RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 174 - Testo della
Trasmissione di lunedì 23 giugno 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Nuovi attacchi israeliani
nei Territori: ucciso un leader di Hamas.
Questa settimana la Conferenza dell’Onu sulla
ricostruzione in Iraq, mentre si segnalano nuovi atti antiamericani.
Il premier indiano Vajpayee a Pechino per una
visita che vuole risolvere i contrasti di vecchia data tra i due Paesi.
23 giugno 2003
PERDONO, RICONCILIAZIONE, SPERANZA:
GIOVANNI PAOLO II LASCIA QUESTA
EREDITA’ ALLA BOSNIA-ERZEGOVINA,
AL TERMINE DELLA SUA BREVE VISITA
NEL PAESE.
UN PENSIERO DI PADRE PASQUALE
BORGOMEO
- A cura di Alessandro De Carolis
-
Il 101.mo viaggio apostolico di Giovanni Paolo II si è
concluso ieri sera all’aeroporto di Ciampino, dove il Papa e il suo seguito
sono atterrati poco prima delle 21 e da dove, in auto, il Pontefice ha fatto
ritorno in Vaticano. Poco prima del decollo, dallo scalo internazionale di
Banja Luka, le autorità civili e religiose della Bosnia Erzegovina avevano
salutato il Papa con grande affetto, lo stesso tributatogli in mattinata dalle
decine di migliaia di persone affollatesi davanti al Convento francescano della
SS. Trinità per la Messa di beatificazione del laico Ivan Merz.
Perdono, riconciliazione, speranza verso il futuro - ma
anche ecumenismo e dialogo interreligioso, negli appuntamenti di ieri
pomeriggio - sono le tematiche che hanno impegnato le poche ore della sosta di
Giovanni Paolo II sulla sponda balcanica dell’Adriatico. Riviviamoli, dunque,
nel servizio conclusivo della nostra inviata a Banja Luka, Adriana Masotti:
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Solo 10 ore è durata la visita di Giovanni Paolo II a
Banja Luka, capoluogo della Repubblica serba della Bosnia Erzegovina, ma la sua
non è stata una visita da poco. Le attese erano tante, perché tante sono le
questioni che stanno a cuore alla Chiesa locale come quella del mancato ritorno
dei cattolici nelle proprie case e quindi di una comunità ecclesiale che si
vede sempre più minoritaria e soggetta a discriminazioni. E le attese non sono
andate deluse.
Giovanni Paolo II ha incoraggiato i cattolici a non
abbandonare il Paese, ha detto loro di impegnarsi nella costruzione di una
società degna dell’uomo e di rinnovarsi interiormente chiedendo perdono e
offrendolo agli altri per le colpe del passato. Ai membri che costituiscono la
presidenza collegiale della Bosnia Erzegovina ha parlato, al suo arrivo, del
problema dei profughi. Ma prima di congedarsi dai pellegrini, che avevano
partecipato ieri mattina alla celebrazione eucaristica con la proclamazione a
beato del giovane Ivan Merz, Giovanni Paolo II aveva rivolto un saluto a tutte
le popolazioni del Paese, senza distinzioni di etnie, cultura o religione.
Inoltre, aveva assicurato che nel pomeriggio, ricevendo la visita di cortesia
dei presidenti della Repubblica Serba di Bosnia e della Federazione
croato-musulmana - le due entità in cui è diviso oggi il Paese - e successivamente
incontrando i membri del Consiglio interreligioso, egli avrebbe tenuti presenti
tutti gli abitanti della Bosnia Erzegovina.
Gli
appuntamenti pomeridiani si sono svolti nel vescovado di Banja Luka, dove il
Pontefice aveva pranzato con i vescovi del Paese. Una breve sosta all’interno
della cattedrale, nel giardino dello stesso vescovado, ha concluso la giornata
di Giovanni Paolo II in Bosnia
Erzegovina. Quindi, la partenza.
La stampa locale oggi dà ampio risalto alle parole del
Papa. Due i passi sottolineati: la richiesta di perdono per le colpe commesse
da “alcuni dei figli della Chiesa cattolica”, in particolare durante la seconda
guerra mondiale, e l’invito a tutti alla riconciliazione. Secondo passo,
l’incoraggiamento rivolto alla popolazione perché si impegni in prima persona
per la ricostruzione del Paese. Significativo il titolo di un quotidiano che
recita: “Dovete costruire il futuro da soli”. Sulle cifre dei presenti, si
oscilla dalle 35 mila alle 70 mila, cifra quest’ultima riportata anche dai
quotidiani serbi. Un altro titolo enuncia: “La verità è il fondamento della
riconciliazione”, e un altro ancora: “Ricominciare di nuovo”. Un quotidiano
serbo, che esce a Belgrado, scrive che i serbi considerano l’appello del Papa
al reciproco perdono un grande passo avanti verso la riconciliazione e pubblica
un titolo forte: “Chiamata definitiva alla riconciliazione”.
Da Banja Luka, Adriana Masotti, Radio Vaticana.
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Proprio la delicatezza dei temi affrontati da Giovanni
Paolo II in Bosnia-Erzegovina, non disgiunta da un profondo senso di
solidarietà nei riguardi di una popolazione ferita e disillusa dall’epilogo
della sua storia recente, hanno costituito l’essenza del viaggio papale. Al
microfono di Alessandro De Carolis, ecco l’opinione di un testimone diretto della
visita, il nostro direttore generale, padre Pasquale Borgomeo, che inizia la
propria analisi partendo dalla richiesta di perdono avanzata dal Pontefice, che
molta eco ha suscitato nei media locali e internazionali,
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R. - Secondo me, si tratta di un apporto capitale e si
iscrive nella coerenza dell’insegnamento del Papa sulla forza che ha il perdono
per rendere valida una giustizia ed una riconciliazione. Io ricordo le parole
che il Papa pronunciò nell’omelia della Messa per quella Sarajevo nella quale
non riuscì ad andare nel 1994. Diceva: “La spirale delle colpe e delle pene non
si chiuderà mai se ad un certo punto non arriva il perdono. Perdonare non
significa dimenticare. Se la memoria è la legge della storia, il perdono è la
potenza di Dio, potenza di Cristo che agisce nelle vicende degli uomini e dei
popoli”. Per cui questo atto - che risulta sempre rivoluzionario, straordinario
- è la conclusione, nel concreto, di quello che il Papa continua ad insegnare.
Lo ha fatto ancora all’inizio di quest’anno: non ci sarà mai pace, in Bosnia o
altrove, senza giustizia, ma non ci sarà vera giustizia se non ci sarà perdono.
In altre parole, bisogna che uno faccia il primo passo e rompa questa specie di
armatura d’acciaio che costringe a ricordare le colpe subite e che rende indisponibili
a un cammino vero di riconciliazione.
D. - Dal perdono
alla riconciliazione interna: anche qui, Giovanni Paolo II si è mostrato
attento e solidale con quanto vissuto da questo Paese ...
R. - Certamente.
Il Papa ha preso atto di quello che è il vero dramma - bisogna dirlo - di un
Paese in cui anche le istituzioni sono ancora fragili, instabili, affidate in
parte al controllo di istanze internazionali che certamente sono utili, ma sono
anche rappresentanti di istituzioni che non fanno abbastanza. Non può essere
solamente una responsabilità delle Nazioni Unite, la soluzione dei problemi di
quest’area europea: è, primariamente, un compito anche europeo. Si capisce
allora che il Papa abbia sostenuto, incoraggiato, messo in guardia contro la
rassegnazione, lo scoraggiamento: perché questo Paese dà l’impressione, direi
fondata, di essere afflitto - oltre tutti gli altri problemi - da una “sindrome
di sentimento di abbandono”. E quindi, la riconoscenza è per quest’uomo fragile,
ma dallo spirito indomito, che va sul posto e dice: “Non vi scoraggiate, e -
soprattutto - non andate via!”. Il santo Padre ha portato l’esempio di Ivan
Merz - bella figura di santità laica, di un giovane veramente europeo, a
partire dai suoi genitori per venire alla sua formazione culturale, attraverso
l’Europa, da Vienna a Parigi. Questo personaggio è uno di quelli del quale
diranno anche i vescovi in Bosnia che non approfittò della sua formazione,
della sua conoscenza delle lingue, della sua esperienza internazionale per fare
una carriera. Il suo successo fu un altro. Fu quello di dare testimonianza
della fede e di servizio al suo Paese.
D. - In qualche
modo, dunque, il Beato Ivan Merz costituisce una sintesi di ciò che il Papa ha
detto alla popolazione della Bosnia Erzegovina…
R. - Sì. Direi che
è un simbolo di pace, se uno pensa al disgusto che egli provò per la vita
militare, quindi per la guerra. Se si pensa al suo culto dell’Eucaristia e se
si pensa a questa sua, per così dire, “familiarità” di passaggio da una cultura
ad un’altra che lo portò ad insegnare letteratura francese. Davvero, quindi, al
di là di tutte quelle frontiere che ancora sono così tenaci, resistono e
mantengono incomprensioni, ostilità e chiusure laddove invece naturalmente
dovrebbe essere più facile - ma qui, di nuovo è da invocare l’ausilio di
istanze terze, come per ogni riconciliazione - direi che il Beato Ivan Merz,
che in fondo è un giovane, è come una specie di fiore spontaneo perché non
appartiene ad una Congregazione religiosa, nemmeno ad un Movimento, come oggi
si direbbe. Veramente è stato portato avanti dalla grazia su una strada di
grandissima santità e di grandissima attualità. Ecco, quindi, perché questa
Eucaristia, seguita con una partecipazione veramente intensa, è stata poi
riassunta nel momento dell’esaltazione della beatificazione di un figlio di
quelle terre, ma con respiro e apertura all’Europa.
D. - Un’ultima
domanda, direttore. Anche gli aspetti del dialogo ecumenico ed interreligioso
hanno avuto la loro importanza in questo 101. mo viaggio apostolico ...
R. - Esattamente. La situazione è tale che, mentre le
istanze internazionali cercano di mantenere la pace, intesa piuttosto come un
“evitare conflitti”, l’azione del Papa va per linee interne, cioè va alle
coscienze, perché è lì che bisogna fondare una cultura nuova, assolutamente
nuova. In questo, la religione ha una sua responsabilità, perché ha un potere
grandissimo soprattutto in un’area dove sembra che si confondano e si
identifichino, spesso, nozioni che in altre parti d’Europa sono ben distinte:
la categoria etnica e quella religiosa. Io ricorderò, come un segno di speranza,
la parola detta ieri dal gran rais musulmano durante il dialogo interreligioso
con il Papa: “Noi vorremmo che Banja Luka diventasse l’Assisi dei Balcani”. Questo
è molto significativo ed indica quale segno abbia lasciato in profondità lo
spirito di Assisi e le iniziative di pace del Papa ad Assisi.
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DA DOMANI A SABATO PROSSIMO IN VATICANO
LA
69.MA ASSEMBLEA GENERALE DELLA ROACO
INCENTRATA
IN SPECIAL MODO SUI PROBLEMI DI TERRA SANTA E DI ERITREA
- Servizio di Giovanni Peduto -
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La Roaco è la Riunione delle
Opere di Assistenza alle Chiese Orientali, costituita in seno alla
Congregazione per le Chiese Orientali e formata da agenzie e organismi
assistenziali di diversi Paesi occidentali. Si riunisce in Assemblea due volte
l’anno in gennaio e in giugno. Il suo segretario generale, mons. Francesco
Brugnaro, ci ha ragguagliati anche quest’anno sui contenuti del prossimo incontro,
che si aprirà con una concelebrazione nella chiesa di Santo Spirito in Sassia,
presieduta dal cardinale Ignace Moussa I Daoud, prefetto del dicastero, nel
corso della quale saranno ricordati i benefattori defunti durante l’anno.
I lavori si articoleranno
quindi su tre argomenti essenziali, il primo dei quali la situazione in Terra
Santa su cui riferiranno il nunzio
apostolico in Israele, arcivescovo Pietro Sambi, e il custode di Terra Santa,
padre Giovanni Battistelli. Seguirà l’esame della situazione delle scuole
cattoliche presenti in Israele, Palestina e Giordania, in merito alle quali
riferirà il coordinatore dell’apposito Segretariato di solidarietà, padre
Pietro Felet.
Un terzo argomento sarà l’esame dei progetti di
aiuto all’Eritrea. Saranno presenti i vescovi del Paese assieme al nunzio
apostolico, arcivescovo Silvano Tomasi. Lo scorso anno, sempre in giugno, erano
stati presi in considerazione i bisogni riguardanti la Chiesa cattolica in
Etiopia. Quanto all’Eritrea si tratta di 15 progetti che riguardano il
compimento di strutture come oratori, cappelle, riparazioni varie, sussidi per
programmi di natura pastorale e catechetica. Ricordiamo che Etiopia ed Eritrea
stanno vivendo un momento molto critico dovuto alla carestia.
In margine a questi tre punti
non mancherà l’esame della situazione in Iraq circa le necessità del Paese e
della Chiesa, usciti dalla situazione bellica a tutti nota. Altro tema sarà il
finanziamento della Bethlehem University che svolge un ruolo di primo piano in
Palestina, non solo per gli studenti cattolici, ma soprattutto musulmani. I
recenti avvenimenti ne hanno danneggiato non poco le strutture.
Per la fine mattinata di
giovedì 26 giugno è previsto l’incontro dei partecipanti all’Assemblea della
Roaco con il Santo Padre.
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"Non vi rassegnate. Il
futuro incomincia con il perdono reciproco" è il titolo che apre la prima
pagina: Giovanni Paolo II pellegrino in Bosnia ed Erzegovina proclama beato
Ivan Merz, che fece della sua esistenza "una corsa verso la santità".
Sempre in riferimento al giovane laico, si sottolinea che a lui si lega un programma
di vita e di azione cattolica anche per i giovani d'oggi.
Nelle vaticane, il resoconto
dettagliato dei diversi momenti del viaggio apostolico del Papa. Gli articoli
dell'inviato Giampaolo Mattei. La rassegna della stampa internazionale.
Un articolo di Real Tremblay
sull'Enciclica "Ecclesia de Eucharistia".
Nelle pagine estere, riguardo
alla situazione in Medio Oriente, si mette in evidenza che l'illusione di una
soluzione di "forza" compromette il cammino di pace.
In Nigeria, l'esplosione di un
oleodotto causa la morte di più di cento persone.
Iran: l'Aiea chiede
cooperazione per chiarire le questioni inerenti al programma nucleare.
Nella pagina culturale, un
articolo di Agnese Pellegrini sulla prima traduzione integrale del romanzo
"Georges" di Alexandre Dumas.
Nelle pagine italiane, in primo
piano i diversi aspetti legati al drammatico tema dell'immigrazione.
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23 giugno 2003
LA DIGNITA’ DELLA PERSONA UMANA AL CENTRO
DI UN SIMPOSIO INTERNAZIONALE
A ROMA
SULLA LOTTA ALLA TOSSICODIPENDENZA.
CON
NOI MONS. JAVIER LOZANO BARRAGÁN E DON EGIDIO SMACCHIA
-
Servizio di Paolo Ondarza -
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Analizzare la dimensione umana di chi è rimasto vittima
della droga e di chi gli si pone accanto. Questo l’obbiettivo del simposio
internazionale organizza-to tra oggi e domani presso la sala conferenze dell’Augustinianum
a Roma sul tema “Prendersi cura dell’altro. La tossicodipendenza tra esperienza
e morale”. Le due giornate di studi vengono realizzate in previsione della
16.ma giornata mondiale contro l’uso e il traffico illecito di droga, dedicata
quest’anno dalle Nazioni Unite al tema “Parliamo di droga”. Tra le finalità del
Convegno c’è quella di far porre in luce aspetti insoliti e inediti
direttamente dai protagonisti: retroscena ed esiti del progetto di
distribuzione controllata di eroina in Svizzera; l’evoluzione del fenomeno
droga nei paesi dell’Est; le esperienze di recupero per i tossicodipendenti
immigrati; gli aggiornamenti dai paesi produttori di cocaina in America Latina;
novità da Afghanistan e Iran sulla produzione di oppio dopo i recenti conflitti;
il racconto dell’unica Comunità terapeutica in Israele che accoglie tossicodipendenti
israeliani e palestinesi; e, non ultima, la drammatica situazione della
tossicodipendenza in Africa.
Attualmente sono 11.164 in Italia i giovani seguiti
quotidianamente dalle comunità terapeutiche, 10.180 i familiari; oltre 12 mila,
in trent’anni, i soggetti usciti dalla droga e reinseriti nella società. Al
simposio organizzato dalla Federazione Italiana Comunità Terapeutiche (FICT),
insieme al Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute prendono parte,
tra gli altri, l’arcivescovo Javier Lozano Barragán, presidente del Dicastero
co-promotore dell'iniziativa, con una relazione sul pensiero di Giovanni Paolo
II relativo a droga e tossicodipendenza; don
Egidio Smacchia, presidente della Federazione italiana Comunità
Terapeutiche e Niccolò Pisanu, direttore dell’Istituto “Progetto Uomo”. La
parola a don Egidio Smacchia:
R. – Quello di cui c’è bisogno in questo momento è
incominciare a riflettere seriamente sul fatto che prendersi cura dell’altro
significa considerare la centralità della persona, il primato dell’uomo;
significa che oltre a togliere la dipendenza dalla droga devo avere nel mio
zainetto, nel mio bagaglio questi valori. Sono valori fondamentali per affrontare la vita, per progettarla e darle un significato.
D. – Quindi, potremmo dire che uno dei principali ostacoli
nella lotta contro la droga sta nel non considerare il valore della dignità
umana?
R. – Direi proprio di sì. Noi crediamo – e ci abbiamo
sempre creduto – che occorre spingere di nuovo sull’aspetto non solo della
dignità, ma proprio del primato della persona. Quindi quando operiamo su una
persona ai margini della società
dobbiamo ricordarci la sua dignità e le sue capacità. Il Papa da questo
punto di vista ci ha molto instradato.
D. – A tale proposito Giovanni Paolo II ha sottolineato
come nel recupero del tossicodipendente sia importante portare l’individuo alla
scoperta – o alla ‘ri-scoperta’ – della propria dignità. A mons. Javier Lozano
Barragán chiediamo se questo è sempre possibile:
R. – E’ sempre possibile. Il Papa ci indica la strada
concreta per fare questa ‘ri-scoperta’. E’ necessario confrontarsi con il
Vangelo, con se stessi e con la propria famiglia. E proprio in questi ambiti,
specialmente nel Vangelo e nella famiglia, che si può ritrovare se stessi e
riscoprire la propria dignità. Come dice il Papa, la droga è contraria alla
morale cristiana perché distrugge la vita!
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SEMINARIO ALL’UNIVERSITA’ “LA SAPIENZA” DI ROMA
SUL
PROGETTO DI CONSERVAZIONE DELLA NECROPOLI VATICANA
- Ai
nostri microfoni, Pietro Zander e Nazareno Gabrielli -
“Necropoli
Vaticana: studi, ricerche e progetto conservativo”: è il titolo della
conferenza che si è tenuta questa mattina, presso l’aula grande di Mineralogia
dell’Università La Sapienza, di Roma. Durante il seminario, introdotto dal
vescovo mons. Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica di San Pietro, è stata
ripercorsa la storia della Necropoli e ne è stato illustrato il progetto di
conservazione, finanziato in parte dall’Enel, grazie al quale i visitatori
possono vedere gli scavi in piena sicurezza. Il servizio è di Dorotea
Gambardella:
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La Necropoli Vaticana, situata sotto il livello delle
Grotte, in corrispondenza della navata centrale della Basilica, fu rinvenuta
durante il pontificato di Pio XII, negli anni compresi tra il 1939 e il 1949.
Apparve allora una doppia fila di edifici sepolcrali, databili tra il II e
l’inizio del IV secolo, disposti l’uno accanto all’altro, da ovest ad est su di
un pendio successivamente colmato per la costruzione della Basilica
Costantiniana. Una serie di interventi, per lo più attuati secondo un criterio
di urgenza al di fuori del piano generale tale da comprendere l’intera necropoli,
hanno reso possibile la conservazione dell’importante complesso archeologico e
monumentale dalla sua scoperta ai giorni nostri. Il restauro conservativo, oggi
concluso, ha interessato in maniera organica tutta la necropoli ponendo per la
prima volta ogni singolo intervento all’interno di piano generale dei lavori.
Ascoltiamo Pietro Zander, archeologo della necropoli vaticana:
R. – Questo restauro intrapreso dalla Fabbrica di San
Pietro nel 1998, ha coinvolto archeologi, fisici, chimici, illuminotecnici,
ingegneri, architetti per la definizione di un piano d’intervento e la
successiva definizione di un programma di manutenzione. Dopo un attento studio
si è cominciato ad intervenire cercando innanzitutto di contenere le cause del
degrado. Quindi, si è intervenuti principalmente sugli aspetti microclimatici e
poi sugli aspetti microbiologici, contenendo le cause del degrado è stato poi
possibile intervenire sul monumento.
Dopo l’intervento di restauro è stato possibile anche leggere meglio e
comprendere meglio quello che era l’apparato decorativo dei singoli mausolei.
Alcune figure, che erano occultate da
questi veli bianchi dei sali, dopo i restauri è stato possibile apprezzarle in
quelli che erano i valori cromatici originali.
Ma, più nello specifico, quali sono state le strategie di
intervento? Lo abbiamo chiesto a Nazareno Gabrielli, consulente chimico per i
problemi legati alla conservazione della Necropoli stessa:
R. – Di fatto, noi ci troviamo dinanzi a dei materiali,
che ovviamente sono delle opere d’arte, che sono state per mille anni e più in
contatto con terrapieni e con l’acqua. E’ chiaro che l’acqua ha permeato questa
materia, ne ha cambiato in parte la struttura e potremmo dire, per assurdo, che
il consolidante attuale, che regge insieme, questa materia è l’acqua. Dunque
nessun progetto di restauro volto alla deumidificazione di questi materiali,
perché altrimenti togliendo l’acqua otterremmo la polvere. Il progetto di
restauro ha previsto il mantenimento dell’umidità relativa, la riduzione della
ventilazione al minimo, perché con la ventilazione l’acqua evapora ed evaporando
porta appresso il sale. Quindi, per consentire la fruizione, abbiamo chiuso i
mausolei in modo che ogni mausoleo abbia il proprio microclima. I pigmenti, i
colori stanno bene. E’ che non può essere lasciato a se stesso!
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IL CONTRIBUTO DELLA TEOLOGIA DELL’UNITA’
E DEL DIALOGO ECUMENICO
E
INTERRELIGIOSO DI CHIARA LUBICH PER L’AFFERMAZIONE DI QUESTI VALORI
NELLA
SOCIETA’ SLOVACCA RICONOSCIUTO DALL’UNIVERSITA’ STATALE DI TRNAVA
CON IL CONFERIMENTO DELLA LAUREA H.C. IN TEOLOGIA
ALLA
FONDATRICE DEI FOCOLARI
-
Servizio di Carla Cotignoli -
“Il
cristianesimo, nonostante la crisi spirituale in cui versa oggi la civiltà
umana, è capace di rinnovarsi continuamente”. In queste parole del rettore
dell’Università statale slovacca di Trnava, prof. Peter Blaho, è racchiuso il
significato più profondo della solenne cerimonia svoltasi questa mattina nella
grande sala del Centro Mariapoli di Castelgandolfo, dove le massime autorità
accademiche dell’Università hanno conferito a Chiara Lubich la laurea honoris
causa in Teologia. Il servizio di Carla Cotignoli.
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Sul palco campeggiavano le bandiere slovacca, europea e
italiana. Un’immagine eloquente. La Slovacchia infatti è tra i 10 Paesi che
entreranno in Europa nel maggio 2004. Dagli interventi emergevano le radici
cristiane della cultura slovacca che ha dato vita all’Università di Trnava nel
lontano 1635 per opera dei gesuiti, ma tuttora vitali. Le parole del decano
della facoltà di Teologia, prof. Ladislav Csontos, che ha promosso questo
riconoscimento, rivelavano l’eroismo vissuto sotto il regime comunista: una
storia di fedeltà, persecuzioni, arresti. E’ emersa anche l’intensa attività
che ha permesso, nonostante il regime, di alimentare gli studi con l’aggiornamento del Concilio Vaticano II. Di
qui lo stile di dialogo assunto dalla facoltà a tutti i livelli.
“Per questi motivi – ha detto il decano che ha delineato
la figura e l’opera della neo-laureata – la teologia dell’unità e del dialogo
di Chiara Lubich è molto vicina alla nostra facoltà e il suo contributo è per
noi il motivo principale per proporre questo riconoscimento”. Aveva definito la
fondatrice dei focolari “personaggio-chiave del movimento ecumenico e del
dialogo interreligioso”. Ed aveva ricordato che “la sua opera si è fatta presente
in Slovacchia con il Movimento che aveva messo radici già nei tempi del regime
comunista, portando a chi vi ha aderito grande sostegno spirituale e nella vita
della Chiesa locale, lo spirito del Concilio Vaticano II”.
Il rettore dell’Università aveva parlato delle strade e
dei modelli nuovi nei rapporti interpersonali, ma anche nel campo economico,
politico e culturale sulla base del dialogo da lei promosso poggiandosi sul
comandamento evangelico dell’amore. Ed ha affermato che “occorre costruire l’unità
del mondo su questo fondamento spirituale, se non vogliamo perire”.
Nella lezione magistrale, Chiara Lubich ha comunicato le
radici profonde di questo dialogo che affondano nella stessa vita trinitaria.
Ne ha mostrato il dinamismo che esige “il nulla d’amore”, quel “’non essere’
che rivela l’Essere come Amore”. Ne ha mostrato la forza di trasformazione
nella vita della famiglia, nei vari ambiti della società, nella vita della
Chiesa, in campo ecumenico e interreligioso. E’ dunque un intrecciarsi di culture
diverse, di carismi antichi e nuovi, che avrà una continuità.
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23 giugno 2003
IL RUOLO DELLE NUOVE TECNOLOGIE
DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
AL
CENTRO DELLA CONFERENZA MONDIALE SULL’INSEGNAMENTO SUPERIORE.
RIUNITI
NEL PALAZZO DELL’UNESCO DI PARIGI OLTRE 400 ESPERTI,
RAPPRESENTANTI
DI 120 PAESI
- A
cura di Francesca Pierantozzi -
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PARIGI. = Oltre 400 esperti, i rappresentanti di 120
Paesi, sono riuniti per tre giorni nella grande sala del Palazzo dell’Unesco, a
Parigi, per la Conferenza mondiale sull’insegnamento superiore. All’ordine del
giorno l’analisi di cambiamenti, evoluzioni e nuovi problemi a cinque anni
dall’ultima Conferenza. All’Unesco verranno presentati in particolare i
risultati, Paese per Paese, di uno studio mondiale sull’evoluzione dei sistemi
di insegnamento, con una particolare attenzione al ruolo delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione sull’istruzione superiore, all’impatto
dei nuovi prestatari di servizi in un mercato sempre più mondializzato e
liberalizzato e ai metodi per garantire la qualità dell’insegnamento nel quadro
di questo mondo in evoluzione spesso incontrollata. Il direttore generale
dell’Unesco, Koichiro Mazura, ha aperto la Conferenza prima di dare la parola
alla first lady del Qatar, Sheika al-Misnad, inviata speciale per l’educazione.
Prima di cominciare le discussioni verrà firmato un accordo che istituisce un
fondo internazionale per l’insegnamento superiore in Iraq. Il fondo verrà
amministrato congiuntamente dall’Unesco e dal Qatar per fornire un aiuto
immediato e a lungo termine per la ricostruzione della scuola irachena. Divisi
in quattro commissioni i partecipanti alla Conferenza potranno poi affrontare
il tema più importante dell’incontro parigino, ovvero la tutela della libertà
d’insegnamento e di ricerca al di fuori di qualsiasi obbligazione dottrinale e
il diritto di non subire le pressioni della censura istituzionale.
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IN AUSTRALIA, LA GIORNATA
MONDIALE DEI RIFUGIATI E’ STATA L’OCCASIONE IERI
DI
MANIFESTAZIONI DI PROTESTA, NELLE MAGGIORI CITTA’, CONTRO LA POLITICA
DEL
GOVERNO CHE OBBLIGA I RICHIEDENTI ASILO, COMPRESI I MINORENNI
A
SOGGIORNARE IN CENTRI DI DETENZIONE: SONO SCESI IN PIAZZA SINDACALISTI,
INTELLETTUALI E LEADER RELIGIOSI
SYDNEY. = La giornata mondiale dei rifugiati è stata
l'occasione ieri in Australia per manifestazioni di protesta nelle maggiori
città contro la politica del governo
che obbliga alla detenzione i richiedenti asilo, per lo più in remoti
campi dell'entroterra. A Sydney la linea dura del governo federale contro l'immigrazione non autorizzata è stata
descritta come 'criminale'; a Melbourne i vertici sindacali hanno chiesto che a
tutti i profughi sia accordata la residenza permanente, e a Brisbane i leader
delle maggiori religioni hanno chiesto un
approccio più compassionevole.
Nella manifestazione di Sydney il noto scrittore Thomas Keneally ha
dichiarato che ''i profughi sono trattati come delinquenti, ma è il governo che
si comporta da criminale, nel senso che viola le leggi internazionali, e il
Tribunale dei minori lo ha confermato'' - ha aggiunto - sentenziando che la
detenzione a tempo indefinito dei 108 minorenni attualmente richiusi nei Centri
per richiedenti asilo è illegale. A Melbourne la presidente della
Confederazione sindacale Actu, Sharan Burrows, ha affermato che il governo
dovrebbe dare la residenza permanente ai profughi che hanno ottenuto solo un
'visto di protezione' temporaneo. ''Vi sono 8000 profughi che vivono fra di noi e che soffrono
l'umiliazione di vivere nel limbo dei visti temporanei, senza poter lavorare né
aver accesso ai servizi disponibili agli australiani'', ha detto. A Brisbane,
15 rappresentanti di Chiese cristiane e di altre religioni tra cui musulmani, ebrei, indù, sikh e taoisti, hanno
lanciato il loro appello in una dichiarazione congiunta, in cui ricordano che i
profughi da molte parti del mondo hanno sempre dato un contributo importante
allo sviluppo sociale ed economico della nazione. (R.G.)
PREVENZIONE E EDUCAZIONE: SONO GLI
OBIETTIVI DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE,
CHE SI
CHIUDE OGGI AL CAIRO, PER CONTRASTARE
LA
PRATICA DELLE MUTILAZIONI GENITALI
IL CAIRO. = Solamente una maggiore istruzione può rompere
la catena di ignoranza che porta ogni anno nel mondo due milioni di bambine a
subire la pratica dell’infibulazione. È questa la principale priorità operativa
emersa nel corso della conferenza internazionale sulle prevenzioni delle
mutilazioni genitali femminili, che si chiude oggi al Cairo, con la
partecipazione di esperti dal mondo arabo e dall’Africa. L’incontro è stato
promosso dal Consiglio nazionale per l’infanzia e la maternità, organismo
governativo presieduto da Suzanne Mubarak, moglie del presidente dell’Egitto,
dalla Società egiziana per la prevenzione di pratiche lesive per le donne e i
bambini e con il patrocinio della Commissione europea. La sfida più importante
è rappresentata dalla prevenzione: “Dobbiamo rompere il muro di silenzio e
aprire un dibattito nazionale che impedisca a questa pratica di essere
trasmessa alle future generazioni”, ha affermato Dina El-Naggar, funzionario
dell’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), partner della campagna
di sensibilizzazione contro le mutilazioni femminili intitolata “Stop Fgm”,
promossa dalle organizzazioni non governative Aidos e “No peace without
Justice”. Nel 1997 il governo egiziano ha dichiarato illegale l’infibulazione,
con pene fino a tre anni di reclusione. La pratica, però, continua ad essere
molto diffusa tra la parte della popolazione più fedele alle tradizioni e
condizionata dalle pressioni culturali, nonché spesso avallata da molti medici,
attirati dai relativi interessi economici. Le autorità, nel 2000, stimavano che
il 97% delle donne fra i 15 e i 50 avesse subito queste mutilazioni. Non tutti
gli esperti sono concordi nell’accettare cifre così imponenti, anche se “Stop Fgm”
riferisce espressamente di 120-130 milioni di donne nel mondo coinvolte nella
dolorosa esperienza. (M.D.)
MIGLIAIA DI IMMIGRATI PERDONO LA VITA
IN MARE NELL’INDIFFERENZA
DELLA
COMUNITÁ INTERNAZIONALE. PADRE GIULIO ALBANESE, DIRETTORE DELL’AGENZIA MISSIONARIA
MISNA,
RICORDA
L’IMPORTANZA DELLA COOPERAZIONE E DELLA SOLIDARIETÁ VERSO I PAESI E LE
POPOLAZIONI AFRICANE
ROMA. =
“L’abbiamo scritto tante volte e non ci stancheremo mai di ripeterlo: la
povertà si combatte con la cooperazione intelligente, investendo secondo
criteri solidaristici nelle cosiddette periferie del villaggio globale”. Sono
le parole di padre Giulio Albanese, direttore dell’agenzia missionaria Misna,
sull’emergenza immigrazione che sta coinvolgendo migliaia di persone, costrette
ad abbandonare la propria terra per cercare di raggiungere in un qualche modo,
e spesso pagando con la vita, le coste italiane. Sugli sbarchi all’isola di
Lampedusa, il lembo di Europa più vicino al litorale africano, che hanno
coinvolto quasi 2500 immigrati – uomini, donne e bambini – padre Albanese
denuncia una sorta di cinismo e di indifferenza che misconoscerebbe la tutela
della vita umana e il doveroso spirito di accoglienza nei confronti dei poveri
e dei perseguitati. Le critiche più forti sono per il movimento politico della
Lega Nord e per il suo leader, il ministro Umberto Bossi, accusati di
propagandare un’ideologia fatta di egoismo e di autorizzare vere e proprie
“cacce alle streghe” ai danni di persone in difficoltà. Se le autorità italiane
– secondo padre Albanese – s’impegnassero a sostenere finanziariamente
l’operato a fianco dei poveri in Africa, sicuramente molti immigrati non
avrebbero ragione alcuna di sbarcare nel Bel Paese. Un ultimo affondo è per la
stampa, che troppo spesso, secondo padre Albanese, ignora i drammatici
conflitti che sconvolgono il continente nero, non aiutando l’opinione pubblica
a riflettere sulle urgenze e le necessità delle popolazioni africane e
alimentando, al contrario, un certo pericoloso campanilismo. (M.D.)
UNA MISSIONE DEL CONSIGLIO DI
SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE VISITERÁ
L’AFRICA
OCCIDENTALE. LA DELEGAZIONE PARTIRÁ DA NEW YORK IL 28 GIUGNO
NEW YORK. = Si sarebbe dovuta tenere a metà maggio, ma era
poi stata rinviata a data da destinarsi a causa dell’intenso dibattito in corso
all’Onu sul conflitto iracheno. Partirà quindi il 28 giugno la missione del
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che toccherà sette Paesi dell’Africa
occidentale. La tappa a Monrovia, capitale della Liberia, prevista per il 2
luglio, resterà vincolata – affermano fonti ufficiali dell’Onu – alle
condizioni di sicurezza in cui si troverà il Paese, teatro nelle ultime
settimane di violenti scontri fra le forze governative e i guerriglieri
ribelli. Al momento è in atto una tregua considerata, però, da gran parte degli
osservatori, ancora incerta e dunque non risolutiva. La delegazione sarà
guidata dall’ambasciatore britannico all’Onu, Jeremy Greenstock,e lascerà New
York sabato 28 giugno per recarsi in Guinea Bissau, dove resterà per 24 ore.
Dopo sarà la volta della Nigeria e quindi del Ghana, della Costa d’Avorio,
della Liberia, della Guinea Conakry e della Sierra Leone, da dove, il 4 luglio,
i rappresentanti del Consiglio di sicurezza faranno ritorno a New York. (M.D.)
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23 giugno 2003
- A cura di Giancarlo La Vella -
Non c’è
pace per il Medio Oriente, da dove continuano a giungere notizie di gravi
violenze. Le ultime sono di ieri sera. Nel nord della Striscia di Gaza quattro
attivisti palestinesi, militanti delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, sono
morti nei pressi di Beit Hanun, in circostanze ancora da chiarire. Ed è forte
anche lo scontro politico, dopo l’uccisione da parte israeliana di Abdallah
Kawasmeh, uno dei maggiori leader di Hamas. Sentiamo Graziano Motta:
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Il premier israeliano, Ariel Sharon, in consiglio dei
ministri, ha definito l’operazione estremamente importante, essenziale per la
sicurezza dei cittadini israeliani. Per Hamas, l’uccisione di Abdallah Kawasmeh
provocherà altre vendette. Il governo palestinese teme per la riuscita delle
trattative, volte ad ottenere dal movimento estremista palestinese una tregua.
Reazioni si segnalano anche in seno al quartetto di Paesi impegnati per il
Medio Oriente, riunito in Giordania. Il segretario di Stato americano, Colin
Powell, si è detto desolato, affermando che non si può ignorare che Hamas e la
Jihad islamica abbiano la responsabilità di quanto accade, a causa della loro
ostilità a qualsiasi progresso verso la pace. Il ministro degli Esteri russo,
Ivanov, il segretario generale dell’Onu Annan, e il rappresentante dell’Unione
Europea, Solana, hanno espresso riprovazione verso la politica di liquidazione
da parte d’Israele e chiesto alle parti provvedimenti atti a far progredire il
processo politico. A tal proposito il ministro degli Esteri israeliano, Shalom,
ha confermato che i soldati israeliani si ritireranno dal nord di Gaza e da
Betlemme, non appena la polizia palestinese vorrà assumere le proprie
responsabilità della zona.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Il
futuro dell’Iraq si affida alla Conferenza dell’Onu sulla ricostruzione, in
programma questa settimana al Palazzo di Vetro di New York. Permangono
preoccupazioni per il presente ancora segnato dalle violenze. A due mesi e
mezzo dalla caduta di Baghdad, infatti, proseguono senza sosta gli attacchi
antiamericani. Ce ne parla Paolo Mastrolilli:
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L’ultimo agguato è avvenuto ieri, 12 miglia a sud di
Baghdad, quando un assalitore ha lanciato una granata contro un mezzo delle
forze di occupazione: un militare americano è morto ed un altro è rimasto
ferito. Sempre ieri, proprio nel giorno in cui nel porto turco di Ceyhan sono
state caricate nelle navi le prime forniture di greggio iracheno dall’inizio
della guerra, la produzione è stata rallentata da un atto di sabotaggio.
L’oleodotto nella zona di Hit, circa 90 miglia a nord di Baghdad, è stato
incendiato. Un episodio che il ministro provvisorio del petrolio ha definito un
attacco premeditato. Il giornale britannico Observer, invece, ha scritto
che la settimana scorsa le forze americane hanno colpito con un missile un
convoglio di veicoli nel deserto occidentale dell’Iraq, dove pensavano che
stesse viaggiando Saddam Hussein. I test del Dna sono stati condotti su
numerosi resti umani, per verificare l’identità delle persone rimaste uccise,
ma, per ora, non ci sarebbero conferme che tra esse ci sia l’ex leader
iracheno.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Il governo filippino ha annunciato di essere pronto
a riprendere i negoziati con i ribelli del Fronte Moro di liberazione islamico,
dopo la decisione di quest’ultimo di rinunciare pubblicamente al terrorismo. Il
capo del principale movimento separatista musulmano filippino, Salamat Hashim,
ha, infatti, dichiarato ieri che il terrorismo è contrario agli “insegnamenti
dell’Islam”, e che il gruppo respinge e smentisce “qualsiasi legame con le
organizzazioni terroristiche”.
Il premier indiano Vajpayee ha iniziato una visita
di sei giorni in Cina. Relazioni commerciali e dispute di confine sono al centro dei
colloqui con il premier Wen Jiabao ed il presidente Hu Jintao. Sono passati 10
anni dall’ultima visita di un premier indiano a Pechino e le vecchie contese
tra i due giganti asiatici, dove vive un terzo dell’umanità, sembrano ancora
irrisolte. Il servizio da New Delhi, di Maria Grazia Coggiola:
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Tra India e Cina non c’è mai stato buon sangue: l’India
accusa la Cina di aver collaborato con il programma di riarmo nucleare e
missilistico del Pakistan, mentre Pechino non ha mai perdonato a New Delhi di
avere ospitato il Dalai Lama e 120 mila rifugiati tibetani. Non c’è mai stata
intesa anche sulla linea di confine, lunga 4.000 chilometri, anche se dalla
guerra indo-cinese del 1962 non si sono ripetuti scontri armati e la situazione
è ora pacifica. Di recente si è assistito ad un boom degli scambi commerciali
tra i due Paesi: l’India, il gigante più debole, che ha sempre avuto paura di
un’invasione di prodotti cinesi sul suo mercato, ha ora fiutato le enormi
potenzialità del suo vicino e in quattro anni ha triplicato le sue
esportazioni. Sull’agenda degli incontri tra Vajpayee e i leader cinesi, anche
la situazione in Iraq. Sia Cina che India sono stati contrari ad un intervento
americano; ora il governo indiano vorrebbe inviare truppe per partecipare alla
stabilizzazione nel Paese arabo, cosa che, però, imbarazzerebbe Pechino che da
Baghdad importa oltre la metà delle sue risorse energetiche.
Da New Delhi per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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Due persone sono morte e altre 32 sono rimaste ferite a
causa di una granata esplosa stamani in un mercato di Shopian, nel Kashmir
indiano. L'attentato non è stato rivendicato, i sospetti ricadono sui militanti
islamici che si battono per rendere indipendente il Kashmir dall'India.
L'attentato di stamani è avvenuto dopo quello di venerdì scorso, sempre con il
lancio di granate in un luogo affollato, che aveva provocato il ferimento di
trenta persone.
Dall’India
arriva anche la notizia di una tragedia. Almeno 15 persone sono morte e 25 sono
rimaste ferite nel deragliamento di un treno ieri nell’ovest del Paese. Lo ha
reso noto la polizia locale, precisando che l’incidente è avvenuto nei pressi
di Rajapur, 400 chilometri a sud di Bombay.
Il treno è deragliato dopo aver colpito dei massi caduti sui binari a
causa delle forti piogge monsoniche.
I ribelli del sedicente
Esercito di resistenza del signore (Lra) hanno attaccato nella notte di ieri la
città di Gulu, capoluogo dell’omonimo distretto settentrionale ugandese. Lo
hanno reso noto oggi fonti dell’agenzia Misna. L’attacco è stato poi respinto
dai soldati governativi che hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con i
ribelli, riuscendo a metterli in fuga. Negli ultimi mesi i ribelli hanno
ripreso a rapire i bambini dai villaggi del nord Uganda, i quali vengono
costretti a combattere tra le file del movimento armato guidato da Joseph Kony.
Trasferiamoci
in Algeria, dove ieri 5 persone della stessa famiglia, fra cui 3 bambini, sono
state massacrate da un gruppo armato islamico, nella regione di Relizane, 300
km a ovest di Algeri. La strage è stata attribuita al gruppo ribelle
“Protettori della predicazione salafista”, un movimento integralista fondato da
dissidenti del Gruppo islamico armato.
Resta
tesa la situazione in Liberia. Il governo di Monrovia ha denunciato ieri due
attacchi compiuti delle forze ribelli, proprio mentre prendeva corpo
l’attuazione di un cessate-il-fuoco. L’accordo sulla fine delle ostilità era
stato siglato la scorsa settimana in Ghana tra il governo e i movimenti di
opposizione armata “Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia” e
“Movimento per la democrazia in Liberia”.
Proseguono
gli scontri anche nella Repubblica Democratica del Congo. Colpi di arma da
fuoco si sono registrati ieri tra la forza multinazionale a comando francese
dispiegata a Bunia, capoluogo della provincia dell’Ituri, e i miliziani
congolesi. La sparatoria non ha fortunatamente causato vittime.
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