RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 179 - Testo della Trasmissione di sabato 28 giugno 2003

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il fervido auspicio del Papa perché sia consolidato il cammino verso la piena unità dei cristiani, nella tradizionale udienza alla Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, a Roma per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo. Con noi, il cardinale Walter Kasper

 

I primi vespri della Solennità dei Santi Pietro e Paolo presieduti dal Pontefice nella Basilica Vaticana questo pomeriggio, con la promulgazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Europa”

 

Gli sviluppi della situazione internazionale, con il vertice di Salonicco, le prospettive di allargamento dell’Unione Europea, la crisi in Medio Oriente. Intervista con il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, mons. Jean Louis Tauran.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Rischio di catastrofe umanitaria in Liberia a causa della guerra civile. Ne parliamo con Massimo Alberizzi

 

Il punto della situazione in Italia e nel resto d’Europa sulla tutela delle persone disabili, nel campo dei media. Ai nostri microfoni, il dott. Angelo Zaccone Teodosi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Presentata ieri a Roma la ricerca “Il razzismo in Italia”, che denuncia la diffusione del fenomeno fra i giovani italiani

 

Appello dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati: necessari più finanziamenti per gli aiuti a profughi e sfollati in Iraq

 

Nella Basilica del Sacro Cuore di Montmartre, a Parigi, si conclude una settimana missionaria animata dai giovani della capitale francese

 

Cristiani e musulmani insieme nelle isole Molucche per cancellare gli orrori della guerra.

 

Si apre oggi a Perugia il Convegno nazionale del Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa.

 

24 ORE NEL MONDO:

Hamas annuncia tre mesi di tregua, mentre è prossimo anche il ritiro israeliano da Gaza e Betlemme

 

Altri soldati statunitensi uccisi in Iraq. Washington in difficoltà nella gestione del dopo guerra

 

Isais Samakuva è il nuovo leader del Unita, l’ex movimento ribelle dell’Angola, ora partito politico. 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

28 giugno 2003

 

 

NON TRASCURARE ALCUNA OCCASIONE PER CONCOLIDARE IL CAMMINO

VERSO LA PIENA UNITA’ TRA CATTOLICI E ORTODOSSI, IN UN CONTESTO STORICO

DOVE E’ URGENTE CHE I CRISTIANI TESTIMONINO UNITI IL VANGELO.

COSI’ IL PAPA ALLA DELEGAZIONE DEL PATRIARCATO ECUMENICO

DI COSTANTINOPOLI,

A ROMA PER LA FESTA DEI SS. PIETRO E PAOLO

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

 

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Il contesto attuale del mondo ha bisogno che i tutti i cristiani, a qualsiasi confessione appartengano, testimonino il Vangelo di Cristo perché sia promosso il dialogo interreligioso, siano superati i conflitti tra i popoli, sia tutelato il Creato e siano compresi i nuovi scenari aperti dal progresso scientifico e tecnologico. E, nell’Europa che marcia verso l’integrazione, sia data nuova linfa alle radici cristiane che hanno fatto la storia del continente.

 

Sono gli auspici che Giovanni Paolo II ha espresso questa mattina nel ricevere in udienza la Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, giunta a Roma come ogni anno per la festa dei Santi Pietro e Paolo. “La vostra presenza qui – ha affermato il Papa, salutando i rappresentanti del Patriarca Bartolomeo I - è un segno della nostra comunione d’amore per Cristo e un gesto di fraternità ecclesiale”. E l’incontro annuale di fine giugno un momento che “nutre i nostri fraterni rapporti” e che “sostiene la nostra speranza di procedere passo dopo passo lungo la strada della piena comunione e del superamento delle nostre storiche divisioni”.

 

Il Pontefice ha sottolineato con gratitudine le molteplici occasioni che, nel recente passato, hanno consentito alla Chiesa di Roma e a quella di Costantinopoli di incontrarsi e consolidare i propri legami. Come nel caso del messaggio inviato da Giovanni Paolo II a Bartolomeo I per il quinto Simposio sull’ambiente o per gli auguri ricevuti dal Patriarca per i 25 anni di pontificato. In modo particolare, il Papa si è detto “profondamente grato” per gli sforzi compiuti nei mesi passati dal Patriarcato ortodosso “per coordinare la continuità del lavoro della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse”.

 

Nel porre l’accento sulla necessità della cooperazione tra tutti i credenti in Cristo - nella contingenza storica, religiosa, sociale e scientifico-tecnologica del momento - il Pontefice ha riaffermato con chiarezza che “il consolidamento dell’unità e dell’identità europea” richiede che i cristiani “giochino uno specifico ruolo nell’attuale processo di integrazione e riconciliazione. Non è la Chiesa di Cristo – si è chiesto Giovanni Paolo II – chiamata per prima e soprattutto a offrire al mondo un modello di armonia, di tolleranza reciproca e di fruttuosa carità che riveli il potere della Grazia di Dio per il superamento di tutte le discordie e le divisioni umane?”. Il Papa ha concluso invitando i fratelli ortodossi a continuare insieme nella ricerca del dialogo, “non trascurando nessuna opportunità verso la piena comunione e la cooperazione”.

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Che cosa significa, in termini di riavvicinamento e di comunione questo scambio tradizionale di delegazioni che avviene ormai da vari anni? Risponde il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, al microfono di Carla Cotignoli:

 

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R. – E’ un punto fermo e importante nell’ecumenismo. La comunione già esistente è una comunione molto ricca, molto profonda. E tramite questi incontri l’amicizia e la comunione crescono ogni anno. Questo è molto importante anche per approfondire il dialogo sui problemi che sussistono,  per approfondire la mutua conoscenza.

 

D. – Quindi, c’è un miglioramento dopo il momento difficile che si è registrato nei rapporti con la Chiesa ortodossa….

 

R. – Sì, è una crescita continua, soprattutto negli ultimi due anni. Abbiamo fatto progressi, inimmaginabili due anni fa: con i serbi, con i bulgari, con i romeni e con i greci, con cui i rapporti non erano facili. Adesso invece c’è amicizia, c’è mutua collaborazione. Penso che l’ecumenismo con le Chiese ortodosse sia in una fase molto buona.  Purtroppo, per il momento non si può dire lo stesso per le relazioni con il patriarcato di Mosca.

 

D. – Questa visita cade in un momento in cui l’Europa sta camminando a grandi passi verso l’unificazione tra Oriente e Occidente europeo.  Forse da parte della Chiesa d’Occidente si rende sempre più necessario conoscere e approfondire il patrimonio della Chiesa orientale, ereditato dai Santi Cirillo e Metodio… 

 

R. – Questi due Santi nativi di Tessalonica, erano in comunione con Costantinopoli e con Roma. Questi due fratelli sono molto importanti per questi  loro contatti, e il Papa stesso ha scritto un’enciclica, “Slavorum Apostoli”, definendoli come “gli anelli di congiunzione”, “ponte spirituale tra la tradizionale orientale e la tradizione occidentale”. L’alfabeto che loro hanno creato,  è usato da tutte le Chiese e i Paesi slavi. Il Santo Padre li ha indicati come esempio per l’inculturazione del Vangelo.

 

D. – Anche dal punto di vista spirituale hanno un patrimonio a cui noi possiamo attingere …

 

R. – Questa cultura ortodossa nei Paesi slavi è molto antica e importante. Noi, nell’Europa occidentale, viviamo il pericolo della secolarizzazione. Quindi, anche noi possiamo imparare molto da queste Chiese. L’ecumenismo non è una via a senso unico, è uno scambio non soltanto delle idee, ma anche dei doni e delle ricchezze spirituali, come ha detto il Papa nell’enciclica “Ut Unum Sint”. Noi abbiamo molto da imparare. Loro hanno conservato il senso del mistero nella liturgia. Noi, invece, siamo spesso in pericolo di dimenticarlo.

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Come detto, la delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli si trova a Roma per prendere parte ai festeggiamenti per la solennità dei Santi Pietro e Paolo. Ricordiamo che domani, nella Basilica di San Pietro, Giovanni Paolo II presiederà alle ore 18 la concelebrazione eucaristica durante la quale imporrà il Sacro Pallio a 38 arcivescovi metropoliti. Una rappresentanza della Santa Sede parteciperà, come da tradizione, alle celebrazioni che si tengono annualmente a Istanbul il 30 novembre, festa di Sant’Andrea.

 

 

ALTRE UDIENZE E NOMINE DI CURIA.

PROVVISTE DI CHIESE NELLE FILIPPINE E IN URUGUAY

 

 

Il Santo Padre ha ricevuto in udienza questa mattina i componenti della presidenza del Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam), con i cardinali Francisco Javier Erràzuriz Ossa, arcivescovo di Santiago del Cile, e Pedro Rubiano Sàenz, arcivescovo di Bogotà.

 

Nel corso della mattinata, il Pontefice ha pure ricevuto due vescovi della Conferenza episcopale dell’India in visita “ad Limina” e il prof. Carl Albert Anderson, supremo cavaliere dei Cavalieri di Colombo, la benemerita associazione internazionale di laici cattolici, sorta nell’800 in America come organizzazione fraterna di servizio religioso e caritativo, che conta oggi 1 milione e 600 mila membri.

 

Il Santo Padre ha nominato membri della Congregazione per e Chiese Orientali il presule romeno  mons. Lucian Muresan, arcivescovo di Fagaras e Alba Iulia,m e il presule indiano mons. Cyril Baselios Malancharuvil, arcivescovo di Trivandrum dei Siro Malankaresi, nonché consultore dello stesso dicastero il presule etiopico mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba.

 

Nelle Filippine, il Papa ha istituito tre circoscrizioni ecclesiastiche, con territorio distaccato dall’arcidiocesi di Manila: la diocesi di Cubao,  con primo vescovo il presule mons. Honesto F. Ongtioco, finora vescovo di Balanga; la diocesi di Kalookan, con primo vescovo mons. Deogracias S. Iñiguez Jr, finora vescovo di Iba; la diocesi di Pasig, con primo vescovo mons. Francisco C. San Diego, finora vescovo di San Pablo. Sempre nelle Filippine, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale  della prelatura di Infanta, presentata dal vescovo mons. Julio X. Labayen, per limiti di età, ed ha nominato al suo posto Rolando J. Tria Tirona, finora vescovo di Malolos.

 

In Uruguay, il Santo Padre ha nominato ausiliare  della diocesi di Salto il sacerdote 48enne Heriberto Andrès Bodeant Fernàndez, del clero locale e finora parroco, elevandolo alla dignità vescovile.

 

Il Papa presiederà questo pomeriggio alle ore 18.00 nella Basilica Vaticana la celebrazione dei primi vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo, con la promulgazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Europa”. E’ questo il documento papale scaturito dalla seconda Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi in Vaticano dal 1° al 23 ottobre 1999, sul tema: “Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa”.

 

 

L’EREDITÀ DEL VERTICE DI SALONICCO,

LE PROSPETTIVE DELLA BOZZA DI COSTITUZIONE DELL’UNIONE EUROPEA

E LA CRISI DEL MEDIO ORIENTE:

INTERVISTA CON L’ARCIVESCOVO JEAN-LOUIS TAURAN

- A cura Aldo Sinkovic e Amedeo Lomonaco -

 

 

Il recente Vertice di Salonicco, conclusosi lo scorso 21 giugno, è stato dedicato, in primo luogo, alla Bozza di Costituzione dell’Unione europea, presentata dal presidente della Convenzione, Valéry Giscard d’Estaing, ai capi di Stato e di governo. In occasione dello storico Summit si è svolto anche un importante incontro, a Porto Carras, fra i Paesi balcanici e quelli dell’Unione. “Per i Paesi dei Balcani occidentali – si legge nella dichiarazione finale del Vertice - l'allargamento in atto e la firma del trattato di Atene nell'aprile 2003 sono motivo di stimolo e di incoraggiamento per percorrere lo stesso positivo cammino”. Nel Vertice greco è stato inoltre preso l’impegno di coordinare tutti gli sforzi degli Stati membri per la ricostruzione dell’Iraq. Sulla crisi in Medio Oriente, l’Alto rappresentante per la politica estera comune, Javier Solana, ha enfatizzato la necessità di promuovere la ‘road map’, il processo di pace che prevede l’istituzione dello Stato palestinese nel 2005. Sul significato della bozza per la futura Costituzione europea ascoltiamo, al microfono di Aldo Sinkovic, il segretario della Santa Sede per i rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Jean-Louis Tauran:

 

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R. – Con questa bozza direi che l’Europa non è più un progetto e nemmeno un semplice cantiere; diventa realmente un edificio. La bozza del Trattato, infatti, non è più un semplice scheletro ma una costruzione organica i cui mattoni sono stati collocati grazie al consenso dei membri della Convenzione. E’ importante ricordare anche che l’elaborazione di questo testo è dovuto ad un dialogo con diversi settori della società civile europea e quindi raccoglie molte opinioni e molti valori comuni. E’ importante il rispetto della dignità umana, riconosciuto nell’articolo 2, ma rimangono anche le lacune della Carta dei diritti fondamentali di Nizza per quanto concerne – per esempio – la clonazione, il matrimonio, la famiglia ... Comunque, è positivo che per la prima volta nella storia dei Trattati europei sia stato inserito un articolo proposto da tutti i cristiani europei in forza del principio di sussidiarietà. L’Unione, infatti, si impegna a rispettare lo Statuto,  di cui le confessioni religiose beneficiano in forza delle legislazioni nazionali degli Stati membri, e si impegna a mantenere un dialogo costante con le confessioni religiose, riconoscendo così la loro identità e il loro contributo specifico al dialogo pubblico della società europea. Quindi, direi che pur conservando certe preoccupazioni per quanto riguarda, ad esempio, il riferimento al patrimonio cristiano, si tratta di una costruzione positiva che certamente segna un nuovo capitolo nella storia dell’Europa.

 

D. – Ecco, i Paesi del Sudest europeo non sono finora entrati da protagonisti nel processo di costruzione delle nuove istituzioni europee. Pensa che potranno, tuttavia, dare un apporto significativo alla comunità dei popoli del continente, ed eventualmente in quali campi o direzioni?

 

R. – Direi che questi Paesi del sudest europeo appartengono alla Casa comune europea, e quindi possono contribuire alla crescita spirituale e allo sviluppo dell’Europa. Penso che, per esempio, le sofferenze subite, le ingiustizie perpetrate in quei Paesi alla fine del secondo millennio costituiranno un monito importantissimo per il futuro dell’Unione Europea. Il ritorno di questi Paesi in seno all’Unione può farci riflettere sulle lezioni che dobbiamo trarre dalla storia. D’altra parte, mi pare che si debba anche riconoscere l’apporto significativo che la prospettiva dell’ingresso dell’Unione offre a quei Paesi del sudest europeo, una specie di catalizzatore capace di intensificare l’impegno per la democrazia, per la riconciliazione delle popolazioni, per il rispetto delle minoranze, per il superamento definitivo dell’insicurezza che è ancora – come sappiamo – molto presente in quei Paesi ...

 

D. – Malgrado questa difficoltà, il Santo Padre anche durante i recenti viaggi in Croazia e in Bosnia ha espresso, anzi, ha sottolineato la necessità dell’entrata al più presto di questi Paesi nella comunità europea, dove potranno realizzare il proprio futuro ...

 

R. – Però, per entrare, devono ovviamente adattare il loro sistema giuridico-sociale in modo da adeguarsi agli standard europei!

 

D. – Il Santo Padre è preoccupato anche per la situazione del Medio Oriente, in Terra Santa. Ci sono segni di sviluppo?

 

R. – Io penso che in questo ultimo mese ci siano stati sforzi lodevoli da una parte e dall’altra. Però, come capita sempre in quella parte del mondo, una sera abbiamo un piano di pace, l’indomani un attentato ed il giorno seguente di nuovo la guerra. Quindi, ciò che è importante è che l’intera comunità internazionale cooperi insieme per far ragionare i palestinesi e gli israeliani, due popoli chiamati dalla geografia della storia a vivere assieme, due popoli che hanno diritto alla stessa libertà ed alla stessa sovranità.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

 

Il giornale pubblica l’Esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II “Ecclesia in Europa”.

 

Nelle vaticane, una pagina dedicata alla solennità dei Santi Pietro e Paolo.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: Hamas disposta ad una tregua di tre mesi.

Liberia: a Monrovia tacciono le armi, ma la situazione resta drammatica.

In Iraq non si placano le violenze.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Claudio Toscani in ricordo dello scrittore Giuseppe Pontiggia.

 

Nelle pagine italiane, in rilievo i temi del lavoro, dell'immigrazione e del pubblico impiego.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

28 giugno 2003

 

RISCHIO DI CATASTROFE UMANITARIA IN LIBERIA

A CAUSA DELLA GUERRA CIVILE

                             -Intervista con Massimiliano Alberizzi-

 

La guerra in Liberia rischia di diventare una storia senza fine, tra tregue annunciate e ripresa dei combattimenti tra ribelli e i militari del presidente Taylor. Ieri la guerriglia del Lurd, il gruppo dei liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia, ha annunciato un nuovo cessate-il-fuoco per evitare - è stato detto - una catastrofe umanitaria. Gli scontri hanno già provocato 300 morti e messo in crisi la popolazione civile. Ma già oggi migliaia di liberiani si sono accalcati davanti all'ambasciata americana a Monrovia per chiedere l'intervento degli Stati Uniti nella drammatica guerra che sta lacerando il Paese. Ma per che cosa si combatte in Liberia? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Massimo Alberizzi, esperto di Africa del Corriere della Sera:

 

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R. – La Liberia non è un Paese ricco solamente di legname – tra le altre cose, c’è anche un serio pericolo ecologico, perché si sta operando un disboscamento indiscriminato - ma la ricchezza è rappresentata soprattutto dai diamanti della Sierra Leone, e dei Paesi intorno alla Liberia, che vengono presi, mandati a Monrovia e smerciati come diamanti liberiani. Quindi, tutta la regione è in fermento. In quella zona ci sono forze militari inglesi che tengono a freno la situazione, ci sono anche i caschi blu dell’Onu e il rischio è che, se se ne vanno gli inglesi, anche la Sierra Leone potrebbe destabilizzarsi. C’è quindi il concreto pericolo che tutta quella parte di continente venga coinvolta in una guerra continua del tipo di quella che ha insanguinato la Somalia, dove dal ’91 si vive come in una giungla, dove non c’è governo e la popolazione soffre e muore.

 

D. – Al centro di questa vicenda, c’è la figura di un personaggio controverso come il presidente liberiano Charles Taylor: se si facesse da parte, si potrebbe in qualche modo risolvere la situazione?

 

R. – Sicuramente. Meglio che si faccia da parte prima di essere defenestrato. Si dovrebbero forse dare a Taylor delle garanzie, in questo senso; so che eticamente è scorretto, però, probabilmente, dal punto di vista pratico, sarebbe molto meglio. E’ vero che lui probabilmente è colpevole di crimini di guerra - infatti, c’è un mandato di cattura nei suoi confronti al tribunale internazionale sulla Sierra Leone - però, in qualche modo si dovrebbe garantirgli un salvacondotto per evitare che possa nuocere, e soprattutto possano nuocere i suoi adepti che verrebbero a perdere, appunto, i proventi derivanti dal contrabbando dei diamanti che il presidente controlla. E’ molto complicato ed è molto difficile trovare una soluzione; la pace, da queste parti, passa quasi sempre per la spartizione delle risorse. E se questo non avviene, la guerra continua. Taylor ha dietro di sé degli uomini, delle tribù le quali, rimanendo senza proventi, poi si scatenerebbero di nuovo.

 

D. – La comunità internazionale può dire la sua in questa vicenda?

 

R. – Certo che può, anzi deve. Che poi lo faccia veramente è un altro discorso. Certo, bisognerebbe anche inviare delle forze internazionali: sarebbe proprio il caso. Però in questo momento ci sono scontri diplomatici tra la Francia e gli Stati Uniti, anche in questa faccenda dopo quelli che ci sono stati sull’intervento in Iraq. E’ una situazione molto difficile, perché gli interessi in conflitto non sono solo quelli di Taylor, dei suoi accoliti, oppure quelli di coloro che sono contro di lui. I diamanti vanno a finire nelle nostre case, dai nostri gioiellieri ... Quindi, la partita è molto più grossa di quella che può sembrare a prima vista: verrebbe a crollare, per esempio, il mercato dei diamanti, l’attività dei tagliatori di diamanti ad Anversa, a Tel Aviv, nei grandi mercati che sono New York, Bombay, Anversa, Rotterdam ... E quindi, il meccanismo in gioco è molto, molto complesso e gli interessi sono molto, molto diversificati e ramificati.

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I DISABILI,

CITTADINI SCOMODI NEI MEDIA:

CON NOI, IL DOTT. ANGELO ZACCONE TEODOSI

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

 

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“Persone con disabilità e media. Barriere comunicative o nuove opportunità?”. Il tema è stato ampiamente dibattuto in un Convegno ospitato a Roma nella Camera dei Deputati, promosso dal Consiglio nazionale degli utenti, in questo Anno europeo 2003 dedicato proprio alle persone disabili. Due giornate fitte di lavoro, aperte dal presidente della Camera Pierferdinando Casini, dove si sono alternati interventi di politici, rappresentanti delle Istituzioni, studiosi di varie discipline, esperti ed operatori del settore comunicazione, responsabili dei Media, delegati delle associazioni dei disabili. Una panoramica a 360 gradi per fare il punto della situazione, rimuovere ostacoli e proporre nuove iniziative. Speriamo non solo parole per realizzare finalmente nei fatti l’integrazione sociale e culturale dei disabili.

 

Al nostro microfono abbiamo il dott. Angelo Zaccone Teodosi, presidente dell’Istituto italiano per l’industria culturale, esperto di processi comunicativi.

 

D. - A che punto siamo in Italia e nel resto d’Europa nella tutela dei soggetti più deboli, come i disabili, nel campo dei media?

 

R. – Diciamo che ci sono molte potenzialità, ma purtroppo la situazione reale, quella che a me piace definire la ‘real politique’ del sistema dei media della comunicazione, porta risultati abbastanza deprimenti nella concretezza dei fatti, nel senso, ricordiamo che in Italia si stima che siano circa 3 milioni le persone in qualche modo affette da forme di disabilità e un circa 38-40 milioni a livello europeo. Oggettivamente queste persone hanno una limitata visibilità mediale e nonostante le potenzialità che un medium, come la televisione può avere, o anche internet, sembra non esserci una sufficiente sensibilità da parte degli operatori della comunicazione.

 

D. – Da questo Convegno sono emerse delle novità …

 

R. – Il Convegno è stato molto interessante dal punto di vista dell’analisi teorica e anche accademica, ma è stato anche abbastanza sconfortante nell’osservare, nel verificare, come hanno segnalato molti rappresentanti di associazioni, che, paradossalmente, l’Italia ha visto peggiorare la propria situazione nel corso degli anni, per la inevitabile deriva commerciale della televisione pubblica, però paradossalmente si è verificato che la Rai sta in qualche modo peggiorando complessivamente quella che è la propria capacità di rispondere alle esigenze, appunto, delle persone disabili, perché fanno poca audience, perché prevale l’immagine di una società, di un sistema sociale, come dire, dominato dalle regole della pubblicità, per cui dobbiamo essere tutti più o meno giovani, belli, sorridenti e soddisfatti, ed essenzialmente consumatori. E’ chiaro che tutte le problematiche dei disabili sono comunque connesse con le differenze, con la individualità, con la problematicità.

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CHIESA E SOCIETA’

28 giugno 2003

 

PRESENTATA IERI A ROMA LA RICERCA “IL RAZZISMO IN ITALIA”,

CHE DENUNCIA LA DIFFUSIONE DEL FENOMENO FRA I GIOVANI ITALIANI

E GLI STEREOTIPI DI CUI SONO VITTIME IMMIGRATI, MUSULMANI ED EBREI

 

ROMA. = Il razzismo come fenomeno pervasivo e diffuso, declinato in forme nuove che spesso acquistano visibilità e accettazione pubblica. È questo il preoccupante quadro che emerge dal primo rapporto della ricerca “Il razzismo in Italia”, presentata ieri a Roma, in Campidoglio. L’indagine, promossa dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con l’alto Patronato del presidente della Repubblica, è stata condotta dal prof. Enzo Campelli, Direttore del dipartimento di ricerca sociale e metodologia sociologica “Gianni Statera” dell’Università “la Sapienza”. Attraverso 2.200 interviste a giovani dai 14 ai 18 anni in tutta Italia, la ricerca mette in evidenza le nuove forme di razzismo, basate fra l’altro sulla distorsione della differenza culturale, sulla paura della concorrenza, sull’allarme identitario o sulla volontà di assimilazione. Tramite la costruzione di un’apposita scala, si scopre che quasi un quinto dei ragazzi manifesta un atteggiamento di razzismo alto-molto alto. La ricerca ricostruisce gli allarmi e gli stereotipi diffusi verso immigrati, musulmani ed ebrei. Il 32.8 per cento degli intervistati ritiene che gli immigrati sottraggano casa e lavoro, il 47.8 che rendano meno sicura la vita nelle città. Il 56.2 per cento dei ragazzi ritiene che i musulmani abbiano “leggi crudeli e barbare”, il 47 che siano “integralisti e fanatici”. Allarmante il dato sull’antisemitismo: fra gli intervistati, il 17.5 per cento ritiene che “gli ebrei devono tornarsene tutti in Israele” e il 17.4 per cento che “quando si parla dello sterminio degli ebrei si esagera su quello che è davvero successo”. Alla presentazione, introdotta dai messaggi del presidente della Repubblica Ciampi e del sindaco Veltroni, hanno preso parte, fra gli altri, il prof. Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il direttore della ricerca Enzo Campelli e Franca Eckert Coen, delegata alle Politiche della Multietnicità. (S.B.)

 

 

“PER OPERARE EFFICACEMENTE IN IRAQ OCCORRONO PIÚ FINANZIAMENTI”.

L’APPELLO LANCIATO DALL’ALTO COMMISSARIATO ONU PER I RIFUGIATI,

INSIEME AD ALTRE AGENZIE UMANITARIE. MA NELLA REGIONE

NON SONO ANCORA SUFFICIENTI LE CONDIZIONI DI SICUREZZA

 

GINEVRA. = L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) lancia un appello per il finanziamento delle proprie operazione in Iraq, dove è impegnato nell’assistenza di oltre 110 mila rifugiati palestinesi, iraniani e turchi, e dei rifugiati e sfollati iracheni che stanno facendo ritorno spontaneamente alle proprie case. L’agenzia Onu, che aveva già ricevuto oltre 59 milioni di dollari prima e durante la recente guerra per prepararsi ad un possibile flusso di persone in fuga  dall’Iraq e per posizionare aiuti di emergenza e personale in tutta la regione, chiede ora ulteriori 31 milioni di dollari per raggiungere la cifra giudicata necessaria a svolgere le proprie operazioni per tutto il 2003. L’appello lanciato dall’Unhcr rientra in una più articolata richiesta di circa 260 milioni di dollari lanciata da varie agenzie umanitarie. “Dopo anni di abbandono l’Iraq si trova ora ad affrontare enormi problemi”, afferma l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Ruud Lubbers. “L’Unhcr e le altre agenzie umanitarie – prosegue – chiedono urgentemente di aiutare la popolazione irachena e sostenere programmi che garantiscano assistenza di base e infrastrutture ai rifugiati che rientrano, in modo che il loro rimpatrio e la loro reintegrazione siano duraturi”. Lubbers dovrebbe recarsi in visita in Iraq verso la metà di luglio per incontrare i leader della comunità irachena e i funzionari dell’amministrazione provvisoria, oltre che per fare visita agli sfollati che si trovano nella regione. Concretamente, con i suoi 60 operatori dislocati nelle tre principali regioni dell’Iraq, l’Unhcr cerca di aiutare la popolazione della zona ad evitare nuovi conflitti interni, che potrebbero verificarsi a causa delle forti tensioni in atto. L’alto commissariato sta favorendo inoltre il ritorno in Iraq di numerosi rifugiati curdi, siriani, palestinesi, iraniani. L’agenzia ritiene che dei circa 1 milione di rifugiati e iracheni costretti a lasciare il proprio Paese, circa la metà potrebbe chiedere assistenza per il rimpatrio, non appena la situazione nel Paese lo permetterà. L’Unhcr, tuttavia, considera ancora insoddisfacenti le condizioni di sicurezza all’interno dell’Iraq e raccomanda che i circa 500 mila rifugiati, che si trovano principalmente in Iran, Giordania, Arabia Saudita e Siria, rimandino il loro ritorno a quando la sicurezza e le infrastrutture saranno ristabilite. (M.D.) 

 

 

NELLA BASILICA DEL SACRO CUORE DI MONTMARTRE, A PARIGI, SI CONCLUDE

UNA SETTIMANA MISSIONARIA ANIMATA DAI GIOVANI DELLA CAPITALE FRANCESE. ADORAZIONE EUCARISTICA E ACCOGLIENZA DEI VISITATORI

AL CENTRO DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA

 

PARIGI. = Si conclude oggi, a Parigi, nella basilica del Sacro Cuore di  Montmartre, una settimana missionaria durante la quale diverse decine di giovani delle parrocchie e dei movimenti cittadini hanno accolto ogni giorno i visitatori  e li hanno invitati a riscoprire la preghiera in questo santuario dedicato da oltre 120 anni all'adorazione perpetua del Santissimo. Una pratica di cui Giovanni Paolo II ha ricordato il "valore inestimabile" nella recente enciclica "Ecclesia de Eucharistia". All'interno del mese di giugno, posto tradizionalmente sotto il segno della devozione al Sacro Cuore di Gesù, i giovani hanno cercato di testimoniare ai visitatori che l'amore di Dio si rivolge a tutti gli uomini, secondo le parole di Cristo alla samaritana che hanno ispirato il tema delle giornate: "Se tu conoscessi il dono di Dio". Preghiera davanti al Santissimo, meditazione, veglia quotidiana a partire dalle ore 20, confessione, animazione musicale hanno scandito il ritmo della settimana che, dopo la festa del Corpus Domini di domenica scorsa, ha visto ieri 27 giugno, festa del Sacro Cuore, il suo apice. Oggi 28 giugno, giorno conclusivo, nella cattedrale di Notre Dame, il cardinale arcivescovo Jean-Marie Lustiger ordina 15 preti. (M.D.)

 

 

CRISTIANI E MUSULMANI INSIEME PER CANCELLARE GLI ORRORI DELLA GUERRA.

NELLE ISOLE MOLUCCHE CENTINAIA DI PERSONE LAVORANO PER BONIFICARE

DALLE BOMBE LE ZONE TEATRO DI FEROCI SCONTRI FINO AL 2001.

LA GIOIA DEL VESCOVO DI AMBOINA, MONS. MANDAGI

 

AMBON. = Sono stati centinaia gli abitanti del villaggio di Ahuru, nei pressi di Ambon, capoluogo dell’indonesiano arcipelago delle Molucche, che si sono ritrovati in settimana per bonificare i campi di battaglia teatro di violenti scontri tra musulmani e cristiani, fra il 1999 e il 2001. I residenti cattolici, protestanti e musulmani hanno rimosso gli ordigni e le bombe rimaste ancora in loco, grazie  anche agli strumenti da lavoro forniti dai rappresentanti governativi. “Mi ha commosso vedere gente che fino a qualche tempo fa si odiava e combatteva tra loro, lavorare fianco a fianco ed aiutarsi a vicenda come se nulla fosse accaduto” ha commentato il vescovo di Amboina, mons. Petrus Canisius Mandagi. La pioggia battente non ha fermato i volontari che hanno ripulito interamente ciò che è rimasto della moschea e della chiesa di San Yakobus. Nel villaggio di Ahuru vivono molti cattolici, sono presenti un santuario mariano, un orfanotrofio, un noviziato e poi ancora scuole e conventi. (M.D.)

 

 

SI APRE OGGI A PERUGIA IL CONVEGNO NAZIONALE DEL GRUPPO DI RICERCA

E INFORMAZIONE SOCIO-RELIGIOSA (GRIS). LIBERTÁ DI CULTO,

NUOVI MOVIMENTI SPIRITUALI E RIFLESSIONE CRISTIANA

GLI ARGOMENTI TRATTATI NEI DUE GIORNI DI STUDIO

 

PERUGIA. = La libertà religiosa, i reati di plagio e di manipolazione, i movimenti esoterici, magici, satanici, le sette, la New Age e la riflessione cristiana in proposito. Sono molti i temi del convegno nazionale del Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa (Gris), che si svolge oggi e domani a Perugia. Ad introdurre i lavori sarà l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Giuseppe Chiaretti, mentre interverranno come relatori il presidente del Gris, don Antonio Contri, il segretario Giuseppe Ferrari, e il consigliere spirituale,  mons. Peter Fleetwood. Il Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa studia i vari fenomeni religiosi di nuova fondazione, anche per aiutare i credenti a difendersi da possibili pressioni psicologiche e mistificazioni. È presente in tutta Italia con volontari, sacerdoti ed esperti di varie discipline. (M.D.) 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

28 giugno 2003

 - A cura di Salvatore Sabatino -

 

Si riaccendono le speranze di pace in Medio Oriente dopo l’annuncio, da parte dei gruppi estremisti palestinesi, dell’accettazione della tanto sperata tregua delle violenze per la durata di tre mesi. La notizia è stata annunciata ieri dal fondatore del gruppo radicale di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, alla vigilia della missione in Medio Oriente di Condoleeza Rice, consigliere americana per la sicurezza nazionale. In contemporanea è stato annunciato l’accordo tra israeliani e palestinesi per il ritiro delle truppe ebraiche da Gaza e Betlemme. Il servizio di Graziano Motta:

 

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Sono in corso contatti a Il Cairo fra le Organizzazioni impegnate nella rivolta per finalizzare un testo degli accordi accettabile da tutti. Si ritiene che queste consultazioni si concluderanno nelle prossime ore in concomitanza con l’arrivo in Medio Oriente della consigliera del presidente Bush, Condoleeza Rice, che si incontrerà stasera con il primo ministro palestinese Abbas e domani con Sharon. E intanto l’annuncio della tregua è stato accolto con scetticismo a Gerusalemme ribadendo che il primo ministro Abbas deve smantellare e disarmare Hamas e le altre organizzazioni terroristiche come contemplato dalla ‘Road map’, cioè dal piano di pace. Un impegno in questa direzione è stato comunque assunto dal ministro della sicurezza palestinese Mahmud Dahlan, che ieri ha firmato un accordo di principio con il generale israeliano Amos Gilad sul ritiro dei soldati, prima da Gaza e poi da Betlemme e sul passaggio delle responsabilità della sicurezza in queste aree. L’autorità palestinese ha accettato di porre fine al lancio di missili sul territorio israeliano, a prevenire attentati da parte delle organizzazioni estremiste e a porre fine alla incitazione all’odio, alla violenza anti-israeliana nei mezzi di comunicazione e nelle scuole.

 

Per Radio Vaticana Graziano Motta.

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La fine della guerra in Iraq non è coincisa esattamente con la fine delle violenze. Proseguono, infatti, in tutto il Paese attacchi della resistenza del Rais ai danni dell’esercito statunitense. Questa mattina un militare americano ha perso la vita ed altri 4 sono rimasti feriti a nord di Baghdad in seguito ad un attacco improvviso da parte di ignoti ad un reparto americano. Sconosciuti hanno poi sparato nella notte razzi su un blindato americano a Fallujah, a una cinquantina di km a ovest della capitale. Il veicolo, fortunatamente vuoto,  è andato completamente distrutto. Ce ne parla Paolo Mastrolilli:

 

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Un soldato delle forze di occupazione è stato colpito nella capitale con uno sparo alla testa intanto che comprava dei video in un negozio. Un bambino iracheno di 11 anni è stato ucciso per errore dagli americani. Continuano poi le ricerche di due soldati scomparsi mercoledì nella cittadina di Balada, mentre facevano la guardia ad un deposito di missili da distruggere. Sei iracheni sono stati arrestati per il possibile rapimento, ma finora non ci sono tracce degli uomini spariti. Il portavoce della Casa Bianca ha detto che il presidente Bush rimpiange le perdite ma porterà a termine la missione; però a Washington si comincia a parlare di stato di guerriglia. Il Pentagono ha dovuto accettare l’invio nel Paese di una commissione indipendente per valutare la gestione militare del dopo-guerra. Sul fronte interno del terrorismo l’Fbi ha arrestato 8 persone nell’area di Washington e ne ha incriminate altre 3, sospettate di appartenere ad una cellula legata agli estremisti del Kashmir. La televisione Al Arabija ha detto anche che il vice di Osama Bin Laden, l’egiziano Aiman al Zawairi e il figlio del fondatore di Al Qaida sono stati arrestati in Iran, ma al momento non ci sono conferme ufficiali.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Sul delicato equilibrio in Iraq è intervenuto anche il presidente pakistano Pervez Musharraf, in visita negli Stati Uniti. Da Los Angeles, ultima tappa del suo viaggio americano, il numero uno di Islamabad ha invitato il presidente Bush a permettere agli iracheni di governare il loro Paese “il più presto possibile”, esortando nello stesso tempo i musulmani nel mondo alla “moderazione”.

 

Sono 4.000 le persone arrestate nei giorni scorsi in Iran, durante le manifestazioni contro il regime di Teheran. Lo ha annunciato ieri il procuratore generale del Paese, specificando che 2.000 persone sono tuttora detenute. Iniziato nella capitale il 10 giugno, il movimento di protesta si è successivamente esteso a numerose città di provincia, prima di sgonfiarsi il 20 giugno in seguito all’intervento delle forze dell’ordine e delle milizie integraliste islamiche.

 

Ci trasferiamo in Africa, e precisamente in Angola, dove l’Unita, l’ex movimento ribelle, ora divenuto partito politico, ha un nuovo leader. Si tratta di Isais Samakuva, che succede a Jonas Savimbi, leader e fondatore del  gruppo, morto lo scorso anno in un conflitto a fuoco con i  soldati governativi. Sulla figura del nuovo leader che dovrà affrontare il difficile dialogo col governo di Luanda, Roberto Piermarini ha raccolto il commento di Domenico Quirico, esperto di Africa del quotidiano La Stampa:

 

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R. – Samakuva è un personaggio che nella comunità internazionale ha una buona fama. E’ considerato un buon politico, quindi certamente ha già delle buone tratture presso le cancellerie che devono occuparsi della situazione angolana che è sempre drammaticamente aperta.

 

D. – Quindi Samakuva potrà riavviare un dialogo proficuo con il governo di Luanda?

 

R. – Diciamo che i veri problemi sono strutturali del modo in cui si è arrivati alla pace. Si può fare un esempio tra i tanti. Il problema della mobilitazione degli 80 mila miliziani dell’Unita è ancora tutt’altro che risolto, nel senso che costituiscono, insieme alle famiglie, una massa di circa oltre 300 mila persone. Secondo gli accordi dovrebbero anche ricevere 4 mesi di paga e materiale agricolo necessario per riprendere un’attività normale nella vita civile e tutto questo non si è verificato. C’è il problema economico che è enorme, ci sono 3 milioni di angolani che sono sulla soglia della fame. La Comunità internazionale non è ancora riuscita ad affrontare un problema di carattere così catastrofico e gigantesco.

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Svolta nei rapporti tra Cina e India, i due giganti dell’Asia, dopo il viaggio diplomatico a Pechino del premier di New Delhi, Atal Behari Vajpayee. La visita, la prima di un capo di governo indiano negli ultimi dieci anni, ha sancito una cooperazione indo-cinese sul fronte tecnologico, oltre all’intesa per il ripristino del valico di frontiera Nathu tra il Tibet e lo stato indiano del Sikkim, occupato dalle truppe indiane nel 1975 e non riconosciuto ancora da Pechino come territorio dell’India.

 

Continua a scorrere il sangue in Kashmir. E' di 14 morti e nove feriti, quattro dei quali gravi, il bilancio dell'attacco compiuto oggi da presunti separatisti musulmani contro una base militare nel territorio indiano. L'attacco è iniziato prima dell'alba, quando due uomini travestiti da soldati hanno lanciato bombe a mano nel campo e hanno aperto il fuoco con armi automatiche. Ne è seguita una violenta battaglia durata otto ore durante la quale sono rimasti  uccisi i due aggressori e 12 soldati. Nessun gruppo ha rivendicato l'azione.

 

Dopo 9 anni di sospensione la compagnia di bandiera francese Air  France ha ripreso i collegamenti aerei con l'Algeria. Il blocco era stato deciso, nel 1994, in seguito ad un sequestro avvenuto il 24  dicembre di quell'anno ad Algeri. Il primo volo è decollato stamane dall'aeroporto di Orly e a  bordo vi era tra gli altri il ministro francese dei Trasporti Gilles de Robien.

 

La Turchia ha messo a punto un progetto di legge di amnistia parziale per i guerriglieri curdi in lotta con Ankara. Lo ha annunciato ieri il ministro degli Interni, Abdulkadir Aksu, specificando che il progetto intende avviare nel 2004 dei colloqui, in vista dell’entrata del Paese nell’Unione europea. Dal 1984, il conflitto tra i guerriglieri e il governo di Ankara ha causato 30.000 vittime, in maggioranza curde.

 

 

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