RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 172 - Testo della
Trasmissione di sabato 21 giugno 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
40 anni fa l’inizio
del Pontificato di Paolo VI: con noi padre Gianfranco Greco.
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
“L’Unione Europea non sarà
completata senza l’ingresso dei Paesi balcanici”, così il presidente della
Commissione Europea, Prodi, a Porto Carras in Grecia
Ancora immigrati clandestini a Lampedusa, l’ultima
nave arrivata traghettava 107 passeggeri
Secondo l’ex braccio destro di Saddam Hussein, il
rais è vivo. Washington riapre la caccia all’uomo
Conclusione ieri per il segretario di Stato Usa,
Powell, della visita in Medio Oriente caratterizzata da reiterati appelli a
israeliani e palestinesi
Da lunedì Hong Kong non figurerà più tra i Paesi a
rischio Sars.
21
giugno 2003
LA CITTA’ DI BANJA LUKA IN FERMENTO PER L’ARRIVO
DEL PAPA,
ATTESO DOMANI PER LA SECONDA VOLTA IN
BOSNIA-ERZEGOVINA
- A cura di Alessandro De Carolis
E’ tempo di ultimi preparativi,
a Banja Luka, il maggior centro urbano economico e culturale della Repubblica
Serba di Bosnia, che domani sarà teatro - per sole tredici ore - del 101.mo
viaggio apostolico di Giovanni Paolo II, il secondo in Bosnia-Erzegovina. Il
volo papale decollerà di buon mattino, verso le 8.15, dallo scalo romano di
Fiumicino è atterrerà all’aeroporto internazionale di Banja Luka attorno alle
9.40. Dopo la cerimonia di benvenuto e l’incontro privato con i tre
rappresentanti della presidenza collegiale dello Stato, il Pontefice si
dirigerà verso il convento francescano della SS. Trinità per la solenne Messa
di beatificazione del servo di Dio Ivan Merz.
Dopo il pranzo con i vescovi
della Chiesa locale, due visite private con le autorità civili e con il
Consiglio interreligioso ortodosso concluderanno gli impegni del breve soggiorno
di Giovanni Paolo II. Il suo aereo riprenderà la rotta per l’Italia alle 19.45,
con arrivo previsto all’aeroporto di Ciampino verso le 21. Ma ora, per entrare
nel vivo del clima della vigilia, cediamo la parola alla nostra inviata a Banja
Luka, Adriana Masotti:
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Grandi cartelloni con la scritta “Beati i puri di
cuore”, e sotto l’immagine di Giovanni Paolo II sorridente e il volto giovane
del Venerabile, Ivan Merz, prossimo alla beatificazione, danno il benvenuto ai
visitatori nella regione di Banja Luka, annunciando un evento eccezionale. In
vescovado ferve il lavoro, in città il centro stampa sta accreditando i 750
giornalisti che seguiranno l’avvenimento e si danno gli ultimi ritocchi al
palco presso il convento dei francescani, dove Giovanni Paolo II celebrerà domani
mattina la Messa. Quattromila poliziotti locali più altri 3500 agenti
internazionali garantiranno la sicurezza.
Il Papa
verrà qui in Bosnia Erzegovina per la seconda volta dopo la visita del 1997, si
fermerà un solo giorno e farà un’unica tappa, ma la sua presenza è attesa con
intensità e non solo dai cattolici del posto. E’ stato lui stesso ad indicare
il motivo di questa visita all’udienza generale di mercoledì scorso: confermare
nella fede la comunità cattolica, impegnata in un importante cammino di riconci-liazione
e di concordia con gli ortodossi e i musulmani. L’aveva promesso già nel 1994
quando, durante la speciale Giornata di Preghiera per la pace nei Balcani,
aveva esclamato: “Non siete abbandonati. Siamo con voi, sempre più saremo con
voi”.
La
guerra che dal ’92 al ’95 ha fatto in questo Paese oltre 300 mila morti e 1 milione
e 900 mila profughi è finita da quasi otto anni, ma alla disperazione di allora
si è sostituito un diffuso sentimento di stanchezza e di scarsa fiducia nel
futuro. Ad una situazione politicamente incerta - nelle elezioni del settembre
scorso hanno vinto di nuovo i partiti nazionalisti - si somma il mancato
decollo dell’economia: non c’è lavoro, mancano le infrastrutture. A sentire i
vescovi locali, la comunità internazionale con i suoi rappresentanti è fin
troppo presente, ma poco efficace nel risolvere i problemi: quello del ritorno
dei profughi, ad esempio. I dirigenti locali spesso ne approfittano scaricando
sugli altri il peso delle decisioni.
Senza
prospettive, nella gente si fa più forte la tentazione di andare altrove o, per
chi è fuggito ai tempi del conflitto, di non rientrare. Nella Srpska, dei 220
mila cattolici espulsi, sono tornati poco più di 10 mila. Ed è questa una tra
le preoccupazioni denunciate con maggior vigore dai vescovi: i cattolici
rappresentano nell’intera Bosnia Erzegovina solo l’11,3 per cento della
popolazione e stanno calando di numero, mentre le comunità parrocchiali sono
costituite sempre di più da anziani.
C’è bisogno
dunque di confermare e incoraggiare i cattolici. E anche a ciò servirà il
motivo più immediato della visita di Giovanni Paolo II: la beatificazione di
Ivan Merz, che seppe mettere Dio al primo posto nella sua vita, conoscendo
Cristo di giorno in giorno nella preghiera, nel dolore e nello studio. Un uomo
e un cristiano maturo, da proporre come modello alle nuove generazioni della
Bosnia Erzegovina. E forse un richiamo all’Europa, a cui anche la Bosnia guarda
per il suo futuro, perché non dimentichi i valori dello spirito.
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Un
“atleta dello spirito”, che pur immerso negli orrori della vita di trincea e nelle
miserie umane e spirituali prodotte dalla Prima guerra mondiale riuscì a non
smarrire la luce della fede e a trasmetterla ai giovani con i quali entrò in
contatto. Sono questi i tratti salienti di Ivan Merz, prima soldato e puoi
giovane professore di ginnasio, che domani verrà elevato dal Papa agli onori
degli altari, in quella stessa Baja Luka dove nacque 107 anni fa. Ecco un suo
profilo biografico, nel servizio di Giovanni Peduto:
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Ivan Merz è un giovane laico,
di famiglia croata, vissuto in un periodo storico di grandi cambiamenti
politici, che mutarono la faccia dell’Europa e che incisero anche nella sua
breve vita di appena 32 anni. Era nato nel 1896 a Banja Luka, in Bosnia, allora
sotto il dominio dell’Impero austro-ungarico. Compì gli studi medi
nell’ambiente multietnico e multireligioso della città natale, terminandoli nei
giorni in cui a Sarajevo veniva ucciso il principe ereditario Francesco
Ferdinando (28 giugno 1914). Non per propria scelta, ma per volontà dei
genitori, entrò nell’Accademia militare di Wiener Neustadt, che abbandonò dopo
3 mesi, disgustato della corruzione dell’ambiente. Nel 1915 iniziò gli studi
universitari a Vienna, ma nel 1916 fu arruolato nell’esercito per essere poi
mandato al fronte, dove passò la maggior parte del 1917 e del 1918.
La fine della prima guerra
mondiale lo trovò a Banja Luka, dove visse il rivolgimento politico e la
nascita del nuovo Stato jugoslavo. Nel 1919 e 1920 è di nuovo a Vienna,
studente alla Facoltà di filosofia. Nell’ottobre del 1920 parte per Parigi,
dove frequenta le lezioni alla Sorbona e all’Institut Catholique. Nel frattempo,
prepara la dissertazione dottorale su “l’influsso della liturgia sugli
scrittori francesi”, che presenta alla Facoltà di filosofia dell’Università di
Zagabria (1923). Superato anche l’esame di Stato, viene abilitato per
l’insegnamento della lingua e letteratura francese e tedesca. Fino alla morte, avvenuta
il 10 maggio 1928, fu professore al Ginnasio arcivescovile di Zagabria.
Una vita apparentemente
ordinaria e semplice, a parte il periodo sul fronte, eppure già entrata nella
storia del cattolicesimo croato. Finora poco conosciuta fuori dei confini della
sua patria, la figura di Ivan Merz affascina chi viene a conoscerla. Una figura
di studente e di soldato cattolico, poi d’intellettuale laico di vasta cultura
che, per amore di Dio, mette tutte le sue energie al servizio del prossimo
nell’educazione della gioventù croata.
Ma quel che colpisce in Ivan
Merz è il suo itinerario spirituale, veramente singolare, specialmente nella
prima fase di formazione: senza una guida spirituale stabile, egli da solo
trova la via alla santità, così che qualcuno lo ha definito “un frutto
spirituale spontaneo”, dove la presenza della grazia appare sperimentalmente
dimostrata. Pochi sono i santi - e non sappiamo se tra i laici ve ne sia
qualcuno - il cui sviluppo interiore possa essere seguito così da vicino, come
nel caso di Ivan Merz: e ciò grazie al suo diario intimo che comincia a
scrivere da studente e continua poi nell’esercito, sul fronte, e durante gli
studi universitari. Da esso emerge non un “santo nato”, ma un giovane che
combatte per il bene ed esce vincente. Col suo esempio, perciò, trascina
chiunque si sforzi di realizzare l’ideale cristiano della perfezione.
Lo tormenta il problema
dell’amore e poi quello del dolore e della morte, che egli risolve nella luce
della fede. Nel diario di guerra, si sente tutta la profondità della sua anima,
nella quale si riflettono, intrecciandosi, le miserie materiali e morali della
vita militare e i lumi della grazia.
Si fece promotore - egli laico
- del Movimento liturgico in Croazia e fu pioniere dell’Azione Cattolica secondo
le direttive di Pio XI, con lo scopo di formare una élite di apostoli che
lavorassero al “rinnovamento di tutte le cose in Cristo”. Fatica, combatte,
soffre perché nella sua Patria si affermi e rafforzi il Regno di Dio. A tal
fine, diventa l’anima del “Movimento giovanile delle Aquile”, per il quale sul
letto di morte offre anche la propria vita. La sua vasta cultura, la sua molteplice
esperienza di vita e il suo profondo senso cattolico fanno di Ivan Merz un
“santo europeo”, vicino al mondo germanico, latino e slavo. A distanza di 75
anni dalla morte, egli non ha perduto nulla della sua attualità anzi, sotto un
certo aspetto, essa è aumentata poiché, nel frattempo, il mondo è diventato
ancor più secolarizzato e ha quanto mai bisogno di testimoni del “soprannaturale”.
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Come
sempre in queste circostanze, la Radio Vaticana seguirà da vicino i principali
avvenimenti dell’imminente viaggio del Pontefice. Domattina, a partire dalle
9.40, trasmetteremo in radiocronaca diretta, con commento in italiano, la cerimonia di benvenuto all’aeroporto
internazionale di Banja Luka sull’onda corta di 5.890 kHz, sull’onda media di
585 kHz e in modulazione di frequenza sui 105 MHz.
Anche
la Santa Messa di beatificazione sarà trasmessa in radiocronaca diretta a partire
dalle 11.15 - in onda corta, media e modulazione di frequenza - con commenti in
italiano, tedesco, spagnolo e, solo per satellite, in portoghese.
ALTRE UDIENZE, RINUNCIA E NOMINE
Nel corso della mattinata, Giovanni Paolo II ha ricevuto
prima sei presuli della Conferenza episcopale indonesiana in visita ad Limina
apostolorum, e quindi il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della
Congregazione per i Vescovi.
Il Santo Padre ha inoltre accettato stamane la rinuncia al
governo pastorale dell’arcidiocesi di Kuching, nella Malaysia, presentata da
mons. Peter Chaung Hoan Ting, per raggiunti limiti di età; allo stesso
incarico, ha nominato mons. John Ha Tiong Hock, vescovo titolare di Canapio e
finora ausiliare della medesima arcidiocesi.
Il Papa ha anche nominato quest’oggi ausiliare
dell’arcidiocesi di Buenos Aires, in Argentina, il rev. Eduardo Horacio García,
finora parroco a Buenos Aires e direttore spirituale nel Seminario Maggiore
della medesima circoscrizione, assegnandogli la sede titolare vescovile di
Ipagro.
40
ANNI FA L’INIZIO DEL PONTIFICATO DI PAOLO VI
- Con noi padre Gianfranco Grieco -
Il 21 giugno di 40 anni fa veniva eletto al Soglio
Pontificio con il nome di Paolo VI l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista
Montini, nato 66 anni prima. E’ da tutti ricordato come un protagonista
d’eccezione dell’età contemporanea. Oltre ai tanti ricchi documenti del suo
magistero, resta nella memoria di tutti l’accorata lettera ai Brigatisti Rossi
per chiedere la liberazione del presidente del Consiglio Aldo Moro. Era il
1978, l’anno in cui lo stesso Paolo VI moriva, precisamente il 6 agosto, giorno
della Trasfigurazione. Il servizio è di Fausta Speranza:
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Il Papa che ha concluso solennemente il Concilio Vaticano
II, che ha voluto l’istituzione del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
Sociali, che ha firmato encicliche di forte rilievo come la “Populorum
Progressio” e l’”Humanae Vitae”, che ha usato per primo l’aereo per numerosi
viaggi all’estero e in Italia, che per primo si è recato in Terra Santa. Così
lo ricorda Gianfranco Grieco dell’Osservatore Romano:
“Ha cercato di tradurre, di divulgare, di testimoniare con
la parola e con i viaggi l’amore per la Chiesa, quello che aveva detto il
Concilio. Tanto è vero che la prima enciclica di questo Papa ebbe il nome
“Ecclesiam Suam”. Poi l’altra riflessione che voglio brevemente fare è l’amore
allo Spirito Santo. Ricordo una celebrazione in San Pietro. Egli parlò dello
Spirito Santo come di una persona familiare, di una persona conosciuta e
l’accento che pose in quella stupenda omelia fu questa: ‘Lo Spirito Santo,
dolce ospite dell’anima’. La Chiesa si è rinnovata sotto l’influsso dello
Spirito Santo in questi anni di dopo Concilio. Credo che Paolo VI sia stato
profeta anche in questa direzione”.
A Papa
Montini dobbiamo la Giornata Mondiale della Pace da lui voluta a partire dal 1
gennaio del 1968. Quel giorno esprimeva così il suo augurio di pace:
“Pace a tutti coloro che hanno accolto il nostro invito a
dedicare a questo grande ideale della pace, questo primo giorno dell’anno
civile, quasi per farne speranza ed impegno per ogni giorno, ogni attività del
tempo che viene. Giunga ora il nostro paterno e fraterno saluto e il nostro
augurio di pace, con quanto la pace deve recare con sé: l’ordine, la serenità,
la letizia, la fraternità, la libertà, la speranza, l’energia e la sicurezza
del buon lavoro, il proposito di ricominciare e di progredire, il benessere
sano e comune. Che parola “pace”. Parola amica ed umana quant’altre mai”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
A tutta pagina spicca il titolo
“Giovanni Paolo II in Bosnia ed Erzegovina: un nuovo abbraccio ad una Chiesa
eroica”.
Dopo il Viaggio dell’aprile
1997 a Sarajevo, domenica 22 giugno a Banja Luka il Papa proclama beato il
giovane Ivan Merz, figura luminosa del laicato d’Europa.
All’evento è dedicato un
inserto tabloid di sedici pagine a cura di Giampaolo Mattei.
Sempre in prima, riguardo
all’immigrazione si sottolinea “la fredda indifferenza della comunità
internazionale di fronte alle persone vittime di una tragedia ormai
quotidiana”. E si aggiunge: “L'Unione Europea si concentra sugli aspetti
‘tecnici’ di un fenomeno che interpella la civiltà, mentre migliaia di infelici
perdono la vita sul mare a cui si erano affidati nella speranza di un futuro”.
Nelle vaticane, un articolo del
cardinale Leo Scheffczyk sull’Enclica “Ecclesia de Eucharistia”.
Un articolo della
“peregrinatio” della Madonna di Pompei a Liegi - alla presenza dell'arcivescovo
Prelato, mons. Sorrentino - tra le famiglie degli italiani emigrati in Belgio.
Nelle pagine estere, il testo
di un comunicato dell’Azione Cattolica Italiana in merito alla bozza del
Preambolo della Costituzione dell’Ue: “Il futuro dell’Europa non potrà essere
tale senza il rispetto di una memoria viva e presente nelle persone e nei
popoli”.
Medio Oriente: gli Usa chiedono
ad Israele di ritirarsi da Gaza.
Un articolo di Gabriele Nicolò
sulla grave situazione alimentare che segna l’Africa australe.
Nella pagina culturale, un
contributo di Francesco Licinio Galati dal titolo “Un’opera intrisa di saggezza
e di umorismo”: lo scrittore bosniaco Ivo Andric, “Nobel” nel 1961.
Nelle pagine italiane, in primo
piano i temi dell'immigrazione e delle pensioni.
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21
giugno 2003
LA CHIESA DA SEMPRE IN PRIMA LINEA NELL’ASSISTENZA
AGLI SFOLLATI E AGLI ESULI, DISEREDATI IN CERCA DI ASILO E DIRITTI E NON DI
LEGGI CHE LI RIFIUTINO
-
Intervista con l’arcivescovo Fumio Hamao -
Dodici milioni di rifugiati già posti sotto l’assistenza
dell’Acnur – l’Alto commissariato dell’Onu che si occupa della loro tutela -
più altri 25 milioni di sfollati, ancora senza diritti ma in fuga da situazioni
di disperazione e in cerca di nuove prospettive di vita. Sono alcune cifre che
offrono un’idea della dramma mondiale vissuto dagli espatriati di ogni
latitudine, ricordati in questi giorni nelle celebrazioni della Giornata
mondiale dei rifugiati. Anche la Chiesa si è sempre occupata di loro,
attraverso il Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e gli
itineranti. Alessandro De Carolis ha intervistato il presidente, l’arcivescovo
Fumio Hamao:
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R. – La Chiesa considera una missione fondamentale la sua
presenza fra coloro che richiedono asilo, i rifugiati, gli sfollati. Oltre ai
milioni che sono sotto le cure dell’Alto Commissariato per i rifugiati, vi sono
altri 4 milioni di rifugiati palestinesi, affidati all’altra agenzia delle
Nazioni Unite chiamata Unrwa (l’Agenzia di soccorso e lavoro per i rifugiati
del Vicino Oriente). Oltre a queste persone, che per fuggire hanno varcato i
confini dei loro Paesi, ce ne sono oltre 25 milioni, definite “sfollate”, che
sono fuggite dalle loro case senza abbandonare la patria e che, per questo, non
godono di protezione giuridica internazionale. Si tratta di un incredibile
numero di persone che, soprattutto con l’allontanamento forzato dalla propria
patria, vivono il dramma dello sradicamento, dell’abbandono, della perdita
delle loro radici e identità. Come ha detto il Santo Padre la scorsa domenica,
durante l’Angelus, ognuna di queste situazioni “risalta come grave offesa a Dio
e all’uomo”.
D. – La Giornata di quest’anno è stata dedicata in
particolare ai giovani rifugiati e al loro futuro. Quanto e come incide la loro
presenza in questo contesto?
R. – Quasi la metà dei rifugiati è rappresentata dai
giovani, circa il 45 per cento. Essi sono naturalmente i più vulnerabili tra le
masse di persone costrette a vivere per lunghi anni, concentrati in campi ove
manca spesso ogni parvenza di normalità alla loro vita, ove dipendono quasi
completamente dall’assistenza umanitaria, e ove i genitori non possono
assolvere al loro ruolo di educatori e assumersi la responsabilità di fare
scelte per loro, di assicurare loro un sano ambiente di equilibrio e di
crescita. In alcuni Paesi, anzi, essi sono perfino tenuti in detenzione: una
situazione che ha disastrose ripercussioni sulla loro salute mentale e fisica.
In molti altri posti, vi sono minori che vengono addirittura reclutati per
combattere e addestrati ad ogni tipo di brutalità. E’ il dramma cui si sta
assistendo per esempio nella Repubblica del Congo, dove almeno 10 mila bambini
anche di soli dieci anni fanno parte delle milizie di combattenti. Intere
generazioni perdono così la capacità e l’opportunità di contribuire al futuro
sviluppo dei loro Paesi, con conseguenze che produrranno ancora a loro volta
violenza.
D. – Qual è la risposta della Chiesa di fronte al dramma
dei rifugiati?
R. – In una sua recente dichiarazione, la Santa Sede ha
invitato a non restare “indifferenti di fronte a questa situazione. Una società
che lascia tanti suoi cittadini così ai margini del progresso raggiunto non ha
il diritto di chiamarsi globale”. La dignità e lo sviluppo della persona umana
sono al centro della Dottrina sociale della Chiesa, che sottolinea in ogni
occasione l’importanza della giustizia sociale, della partecipazione
democratica, della solidarietà e dello sviluppo integrale della persona umana.
Questo richiede una risposta da parte della comunità internazionale
nell’allestire le necessarie strutture e nello sviluppare significativi
strumenti internazionali. Ma le Chiese locali sono anche invitate ad assicurare
appropriate risposte pastorali e a mettere a disposizione propri agenti
pastorali che siano al fianco di questi diseredati. La Chiesa inoltre deve
levare con coraggio la propria voce a difesa dei diritti di queste persone.
Recentemente, per esempio, il nostro segretario, mons. Agostino Marchetto, in
risposta alle affermazioni del ministro Umberto Bossi nei confronti dei
migranti privi di documenti, ha ricordato che la Convenzione di Ginevra che
regola lo Statuto dei rifugiati stabilisce che non è un delitto entrare in un
Paese anche in modo illegale, per richiedere asilo. La soluzione non si trova
nella formulazione di leggi sempre più severe che impediscano l’accesso dei
profughi nei nostri Paesi, ma nell’operare nell’ambito di un’economia più
giusta. Bisogna anche riconoscere che la nostra società ha bisogno di migranti
che possono sopperire alla diminuzione della nostra popolazione.
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RINNOVATO IMPEGNO CONTRO L’ODIO RAZZIALE DALLA
CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’ANTISEMITISMO, ORGANIZZATA DALL’OSCE A VIENNA
- Intervista con Amos Luzzatto e
Tullia Zevi
La
prima Conferenza sull’antisemitismo promossa dall’Osce, l’Organizzazio-ne per
la cooperazione e la sicurezza in Europa, si è conclusa ieri a Vienna, dopo due
giorni di lavori, con un appello per riaffermare l’impegno a condannare l’odio
razziale o etnico, già preso a Copenaghen nel ’90. 400 i delegati convenuti
nella capitale austriaca da 55 Paesi membri dell’Osce, tutti le Nazioni
europee, oltre a Stati Uniti, Canada,
Cipro, Turchia e le otto Repubbliche asiatiche ex sovietiche. Presenti anche
rappresentanti di organizzazioni non-governative.
Distinguere
gli atti di antigiudaismo dal vandalismo tout cort, e varare leggi specifiche
per i crimini razzisti è stata la proposta dell’ex sindaco di New York Rudolf
Giuliani, portavoce statunitense. Dal canto suo l’Unione Europea si prepara a
contrastare il pregiudizio attraverso vie legislative e condannando con
fermezza le violenze contro sinagoghe e cimiteri ebraici che si sono ripetute
con frequenza negli ultimi anni in diversi Paesi, tra cui Francia e Russia. Il
servizio è di A.V..
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Messaggi
odiosi su Internet, slogan razzisti negli stadi, luoghi di culto e cimiteri
profanati. Per Wladìslaw Bartoszewski, ex ministro degli esteri polacco che nel
’44 partecipò alla rivolta di Varsavia soffocata dai nazisti, nel XXI secolo
l’antisemitismo avanza mascherato: dopo il trauma dell’Olocausto ha preso forme
“morbide” ma non meno pericolose. Amos Luzzatto, Presidente dell’Unione delle
comunità ebraiche italiane (Ucei):
“Certamente,
esiste una cultura antisemitica diffusa in Europa. Un matematico ebreo
ungherese che si chiama ..., sostiene che in Europa c’è una specie di
componente costante di antisemitismo che pervade tutta la cultura europea; il
che è anche possibile, ma questo anti-semitismo non è soltanto un fatto
razzistico, è anche un fatto di pregiudizi culturali, di vecchie opinioni
preconcette dovute anche in parte ad una insufficiente cultura religiosa”.
Tullia
Zevi, già presidente Ucei ed editorialista de La Repubblica:
“Perché
questo fenomeno riaffiora nelle nostre società, in un momento in cui esse
stanno attraversando una profondissima mutazione di diverso segno? In pochi
decenni, questa nostra società sta diventando multietnica, multireligiosa,
multiculturale. Naturalmente, questa trasformazione suscita delle insicurezze
che si riproducono nella ricerca nell’ebreo del capro espiatorio. Naturalmente,
c’è chi dice che l’antisemitismo di oggi nella società occidentale è un
riflesso in negativo e doloroso della tragica situazione nel Medio Oriente. Può
darsi che ci sia anche questa componente, ma non solo”.
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SEI NUOVI SACERDOTI
DELLA FRATERNITA’
DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEO SARANNO
ORDINATI OGGI POMERIGGIO
A ROMA DAL CARDINALE CAMILLO RUINI
-
Intervista con due candidati al sacerdozio: Paolo Prosperi e Stefano Pasquero -
In risposta all’urgenza della
nuova evangelizzazione, continuano a sorgere e svilupparsi nella Chiesa forme
di vita evangelica che si aprono sia ai laici che ai presbiteri. Parliamo oggi della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San
Carlo Borromeo, fondata quasi vent’anni fa, nel 1985, da mons. Massimo Camisasca. Questo pomeriggio sei diaconi del Seminario
internazionale di Roma, riceveranno l’ordinazione sacerdotale dal cardinale
Camillo Ruini, nella Basilica di San Giovanni in Laterano. I neo-ordinati,
tutti italiani, svolgeranno il loro ministero in vari Paesi: Taiwan, Germania,
Spagna, Repubblica Ceca, Russia. La Fraternità di San Carlo Borromeo trae
origine dal carisma del Movimento Comunione e Liberazione fondato da mons.
Luigi Giussani ed è improntata alla vita in piccole comunità composte da 2 o 3
presbiteri. Ascoltiamo ora, al microfono di Emanuela Campanile, la testimonianza di due candidati al
sacerdozio: Paolo Prosperi che svolgerà il suo ministero in Russia e Stefano
Pasquero, in partenza per la Repubblica Ceca. Vocazioni nata, per Stefano, da
un incontro ...
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R. – Un incontro importantissimo per me è stato con un
ragazzo che studiava architettura a Torino, dove io ho studiato e mi sono
laureato. Mi ha invitato a studiare insieme ad i suoi amici ed è nata
un’amicizia che mi ha fatto rincontrare il cristianesimo, la fede.
D. – E così anche per Paolo?
R. – Per me,
senza dubbio, la figura più importante per la mia vocazione è stato un sacerdote,
Don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione, che ebbi
l’occasione di sentir parlare tanti anni fa, nel 1994. Durante degli esercizi,
sentendolo parlare di Cristo, fui folgorato dalla percezione del fatto che Dio
mi amava di un amore infinito. Tutto ciò che diceva quel sacerdote, descriveva
con una precisione assoluta la mia vita, per cui mi accorsi che, attraverso
quelle parole, il Signore stava parlando con una spietata predilezione a me, in
mezzo alle migliaia di persone che erano presenti. Quindi fui costretto a
riconoscere che ero amato, che ero amato non da ieri e neanche dall’altro ieri,
ma dall’eternità. Questo cambiò completamente il volto della mia vita e mi
spinse, quasi mi costrinse, pian piano, a riconoscere la vocazione.
D. – Stefano,
una persona che affida la propria vita a Dio come vive l’incognita dal futuro?
R. – Io sono
stato a Praga già per 8 mesi. Sono tornato a Roma proprio per l’ordinazione.
Una cosa di cui mi sono reso conto è proprio questa: che l’affronto delle
difficoltà che ci possono essere nel presente, così come l’affronto del futuro
non è assolutamente una cosa che uno possa fare perché è capace da solo. Se
iniziassi a pensare di sfoderare chissà quali virtù per affrontare il futuro,
tornerei già a casa oggi stesso. Il fatto è che non è così che funziona. Nel
senso che io ho la certezza, una certezza totale, che intanto il mondo e quindi anche il futuro, è già stato salvato da
Uno, Uno che è Gesù Cristo. Affidandomi a Lui totalmente, la paura per
l’incognita del futuro, la paura di affrontare il presente non c’è, svanisce.
Non voglio dire che per questo motivo uno non sia più responsabile, ma che poni
tutto proprio nelle mani di Chi effettivamente può salvare tutto.
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21
giugno 2003
7 MILA ATLETI DISABILI, PROVENIENTI DA 160 PAESI
DEL MONDO, PARTECIPERANNO ALL’UNDICESIMA EDIZIONE DEI GIOCHI MONDIALI “SPECIAL
OLYMPICS”.
OGGI A
DUBLINO LA CERIMONIA DI APERTURA. PER L’OCCASIONE
I
VESCOVI IRLANDESI PUBBLICANO UNA LETTERA PASTORALE
DUBLINO.
= Si apre questa sera a Dublino presso lo stadio di Croke Park l’undicesima
edizione dei Giochi mondiali “Special Olympics”, riservati ad atleti diversamente
abili. L’iniziativa vuole testimoniare il valore dello sport come strumento per
sottolineare il diritto ad un inserimento fattivo nella società per le persone
con ritardo mentale. La manifestazione sportiva, che si svolge per la prima
volta fuori dagli Stati Uniti, vedrà la partecipazione di 7 mila atleti, 2 mila
tecnici, 28 mila familiari e 30 mila volontari provenienti dal 160 Paesi del mondo.
Per l’occasione, i vescovi dell’Irlanda hanno diffuso una lettera pastorale
intitolata “La vita in tutta la sua pienezza” nella quale ricordano come questi
atleti abbiano molto da insegnare quanto a motivazioni e determinazione, senza
dimenticare che per molti disabili la vita quotidiana è invece spesso
problematica. “Vivere con una disabilità – scrivono i vescovi – può creare un
senso di diversità e a volte di esclusione”. “Dobbiamo essere vigili – proseguono
- affinché siano garantiti loro abitazioni e trasporti accessibili,
un’istruzione ed un impiego adeguato con servizi pubblici”. La Chiesa, secondo
i vescovi irlandesi, è chiamata ad assistere e ad essere vicino a tutti coloro
che vivono la disabilità e ai loro familiari, perché possano avere un aiuto e
un supporto. “Questo evento – si legge ancora nella lettera – deve
rappresentare un momento per riflettere se le nostre comunità sono aperte ai
giovani disabili e alle loro famiglie e se queste sono degnamente rappresentate
nei vari consigli e movimenti”. Sarà Nelson Mandela, ex presidente sudafricano
e premio Nobel per la pace nel 1993, a dichiarare ufficialmente aperti i
Giochi. Particolarmente suggestivo sarà l’ingresso nello stadio della Torcia olimpica,
che giunge da Atene portata da 140 tedofori, agenti di polizia provenienti da
tutto il mondo. Le persone con ritardo mentale sono 180 milioni nel mondo.
Nella maggioranza dei casi esso è lieve o lievissimo e rende possibile
l’inserimento nella società e nel mondo del lavoro. (M.D.)
“IL RISPETTO PER I DIRITTI UMANI DEVE ESSERE LA
CONDIZIONE ESSENZIALE
PERCHÉ
IN IRAQ VI SIANO SICUREZZA, PACE E LIBERTÀ”. E’ L’APPELLO LANCIATO IERI
DA AMNESTY INTERNATIONAL CON L’OBIETTIVO DI
RIMARCARE LA CENTRALITÀ
DELLA
DIGNITA’ UMANA NEL PROCESSO DI RICOSTRUZIONE DEL PAESE ARABO
LONDRA.
= In occasione dell’importante conferenza del Forum economico mondiale di Amman
dove, a partire da oggi, si discute del
processo di ricostruzione dell’Iraq, Amnesty international ha espresso la
propria “preoccupazione per l’attuale situazione dei diritti umani nel Paese”.
“Il rispetto per i diritti umani - si legge nel nuovo rapporto
dell’organizzazione umanitaria - deve essere la condizione essenziale perché
nel Paese vi siano sicurezza, pace e libertà”. I componenti di una delegazione
di Amnesty hanno riferito che le forze inviata dagli Stati Uniti e dal Regno
Unito nel Paese arabo “non stanno adempiendo alle loro responsabilità di
assicurare la sicurezza ed il benessere della popolazione irachena poiché
continuano a tenere agli arresti oltre 2000 iracheni presso aeroporti ed altri
centri di custodia, senza consentire loro di incontrare parenti e avvocati”.
“L’obiettivo della ricostruzione - afferma il comunicato – deve essere quello
di assicurare l’effettiva protezione e realizzazione di tutti i diritti umani
per il popolo iracheno”. Il rapporto esprime, infine, le proprie preoccupazioni
per la pressione esercitata dalle imprese private che vogliono entrare o
investire in Iraq. “Il loro comportamento - conclude Amnesty con un appello -
rispetti gli sforzi per il ripristino della legalità attraverso incentivi alla
corruzione e osservi le norme sulla sicurezza evitando ogni forma di
discriminazione nell’assunzione della manodopera irachena”. (A.L.)
IERI A GINEVRA, UN CONCERTO PER RACCOGLIERE FONDI
A FAVORE DEI GIOVANI PROFUGHI AFRICANI, IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE
PER I RIFUGIATI
GINEVRA.
= La musica classica a sostegno dei giovani profughi dei Paesi africani. In
occasione della Giornata mondiale per i rifugiati due orchestre filarmoniche,
una svizzera ed una francese, hanno dato vita, ieri a Ginevra, ad un concerto
per contribuire alla raccolta di fondi da destinare a progetti d’istruzione
all’interno di due campi che accolgono giovani profughi, in Sierra Leone e a
Kasulu, in Tanzania. Il ricavato dell’evento, organizzato dall’Alto
commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), viene stimato in
circa 150 mila euro e verrà utilizzato per acquistare attrezzature scolastiche.
Un ulteriore accordo prevede, a partire già da quest’anno, un progetto d’insegnamento
a distanza, via Internet, con una scuola svizzera. All’esibizione musicale si
sono aggiunte altre due iniziative: un collegamento video con le delegazioni di
volontari svizzeri attivi nei due campi africani e una cena presso un hotel
ginevrino, il cui ricavato sarà anch’esso devoluto per gli stessi scopi. La
scelta di dedicare questi fondi alle problematiche scolastiche si colloca in
sintonia con il tema centrale della Giornata mondiale di quest’anno: “Giovani
rifugiati: costruire il futuro”. (M.D.)
MOMENTI DI RIFLESSIONE,
INCONTRI LETTERARI ED EVENTI DEDICATI ALLA MUSICA,
AL
CINEMA E AL TEATRO. E’ IL RICCO PROGRAMMA DI “INVITO ALLA LETTURA”,
L’INIZIATIVA CHE FINO AL PROSSIMO 31 AGOSTO ARRICCHIRA’, NEL PRESTIGIOSO
SCENARIO
DI VILLA BORGHESE, GLI APPUNTAMENTI DELL’ESTATE ROMANA
ROMA. = Prosegue anche quest’anno l’esperienza di “Invito
alla Lettura”, uno degli appuntamenti più attesi dell’estate romana che, in
occasione del centenario di Villa Borghese, si è spostata, a partire dal 12
giugno scorso, nel cuore del prestigioso Parco romano, in Viale delle Magnolie.
Il programma dell’evento, giunto alla XIV edizione, prevede fino al prossimo 31
agosto, iniziative di musica, teatro, cinema, incontri letterari ed il consueto
spazio dedicato ai bambini con il “Progetto infanzia: il bambino, il domani”.
Tra gli appuntamenti più significativi, a partire dal 15 giugno, avrà luogo presso
il campo della Società pionieri, a San Basilio, il torneo federale di calcio
“Marco Pelosi”, un uomo prematuramente scomparso, che ha dedicato la sua vita
al volontariato, alla solidarietà ed alla promozione dei giovani più
svantaggiati. Una novità assoluta di quest’anno sarà la Rassegna di cinema “Le
notti di Cartoonia”, un’occasione per riproporre uno spazio di approfondimento
su passato, presente e futuro del cartone animato italiano. Tra gli ospiti di
“Invito alla lettura”, ci saranno, tra gli altri, gli stands della Fondazione
Fatebenefratelli per la ricerca, l’Associazione Peter Pan, l’organizzazione
umanitaria Emergency e l’Associazione Rebibbia Jail che presenterà prodotti
artigianali realizzati dai detenuti del penitenziario romano. (A.L.)
DAL PROSSIMO MESE DI OTTOBRE SARÀ POSSIBILE, IN ITALIA,
ACQUISIRE LA LICENZA
DI
DIRITTO CANONICO, OLTRE CHE A ROMA, ANCHE A VENEZIA. “ISTITUTO SAN PIO X” SARÀ
IL NOME DELLA FACOLTÀ CHE ATTIVERÀ IL PERCORSO DI STUDI
- A
cura di Maria Laura Conte -
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VENEZIA. = Si chiamerà Istituto San Pio X e sarà la prima
Facoltà di diritto canonico in Italia al di fuori di Roma. Ne dà notizia il
settimanale della diocesi di Venezia “Gente veneta”, ieri in uscita. Nella
città lagunare, dal prossimo ottobre, con il nuovo Anno accademico partirà
questo percorso di studi, che permetterà di acquisire la Licenza di Diritto
canonico. E’ una realtà che si colloca nell’ambito degli Istituti superiori di
studi universitari, che dipendono dalla Santa Sede. Si articolerà in due cicli.
Il primo propedeutico, della durata di due anni, fornirà gli elementi
teologici, filosofici e canonistici di base. Il secondo, di tre anni, porterà
alla Licenza e sarà incentrato sullo studio sistematico dell’intero ordinamento
giuridico della Chiesa, con particolare attenzione al Codice di Diritto
canonico e al diritto orientale. L’anno prossimo anche il patriarca di Venezia,
mons. Angelo Scola, terrà un corso: 12 ore dedicate all’essenza del
cristianesimo. Questo nuovo polo di studi si pone come punto di riferimento,
non solo per il nord Italia, ma anche per i Paesi dell’Est europeo e dei
Balcani. L’Istituto Pio X si inserisce nel progetto ampio della Chiesa
veneziana di un polo pedagogico accademico che abbraccia molte sezioni: dalla
prima formazione della scuola materna agli studi post universitari.
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21
giugno 2003
- A cura di Paolo Ondarza -
Con
l’impegno di assumere un ruolo decisivo nella ricostruzione dell’Iraq e nel
processo di pace in Medio Oriente, si è chiuso ieri a Salonicco lo storico Consiglio
europeo, segnato oggi da un incontro con i Paesi balcanici a Porto Carras dove il presidente della
Commissione europea Romano Prodi ha sottolineato come “il processo di
unificazione non sarà completo fin
quando i paesi dei Balcani non saranno diventati membri dell'Unione''. Ma sui
contenuti del vertice sentiamo Gianandrea Paolo Garancini:
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Il premier greco Kostas Simitis ha sottolineato i punti
principali sui quali si è giunti ad un accordo: la nascita di una politica
comune di immigrazione e di asilo, che comprende la cooperazione con i Paesi di
origine dei flussi migratori, per lottare contro l’immigrazione clandestina, e
la predisposizione di nuovi metodi per l’integrazione sociale degli immigrati;
l’approvazione del progetto di Costituzione europea redatto dalla Convenzione, e
il conferimento alla prossima presidenza italiana del mandato per convocare la
Conferenza intergovernativa ad ottobre a Roma; l’esame del Rapporto Solana
sulla sicurezza europea, il rapporto che sarà completato nei prossimi mesi ed
adottato formalmente a dicembre; l’approvazione delle nuove linee-guida per la
politica economica e per l’occupazione; il lancio di un’iniziativa congiunta
con lo scopo di aumentare i finanziamenti per le grandi reti di trasporto
trans-europee e la ricerca; la conferma – infine – della data del 2007 per
l’adesione di Bulgaria e Romania.
Per la Radio Vaticana, Gianandrea Paolo Garancini.
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Finalmente una buona notizia dalla repubblica Democratica
del Congo. I due osservatori militari della missione delle Nazioni Unite sono
sani e salvi e sono stati liberati stamani a Kamango, a nord del Paese. Nel
frattempo la forza multinazionale a comando
francese, dispiegata a Bunja ha annunciato che le strade della città dovranno
essere disarmate entro le prossime 72 ore.
A Lampedusa continuano gli sbarchi, nonostante il centro
di accoglienza – che può ospitare 496 persone – sia ormai al collasso. Stamattina
è arrivata una nave con 107 passeggeri, provenienti dalla Turchia. Gli
immigrati, tutti del centro e nord Africa, sono in buone condizioni di salute.
170 di loro saranno trasferiti in giornata in un centro della Calabria o della
Puglia. Ci riferisce Patrizia Casale.
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A provocare il dramma sembra siano state le avverse
condizioni del mare, ed ovviamente la precarietà del mezzo su cui viaggiavano i
profughi. La guardia costiera tunisina, intervenuta con due motovedette, ha
tratto in salvo 41 immigrati. Nonostante le condizioni del mare in tempesta,
continuano senza sosta le ricerca degli altri 197 naufraghi; particolarmente battute
le acque a sudest della città di Sfax. Le autorità tunisine hanno preferito
declinare gli aiuti offerti dall’Italia perché ritenuti in questo momento ‘non
necessari’. Intanto, la capitaneria di porto di Lampedusa ha salvato oltre 100
immigrati, da ore alla deriva nel Canale di Sicilia. Il natante, di appena 12
metri, era stato avvistato ieri da un aereo della marina militare mentre
imbarcava acqua. E non migliore è la situazione nell’Isola: a Lampedusa i
centri di accoglienza sono al collasso.
Per la Radio Vaticana, Patrizia Casale.
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Diciassette
militanti dell’Organizzazione dei Moudjahidine del popolo iraniano, fra cui
Maryam Radjavi, moglie del fondatore del movimento sono stati sottoposti
stamani alla giustizia francese e nel pomeriggio dovranno presentarsi al
cospetto dei giudici anti-terrorismo francesi.
Trasferiamoci in Iraq. “Saddam è vivo ed è sfuggito ai
bombardamenti”. Lo ha affermato nelle sue prime deposizioni l’ex segretario del
rais, Abid Hamid Mahmud al-Tikriti, arrestato dalle forze Usa martedì scorso.
Washington ha intanto riaperto la caccia all’uomo e fa sapere di non voler
abbandonare l’Iraq. Il servizio di Paolo Mastrolilli.
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Secondo il New York
Times, l’intelligence ormai si è
convinta che il raìs è ancora vivo, soprattutto a causa di una serie di
conversazioni intercettate tra ex-membri dei servizi segreti iracheni e del
gruppo paramilitare noto come i ‘Saddam fedayn’. In questi colloqui, i
fuggitivi parlano dell’ex leader al presente e sollecitano tutta la popolazione
a proteggerlo. Alle conversazioni si unisce il fatto che finora gli americani
non sono riusciti a trovare alcuna prova della morte del raìs. Per prenderlo,
il Pentagono ha mobilitato la Task Force
20, una speciale unità formata da soldati della Delta Force, specialisti antiterrorismo della marina e uomini della
Cia. Il nuovo portavoce della Casa Bianca, Scott McClellan, ha detto che Washington
non sa se Saddam è vivo o morto ma alla luce dei continui attacchi contro le
forze americane c’è chi comincia a credere che l’ex leader stia organizzando la
resistenza. A Washington, invece, la Commissione Intelligence del Senato ha cominciato le audizioni sul mancato
ritrovamento delle armi di distruzione di massa, mentre martedì l’Onu ospiterà
una conferenza per la ricostruzione dell’Iraq.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Il ministro della sicurezza nazionale keniota, Chris
Murungaru, ha definito oggi "false e ingannevoli" le dichiarazioni
americane riguardanti un attentato "imminente". Nel rischio di questa
emergenza ieri è rimasta chiusa l'ambasciata degli Stati Uniti a Nairobi.
Andiamo in Medio Oriente. La breve spola fra Gerusalemme e
Gerico del segretario di Stato americano Colin Powell si è conclusa ieri con
rinnovati appelli alla moderazione ai dirigenti israeliani e palestinesi. Ma
ascoltiamo il servizio di Graziano Motta.
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Colin Powell ha spronato israeliani e palestinesi, ma
soprattutto questi ultimi, ad assumersi la responsabilità sia nello sradicare
il terrorismo – ‘non accontentatevi di una tregua’, ha detto al primo ministro
Abbas, incontrato a Gerico – sia nell’assumere il controllo della sicurezza nel
Nord della Striscia di Gaza e a Betlemme, senza attendere che i gruppi armati
proclamino un cessate-il-fuoco; e comunque, la road-map, il piano di pace – ha sottolineato Powell – deve proseguire.
Egli ha chiesto a Israele di provare la sincerità del suo impegno “mettendo
fine – cito – ad azioni provocatorie e trasformandosi da nemico a partner”, ovvero
ritirandosi dai territori e liberando i prigionieri. Powell ha convenuto che Hamas
è nemico della pace e vuole distruggere lo Stato ebraico; ha quindi lanciato
pesanti avvertimenti alla Siria: in mancanza di un’azione decisa, la Siria non
potrà sperare in migliori relazioni con gli Stati Uniti e ne farà le spese.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Una notizia che lascia ben sperare. Da lunedì, se non si
registreranno nuovi casi di contagio da Sars, Hong Kong sarà esclusa dalla
lista dei paesi infetti. Lo assicura l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Dieci presunti membri della rete terroristica Jemaah
Islamiah legata ad Al Qaida, sospettati
di aver organizzato attentati esplosivi contro delle chiese nel giorno di
Natale 2000 sono stati arrestati dalla polizia indonesiana. Gli uomini erano
sospettati di aver organizzato attentati esplosivi contro delle chiese nel giorno
di Natale 2000.
Almeno 20 guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie
della Colombia sono stati uccisi in un attacco aereo governativo su uno dei
campi di addestramento dell’organizzazione ribelle. La strage si è verificata
nel sud-est del Paese nel dipartimento di Valle del Cauca.
Torna a colpire la guerriglia separatista cecena. Un
camion-bomba è esploso ieri pomeriggio a Grozny, non lontano dalla sede dei
reparti speciali della polizia. Oltre ai due kamikaze, alla guida del mezzo,
sono morti anche 6 agenti. Una trentina i feriti.
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