RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 180 - Testo della
Trasmissione di domenica 29 giugno 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Condoleeza Rice in Medio Oriente per trattare la pace
Ancora militari americani uccisi in Iraq
La diplomazia internazionale al lavoro per la pace in Liberia
A Tarso, in Turchia, Simposio dedicato a San Paolo
E’ la svedese Agneta
Lagercrantz la vincitrice del Premio “Templeton” per la sezione “religione”.
29 giugno 2003
OGGI,
FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO,
IL
PAPA ALL’ANGELUS RENDE OMAGGIO AI DUE GRANDI APOSTOLI E SALUTA
LA
PRESENZA A ROMA DELLA DELEGAZIONE DEL PATRIARCATO DI COSTANTINOPOLI
PER
FESTEGGIARE I PATRONI DELLA CITTA’
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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Pietro e Paolo, “‘colonne della
Chiesa’”, ha ricordato il Papa. “Pietro,
scelto da Cristo come la ‘roccia’ su cui costruire la sua Chiesa, fu crocifisso
non lontano dal colle Vaticano, e la sua tomba è il centro simbolico della fede
cattolica. Paolo, decapitato alle porte di Roma, è modello di evangelizzazione
e le sue Lettere, parte cospicua del Nuovo Testamento, non cessano di attirare
a Cristo uomini e donne di ogni tempo.” “Ed oggi è in festa in special modo la
Diocesi di Roma che nella testimonianza dei due Apostoli affonda le proprie
radici”: quindi il ‘grazie’ di Giovanni Paolo II a quanti assicurano in questa
ricorrenza “speciali preghiere per il vescovo di Roma, successore di Pietro”.
E come ogni anno il Santo Padre questo pomeriggio alle
ore 18 - come lui stesso ha anticipato - presiederà in Piazza San Pietro una
Celebrazione eucaristica, durante la quale imporrà il Sacro Pallio a 40
arcivescovi metropoliti. Cerimonia suggestiva di antichissime origini che fanno
risalire almeno al IV secolo l’uso del Pallio – una fascia di lana tessuta a
mano - a significare la pecorella
smarrita che il vescovo si pone sulle spalle. E, come è consolidata tradizione,
sarà presente al Rito una Delegazione del Patriarcato ecumenico di
Costantinopoli, che già ieri il Papa ha ricevuto in udienza, ponendo in
evidenza le molteplici occasioni che nel recente passato, hanno consentito alla
Chiesa di Roma e a quella di Costantinopoli di incontrarsi e consolidare i
propri legami. Una scambio di delegazioni tra Roma e Costantinopoli, per le
rispettive feste patronali, che dunque “va ben al di là di un atto di cortesia
ecclesiale”, ha sottolineato stamane Giovanni Paolo II.
“Esso rispecchia l'intenzione profonda e radicata
di ristabilire la piena comunione tra
Oriente ed Occidente ... Il Signore faccia sì che, grazie anche a questi
scambi, avvalorati da incessante preghiera, possiamo raggiungere quanto prima
la piena unità dei discepoli di Cristo.”
Quindi dopo la recita dell’Angelus i saluti ai tanti
pellegrini, raccolti nella Piazza che hanno sfidato la terribile calura con
cappelli e ombrelli. E un indirizzo particolare a tutti coloro che a Roma
festeggiano i Santi patroni della città:
“Faccio mie le parole dell'apostolo Paolo:
"Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo"
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Come abbiamo già ascoltato, il
Santo Padre presiederà oggi pomeriggio alle ore 18 in Piazza San Pietro la
Santa Messa , di cui la nostra emittente curerà la radiocronaca sulle consuete
lunghezze d’onda per l’Italia e la zona di Roma, l’Europa centro-occidentale e
– via satellite – per il Brasile nelle lingue italiana, tedesca, spagnola e
portoghese.
“EUROPA
NON DIMENTICARE LA TUA STORIA”.
ILMONITO DI GIOVANNI PAOLO II IERI SERA
NEI
PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITA’ ODIERNA
“Le radici cristiane sono per l’Europa la principale
garanzia del suo futuro”. Così ieri sera Giovanni Paolo II, durante i Primi
Vespri della Solennità dei Santi Pietro e Paolo. Nel corso della cerimonia,
svoltasi nella solenne cornice della Basilica Vaticana, il Santo Padre ha
firmato e consegnato l’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Europa”. Il servizio di Barbara Castelli.
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(musica)
“Solo
Cristo è il Redentore dell’uomo, solo Cristo è la nostra speranza”. Dinanzi a
migliaia di fedeli, riuniti nella Basilica Vaticana per i Primi Vespri della Solennità
dei Santi Pietro e Paolo, Giovanni Paolo II ha tratteggiato la missione evangelizzatrice
della Chiesa, che è “serva di Cristo Gesù, apostolica per vocazione e prescelta
per annunziare il Vangelo di Dio”, soprattutto nella prospettiva della nuova
Europa.
“La ‘Buona Novella’ è stata e continua ad essere
sorgente di vita per l'Europa. Se è vero che il Cristianesimo non è riducibile
ad alcuna cultura particolare, ma dialoga con ciascuna per orientarle tutte ad
esprimere il meglio di sé in ogni campo del sapere e dell'agire umano, le
radici cristiane sono per l'Europa la principale garanzia del suo futuro.
Potrebbe un albero senza radici vivere e svilupparsi? Europa, non dimenticare
la tua storia!”
Consegnando al mondo l’Esortazione apostolica “Ecclesia in Europa”, sintesi e rielaborazione del lavoro emerso
nel corso della seconda Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei
Vescovi, svoltasi in Vaticano dal 1° al 23 ottobre 1999, il Papa ha ricordato
come in Cristo “le radici della cultura del continente europeo possano trovare
la forza e il vigore per un futuro ricco di frutti di vita e di sapienza, nella
civiltà dell’unità e dell’amore”. “Che Cristo sia vivo nella sua Chiesa - ha
detto il Pontefice - emerge dalla storia bimillenaria del Cristianesimo”. “La
purezza della linfa evangelica - ha proseguito - ha purtroppo sperimentato, nel
corso dei secoli, l'inquinamento dovuto ai limiti e ai peccati di alcuni membri
della Chiesa. Da qui il mio bisogno di farmi interprete della richiesta di
perdono, specialmente per talune dolorose divisioni prodottesi proprio in Europa”.
“Nel secolo ventesimo, lo Spirito
Santo ha suscitato però una nuova primavera, resa feconda dalla testimonianza
di molti santi e martiri. Un profondo rinnovamento spirituale è sorto grazie al
Concilio Ecumenico Vaticano II. Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo! La
professione di fede di Pietro non è venuta meno nella Chiesa, nonostante le
difficoltà e le prove che hanno segnato il cammino bimillenario del popolo
cristiano”.
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UN ANNUNCIO DI SPERANZA
PER L’EUROPA
IL FILO CONDUTTORE DELL’ESORTAZIONE POST-SINODALE ECCLESIA IN EUROPA
“Speranza” è “la parola chiave”
del nuovo documento pontificio sull’Euro-pa. E’ stato evidenziato dal cardinale
Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e dall’arcivescovo inglese di
Birmighan, Vincent Nichols, intervenuti ieri mattina alla Sala Stampa Vaticana
per presentare l’Esortazione post-sinodale Ecclesia
in Europa, insieme al segretario generale del Sinodo dei vescovi,
l’arcivescovo Jan Schotte. Documento che raccoglie il risultato del Sinodo
straordinario dei vescovi sull’Europa del 1999 dal tema: “Gesù Cristo vivente
nella Chiesa, fonte di speranza per l’Europa”. Ascoltiamo il servizio di Carla
Cotignoli:
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Come mai questo documento appare
a distanza di ben 4 anni dalla conclusione del Sinodo? Così ha risposto il
cardinale Jan Schotte:
“Il Papa ha giudicato che il
momento opportuno era adesso visto che si sta giungendo al termine della
discussione della Convenzione europea, e vista la situazione che si troverà con
l’entrata dei 10 nuovi Paesi europei”.
“L’Europa – si legge nel
documento pontificio - nel momento stesso in cui rafforza e allarga la propria
unione economica e politica, sembra soffrire di una profonda crisi di valori” e
“dà l’impressione di mancare di slancio per nutrire un progetto comune e ridare
ragioni di speranza ai suoi cittadini”. Proprio in questo momento cruciale
della sua storia, la Chiesa offre all’Europa il Vangelo della speranza, la
novità di Dio che nell’Apocalisse mostra l’immagine della “nuova Gerusalemme”
dove risuona l’annuncio: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.
All’Europa chiamata a “costruire
un modello nuovo di unità nella diversità”, e a divenire “comunità di nazioni
riconciliate, aperta agli altri continenti”, viene proposta l’esperienza
millenaria di unità nella diversità della Chiesa che offre il suo impegno ad
umanizzare la società. Mentre – come ha affermato il cardinale Rouco Varala -
“la Chiesa riconosce allo stesso tempo, che proprio questo processo europeo
verso l’unificazione “imprime un nuovo impulso al cammino di unità della
Chiesa”.
“Dire ‘Europa’ deve voler dire
‘apertura’” - si legge ancora nell’Esortazione – cioè un Continente aperto” al
resto del mondo e accogliente, promotore di una nuova cultura di solidarietà”.
Per contribuire a questo nuovo
volto dell’Europa, il Papa innanzitutto chiede alle varie componenti della
Chiesa – dai vescovi ai laici – di vivere con radicalità il Vangelo. Ripete le
parole dell’Apocalisse: “Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per
morire”. Di fronte al pericolo di “connivenza con la logica del mondo”, vivere
radicalmente il Vangelo della speranza significa “non perdere l’identità
cristiana, recuperare la vita interiore, mantenere la comunione, superare i
timori, le lentezze le omissioni e infedeltà”.
Non solo. Il Papa chiama ad
annunciare il Vangelo al numero crescente dei non battezzati, non trascurando
un rinnovato annuncio anche per chi è già battezzato, ma vive come se Cristo
non esistesse. Significa – ha ancora
detto l’arcivescovo di Madrid - formare
ad una fede matura, testimoniare la comunione tra le Chiese dell’Est e
dell’Ovest, promuovere l’ecumenismo, ritenuto dal Papa “un imperativo
irrinunciabile”, non meno del dialogo con le altre religioni presenti in modo
significativo in Europa, specie Ebraismo e Islam. Significa anche evangelizzare
la vita sociale, il mondo della cultura, l’educare i giovani, riservare attenzione
ai mass media.
Terzo punto chiave: “Celebrare
il Vangelo della speranza”, riscoprendo la preghiera, la liturgia, i sacramenti
per rispondere al “desiderio diffuso di nutrimento spirituale”. E ancora,
quarto ed ultimo punto: “servire il Vangelo della speranza”. E’ l’invito a
seguire la via dell’amore per far incontrare gli uomini con l’amore di Dio.
Significa amore preferenziale verso i poveri, fedeltà al matrimonio e alla
famiglia, rispetto della vita, accoglienza degli immigrati, favorire un ordine
internazionale più giusto.
Dal Vangelo – si legge ancora
nel documento – è possibile dunque imprimere
“un nuovo slancio per l’Europa, farle fare “un salto qualitativo”. “Non temere!
- così il Papa si rivolge all’Europa – il Vangelo non è contro di te, ma è a
tuo favore”. “L’ispirazione cristiana può trasformare l’aggregazione politica,
culturale ed economica in una convivenza nella quale tutti gli europei si
sentano a casa propria e formino una famiglia di Nazioni, a cui altre regioni
del mondo possono fruttuosamente ispirarsi”.
L’esortazione apostolica
conclude con l’affidamento a Maria, “la donna vestita di sole” che genera il
Messia, colui che – secondo l’Apocalisse – vince il grande drago che lo
minaccia di morte. E invita a guardare a Maria
e con lei riconoscere l’azione salvifica di Dio, e a leggere alla sua
luce “il nostro cammino e tutta la storia”.
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LA “CASA DI ACCOGLIENZA GIOVANNI PAOLO II –
OPERA DON ORIONE”,
FRUTTO
E SIGILLO DELLA CARITA’ GIUBILARE
E’
stata inaugurata questa mattina a Roma la “Casa di accoglienza Giovanni Paolo
II – Opera Don Orione”. Alla cerimonia, presieduta a nome del Papa dal
cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, hanno fatto seguito la
benedizione dei locali e lo scoprimento di una lapide marmorea in ricordo di
quest’importante opera sociale, realizzata con il denaro raccolto nell’Anno
Santo. Il Centro, che accoglierà le persone disabili in pellegrinaggio a Roma,
costituisce quindi il sigillo della carità giubilare. Il servizio è di Dorotea
Gambardella.
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“E’ un gesto di carità del Papa. Don Orione diceva: ‘A
fare del bene non si sbaglia mai’, e quindi si è certi che a ricordo del Grande
Giubileo un’opera di carità è ben indovinata. Sono lieto di inaugurarla oggi a
nome del Papa e di invocare su quest’opera meravigliosa la benedizione del Signore.
E’ poi bello che sia nella festa dei Santi Patroni di Roma, Pietro e Paolo,
così dal cielo intercederanno per noi tutti e ci aiuteranno a continuare in
questa via della carità”.
Così il cardinale Angelo Sodano, che ha presieduto la
cerimonia di inaugurazione della “Casa di accoglienza Giovanni Paolo II – Opera
Don Orione”. Centocinquantacinque posti letto in camere prive di barriere
architettoniche e dotate di bagni progettati a misura anche delle persone su
carrozzella. Questo Centro, voluto fortemente dal Papa e ristrutturato e
ampliato con i fondi del Giubileo, sarà destinato all’accoglienza delle persone
disabili in pellegrinaggio a Roma.
Frutto concreto della carità giubilare, la casa ospiterà
gratuitamente anche i pellegrini meno abbienti. Sentiamo in proposito don
Roberto Simionato, direttore generale della Piccola Opera della Divina
Provvidenza:
R. – Ciò che c’è di nuovo e di bello è che un determinato
numero di posti all’anno saranno liberi per accogliere dalle diocesi del mondo
disabili che vengono a pellegrinare a Roma. Avranno qui un alloggio totalmente
gratuito, sponsorizzati dal Santo Padre. Per noi è un onore grande poter fare
la carità a nome del Papa. Coincide un po’ con il nostro carisma: don Orione,
quando iniziò l’Opera, voleva che le opere di carità fossero un ponte fra il
popolo e il Papa, il popolo e la Chiesa. E’ successo che con questa proposta
inaspettata per noi, sentiamo che ciò che vuole fare ogni opera, ogni casa di
don Orione nel mondo, qui verrà fatto in un modo eccellente, in un senso molto
più pieno, perché sarà la carità nel nome del Papa.
D. – E’ un’opera che nell’Anno europeo dei disabili
acquista anche una valenza particolare ...
R. –
Certo, e penso che la Santa Sede abbia avuto nelle sue intenzioni anche onorare
questa circostanza. Per noi, che facciamo il lavoro con i diversamente abili,
un anno come questo non fa che richiamarci alla nostra responsabilità, come
diceva don Orione: “Anche nel più misero, nel più povero, nel più abbandonato
dei nostri fratelli, brilla l’immagine del Figlio di Dio”.
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29 giugno 2003
GLI OBIETTIVI RAGGIUNTI DALLA PRESIDENZA
GRECA DELL’UNIONE EUROPEA,
ALLA VIGILIA
DEL PASSAGGIO DI CONSEGNE ALL’ITALIA.
TANTI
I PUNTI CTITICI AFFRONTATI DA ATENE, TRA CUI LA GUERRA IN IRAQ
-
Intervista con Antonio Ferrari -
Martedì la Presidenza dell’Unione Europea passa
ufficialmente dalla Grecia all’Italia. Un semestre la cui agenda vede il
presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, impegnato su due fronti
delicatissimi: la pace in Medio Oriente ed il varo della Costituzione europea.
Al centro della Presidenza italiana anche il tema della sicurezza
internazionale e l’emergenza immigrazione clandestina. Quali sono stati invece,
gli obiettivi raggiunti dalla Presidenza greca? Andrea Sarubbi ne ha parlato
con Antonio Ferrari, inviato speciale del “Corriere della Sera”:
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R. – Io credo che il semestre greco sia stato positivo.
Alcuni dicono anche molto positivo. Positivo per queste ragioni: la Grecia si è
presentata a questo appuntamento direi abbastanza preparata, forse lo si deve
anche grazie alla sua leadership politica, sia Simitis che Papandreu, che hanno
fatto dell’understatement e anche della determinazione uno dei loro capisaldi.
E’ chiaro che la Grecia ha avuto un grande vantaggio in questa presidenza europea,
soprattutto dal punto di vista economico, di vivere il momento più esaltante da
decenni nella storia del Paese. La Grecia si prepara alle Olimpiadi del 2004 e
le Olimpiadi significano potenziale crescita.
D. – E’ stato un semestre caratterizzato dalla spaccatura
dell’Europa sull’Iraq, come si è comportata la Presidenza greca?
R. – La Grecia in fondo ha saputo gestire quella che è
stata la più grave crisi all’interno dell’Unione Europea e l’ha saputa gestire
con intelligenza. La Grecia tendenzialmente sarebbe stata contraria alla
guerra, però, avendo la presidenza, ha dovuto esercitare un ruolo di mediazione
di quelle che erano le posizioni, di quelli che erano gli annunci ufficiali dei
vari leader europei. La Grecia su questo ha lavorato molto bene e anche di
questo gliene è stato dato atto. L’Iraq è stata una priorità, ma questo non ha
impedito a metà aprile di avere ad Atene la cerimonia che ha sancito l’ingresso
di altri 10 Paesi in Unione Europea, tra cui Cipro, che per la Grecia era
fondamentale entrasse.
D. – E oltre all’allargamento quali sono gli altri
risultati concreti ottenuti in questo semestre?
R. – L’ultimo risultato concreto è stato dei giorni
scorsi, cioè il campo agricolo, cioè quello che si presentava come un ostacolo
praticamente insuperabile in qualche modo è stato superato e questo si deve ad
una Presidenza che ha agito in maniera molto efficace. Devo dire che questo
lascia una pesante verità, un’importante verità a quella italiana che sta
subentrando.
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EVASIONE
E RICREAZIONE NELLE ATTIVITA’ TURISTICHE
SENZA
DIMENTICARE GLI ASPETTI ETICI DELLA VACANZA
- Intervista
con mons. Agostino Marchetto -
Ripensare
il turismo alla luce della dottrina sociale della Chiesa, a partire dalle
esigenze dei più poveri. Il Papa lo ha chiesto con parole forti e chiare nel
messaggio - pubblicato questa settimana - per la Giornata mondiale del turismo,
che si celebrerà il 27 settembre. Giovanni Paolo II richiama la responsabilità
personale dei turisti e dei viaggiatori rispetto alle tante realtà e situazioni
di bisogno, con cui si viene a contatto durante vacanze e visite, considerato
che gran parte delle strutture turistiche si trovano in regione povere e
poverissime.
Il Santo Padre ci ammonisce
“non ci si può rinchiudere nei propri interessi egoistici” quando si visitano
Paesi in via di sviluppo, dove la gente muore letteralmente di fame: un
richiamo severo per la coscienza quando nella vacanza - di norma - si
cerca evasione e ricreazione. Come
conciliare le due esigenze? Ascoltiamo mons. Agostino Marchetto, segretario del
Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, al
microfono di Roberta Gisotti.
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R. – Quando normalmente parliamo di turismo e di vacanze,
a volte il nostro linguaggio non riflette sempre esattamente il nostro
pensiero. Certamente quando si dice evasione, potrebbe significare porre tra
parentesi non solo le attività della vita quotidiana, ma anche i criteri etici
e morali, però credo che per la maggior parte delle volte non sia così per la
gente. Piuttosto indicando evasione e ricreazione si pensa ad alcune condizioni
di ambiente, di paesaggio, come pure di attività che ci aiutano a ritrovare
l’equilibrio, la serenità, le forze fisiche, psichiche, spirituali e in questo
senso dobbiamo considerare il turismo come uno strumento per lo sviluppo della
persona con alcuni valori antropologici specifici ed importanti. Le parole del
Santo Padre ci invitano a evitare il primo scoglio e ad approfondire alla luce
della fede il secondo aspetto.
D. – Giovanni Paolo II configura un turista consapevole
anche degli aspetti economici, finanziari e culturali dei luoghi che visita, ma
certo non si può ipotizzare che questo sia alla portata di tutti. Quale ruolo
possono giocare allora gli operatori del settore?
R. – Tutti siamo d’accordo sulla capacità del turismo di
promuovere l’incontro fra le persone, i popoli, le culture, le religioni. Come
fare perciò, perché diventi concretamente realtà nel viaggio di ciascun
turista: le difficoltà sono reali, il tempo è sempre troppo breve, il più delle
volte ci si deve affidare ai programmi preparati dalle agenzie e gli interessi
che ciascuno porta con sé sono diversi. Tuttavia grazie a Dio, negli ultimi
anni abbiamo visto nascere molte iniziative di cui un turista può beneficiare,
sempre che ciò che viene offerto non sia solo un’etichetta. Oggi possiamo
cogliere possibilità di turismo ecologico, culturale, solidale, sociale,
popolare. Vi sono in effetti agenzie turistiche che per esempio destinano parte
dei redditi a progetti di sviluppo. Molte associazioni, specialmente di
giovani, preparano visite e soggiorni il cui obiettivo prioritario è di
convivere e lavorare con gli abitanti del Paese visitato.
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IL PREMIO NANSEN DELL’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU
PER I RIFUGIATI
CONSEGNATO
AD UNA DONNA CHE HA PASSATO LA PROPRIA VITA
AD
AIUTARE LE POPOLAZIONI AFRICANE, AFFETTE DA MALNUTRIZIONE E MALATTIE
-
Intervista con Annalena Tonelli -
Da 25 anni in Africa, al servizio dei Somali. Prima in
Kenya poi a Borama, un remoto angolo nel nordovest della Somalia, noto anche
come Somaliland, dove ha fondato un ospedale per i malati di tubercolosi. Non
solo. Anche una scuola per bambini sordi e una campagna per l’eradicazione
della mutilazione genitale femminile. Per la sua opera, portata avanti da sola,
senza l’appoggio di alcuna Ong, Annalena Tonelli ha ricevuto dall’Alto
Commissariato Onu per i rifugiati il Premio Nansen, il principale riconoscimento
assegnato a chi si batte per i poveri ed i rifugiati. Ma sentiamo la sua
testimonianza al microfono di Giorgia Blandino:
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R. – Quando ho saputo di questo premio e mi è stato
chiesto di accettarlo, ho subito rifiutato. E’ da una vita che io voglio vivere
nascosta. Poi, invece, quelli dell’Alto Commissariato mi hanno convinta sulla
base del fatto che questa sarebbe stata un’occasione unica per poter di nuovo
porre sotto i riflettori la Somalia, con i suoi problemi cronici, con le
infinite sofferenze del suo popolo.
D. – Da dove nasce la scelta di operare da sola?
R. – Il bisogno di essere nessuno e di vivere per gli
altri, senza la potenza che inevitabilmente viene dall’organizzazione,
dall’appartenere ad una Congregazione religiosa e simili.
D. – In che progetto pensa di impiegare i soldi del
Premio?
R. – Vivo grazie ad aiuti di amici e quindi vivo
totalmente abbandonata alla Provvidenza. Lei sa, io ho bisogno di 20 mila
dollari al mese e quindi questi 100 mila non sono una grande cosa. Tutto lo
staff – io ho 78 persone locali, somali, che lavorano con me – aspetta un
incentivo, e quindi una parte di questo denaro andrà a loro.
D. – Qual è la situazione nell’ospedale dove lei opera?
R. – Non c’era praticamente nulla quando sono arrivata sette
anni fa, c’era una piccola struttura che avevano creato gli inglesi negli anni
Sessanta con una ventina di posti-letto, che io feci arrivare a 30-35. Poi
costruii tante capanne per poter dare la possibilità agli ammalati di rimanere
lì, perché arrivavano tutti in stadio terminale, in condizioni disperate, e non
avrebbero mai potuto venire come ambulatoriali. Questo ospedale oggi è
diventato un ospedale di 250 posti-letto. Poi ci sono tra i 200 e i 300 malati,
a seconda dei periodi, che vengono ambulatorialmente ogni giorno a prendere i
farmaci sotto la supervisione del personale sanitario.
D. – E’ stata responsabile di un progetto-pilota in tutta
l’Africa per la cura della tubercolosi ...
R. – Cominciai nella mia casa e, non so per quali vie,
l’Organizzazione mondiale della sanità venne a sapere di questo esperimento e
mi chiese, come volontaria, di inventare un progetto-pilota per la cura dei
nomadi che in genere sono irraggiungibili. E così immaginai un progetto che
oggi è diventato famoso in tutto il mondo ed è il “Dots”, la “Directly
Observed Therapy”, cioè la terapia osservata direttamente che poi,
naturalmente, non vuol dire soltanto osservare l’ammalato quando ingoia tutte
le sue pastiglie per i sei-otto mesi di trattamento, ma vuol dire infinitamente
di più. Cioè, la diagnosi fatta al microscopio, la fornitura regolare dei
farmaci: purtroppo, questa è la tragedia di tutto il mondo in via di sviluppo,
i farmaci vengono sempre a mancare per cui ci sono continui pericoli di ‘multi-drug
resistance’, la resistenza a tutti i farmaci antitubercolari; e poi, un
sistema di monitoraggio estremamente dettagliato e tecnicamente aggiornato che
curi la tubercolosi e che poi possa essere ripetuto in qualsiasi parte del
mondo. Poi, la volontà politica: è chiaro, noi abbiamo bisogno dell’impegno del
governo perché questo lavoro di controllo della tubercolosi possa avere
successo. La tubercolosi rappresenta il più grave problema di sanità pubblica
dei somali: praticamente, non c’è famiglia in Somalia che non abbia un malato
di tubercolosi.
D. – E’ l’unica cattolica in mezzo ai musulmani ...
R. – Essendo diventata parte di loro, la possibilità di
dialogare, di comprendersi, di volersi bene, di prendersi per mano diventa
molto più accessibile che a qualsiasi altro che si fosse presentato in mezzo a
loro. La gente comincia a dire che se anche sono cristiana, sicuramente andrò
in paradiso, che io sono una donna mandata da Dio. Non c’è giorno in cui non si
parli di Dio, e tutti sanno con la massima chiarezza che sono cristiana:
infatti, pregano anche a voce alta in moschea perché io mi faccia musulmana.
Credo che se si riesce a diventare parte di una piccolissima parte di umanità,
questo cosiddetto dialogo non abbia più bisogno di parole, di nessuna fatica, e
divenga veramente una cosa naturale .
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29 giugno 2003
LA PACE IN MEDIO ORIENTE PASSA ATTRAVERSO GLI
STATI UNITI.
LA CONSIGLIERA
DEL PRESIDENTE BUSH, CONDOLEEZA RICE, DOPO L’INCONTRO
DI
IERI SERA CONIL PREMIER PALESTINESE ABU MAZEN, A COLLOQUIO STAMATTINA
CON
SHARON. MA GIA’ SOPRAGGIUNGONO LE PRIME NUBI SULLA TREGUA
- A cura di Graziano Motta -
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GERUSALEMME.
= La proclamazione della tregua è stata ritardata di 24 ore. Doveva avvenire
oggi alle 11, contemporaneamente a Gaza, Ramallah e al Cairo, ma sono affiorate
all’ultima ora delle divergenze. Il Fatah, partito di Arafat e del primo
ministro Abbas, vorrebbe un riferimento alla road-map, al piano di pace,
riferimento inviso invece alle altre organizzazioni, a quelle fondamentaliste
in particolare. Poi, quelle radicali e laiche non intenderebbero accettare la
sospensione per tre mesi degli attentati terroristici. Infine, sono state
espresse contrarietà al fatto che ieri Abbas e il ministro della sicurezza
Dahlan, nell’incontro a Gerico con la signora Condoleeza Rice, abbiamo promesso
che intendono confiscare le armi alle organizzazioni dell’Intifadah, che poi
sono le stesse che devono proclamare la tregua. In questo incontro, la
consigliera di Bush ha invitato Abbas in visita a Washington; questi ha
accettato, spiegando tuttavia che intende rinviare il viaggio perché al momento
molto impegnato. Si sa invece che egli si è rifiutato di andare alla Casa
Bianca fino a quando gli israeliani impediranno ad Arafat di lasciare la
residenza di Ramallah. Abbas ha poi detto che i servizi di sicurezza
palestinesi hanno sventato nelle ultime ore sei tentativi di attentati in Israele.
E proprio sulla continuazione della violenza – ieri sono stati ben 70 gli allarmi-attentato
– il primo ministro Sharon ha parlato oggi con la signora Rice, chiarendo le
riserve e diffidenze israeliane sulla tregua dei gruppi armati palestinesi:
teme che in questi tre mesi questi si rafforzino. La signora Rice incontrerà
nel pomeriggio i ministri israeliani degli esteri e della difesa, il capo di
Stato maggiore, i capi delle informazioni militari e dei servizi segreti.
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ANCORA MILITARI AMERICANI UCCISI IN IRAQ.
RITROVATI IERI MORTI I DUE SOLDATI DATI PER DISPERSI DA MERCOLEDI’ SCORSO.
DALLA FINE DELLA GUERRA 63 MARINES HANNO PERSO LA VITA NEL PAESE MEDIORIENTALE
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BAGHDAD. = Una guerra finita
solo sulla carta. In Iraq, infatti, gli stati Uniti continuano a pagare il caro
prezzo della pace, con un pesante tributo di vite. Ancora vittime nelle ultime
ore, dopo lo stillicidio di queste settimane: si tratta di due soldati, dati
per dispersi da mercoledì scorso con il loro veicolo blindato, ritrovati ieri
senza vita a nord di Baghdad. La notizia è giunta poche ore dopo che un altro
militare statunitense era stato ucciso e quattro altri feriti in un agguato
nella zona nord della capitale. Dal primo maggio, quando il presidente Bush ha
proclamato ufficialmente la fine dei combattimenti in Iraq, nel Paese
mediorientale sono morti, in incidenti o attacchi, 63 militari Usa. Con i 138
morti durante la guerra, il totale delle vittime statunitensi in Iraq ha
superato quota 200. Intanto cresce l'inquietudine nell'opinione pubblica
americana, che potrebbe tradursi in crescenti difficoltà politiche per la Casa
Bianca. Alcune centinaia di persone hanno accolto il presidente Bush con
cartelli di protesta dedicati all'Iraq, al suo arrivo a San Francisco per raccogliere fondi per la campagna
elettorale del 2004. La protesta è stata ignorata dal capo della Casa Bianca
che conta di avere ancora la maggioranza dell'opinione pubblica dalla sua
parte. Ma l'aver dato per certa la presenza in Iraq di armi proibite, che
invece mancano all'appello, rischia ancora di porre l'Amministrazione Bush
sulla difensiva, in vista dall'anno delle elezioni presidenziali. (S.S.)
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LA DIPLOMAZIA INTERNAZIONALE AL LAVORO PER LA PACE
IN LIBERIA. KOFI ANNAN
E DOMINIQUE DE VILLEPIN CHIEDONO L’INVIO DI UNA
FORZA MULTINAZIONALE
PER SORVEGLIARE LA FRAGILE TREGUA FIRMATA DAI
RIBELLI
MONROVIA. = E' tornata la calma
a Monrovia, la capitale della Liberia, teatro negli ultimi giorni di scontri
tra ribelli e forze governative che hanno provocato almeno 300 morti e mille
feriti tra i civili. Cresce, però, tra la popolazione il malcontento rispetto
ad una situazione di insostenibile disagio: ieri mattina una grande
manifestazione davanti all’Ambasciata statunitense ha chiesto a gran voce
l’intervento di Washington. Lo stesso presidente Charles Taylor, parlando nei
pressi della capitale, ha riferito che il suo governo sta esaminando la
possibilità di far giungere nel Paese truppe americane. In tal senso il
segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza
di autorizzare quanto prima l'invio in Liberia di una forza multinazionale. “E'
nostro interesse comune – ha scritto Annan – promuovere un’azione decisiva e
urgente del Consiglio di sicurezza. Non possiamo ignorare i segnali di una
possibile imminente catastrofe”. La forza multinazionale deve essere posta
“sotto la guida di un Paese membro” – ha infine sottolineato Annan, riferendosi
agli Stati Uniti che fino ad ora hanno ignorato la crisi. Sulla stessa
lunghezza d'onda il ministro degli Esteri francese Dominique de Villepin, che, durante una visita in Ghana, si è
pronunciato in favore di una “presenza internazionale”. Avanza intanto lo
spettro di una catastrofe umanitaria, motivo per il quale il movimento Lurd – i
Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia – ha proclamato venerdì
un cessate il fuoco unilaterale. Una pace a cui, però, credono davvero in
pochi. (S.S.)
AL VIA IERI A TARSO, IN TURCHIA, L’OTTAVO SIMPOSIO
DEDICATO A SAN PAOLO
- A
cura di padre Egidio Picucci -
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ANTIOCHIA. = “La comprensione di Paolo e del suo pensiero,
l’uso dei suoi scritti e una maggiore conoscenza a livello archeologico e
storico della sua terra, sono i motivi ispiratori degli incontri che da otto
anni si organizzano in Turchia per approfondire la persona e l’attività
dell’apostolo Paolo”. Con queste parole di padre Luigi Padovese è iniziato ieri
pomeriggio a Tarso l’VIII Simposio sull’apostolo Paolo, organizzato
dall’Istituto francescano di spiritualità dell’Antonianum di Roma, al quale
partecipano professori italiani, francesi e turchi delle Università di
Istanbul, Ankara e Konia. I lavori sono stati aperti nella chiesa dedicata
all’apostolo nella sua città natale, con i saluti degli organizzatori, la
presentazione del tema e una suggestiva concelebrazione presieduta da mons.
Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova, assistito dal nunzio in Turchia, mons.
Edmond Faraht, dal vicario apostolico dell’Anatolia, mons. Franceschini, la
partecipazione di 26 sacerdoti e di un alto numero di cattolici di rito latino,
armeno e siriaco. Oggi il Simposio prosegue in Antiochia, la città da cui Paolo
partì per i tre viaggi apostolici che cambiarono il mondo. Le relazioni dei
professori sono state precedute da una significativa liturgia della Parola
ecumenico-interreligiosa presso la Grotta di San Pietro, la prima cattedrale
cattolica. Vi hanno partecipato i vescovi presenti a Tarso, l’arcivescovo
metropolita Ghattas Azeem con un archimandrita, rappresentanti del Patriarca
greco-ortodosso Ignazio IV, sacerdoti locali, il Muftì musulmano, alcuni
responsabili della comunità protestante, il sindaco della città del Comune in
cui si trova la Grotta e altre autorità civili. La sessione del Simposio
continuerà con relazioni che verteranno sulla città di Antiochia di ieri e di
oggi, e i lavori termineranno martedì 1 luglio.
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E’ LA REDATTRICE SVEDESE AGNETA LAGERCRANTZ LA
VINCITRICE
DEL
PRIMO PREMIO GIORNALISTICO "TEMPLETON" PER LA SEZIONE
"RELIGIONE".
LA
GIURIA L’HA SCELTA PER LA SUA ACCURATEZZA, IMPARZIALITA’ ED APERTURA
TRONDHEIM. = "La mia ambizione è di rendere il tema
religioso importante come tutti gli altri temi che riguardano l’essere
umano". È quanto ha affermato Agneta Lagercrantz, redattrice del secondo
quotidiano svedese "Svenska Dagbladet", ricevendo il premio Templeton
come migliore giornalista dell’anno per la sezione "religione", nel
contesto della XII Assemblea della Conferenza delle Chiese d’Europa a
Trondheim. Nata nel 1956, Agneta Lagercrantz si occupa di temi religiosi per il
suo quotidiano dal 1999. "Accuratezza, imparzialità e apertura" sono
i motivi che hanno portato la giuria a conferirle il premio. Lagerkrantz ha
detto di voler dare parte dei 5000 franchi svizzeri del premio per il
"progetto monastico" della prigione di Kumla, a Stoccolma, un
progetto avviato dal Consiglio delle Chiese della Svezia, che offre la
possibilità a 8 ergastolani di seguire un mese di "esercizi
ignaziani" in un’apposita parte della prigione. Uno degli articoli che ha
convinto la giuria, è proprio quello in cui Lagerkrantz racconta la storia di
Francesco Severino, un ex-guerrigliero uruguayano detenuto in Svezia, che dopo
aver fatto l’esperienza degli "esercizi ignaziani", ha deciso, mentre
sconta il suo ergastolo, di diventare diacono. "Ringrazio le persone che
ho incontrato - ha detto Lagerkrantz - e che mi hanno regalato le loro vite
perché io potessi raccontarle".
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