RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 180 - Testo della Trasmissione di domenica 29 giugno 2003

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Oggi, festa dei Santi Pietro e Paolo, il Papa all’Angelus rende omaggio ai due grandi Apostoli e saluta la presenza a Roma della Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, per festeggiare i Patroni della città

 

“Europa, non dimenticare la tua storia”: l’esortazione di Giovanni Paolo II ieri sera nei primi Vespri della solennità odierna

 

Un annuncio di speranza per il Vecchio Continente, il filo conduttore dell’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Europa, firmata ieri dal Papa: ai nostri microfoni, il cardinale Jan Schotte

 

Inaugurata oggi la “Casa di accoglienza Giovanni Paolo II - Opera Don Orione”, frutto e sigillo della carità giubilare: con noi, il cardinale Angelo Sodano e don Roberto Simionato.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Gli obiettivi raggiunti dalla presidenza greca dell’Unione Europea, alla vigilia del passaggio di consegne all’Italia: intervista con Antonio Ferrari

 

Evasione e ricreazione nelle attività turistiche senza dimenticare gli aspetti etici della vacanza: ce ne parla mons. Agostino Marchetto

 

La testimonianza di Annalena Tonelli, vincitrice del Premio Nansen dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Condoleeza Rice in Medio Oriente per trattare la pace

 

Ancora militari americani uccisi in Iraq

 

La diplomazia internazionale al lavoro per la pace in Liberia

 

A Tarso, in Turchia, Simposio dedicato a San Paolo

 

E’ la svedese Agneta Lagercrantz la vincitrice del Premio “Templeton” per la sezione “religione”.

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

29 giugno 2003

 

OGGI, FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO,

IL PAPA ALL’ANGELUS RENDE OMAGGIO AI DUE GRANDI APOSTOLI E SALUTA

LA PRESENZA A ROMA DELLA DELEGAZIONE DEL PATRIARCATO DI COSTANTINOPOLI

PER FESTEGGIARE I PATRONI DELLA CITTA’

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

 

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Pietro e Paolo, “‘colonne della Chiesa’”, ha ricordato il Papa. “Pietro, scelto da Cristo come la ‘roccia’ su cui costruire la sua Chiesa, fu crocifisso non lontano dal colle Vaticano, e la sua tomba è il centro simbolico della fede cattolica. Paolo, decapitato alle porte di Roma, è modello di evangelizzazione e le sue Lettere, parte cospicua del Nuovo Testamento, non cessano di attirare a Cristo uomini e donne di ogni tempo.” “Ed oggi è in festa in special modo la Diocesi di Roma che nella testimonianza dei due Apostoli affonda le proprie radici”: quindi il ‘grazie’ di Giovanni Paolo II a quanti assicurano in questa ricorrenza “speciali preghiere per il vescovo di Roma, successore di Pietro”.

 

E come ogni anno il Santo Padre questo pomeriggio alle ore 18 - come lui stesso ha anticipato - presiederà in Piazza San Pietro una Celebrazione eucaristica, durante la quale imporrà il Sacro Pallio a 40 arcivescovi metropoliti. Cerimonia suggestiva di antichissime origini che fanno risalire almeno al IV secolo l’uso del Pallio – una fascia di lana tessuta a mano -  a significare la pecorella smarrita che il vescovo si pone sulle spalle. E, come è consolidata tradizione, sarà presente al Rito una Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che già ieri il Papa ha ricevuto in udienza, ponendo in evidenza le molteplici occasioni che nel recente passato, hanno consentito alla Chiesa di Roma e a quella di Costantinopoli di incontrarsi e consolidare i propri legami. Una scambio di delegazioni tra Roma e Costantinopoli, per le rispettive feste patronali, che dunque “va ben al di là di un atto di cortesia ecclesiale”, ha sottolineato stamane Giovanni Paolo II.

 

“Esso rispecchia l'intenzione profonda e radicata di ristabilire la piena comunione tra Oriente ed Occidente ... Il Signore faccia sì che, grazie anche a questi scambi, avvalorati da incessante preghiera, possiamo raggiungere quanto prima la piena unità dei discepoli di Cristo.”

 

Quindi dopo la recita dell’Angelus i saluti ai tanti pellegrini, raccolti nella Piazza che hanno sfidato la terribile calura con cappelli e ombrelli. E un indirizzo particolare a tutti coloro che a Roma festeggiano i Santi patroni della città:

 

“Faccio mie le parole dell'apostolo Paolo: "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo"

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Come abbiamo già ascoltato, il Santo Padre presiederà oggi pomeriggio alle ore 18 in Piazza San Pietro la Santa Messa , di cui la nostra emittente curerà la radiocronaca sulle consuete lunghezze d’onda per l’Italia e la zona di Roma, l’Europa centro-occidentale e – via satellite – per il Brasile nelle lingue italiana, tedesca, spagnola e portoghese.

 

 

“EUROPA NON DIMENTICARE LA TUA STORIA”.

ILMONITO DI GIOVANNI PAOLO II IERI SERA

NEI PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITA’ ODIERNA

 

 

“Le radici cristiane sono per l’Europa la principale garanzia del suo futuro”. Così ieri sera Giovanni Paolo II, durante i Primi Vespri della Solennità dei Santi Pietro e Paolo. Nel corso della cerimonia, svoltasi nella solenne cornice della Basilica Vaticana, il Santo Padre ha firmato e consegnato l’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Europa”. Il servizio di Barbara Castelli.

 

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(musica)

 

“Solo Cristo è il Redentore dell’uomo, solo Cristo è la nostra speranza”. Dinanzi a migliaia di fedeli, riuniti nella Basilica Vaticana per i Primi Vespri della Solennità dei Santi Pietro e Paolo, Giovanni Paolo II ha tratteggiato la missione evangelizzatrice della Chiesa, che è “serva di Cristo Gesù, apostolica per vocazione e prescelta per annunziare il Vangelo di Dio”, soprattutto nella prospettiva della nuova Europa.

 

“La ‘Buona Novella’ è stata e continua ad essere sorgente di vita per l'Europa. Se è vero che il Cristianesimo non è riducibile ad alcuna cultura particolare, ma dialoga con ciascuna per orientarle tutte ad esprimere il meglio di sé in ogni campo del sapere e dell'agire umano, le radici cristiane sono per l'Europa la principale garanzia del suo futuro. Potrebbe un albero senza radici vivere e svilupparsi? Europa, non dimenticare la tua storia!”

 

Consegnando al mondo l’Esortazione apostolica “Ecclesia in Europa”, sintesi e rielaborazione del lavoro emerso nel corso della seconda Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi in Vaticano dal 1° al 23 ottobre 1999, il Papa ha ricordato come in Cristo “le radici della cultura del continente europeo possano trovare la forza e il vigore per un futuro ricco di frutti di vita e di sapienza, nella civiltà dell’unità e dell’amore”. “Che Cristo sia vivo nella sua Chiesa - ha detto il Pontefice - emerge dalla storia bimillenaria del Cristianesimo”. “La purezza della linfa evangelica - ha proseguito - ha purtroppo sperimentato, nel corso dei secoli, l'inquinamento dovuto ai limiti e ai peccati di alcuni membri della Chiesa. Da qui il mio bisogno di farmi interprete della richiesta di perdono, specialmente per talune dolorose divisioni prodottesi proprio in Europa”.

 

“Nel secolo ventesimo, lo Spirito Santo ha suscitato però una nuova primavera, resa feconda dalla testimonianza di molti santi e martiri. Un profondo rinnovamento spirituale è sorto grazie al Concilio Ecumenico Vaticano II. Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo! La professione di fede di Pietro non è venuta meno nella Chiesa, nonostante le difficoltà e le prove che hanno segnato il cammino bimillenario del popolo cristiano”.

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UN ANNUNCIO DI SPERANZA PER L’EUROPA

IL FILO CONDUTTORE DELL’ESORTAZIONE POST-SINODALE ECCLESIA IN EUROPA

 

 

“Speranza” è “la parola chiave” del nuovo documento pontificio sull’Euro-pa. E’ stato evidenziato dal cardinale Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e dall’arcivescovo inglese di Birmighan, Vincent Nichols, intervenuti ieri mattina alla Sala Stampa Vaticana per presentare l’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Europa, insieme al segretario generale del Sinodo dei vescovi, l’arcivescovo Jan Schotte. Documento che raccoglie il risultato del Sinodo straordinario dei vescovi sull’Europa del 1999 dal tema: “Gesù Cristo vivente nella Chiesa, fonte di speranza per l’Europa”. Ascoltiamo il servizio di Carla Cotignoli:

 

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Come mai questo documento appare a distanza di ben 4 anni dalla conclusione del Sinodo? Così ha risposto il cardinale Jan Schotte:

 

“Il Papa ha giudicato che il momento opportuno era adesso visto che si sta giungendo al termine della discussione della Convenzione europea, e vista la situazione che si troverà con l’entrata dei 10 nuovi Paesi europei”.

 

“L’Europa – si legge nel documento pontificio - nel momento stesso in cui rafforza e allarga la propria unione economica e politica, sembra soffrire di una profonda crisi di valori” e “dà l’impressione di mancare di slancio per nutrire un progetto comune e ridare ragioni di speranza ai suoi cittadini”. Proprio in questo momento cruciale della sua storia, la Chiesa offre all’Europa il Vangelo della speranza, la novità di Dio che nell’Apocalisse mostra l’immagine della “nuova Gerusalemme” dove risuona l’annuncio: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.

 

All’Europa chiamata a “costruire un modello nuovo di unità nella diversità”, e a divenire “comunità di nazioni riconciliate, aperta agli altri continenti”, viene proposta l’esperienza millenaria di unità nella diversità della Chiesa che offre il suo impegno ad umanizzare la società. Mentre – come ha affermato il cardinale Rouco Varala - “la Chiesa riconosce allo stesso tempo, che proprio questo processo europeo verso l’unificazione “imprime un nuovo impulso al cammino di unità della Chiesa”.

 

“Dire ‘Europa’ deve voler dire ‘apertura’” - si legge ancora nell’Esortazione – cioè un Continente aperto” al resto del mondo e accogliente, promotore di una nuova cultura di solidarietà”.

 

Per contribuire a questo nuovo volto dell’Europa, il Papa innanzitutto chiede alle varie componenti della Chiesa – dai vescovi ai laici – di vivere con radicalità il Vangelo. Ripete le parole dell’Apocalisse: “Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire”. Di fronte al pericolo di “connivenza con la logica del mondo”, vivere radicalmente il Vangelo della speranza significa “non perdere l’identità cristiana, recuperare la vita interiore, mantenere la comunione, superare i timori, le lentezze le omissioni e infedeltà”.

 

Non solo. Il Papa chiama ad annunciare il Vangelo al numero crescente dei non battezzati, non trascurando un rinnovato annuncio anche per chi è già battezzato, ma vive come se Cristo non esistesse.  Significa – ha ancora detto l’arcivescovo di Madrid -  formare ad una fede matura, testimoniare la comunione tra le Chiese dell’Est e dell’Ovest, promuovere l’ecumenismo, ritenuto dal Papa “un imperativo irrinunciabile”, non meno del dialogo con le altre religioni presenti in modo significativo in Europa, specie Ebraismo e Islam. Significa anche evangelizzare la vita sociale, il mondo della cultura, l’educare i giovani, riservare attenzione ai mass media.

 

Terzo punto chiave: “Celebrare il Vangelo della speranza”, riscoprendo la preghiera, la liturgia, i sacramenti per rispondere al “desiderio diffuso di nutrimento spirituale”. E ancora, quarto ed ultimo punto: “servire il Vangelo della speranza”. E’ l’invito a seguire la via dell’amore per far incontrare gli uomini con l’amore di Dio. Significa amore preferenziale verso i poveri, fedeltà al matrimonio e alla famiglia, rispetto della vita, accoglienza degli immigrati, favorire un ordine internazionale più giusto.

 

Dal Vangelo – si legge ancora nel documento – è possibile dunque  imprimere “un nuovo slancio per l’Europa, farle fare “un salto qualitativo”. “Non temere! - così il Papa si rivolge all’Europa – il Vangelo non è contro di te, ma è a tuo favore”. “L’ispirazione cristiana può trasformare l’aggregazione politica, culturale ed economica in una convivenza nella quale tutti gli europei si sentano a casa propria e formino una famiglia di Nazioni, a cui altre regioni del mondo possono fruttuosamente ispirarsi”.

 

L’esortazione apostolica conclude con l’affidamento a Maria, “la donna vestita di sole” che genera il Messia, colui che – secondo l’Apocalisse – vince il grande drago che lo minaccia di morte. E invita a guardare a Maria  e con lei riconoscere l’azione salvifica di Dio, e a leggere alla sua luce “il nostro cammino e tutta la storia”.

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INAUGURATA OGGI

 LA “CASA DI ACCOGLIENZA GIOVANNI PAOLO II – OPERA DON ORIONE”,

FRUTTO E SIGILLO DELLA CARITA’ GIUBILARE

 

 

E’ stata inaugurata questa mattina a Roma la “Casa di accoglienza Giovanni Paolo II – Opera Don Orione”. Alla cerimonia, presieduta a nome del Papa dal cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, hanno fatto seguito la benedizione dei locali e lo scoprimento di una lapide marmorea in ricordo di quest’importante opera sociale, realizzata con il denaro raccolto nell’Anno Santo. Il Centro, che accoglierà le persone disabili in pellegrinaggio a Roma, costituisce quindi il sigillo della carità giubilare. Il servizio è di Dorotea Gambardella.

 

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“E’ un gesto di carità del Papa. Don Orione diceva: ‘A fare del bene non si sbaglia mai’, e quindi si è certi che a ricordo del Grande Giubileo un’opera di carità è ben indovinata. Sono lieto di inaugurarla oggi a nome del Papa e di invocare su quest’opera meravigliosa la benedizione del Signore. E’ poi bello che sia nella festa dei Santi Patroni di Roma, Pietro e Paolo, così dal cielo intercederanno per noi tutti e ci aiuteranno a continuare in questa via della carità”.

 

Così il cardinale Angelo Sodano, che ha presieduto la cerimonia di inaugurazione della “Casa di accoglienza Giovanni Paolo II – Opera Don Orione”. Centocinquantacinque posti letto in camere prive di barriere architettoniche e dotate di bagni progettati a misura anche delle persone su carrozzella. Questo Centro, voluto fortemente dal Papa e ristrutturato e ampliato con i fondi del Giubileo, sarà destinato all’accoglienza delle persone disabili in pellegrinaggio a Roma.

 

Frutto concreto della carità giubilare, la casa ospiterà gratuitamente anche i pellegrini meno abbienti. Sentiamo in proposito don Roberto Simionato, direttore generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza:

 

R. – Ciò che c’è di nuovo e di bello è che un determinato numero di posti all’anno saranno liberi per accogliere dalle diocesi del mondo disabili che vengono a pellegrinare a Roma. Avranno qui un alloggio totalmente gratuito, sponsorizzati dal Santo Padre. Per noi è un onore grande poter fare la carità a nome del Papa. Coincide un po’ con il nostro carisma: don Orione, quando iniziò l’Opera, voleva che le opere di carità fossero un ponte fra il popolo e il Papa, il popolo e la Chiesa. E’ successo che con questa proposta inaspettata per noi, sentiamo che ciò che vuole fare ogni opera, ogni casa di don Orione nel mondo, qui verrà fatto in un modo eccellente, in un senso molto più pieno, perché sarà la carità nel nome del Papa.

 

D. – E’ un’opera che nell’Anno europeo dei disabili acquista anche una valenza particolare ...

 

R. – Certo, e penso che la Santa Sede abbia avuto nelle sue intenzioni anche onorare questa circostanza. Per noi, che facciamo il lavoro con i diversamente abili, un anno come questo non fa che richiamarci alla nostra responsabilità, come diceva don Orione: “Anche nel più misero, nel più povero, nel più abbandonato dei nostri fratelli, brilla l’immagine del Figlio di Dio”.

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OGGI IN PRIMO PIANO

29 giugno 2003

 

GLI OBIETTIVI RAGGIUNTI DALLA PRESIDENZA GRECA DELL’UNIONE EUROPEA,

ALLA VIGILIA DEL PASSAGGIO DI CONSEGNE ALL’ITALIA.

TANTI I PUNTI CTITICI AFFRONTATI DA ATENE, TRA CUI LA GUERRA IN IRAQ

- Intervista con Antonio Ferrari -

 

 

Martedì la Presidenza dell’Unione Europea passa ufficialmente dalla Grecia all’Italia. Un semestre la cui agenda vede il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, impegnato su due fronti delicatissimi: la pace in Medio Oriente ed il varo della Costituzione europea. Al centro della Presidenza italiana anche il tema della sicurezza internazionale e l’emergenza immigrazione clandestina. Quali sono stati invece, gli obiettivi raggiunti dalla Presidenza greca? Andrea Sarubbi ne ha parlato con Antonio Ferrari, inviato speciale del “Corriere della Sera”:

 

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R. – Io credo che il semestre greco sia stato positivo. Alcuni dicono anche molto positivo. Positivo per queste ragioni: la Grecia si è presentata a questo appuntamento direi abbastanza preparata, forse lo si deve anche grazie alla sua leadership politica, sia Simitis che Papandreu, che hanno fatto dell’understatement e anche della determinazione uno dei loro capisaldi. E’ chiaro che la Grecia ha avuto un grande vantaggio in questa presidenza europea, soprattutto dal punto di vista economico, di vivere il momento più esaltante da decenni nella storia del Paese. La Grecia si prepara alle Olimpiadi del 2004 e le Olimpiadi significano potenziale crescita.

 

D. – E’ stato un semestre caratterizzato dalla spaccatura dell’Europa sull’Iraq, come si è comportata la Presidenza greca?

 

R. – La Grecia in fondo ha saputo gestire quella che è stata la più grave crisi all’interno dell’Unione Europea e l’ha saputa gestire con intelligenza. La Grecia tendenzialmente sarebbe stata contraria alla guerra, però, avendo la presidenza, ha dovuto esercitare un ruolo di mediazione di quelle che erano le posizioni, di quelli che erano gli annunci ufficiali dei vari leader europei. La Grecia su questo ha lavorato molto bene e anche di questo gliene è stato dato atto. L’Iraq è stata una priorità, ma questo non ha impedito a metà aprile di avere ad Atene la cerimonia che ha sancito l’ingresso di altri 10 Paesi in Unione Europea, tra cui Cipro, che per la Grecia era fondamentale entrasse.

 

D. – E oltre all’allargamento quali sono gli altri risultati concreti ottenuti in questo semestre?

 

R. – L’ultimo risultato concreto è stato dei giorni scorsi, cioè il campo agricolo, cioè quello che si presentava come un ostacolo praticamente insuperabile in qualche modo è stato superato e questo si deve ad una Presidenza che ha agito in maniera molto efficace. Devo dire che questo lascia una pesante verità, un’importante verità a quella italiana che sta subentrando.

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EVASIONE E RICREAZIONE NELLE ATTIVITA’ TURISTICHE

SENZA DIMENTICARE GLI ASPETTI ETICI DELLA VACANZA

- Intervista con mons. Agostino Marchetto -

 

 

Ripensare il turismo alla luce della dottrina sociale della Chiesa, a partire dalle esigenze dei più poveri. Il Papa lo ha chiesto con parole forti e chiare nel messaggio - pubblicato questa settimana - per la Giornata mondiale del turismo, che si celebrerà il 27 settembre. Giovanni Paolo II richiama la responsabilità personale dei turisti e dei viaggiatori rispetto alle tante realtà e situazioni di bisogno, con cui si viene a contatto durante vacanze e visite, considerato che gran parte delle strutture turistiche si trovano in regione povere e poverissime.

 

Il Santo Padre ci ammonisce “non ci si può rinchiudere nei propri interessi egoistici” quando si visitano Paesi in via di sviluppo, dove la gente muore letteralmente di fame: un richiamo severo per la coscienza quando nella vacanza - di norma - si cerca  evasione e ricreazione. Come conciliare le due esigenze? Ascoltiamo mons. Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, al microfono di Roberta Gisotti.   

 

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R. – Quando normalmente parliamo di turismo e di vacanze, a volte il nostro linguaggio non riflette sempre esattamente il nostro pensiero. Certamente quando si dice evasione, potrebbe significare porre tra parentesi non solo le attività della vita quotidiana, ma anche i criteri etici e morali, però credo che per la maggior parte delle volte non sia così per la gente. Piuttosto indicando evasione e ricreazione si pensa ad alcune condizioni di ambiente, di paesaggio, come pure di attività che ci aiutano a ritrovare l’equilibrio, la serenità, le forze fisiche, psichiche, spirituali e in questo senso dobbiamo considerare il turismo come uno strumento per lo sviluppo della persona con alcuni valori antropologici specifici ed importanti. Le parole del Santo Padre ci invitano a evitare il primo scoglio e ad approfondire alla luce della fede il secondo aspetto.

 

D. – Giovanni Paolo II configura un turista consapevole anche degli aspetti economici, finanziari e culturali dei luoghi che visita, ma certo non si può ipotizzare che questo sia alla portata di tutti. Quale ruolo possono giocare allora gli operatori del settore?

 

R. – Tutti siamo d’accordo sulla capacità del turismo di promuovere l’incontro fra le persone, i popoli, le culture, le religioni. Come fare perciò, perché diventi concretamente realtà nel viaggio di ciascun turista: le difficoltà sono reali, il tempo è sempre troppo breve, il più delle volte ci si deve affidare ai programmi preparati dalle agenzie e gli interessi che ciascuno porta con sé sono diversi. Tuttavia grazie a Dio, negli ultimi anni abbiamo visto nascere molte iniziative di cui un turista può beneficiare, sempre che ciò che viene offerto non sia solo un’etichetta. Oggi possiamo cogliere possibilità di turismo ecologico, culturale, solidale, sociale, popolare. Vi sono in effetti agenzie turistiche che per esempio destinano parte dei redditi a progetti di sviluppo. Molte associazioni, specialmente di giovani, preparano visite e soggiorni il cui obiettivo prioritario è di convivere e lavorare con gli abitanti del Paese visitato.

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IL PREMIO NANSEN DELL’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU PER I RIFUGIATI

CONSEGNATO AD UNA DONNA CHE HA PASSATO LA PROPRIA VITA

AD AIUTARE LE POPOLAZIONI AFRICANE, AFFETTE DA MALNUTRIZIONE E MALATTIE

- Intervista con Annalena Tonelli -

 

Da 25 anni in Africa, al servizio dei Somali. Prima in Kenya poi a Borama, un remoto angolo nel nordovest della Somalia, noto anche come Somaliland, dove ha fondato un ospedale per i malati di tubercolosi. Non solo. Anche una scuola per bambini sordi e una campagna per l’eradicazione della mutilazione genitale femminile. Per la sua opera, portata avanti da sola, senza l’appoggio di alcuna Ong, Annalena Tonelli ha ricevuto dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati il Premio Nansen, il principale riconoscimento assegnato a chi si batte per i poveri ed i rifugiati. Ma sentiamo la sua testimonianza al microfono di Giorgia Blandino:

 

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R. – Quando ho saputo di questo premio e mi è stato chiesto di accettarlo, ho subito rifiutato. E’ da una vita che io voglio vivere nascosta. Poi, invece, quelli dell’Alto Commissariato mi hanno convinta sulla base del fatto che questa sarebbe stata un’occasione unica per poter di nuovo porre sotto i riflettori la Somalia, con i suoi problemi cronici, con le infinite sofferenze del suo popolo.

 

D. – Da dove nasce la scelta di operare da sola?

 

R. – Il bisogno di essere nessuno e di vivere per gli altri, senza la potenza che inevitabilmente viene dall’organizzazione, dall’appartenere ad una Congregazione religiosa e simili.

 

D. – In che progetto pensa di impiegare i soldi del Premio?

 

R. – Vivo grazie ad aiuti di amici e quindi vivo totalmente abbandonata alla Provvidenza. Lei sa, io ho bisogno di 20 mila dollari al mese e quindi questi 100 mila non sono una grande cosa. Tutto lo staff – io ho 78 persone locali, somali, che lavorano con me – aspetta un incentivo, e quindi una parte di questo denaro andrà a loro.

 

D. – Qual è la situazione nell’ospedale dove lei opera?

 

R. – Non c’era praticamente nulla quando sono arrivata sette anni fa, c’era una piccola struttura che avevano creato gli inglesi negli anni Sessanta con una ventina di posti-letto, che io feci arrivare a 30-35. Poi costruii tante capanne per poter dare la possibilità agli ammalati di rimanere lì, perché arrivavano tutti in stadio terminale, in condizioni disperate, e non avrebbero mai potuto venire come ambulatoriali. Questo ospedale oggi è diventato un ospedale di 250 posti-letto. Poi ci sono tra i 200 e i 300 malati, a seconda dei periodi, che vengono ambulatorialmente ogni giorno a prendere i farmaci sotto la supervisione del personale sanitario.

 

D. – E’ stata responsabile di un progetto-pilota in tutta l’Africa per la cura della tubercolosi ...

 

R. – Cominciai nella mia casa e, non so per quali vie, l’Organizzazione mondiale della sanità venne a sapere di questo esperimento e mi chiese, come volontaria, di inventare un progetto-pilota per la cura dei nomadi che in genere sono irraggiungibili. E così immaginai un progetto che oggi è diventato famoso in tutto il mondo ed è il “Dots”, la “Directly Observed Therapy”, cioè la terapia osservata direttamente che poi, naturalmente, non vuol dire soltanto osservare l’ammalato quando ingoia tutte le sue pastiglie per i sei-otto mesi di trattamento, ma vuol dire infinitamente di più. Cioè, la diagnosi fatta al microscopio, la fornitura regolare dei farmaci: purtroppo, questa è la tragedia di tutto il mondo in via di sviluppo, i farmaci vengono sempre a mancare per cui ci sono continui pericoli di ‘multi-drug resistance’, la resistenza a tutti i farmaci antitubercolari; e poi, un sistema di monitoraggio estremamente dettagliato e tecnicamente aggiornato che curi la tubercolosi e che poi possa essere ripetuto in qualsiasi parte del mondo. Poi, la volontà politica: è chiaro, noi abbiamo bisogno dell’impegno del governo perché questo lavoro di controllo della tubercolosi possa avere successo. La tubercolosi rappresenta il più grave problema di sanità pubblica dei somali: praticamente, non c’è famiglia in Somalia che non abbia un malato di tubercolosi.

 

D. – E’ l’unica cattolica in mezzo ai musulmani ...

 

R. – Essendo diventata parte di loro, la possibilità di dialogare, di comprendersi, di volersi bene, di prendersi per mano diventa molto più accessibile che a qualsiasi altro che si fosse presentato in mezzo a loro. La gente comincia a dire che se anche sono cristiana, sicuramente andrò in paradiso, che io sono una donna mandata da Dio. Non c’è giorno in cui non si parli di Dio, e tutti sanno con la massima chiarezza che sono cristiana: infatti, pregano anche a voce alta in moschea perché io mi faccia musulmana. Credo che se si riesce a diventare parte di una piccolissima parte di umanità, questo cosiddetto dialogo non abbia più bisogno di parole, di nessuna fatica, e divenga veramente una cosa naturale .

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CHIESA E SOCIETA’

29 giugno 2003

 

LA PACE IN MEDIO ORIENTE PASSA ATTRAVERSO GLI STATI UNITI.

LA CONSIGLIERA DEL PRESIDENTE BUSH, CONDOLEEZA RICE, DOPO L’INCONTRO

DI IERI SERA CONIL PREMIER PALESTINESE ABU MAZEN, A COLLOQUIO STAMATTINA

CON SHARON. MA GIA’ SOPRAGGIUNGONO LE PRIME NUBI SULLA TREGUA

- A cura di Graziano Motta -

 

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GERUSALEMME. = La proclamazione della tregua è stata ritardata di 24 ore. Doveva avvenire oggi alle 11, contemporaneamente a Gaza, Ramallah e al Cairo, ma sono affiorate all’ultima ora delle divergenze. Il Fatah, partito di Arafat e del primo ministro Abbas, vorrebbe un riferimento alla road-map, al piano di pace, riferimento inviso invece alle altre organizzazioni, a quelle fondamentaliste in particolare. Poi, quelle radicali e laiche non intenderebbero accettare la sospensione per tre mesi degli attentati terroristici. Infine, sono state espresse contrarietà al fatto che ieri Abbas e il ministro della sicurezza Dahlan, nell’incontro a Gerico con la signora Condoleeza Rice, abbiamo promesso che intendono confiscare le armi alle organizzazioni dell’Intifadah, che poi sono le stesse che devono proclamare la tregua. In questo incontro, la consigliera di Bush ha invitato Abbas in visita a Washington; questi ha accettato, spiegando tuttavia che intende rinviare il viaggio perché al momento molto impegnato. Si sa invece che egli si è rifiutato di andare alla Casa Bianca fino a quando gli israeliani impediranno ad Arafat di lasciare la residenza di Ramallah. Abbas ha poi detto che i servizi di sicurezza palestinesi hanno sventato nelle ultime ore sei tentativi di attentati in Israele. E proprio sulla continuazione della violenza – ieri sono stati ben 70 gli allarmi-attentato – il primo ministro Sharon ha parlato oggi con la signora Rice, chiarendo le riserve e diffidenze israeliane sulla tregua dei gruppi armati palestinesi: teme che in questi tre mesi questi si rafforzino. La signora Rice incontrerà nel pomeriggio i ministri israeliani degli esteri e della difesa, il capo di Stato maggiore, i capi delle informazioni militari e dei servizi segreti.

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ANCORA MILITARI AMERICANI UCCISI IN IRAQ. RITROVATI IERI MORTI I DUE SOLDATI DATI PER DISPERSI DA MERCOLEDI’ SCORSO. DALLA FINE DELLA GUERRA 63 MARINES HANNO PERSO LA VITA NEL PAESE MEDIORIENTALE

 

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BAGHDAD. = Una guerra finita solo sulla carta. In Iraq, infatti, gli stati Uniti continuano a pagare il caro prezzo della pace, con un pesante tributo di vite. Ancora vittime nelle ultime ore, dopo lo stillicidio di queste settimane: si tratta di due soldati, dati per dispersi da mercoledì scorso con il loro veicolo blindato, ritrovati ieri senza vita a nord di Baghdad. La notizia è giunta poche ore dopo che un altro militare statunitense era stato ucciso e quattro altri feriti in un agguato nella zona nord della capitale. Dal primo maggio, quando il presidente Bush ha proclamato ufficialmente la fine dei combattimenti in Iraq, nel Paese mediorientale sono morti, in incidenti o attacchi, 63 militari Usa. Con i 138 morti durante la guerra, il totale delle vittime statunitensi in Iraq ha superato quota 200. Intanto cresce l'inquietudine nell'opinione pubblica americana, che potrebbe tradursi in crescenti difficoltà politiche per la Casa Bianca. Alcune centinaia di persone hanno accolto il presidente Bush con cartelli di protesta dedicati all'Iraq, al suo arrivo a San Francisco  per raccogliere fondi per la campagna elettorale del 2004. La protesta è stata ignorata dal capo della Casa Bianca che conta di avere ancora la maggioranza dell'opinione pubblica dalla sua parte. Ma l'aver dato per certa la presenza in Iraq di armi proibite, che invece mancano all'appello, rischia ancora di porre l'Amministrazione Bush sulla difensiva, in vista dall'anno delle elezioni presidenziali. (S.S.)

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LA DIPLOMAZIA INTERNAZIONALE AL LAVORO PER LA PACE IN LIBERIA. KOFI ANNAN

E DOMINIQUE DE VILLEPIN CHIEDONO L’INVIO DI UNA FORZA MULTINAZIONALE

PER SORVEGLIARE LA FRAGILE TREGUA FIRMATA DAI RIBELLI

 

MONROVIA. = E' tornata la calma a Monrovia, la capitale della Liberia, teatro negli ultimi giorni di scontri tra ribelli e forze governative che hanno provocato almeno 300 morti e mille feriti tra i civili. Cresce, però, tra la popolazione il malcontento rispetto ad una situazione di insostenibile disagio: ieri mattina una grande manifestazione davanti all’Ambasciata statunitense ha chiesto a gran voce l’intervento di Washington. Lo stesso presidente Charles Taylor, parlando nei pressi della capitale, ha riferito che il suo governo sta esaminando la possibilità di far giungere nel Paese truppe americane. In tal senso il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di autorizzare quanto prima l'invio in Liberia di una forza multinazionale. “E' nostro interesse comune – ha scritto Annan – promuovere un’azione decisiva e urgente del Consiglio di sicurezza. Non possiamo ignorare i segnali di una possibile imminente catastrofe”. La forza multinazionale deve essere posta “sotto la guida di un Paese membro” – ha infine sottolineato Annan, riferendosi agli Stati Uniti che fino ad ora hanno ignorato la crisi. Sulla stessa lunghezza d'onda il ministro degli Esteri francese Dominique de Villepin,  che, durante una visita in Ghana, si è pronunciato in favore di una “presenza internazionale”. Avanza intanto lo spettro di una catastrofe umanitaria, motivo per il quale il movimento Lurd – i Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia – ha proclamato venerdì un cessate il fuoco unilaterale. Una pace a cui, però, credono davvero in pochi. (S.S.)

 

 

AL VIA IERI A TARSO, IN TURCHIA, L’OTTAVO SIMPOSIO DEDICATO A SAN PAOLO

- A cura di padre Egidio Picucci -

 

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ANTIOCHIA. = “La comprensione di Paolo e del suo pensiero, l’uso dei suoi scritti e una maggiore conoscenza a livello archeologico e storico della sua terra, sono i motivi ispiratori degli incontri che da otto anni si organizzano in Turchia per approfondire la persona e l’attività dell’apostolo Paolo”. Con queste parole di padre Luigi Padovese è iniziato ieri pomeriggio a Tarso l’VIII Simposio sull’apostolo Paolo, organizzato dall’Istituto francescano di spiritualità dell’Antonianum di Roma, al quale partecipano professori italiani, francesi e turchi delle Università di Istanbul, Ankara e Konia. I lavori sono stati aperti nella chiesa dedicata all’apostolo nella sua città natale, con i saluti degli organizzatori, la presentazione del tema e una suggestiva concelebrazione presieduta da mons. Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova, assistito dal nunzio in Turchia, mons. Edmond Faraht, dal vicario apostolico dell’Anatolia, mons. Franceschini, la partecipazione di 26 sacerdoti e di un alto numero di cattolici di rito latino, armeno e siriaco. Oggi il Simposio prosegue in Antiochia, la città da cui Paolo partì per i tre viaggi apostolici che cambiarono il mondo. Le relazioni dei professori sono state precedute da una significativa liturgia della Parola ecumenico-interreligiosa presso la Grotta di San Pietro, la prima cattedrale cattolica. Vi hanno partecipato i vescovi presenti a Tarso, l’arcivescovo metropolita Ghattas Azeem con un archimandrita, rappresentanti del Patriarca greco-ortodosso Ignazio IV, sacerdoti locali, il Muftì musulmano, alcuni responsabili della comunità protestante, il sindaco della città del Comune in cui si trova la Grotta e altre autorità civili. La sessione del Simposio continuerà con relazioni che verteranno sulla città di Antiochia di ieri e di oggi, e i lavori termineranno martedì 1 luglio.

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E’ LA REDATTRICE SVEDESE AGNETA LAGERCRANTZ LA VINCITRICE

DEL PRIMO PREMIO GIORNALISTICO "TEMPLETON" PER LA SEZIONE "RELIGIONE".

LA GIURIA L’HA SCELTA PER LA SUA ACCURATEZZA, IMPARZIALITA’ ED APERTURA

 

TRONDHEIM. = "La mia ambizione è di rendere il tema religioso importante come tutti gli altri temi che riguardano l’essere umano". È quanto ha affermato Agneta Lagercrantz, redattrice del secondo quotidiano svedese "Svenska Dagbladet", ricevendo il premio Templeton come migliore giornalista dell’anno per la sezione "religione", nel contesto della XII Assemblea della Conferenza delle Chiese d’Europa a Trondheim. Nata nel 1956, Agneta Lagercrantz si occupa di temi religiosi per il suo quotidiano dal 1999. "Accuratezza, imparzialità e apertura" sono i motivi che hanno portato la giuria a conferirle il premio. Lagerkrantz ha detto di voler dare parte dei 5000 franchi svizzeri del premio per il "progetto monastico" della prigione di Kumla, a Stoccolma, un progetto avviato dal Consiglio delle Chiese della Svezia, che offre la possibilità a 8 ergastolani di seguire un mese di "esercizi ignaziani" in un’apposita parte della prigione. Uno degli articoli che ha convinto la giuria, è proprio quello in cui Lagerkrantz racconta la storia di Francesco Severino, un ex-guerrigliero uruguayano detenuto in Svezia, che dopo aver fatto l’esperienza degli "esercizi ignaziani", ha deciso, mentre sconta il suo ergastolo, di diventare diacono. "Ringrazio le persone che ho incontrato - ha detto Lagerkrantz - e che mi hanno regalato le loro vite perché io potessi raccontarle".

 

 

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