALI RAPPORTI FRATERNI TRA LA CHIESA ORTODOSSA E CATTOLICA
FONDAMENTO PER IL PROGRESSO NEL DIALOGO TEOLOGICO
E IL MINISTERO PETRINO
AL CENTRO DEL MESSAGGIO DEL PATRIARCA ECUMENICO DI
COSTANTINOPOLI BARTOLOMEO I AL PAPA
Nonostante che l’unità della
fede non sia ancora raggiunta pienamente, “siamo incoraggiati dai legami di
pace e amore esistenti tra le due Chiese ortodossa e cattolica”. Così inizia il
messaggio rivolto al Papa dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo
I in occasione – come si legge nell’indirizzo di saluto - “della vostra festa patronale di San Pietro,
Capo degli Apostoli”. Sua Santità Bartolomeo I, primo tra pari tra i patriarchi
della Chiesa ortodossa, evidenziando
la comunione raggiunta, la definisce “il fondamento necessario per il progresso
del dialogo teologico” in corso tra le due Chiese. Ed approfondisce la
questione del ministero petrino. Servizio di Carla Cotignoli.
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Il patriarca Bartolomeo I
affronta il ministero di Pietro, secondo la tradizione ortodossa che dà
particolare importanza alla collegialità e alla sinodalità nel governo della
Chiesa, senza disconoscere il ruolo dell’apostolo Pietro. Nel messaggio al
Papa richiama i versetti del Vangelo,
quando Gesù, rivolto a Simone gli dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra
edificherò la mia Chiesa". A cui segue la consegna: “A te darò le chiavi
del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei
cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli”.
Il Patriarca ricorda, nello stesso tempo, che “dopo la Resurrezione, Gesù
conferisce questo stesso potere anche agli altri discepoli”.
Il messaggio richiama il
triplice rinnegamento di Pietro per evidenziare - e qui cita san Paolo - che “la superiorità del potere viene da Dio
e non da noi”. Il Patriarca attinge poi
alle due epistole di Pietro. Ne evidenzia in particolare un passo in cui
l’Apostolo parla di purificazione attraverso l’obbedienza alla verità e lo
spirito di amore fraterno. “E’ di particolare attualità proprio oggi –
sottolinea il Patriarca - quando tutti
noi siamo consapevoli che il cammino separato delle diverse confessioni
cristiane porta ad un vicolo cieco.”
“Rafforzato da questa
esortazione – si legge ancora nel messaggio – noi dichiariamo a vostra Santità
il nostro sincero e fraterno affetto in obbedienza alla verità e il nostro
fervente amore con cuore puro, esprimendo alla stesso tempo l’auspicio che il
Signore possa accordarci, attraverso l’intercessione dell’apostolo Pietro, capo
degli apostoli tra pari”, di
essere “pietre vive per la costruzione dell’edificio spirituale, per un
sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di
Gesù Cristo”.
Ricordiamo che il Papa stesso,
sin dal 1995, nell’enciclica Ut Unum Sint,
proponeva alle altre Chiese di “cercare
insieme le forme nelle quali il ministero petrino possa realizzare un servizio
di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri”. Questione questa affrontata per
la prima volta in un Simposio svolto in Vaticano nel maggio scorso a cui
avevano partecipato anche teologici ortodossi rappresentativi della loro Chiesa
che hanno dato un apporto molto positivo alla richiesta del Papa.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo
"Alle popolazioni della Liberia e dell'Uganda settentrionale non venga
negato il futuro al quale hanno diritto": all'udienza generale il sofferto
appello di Giovanni Paolo II e la testimonianza della sua vicinanza alle Chiese
locali "duramente colpite nelle persone e nelle opere".
Nelle vaticane, la catechesi e
la cronaca dell'udienza generale.
Un articolo di padre Gino
Concetti sul volume di Erminio Lora dedicato ai Concordati della Chiesa
cattolica con gli Stati negli ultimi due secoli.
Una pagina sull'Associazione
"Centro di Spiritualità Santa Maria" di Buenos Aires, che compie
trent'anni di attività.
Nelle pagine estere, riguardo
al Medio Oriente, si sottolinea il positivo esito dell'incontro tra il Primo
Ministro israeliano ed il Premier palestinese.
In Iraq prosegue a ritmo
incalzante la caccia delle truppe Usa ai seguaci di Saddam Hussein.
Un articolo di Giuseppe
Fiorentino sul tema delle migrazioni, "un fenomeno generalizzato che
nessuna legge e nessun Ministro può pensare di bloccare".
Nella pagina culturale, un
contributo di Irene Iarocci in margine alla mostra fotografica di Michael Yamashita
dedicata al viaggio di Marco Polo in Oriente.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica.
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2
luglio 2003
EMERGENZA UMANITARIA, PACE E RICONCILIAZIONE FRA ETIOPIA ED ERITREA
AL CENTRO
DELLE PREOCCUPAZIONI DEI VESCOVI DEI DUE PAESI AFRICANI
Con un appello per la pace e la riconciliazione in Etiopia
ed Eritrea, si è chiusa l’assemblea plenaria dei vescovi cattolici dei due
Paesi del Corno d’Africa, tenutasi in Vaticano dal 23 al 29 giugno. L’episcopato
ha sottolineato con forza l’importanza della propria missione di promozione
della giustizia e della solidarietà, nell’ ambito di un avvicinamento fra le due nazioni, duramente provate da una
guerra che ha provocato migliaia di vittime e molta sofferenza fra la popolazione. Solamente l’unità e il sostegno reciproco
fra le due comunità possono essere, hanno affermato i vescovi, un autentico
segno di testimonianza cristiana, in un momento, ancora una volta,
caratterizzato da gravi difficoltà dovute alla siccità, alla pesante carestia e
alla diffusione implacabile del virus dell’Hiv. Sul ruolo della Conferenza
episcopale che riunisce i vescovi di Etiopia ed Eritrea e sulla situazione
politica ed umanitaria nella regione ascoltiamo il vescovo di Asmara, mons.
Tesfamariam Menghisteab, intervistato da Alessandro Di Bussolo, del Centro
televisivo vaticano:
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R. - Prima dell’indipendenza dell’Eritrea c’era un’unica
Conferenza episcopale, perché l’Etiopia e l’Eritrea si consideravano una nazione
sola. Dopo l’indipendenza si è voluto continuare a rimanere insieme per due
ragioni: primo perché come Chiesa
cattolica non siamo numerosi, quindi è necessario, per aiutarsi, fare gruppo;
secondo, per affermare che per la fede non ci sono confini, e noi siamo uniti
ai vescovi dell’Etiopia, ma siamo anche molto vicini a quelli del Corno d’Africa o dell’Africa orientale.
Ad esempio l’Amecea include vescovi dell’Uganda, del Kenya, del Sudan, della
Somalia, dell’Etiopia, dell’Eritrea, Paesi che sono uniti anche per una
tradizione storica e culturale.
D. - Sono passati 3 anni dalla dichiarazione della fine
del conflitto tra i vostri 2 Paesi. Come è la situazione attuale? C’è veramente
la pace? E cosa fa la Chiesa cattolica per favorire la riconciliazione dei
cuori?
R. - Si può dire che la pace in questi 3 anni è stata
relativa, nel senso che non tutti i problemi sono stati risolti: ad esempio, la
demarcazione dei confini non è stata ancora completata, come pure il ritorno di
coloro che sono emigrati durante la guerra ed altro ancora. Sono presenti le
Nazioni Unite, per mantenere la tregua, e giungere poi ad una pace piena.
Quindi c’è la pace, non c’è guerra, ma allo stesso tempo la pace non è ancora
piena. Sarà piena quando potremo veramente ritrovarci, attraversare i confini,
pregare insieme e cercare anche di far vedere al mondo che veramente questa
guerra è finita.
D. - La carestia colpisce sia l’Eritrea che L’Etiopia,
cosa si può fare per intervenire?
R. - Veramente la situazione nel Paese è molto critica.
L’anno scorso non ha piovuto, quindi non c’è stato nessun raccolto. Prima
dell’anno scorso c’era una guerra veramente brutta che ha costretto tantissima
gente a spostarsi, che ha distrutto tante vite, ma anche tante case e campi.
Quindi la situazione adesso è veramente critica e noi come Chiesa abbiamo fatto
un appello alla fine dell’anno scorso a tutte le Caritas nazionali e diocesane
in Europa e negli Stati Uniti e la risposta è stata abbastanza buona. Per
quanto riguarda la comunità internazionale la risposta è stata molto lenta e
neanche tanto generosa, a dire la verità. Quindi noi vorremmo fare un altro
appello per chiedere al mondo di salvare la vita di circa 2 milioni di persone
che in Eritrea si trovano in una situazione molto grave.
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L’IMPATTO ECONOMICO, SOCIALE,
CULTURALE E POLITICO
DEL FENOMENO MIGRATORIO
EMERSI DAL RAPPORTO MONDIALE SULLE
MIGRAZIONI
In occasione dell’entrata in vigore della Convenzione
internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti ed i
membri delle loro famiglie adottata nel 1990 dall’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite, ieri è stato presentato presso la Sala Stampa Estera di Roma il
Rapporto mondiale sulle migrazioni curato dall’Organizzazione Internazionale
per le Migrazioni (OIM). La ricerca è dedicata alla gestione del fenomeno
migratorio i cui protagonisti sono ormai il 3 per cento della popolazione
mondiale e che coinvolge 175 milioni di persone. Una mobilità in continua
crescita che ha un forte impatto sul piano economico, sociale, culturale e
politico di tutti i Paesi coinvolti. Il servizio è di Stefano Leszczynski.
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Sono
175 milioni i migranti nel mondo, una cifra pari al 3 per cento dell’intera
popolazione mondiale. Negli ultimi 35 anni, il numero dei migranti è
raddoppiato, le previsioni per il futuro parlano di un’ulteriore crescita del
fenomeno. Il commento è di Luca Dall’Oglio, capo missione dell’Oim in Italia.
R. – Il rapporto indica che una risposta unilaterale ad
hoc dei Paesi non sarà sufficiente, o è inadeguata, nel senso che a questa
risposta va sostituito un meccanismo di coordinamento multilaterale con i Paesi
di provenienza.
La migrazione irregolare continua ad essere un problema
grave, soprattutto in relazione ai guadagni miliardari delle organizzazioni
criminali che lo gestiscono. Margherita Boniver, sottosegretario agli Esteri.
R. –
La posizione del governo italiano che riguarda l’immigrazione è quella di dare
accoglienza a tutti, agli stranieri che vogliono venire in Italia per svolgere
una regolare attività di lavoro, e contemporaneamente di contrastare con ogni
mezzo legale l’ingresso di persone che vogliono venire in Italia o per
delinquere o semplicemente in quanto clandestini.
L’Italia
ha stipulato oltre 27 accordi di riammissione – di cui 21 in vigore e 6 in
corso di ratifica - per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina,
premiando i Paesi che collaborano con quote riservate ad ingressi legali, una
pratica considerata soddisfacente, ma che presenta non pochi problemi. Antonio
Golini, docente di demografia presso l’Università La Sapienza.
R. –
Viene sempre citato, giustamente, perché molto positivo, l’accordo con
l’Albania. Ma l’accordo con l’Albania è oneroso, difficile e, quindi, non può
essere generalizzato, perché non ci sono le risorse.
L’immigrazione
rappresenta una risorsa per il Paese che la riceve, ma anche per quello di
origine che beneficia delle rimesse. Ma come gestirla al meglio? Risponde padre
Graziano Battistella dell’Istituto Scalabriniano per le migrazioni.
R. –
Il difficile è proprio trovare quale sia la misura giusta di persone da accogliere
e in che numero. Bisognerebbe mantenere il principio di accogliere persone a
cui si può dare la possibilità di dire “vogliamo rimanere su questo territorio.
Vogliamo rimanerci perché ci troviamo bene”. E non accogliere le persone,
semplicemente per usarle e poi abbandonarle.
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AL FESTIVAL DEI DUE MONDI DI SPOLETO IN SCENA
IL
PROCESSO A GALILEO GALILEI
CON
NOI L’AVVOCATO PAOLA SEVERINO E LO SCIENZIATO ANTONINO ZICHICHI
-
Servizio di A.V. -
A Spoleto la legge da’ spettacolo. In scena “I grandi
processi”, una novità delle ultime edizioni del Festival dei Due Mondi,
attualizzazione teatrale dei grandi casi giudiziari della storia. Il 5 e il 12
luglio alla sbarra gli amanti Paolo e Francesca e il teorico della moderna
democrazia Alexis de Tocqueville. Sabato scorso è stata la volta dello scienziato
Galileo Galilei, colpito dall’Inquisizione nel 1633 per aver propugnato, contro
la credenza geocentrica di Tolomeo,
all’epoca sposata dalla Chiesa, la teoria eliocentrica. Ce ne dà conto
A.V.:
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La Chiesa condannò, la Chiesa riabilita. L’avvocato Paola
Severino, chiamata a difendere nel tribunale di Spoleto Galileo Galilei,
sceglie le stesse parole scritte da Giovanni Paolo II nel 1979 per riscattare
lo scienziato.
“La ritengo una
presa di posizione molto coraggiosa. Ripensare agli errori, ripensare ai dogmi,
vedere che la fede e la ragione sono coniugabili, secondo me, rende la Chiesa
più vicina agli uomini di oggi. E, dunque, io credo che quella di Giovanni
Paolo II sia stata una grande figura, tra l’altro, anche per questo riconoscimento”.
Galilei come Newton, anzi di più. Nell’arringa forbita ed
elegante della Severino, una rivalutazione anche culturale del genio pisano,
delle cui scoperte si appropriarono, senza riconoscerlo, i posteri.
“Io credo che
la cultura italiana si debba attestare nel mondo, vada affermata con grande
forza. Naturalmente non ne parlo in termini di nazionalismo, ma siamo in Europa
e credo che l’Italia abbia dato moltissimo all’Europa e che questo le vada
riconosciuto”.
L’accusa, rappresentata nella finzione teatrale
dall’avvocato Gaetano Pecorella, rintracciava la colpa di Galileo
nell’insinuazione del dubbio, ponendo l’uomo ai margini dell’universo, coi suoi
limiti e i suoi interrogativi. Un difetto o un merito della scienza verso la
Fede, per l’uomo contemporaneo? Il professor Antonino Zichichi, chiamato in
causa come testimone:
“Se non fosse
per Galilei dovremmo rinunciare a credere in qualcosa, perché se dobbiamo oggi
essere sicuri che a reggere il mondo non è il caos, ma una logica rigorosa che
non cambia mai, lo dobbiamo a Galileo
Galilei. Quindi non introduce dubbio, dà certezze. Le certezze della scienza moderna
sono alla base di tutto ciò che possiamo chiamare progresso. Non dobbiamo
dimenticare che Giovanni Paolo II dice: ‘La scienza nasce nell’immanente, ma
porta verso il trascendente’, che è la grande verità dei nostri tempi. Quindi,
Galilei è ‘divin uomo’, come lo definì uno dei cardinali che rifiutarono di
firmare la condanna a Galilei. Uno di questi tre cardinali era il nipote del
Papa, era il più importante cardinale di tutti i tempi”.
La scienza non è dunque colpevole, ieri come oggi:
”Come
mai si confonde la scienza con la tecnica? La tecnica è nel bene e nel male. Se
il pianeta è imbottito di bombe, non è colpa nostra, come pretende la cultura
dominante. E’ colpa della violenza politica. Le emergenze planetarie non sono
responsabilità del progresso scientifico, sono la colpa della violenza economica.
Queste cose, come mai nessuno le dice? Perché a parlare non siamo noi
scienziati, ma coloro che parlano di scienza senza averne mai fatta. Siamo in
pieno oscurantismo. Quindi, dobbiamo fare cultura scientifica, e questa di Spoleto
è un esempio di cultura scientifica”.
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2
luglio 2003
AMPI
CONSENSI NEGLI STATI UNITI PER LA NOMINA DI MONS. SEAN O’MALLEY,
AD ARCIVESCOVO DI BOSTON
- A
cura di Paolo Mastrolilli -
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BOSTON. = “L’intera Chiesa ha sentito il dolore di questo
scandalo e desidera ardentemente il conforto delle famiglie e delle comunità
colpite da questi tristi eventi”. Sono le parole con cui, mons. Sean O’Malley,
chiamato a guidare la diocesi di Boston dopo le dimissioni del cardinale
Bernard Law - avvenute in seguito alla crisi provocata l’anno scorso dagli
abusi commessi da alcuni sacerdoti
- si è presentato alla sua nuova
Chiesa locale. Mons. O’Malley ha subito
chiarito che intende rispettare gli accordi extra giudiziali per compensare le
vittime che ha incontrato già nella sua prima giornata a Boston, perché il
benessere delle persone viene sempre prima dei soldi. Quindi ha detto di
considerarsi privilegiato per il compito che gli è stato affidato nonostante
tutte le difficoltà presenti. Mons. O’Malley è un frate cappuccino con una
reputazione molto solida nella gestione di problemi come quelli che hanno
afflitto Boston. L’ex-sindaco della città, ed ex-ambasciatore americano presso
la Santa Sede, Raymond Flynn, ha detto che il Papa ha fatto la scelta migliore
possibile. Anche le associazioni delle vittime degli abusi hanno riconosciuto
la credibilità del nuovo pastore della diocesi, pur riservandosi il giudizio in
attesa delle sue iniziative. Mons. O’Malley, che ha 59 anni, è stato vescovo di
Fall River, in Massachussettes e di Palm Beach, in Florida: in entrambi i casi
era stato chiamato proprio a risolvere crisi simili a quella di Boston.
Froderick McLisch, avvocato di diverse vittime tanto a Fall River, quanto a Boston,
ha dichiarato che nel Paese non c’era una persona migliore per svolgere questo
compito e cercare di sanare davvero le ferite nell’arcidiocesi.
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PRESENTATA
AL GOVERNO CILENO LA PROPOSTA DELLA CHIESA CATTOLICA LOCALE
PER RISOLVERE I CASI PENDENTI DI VIOLAZIONE
DEI DIRITTI UMANI COMMESSI
DURANTE
LA DITTATURA. PERDONO, VERITÀ E PIENA CHIAREZZA I PRINCIPI ISPIRATORI
SANTIAGO DEL CILE. = La Chiesa cattolica cilena ha
consegnato al presidente della repubblica, Ricardo Lagos, una proposta per
risolvere i casi pendenti di violazione dei diritti umani commessi durante la
dittatura di Augusto Pinochet. La proposta è stata consegnata dall’arcivescovo
di Santiago del Cile, il cardinale Francisco Javier Errazuriz, durante una
riunione svoltasi ieri nella sede del governo, e auspica il perdono come
principio basilare per sanare le ferite del passato. Il porporato ha sostenuto
la necessità della “piena chiarezza” nelle indagini sulle violazioni e ha
auspicato procedure giudiziarie rapide per velocizzare i processi a carico di
circa 200 militari. Durante la riunione, il cardinale Errazuriz ha riaffermato
il diritto delle famiglie delle vittime di sapere la verità riguardo le inumazioni
illegali compiute da ex personale statale alla fine della dittatura. Il
progetto della Chiesa cattolica fa parte di una serie di proposte avanzate anche da parte di diversi settori del mondo
politico, circa le indagini sui delitti
commessi durante la dittatura. (M.A.)
I PRIMI PASSI VERSO AL RICONCILIAZIONE NAZIONALE E
L’INSICUREZZA
DELLE
PROVINCE SETTENTRIONALI. QUESTI I TEMI DEL PRIMO INCONTRO TRA
IL
PRESIDENTE DELLE CONFERENZA EPISCOPALE DELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA
ED IL CAPO DELLO STATO BOZIZÈ, AVVENUTO IERI
NELLA CAPITALE BANGUI
BANGUI.
= Si è svolto ieri nella capitale della Repubblica Centrafricana, Bangui, il
primo incontro tra il capo dello Stato, Francois Bozizé, salito al potere dopo
il colpo di stato che ha deposto Ange Felix Patassè, e il presidente della
locale Conferenza episcopale, mons. Paulin Pomodino. Il presule ha espresso la
preoccupazione della Chiesa per le precarie condizioni di vita della
popolazione a causa degli scontri ancora in corso in alcune zone del Paese.
Nella capitale la situazione si normalizza, ma nelle province settentrionali
bande armate continuano a saccheggiare i centri abitati impunemente. In
particolare Mons. Pomodino ha ricordato la sofferenza della comunità cattolica,
le cui diocesi sono state assaltate e depredate. Il presule ha chiesto a Bosizé
l’intervento immediato delle forze dell’ordine per riportare lo stato di
diritto. Il presule ha infine manifestato il suo apprezzamento per gli sforzi
che si stanno compiendo in favore della riconciliazione nazionale e l’avvio di
un dialogo tra le parti che sino al 15 marzo sono state in lotta. (M.A.)
I
RESPONSABILI DELLA PASTORALE VOCAZIONALE IN EUROPA SI INCONTRANO
DA
OGGI SINO A DOMENICA A VARSAVIA. AL CENTRO DEI LAVORI IL RINNOVAMENTO
DELLA
PASTORALE VOCAZIONALE ATTRAVERSO L’IMPEGNO
DI
TUTTA LA COMUNITÀ ECCLESIALE
VARSAVIA.
= La cura delle vocazioni sacerdotali e religiose è un impegno che tutta la
comunità ecclesiale è chiamata a promuovere. Su questo tema si svolge da oggi
sino a domenica, a Varsavia, l’annuale Congresso vocazionale promosso dal
Servizio europeo per le vocazioni e dal Consiglio delle Conferenze episcopali
d’Europa (CCEE). Il titolo scelto, “L’integrazione di una rinnovata pastorale
vocazionale nelle strutture della pastorale ordinaria”, invita a considerare
pastorale ordinaria e pastorale vocazionale come ambiti complementari: dalle
famiglie cristiane, dalla fede e dalla preghiera dell’intera comunità
ecclesiale nascono le vocazioni sacerdotali e religiose. Al congresso sono
presenti 80 delegati, tra responsabili nazionali degli uffici e dei centri
vocazionali europei e vescovi incaricati della pastorale vocazionale delle
diverse conferenze episcopali. Partecipano, tra i relatori, anche il cardinale
arcivescovo di Varsavia, Józef Glemp, ed il cardinale Zenon Grocholewski,
prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, che guiderà il
pellegrinaggio dei convegnisti a Czestochowa, previsto per sabato. (M.A.)
CONCLUSO
AD ANTIOCHIA IL SIMPOSIO DEDICATO A SAN PAOLO. GRAZIE
AL
COINVOLGIMENTO DELL’UNIVERSITÀ AD ALL’IMPEGNO DELLA PICCOLA COMUNITÀ CRISTIANA,
LA MANIFESTAZIONE HA RICEVUTO AMPIA ATTENZIONE DAI MEDIA
- A
cura di padre Egidio Picucci -
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ANTIOCHIA. = La novità maggiore del simposio sull’apostolo
Paolo, che si è concluso questa mattina ad Antiochia, in Turchia, dopo tre
giorni di dibattito è stata il coinvolgimento dell’università cittadina.
Nell’aula magna della “Mustafà Kemal Universitesi”, professori e studenti hanno
seguito le relazioni degli studiosi turchi e italiani, apprendendo non solo la
vita e le opere dell’apostolo, ma anche l’importanza della loro città per i
cristiani. Hanno così saputo che Antiochia, terza città dell’Impero romano, è
stata la prima in cui i giudeo-cristiani predicarono la buona novella ai greci.
La prima a far conoscere ai neo-cristiani che non dovevano essere sottoposti
alle prescrizioni della legge mosaica, la prima in cui i discepoli furono detti
cristiani e la prima in cui fu preso in considerazione il Vangelo di Pietro, un
apocrifo, che riferisce episodi anteriori a quelli riportati dai Vangeli canonici.
L’ottavo simposio su Paolo è uscito così dalla piccola cronaca di relatori
giunti dall’Italia ed entrata nella storia di una città. Stampa e televisione
ne hanno parlato, rendendo noto quanto la città debba al cristianesimo e ai
pochi cristiani che ci vivono ancora, piccolo gregge protagonista di iniziative
che si impongono all’attenzione di un intero Paese, come appunto il simposio.
Le ultime relazioni si sono soffermate su alcuni brani delle lettere
dell’apostolo. Miniere inesauribili ed insegnamenti che hanno accompagnato e
accompagneranno il non facile cammino della Chiesa in Turchia e nel mondo.
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DAL 1
GENNAIO DEL 2004 FATIMA SI STACCHERÀ DA OURÉM E DIVENTERÀ
UN
MUNICIPIO AUTONOMO. LO HA DECISO ALL’UNANIMITÀ IL PARLAMENTO PORTOGHESE
LISBONA.
= Il parlamento portoghese ha approvato ieri all’unanimità la creazione del
municipio di Fatima. La cittadina riceve il nuovo stato amministrativo 86 anni
dopo la prima apparizione di Maria, avvenuta nel 1917 in quella che allora era
uno spiazzo aperto, conosciuto come Cova de Iria. A partire dal 1 gennaio 2004,
Fatima diventerà autonoma dal municipio di Ourèm, dal quale dipende attualmente.
Il provvedimento concede la giusta considerazione ad una luogo che negli ultimi
trent’anni ha avuto una crescita notevole. Il numero degli abitanti è passato
da 6 a 10 mila, ai quali si sommano circa 20 mila posti letto disponibili per i
pellegrini: attualmente Fatima è più grande di Ourèm. (M.A.)
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2
luglio 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Con un discorso della durata di
30 minuti del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha avuto oggi inizio
il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea. “La mia aspirazione – ha detto Berlusconi -
è che, nel corso della presidenza italiana, si riesca a restituire all’Unione
Europea qualcosa della leggerezza e del suo slancio originario”. Ascoltiamo il
servizio di Gianandrea Garancini:
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Il premier ha sottolineato l’urgenza di dotare l’Unione di
una strategia di politica estera, capace di superare le divisioni interne,
evidenziate nel corso del conflitto iracheno. Sulla Conferenza intergovernativa
per l’adozione della Costituzione europea, Berlusconi ha confermato la volontà
italiana di giungere ad un accordo entro dicembre. La Cig sarà una sfida
politica e dovrà concentrarsi sui molti punti controversi per far convergere le
posizioni degli Stati membri e per dare risposta alla quotidianità dei cittadini.
Silvio Berlusconi, ha poi elencato i punti prioritari per il governo italiano:
rilancio dell’economia attraverso maggiori investimenti pubblici e privati per
le infrastrutture; attenzione per il sociale; ricerca e innovazione
tecnologica; modernizzazione dell’agricoltura; processo di pace nel Mediterraneo;
ambiente e sicurezza alimentare; riforme e armonizzazione dei sistemi
pensionistici, non più sostenibili; misure a favore degli handicappati e lotta
alle discriminazioni. Duplici le reazioni, come nelle attese. Da un lato, la
maggioranza del partito popolare ha espresso piena fiducia. Dall’altra,
critiche anche pesanti alla persona di Berlusconi, piuttosto che al programma,
sono giunte dalla sinistra europea, i cui esponenti vedono nel premier italiano
un pericolo per il futuro del processo di integrazione.
Per Radio Vaticana, Gianandrea
Garancini.
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Si fa
sempre più concreta la speranza di pace in Medio Oriente. Ieri i premier
israeliano e palestinese, Sharon e Abbas, si sono incontrati a Gerusalemme.
Commenti positivi da ambedue le parti sul colloquio che apre ipotesi di
collaborazione per risolvere le questioni in sospeso. Da parte ebraica è stato
detto che ad Arafat sarà consentito di spostarsi da Ramallah, dove è confinato
dal mese di dicembre del 2001. Il servizio di Graziano Motta:
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E’ stato un incontro importante. Sharon ha accolto Abbas
alla presidenza del Consiglio con gli onori riservati ad un capo di Stato ed
entrambi hanno voluto riesprimere, dinanzi a microfoni e telecamere, la volontà
di giungere alla riconciliazione fra i due popoli, ponendo così di fatto la
parola ‘fine’ a 33 mesi di Intifada. Una visione del futuro improntata a
sentimenti di ottimismo e di speranza, quella di Sharon, la promessa che farà
ogni sforzo per un accordo di pace politico, ma anche la ribadita impossibilità
di stabilire la pace se non sarà debellato il terrorismo. Abbas ha invocato una
pace giusta. “Ogni giorno che passa senza un accordo - ha detto - è un giorno
sprecato”. Diverse commissioni, ora, proseguiranno a livello ministeriale il
lavoro di applicazione della ‘Road Map’ in diversi campi, mentre si
delinea la ripresa ai palestinesi dell’assistenza finanziaria degli Stati Uniti.
Di più immediata scadenza il ritiro dei soldati israeliani dalle località
rioccupate di Cisgiordania. Oggi avviene dalla zona di Betlemme, a breve
termine da quella di Ramallah, qui è prevista la fine dell’assedio di Arafat e
il suo trasferimento a Gaza.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Le truppe israeliane dunque, si ritirano oggi da Betlemme,
importante centro palestinese, ma soprattutto sede della basilica della
Natività di Cristo. Che cosa rappresenta il ritorno alla normalità per uno dei
luoghi Santi della cristianità? Roberto Piermarini lo ha chiesto al custode
francescano della basilica, padre Ibrahim Faltas:
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R. – E’ presente almeno un po’ di calma dopo tutto questo
tempo, dal 28 settembre del 2000 fino ad oggi, in cui la situazione è stata
molto drammatica a Betlemme.
D. – Che cosa ha causato questa occupazione per la
popolazione civile?
R.
–Tante distruzioni di case, tanti morti e tanti feriti. Poi, come avete seguito,
anche nella chiesa della Natività sono state uccise otto persone.
D. – Padre Faltas, i pellegrinaggi alla Basilica della
Natività sono proseguiti anche durante l’occupazione?
R. – Veramente non veniva nessuno e la gente stava male,
perché tutti gli abitanti di Betlemme lavorano nel settore turistico. Il
turismo è rimasto bloccato per più di due anni e mezzo. Potete immaginare la
situazione economica di Betlemme, che è molto drammatica.
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Le truppe americane in Iraq hanno lasciato ieri alcune
posizioni nella città di Fallouja, ad ovest di Baghdad, dove si contano otto
morti iracheni nell’esplosione avvenuta in una moschea. La popolazione locale
afferma che l’edificio sia stato colpito da un missile statunitense. Oggi è
morto, a causa delle gravi ferite riportate, uno dei soldati americani che era
rimasto ferito, ieri, durante un attacco contro il convoglio sul quale
viaggiava nei pressi di Bagdad. Episodi, questi, che dimostrano ancora una
volta come la tensione sia sempre altissima nel Paese arabo.
Dopo oltre un mese di detenzione nel carcere di Insein, la
dirigente dell’opposizione birmana, Aung San Suu Kyi è stata trasferita in una
località sconosciuta. Le condizioni in cui il premio Nobel per la pace veniva
reclusa, avevano fatto scattare la protesta delle Nazioni Unite. Il governo
birmano ha sempre dichiarato che Suu Kyi era stata arrestata per “sua stessa sicurezza”.
Almeno 500 mila cittadini di Hong Kong, secondo gli
organizzatori, sono scesi in piazza ieri per protestare contro la proposta di
legge, detta della sicurezza nazionale, che limiterà la libertà di parola e di
stampa. L’ampiezza delle proteste ha offuscato le cerimonie ufficiali
organizzate per festeggiare il sesto anniversario della annessione di Hong Kong
alla Cina. La proposta di legge prevede l'ergastolo per tradimento, secessione
o sovversione ed ha creato forti timori che possa essere usata contro chiunque
non sia gradito all'amministrazione di Hong Kong e alla Cina. E’ davvero così?
Risponde, al microfono di Giada Aquilino, il direttore della pubblicazione ‘Asia
News’, padre Bernardo Cervellera:
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R. - E’ così perché tutti questi tradimenti, secessione,
sovversione, rivelazioni di segreti di Stato ecc, sono tutte le paure che
dominano in Cina. Tung Chee-hwa, il governatore di Hong Kong ha
praticamente riportato in Cina, dietro suggerimento di Pechino, tutti questi
problemi.
D. – Perché proprio ora adottare una legge
anti-sovversione?
R. - Da una parte c’è la Cina che ha bisogno di stabilità
per le trasformazioni economiche, le trasformazioni sociali, la povertà che
cresce assieme alla ricchezza nelle grandi città. La Cina ha timore che Hong
Kong possa essere una specie di miccia che innesca un processo di
trasformazione e di richiesta di democrazia sempre più forte in Cina. Nello
steso tempo bisogna dire che Hong Kong è afflitta da problemi economici
gravissimi.
D. - Che segnale dà il fatto che quella di ieri sia stata
la più grande manifestazione di piazza in Cina dai tempi di Piazza Tien-anmen?
R. – Dà la manifestazione che il popolo cinese, sia quello
in Cina sia quello di Hong Kong, vuole la democrazia.
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Gli Stati Uniti stanno
meditando di inviare una forza di interposizione in Liberia, Paese dove vige
una fragile tregua tra i ribelli del gruppo liberiano per la riconciliazione e
la democrazia e i militari del presidente Taylor. Quest’ultimo, inquisito dal
tribunale dell’Onu per la Sierra Leone con l’accusa di crimini di guerra, avrebbe
ieri rifiutato di dimettersi e di recarsi in asilo politico in Nigeria.
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