RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 179 - Testo della
Trasmissione di sabato 28 giugno 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Cristiani e musulmani insieme nelle isole Molucche per cancellare gli orrori della guerra.
Si apre oggi a Perugia il Convegno nazionale del Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa.
Hamas
annuncia tre mesi di tregua, mentre è prossimo anche il ritiro israeliano da
Gaza e Betlemme
Altri
soldati statunitensi uccisi in Iraq. Washington in difficoltà nella gestione
del dopo guerra
Isais
Samakuva è il nuovo leader del Unita, l’ex movimento ribelle dell’Angola, ora
partito politico.
28 giugno 2003
NON TRASCURARE
ALCUNA OCCASIONE PER CONCOLIDARE IL CAMMINO
VERSO LA PIENA UNITA’ TRA CATTOLICI E ORTODOSSI, IN
UN CONTESTO STORICO
DOVE E’ URGENTE CHE I CRISTIANI TESTIMONINO UNITI IL
VANGELO.
COSI’ IL PAPA ALLA DELEGAZIONE
DEL PATRIARCATO ECUMENICO
DI COSTANTINOPOLI,
A ROMA PER LA FESTA DEI SS. PIETRO E PAOLO
- A cura di Alessandro De Carolis -
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Il contesto attuale del mondo ha
bisogno che i tutti i cristiani, a qualsiasi confessione appartengano,
testimonino il Vangelo di Cristo perché sia promosso il dialogo interreligioso,
siano superati i conflitti tra i popoli, sia tutelato il Creato e siano
compresi i nuovi scenari aperti dal progresso scientifico e tecnologico. E,
nell’Europa che marcia verso l’integrazione, sia data nuova linfa alle radici
cristiane che hanno fatto la storia del continente.
Sono gli auspici che Giovanni Paolo II ha espresso
questa mattina nel ricevere in udienza la Delegazione del Patriarcato ecumenico
di Costantinopoli, giunta a Roma come ogni anno per la festa dei Santi Pietro e
Paolo. “La vostra presenza qui – ha affermato il Papa, salutando i
rappresentanti del Patriarca Bartolomeo I - è un segno della nostra comunione
d’amore per Cristo e un gesto di fraternità ecclesiale”. E l’incontro annuale
di fine giugno un momento che “nutre i nostri fraterni rapporti” e che
“sostiene la nostra speranza di procedere passo dopo passo lungo la strada
della piena comunione e del superamento delle nostre storiche divisioni”.
Il Pontefice ha sottolineato con gratitudine le
molteplici occasioni che, nel recente passato, hanno consentito alla Chiesa di
Roma e a quella di Costantinopoli di incontrarsi e consolidare i propri legami.
Come nel caso del messaggio inviato da Giovanni Paolo II a Bartolomeo I per il
quinto Simposio sull’ambiente o per gli auguri ricevuti dal Patriarca per i 25
anni di pontificato. In modo particolare, il Papa si è detto “profondamente
grato” per gli sforzi compiuti nei mesi passati dal Patriarcato ortodosso “per
coordinare la continuità del lavoro della Commissione mista internazionale per
il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse”.
Nel porre l’accento sulla necessità della
cooperazione tra tutti i credenti in Cristo - nella contingenza storica,
religiosa, sociale e scientifico-tecnologica del momento - il Pontefice ha
riaffermato con chiarezza che “il consolidamento dell’unità e dell’identità
europea” richiede che i cristiani “giochino uno specifico ruolo nell’attuale processo
di integrazione e riconciliazione. Non è la Chiesa di Cristo – si è chiesto
Giovanni Paolo II – chiamata per prima e soprattutto a offrire al mondo un
modello di armonia, di tolleranza reciproca e di fruttuosa carità che riveli il
potere della Grazia di Dio per il superamento di tutte le discordie e le
divisioni umane?”. Il Papa ha concluso invitando i fratelli ortodossi a
continuare insieme nella ricerca del dialogo, “non trascurando nessuna
opportunità verso la piena comunione e la cooperazione”.
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Che cosa significa, in termini di riavvicinamento e
di comunione questo scambio tradizionale di delegazioni che avviene ormai da
vari anni? Risponde il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio
Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, al microfono di Carla
Cotignoli:
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R. – E’ un punto fermo e
importante nell’ecumenismo. La comunione già esistente è una comunione molto
ricca, molto profonda. E tramite questi incontri l’amicizia e la comunione
crescono ogni anno. Questo è molto importante anche per approfondire il dialogo
sui problemi che sussistono, per approfondire
la mutua conoscenza.
D. – Quindi, c’è un
miglioramento dopo il momento difficile che si è registrato nei rapporti con la
Chiesa ortodossa….
R. – Sì, è una crescita
continua, soprattutto negli ultimi due anni. Abbiamo fatto progressi,
inimmaginabili due anni fa: con i serbi, con i bulgari, con i romeni e con i
greci, con cui i rapporti non erano facili. Adesso invece c’è amicizia, c’è mutua
collaborazione. Penso che l’ecumenismo con le Chiese ortodosse sia in una fase
molto buona. Purtroppo, per il momento
non si può dire lo stesso per le relazioni con il patriarcato di Mosca.
D. – Questa visita cade in un
momento in cui l’Europa sta camminando a grandi passi verso l’unificazione tra
Oriente e Occidente europeo. Forse da
parte della Chiesa d’Occidente si rende sempre più necessario conoscere e approfondire
il patrimonio della Chiesa orientale, ereditato dai Santi Cirillo e Metodio…
R. – Questi due Santi nativi di
Tessalonica, erano in comunione con Costantinopoli e con Roma. Questi due
fratelli sono molto importanti per questi
loro contatti, e il Papa stesso ha scritto un’enciclica, “Slavorum Apostoli”, definendoli come
“gli anelli di congiunzione”, “ponte spirituale tra la tradizionale orientale e
la tradizione occidentale”. L’alfabeto che loro hanno creato, è usato da tutte le Chiese e i Paesi slavi.
Il Santo Padre li ha indicati come esempio per l’inculturazione del Vangelo.
D. – Anche dal punto di vista
spirituale hanno un patrimonio a cui noi possiamo attingere …
R. – Questa cultura ortodossa
nei Paesi slavi è molto antica e importante. Noi, nell’Europa occidentale,
viviamo il pericolo della secolarizzazione. Quindi, anche noi possiamo imparare
molto da queste Chiese. L’ecumenismo non è una via a senso unico, è uno scambio
non soltanto delle idee, ma anche dei doni e delle ricchezze spirituali, come
ha detto il Papa nell’enciclica “Ut Unum Sint”. Noi abbiamo molto da imparare.
Loro hanno conservato il senso del mistero nella liturgia. Noi, invece, siamo
spesso in pericolo di dimenticarlo.
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Come detto, la delegazione del Patriarcato ecumenico
di Costantinopoli si trova a Roma per prendere parte ai festeggiamenti per la
solennità dei Santi Pietro e Paolo. Ricordiamo che domani, nella Basilica di
San Pietro, Giovanni Paolo II presiederà alle ore 18 la concelebrazione
eucaristica durante la quale imporrà il Sacro Pallio a 38 arcivescovi
metropoliti. Una rappresentanza della Santa Sede parteciperà, come da
tradizione, alle celebrazioni che si tengono annualmente a Istanbul il 30
novembre, festa di Sant’Andrea.
ALTRE UDIENZE E NOMINE DI CURIA.
PROVVISTE DI CHIESE NELLE FILIPPINE E IN URUGUAY
Il Santo Padre ha ricevuto in
udienza questa mattina i componenti della presidenza del Consiglio Episcopale
Latinoamericano (Celam), con i cardinali Francisco Javier Erràzuriz Ossa,
arcivescovo di Santiago del Cile, e Pedro Rubiano Sàenz, arcivescovo di Bogotà.
Nel corso della mattinata, il
Pontefice ha pure ricevuto due vescovi della Conferenza episcopale dell’India
in visita “ad Limina” e il prof. Carl Albert Anderson, supremo cavaliere dei
Cavalieri di Colombo, la benemerita associazione internazionale di laici
cattolici, sorta nell’800 in America come organizzazione fraterna di servizio
religioso e caritativo, che conta oggi 1 milione e 600 mila membri.
Il Santo Padre ha nominato
membri della Congregazione per e Chiese Orientali il presule romeno mons. Lucian Muresan, arcivescovo di Fagaras
e Alba Iulia,m e il presule indiano mons. Cyril Baselios Malancharuvil,
arcivescovo di Trivandrum dei Siro Malankaresi, nonché consultore dello stesso
dicastero il presule etiopico mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel,
arcivescovo di Addis Abeba.
Nelle Filippine, il Papa ha
istituito tre circoscrizioni ecclesiastiche, con territorio distaccato
dall’arcidiocesi di Manila: la diocesi di Cubao, con primo vescovo il presule mons. Honesto F. Ongtioco, finora
vescovo di Balanga; la diocesi di Kalookan, con primo vescovo mons. Deogracias
S. Iñiguez Jr, finora vescovo di Iba; la diocesi di Pasig, con primo vescovo
mons. Francisco C. San Diego, finora vescovo di San Pablo. Sempre nelle
Filippine, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della prelatura di Infanta, presentata dal
vescovo mons. Julio X. Labayen, per limiti di età, ed ha nominato al suo posto
Rolando J. Tria Tirona, finora vescovo di Malolos.
In Uruguay, il Santo Padre ha nominato
ausiliare della diocesi di Salto il
sacerdote 48enne Heriberto Andrès Bodeant Fernàndez, del clero locale e finora
parroco, elevandolo alla dignità vescovile.
Il Papa
presiederà questo pomeriggio alle ore 18.00 nella Basilica Vaticana la celebrazione
dei primi vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo, con la promulgazione
dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Europa”. E’ questo il
documento papale scaturito dalla seconda Assemblea speciale per l’Europa del
Sinodo dei Vescovi, svoltasi in Vaticano dal 1° al 23 ottobre 1999, sul tema:
“Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa”.
L’EREDITÀ DEL VERTICE DI
SALONICCO,
LE PROSPETTIVE DELLA BOZZA DI COSTITUZIONE
DELL’UNIONE EUROPEA
E LA CRISI DEL MEDIO ORIENTE:
INTERVISTA CON L’ARCIVESCOVO JEAN-LOUIS TAURAN
- A cura Aldo Sinkovic e Amedeo Lomonaco -
Il recente Vertice di Salonicco, conclusosi lo
scorso 21 giugno, è stato dedicato, in primo luogo, alla Bozza di Costituzione
dell’Unione europea, presentata dal presidente della Convenzione, Valéry
Giscard d’Estaing, ai capi di Stato e di governo. In occasione dello storico
Summit si è svolto anche un importante incontro, a Porto Carras, fra i Paesi
balcanici e quelli dell’Unione. “Per i Paesi dei Balcani occidentali – si legge
nella dichiarazione finale del Vertice - l'allargamento in atto e la firma del
trattato di Atene nell'aprile 2003 sono motivo di stimolo e di incoraggiamento
per percorrere lo stesso positivo cammino”. Nel Vertice greco è stato inoltre
preso l’impegno di coordinare tutti gli sforzi degli Stati membri per la
ricostruzione dell’Iraq. Sulla crisi in Medio Oriente, l’Alto rappresentante
per la politica estera comune, Javier Solana, ha enfatizzato la necessità di
promuovere la ‘road map’, il processo di pace che prevede l’istituzione dello
Stato palestinese nel 2005. Sul significato della bozza per la futura
Costituzione europea ascoltiamo, al microfono di Aldo Sinkovic, il segretario
della Santa Sede per i rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Jean-Louis Tauran:
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R. –
Con questa bozza direi che l’Europa non è più un progetto e nemmeno un semplice
cantiere; diventa realmente un edificio. La bozza del Trattato, infatti, non è
più un semplice scheletro ma una costruzione organica i cui mattoni sono stati
collocati grazie al consenso dei membri della Convenzione. E’ importante
ricordare anche che l’elaborazione di questo testo è dovuto ad un dialogo con
diversi settori della società civile europea e quindi raccoglie molte opinioni
e molti valori comuni. E’ importante il rispetto della dignità umana,
riconosciuto nell’articolo 2, ma rimangono anche le lacune della Carta dei
diritti fondamentali di Nizza per quanto concerne – per esempio – la
clonazione, il matrimonio, la famiglia ... Comunque, è positivo che per la
prima volta nella storia dei Trattati europei sia stato inserito un articolo
proposto da tutti i cristiani europei in forza del principio di sussidiarietà.
L’Unione, infatti, si impegna a rispettare lo Statuto, di cui le confessioni religiose beneficiano
in forza delle legislazioni nazionali degli Stati membri, e si impegna a mantenere
un dialogo costante con le confessioni religiose, riconoscendo così la loro
identità e il loro contributo specifico al dialogo pubblico della società
europea. Quindi, direi che pur conservando certe preoccupazioni per quanto
riguarda, ad esempio, il riferimento al patrimonio cristiano, si tratta di una
costruzione positiva che certamente segna un nuovo capitolo nella storia
dell’Europa.
D. –
Ecco, i Paesi del Sudest europeo non sono finora entrati da protagonisti nel
processo di costruzione delle nuove istituzioni europee. Pensa che potranno,
tuttavia, dare un apporto significativo alla comunità dei popoli del continente,
ed eventualmente in quali campi o direzioni?
R. –
Direi che questi Paesi del sudest europeo appartengono alla Casa comune europea,
e quindi possono contribuire alla crescita spirituale e allo sviluppo
dell’Europa. Penso che, per esempio, le sofferenze subite, le ingiustizie perpetrate
in quei Paesi alla fine del secondo millennio costituiranno un monito importantissimo
per il futuro dell’Unione Europea. Il ritorno di questi Paesi in seno
all’Unione può farci riflettere sulle lezioni che dobbiamo trarre dalla storia.
D’altra parte, mi pare che si debba anche riconoscere l’apporto significativo
che la prospettiva dell’ingresso dell’Unione offre a quei Paesi del sudest
europeo, una specie di catalizzatore capace di intensificare l’impegno per la
democrazia, per la riconciliazione delle popolazioni, per il rispetto delle
minoranze, per il superamento definitivo dell’insicurezza che è ancora – come
sappiamo – molto presente in quei Paesi ...
D. –
Malgrado questa difficoltà, il Santo Padre anche durante i recenti viaggi in
Croazia e in Bosnia ha espresso, anzi, ha sottolineato la necessità
dell’entrata al più presto di questi Paesi nella comunità europea, dove potranno
realizzare il proprio futuro ...
R. –
Però, per entrare, devono ovviamente adattare il loro sistema giuridico-sociale
in modo da adeguarsi agli standard europei!
D. – Il
Santo Padre è preoccupato anche per la situazione del Medio Oriente, in Terra
Santa. Ci sono segni di sviluppo?
R. – Io
penso che in questo ultimo mese ci siano stati sforzi lodevoli da una parte e
dall’altra. Però, come capita sempre in quella parte del mondo, una sera abbiamo
un piano di pace, l’indomani un attentato ed il giorno seguente di nuovo la
guerra. Quindi, ciò che è importante è che l’intera comunità internazionale cooperi
insieme per far ragionare i palestinesi e gli israeliani, due popoli chiamati
dalla geografia della storia a vivere assieme, due popoli che hanno diritto
alla stessa libertà ed alla stessa sovranità.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Il
giornale pubblica l’Esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II
“Ecclesia in Europa”.
Nelle
vaticane, una pagina dedicata alla solennità dei Santi Pietro e Paolo.
Nelle
pagine estere, Medio Oriente: Hamas disposta ad una tregua di tre mesi.
Liberia:
a Monrovia tacciono le armi, ma la situazione resta drammatica.
In
Iraq non si placano le violenze.
Nella
pagina culturale, un contributo di Claudio Toscani in ricordo dello scrittore
Giuseppe Pontiggia.
Nelle
pagine italiane, in rilievo i temi del lavoro, dell'immigrazione e del pubblico
impiego.
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28 giugno 2003
RISCHIO
DI CATASTROFE UMANITARIA IN LIBERIA
A
CAUSA DELLA GUERRA CIVILE
-Intervista con Massimiliano Alberizzi-
La
guerra in Liberia rischia di diventare una storia senza fine, tra tregue
annunciate e ripresa dei combattimenti tra ribelli e i militari del presidente
Taylor. Ieri la guerriglia del Lurd, il gruppo dei liberiani uniti per la
riconciliazione e la democrazia, ha annunciato un nuovo cessate-il-fuoco per
evitare - è stato detto - una catastrofe umanitaria. Gli scontri hanno già
provocato 300 morti e messo in crisi la popolazione civile. Ma già oggi
migliaia di liberiani si sono accalcati davanti all'ambasciata americana a
Monrovia per chiedere l'intervento degli Stati Uniti nella drammatica guerra
che sta lacerando il Paese. Ma per che cosa si combatte in Liberia? Giancarlo
La Vella ne ha parlato con Massimo Alberizzi, esperto di Africa del Corriere
della Sera:
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R. – La Liberia non è un Paese ricco solamente di legname
– tra le altre cose, c’è anche un serio pericolo ecologico, perché si sta
operando un disboscamento indiscriminato - ma la ricchezza è rappresentata
soprattutto dai diamanti della Sierra Leone, e dei Paesi intorno alla Liberia,
che vengono presi, mandati a Monrovia e smerciati come diamanti liberiani.
Quindi, tutta la regione è in fermento. In quella zona ci sono forze militari
inglesi che tengono a freno la situazione, ci sono anche i caschi blu dell’Onu
e il rischio è che, se se ne vanno gli inglesi, anche la Sierra Leone potrebbe
destabilizzarsi. C’è quindi il concreto pericolo che tutta quella parte di
continente venga coinvolta in una guerra continua del tipo di quella che ha
insanguinato la Somalia, dove dal ’91 si vive come in una giungla, dove non c’è
governo e la popolazione soffre e muore.
D. – Al centro di questa vicenda, c’è la figura di un
personaggio controverso come il presidente liberiano Charles Taylor: se si
facesse da parte, si potrebbe in qualche modo risolvere la situazione?
R. – Sicuramente. Meglio che si faccia da parte prima di
essere defenestrato. Si dovrebbero forse dare a Taylor delle garanzie, in
questo senso; so che eticamente è scorretto, però, probabilmente, dal punto di
vista pratico, sarebbe molto meglio. E’ vero che lui probabilmente è colpevole
di crimini di guerra - infatti, c’è un mandato di cattura nei suoi confronti al
tribunale internazionale sulla Sierra Leone - però, in qualche modo si dovrebbe
garantirgli un salvacondotto per evitare che possa nuocere, e soprattutto
possano nuocere i suoi adepti che verrebbero a perdere, appunto, i proventi
derivanti dal contrabbando dei diamanti che il presidente controlla. E’ molto
complicato ed è molto difficile trovare una soluzione; la pace, da queste
parti, passa quasi sempre per la spartizione delle risorse. E se questo non
avviene, la guerra continua. Taylor ha dietro di sé degli uomini, delle tribù
le quali, rimanendo senza proventi, poi si scatenerebbero di nuovo.
D. –
La comunità internazionale può dire la sua in questa vicenda?
R. – Certo che può, anzi deve. Che poi lo faccia veramente
è un altro discorso. Certo, bisognerebbe anche inviare delle forze
internazionali: sarebbe proprio il caso. Però in questo momento ci sono scontri
diplomatici tra la Francia e gli Stati Uniti, anche in questa faccenda dopo
quelli che ci sono stati sull’intervento in Iraq. E’ una situazione molto
difficile, perché gli interessi in conflitto non sono solo quelli di Taylor,
dei suoi accoliti, oppure quelli di coloro che sono contro di lui. I diamanti
vanno a finire nelle nostre case, dai nostri gioiellieri ... Quindi, la partita
è molto più grossa di quella che può sembrare a prima vista: verrebbe a
crollare, per esempio, il mercato dei diamanti, l’attività dei tagliatori di
diamanti ad Anversa, a Tel Aviv, nei grandi mercati che sono New York, Bombay,
Anversa, Rotterdam ... E quindi, il meccanismo in gioco è molto, molto
complesso e gli interessi sono molto, molto diversificati e ramificati.
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CITTADINI SCOMODI NEI MEDIA:
CON NOI, IL DOTT. ANGELO ZACCONE TEODOSI
- Servizio di Roberta Gisotti -
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“Persone con disabilità e media. Barriere comunicative o
nuove opportunità?”. Il tema è stato ampiamente dibattuto in un Convegno
ospitato a Roma nella Camera dei Deputati, promosso dal Consiglio nazionale
degli utenti, in questo Anno europeo 2003 dedicato proprio alle persone
disabili. Due giornate fitte di lavoro, aperte dal presidente della Camera
Pierferdinando Casini, dove si sono alternati interventi di politici,
rappresentanti delle Istituzioni, studiosi di varie discipline, esperti ed
operatori del settore comunicazione, responsabili dei Media, delegati delle
associazioni dei disabili. Una panoramica a 360 gradi per fare il punto della
situazione, rimuovere ostacoli e proporre nuove iniziative. Speriamo non solo
parole per realizzare finalmente nei fatti l’integrazione sociale e culturale
dei disabili.
Al nostro microfono abbiamo il dott. Angelo Zaccone
Teodosi, presidente dell’Istituto italiano per l’industria culturale, esperto
di processi comunicativi.
D. - A che punto siamo in Italia e nel resto d’Europa
nella tutela dei soggetti più deboli, come i disabili, nel campo dei media?
R. – Diciamo che ci sono molte potenzialità, ma purtroppo
la situazione reale, quella che a me piace definire la ‘real politique’ del
sistema dei media della comunicazione, porta risultati abbastanza deprimenti
nella concretezza dei fatti, nel senso, ricordiamo che in Italia si stima che
siano circa 3 milioni le persone in qualche modo affette da forme di disabilità
e un circa 38-40 milioni a livello europeo. Oggettivamente queste persone hanno
una limitata visibilità mediale e nonostante le potenzialità che un medium,
come la televisione può avere, o anche internet, sembra non esserci una
sufficiente sensibilità da parte degli operatori della comunicazione.
D. – Da questo Convegno sono emerse delle novità …
R. – Il Convegno è stato molto interessante dal punto di
vista dell’analisi teorica e anche accademica, ma è stato anche abbastanza
sconfortante nell’osservare, nel verificare, come hanno segnalato molti
rappresentanti di associazioni, che, paradossalmente, l’Italia ha visto
peggiorare la propria situazione nel corso degli anni, per la inevitabile
deriva commerciale della televisione pubblica, però paradossalmente si è
verificato che la Rai sta in qualche modo peggiorando complessivamente quella
che è la propria capacità di rispondere alle esigenze, appunto, delle persone
disabili, perché fanno poca audience, perché prevale l’immagine di una società,
di un sistema sociale, come dire, dominato dalle regole della pubblicità, per
cui dobbiamo essere tutti più o meno giovani, belli, sorridenti e soddisfatti,
ed essenzialmente consumatori. E’ chiaro che tutte le problematiche dei
disabili sono comunque connesse con le differenze, con la individualità, con la
problematicità.
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28 giugno 2003
PRESENTATA
IERI A ROMA LA RICERCA “IL RAZZISMO IN ITALIA”,
CHE
DENUNCIA LA DIFFUSIONE DEL FENOMENO FRA I GIOVANI ITALIANI
E GLI
STEREOTIPI DI CUI SONO VITTIME IMMIGRATI, MUSULMANI ED EBREI
ROMA. =
Il razzismo come fenomeno pervasivo e diffuso, declinato in forme nuove che
spesso acquistano visibilità e accettazione pubblica. È questo il preoccupante
quadro che emerge dal primo rapporto della ricerca “Il razzismo in Italia”,
presentata ieri a Roma, in Campidoglio. L’indagine, promossa dall’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane con l’alto Patronato del presidente della Repubblica,
è stata condotta dal prof. Enzo Campelli, Direttore del dipartimento di ricerca
sociale e metodologia sociologica “Gianni Statera” dell’Università “la Sapienza”.
Attraverso 2.200 interviste a giovani dai 14 ai 18 anni in tutta Italia, la
ricerca mette in evidenza le nuove forme di razzismo, basate fra l’altro sulla
distorsione della differenza culturale, sulla paura della concorrenza,
sull’allarme identitario o sulla volontà di assimilazione. Tramite la
costruzione di un’apposita scala, si scopre che quasi un quinto dei ragazzi
manifesta un atteggiamento di razzismo alto-molto alto. La ricerca ricostruisce
gli allarmi e gli stereotipi diffusi verso immigrati, musulmani ed ebrei. Il
32.8 per cento degli intervistati ritiene che gli immigrati sottraggano casa e
lavoro, il 47.8 che rendano meno sicura la vita nelle città. Il 56.2 per cento
dei ragazzi ritiene che i musulmani abbiano “leggi crudeli e barbare”, il 47
che siano “integralisti e fanatici”. Allarmante il dato sull’antisemitismo: fra
gli intervistati, il 17.5 per cento ritiene che “gli ebrei devono tornarsene
tutti in Israele” e il 17.4 per cento che “quando si parla dello sterminio
degli ebrei si esagera su quello che è davvero successo”. Alla presentazione,
introdotta dai messaggi del presidente della Repubblica Ciampi e del sindaco
Veltroni, hanno preso parte, fra gli altri, il prof. Amos Luzzatto, presidente
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il direttore della ricerca Enzo
Campelli e Franca Eckert Coen, delegata alle Politiche della Multietnicità.
(S.B.)
“PER OPERARE EFFICACEMENTE IN IRAQ OCCORRONO PIÚ
FINANZIAMENTI”.
L’APPELLO LANCIATO DALL’ALTO COMMISSARIATO ONU PER I
RIFUGIATI,
INSIEME AD ALTRE AGENZIE UMANITARIE. MA NELLA
REGIONE
NON SONO ANCORA SUFFICIENTI LE CONDIZIONI DI
SICUREZZA
GINEVRA.
= L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) lancia un
appello per il finanziamento delle proprie operazione in Iraq, dove è impegnato
nell’assistenza di oltre 110 mila rifugiati palestinesi, iraniani e turchi, e
dei rifugiati e sfollati iracheni che stanno facendo ritorno spontaneamente
alle proprie case. L’agenzia Onu, che aveva già ricevuto oltre 59 milioni di
dollari prima e durante la recente guerra per prepararsi ad un possibile flusso
di persone in fuga dall’Iraq e per
posizionare aiuti di emergenza e personale in tutta la regione, chiede ora
ulteriori 31 milioni di dollari per raggiungere la cifra giudicata necessaria a
svolgere le proprie operazioni per tutto il 2003. L’appello lanciato dall’Unhcr
rientra in una più articolata richiesta di circa 260 milioni di dollari lanciata
da varie agenzie umanitarie. “Dopo anni di abbandono l’Iraq si trova ora ad
affrontare enormi problemi”, afferma l’Alto commissario Onu per i rifugiati,
Ruud Lubbers. “L’Unhcr e le altre agenzie umanitarie – prosegue – chiedono
urgentemente di aiutare la popolazione irachena e sostenere programmi che
garantiscano assistenza di base e infrastrutture ai rifugiati che rientrano, in
modo che il loro rimpatrio e la loro reintegrazione siano duraturi”. Lubbers
dovrebbe recarsi in visita in Iraq verso la metà di luglio per incontrare i
leader della comunità irachena e i funzionari dell’amministrazione provvisoria,
oltre che per fare visita agli sfollati che si trovano nella regione.
Concretamente, con i suoi 60 operatori dislocati nelle tre principali regioni
dell’Iraq, l’Unhcr cerca di aiutare la popolazione della zona ad evitare nuovi
conflitti interni, che potrebbero verificarsi a causa delle forti tensioni in
atto. L’alto commissariato sta favorendo inoltre il ritorno in Iraq di numerosi
rifugiati curdi, siriani, palestinesi, iraniani. L’agenzia ritiene che dei
circa 1 milione di rifugiati e iracheni costretti a lasciare il proprio Paese,
circa la metà potrebbe chiedere assistenza per il rimpatrio, non appena la
situazione nel Paese lo permetterà. L’Unhcr, tuttavia, considera ancora
insoddisfacenti le condizioni di sicurezza all’interno dell’Iraq e raccomanda che
i circa 500 mila rifugiati, che si trovano principalmente in Iran, Giordania,
Arabia Saudita e Siria, rimandino il loro ritorno a quando la sicurezza e le
infrastrutture saranno ristabilite. (M.D.)
NELLA
BASILICA DEL SACRO CUORE DI MONTMARTRE, A PARIGI, SI CONCLUDE
UNA SETTIMANA MISSIONARIA
ANIMATA DAI GIOVANI DELLA CAPITALE FRANCESE. ADORAZIONE EUCARISTICA E
ACCOGLIENZA DEI VISITATORI
AL CENTRO DELLA SETTIMANA DI
PREGHIERA
PARIGI. = Si conclude oggi, a Parigi, nella basilica del
Sacro Cuore di Montmartre, una
settimana missionaria durante la quale diverse decine di giovani delle
parrocchie e dei movimenti cittadini hanno accolto ogni giorno i
visitatori e li hanno invitati a
riscoprire la preghiera in questo santuario dedicato da oltre 120 anni
all'adorazione perpetua del Santissimo. Una pratica di cui Giovanni Paolo II ha
ricordato il "valore inestimabile" nella recente enciclica
"Ecclesia de Eucharistia". All'interno del mese di giugno, posto
tradizionalmente sotto il segno della devozione al Sacro Cuore di Gesù, i
giovani hanno cercato di testimoniare ai visitatori che l'amore di Dio si
rivolge a tutti gli uomini, secondo le parole di Cristo alla samaritana che
hanno ispirato il tema delle giornate: "Se tu conoscessi il dono di
Dio". Preghiera davanti al Santissimo, meditazione, veglia quotidiana a partire
dalle ore 20, confessione, animazione musicale hanno scandito il ritmo della
settimana che, dopo la festa del Corpus Domini di domenica scorsa, ha visto
ieri 27 giugno, festa del Sacro Cuore, il suo apice. Oggi 28 giugno, giorno
conclusivo, nella cattedrale di Notre Dame, il cardinale arcivescovo Jean-Marie
Lustiger ordina 15 preti. (M.D.)
CRISTIANI
E MUSULMANI INSIEME PER CANCELLARE GLI ORRORI DELLA GUERRA.
NELLE ISOLE MOLUCCHE
CENTINAIA DI PERSONE LAVORANO PER BONIFICARE
DALLE BOMBE LE ZONE
TEATRO DI FEROCI SCONTRI FINO AL 2001.
LA GIOIA DEL VESCOVO DI
AMBOINA, MONS. MANDAGI
AMBON. = Sono stati
centinaia gli abitanti del villaggio di Ahuru, nei pressi di Ambon, capoluogo
dell’indonesiano arcipelago delle Molucche, che si sono ritrovati in settimana
per bonificare i campi di battaglia teatro di violenti scontri tra musulmani e
cristiani, fra il 1999 e il 2001. I residenti cattolici, protestanti e musulmani
hanno rimosso gli ordigni e le bombe rimaste ancora in loco, grazie anche agli strumenti da lavoro forniti dai
rappresentanti governativi. “Mi ha commosso vedere gente che fino a qualche
tempo fa si odiava e combatteva tra loro, lavorare fianco a fianco ed aiutarsi
a vicenda come se nulla fosse accaduto” ha commentato il vescovo di Amboina,
mons. Petrus Canisius Mandagi. La pioggia battente non ha fermato i volontari
che hanno ripulito interamente ciò che è rimasto della moschea e della chiesa
di San Yakobus. Nel villaggio di Ahuru vivono molti cattolici, sono presenti un
santuario mariano, un orfanotrofio, un noviziato e poi ancora scuole e
conventi. (M.D.)
SI APRE OGGI A PERUGIA IL CONVEGNO NAZIONALE DEL
GRUPPO DI RICERCA
E INFORMAZIONE SOCIO-RELIGIOSA (GRIS). LIBERTÁ DI
CULTO,
NUOVI MOVIMENTI SPIRITUALI E RIFLESSIONE CRISTIANA
GLI ARGOMENTI TRATTATI NEI DUE GIORNI DI STUDIO
PERUGIA. = La libertà religiosa, i reati di plagio e di
manipolazione, i movimenti esoterici, magici, satanici, le sette, la New Age e
la riflessione cristiana in proposito. Sono molti i temi del convegno nazionale
del Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa (Gris), che si svolge oggi
e domani a Perugia. Ad introdurre i lavori sarà l’arcivescovo di Perugia-Città
della Pieve, mons. Giuseppe Chiaretti, mentre interverranno come relatori il
presidente del Gris, don Antonio Contri, il segretario Giuseppe Ferrari, e il
consigliere spirituale, mons. Peter Fleetwood.
Il Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa studia i vari fenomeni
religiosi di nuova fondazione, anche per aiutare i credenti a difendersi da
possibili pressioni psicologiche e mistificazioni. È presente in tutta Italia
con volontari, sacerdoti ed esperti di varie discipline. (M.D.)
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28 giugno 2003
- A
cura di Salvatore Sabatino -
Si riaccendono le speranze di
pace in Medio Oriente dopo l’annuncio, da parte dei gruppi estremisti
palestinesi, dell’accettazione della tanto sperata tregua delle violenze per la
durata di tre mesi. La notizia è stata annunciata ieri dal fondatore del gruppo
radicale di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, alla vigilia della missione in
Medio Oriente di Condoleeza Rice, consigliere americana per la sicurezza nazionale.
In contemporanea è stato annunciato l’accordo tra israeliani e palestinesi per
il ritiro delle truppe ebraiche da Gaza e Betlemme. Il servizio di Graziano Motta:
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Sono in corso contatti a Il Cairo fra le Organizzazioni
impegnate nella rivolta per finalizzare un testo degli accordi accettabile da
tutti. Si ritiene che queste consultazioni si concluderanno nelle prossime ore
in concomitanza con l’arrivo in Medio Oriente della consigliera del presidente
Bush, Condoleeza Rice, che si incontrerà stasera con il primo ministro
palestinese Abbas e domani con Sharon. E intanto l’annuncio della tregua è
stato accolto con scetticismo a Gerusalemme ribadendo che il primo ministro Abbas
deve smantellare e disarmare Hamas e le altre organizzazioni terroristiche come
contemplato dalla ‘Road map’, cioè dal piano di pace. Un impegno in
questa direzione è stato comunque assunto dal ministro della sicurezza
palestinese Mahmud Dahlan, che ieri ha firmato un accordo di principio con il
generale israeliano Amos Gilad sul ritiro dei soldati, prima da Gaza e poi da
Betlemme e sul passaggio delle responsabilità della sicurezza in queste aree.
L’autorità palestinese ha accettato di porre fine al lancio di missili sul
territorio israeliano, a prevenire attentati da parte delle organizzazioni
estremiste e a porre fine alla incitazione all’odio, alla violenza
anti-israeliana nei mezzi di comunicazione e nelle scuole.
Per Radio Vaticana Graziano Motta.
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La fine della guerra in Iraq
non è coincisa esattamente con la fine delle violenze. Proseguono, infatti, in
tutto il Paese attacchi della resistenza del Rais ai danni dell’esercito
statunitense. Questa mattina un militare americano ha perso la vita ed altri 4
sono rimasti feriti a nord di Baghdad in seguito ad un attacco improvviso da
parte di ignoti ad un reparto americano. Sconosciuti hanno poi sparato nella
notte razzi su un blindato americano a Fallujah, a una cinquantina di km a ovest
della capitale. Il veicolo, fortunatamente vuoto, è andato completamente distrutto. Ce ne parla Paolo Mastrolilli:
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Un soldato delle forze di occupazione è stato colpito
nella capitale con uno sparo alla testa intanto che comprava dei video in un
negozio. Un bambino iracheno di 11 anni è stato ucciso per errore dagli
americani. Continuano poi le ricerche di due soldati scomparsi mercoledì nella
cittadina di Balada, mentre facevano la guardia ad un deposito di missili da distruggere.
Sei iracheni sono stati arrestati per il possibile rapimento, ma finora non ci
sono tracce degli uomini spariti. Il portavoce della Casa Bianca ha detto che
il presidente Bush rimpiange le perdite ma porterà a termine la missione; però
a Washington si comincia a parlare di stato di guerriglia. Il Pentagono ha
dovuto accettare l’invio nel Paese di una commissione indipendente per valutare
la gestione militare del dopo-guerra. Sul fronte interno del terrorismo l’Fbi
ha arrestato 8 persone nell’area di Washington e ne ha incriminate altre 3,
sospettate di appartenere ad una cellula legata agli estremisti del Kashmir. La
televisione Al Arabija ha detto anche che il vice di Osama Bin Laden,
l’egiziano Aiman al Zawairi e il figlio del fondatore di Al Qaida sono stati
arrestati in Iran, ma al momento non ci sono conferme ufficiali.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Sul delicato
equilibrio in Iraq è intervenuto anche il presidente pakistano Pervez
Musharraf, in visita negli Stati Uniti. Da Los Angeles, ultima tappa del suo
viaggio americano, il numero uno di Islamabad ha invitato il presidente Bush a
permettere agli iracheni di governare il loro Paese “il più presto possibile”,
esortando nello stesso tempo i musulmani nel mondo alla “moderazione”.
Sono 4.000 le persone arrestate
nei giorni scorsi in Iran, durante le manifestazioni contro il regime di
Teheran. Lo ha annunciato ieri il procuratore generale del Paese, specificando
che 2.000 persone sono tuttora detenute. Iniziato nella capitale il 10 giugno,
il movimento di protesta si è successivamente esteso a numerose città di
provincia, prima di sgonfiarsi il 20 giugno in seguito all’intervento delle
forze dell’ordine e delle milizie integraliste islamiche.
Ci trasferiamo in Africa, e
precisamente in Angola, dove l’Unita, l’ex movimento ribelle, ora divenuto
partito politico, ha un nuovo leader. Si tratta di Isais Samakuva, che succede
a Jonas Savimbi, leader e fondatore del
gruppo, morto lo scorso anno in un conflitto a fuoco con i soldati governativi. Sulla figura del nuovo
leader che dovrà affrontare il difficile dialogo col governo di Luanda, Roberto
Piermarini ha raccolto il commento di Domenico Quirico, esperto di Africa del
quotidiano La Stampa:
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R. – Samakuva è un personaggio che nella comunità
internazionale ha una buona fama. E’ considerato un buon politico, quindi
certamente ha già delle buone tratture presso le cancellerie che devono
occuparsi della situazione angolana che è sempre drammaticamente aperta.
D. – Quindi Samakuva potrà riavviare un dialogo proficuo
con il governo di Luanda?
R. – Diciamo che i veri problemi sono strutturali del modo
in cui si è arrivati alla pace. Si può fare un esempio tra i tanti. Il problema
della mobilitazione degli 80 mila miliziani dell’Unita è ancora tutt’altro che
risolto, nel senso che costituiscono, insieme alle famiglie, una massa di circa
oltre 300 mila persone. Secondo gli accordi dovrebbero anche ricevere 4 mesi di
paga e materiale agricolo necessario per riprendere un’attività normale nella
vita civile e tutto questo non si è verificato. C’è il problema economico che è
enorme, ci sono 3 milioni di angolani che sono sulla soglia della fame. La
Comunità internazionale non è ancora riuscita ad affrontare un problema di
carattere così catastrofico e gigantesco.
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Svolta nei rapporti tra Cina e
India, i due giganti dell’Asia, dopo il viaggio diplomatico a Pechino del
premier di New Delhi, Atal Behari Vajpayee. La visita, la prima di un capo di
governo indiano negli ultimi dieci anni, ha sancito una cooperazione
indo-cinese sul fronte tecnologico, oltre all’intesa per il ripristino del valico
di frontiera Nathu tra il Tibet e lo stato indiano del Sikkim, occupato dalle
truppe indiane nel 1975 e non riconosciuto ancora da Pechino come territorio
dell’India.
Continua a scorrere il sangue
in Kashmir. E' di 14 morti e nove feriti, quattro dei quali gravi, il bilancio
dell'attacco compiuto oggi da presunti separatisti musulmani contro una base
militare nel territorio indiano. L'attacco è iniziato prima dell'alba, quando
due uomini travestiti da soldati hanno lanciato bombe a mano nel campo e hanno
aperto il fuoco con armi automatiche. Ne è seguita una violenta battaglia
durata otto ore durante la quale sono rimasti
uccisi i due aggressori e 12 soldati. Nessun gruppo ha rivendicato
l'azione.
Dopo 9 anni di sospensione la
compagnia di bandiera francese Air
France ha ripreso i collegamenti aerei con l'Algeria. Il blocco era
stato deciso, nel 1994, in seguito ad un sequestro avvenuto il 24 dicembre di quell'anno ad Algeri. Il primo
volo è decollato stamane dall'aeroporto di Orly e a bordo vi era tra gli altri il ministro francese dei Trasporti
Gilles de Robien.
La Turchia ha messo a punto un
progetto di legge di amnistia parziale per i guerriglieri curdi in lotta con
Ankara. Lo ha annunciato ieri il ministro degli Interni, Abdulkadir Aksu,
specificando che il progetto intende avviare nel 2004 dei colloqui, in vista
dell’entrata del Paese nell’Unione europea. Dal 1984, il conflitto tra i
guerriglieri e il governo di Ankara ha causato 30.000 vittime, in maggioranza
curde.
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