RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 183 - Testo della Trasmissione di mercoledì 2 luglio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Appello del Papa per la pace in Liberia e Uganda, questa mattina all’udienza generale incentrata sul salmo che inneggia alla sovranità di Dio sulla storia

 

 I fraterni rapporti tra le Chiese ortodossa e cattolica e il ministero petrino al centro del messaggio del Patriarca Bartolomeo I al Papa

 

 La promozione dell’agricoltura nei Paesi emergenti per lo sradicamento della povertà e lo sviluppo

al centro dell’intervento di mons. Celestino Migliore, Osservatore della Santa Sede al consiglio economico e sociale dell’ONU a Ginevra.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Emergenza umanitaria, pace e riconciliazione fra Etiopia ed Eritrea al centro dell’Assemblea plenaria dei vescovi dei due Paesi conclusa recentemente in Vaticano. Ai nostri microfoni il vescovo di Asmara, Menghisteab Tesfamariam

 

 L’impatto economico, sociale, culturale e politico del fenomeno migratorio emersi dal Rapporto mondiale sulle migrazioni, nelle interviste a Luca Dall’Oglio, Margherita Boniver, Antonio Golini, padre Graziano Battistella

 

Al Festival dei due Mondi di Spoleto in scena “I grandi processi”. Sabato scorso è stata la volta di Galileo Galilei. Interviste con il prof. Antonino Zichichi e l’avv. Paola Severino.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Mons. Sean O’Malley nominato arcivescovo di Boston: positivi i commenti negli Stati Uniti

 

Presentata al governo cileno la proposta della chiesa cattolica locale per la risoluzione delle indagini sui crimini commessi duranti la dittatura

 

Primi colloqui tra i responsabili della Chiesa cattolica della Repubblica centrafricana e il capo dello stato Francis Bozize

 

I responsabili delle pastorali vocazionali europee riuniti a Varsavia per proporre una pastorale delle vocazioni che impegni l’intera comunità ecclesiale

 

Concluso ad Antiochia, in Turchia, il simposio su san Paolo. Grande attenzione da parte dei media locali

 

Il parlamento portoghese ha votato all’unanimità l’istituzione del municipio di Fatima

 

24 ORE NEL MONDO:

 Con il discorso all’Europarlamento del presidente del Consiglio Berlusconi ha avuto inizio oggi il semestre di presidenza italiana all’Unione Europea

 

 Lo storico incontro di ieri tra il premier israeliano Sharon e quello palestinese Abbas riaccende concrete speranze di pace per il Medio Oriente

 

 La tensione in Iraq è sempre altissima: è morto stamani uno dei soldati americani ferito ieri nei pressi di Baghdad

 

Gli Stati Uniti potrebbero inviare una forza di interposizione in Liberia.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

2 luglio 2003

 

 

PACE E SICUREZZA PER UGANDA E LIBERIA: E’ L’APPELLO DEL PAPA

ALL’UDIENZA GENERALE DI STAMANI, INCENTRATA SUL SALMO 145,

INNO ALLA SOVRANITA’ DI DIO SULLA STORIA

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

All’udienza generale di stamani, l’accorato appello di Giovanni Paolo II in favore delle popolazioni ugandesi e liberiane, afflitte dalla violenza. La catechesi – in un’Aula Paolo VI, gremita da ottomila pellegrini - è stata dedicata al salmo 145, primo dei cinque “alleluia”, che chiudono la raccolta del Salterio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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L’Africa che soffre nel cuore di Giovanni Paolo II. Il Papa ha manifestato, stamani, la sua viva preoccupazione per le drammatiche vicende di Uganda e Liberia, esprimendo la sua vicinanza alle Chiese locali e incoraggiando tutti i fedeli ad “essere forti e saldi nella speranza”.

 

“Con profonda tristezza seguo le drammatiche vicende della Liberia e della regione settentrionale dell’Uganda. Faccio appello all’impegno di tutti affinché quelle care popolazioni africane ritrovino pace e sicurezza, e non venga loro negato il futuro a cui hanno diritto”.

 

Prima dell’appello, il Papa ha commentato il salmo 145, intitolato “Beato chi spera nel Signore”. Inno sacro, che proclama la sovranità di Dio sulla storia. Il Santo Padre ha sottolineato come gli uomini non siano abbandonati a se stessi, e che “le vicende delle nostre giornate non sono dominate dal caos”.

 

“Il Signore non è un sovrano distante dalle sue creature, ma è coinvolto nella loro storia, come Colui che propugna la giustizia, schierandosi dalla parte degli ultimi, delle vittime, degli oppressi, degli infelici”.

 

L’uomo, ha avvertito, si trova di fronte ad una scelta radicale “tra due possibilità contrastanti”. Da un lato, c’è la “tentazione di confidare nei potenti”, adottando i loro criteri “ispirati alla malvagità, all’egoismo e all’orgoglio”. Una strada, ha detto, “scivolosa e fallimentare”, che ha “come meta la disperazione”. D’altro canto, vi è l’opportunità per l’uomo di intraprendere la “via della fiducia nel Dio eterno e fedele”. Ricordando, poi, che l’amen è il verbo ebraico della fede, che significa “fondarsi sulla solidità incrollabile del Signore”, Giovanni Paolo II ha esortato tutti i fedeli a seguire lo spirito delle Beatitudini. E’, dunque, necessario vivere “nell’adesione al volere divino, offrire il pane agli affamati, visitare i prigionieri, sostenere e confortare i malati”. Ancora, “difendere e accogliere gli stranieri, dedicarsi ai poveri e ai miseri”. L’udienza generale di stamani è stata resa particolarmente festosa dalla presenza tra i pellegrini di un gruppo di indios, che, con i loro tamburi, hanno creato un’atmosfera insolita per la grande Aula Paolo VI.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattinata, Giovanni Paolo II ha ricevuto in udienza l’arcivescovo André Dupuy, nunzio apostolico nella Repubblica Bolivariana del Venezuela.

 

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi brasiliana di Guarapuava, presentata da mons. Giovanni Zerbini, per sopraggiunti limiti di età. Gli succede mons. Antônio Wagner da Silva, finora vescovo coadiutore della medesima diocesi.

 

 

APPLICARE IL PRINCIPIO DELLA RESPONSABILITA’ COLLETTIVA

PER SRADICARE LA POVERTA’ DALLE AREE RURALI DEL PIANETA:

COSI’ L’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE, OSSERVATORE PERMANENTE

DELLA SANTA SEDE PRESSO LE NAZIONI UNITE,

NEL DISCORSO PRONUNCIATO ALL’ECOSOC DI GINEVRA

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Bisogna promuovere un approccio integrato per lo sviluppo rurale dei Paesi poveri. E’ quanto affermato ieri dall’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel discorso pronunciato all’Ecosoc di Ginevra, il Consiglio economico e sociale dell’Onu. Il presule ha messo l’accento sulla necessità di stabilire una solida alleanza per lo sviluppo, che coinvolga organismi internazionali, governi e società civile. La questione della giustizia, ha avvertito, deve affermarsi nel mondo economico. Di qui, la necessità del riconoscimento dell’interdipendenza degli interessi sociali, economici e politici di tutte le nazioni, sia ricche che in via di sviluppo. In tale contesto, mons. Migliore ha espresso l’auspicio che vengano attuate una “serie di generose concessioni economiche e commerciali, senza richiedere la reciprocità, almeno nel breve periodo”. All’insegna del “principio della responsabilità collettiva”, ha spiegato, i Paesi ricchi dovrebbero affrontare le difficoltà delle nazioni povere, come se fossero questioni interne.

 

Un’alleanza per lo sviluppo, dunque, articolata in punti ben precisi. Innanzitutto, ha affermato l’osservatore vaticano, vanno incoraggiate quelle tecnologie, che permettono la crescita della produttività agricola nel rispetto dell’ambiente. Non meno importante sarà il rafforzamento di regolamenti internazionali che promuovano l’equità nel commercio globale. Quindi, la cancellazione del debito estero, che impedisce la crescita delle economie dei Paesi in via di sviluppo. E, ancora, nuovi investimenti pubblici e privati nel campo dell’educazione e della salute. L’assistenza economica, ha constatato il presule, non va considerata solo come un aiuto umanitario, ma anche come una strategia sociale, volta a migliorare le condizioni di quei soggetti che costituiscono la forza lavoro nelle aree rurali. Mons. Migliore ha quindi richiamato la comunità internazionale a rispettare gli impegni presi nei confronti dei più deboli. Nell’individuazione di un’alleanza per lo sviluppo tra pubblico e privato, ha concluso, vi è la chiave per sradicare la povertà, soprattutto nelle regioni rurali del pianeta.

 

 

GLI ATTUALI RAPPORTI FRATERNI TRA LA CHIESA ORTODOSSA E CATTOLICA

FONDAMENTO PER IL PROGRESSO NEL DIALOGO TEOLOGICO E IL MINISTERO PETRINO

AL CENTRO DEL MESSAGGIO DEL PATRIARCA ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI  BARTOLOMEO I AL PAPA

 

Nonostante che l’unità della fede non sia ancora raggiunta pienamente, “siamo incoraggiati dai legami di pace e amore esistenti tra le due Chiese ortodossa e cattolica”. Così inizia il messaggio rivolto al Papa dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione – come si legge nell’indirizzo di saluto -  “della vostra festa patronale di San Pietro, Capo degli Apostoli”. Sua Santità Bartolomeo I, primo tra pari tra i patriarchi della Chiesa ortodossa,   evidenziando la comunione raggiunta, la definisce “il fondamento necessario per il progresso del dialogo teologico” in corso tra le due Chiese. Ed approfondisce la questione del ministero petrino. Servizio di Carla Cotignoli.

 

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Il patriarca Bartolomeo I affronta il ministero di Pietro, secondo la tradizione ortodossa che dà particolare importanza alla collegialità e alla sinodalità nel governo della Chiesa, senza disconoscere il ruolo dell’apostolo Pietro. Nel messaggio al Papa  richiama i versetti del Vangelo, quando Gesù, rivolto a Simone gli dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa". A cui segue la consegna: “A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli”. Il Patriarca ricorda, nello stesso tempo, che “dopo la Resurrezione, Gesù conferisce questo stesso potere anche agli altri discepoli”.

 

Il messaggio richiama il triplice rinnegamento di Pietro per evidenziare - e qui cita san Paolo -  che “la superiorità del potere viene da Dio e non da noi”. Il Patriarca  attinge poi alle due epistole di Pietro. Ne evidenzia in particolare un passo in cui l’Apostolo parla di purificazione attraverso l’obbedienza alla verità e lo spirito di amore fraterno. “E’ di particolare attualità proprio oggi – sottolinea il Patriarca -  quando tutti noi siamo consapevoli che il cammino separato delle diverse confessioni cristiane porta ad un vicolo cieco.”

 

“Rafforzato da questa esortazione – si legge ancora nel messaggio – noi dichiariamo a vostra Santità il nostro sincero e fraterno affetto in obbedienza alla verità e il nostro fervente amore con cuore puro, esprimendo alla stesso tempo l’auspicio che il Signore possa accordarci, attraverso l’intercessione dell’apostolo Pietro, capo degli apostoli tra  pari”, di essere “pietre vive per la costruzione dell’edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo”.

 

Ricordiamo che il Papa stesso, sin dal 1995, nell’enciclica Ut Unum Sint, proponeva  alle altre Chiese di “cercare insieme le forme nelle quali il ministero petrino possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri”. Questione questa affrontata per la prima volta in un Simposio svolto in Vaticano nel maggio scorso a cui avevano partecipato anche teologici ortodossi rappresentativi della loro Chiesa che hanno dato un apporto molto positivo alla richiesta del Papa.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina il titolo "Alle popolazioni della Liberia e dell'Uganda settentrionale non venga negato il futuro al quale hanno diritto": all'udienza generale il sofferto appello di Giovanni Paolo II e la testimonianza della sua vicinanza alle Chiese locali "duramente colpite nelle persone e nelle opere". 

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

Un articolo di padre Gino Concetti sul volume di Erminio Lora dedicato ai Concordati della Chiesa cattolica con gli Stati negli ultimi due secoli.

Una pagina sull'Associazione "Centro di Spiritualità Santa Maria" di Buenos Aires, che compie trent'anni di attività.

 

Nelle pagine estere, riguardo al Medio Oriente, si sottolinea il positivo esito dell'incontro tra il Primo Ministro israeliano ed il Premier palestinese.

In Iraq prosegue a ritmo incalzante la caccia delle truppe Usa ai seguaci di Saddam Hussein.

Un articolo di Giuseppe Fiorentino sul tema delle migrazioni, "un fenomeno generalizzato che nessuna legge e nessun Ministro può pensare di bloccare".

 

Nella pagina culturale, un contributo di Irene Iarocci in margine alla mostra fotografica di Michael Yamashita dedicata al viaggio di Marco Polo in Oriente. 

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

2 luglio 2003

 

 

 

EMERGENZA UMANITARIA, PACE E  RICONCILIAZIONE FRA ETIOPIA ED ERITREA

AL CENTRO DELLE PREOCCUPAZIONI DEI VESCOVI DEI DUE PAESI AFRICANI

 

Con un appello per la pace e la riconciliazione in Etiopia ed Eritrea, si è chiusa l’assemblea plenaria dei vescovi cattolici dei due Paesi del Corno d’Africa, tenutasi in Vaticano dal 23 al 29 giugno. L’episcopato ha sottolineato con forza l’importanza della propria missione di promozione della giustizia e della solidarietà, nell’ ambito di  un avvicinamento fra le due nazioni, duramente provate da una guerra che ha provocato migliaia di vittime e molta sofferenza fra la popolazione.  Solamente l’unità e il sostegno reciproco fra le due comunità possono essere, hanno affermato i vescovi, un autentico segno di testimonianza cristiana, in un momento, ancora una volta, caratterizzato da gravi difficoltà dovute alla siccità, alla pesante carestia e alla diffusione implacabile del virus dell’Hiv. Sul ruolo della Conferenza episcopale che riunisce i vescovi di Etiopia ed Eritrea e sulla situazione politica ed umanitaria nella regione ascoltiamo il vescovo di Asmara, mons. Tesfamariam Menghisteab, intervistato da Alessandro Di Bussolo, del Centro televisivo vaticano:

 

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R. - Prima dell’indipendenza dell’Eritrea c’era un’unica Conferenza episcopale, perché l’Etiopia e l’Eritrea si consideravano una nazione sola. Dopo l’indipendenza si è voluto continuare a rimanere insieme per due ragioni: primo perché  come Chiesa cattolica non siamo numerosi, quindi è necessario, per aiutarsi, fare gruppo; secondo, per affermare che per la fede non ci sono confini, e noi siamo uniti ai vescovi dell’Etiopia, ma siamo anche molto vicini a quelli  del Corno d’Africa o dell’Africa orientale. Ad esempio l’Amecea include vescovi dell’Uganda, del Kenya, del Sudan, della Somalia, dell’Etiopia, dell’Eritrea, Paesi che sono uniti anche per una tradizione storica e culturale.

 

D. - Sono passati 3 anni dalla dichiarazione della fine del conflitto tra i vostri 2 Paesi. Come è la situazione attuale? C’è veramente la pace? E cosa fa la Chiesa cattolica per favorire la riconciliazione dei cuori?

 

R. - Si può dire che la pace in questi 3 anni è stata relativa, nel senso che non tutti i problemi sono stati risolti: ad esempio, la demarcazione dei confini non è stata ancora completata, come pure il ritorno di coloro che sono emigrati durante la guerra ed altro ancora. Sono presenti le Nazioni Unite, per mantenere la tregua, e giungere poi ad una pace piena. Quindi c’è la pace, non c’è guerra, ma allo stesso tempo la pace non è ancora piena. Sarà piena quando potremo veramente ritrovarci, attraversare i confini, pregare insieme e cercare anche di far vedere al mondo che veramente questa guerra è finita.

 

D. - La carestia colpisce sia l’Eritrea che L’Etiopia, cosa si può fare per intervenire?

 

R. - Veramente la situazione nel Paese è molto critica. L’anno scorso non ha piovuto, quindi non c’è stato nessun raccolto. Prima dell’anno scorso c’era una guerra veramente brutta che ha costretto tantissima gente a spostarsi, che ha distrutto tante vite, ma anche tante case e campi. Quindi la situazione adesso è veramente critica e noi come Chiesa abbiamo fatto un appello alla fine dell’anno scorso a tutte le Caritas nazionali e diocesane in Europa e negli Stati Uniti e la risposta è stata abbastanza buona. Per quanto riguarda la comunità internazionale la risposta è stata molto lenta e neanche tanto generosa, a dire la verità. Quindi noi vorremmo fare un altro appello per chiedere al mondo di salvare la vita di circa 2 milioni di persone che in Eritrea si trovano in una situazione molto grave.

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L’IMPATTO ECONOMICO, SOCIALE, CULTURALE E POLITICO

DEL FENOMENO MIGRATORIO

EMERSI DAL RAPPORTO MONDIALE SULLE MIGRAZIONI

 

In occasione dell’entrata in vigore della Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie adottata nel 1990 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ieri è stato presentato presso la Sala Stampa Estera di Roma il Rapporto mondiale sulle migrazioni curato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). La ricerca è dedicata alla gestione del fenomeno migratorio i cui protagonisti sono ormai il 3 per cento della popolazione mondiale e che coinvolge 175 milioni di persone. Una mobilità in continua crescita che ha un forte impatto sul piano economico, sociale, culturale e politico di tutti i Paesi coinvolti. Il servizio è di Stefano Leszczynski.

 

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Sono 175 milioni i migranti nel mondo, una cifra pari al 3 per cento dell’intera popolazione mondiale. Negli ultimi 35 anni, il numero dei migranti è raddoppiato, le previsioni per il futuro parlano di un’ulteriore crescita del fenomeno. Il commento è di Luca Dall’Oglio, capo missione dell’Oim in Italia.

 

R. – Il rapporto indica che una risposta unilaterale ad hoc dei Paesi non sarà sufficiente, o è inadeguata, nel senso che a questa risposta va sostituito un meccanismo di coordinamento multilaterale con i Paesi di provenienza.

 

La migrazione irregolare continua ad essere un problema grave, soprattutto in relazione ai guadagni miliardari delle organizzazioni criminali che lo gestiscono. Margherita Boniver, sottosegretario agli Esteri.

 

R. – La posizione del governo italiano che riguarda l’immigrazione è quella di dare accoglienza a tutti, agli stranieri che vogliono venire in Italia per svolgere una regolare attività di lavoro, e contemporaneamente di contrastare con ogni mezzo legale l’ingresso di persone che vogliono venire in Italia o per delinquere o semplicemente in quanto clandestini.

 

L’Italia ha stipulato oltre 27 accordi di riammissione – di cui 21 in vigore e 6 in corso di ratifica - per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, premiando i Paesi che collaborano con quote riservate ad ingressi legali, una pratica considerata soddisfacente, ma che presenta non pochi problemi. Antonio Golini, docente di demografia presso l’Università La Sapienza.

 

R. – Viene sempre citato, giustamente, perché molto positivo, l’accordo con l’Albania. Ma l’accordo con l’Albania è oneroso, difficile e, quindi, non può essere generalizzato, perché non ci sono le risorse.

 

L’immigrazione rappresenta una risorsa per il Paese che la riceve, ma anche per quello di origine che beneficia delle rimesse. Ma come gestirla al meglio? Risponde padre Graziano Battistella dell’Istituto Scalabriniano per le migrazioni.

 

R. – Il difficile è proprio trovare quale sia la misura giusta di persone da accogliere e in che numero. Bisognerebbe mantenere il principio di accogliere persone a cui si può dare la possibilità di dire “vogliamo rimanere su questo territorio. Vogliamo rimanerci perché ci troviamo bene”. E non accogliere le persone, semplicemente per usarle e poi abbandonarle.

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AL FESTIVAL DEI DUE MONDI DI SPOLETO IN SCENA

IL PROCESSO A GALILEO GALILEI

CON NOI L’AVVOCATO PAOLA SEVERINO E LO SCIENZIATO ANTONINO ZICHICHI

- Servizio di A.V. -

 

A Spoleto la legge da’ spettacolo. In scena “I grandi processi”, una novità delle ultime edizioni del Festival dei Due Mondi, attualizzazione teatrale dei grandi casi giudiziari della storia. Il 5 e il 12 luglio alla sbarra gli amanti Paolo e Francesca e il teorico della moderna democrazia Alexis de Tocqueville. Sabato scorso è stata la volta dello scienziato Galileo Galilei, colpito dall’Inquisizione nel 1633 per aver propugnato, contro la credenza geocentrica di Tolomeo,  all’epoca sposata dalla Chiesa, la teoria eliocentrica. Ce ne dà conto A.V.:

 

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La Chiesa condannò, la Chiesa riabilita. L’avvocato Paola Severino, chiamata a difendere nel tribunale di Spoleto Galileo Galilei, sceglie le stesse parole scritte da Giovanni Paolo II nel 1979 per riscattare lo scienziato.

 

“La ritengo una presa di posizione molto coraggiosa. Ripensare agli errori, ripensare ai dogmi, vedere che la fede e la ragione sono coniugabili, secondo me, rende la Chiesa più vicina agli uomini di oggi. E, dunque, io credo che quella di Giovanni Paolo II sia stata una grande figura, tra l’altro, anche per questo riconoscimento”.

 

Galilei come Newton, anzi di più. Nell’arringa forbita ed elegante della Severino, una rivalutazione anche culturale del genio pisano, delle cui scoperte si appropriarono, senza riconoscerlo, i posteri.

 

“Io credo che la cultura italiana si debba attestare nel mondo, vada affermata con grande forza. Naturalmente non ne parlo in termini di nazionalismo, ma siamo in Europa e credo che l’Italia abbia dato moltissimo all’Europa e che questo le vada riconosciuto”.

 

L’accusa, rappresentata nella finzione teatrale dall’avvocato Gaetano Pecorella, rintracciava la colpa di Galileo nell’insinuazione del dubbio, ponendo l’uomo ai margini dell’universo, coi suoi limiti e i suoi interrogativi. Un difetto o un merito della scienza verso la Fede, per l’uomo contemporaneo? Il professor Antonino Zichichi, chiamato in causa come testimone:

 

“Se non fosse per Galilei dovremmo rinunciare a credere in qualcosa, perché se dobbiamo oggi essere sicuri che a reggere il mondo non è il caos, ma una logica rigorosa che non cambia mai, lo dobbiamo a  Galileo Galilei. Quindi non introduce dubbio, dà certezze. Le certezze della scienza moderna sono alla base di tutto ciò che possiamo chiamare progresso. Non dobbiamo dimenticare che Giovanni Paolo II dice: ‘La scienza nasce nell’immanente, ma porta verso il trascendente’, che è la grande verità dei nostri tempi. Quindi, Galilei è ‘divin uomo’, come lo definì uno dei cardinali che rifiutarono di firmare la condanna a Galilei. Uno di questi tre cardinali era il nipote del Papa, era il più importante cardinale di tutti i tempi”.

 

La scienza non è dunque colpevole, ieri come oggi:

 

”Come mai si confonde la scienza con la tecnica? La tecnica è nel bene e nel male. Se il pianeta è imbottito di bombe, non è colpa nostra, come pretende la cultura dominante. E’ colpa della violenza politica. Le emergenze planetarie non sono responsabilità del progresso scientifico, sono la colpa della violenza economica. Queste cose, come mai nessuno le dice? Perché a parlare non siamo noi scienziati, ma coloro che parlano di scienza senza averne mai fatta. Siamo in pieno oscurantismo. Quindi, dobbiamo fare cultura scientifica, e questa di Spoleto è un esempio di cultura scientifica”.

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CHIESA E SOCIETA’

2 luglio 2003

 

 

 

AMPI CONSENSI NEGLI STATI UNITI PER LA NOMINA DI MONS. SEAN O’MALLEY,

AD  ARCIVESCOVO DI BOSTON

- A cura di Paolo Mastrolilli -

 

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BOSTON. = “L’intera Chiesa ha sentito il dolore di questo scandalo e desidera ardentemente il conforto delle famiglie e delle comunità colpite da questi tristi eventi”. Sono le parole con cui, mons. Sean O’Malley, chiamato a guidare la diocesi di Boston dopo le dimissioni del cardinale Bernard Law - avvenute in seguito alla crisi provocata l’anno scorso dagli abusi commessi da alcuni sacerdoti  -  si è presentato alla sua nuova Chiesa locale.  Mons. O’Malley ha subito chiarito che intende rispettare gli accordi extra giudiziali per compensare le vittime che ha incontrato già nella sua prima giornata a Boston, perché il benessere delle persone viene sempre prima dei soldi. Quindi ha detto di considerarsi privilegiato per il compito che gli è stato affidato nonostante tutte le difficoltà presenti. Mons. O’Malley è un frate cappuccino con una reputazione molto solida nella gestione di problemi come quelli che hanno afflitto Boston. L’ex-sindaco della città, ed ex-ambasciatore americano presso la Santa Sede, Raymond Flynn, ha detto che il Papa ha fatto la scelta migliore possibile. Anche le associazioni delle vittime degli abusi hanno riconosciuto la credibilità del nuovo pastore della diocesi, pur riservandosi il giudizio in attesa delle sue iniziative. Mons. O’Malley, che ha 59 anni, è stato vescovo di Fall River, in Massachussettes e di Palm Beach, in Florida: in entrambi i casi era stato chiamato proprio a risolvere crisi simili a quella di Boston. Froderick McLisch, avvocato di diverse vittime tanto a Fall River, quanto a Boston, ha dichiarato che nel Paese non c’era una persona migliore per svolgere questo compito e cercare di sanare davvero le ferite nell’arcidiocesi.

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PRESENTATA AL GOVERNO CILENO LA PROPOSTA DELLA CHIESA CATTOLICA LOCALE

 PER RISOLVERE I CASI PENDENTI DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI COMMESSI

DURANTE LA DITTATURA. PERDONO, VERITÀ E PIENA CHIAREZZA I PRINCIPI ISPIRATORI

 

SANTIAGO DEL CILE. = La Chiesa cattolica cilena ha consegnato al presidente della repubblica, Ricardo Lagos, una proposta per risolvere i casi pendenti di violazione dei diritti umani commessi durante la dittatura di Augusto Pinochet. La proposta è stata consegnata dall’arcivescovo di Santiago del Cile, il cardinale Francisco Javier Errazuriz, durante una riunione svoltasi ieri nella sede del governo, e auspica il perdono come principio basilare per sanare le ferite del passato. Il porporato ha sostenuto la necessità della “piena chiarezza” nelle indagini sulle violazioni e ha auspicato procedure giudiziarie rapide per velocizzare i processi a carico di circa 200 militari. Durante la riunione, il cardinale Errazuriz ha riaffermato il diritto delle famiglie delle vittime di sapere la verità riguardo le inumazioni illegali compiute da ex personale statale alla fine della dittatura. Il progetto della Chiesa cattolica fa parte di una serie di proposte avanzate  anche da parte di diversi settori del mondo politico, circa le indagini sui  delitti commessi durante la dittatura. (M.A.)

 

 

I PRIMI PASSI VERSO AL RICONCILIAZIONE NAZIONALE E L’INSICUREZZA

DELLE PROVINCE SETTENTRIONALI. QUESTI I TEMI DEL PRIMO INCONTRO TRA

IL PRESIDENTE DELLE CONFERENZA EPISCOPALE DELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA

 ED IL CAPO DELLO STATO BOZIZÈ, AVVENUTO IERI NELLA CAPITALE BANGUI

 

BANGUI. = Si è svolto ieri nella capitale della Repubblica Centrafricana, Bangui, il primo incontro tra il capo dello Stato, Francois Bozizé, salito al potere dopo il colpo di stato che ha deposto Ange Felix Patassè, e il presidente della locale Conferenza episcopale, mons. Paulin Pomodino. Il presule ha espresso la preoccupazione della Chiesa per le precarie condizioni di vita della popolazione a causa degli scontri ancora in corso in alcune zone del Paese. Nella capitale la situazione si normalizza, ma nelle province settentrionali bande armate continuano a saccheggiare i centri abitati impunemente. In particolare Mons. Pomodino ha ricordato la sofferenza della comunità cattolica, le cui diocesi sono state assaltate e depredate. Il presule ha chiesto a Bosizé l’intervento immediato delle forze dell’ordine per riportare lo stato di diritto. Il presule ha infine manifestato il suo apprezzamento per gli sforzi che si stanno compiendo in favore della riconciliazione nazionale e l’avvio di un dialogo tra le parti che sino al 15 marzo sono state in lotta. (M.A.)

 

 

I RESPONSABILI DELLA PASTORALE VOCAZIONALE IN EUROPA SI INCONTRANO

DA OGGI SINO A DOMENICA A VARSAVIA. AL CENTRO DEI LAVORI IL RINNOVAMENTO

DELLA PASTORALE VOCAZIONALE ATTRAVERSO L’IMPEGNO

DI TUTTA LA COMUNITÀ ECCLESIALE

 

VARSAVIA. = La cura delle vocazioni sacerdotali e religiose è un impegno che tutta la comunità ecclesiale è chiamata a promuovere. Su questo tema si svolge da oggi sino a domenica, a Varsavia, l’annuale Congresso vocazionale promosso dal Servizio europeo per le vocazioni e dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE). Il titolo scelto, “L’integrazione di una rinnovata pastorale vocazionale nelle strutture della pastorale ordinaria”, invita a considerare pastorale ordinaria e pastorale vocazionale come ambiti complementari: dalle famiglie cristiane, dalla fede e dalla preghiera dell’intera comunità ecclesiale nascono le vocazioni sacerdotali e religiose. Al congresso sono presenti 80 delegati, tra responsabili nazionali degli uffici e dei centri vocazionali europei e vescovi incaricati della pastorale vocazionale delle diverse conferenze episcopali. Partecipano, tra i relatori, anche il cardinale arcivescovo di Varsavia, Józef Glemp, ed il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, che guiderà il pellegrinaggio dei convegnisti a Czestochowa, previsto per sabato. (M.A.)

 

 

CONCLUSO AD ANTIOCHIA IL SIMPOSIO DEDICATO A SAN PAOLO. GRAZIE

AL COINVOLGIMENTO DELL’UNIVERSITÀ AD ALL’IMPEGNO DELLA PICCOLA COMUNITÀ CRISTIANA, LA MANIFESTAZIONE HA RICEVUTO AMPIA ATTENZIONE DAI MEDIA

- A cura di padre Egidio Picucci -

 

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ANTIOCHIA. = La novità maggiore del simposio sull’apostolo Paolo, che si è concluso questa mattina ad Antiochia, in Turchia, dopo tre giorni di dibattito è stata il coinvolgimento dell’università cittadina. Nell’aula magna della “Mustafà Kemal Universitesi”, professori e studenti hanno seguito le relazioni degli studiosi turchi e italiani, apprendendo non solo la vita e le opere dell’apostolo, ma anche l’importanza della loro città per i cristiani. Hanno così saputo che Antiochia, terza città dell’Impero romano, è stata la prima in cui i giudeo-cristiani predicarono la buona novella ai greci. La prima a far conoscere ai neo-cristiani che non dovevano essere sottoposti alle prescrizioni della legge mosaica, la prima in cui i discepoli furono detti cristiani e la prima in cui fu preso in considerazione il Vangelo di Pietro, un apocrifo, che riferisce episodi anteriori a quelli riportati dai Vangeli canonici. L’ottavo simposio su Paolo è uscito così dalla piccola cronaca di relatori giunti dall’Italia ed entrata nella storia di una città. Stampa e televisione ne hanno parlato, rendendo noto quanto la città debba al cristianesimo e ai pochi cristiani che ci vivono ancora, piccolo gregge protagonista di iniziative che si impongono all’attenzione di un intero Paese, come appunto il simposio. Le ultime relazioni si sono soffermate su alcuni brani delle lettere dell’apostolo. Miniere inesauribili ed insegnamenti che hanno accompagnato e accompagneranno il non facile cammino della Chiesa in Turchia e nel mondo.

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DAL 1 GENNAIO DEL 2004 FATIMA SI STACCHERÀ DA OURÉM E DIVENTERÀ

UN MUNICIPIO AUTONOMO. LO HA DECISO ALL’UNANIMITÀ IL PARLAMENTO PORTOGHESE

 

LISBONA. = Il parlamento portoghese ha approvato ieri all’unanimità la creazione del municipio di Fatima. La cittadina riceve il nuovo stato amministrativo 86 anni dopo la prima apparizione di Maria, avvenuta nel 1917 in quella che allora era uno spiazzo aperto, conosciuto come Cova de Iria. A partire dal 1 gennaio 2004, Fatima diventerà autonoma dal municipio di Ourèm, dal quale dipende attualmente. Il provvedimento concede la giusta considerazione ad una luogo che negli ultimi trent’anni ha avuto una crescita notevole. Il numero degli abitanti è passato da 6 a 10 mila, ai quali si sommano circa 20 mila posti letto disponibili per i pellegrini: attualmente Fatima è più grande di Ourèm. (M.A.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

2 luglio 2003

 

 

  

 - A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Con un discorso della durata di 30 minuti del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha avuto oggi inizio il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea. La mia aspirazione – ha detto Berlusconi - è che, nel corso della presidenza italiana, si riesca a restituire all’Unione Europea qualcosa della leggerezza e del suo slancio originario”. Ascoltiamo il servizio di Gianandrea Garancini:

 

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Il premier ha sottolineato l’urgenza di dotare l’Unione di una strategia di politica estera, capace di superare le divisioni interne, evidenziate nel corso del conflitto iracheno. Sulla Conferenza intergovernativa per l’adozione della Costituzione europea, Berlusconi ha confermato la volontà italiana di giungere ad un accordo entro dicembre. La Cig sarà una sfida politica e dovrà concentrarsi sui molti punti controversi per far convergere le posizioni degli Stati membri e per dare risposta alla quotidianità dei cittadini. Silvio Berlusconi, ha poi elencato i punti prioritari per il governo italiano: rilancio dell’economia attraverso maggiori investimenti pubblici e privati per le infrastrutture; attenzione per il sociale; ricerca e innovazione tecnologica; modernizzazione dell’agricoltura; processo di pace nel Mediterraneo; ambiente e sicurezza alimentare; riforme e armonizzazione dei sistemi pensionistici, non più sostenibili; misure a favore degli handicappati e lotta alle discriminazioni. Duplici le reazioni, come nelle attese. Da un lato, la maggioranza del partito popolare ha espresso piena fiducia. Dall’altra, critiche anche pesanti alla persona di Berlusconi, piuttosto che al programma, sono giunte dalla sinistra europea, i cui esponenti vedono nel premier italiano un pericolo per il futuro del processo di integrazione.

 

Per Radio Vaticana, Gianandrea Garancini.

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Si fa sempre più concreta la speranza di pace in Medio Oriente. Ieri i premier israeliano e palestinese, Sharon e Abbas, si sono incontrati a Gerusalemme. Commenti positivi da ambedue le parti sul colloquio che apre ipotesi di collaborazione per risolvere le questioni in sospeso. Da parte ebraica è stato detto che ad Arafat sarà consentito di spostarsi da Ramallah, dove è confinato dal mese di dicembre del 2001. Il servizio di Graziano Motta:

 

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E’ stato un incontro importante. Sharon ha accolto Abbas alla presidenza del Consiglio con gli onori riservati ad un capo di Stato ed entrambi hanno voluto riesprimere, dinanzi a microfoni e telecamere, la volontà di giungere alla riconciliazione fra i due popoli, ponendo così di fatto la parola ‘fine’ a 33 mesi di Intifada. Una visione del futuro improntata a sentimenti di ottimismo e di speranza, quella di Sharon, la promessa che farà ogni sforzo per un accordo di pace politico, ma anche la ribadita impossibilità di stabilire la pace se non sarà debellato il terrorismo. Abbas ha invocato una pace giusta. “Ogni giorno che passa senza un accordo - ha detto - è un giorno sprecato”. Diverse commissioni, ora, proseguiranno a livello ministeriale il lavoro di applicazione della ‘Road Map’ in diversi campi, mentre si delinea la ripresa ai palestinesi dell’assistenza finanziaria degli Stati Uniti. Di più immediata scadenza il ritiro dei soldati israeliani dalle località rioccupate di Cisgiordania. Oggi avviene dalla zona di Betlemme, a breve termine da quella di Ramallah, qui è prevista la fine dell’assedio di Arafat e il suo trasferimento a Gaza.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Le truppe israeliane dunque, si ritirano oggi da Betlemme, importante centro palestinese, ma soprattutto sede della basilica della Natività di Cristo. Che cosa rappresenta il ritorno alla normalità per uno dei luoghi Santi della cristianità? Roberto Piermarini lo ha chiesto al custode francescano della basilica, padre Ibrahim Faltas:

 

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R. – E’ presente almeno un po’ di calma dopo tutto questo tempo, dal 28 settembre del 2000 fino ad oggi, in cui la situazione è stata molto drammatica a Betlemme.

 

D. – Che cosa ha causato questa occupazione per la popolazione civile?

 

R. –Tante distruzioni di case, tanti morti e tanti feriti. Poi, come avete seguito, anche nella chiesa della Natività sono state uccise otto persone.

 

D. – Padre Faltas, i pellegrinaggi alla Basilica della Natività sono proseguiti anche durante l’occupazione?

 

R. – Veramente non veniva nessuno e la gente stava male, perché tutti gli abitanti di Betlemme lavorano nel settore turistico. Il turismo è rimasto bloccato per più di due anni e mezzo. Potete immaginare la situazione economica di Betlemme, che è molto drammatica.

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Le truppe americane in Iraq hanno lasciato ieri alcune posizioni nella città di Fallouja, ad ovest di Baghdad, dove si contano otto morti iracheni nell’esplosione avvenuta in una moschea. La popolazione locale afferma che l’edificio sia stato colpito da un missile statunitense. Oggi è morto, a causa delle gravi ferite riportate, uno dei soldati americani che era rimasto ferito, ieri, durante un attacco contro il convoglio sul quale viaggiava nei pressi di Bagdad. Episodi, questi, che dimostrano ancora una volta come la tensione sia sempre altissima nel Paese arabo.

 

Dopo oltre un mese di detenzione nel carcere di Insein, la dirigente dell’opposizione birmana, Aung San Suu Kyi è stata trasferita in una località sconosciuta. Le condizioni in cui il premio Nobel per la pace veniva reclusa, avevano fatto scattare la protesta delle Nazioni Unite. Il governo birmano ha sempre dichiarato che Suu Kyi era stata arrestata per “sua stessa sicurezza”.

 

Almeno 500 mila cittadini di Hong Kong, secondo gli organizzatori, sono scesi in piazza ieri per protestare contro la proposta di legge, detta della sicurezza nazionale, che limiterà la libertà di parola e di stampa. L’ampiezza delle proteste ha offuscato le cerimonie ufficiali organizzate per festeggiare il sesto anniversario della annessione di Hong Kong alla Cina. La proposta di legge prevede l'ergastolo per tradimento, secessione o sovversione ed ha creato forti timori che possa essere usata contro chiunque non sia gradito all'amministrazione di Hong Kong e alla Cina. E’ davvero così? Risponde, al microfono di Giada Aquilino, il direttore della pubblicazione ‘Asia News’, padre Bernardo Cervellera:

 

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R. - E’ così perché tutti questi tradimenti, secessione, sovversione, rivelazioni di segreti di Stato ecc, sono tutte le paure che dominano in Cina. Tung Chee-hwa, il governatore di Hong Kong ha praticamente riportato in Cina, dietro suggerimento di Pechino, tutti questi problemi.

 

D. – Perché proprio ora adottare una legge anti-sovversione?

 

R. - Da una parte c’è la Cina che ha bisogno di stabilità per le trasformazioni economiche, le trasformazioni sociali, la povertà che cresce assieme alla ricchezza nelle grandi città. La Cina ha timore che Hong Kong possa essere una specie di miccia che innesca un processo di trasformazione e di richiesta di democrazia sempre più forte in Cina. Nello steso tempo bisogna dire che Hong Kong è afflitta da problemi economici gravissimi.

 

D. - Che segnale dà il fatto che quella di ieri sia stata la più grande manifestazione di piazza in Cina dai tempi di Piazza Tien-anmen?

 

R. – Dà la manifestazione che il popolo cinese, sia quello in Cina sia quello di Hong Kong, vuole la democrazia.

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Gli Stati Uniti stanno meditando di inviare una forza di interposizione in Liberia, Paese dove vige una fragile tregua tra i ribelli del gruppo liberiano per la riconciliazione e la democrazia e i militari del presidente Taylor. Quest’ultimo, inquisito dal tribunale dell’Onu per la Sierra Leone con l’accusa di crimini di guerra, avrebbe ieri rifiutato di dimettersi e di recarsi in asilo politico in Nigeria.

 

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