RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 169 - Testo della
Trasmissione di mercoledì 18 giugno 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, in visita a Varsavia.
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Eletta la nuova
superiora generale delle Suore Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli
In corso da ieri ad
Orosei, in Sardegna, il 29.mo Convegno nazionale delle Caritas diocesane
Il Jesuit Refugee Service comunica il rimpatrio di nuovi profughi verso Timor Est.
Pyongyang rifiuta le trattative dichiarandosi
pronta a rafforzare il nucleare come autodifesa
Proseguono gli scontri tra forze americane e
resistenza irachena
Iraniani ancora in protesta contro le ingerenze
Usa negli affari interni di Teheran
Violenze anche in Medio
Oriente: due gruppi armati palestinesi rivendicano l’uccisione di una bimba
israeliana di 7 anni
L’Arabia Saudita dichiara guerra al terrorismo
internazionale: arrestati 12 uomini alla Mecca.
18 giugno 2003
L’IMMAGINE DI UN DIO VICINO E INNAMORATO,
NELL’ODIERNA CATECHESI
DEL
PAPA INCENTRATA SUL CANTICO DI ISAIA CHE SPALANCA
UN ORIZZONTE LUMINOSO, LA NUOVA ERA PER LA RINASCITA DI
GERUSALEMME,
DI TUTTO IL POPOLO DI DIO
E’ “un orizzonte luminoso e colmo
di speranza” quello che ha aperto il Papa questa mattina all’udienza generale.
La catechesi odierna era incentrata sul cantico incastonato nella
terza parte del Libro del profeta Isaia,
un cantico che raffigura la rinascita di Gerusalemme che schiude “una
nuova era”. Per l’udienza generale sono convenuti oggi in Piazza San Pietro
oltre 11.000 pellegrini da 15 Paesi, dall’Europa, Africa e Americhe. Il Papa ha
chiesto a tutti di pregare per il suo
viaggio di domenica prossima in Bosnia Erzegovina che – ha detto – “affido alla
Vergine Maria”. Ed ha invitato i
romani a partecipare alla celebrazione
del Corpus Domini domani pomeriggio in Piazza San Giovanni in Laterano.
Sulla catechesi ascoltiamo ora il servizio di Carla Cotignoli.
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Dall’abbandono e desolazione al
cambiamento radicale di vita, alla rinascita che esplode nel canto di un
Magnificat. Il cantico di Isaia esprime così l’”orizzonte luminoso e colmo di
speranza” che si schiude al popolo di Israele, al rientro dall’esilio a
Babilonia, un popolo che dopo la “devastazione di Gerusalemme ad opera dei
Babilonesi e il dramma dell’esilio”, rinasce a vita nuova, si ritrova libero
nella terra dei padri e riedifica la città e il tempio. E’ questo il quadro
tracciato dal Papa nell’odierna catechesi. Di più. Isaia per esprimere la gioia
della rinascita di Gerusalemme davanti alla quale si sta per schiudere “una
nuova era”, “dipinge la città come una sposa in procinto di celebrare le
nozze”.
“Il simbolismo sponsale che appare con forza in questo passo, è nella
Bibbia una delle immagini più intense per esaltare il legame di intimità e il
patto di amore che intercorre tra il Signore e il popolo eletto”.
“L’elemento decisivo – come ha
osservato il Santo Padre - sarà il mutamento del nome, come avviene anche ai
nostri giorni quando la ragazza di sposa. Assumere un ‘nome nuovo’ significa
quasi rivestire una nuova identità, intraprendere una missione, cambiare
radicalmente vita”. Ecco il nuovo nome
della sposa Gerusalemme: “Nessuno ti chiamerà più abbandonata, né la tua terra
sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata Mio compiacimento e la tua
terra, Sposata”. Sono i nomi della rinascita, esprimono amore, tenerezza, festa
e felicità. “Al Dio distante e trascendente, giusto giudice, subentra ora il
Dio vicino e innamorato”.
Il popolo eletto prefigurerà
l’unione profonda tra Cristo e la Chiesa, “sposa per amore”, in cui – e qui il
Papa cita sant’Ambrogio – “non c’è più sozzura alcuna di colpa”. La Chiesa è
dunque chiamata a far rifulgere le sue
opere perché “mostrino l’immagine di Dio”, a immagine del quale è stata fatta.
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Il Papa
ha nominato vescovo della diocesi di Saint Sauveur de Montréal dei Greco
Melkiti cattolici, in Canada, il sacerdote libanese padre Ibrahim Ibrahim,
dell’Ordine Basiliano Salvatoriano. Il nuovo presule, che ha 41 anni, è stato
tra l’altro responsabile di una Commissione eparchiale sull’ecumenismo e sulle
questioni interreligiose.
Negli Stati
Uniti d’America, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale
della diocesi di Phoenix, presentata dal vescovo mons. Thomas J. O’Brien, in
conformità alla norma canonica relativa a “infermità o altra grave causa”.
Il cardinale segretario di
Stato, Angelo Sodano, si trova da ieri sera a Varsavia, dove è giunto per
ricevere la laurea honoris causa in
Legge conferitagli dall’Università “Cardinale Stefan Wyszynski”.
Lo riferisce un comunicato
della Sala Stampa vaticana, precisando che il cardinale Sodano è accompagnato
in questo viaggio dai monsignori Piero Pioppo e Pawel Ptasznik, officiali della
Segreteria di Stato.
Domani, solennità del Corpus
Domini, il porporato presiederà la celebrazione della Santa Messa e la
processione eucaristica per le vie della capitale polacca.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“In Bosnia ed Erzegovina per confermare nella fede
una comunità impegnata sulla via della riconciliazione e della concordia":
è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento alle parole del Papa
all'udienza generale, durante la quale ha chiesto ai fedeli di accompagnarlo
con la preghiera in questo imminente viaggio apostolico.
Sempre in prima, il Medio
Oriente, dove una bambina israeliana è stata uccisa in un agguato.
Nelle vaticane, la catechesi e
la cronaca dell'udienza generale.
Un articolo di Charles Morerod
sull'Enciclica "Ecclesia de Eucharistia".
Un articolo di Domenico Alfonsi
sul decimo anniversario della visita del Papa alla tomba della beata Angela da
Foligno.
Una pagina dal titolo
"Aversa - Santuario diocesano di Orta di Atella: da Cagliari le reliquie
di San Salvatore da Horta.
Nelle pagine estere,
l'Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale Polacca sulla bozza del
Preambolo della futura Costituzione dell'Unione Europea: "Non si può
costruire il futuro falsificando la storia".
Iraq: l'Amministrazione Usa ha
annunciato l'istituzione di una corte penale centrale.
Liberia: firmata la tregua tra governo
e ribelli.
Nella pagina culturale, un
contributo di Marco Testi sul libro "Anna Maria Ortese o dell'indipendenza
poetica" di Gabriella Fiori.
Nelle pagine italiane, in primo
piano il drammatico tema degli immigrati clandestini. Riguardo alle affermazioni della
segretaria della Lega Nord di Lampedusa, "Perché non li ammazzano tutti
questi clandestini che arrivano ogni giorno sulla mia isola?", il giornale
scrive, tra l'altro, quanto segue "E' l'eco di una bestemmia: contro
Dio e contro la verità sull'uomo".
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18
giugno 2003
IL SERVIZIO DEI GESUITI PER I
RIFUGIATI,
VICINO
AI DISEREDATI DI TUTTO IL MONDO:
BILANCI
E PROGETTI NELL’ULTIMA ASSEMBLEA ANNUALE.
CON
NOI, PADRE LLUIS MAGRINA
-
Servizio di Ignacio Arregui -
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Risale all’anno 1980 la creazione del Jesuit Refugee
Service (JRS), il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, che oggi conta un
nucleo di 68 gesuiti, dediti esclusivamente a questa attività, più 100
religiose appartenenti a 72 istituti e congregazioni femminili, 400 laiche e
laici e circa 2.500 collaboratori arruolati fra gli stessi rifugiati.
L’organizzazione è sorta per iniziativa di padre Pedro Arrupe, allora superiore
generale della Compagnia di Gesù, in occasione del drammatico esodo dei
vietnamiti dopo la guerra finita nel 1975. Oggi, nonostante una lieve riduzione
negli ultimi anni, il numero dei rifugiati è passato dai 4.500.000 nel 1980
agli attuali 19.500.000 che insieme ad altri circa 20.000.000 di sfollati fanno
salire a circa 40.000.000 i diseredati
nel mondo.
Nella sua Assemblea annuale, celebrata recentemente a Roma, il Jesuit
Refugee Service, ha fatto un bilancio delle sue attività e dei suoi
progetti. Padre Lluis Magrina, gesuita, è l’attuale direttore-coordinatore
dell’organismo. E’ importante innanzitutto precisare quale tipo di assistenza
intende offrire il Jesuit Refugee Service ai profughi e ai rifugiati. Ci
risponde padre Magrina:
R. – LA
MISION DEL RSJ ES ACOMPANAR A LOS REFUGIADOS. ...
La
missione del Jesuit Refugee Service è quella di accompagnare i
rifugiati: cioè stargli vicino, ascoltarli ed aiutarli in ciò che è possibile.
In questo senso, il nostro è un servizio sociale e pastorale. Intercedere per
questa gente vuol dire trovare soluzioni definitive perché possano ritornare
nel loro Paese e significa poi prevenire i conflitti perché non tornino a
scoppiare. Quindi, lavoriamo perché questi non esplodano.
D. – Qual’è questo momento la situazione più tragica dei
rifugiati, dal punto di vista umano, economico, sociale e sotto tutti i punti
di vista?
R. – YO DIRIA QUE EN ESTOS MOMENTOS SERIA LA MASA DE
REFUGIADOS ...
Direi, in questo momento, sia quella della massa dei
rifugiati interni in Liberia e in Somalia. Soprattutto in Liberia. In Somalia
la situazione è più stabile e non ci sono grossi conflitti. In Liberia invece
la guerra continua.
D. – In queste situazioni la maggior parte dei conflitti
sono interni, nazionali. Ora, in caso di guerra civile, la situazione si
complica e si fa più pericolosa per coloro che sono presenti. Avete avuto
vittime tra i membri del Jesuit Refugee Service ?
R. – ESTE ANO HEMOS TENIDO EL CHOFER QUE HABIA LLEVADO A
UN HERMANO ...
Quest’anno un autista aveva accompagnato un fratello
all’aeroporto, perché doveva fare un controllo medico a Kampala. Al suo ritorno
portava tre o quattro persone. Sono morti tutti. Gli hanno sparato, gli hanno
rubato la macchina e li hanno uccisi tutti.
D. – In questa assemblea annuale che si è appena conclusa
abbiamo visto come alcuni si trovino in una situazione di grave pericolo …
R. – EN PELIGRO GRAVE ... PROCURAMOS EVITARLO. ...
In grave pericolo … cerchiamo di evitarlo. La mia
principale responsabilità è quella di evitare che i differenti gruppi possano
trovarsi in pericolo di morte. Però qualcosa può succedere e questo dobbiamo
accettarlo. Altrimenti ce ne dovremmo andare. Quando si lavora in situazioni
dove è presente la guerra, bisogna accettare che possa succedere qualcosa in
qualunque momento.
D. – Quanti sono attualmente i gesuiti che lavorano a
quest’opera?
R. – JESUITAS, HAY 68, A PLENO TIEMPO, TRABAJANDO EN TODO
EL MUNDO. ...
68 gesuiti lavorano a tempo pieno in tutto il mondo. Altri
50 partecipano sporadicamente ad alcuni lavori. Ci sono però anche un centinaio
di religiose, appartenenti a 72 congregazioni diverse, che lavorano con il
Jesuit Refugee Service, e circa 200 laici e 200 laiche. Quindi, l’equipe di
base è formata da 600 persone che lavorano in 57 Paesi. Abbiamo inoltre gli
stessi rifugiati che lavorano coordinatamente ai progetti che stiamo portando
avanti. Questi sono circa 2.500.
D. – Lei come responsabile di quest’opera si sente tenuto
a rispondere della sicurezza e della sopravvivenza, anche economica, di tutto
questo personale. Ci saranno alcune spese per quest’opera. Ci può dire quali
sono le previsioni per il prossimo anno?
R. – PARA ESTE ANO TENEMOS UN PRESUPUESTO DE 17 MILLONES
DE DOLARES, ...
Per quest’anno il bilancio è di 17 milioni di dollari, dei
quali risultano attualmente coperti 13 milioni. Stiamo ancora cercando 4
milioni di dollari, perché abbiamo
qualche difficoltà con le organizzazioni che prima potevano aiutare il
nostro progetto. Attualmente la gente risponde ad una chiamata solo quando i
problemi appaiono attraverso i mezzi di comunicazione: la televisione, la
stampa e la radio. Per esempio si parla di Iraq e di Afghanistan. Però molti
dei progetti a cui noi stiamo lavorando sono con rifugiati dimenticati dal
mondo. Nessuno li conosce. Situazioni come quelle del Nepal, dell’Aceh, della
Liberia, della Guinea Conakry ecc. La gente non ne sente parlare e non le conosce.
Quindi, non esiste collaborazione economica e da qui la difficoltà di coprire
le spese.
D. – Come vede lei questa opera e il suo futuro?
R. – YO LO QUE VEO ES QUE REALMENTE ES UNA INSTITUCION MUY
APRECIADA ...
Vedo che si tratta realmente di una istituzione molto
apprezzata dagli organismi
internazionali, umanitari, che sta facendo un lavoro molto importante con i
rifugiati. Siamo arrivati a 500 mila rifugiati, una cifra realmente importante.
Abbiamo 150 mila alunni della scuola primaria e secondaria, il che equivale a
circa 150 scuole di mille alunni. E’ un servizio molto importante.
Indirettamente arriviamo a circa 2.500.000 persone. Questo numero dimostra che
stiamo facendo realmente qualcosa di importante per milioni di persone, che
cambierà la loro vita.
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IN
GIORDANIA LA VITTORIA ELETTORALE AI CANDIDATI DI TRIBU’ E FAMIGLIE
VICINE
ALLA MONARCHIA. CONSENSI PER I PARTITI ISLAMICI.
NEL
NUOVO PARLAMENTO ANCHE SEI DONNE
-
Intervista con Antonio Ferrari -
Alle elezioni parlamentari di
ieri in Giordania, le prime dalla riforma elettorale, vittoria dei candidati
indipendenti, che rappresentano le tribù e le grandi famiglie del Paese arabo,
tradizionalmente fedeli alla monarchia. Consensi anche per i partiti islamici
che avevano boicottato le elezioni precedenti. Nel nuovo Parlamento anche sei
donne. Ma sull’andamento del voto di ieri Roberto Piermarini ha raccolto il
commento dell’inviato ad Amman del Corriere della Sera, Antonio Ferrari.
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R. – Il voto urbano e quello dei campi dei palestinesi è
andato in prevalenza agli islamici,mentre in tutte le altre parti del Paese,
soprattutto nei governatorati, ecc., hanno vinto le forze tradizionali, gli
indipendenti, dei raggruppamenti politici vicini al re Abdallah. Questo
risultato conferma esattamente quello che si diceva alla vigilia e cioè che le
tribù in fondo sono riuscite ad esprimere la loro forza all’interno di questo
parlamento allargato da 80 a 110 seggi e quindi si può parlare di un
parlamento abbastanza bilanciato tra
l’influenza di Amman e quella del resto del Paese.
D. – C’è stato il successo degli islamici dopo il
boicottaggio delle passate elezioni?
R.- Forse un po’ meno rispetto alle aspettative degli
stessi islamici, che però hanno fatto il pieno ad Amman e Zarka. E’ evidente,
però, che la legge elettorale che gli islamici alla fine hanno accettato
partecipando alle elezioni, in effetti, li ha in qualche misura puniti, proprio
perchè in alcune circoscrizioni magari ne è stato eletto uno solo, quando in
altre circostanze con un sistema più proporzionale ne sarebbero stati eletti di
più.
D. – Tutto come previsto anche per la novità di
quest’anno, con le donne che entrano in Parlamento ...
R. – Le sei donne con i posti garantiti faranno parte del
parlamento, anche se si può dire che visto che si andava per percentuale e non
per numero di voti, per le donne le prime sei appartengono tutte a
governatorati periferici, non alla città di Amman. Tra queste sei donne elette
c’è anche un’islamica.
D. – Com’è stata l’affluenza alle urne?
R. – L’affluenza alle urne che si temeva molto bassa, in
effetti si è alzata verso sera. Siamo al 58,8 per cento. Non è tantissimo. E’
sicuramente più delle ultime elezioni: il 54 per cento, anche a causa del
boicottaggio degli islamici. E’ un pò meno delle elezioni precedenti. Ma
sull’affluenza alle urne si può dire che ci sia una netta distinzione tra le
campagne e le città. Una distinzione che contraddice quella che è normalmente
una tendenza, e cioè che nella città di Amman, per esempio, si è votato meno,
con un’affluenza di circa il 38 per cento, rispetto al 70-80 per cento di
alcuni governatorati periferici.
D. – Possiamo parlare di brogli elettorali, com’è stato
denunciato da alcuni esponenti dell’opposizione?
R. – Brogli elettorali se ci sono stati non cos’ rilevanti
da poter mettere in discussione la legalità del risultato.
D. – Queste elezioni rafforzano sul piano internazionale
il re Abdallah?
R. – Assolutamente sì. Lo rafforzano sul piano
internazionale. Il re dopo la vicenda di Aqaba aveva sponsorizzato, aveva fatto
il padrone di casa nell’incontro tra Bush, Sharon e Abu Mazen, ed è comunque
sempre in prima fila nel tentativo di ricucire quello che è la difficoltà di
mettere in moto questa benedetta road map medio- orientale, da una parte
e, nello stesso tempo, dall’altra parte, di contribuire alla ricostruzione e
alla pacificazione dell’Iraq.
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“BEATI
I PURI DI CUORE”, COME IVAN MERZ,
MODELLO
PER I GIOVANI EUROPEI CONTEMPOREANEI:
LETTERA
DEI VESCOVI DELLA BOSNIA ERZEGOVINA IN VISTA
DEL
PROSSIMO VIAGGIO APOSTOLICO DEL PAPA NEL LORO PAESE,
DOMENICA
PROSSIMA, 22 GIUGNO
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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Un beato che arriva dalle file della ‘gente semplice’:
così i vescovi della Bosnia Erzegovina salutano con gioia “il primo credente
laico del popolo croato”, che salirà agli onori degli altari. Ivan Merz,
vissuto tra 800 e 900, studente e soldato cattolico, fine intellettuale,
educatore appassionato sarà beatificato da Giovanni Paolo II, nella città che
gli diede i natali nel 1896, Banja Luka, dove il Papa sosterà per un giorno,
tornando per la seconda volta in questo Paese, dopo cinque anni dalla prima
visita a Sarajevo. “Si realizza finalmente - scrivono i presuli - una cosa per
la quale tante persone per decenni si sono instancabilmente impegnate e per la
quale in molti hanno pregato”. “Ivan Merz ha davvero qualcosa da dire e da
dimostrare anche ai giovani membri della Chiesa di Cristo, sia nelle nostre diocesi
che in tutta l’Europa”. “Ivan - sottolineano i vescovi - da ragazzo non era
niente di particolare”, “conobbe Cristo gradualmente, di giorno in giorno,
nella preghiera, nel dolore, nelle sofferenze belliche e negli approfondimenti
del pensiero”, lungo la sua breve, intensa esistenza, che si chiuse a soli 32
anni. “Esempio di ubbidienza”, “precursore” del Concilio Vaticano II avvertiva
l’esigenza di rinnovare la Chiesa e di valorizzare i laici. Ivan Merz “è una
prova diretta che ‘un uomo semplice’, che non appartiene ad un ordine
spirituale, dovunque vive e cresce, a qualsiasi cultura appartiene, può
realizzare la santità di vita dove vive e lavora”. “Ivan Merz – concludono i
presuli della Bosnia Erzegovina – “è una chiara guida all’Europa
scristianizzata in agonia di dubbi e tentazioni contemporanee”, “è un richiamo
all’Europa moderna” per un ritorno alle sue radici cristiane.
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18
giugno 2003
NELLA
CAPITALE MALESE, KUALA LUMPUR, SI E’ APERTA IERI
LA
CONFERENZA SULLA POLMONITE ATIPICA PROMOROSSA DALL’OMS.
SECONDO
GLI SCIENZIATI, PROVENIENTI DA TUTTO IL MONDO,
L’EPIDEMIA
DI SARS HA TERMINATO IL SUO CICLO PIÙ DEVASTANTE
- A
cura di Chiaretta Zucconi -
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KUALA LUMPUR. = L’epidemia di Sars è quasi sotto
controllo, ma la lotta non è ancora finita e c’è ancora bisogno di grande
vigilanza. Questa la posizione ufficiale dell’Organizzazione mondiale della
sanità, espressa dal direttore regionale per il Pacifico Occidentale, Shigeru
Omi, nel suo discorso di apertura della conferenza sulla polmonite atipica, che
si è aperta ieri nella capitale malese, Kuala Lumpur. Una conferenza di due
giorni a cui partecipano mille scienziati di tutto il mondo, riunitisi intorno
al capezzale della grande malata, l’Asia, dove la Sars ha fatto la sua prima
drammatica comparsa nel novembre scorso. Quindi, pacato ottimismo, ma ancora
grande prudenza. Queste le parole d’ordine dell’Organizzazione mondiale della
sanità, che attribuisce il successo del contenimento dell’epidemia
all’eccezionale collaborazione internazionale e alla solida vigilanza
esercitata lungo i confini. Ieri la Oms ha rimosso Taiwan dalla lista dei Paesi
a rischio, attribuendo la decisione agli enormi miglioramenti nella guerra
contro l’epidemia, raggiunti dalle autorità dell’isola. Per ora nella lista
delle aree verso le quali non sono raccomandati i viaggi, se non per motivi
eccezionali, resta soltanto Pechino. Nella capitale cinese sono state attivate
120 linee telefoniche di emergenza per dare assistenza e consiglio alla
popolazione. Finora, tuttavia, secondo fonti locali, le linee sono state
oggetto soprattutto delle chiamate di mitomani. Ma la Sars ha nel frattempo
sollecitato i legislatori cinesi a rivedere la vecchia legge del 1989 sulla
prevenzione e la cura delle malattie contagiose, che attualmente non contiene
misure specifiche e pratiche per combattere nuove epidemie.
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LA RELIGIOSA IRLANDESE EILEEN CUMMINS È LA NUOVA
SUPERIORA GENERALE
DELLE
SUORE MISSIONARIE DI NOSTRA SIGNORA DEGLI APOSTOLI.
L’ELEZIONE
È AVVENUTA DURANTE IL CAPITOLO GENERALE DELL’ISTITUTO
IN
CORSO A ROMA
ROMA. =
È stata eletta la nuova superiora generale delle Suore missionarie di Nostra
Signora degli Apostoli, l’irlandese Eileen Cummins, nel corso del quattordicesimo
capitolo generale dell’istituto, che si svolge a Roma dal 24 maggio al 21
giugno. L’assemblea, che si tiene ogni cinque anni e che è composta da 44 delegate
della comunità, ha come tema «Donne di comunione, apostole del terzo millennio:
prendiamo il largo nella Speranza», e rappresenta un’importante lavoro di
verifica del cammino spirituale ed apostolico dell’istituto stesso nonché
un’occa-sione per programmarne le attività future. La nuova superiora succede a
suor Dartois Chantal, giunta al termine del proprio mandato. Le suore di Nostra
Signora degli Apostoli sono state fondate a Lione nel 1876 da padre Augustin
Planque, un sacerdote francese con la passione dell’annuncio del Vangelo in
terre lontane. La congregazione conta circa 900 suore sparse in quasi venti
Paesi di Europa, Africa, America e Medio Oriente e si dedica principalmente
all’evangelizzazione, alla promozione umana in particolare delle donne e dei
bambini mediante attività sanitarie, sociali ed educative, nonché al dialogo
interreligioso, soprattutto con l’islam. (M.D.)
L’ANNUNCIO DI UNA LOGICA DELLA CONVIVENZA E LA RISCOPERTA DELLA
CENTRALITÀ DELL’ALTRO NELLA NOSTRA SOCIETÀ. QUESTI I TEMI DISCUSSI IERI AD
OROSEI
DURANTE IL 29. MO
CONVEGNO NAZIONALE DELLE CARITAS DIOCESANE
OROSEI.
= La Caritas può essere lo “strumento per far comprendere alla comunità dei
credenti quale sia il suo compito nella storia dell’oggi dell’umanità”. È
l’invito con il quale il teologo Enrico Chiavacci ha aperto la seconda giornata
del 29° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, in svolgimento a Orosei, in
Sardegna, fino al 19 giugno. “La Caritas – ha affermato Chiavacci - deve essere
la testimonianza operosa della fede nel Vangelo”. Ricordando l’urgenza di
un’unità di azione con le altre confessioni cristiane, il teologo ha richiamato
la Caritas a non farsi “condizionare da questioni di convenienza politica”. Il
Convegno diocesano è poi proseguito con l’intervento del sociologo Mauro Magatti
sul tema della globalizzazione. “Lo spazio globale – ha affermato il sociologo
- si ridefinisce creando, tra gli uomini, rapporti che assomigliano sempre più
a reti”. Secondo Mauro Magatti la “fragilità individuale e collettiva
riconsegna, soprattutto alla comunità dei credenti, la questione dell’altro”.
L’alterità, secondo lo studioso, è di nuovo al centro della vita sociale e
nessuna pace universale è raggiungibile se non si riconoscono gli interrogativi
che pone l’altro. Abbiamo bisogno di un sistema di regole nuove per governare
la globalizzazione, ma – ha chiesto Magatti – “chi gestisce le differenze?”. Il
sistema liberale può scrivere regole nuove, ma non è attivo sui grandi problemi
quali la povertà e l’equa distribuzione delle risorse. “Tutti noi – ha concluso
il sociologo - siamo oggi più spaventati, spaesati e soffriamo della sindrome
dello spettatore, del vedere senza agire”. Recuperare l’etica dell’altro
sembra, dunque, un’operazione indispensabile per sviluppare le nuove
istituzioni nel rispetto delle persone. (A.L.)
L’ASSOCIAZIONE
MEDICA AMERICANA AVALLA LA CLONAZIONE A SCOPO TERAPEUTICO, IN CONTRASTO CON LA
CASA BIANCA. AMMESSA L’OBIEZIONE DI COSCIENZA DEI MEDICI CONTRARI A TALI
ESPERIMENTI PER MOTIVI ETICI
- A
cura di Paolo Mastrolilli -
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NEW
YORK. = L’associazione dei medici americani, cioè l’equivalente dell’ordine
professionale in Italia, si è messa in rotta di collisione con la Casa Bianca,
appoggiando ieri la clonazione a scopi di ricerca. L’organismo ha raccomandato
tutti gli iscritti di utilizzare la pratica che comporta la creazione di
embrioni, allo scopo di raccogliere le cellule staminali da usare poi per
rimpiazzare tessuti umani danneggiati o per altri motivi di studio.
L’associazione ha definito etica questa procedura, ma ha lasciato ai medici che
non la condividono la facoltà di rifiutarsi di adottarla su base personale.
Questa direttiva è in aperta contraddizione con quella emanata dal presidente
Bush, che ha dato via libera alla ricerca solo sulle linee di cellule staminali
già esistenti, vietando quindi la creazione di embrioni a questo scopo.
L’amministrazione si oppone ad ogni genere di clonazione, tanto per fini
riproduttivi, quanto per fini di studio e all’inizio dell’anno la Camera dei
deputati ha approvato un divieto ispirato a questa posizione. I responsabili
dell’Associa-zione dei medici hanno detto che il loro obiettivo non era boicottare la politica del presidente, ma
dare indicazioni ai loro iscritti. La questione però ora torna nelle mani dei
politici, che approvando un divieto nazionale in entrambe le aule del
Congresso, potrebbero vanificare la posizione presa dai dottori.
**********
NUOVI RIMPATRI DI
PROFUGHI VERSO TIMOR EST.
LO RIFERISCE IL JESUIT
REFUGEE SERVICE (JRS)
PRECISANDO CHE GLI
SFOLLATI PROVENGONO DALL’AREA OCCIDENTALE DELL’ISOLA
TIMOR
EST. = Riprende dopo quattro mesi di interruzione il rimpatrio dei profughi di
Timor Est provenienti dall’Ovest dell’isola. Quattro nuclei familiari sono stati
prelevati dai campi profughi di Tuapukan e Noelbaki e accompagnati al confine
dal comando distrettuale militare di Kupang. Lo riferisce il Jesuit Refugee
Service (Jrs) precisando che il rientro di questo gruppo di persone è
significativo perché sono ancora molti gli est-timoresi che non riescono a
tornare in patria per ragioni economiche o perché temono rappresaglie. I fondi
per il trasferimento dei rifugiati nei campi profughi sono stati forniti
dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom). Il Jrs ritiene che
nelle prossime settimane molte altre persone potrebbero tornare in patria, a
causa delle pessime condizioni in cui versano i campi dove sono ospitati. Il
servizio dei gesuiti ricorda, infine, che nel marzo scorso si sono verificati
incidenti che hanno causato la distruzione di diversi appezzamenti di terreno
coltivati dai rifugiati (A.L. – M.D.)
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18
giugno 2003
- A cura di Paolo Ondarza -
Non ci sarà il vertice tra Usa, Russia, Cina, Giappone,
Corea del Sud e Corea del Nord. Pyongyang rifiuta l’invito ai colloqui e si
dichiara pronta a rafforzare il deterrente nucleare come misura di autodifesa.
Lo si legge in un comunicato del ministero degli esteri nordcoreano in cui si
spiega che un tavolo a cinque avrebbe come effetto di isolare la Corea del
Nord.
E’ sempre allarme sulla sicurezza in Iraq, dove continuano
gli scontri tra le forze americane e la resistenza irachena. Stamani i soldati
americani hanno aperto il fuoco su alcuni manifestanti a Baghdad, uccidendo un
ex soldato iracheno e ferendone un altro. Ce ne parla Giada Aquilino:
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Erano in 300 stamani davanti ad uno degli ex palazzi
presidenziali di Saddam ed ora sede del quartier generale della coalizione.
Quelli che una volta erano i soldati del regime si sono ritrovati oggi per
protestare e domandare il pagamento dei salari arretrati, non più effettuato da
quando l’amministratore americano in Iraq, Paul Bremer, ha disciolto
ufficialmente l’esercito di Baghdad, il 23 maggio scorso. Secondo una prima
ricostruzione, gli iracheni avrebbero cominciato a lanciare sassi verso le
forze americane, che avrebbero quindi reagito, sparando. Sul terreno rimangono
dunque le tensioni, anche alla luce della rivendicazione - fatta ieri alla
televisione araba in Qatar, Al Jazeera - di tutti i recenti attacchi contro le
truppe straniere: ad entrare in azione sarebbero state le sedicenti Brigate di
Resistenza Irachena, le quali hanno però preso le distanze dal deposto presidente
Saddam Hussein, duramente criticato nel comunicato per aver portato alla rovina
il Paese. Un altro soldato americano è poi rimasto vittima ieri di un
attentato, mentre il bilancio dell’operazione “Desert Skorpion” contro gli
irriducibili del partito Baath parla di quasi cento morti e di oltre 400 arresti.
Il governatore Bremer ha infine annunciato l’istituzione di una Corte penale
centrale per accelerare la gestione della giustizia nel Paese.
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Il presidente afghano Hamid
Karzai è arrivato oggi a Teheran per
una visita di tre giorni. Karzai ha in programma incontri con il suo omologo
iraniano Mohammad Khatami e con la guida suprema, ayatollah Ali Khamenei.
Durante la sua permanenza a Teheran si svolgerà inoltre un vertice tra Iran,
Afghanistan, Uzbekistan e Tagikistan.
Restiamo in Iran dove continuano le proteste degli
studenti nei campus universitari ma sembrano agitazioni prive di consistenza.
Ieri la maggioranza dei parlamentari ha denunciato le ingerenze americane negli
affari interni dell’Iran, ma il segretario di Stato americano Colin Powell ha
puntualizzato che gli Stati Uniti appoggiano ma non fomentano le proteste.
Stamani due donne, simpatizzante dei mujaheddin del popolo, hanno tentato di
immolarsi con il fuoco presso i locali
del controspionaggio francese dove sono tuttora trattenuti 26 dei 165 militanti fermati ieri. Sulla situazione
delle manifestazioni in Iran, Roberto Piermarini ha raggiunto telefonicamente a
Teheran il corrispondente dell’Ansa, Alberto Zanconato:
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R. - A Teheran, in particolare, le manifestazioni si
svolgono più all’interno dei dormitori, dove ci sono dei sit-in, delle
assemblee con qualche centinaio di studenti. Mentre nel resto del Paese, in
diverse città, ci sono manifestazioni che appaiono spontanee, sporadiche, e
quindi non sembra esserci comunque un’opposizione organizzata che muove tutto
questo.
D. – A Parigi ieri c’è stata una retata di Mujahhedin del
Popolo, accusati di terrorismo e da sempre oppositori al regime di Teheran, con
l’arresto con 165 iraniani. Come è stata commentata questa notizia
dall’autorità di Teheran?
R. – La notizia è stata commentata positivamente. Questa
operazione francese a Teheran viene letta anche in senso politico: cioè
qualcosa si sta muovendo anche per rispondere a queste richieste iraniane di
mettere fine all’attività dei Mujaheddin. E questo fa pensare che, forse,
dall’Iran potrebbe esserci anche qualche contropartita. Non dimentichiamo che
l’Iran è tra i sostenitori dei gruppi palestinesi, come Hamas e come la Jihad
islamica, e in questo momento è indispensabile per l’Occidente, per favorire la
prosecuzione della road map e mettere fine all’attività di questi
gruppi.
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Nessuna novità negli sforzi
palestinesi per far cessare gli attacchi estremisti anti-israeliani, proprio
mentre è stata ufficializzata la visita del segretario di Stato americano
Powell, che sarà in Medio Oriente venerdì prossimo. Sul terreno, poi, da segnalare
la morte di una bambina israeliana di 7 anni, uccisa ieri sera da colpi d'arma
da fuoco palestinesi vicino Qalqiliya, nel nord della Cisgiordania. L’uccisione
è stata rivendicata in un comunicato congiunto da due gruppi armati palestinesi
d’obbedienza laica: le brigate dei martiri di Al Aqsa e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina-Comando
generale. Ma le violenze non sono finite. Sentiamo Graziano Motta:
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Nella Striscia di Gaza un missile lanciato su un villaggio
agricolo ebraico ha danneggiato una casa e presso la frontiera con l’Egitto una
potente carica esplosiva è stata disattivata da soldati, mentre guerriglieri
con un razzo anticarro attaccavano una postazione militare. Queste le ultime
notizie di una rivolta che non accenna a cessare. Il primo ministro palestinese,
Mahmud Abbas, non è riuscito a convincere i leader dei gruppi fondamentalisti
ad accettare una tregua che dischiuda l’applicazione della road map, il
piano di pace. Ad essi ha proposto anche di entrare a far parte di un governo
di unità nazionale. Si sono riservati una risposta, ma il capo della Jihad ha
lasciato già intendere che sarà negativa. E non ha dato risultati l’incontro
sui problemi legati alla sicurezza tra i due generali israeliani e il ministro
palestinese Dahlan. Da segnalare che a Washington è stato ricevuto alla Casa
Bianca dal vice presidente Cheney l’ex premier, Benjamin Netanyau, attuale
ministro dell’economia e deciso oppositore della road map.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Con l’arresto
alla Mecca nei giorni scorsi di 12 terroristi di diverse nazionalità, l'Arabia Saudita si dichiara in ''guerra''
contro il terrorismo, impegnandosi a contrastare con forza qualsiasi attacco o
attentato. Lo comunica il ministero dell’Interno saudita precisando che tra gli
arresti nella città santa dell’islam vi sono sette sauditi, tre ciadiani, un
egiziano e un uomo di nazionalità ignota.
Tornano a colpire in Uganda i
ribelli del sedicente Esercito di resistenza del Signore. I miliziani hanno
attaccato stanotte l’orfanotrofio di Adjumani, 90 chilometri a nordovest di
Gulu, nell’Uganda settentrionale, rapendo 15 bambini. Giada Aquilino ne ha
parlato con padre Giulio Albanese, direttore dell’agenzia Misna, appena
rientrato dall’Uganda:
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R. – Certamente sono aggressioni a presidi cattolici, non
v’è dubbio. Non dimentichiamo che, comunque, la situazione riguarda la
popolazione. Chiaramente ci sono i missionari che sono al loro fianco.
D. – Che cosa si teme per la sorte di questi bambini?
R. – Non sappiamo che fine faranno. Qualcuno dice che sono
già stati arruolati nelle fila del movimento ribelle. Non dimentichiamo che
nell’arco degli ultimi 10 anni sono circa 20mila i bambini che sono stati
sequestrati dal Lord’s Resistence Army. Davvero il conflitto dal nord
gradualmente si sta estendendo a macchia d’olio un po’ ovunque e l’esercito di
Kampala, purtroppo,che che se ne dica, non riesce, almeno finora non è riuscito
a contrastare l’avanzata ribelle.
D. – In che condizioni vive la popolazione civile?
R. – La gente vive in una situazione disperata anzitutto
perché i villaggi delle zone rurali sono stati praticamente quasi tutti messi a
ferro e fuoco. Quindi la gente vive nei principali centri urbani e soprattutto
nelle parrocchie. Poi c’è questa insicurezza che regna sovrana. I ribelli
possono compiere da un momento all’altro imboscate, uccidere senza pietà
chiunque capiti loro a tiro.
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Proprio mentre
si sperava positivamente per il futuro della Liberia, ad un giorno dalla firma
del cessate il fuoco di Accra, in Ghana, i ribelli, che da anni combattono il regime del presidente Charles Taylor si
sono detti intenzionati a riprendere le violenze. Ne dà notizia l’agenzia
francese Afp secondo cui i ribelli accusano il governo di aver violato
l’accordo di ieri insediandosi nelle zone a sud-est del paese.
Torniamo a parlare dell’attentato di ieri alla scuola
spagnola Cervantes di Roma. In un volantino, di circa venti righe di testo,
recapitato alla sede del quotidiano “Il manifesto” la violenza è stata
rivendicata dal gruppo anarco-insurrezio-nista spagnolo, lo stesso che “firmò”
alcuni mesi fa i pacchi bomba arrivati a Roma e Milano nelle sedi della
compagnia aerea spagnola Iberia. Sono in corso gli accertamenti.
Il governatore della Banca di
Francia, Jean-Claude Trichet, è stato assolto nell’ambito della vicende Crédit
Lyonnais. La sentenza è cruciale per le ambizioni di Trichet di succedere a Wim
Duisenberg alla guida della Banca Centrale Europea (Bce).
Tragedia automobilistica
stamani in Egitto: nello scontro tra un pullman e un’automobile sulla strada
costiera del Sinai che da Ismailia porta a Sharm El Sheikh, tre turisti
italiani hanno purtroppo perso la vita ed altri cinque sono rimasti feriti. Gli
autisti dei due mezzi sono entrambi stati arrestati. Gli accertamenti sono in
corso.
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