RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 174 - Testo della Trasmissione di lunedì 23 giugno 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La consegna di Giovanni Paolo II alla Bosnia Erzegovina, per sanare le ferite del passato nel segno del perdono reciproco e spianare le nuove vie della pace alla popolazione del Paese balcanico, proiettato verso il futuro dell’Europa unita. Un bilancio del viaggio papale, nell’intervista con padre Pasquale Borgomeo.

 

La Riunione delle Opere di Assistenza alle Chiese Orientali da domani in Vaticano, con speciale attenzione a Terra Santa, Eritrea e Iraq.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Un Simposio internazionale per la cura dei tossicodipendenti a Roma, promosso dalla Federazione delle Comunità Terapeutiche insieme al Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Con noi, l’arcivescovo Javier Lozano Barragán e don Egidio Smacchia.

 

La Necropoli Vaticana, tra storia e conservazione. Ai nostri microfoni, l’archeologo Pietro Zander e il consulente chimico Nazzareno Gabrielli.

 

Il contributo di Chiara Lubich al dialogo ecumenico. Conferita alla fondatrice del Movimento dei Focolari, la laurea honoris causa in Teologia dall’Università slovacca di Trnava.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La Conferenza mondiale sull’insegnamento superiore a Parigi, per discutere di nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

 

Proteste in Australia contro i centri di detenzione istituiti dal governo per gli immigrati illegali, inclusi i minorenni.

 

Prevenzione ed educazione: sono gli obiettivi della Conferenza internazionale che si chiude oggi Al Cairo, per contrastare la pratica delle mutilazioni genitali.

 

Migliaia di immigrati perdono la vita in mare nell’indifferenza della Comunità internazionale. Padre Giulio Albanese, direttore dell’Agenzia Misna, ricorda l’importanza della cooperazione e della solidarietà verso i Paesi e le popolazioni africane.

 

Una missione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite visiterà l’Africa Occidentale. La delegazione partirà da New York il 28 giugno.

 

24 ORE NEL MONDO:

Nuovi attacchi israeliani nei Territori: ucciso un leader di Hamas.

 

Questa settimana la Conferenza dell’Onu sulla ricostruzione in Iraq, mentre si segnalano nuovi atti antiamericani.

 

Il premier indiano Vajpayee a Pechino per una visita che vuole risolvere i contrasti di vecchia data tra i due Paesi.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

23 giugno 2003

 

 

PERDONO, RICONCILIAZIONE, SPERANZA:

GIOVANNI PAOLO II LASCIA QUESTA EREDITA’ ALLA BOSNIA-ERZEGOVINA,

AL TERMINE DELLA SUA BREVE VISITA NEL PAESE.

UN PENSIERO DI PADRE PASQUALE BORGOMEO

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Il 101.mo viaggio apostolico di Giovanni Paolo II si è concluso ieri sera all’aeroporto di Ciampino, dove il Papa e il suo seguito sono atterrati poco prima delle 21 e da dove, in auto, il Pontefice ha fatto ritorno in Vaticano. Poco prima del decollo, dallo scalo internazionale di Banja Luka, le autorità civili e religiose della Bosnia Erzegovina avevano salutato il Papa con grande affetto, lo stesso tributatogli in mattinata dalle decine di migliaia di persone affollatesi davanti al Convento francescano della SS. Trinità per la Messa di beatificazione del laico Ivan Merz.

 

Perdono, riconciliazione, speranza verso il futuro - ma anche ecumenismo e dialogo interreligioso, negli appuntamenti di ieri pomeriggio - sono le tematiche che hanno impegnato le poche ore della sosta di Giovanni Paolo II sulla sponda balcanica dell’Adriatico. Riviviamoli, dunque, nel servizio conclusivo della nostra inviata a Banja Luka, Adriana Masotti:

 

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Solo 10 ore è durata la visita di Giovanni Paolo II a Banja Luka, capoluogo della Repubblica serba della Bosnia Erzegovina, ma la sua non è stata una visita da poco. Le attese erano tante, perché tante sono le questioni che stanno a cuore alla Chiesa locale come quella del mancato ritorno dei cattolici nelle proprie case e quindi di una comunità ecclesiale che si vede sempre più minoritaria e soggetta a discriminazioni. E le attese non sono andate deluse.

 

Giovanni Paolo II ha incoraggiato i cattolici a non abbandonare il Paese, ha detto loro di impegnarsi nella costruzione di una società degna dell’uomo e di rinnovarsi interiormente chiedendo perdono e offrendolo agli altri per le colpe del passato. Ai membri che costituiscono la presidenza collegiale della Bosnia Erzegovina ha parlato, al suo arrivo, del problema dei profughi. Ma prima di congedarsi dai pellegrini, che avevano partecipato ieri mattina alla celebrazione eucaristica con la proclamazione a beato del giovane Ivan Merz, Giovanni Paolo II aveva rivolto un saluto a tutte le popolazioni del Paese, senza distinzioni di etnie, cultura o religione. Inoltre, aveva assicurato che nel pomeriggio, ricevendo la visita di cortesia dei presidenti della Repubblica Serba di Bosnia e della Federazione croato-musulmana - le due entità in cui è diviso oggi il Paese - e successivamente incontrando i membri del Consiglio interreligioso, egli avrebbe tenuti presenti tutti gli abitanti della Bosnia Erzegovina.

 

Gli appuntamenti pomeridiani si sono svolti nel vescovado di Banja Luka, dove il Pontefice aveva pranzato con i vescovi del Paese. Una breve sosta all’interno della cattedrale, nel giardino dello stesso vescovado, ha concluso la giornata di Giovanni Paolo II  in Bosnia Erzegovina. Quindi, la partenza.

 

La stampa locale oggi dà ampio risalto alle parole del Papa. Due i passi sottolineati: la richiesta di perdono per le colpe commesse da “alcuni dei figli della Chiesa cattolica”, in particolare durante la seconda guerra mondiale, e l’invito a tutti alla riconciliazione. Secondo passo, l’incoraggiamento rivolto alla popolazione perché si impegni in prima persona per la ricostruzione del Paese. Significativo il titolo di un quotidiano che recita: “Dovete costruire il futuro da soli”. Sulle cifre dei presenti, si oscilla dalle 35 mila alle 70 mila, cifra quest’ultima riportata anche dai quotidiani serbi. Un altro titolo enuncia: “La verità è il fondamento della riconciliazione”, e un altro ancora: “Ricominciare di nuovo”. Un quotidiano serbo, che esce a Belgrado, scrive che i serbi considerano l’appello del Papa al reciproco perdono un grande passo avanti verso la riconciliazione e pubblica un titolo forte: “Chiamata definitiva alla riconciliazione”.

 

Da Banja Luka, Adriana Masotti, Radio Vaticana.

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Proprio la delicatezza dei temi affrontati da Giovanni Paolo II in Bosnia-Erzegovina, non disgiunta da un profondo senso di solidarietà nei riguardi di una popolazione ferita e disillusa dall’epilogo della sua storia recente, hanno costituito l’essenza del viaggio papale. Al microfono di Alessandro De Carolis, ecco l’opinione di un testimone diretto della visita, il nostro direttore generale, padre Pasquale Borgomeo, che inizia la propria analisi partendo dalla richiesta di perdono avanzata dal Pontefice, che molta eco ha suscitato nei media locali e internazionali,

 

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R. - Secondo me, si tratta di un apporto capitale e si iscrive nella coerenza dell’insegnamento del Papa sulla forza che ha il perdono per rendere valida una giustizia ed una riconciliazione. Io ricordo le parole che il Papa pronunciò nell’omelia della Messa per quella Sarajevo nella quale non riuscì ad andare nel 1994. Diceva: “La spirale delle colpe e delle pene non si chiuderà mai se ad un certo punto non arriva il perdono. Perdonare non significa dimenticare. Se la memoria è la legge della storia, il perdono è la potenza di Dio, potenza di Cristo che agisce nelle vicende degli uomini e dei popoli”. Per cui questo atto - che risulta sempre rivoluzionario, straordinario - è la conclusione, nel concreto, di quello che il Papa continua ad insegnare. Lo ha fatto ancora all’inizio di quest’anno: non ci sarà mai pace, in Bosnia o altrove, senza giustizia, ma non ci sarà vera giustizia se non ci sarà perdono. In altre parole, bisogna che uno faccia il primo passo e rompa questa specie di armatura d’acciaio che costringe a ricordare le colpe subite e che rende indisponibili a un cammino vero di riconciliazione.

 

D. -  Dal perdono alla riconciliazione interna: anche qui, Giovanni Paolo II si è mostrato attento e solidale con quanto vissuto da questo Paese ...

 

R. -   Certamente. Il Papa ha preso atto di quello che è il vero dramma - bisogna dirlo - di un Paese in cui anche le istituzioni sono ancora fragili, instabili, affidate in parte al controllo di istanze internazionali che certamente sono utili, ma sono anche rappresentanti di istituzioni che non fanno abbastanza. Non può essere solamente una responsabilità delle Nazioni Unite, la soluzione dei problemi di quest’area europea: è, primariamente, un compito anche europeo. Si capisce allora che il Papa abbia sostenuto, incoraggiato, messo in guardia contro la rassegnazione, lo scoraggiamento: perché questo Paese dà l’impressione, direi fondata, di essere afflitto - oltre tutti gli altri problemi - da una “sindrome di sentimento di abbandono”. E quindi, la riconoscenza è per quest’uomo fragile, ma dallo spirito indomito, che va sul posto e dice: “Non vi scoraggiate, e - soprattutto - non andate via!”. Il santo Padre ha portato l’esempio di Ivan Merz - bella figura di santità laica, di un giovane veramente europeo, a partire dai suoi genitori per venire alla sua formazione culturale, attraverso l’Europa, da Vienna a Parigi. Questo personaggio è uno di quelli del quale diranno anche i vescovi in Bosnia che non approfittò della sua formazione, della sua conoscenza delle lingue, della sua esperienza internazionale per fare una carriera. Il suo successo fu un altro. Fu quello di dare testimonianza della fede e di servizio al suo Paese.

 

D. -   In qualche modo, dunque, il Beato Ivan Merz costituisce una sintesi di ciò che il Papa ha detto alla popolazione della Bosnia Erzegovina…

 

R. -  Sì. Direi che è un simbolo di pace, se uno pensa al disgusto che egli provò per la vita militare, quindi per la guerra. Se si pensa al suo culto dell’Eucaristia e se si pensa a questa sua, per così dire, “familiarità” di passaggio da una cultura ad un’altra che lo portò ad insegnare letteratura francese. Davvero, quindi, al di là di tutte quelle frontiere che ancora sono così tenaci, resistono e mantengono incomprensioni, ostilità e chiusure laddove invece naturalmente dovrebbe essere più facile - ma qui, di nuovo è da invocare l’ausilio di istanze terze, come per ogni riconciliazione - direi che il Beato Ivan Merz, che in fondo è un giovane, è come una specie di fiore spontaneo perché non appartiene ad una Congregazione religiosa, nemmeno ad un Movimento, come oggi si direbbe. Veramente è stato portato avanti dalla grazia su una strada di grandissima santità e di grandissima attualità. Ecco, quindi, perché questa Eucaristia, seguita con una partecipazione veramente intensa, è stata poi riassunta nel momento dell’esaltazione della beatificazione di un figlio di quelle terre, ma con respiro e apertura all’Europa.

 

D. -  Un’ultima domanda, direttore. Anche gli aspetti del dialogo ecumenico ed interreligioso hanno avuto la loro importanza in questo 101. mo viaggio apostolico ...

 

R. - Esattamente. La situazione è tale che, mentre le istanze internazionali cercano di mantenere la pace, intesa piuttosto come un “evitare conflitti”, l’azione del Papa va per linee interne, cioè va alle coscienze, perché è lì che bisogna fondare una cultura nuova, assolutamente nuova. In questo, la religione ha una sua responsabilità, perché ha un potere grandissimo soprattutto in un’area dove sembra che si confondano e si identifichino, spesso, nozioni che in altre parti d’Europa sono ben distinte: la categoria etnica e quella religiosa. Io ricorderò, come un segno di speranza, la parola detta ieri dal gran rais musulmano durante il dialogo interreligioso con il Papa: “Noi vorremmo che Banja Luka diventasse l’Assisi dei Balcani”. Questo è molto significativo ed indica quale segno abbia lasciato in profondità lo spirito di Assisi e le iniziative di pace del Papa ad Assisi.

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DA DOMANI A SABATO PROSSIMO IN VATICANO

LA 69.MA ASSEMBLEA GENERALE DELLA ROACO

INCENTRATA IN SPECIAL MODO SUI PROBLEMI DI TERRA SANTA E DI ERITREA

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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La Roaco è la Riunione delle Opere di Assistenza alle Chiese Orientali, costituita in seno alla Congregazione per le Chiese Orientali e formata da agenzie e organismi assistenziali di diversi Paesi occidentali. Si riunisce in Assemblea due volte l’anno in gennaio e in giugno. Il suo segretario generale, mons. Francesco Brugnaro, ci ha ragguagliati anche quest’anno sui contenuti del prossimo incontro, che si aprirà con una concelebrazione nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, presieduta dal cardinale Ignace Moussa I Daoud, prefetto del dicastero, nel corso della quale saranno ricordati i benefattori defunti durante l’anno.

 

I lavori si articoleranno quindi su tre argomenti essenziali, il primo dei quali la situazione in Terra Santa  su cui riferiranno il nunzio apostolico in Israele, arcivescovo Pietro Sambi, e il custode di Terra Santa, padre Giovanni Battistelli. Seguirà l’esame della situazione delle scuole cattoliche presenti in Israele, Palestina e Giordania, in merito alle quali riferirà il coordinatore dell’apposito Segretariato di solidarietà, padre Pietro Felet.

 

Un terzo argomento sarà l’esame dei progetti di aiuto all’Eritrea. Saranno presenti i vescovi del Paese assieme al nunzio apostolico, arcivescovo Silvano Tomasi. Lo scorso anno, sempre in giugno, erano stati presi in considerazione i bisogni riguardanti la Chiesa cattolica in Etiopia. Quanto all’Eritrea si tratta di 15 progetti che riguardano il compimento di strutture come oratori, cappelle, riparazioni varie, sussidi per programmi di natura pastorale e catechetica. Ricordiamo che Etiopia ed Eritrea stanno vivendo un momento molto critico dovuto alla carestia.

 

In margine a questi tre punti non mancherà l’esame della situazione in Iraq circa le necessità del Paese e della Chiesa, usciti dalla situazione bellica a tutti nota. Altro tema sarà il finanziamento della Bethlehem University che svolge un ruolo di primo piano in Palestina, non solo per gli studenti cattolici, ma soprattutto musulmani. I recenti avvenimenti ne hanno danneggiato non poco le strutture.

 

Per la fine mattinata di giovedì 26 giugno è previsto l’incontro dei partecipanti all’Assemblea della Roaco con il Santo Padre.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

"Non vi rassegnate. Il futuro incomincia con il perdono reciproco" è il titolo che apre la prima pagina: Giovanni Paolo II pellegrino in Bosnia ed Erzegovina proclama beato Ivan Merz, che fece della sua esistenza "una corsa verso la santità". Sempre in riferimento al giovane laico, si sottolinea che a lui si lega un programma di vita e di azione cattolica anche per i giovani d'oggi.

 

Nelle vaticane, il resoconto dettagliato dei diversi momenti del viaggio apostolico del Papa. Gli articoli dell'inviato Giampaolo Mattei. La rassegna della stampa internazionale.

Un articolo di Real Tremblay sull'Enciclica "Ecclesia de Eucharistia".

 

Nelle pagine estere, riguardo alla situazione in Medio Oriente, si mette in evidenza che l'illusione di una soluzione di "forza" compromette il cammino di pace.

In Nigeria, l'esplosione di un oleodotto causa la morte di più di cento persone.

Iran: l'Aiea chiede cooperazione per chiarire le questioni inerenti al programma nucleare.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Agnese Pellegrini sulla prima traduzione integrale del romanzo "Georges" di Alexandre Dumas.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano i diversi aspetti legati al drammatico tema dell'immigrazione.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

23 giugno 2003

 

 

LA DIGNITA’ DELLA PERSONA UMANA AL CENTRO DI UN SIMPOSIO INTERNAZIONALE

A ROMA SULLA LOTTA ALLA TOSSICODIPENDENZA.

CON NOI MONS. JAVIER LOZANO BARRAGÁN E DON EGIDIO SMACCHIA

 

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

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Analizzare la dimensione umana di chi è rimasto vittima della droga e di chi gli si pone accanto. Questo l’obbiettivo del simposio internazionale organizza-to tra oggi e domani presso la sala conferenze dell’Augustinianum a Roma sul tema “Prendersi cura dell’altro. La tossicodipendenza tra esperienza e morale”. Le due giornate di studi vengono realizzate in previsione della 16.ma giornata mondiale contro l’uso e il traffico illecito di droga, dedicata quest’anno dalle Nazioni Unite al tema “Parliamo di droga”. Tra le finalità del Convegno c’è quella di far porre in luce aspetti insoliti e inediti direttamente dai protagonisti: retroscena ed esiti del progetto di distribuzione controllata di eroina in Svizzera; l’evoluzione del fenomeno droga nei paesi dell’Est; le esperienze di recupero per i tossicodipendenti immigrati; gli aggiornamenti dai paesi produttori di cocaina in America Latina; novità da Afghanistan e Iran sulla produzione di oppio dopo i recenti conflitti; il racconto dell’unica Comunità terapeutica in Israele che accoglie tossicodipendenti israeliani e palestinesi; e, non ultima, la drammatica situazione della tossicodipendenza in Africa.

 

Attualmente sono 11.164 in Italia i giovani seguiti quotidianamente dalle comunità terapeutiche, 10.180 i familiari; oltre 12 mila, in trent’anni, i soggetti usciti dalla droga e reinseriti nella società. Al simposio organizzato dalla Federazione Italiana Comunità Terapeutiche (FICT), insieme al Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute prendono parte, tra gli altri, l’arcivescovo Javier Lozano Barragán, presidente del Dicastero co-promotore dell'iniziativa, con una relazione sul pensiero di Giovanni Paolo II relativo a droga e tossicodipendenza; don  Egidio Smacchia, presidente della Federazione italiana Comunità Terapeutiche e Niccolò Pisanu, direttore dell’Istituto “Progetto Uomo”. La parola a don Egidio Smacchia:

 

R. – Quello di cui c’è bisogno in questo momento è incominciare a riflettere seriamente sul fatto che prendersi cura dell’altro significa considerare la centralità della persona, il primato dell’uomo; significa che oltre a togliere la dipendenza dalla droga devo avere nel mio zainetto, nel mio bagaglio questi valori. Sono valori  fondamentali per affrontare la vita, per progettarla e darle un significato.

 

D. – Quindi, potremmo dire che uno dei principali ostacoli nella lotta contro la droga sta nel non considerare il valore della dignità umana?

 

R. – Direi proprio di sì. Noi crediamo – e ci abbiamo sempre creduto – che occorre spingere di nuovo sull’aspetto non solo della dignità, ma proprio del primato della persona. Quindi quando operiamo su una persona ai margini della società  dobbiamo ricordarci la sua dignità e le sue capacità. Il Papa da questo punto di vista ci ha molto instradato.

 

D. – A tale proposito Giovanni Paolo II ha sottolineato come nel recupero del tossicodipendente sia importante portare l’individuo alla scoperta – o alla ‘ri-scoperta’ – della propria dignità. A mons. Javier Lozano Barragán chiediamo se questo è sempre possibile:

 

R. – E’ sempre possibile. Il Papa ci indica la strada concreta per fare questa ‘ri-scoperta’. E’ necessario confrontarsi con il Vangelo, con se stessi e con la propria famiglia. E proprio in questi ambiti, specialmente nel Vangelo e nella famiglia, che si può ritrovare se stessi e riscoprire la propria dignità. Come dice il Papa, la droga è contraria alla morale cristiana perché distrugge la vita!

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SEMINARIO ALL’UNIVERSITA’ “LA SAPIENZA” DI ROMA

SUL PROGETTO DI CONSERVAZIONE DELLA NECROPOLI VATICANA

 

- Ai nostri microfoni, Pietro Zander e Nazareno Gabrielli -

 

“Necropoli Vaticana: studi, ricerche e progetto conservativo”: è il titolo della conferenza che si è tenuta questa mattina, presso l’aula grande di Mineralogia dell’Università La Sapienza, di Roma. Durante il seminario, introdotto dal vescovo mons. Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica di San Pietro, è stata ripercorsa la storia della Necropoli e ne è stato illustrato il progetto di conservazione, finanziato in parte dall’Enel, grazie al quale i visitatori possono vedere gli scavi in piena sicurezza. Il servizio è di Dorotea Gambardella:

 

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La Necropoli Vaticana, situata sotto il livello delle Grotte, in corrispondenza della navata centrale della Basilica, fu rinvenuta durante il pontificato di Pio XII, negli anni compresi tra il 1939 e il 1949. Apparve allora una doppia fila di edifici sepolcrali, databili tra il II e l’inizio del IV secolo, disposti l’uno accanto all’altro, da ovest ad est su di un pendio successivamente colmato per la costruzione della Basilica Costantiniana. Una serie di interventi, per lo più attuati secondo un criterio di urgenza al di fuori del piano generale tale da comprendere l’intera necropoli, hanno reso possibile la conservazione dell’importante complesso archeologico e monumentale dalla sua scoperta ai giorni nostri. Il restauro conservativo, oggi concluso, ha interessato in maniera organica tutta la necropoli ponendo per la prima volta ogni singolo intervento all’interno di piano generale dei lavori. Ascoltiamo Pietro Zander, archeologo della necropoli vaticana:

 

R. – Questo restauro intrapreso dalla Fabbrica di San Pietro nel 1998, ha coinvolto archeologi, fisici, chimici, illuminotecnici, ingegneri, architetti per la definizione di un piano d’intervento e la successiva definizione di un programma di manutenzione. Dopo un attento studio si è cominciato ad intervenire cercando innanzitutto di contenere le cause del degrado. Quindi, si è intervenuti principalmente sugli aspetti microclimatici e poi sugli aspetti microbiologici, contenendo le cause del degrado è stato poi possibile intervenire sul monumento.  Dopo l’intervento di restauro è stato possibile anche leggere meglio e comprendere meglio quello che era l’apparato decorativo dei singoli mausolei. Alcune figure, che  erano occultate da questi veli bianchi dei sali, dopo i restauri è stato possibile apprezzarle in quelli che erano i valori cromatici originali.

 

Ma, più nello specifico, quali sono state le strategie di intervento? Lo abbiamo chiesto a Nazareno Gabrielli, consulente chimico per i problemi legati alla conservazione della Necropoli stessa:

 

R. – Di fatto, noi ci troviamo dinanzi a dei materiali, che ovviamente sono delle opere d’arte, che sono state per mille anni e più in contatto con terrapieni e con l’acqua. E’ chiaro che l’acqua ha permeato questa materia, ne ha cambiato in parte la struttura e potremmo dire, per assurdo, che il consolidante attuale, che regge insieme, questa materia è l’acqua. Dunque nessun progetto di restauro volto alla deumidificazione di questi materiali, perché altrimenti togliendo l’acqua otterremmo la polvere. Il progetto di restauro ha previsto il mantenimento dell’umidità relativa, la riduzione della ventilazione al minimo, perché con la ventilazione l’acqua evapora ed evaporando porta appresso il sale. Quindi, per consentire la fruizione, abbiamo chiuso i mausolei in modo che ogni mausoleo abbia il proprio microclima. I pigmenti, i colori stanno bene. E’ che non può essere lasciato a se stesso!

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IL CONTRIBUTO DELLA TEOLOGIA DELL’UNITA’ E DEL DIALOGO ECUMENICO

E INTERRELIGIOSO DI CHIARA LUBICH PER L’AFFERMAZIONE DI QUESTI VALORI

NELLA SOCIETA’ SLOVACCA RICONOSCIUTO DALL’UNIVERSITA’ STATALE DI TRNAVA

 CON IL CONFERIMENTO  DELLA LAUREA H.C. IN TEOLOGIA

ALLA FONDATRICE DEI FOCOLARI

 

- Servizio di Carla Cotignoli -

 

“Il cristianesimo, nonostante la crisi spirituale in cui versa oggi la civiltà umana, è capace di rinnovarsi continuamente”. In queste parole del rettore dell’Università statale slovacca di Trnava, prof. Peter Blaho, è racchiuso il significato più profondo della solenne cerimonia svoltasi questa mattina nella grande sala del Centro Mariapoli di Castelgandolfo, dove le massime autorità accademiche dell’Università hanno conferito a Chiara Lubich la laurea honoris causa in Teologia. Il servizio di Carla Cotignoli.

 

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Sul palco campeggiavano le bandiere slovacca, europea e italiana. Un’immagine eloquente. La Slovacchia infatti è tra i 10 Paesi che entreranno in Europa nel maggio 2004. Dagli interventi emergevano le radici cristiane della cultura slovacca che ha dato vita all’Università di Trnava nel lontano 1635 per opera dei gesuiti, ma tuttora vitali. Le parole del decano della facoltà di Teologia, prof. Ladislav Csontos, che ha promosso questo riconoscimento, rivelavano l’eroismo vissuto sotto il regime comunista: una storia di fedeltà, persecuzioni, arresti. E’ emersa anche l’intensa attività che ha permesso, nonostante il regime, di alimentare gli studi con  l’aggiornamento del Concilio Vaticano II. Di qui lo stile di dialogo assunto dalla facoltà a tutti i livelli.

 

“Per questi motivi – ha detto il decano che ha delineato la figura e l’opera della neo-laureata – la teologia dell’unità e del dialogo di Chiara Lubich è molto vicina alla nostra facoltà e il suo contributo è per noi il motivo principale per proporre questo riconoscimento”. Aveva definito la fondatrice dei focolari “personaggio-chiave del movimento ecumenico e del dialogo interreligioso”. Ed aveva ricordato che “la sua opera si è fatta presente in Slovacchia con il Movimento che aveva messo radici già nei tempi del regime comunista, portando a chi vi ha aderito grande sostegno spirituale e nella vita della Chiesa locale, lo spirito del Concilio Vaticano II”.

 

Il rettore dell’Università aveva parlato delle strade e dei modelli nuovi nei rapporti interpersonali, ma anche nel campo economico, politico e culturale sulla base del dialogo da lei promosso poggiandosi sul comandamento evangelico dell’amore. Ed ha affermato che “occorre costruire l’unità del mondo su questo fondamento spirituale, se non vogliamo perire”.

 

Nella lezione magistrale, Chiara Lubich ha comunicato le radici profonde di questo dialogo che affondano nella stessa vita trinitaria. Ne ha mostrato il dinamismo che esige “il nulla d’amore”, quel “’non essere’ che rivela l’Essere come Amore”. Ne ha mostrato la forza di trasformazione nella vita della famiglia, nei vari ambiti della società, nella vita della Chiesa, in campo ecumenico e interreligioso. E’ dunque un intrecciarsi di culture diverse, di carismi antichi e nuovi, che avrà una continuità.

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CHIESA E SOCIETA’

23 giugno 2003

 

 

IL RUOLO DELLE NUOVE TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

AL CENTRO DELLA CONFERENZA MONDIALE SULL’INSEGNAMENTO SUPERIORE.

RIUNITI NEL PALAZZO DELL’UNESCO DI PARIGI OLTRE 400 ESPERTI,

RAPPRESENTANTI DI 120 PAESI

- A cura di Francesca Pierantozzi -

 

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PARIGI. = Oltre 400 esperti, i rappresentanti di 120 Paesi, sono riuniti per tre giorni nella grande sala del Palazzo dell’Unesco, a Parigi, per la Conferenza mondiale sull’insegnamento superiore. All’ordine del giorno l’analisi di cambiamenti, evoluzioni e nuovi problemi a cinque anni dall’ultima Conferenza. All’Unesco verranno presentati in particolare i risultati, Paese per Paese, di uno studio mondiale sull’evoluzione dei sistemi di insegnamento, con una particolare attenzione al ruolo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sull’istruzione superiore, all’impatto dei nuovi prestatari di servizi in un mercato sempre più mondializzato e liberalizzato e ai metodi per garantire la qualità dell’insegnamento nel quadro di questo mondo in evoluzione spesso incontrollata. Il direttore generale dell’Unesco, Koichiro Mazura, ha aperto la Conferenza prima di dare la parola alla first lady del Qatar, Sheika al-Misnad, inviata speciale per l’educazione. Prima di cominciare le discussioni verrà firmato un accordo che istituisce un fondo internazionale per l’insegnamento superiore in Iraq. Il fondo verrà amministrato congiuntamente dall’Unesco e dal Qatar per fornire un aiuto immediato e a lungo termine per la ricostruzione della scuola irachena. Divisi in quattro commissioni i partecipanti alla Conferenza potranno poi affrontare il tema più importante dell’incontro parigino, ovvero la tutela della libertà d’insegnamento e di ricerca al di fuori di qualsiasi obbligazione dottrinale e il diritto di non subire le pressioni della censura istituzionale.

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IN AUSTRALIA, LA GIORNATA MONDIALE DEI RIFUGIATI E’ STATA L’OCCASIONE IERI

DI MANIFESTAZIONI DI PROTESTA, NELLE MAGGIORI CITTA’, CONTRO LA POLITICA

DEL GOVERNO CHE OBBLIGA I RICHIEDENTI ASILO, COMPRESI I MINORENNI

A SOGGIORNARE IN CENTRI DI DETENZIONE: SONO SCESI IN PIAZZA SINDACALISTI, INTELLETTUALI E LEADER RELIGIOSI

 

SYDNEY. = La giornata mondiale dei rifugiati è stata l'occasione ieri in Australia per manifestazioni di protesta nelle maggiori città contro la politica del governo  che obbliga alla detenzione i richiedenti asilo, per lo più in remoti campi dell'entroterra. A Sydney la linea dura del governo federale contro   l'immigrazione non autorizzata è stata descritta come 'criminale'; a Melbourne i vertici sindacali hanno chiesto che a tutti i profughi sia accordata la residenza permanente, e a Brisbane i leader delle maggiori religioni hanno chiesto un   approccio più compassionevole.  Nella manifestazione di Sydney il noto scrittore Thomas Keneally ha dichiarato che ''i profughi sono trattati come delinquenti, ma è il governo che si comporta da criminale, nel senso che viola le leggi internazionali, e il Tribunale dei minori lo ha confermato'' - ha aggiunto - sentenziando che la detenzione a tempo indefinito dei 108 minorenni attualmente richiusi nei Centri per richiedenti asilo è illegale. A Melbourne la presidente della Confederazione sindacale Actu, Sharan Burrows, ha affermato che il governo dovrebbe dare la residenza permanente ai profughi che hanno ottenuto solo un 'visto di protezione' temporaneo. ''Vi sono 8000 profughi che   vivono fra di noi e che soffrono l'umiliazione di vivere nel limbo dei visti temporanei, senza poter lavorare né aver accesso ai servizi disponibili agli australiani'', ha detto. A Brisbane, 15 rappresentanti di Chiese cristiane e di altre   religioni tra cui musulmani, ebrei, indù, sikh e taoisti, hanno lanciato il loro appello in una dichiarazione congiunta, in cui ricordano che i profughi da molte parti del mondo hanno sempre dato un contributo importante allo sviluppo sociale ed economico della nazione. (R.G.)     

 

 

PREVENZIONE E EDUCAZIONE: SONO GLI OBIETTIVI DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE,

CHE SI CHIUDE OGGI AL CAIRO, PER CONTRASTARE

LA PRATICA DELLE MUTILAZIONI GENITALI

 

IL CAIRO. = Solamente una maggiore istruzione può rompere la catena di ignoranza che porta ogni anno nel mondo due milioni di bambine a subire la pratica dell’infibulazione. È questa la principale priorità operativa emersa nel corso della conferenza internazionale sulle prevenzioni delle mutilazioni genitali femminili, che si chiude oggi al Cairo, con la partecipazione di esperti dal mondo arabo e dall’Africa. L’incontro è stato promosso dal Consiglio nazionale per l’infanzia e la maternità, organismo governativo presieduto da Suzanne Mubarak, moglie del presidente dell’Egitto, dalla Società egiziana per la prevenzione di pratiche lesive per le donne e i bambini e con il patrocinio della Commissione europea. La sfida più importante è rappresentata dalla prevenzione: “Dobbiamo rompere il muro di silenzio e aprire un dibattito nazionale che impedisca a questa pratica di essere trasmessa alle future generazioni”, ha affermato Dina El-Naggar, funzionario dell’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), partner della campagna di sensibilizzazione contro le mutilazioni femminili intitolata “Stop Fgm”, promossa dalle organizzazioni non governative Aidos e “No peace without Justice”. Nel 1997 il governo egiziano ha dichiarato illegale l’infibulazione, con pene fino a tre anni di reclusione. La pratica, però, continua ad essere molto diffusa tra la parte della popolazione più fedele alle tradizioni e condizionata dalle pressioni culturali, nonché spesso avallata da molti medici, attirati dai relativi interessi economici. Le autorità, nel 2000, stimavano che il 97% delle donne fra i 15 e i 50 avesse subito queste mutilazioni. Non tutti gli esperti sono concordi nell’accettare cifre così imponenti, anche se “Stop Fgm” riferisce espressamente di 120-130 milioni di donne nel mondo coinvolte nella dolorosa esperienza. (M.D.)

 

 

MIGLIAIA DI IMMIGRATI PERDONO LA VITA IN  MARE NELL’INDIFFERENZA

DELLA COMUNITÁ INTERNAZIONALE. PADRE GIULIO ALBANESE, DIRETTORE DELL’AGENZIA MISSIONARIA MISNA,

RICORDA L’IMPORTANZA DELLA COOPERAZIONE E DELLA SOLIDARIETÁ VERSO I PAESI E LE POPOLAZIONI AFRICANE

 

ROMA. = “L’abbiamo scritto tante volte e non ci stancheremo mai di ripeterlo: la povertà si combatte con la cooperazione intelligente, investendo secondo criteri solidaristici nelle cosiddette periferie del villaggio globale”. Sono le parole di padre Giulio Albanese, direttore dell’agenzia missionaria Misna, sull’emergenza immigrazione che sta coinvolgendo migliaia di persone, costrette ad abbandonare la propria terra per cercare di raggiungere in un qualche modo, e spesso pagando con la vita, le coste italiane. Sugli sbarchi all’isola di Lampedusa, il lembo di Europa più vicino al litorale africano, che hanno coinvolto quasi 2500 immigrati – uomini, donne e bambini – padre Albanese denuncia una sorta di cinismo e di indifferenza che misconoscerebbe la tutela della vita umana e il doveroso spirito di accoglienza nei confronti dei poveri e dei perseguitati. Le critiche più forti sono per il movimento politico della Lega Nord e per il suo leader, il ministro Umberto Bossi, accusati di propagandare un’ideologia fatta di egoismo e di autorizzare vere e proprie “cacce alle streghe” ai danni di persone in difficoltà. Se le autorità italiane – secondo padre Albanese – s’impegnassero a sostenere finanziariamente l’operato a fianco dei poveri in Africa, sicuramente molti immigrati non avrebbero ragione alcuna di sbarcare nel Bel Paese. Un ultimo affondo è per la stampa, che troppo spesso, secondo padre Albanese, ignora i drammatici conflitti che sconvolgono il continente nero, non aiutando l’opinione pubblica a riflettere sulle urgenze e le necessità delle popolazioni africane e alimentando, al contrario, un certo pericoloso campanilismo. (M.D.)

 

 

UNA MISSIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE VISITERÁ

L’AFRICA OCCIDENTALE. LA DELEGAZIONE PARTIRÁ DA NEW YORK IL 28 GIUGNO

 

NEW YORK. = Si sarebbe dovuta tenere a metà maggio, ma era poi stata rinviata a data da destinarsi a causa dell’intenso dibattito in corso all’Onu sul conflitto iracheno. Partirà quindi il 28 giugno la missione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che toccherà sette Paesi dell’Africa occidentale. La tappa a Monrovia, capitale della Liberia, prevista per il 2 luglio, resterà vincolata – affermano fonti ufficiali dell’Onu – alle condizioni di sicurezza in cui si troverà il Paese, teatro nelle ultime settimane di violenti scontri fra le forze governative e i guerriglieri ribelli. Al momento è in atto una tregua considerata, però, da gran parte degli osservatori, ancora incerta e dunque non risolutiva. La delegazione sarà guidata dall’ambasciatore britannico all’Onu, Jeremy Greenstock,e lascerà New York sabato 28 giugno per recarsi in Guinea Bissau, dove resterà per 24 ore. Dopo sarà la volta della Nigeria e quindi del Ghana, della Costa d’Avorio, della Liberia, della Guinea Conakry e della Sierra Leone, da dove, il 4 luglio, i rappresentanti del Consiglio di sicurezza faranno ritorno a New York. (M.D.) 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

23 giugno 2003

 

 

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

Non c’è pace per il Medio Oriente, da dove continuano a giungere notizie di gravi violenze. Le ultime sono di ieri sera. Nel nord della Striscia di Gaza quattro attivisti palestinesi, militanti delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, sono morti nei pressi di Beit Hanun, in circostanze ancora da chiarire. Ed è forte anche lo scontro politico, dopo l’uccisione da parte israeliana di Abdallah Kawasmeh, uno dei maggiori leader di Hamas. Sentiamo Graziano Motta:

 

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Il premier israeliano, Ariel Sharon, in consiglio dei ministri, ha definito l’operazione estremamente importante, essenziale per la sicurezza dei cittadini israeliani. Per Hamas, l’uccisione di Abdallah Kawasmeh provocherà altre vendette. Il governo palestinese teme per la riuscita delle trattative, volte ad ottenere dal movimento estremista palestinese una tregua. Reazioni si segnalano anche in seno al quartetto di Paesi impegnati per il Medio Oriente, riunito in Giordania. Il segretario di Stato americano, Colin Powell, si è detto desolato, affermando che non si può ignorare che Hamas e la Jihad islamica abbiano la responsabilità di quanto accade, a causa della loro ostilità a qualsiasi progresso verso la pace. Il ministro degli Esteri russo, Ivanov, il segretario generale dell’Onu Annan, e il rappresentante dell’Unione Europea, Solana, hanno espresso riprovazione verso la politica di liquidazione da parte d’Israele e chiesto alle parti provvedimenti atti a far progredire il processo politico. A tal proposito il ministro degli Esteri israeliano, Shalom, ha confermato che i soldati israeliani si ritireranno dal nord di Gaza e da Betlemme, non appena la polizia palestinese vorrà assumere le proprie responsabilità della zona.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Il futuro dell’Iraq si affida alla Conferenza dell’Onu sulla ricostruzione, in programma questa settimana al Palazzo di Vetro di New York. Permangono preoccupazioni per il presente ancora segnato dalle violenze. A due mesi e mezzo dalla caduta di Baghdad, infatti, proseguono senza sosta gli attacchi antiamericani. Ce ne parla Paolo Mastrolilli:

 

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L’ultimo agguato è avvenuto ieri, 12 miglia a sud di Baghdad, quando un assalitore ha lanciato una granata contro un mezzo delle forze di occupazione: un militare americano è morto ed un altro è rimasto ferito. Sempre ieri, proprio nel giorno in cui nel porto turco di Ceyhan sono state caricate nelle navi le prime forniture di greggio iracheno dall’inizio della guerra, la produzione è stata rallentata da un atto di sabotaggio. L’oleodotto nella zona di Hit, circa 90 miglia a nord di Baghdad, è stato incendiato. Un episodio che il ministro provvisorio del petrolio ha definito un attacco premeditato. Il giornale britannico Observer, invece, ha scritto che la settimana scorsa le forze americane hanno colpito con un missile un convoglio di veicoli nel deserto occidentale dell’Iraq, dove pensavano che stesse viaggiando Saddam Hussein. I test del Dna sono stati condotti su numerosi resti umani, per verificare l’identità delle persone rimaste uccise, ma, per ora, non ci sarebbero conferme che tra esse ci sia l’ex leader iracheno.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Il governo filippino ha annunciato di essere pronto a riprendere i negoziati con i ribelli del Fronte Moro di liberazione islamico, dopo la decisione di quest’ultimo di rinunciare pubblicamente al terrorismo. Il capo del principale movimento separatista musulmano filippino, Salamat Hashim, ha, infatti, dichiarato ieri che il terrorismo è contrario agli “insegnamenti dell’Islam”, e che il gruppo respinge e smentisce “qualsiasi legame con le organizzazioni terroristiche”.

 

Il premier indiano Vajpayee ha iniziato una visita di sei giorni in Cina. Relazioni commerciali e dispute di confine sono al centro dei colloqui con il premier Wen Jiabao ed il presidente Hu Jintao. Sono passati 10 anni dall’ultima visita di un premier indiano a Pechino e le vecchie contese tra i due giganti asiatici, dove vive un terzo dell’umanità, sembrano ancora irrisolte. Il servizio da New Delhi, di Maria Grazia Coggiola:

 

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Tra India e Cina non c’è mai stato buon sangue: l’India accusa la Cina di aver collaborato con il programma di riarmo nucleare e missilistico del Pakistan, mentre Pechino non ha mai perdonato a New Delhi di avere ospitato il Dalai Lama e 120 mila rifugiati tibetani. Non c’è mai stata intesa anche sulla linea di confine, lunga 4.000 chilometri, anche se dalla guerra indo-cinese del 1962 non si sono ripetuti scontri armati e la situazione è ora pacifica. Di recente si è assistito ad un boom degli scambi commerciali tra i due Paesi: l’India, il gigante più debole, che ha sempre avuto paura di un’invasione di prodotti cinesi sul suo mercato, ha ora fiutato le enormi potenzialità del suo vicino e in quattro anni ha triplicato le sue esportazioni. Sull’agenda degli incontri tra Vajpayee e i leader cinesi, anche la situazione in Iraq. Sia Cina che India sono stati contrari ad un intervento americano; ora il governo indiano vorrebbe inviare truppe per partecipare alla stabilizzazione nel Paese arabo, cosa che, però, imbarazzerebbe Pechino che da Baghdad importa oltre la metà delle sue risorse energetiche.

 

Da New Delhi per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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Due persone sono morte e altre 32 sono rimaste ferite a causa di una granata esplosa stamani in un mercato di Shopian, nel Kashmir indiano. L'attentato non è stato rivendicato, i sospetti ricadono sui militanti islamici che si battono per rendere indipendente il Kashmir dall'India. L'attentato di stamani è avvenuto dopo quello di venerdì scorso, sempre con il lancio di granate in un luogo affollato, che aveva provocato il ferimento di trenta persone.

 

Dall’India arriva anche la notizia di una tragedia. Almeno 15 persone sono morte e 25 sono rimaste ferite nel deragliamento di un treno ieri nell’ovest del Paese. Lo ha reso noto la polizia locale, precisando che l’incidente è avvenuto nei pressi di Rajapur, 400 chilometri a sud di Bombay.  Il treno è deragliato dopo aver colpito dei massi caduti sui binari a causa delle forti piogge monsoniche.

 

I ribelli del sedicente Esercito di resistenza del signore (Lra) hanno attaccato nella notte di ieri la città di Gulu, capoluogo dell’omonimo distretto settentrionale ugandese. Lo hanno reso noto oggi fonti dell’agenzia Misna. L’attacco è stato poi respinto dai soldati governativi che hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con i ribelli, riuscendo a metterli in fuga. Negli ultimi mesi i ribelli hanno ripreso a rapire i bambini dai villaggi del nord Uganda, i quali vengono costretti a combattere tra le file del movimento armato guidato da Joseph Kony.

 

Trasferiamoci in Algeria, dove ieri 5 persone della stessa famiglia, fra cui 3 bambini, sono state massacrate da un gruppo armato islamico, nella regione di Relizane, 300 km a ovest di Algeri. La strage è stata attribuita al gruppo ribelle “Protettori della predicazione salafista”, un movimento integralista fondato da dissidenti del Gruppo islamico armato.

 

Resta tesa la situazione in Liberia. Il governo di Monrovia ha denunciato ieri due attacchi compiuti delle forze ribelli, proprio mentre prendeva corpo l’attuazione di un cessate-il-fuoco. L’accordo sulla fine delle ostilità era stato siglato la scorsa settimana in Ghana tra il governo e i movimenti di opposizione armata “Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia” e “Movimento per la democrazia in Liberia”.

 

Proseguono gli scontri anche nella Repubblica Democratica del Congo. Colpi di arma da fuoco si sono registrati ieri tra la forza multinazionale a comando francese dispiegata a Bunia, capoluogo della provincia dell’Ituri, e i miliziani congolesi. La sparatoria non ha fortunatamente causato vittime.

 

 

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