RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 167 - Testo della
Trasmissione di lunedì 16 giugno 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Dialogo per la pace tra governo e ribelli in Costa d’Avorio
incoraggiato dai vescovi.
Drammatica crisi della sanità in Liberia.
Rischio di catastrofe umanitaria secondo l’OMS.
Medio
oriente, Hamas disponibile ad una tregua in cambio del ritiro totale israeliano
– L’Iran rifiuta gli ispettori dell’Aiea e giudica “impossibile” il dialogo con
gli Stati Uniti. Monta la protesta contro i conservatori – In Iraq parte
“Desert scorpion”, ma le armi di distruzione di massa ancora non si
trovano.
16 giugno 2003
L’URGENZA DELLA VERA SANTITA’ SULLA SCIA DEL
POVERELLO D’ASSISI
PER RIPROPORRE A TUTTI QUESTA MISURA ALTA DELLA
VITA CRISTIANA:
COSI’ IL PAPA RICEVENDO IN UDIENZA
IL CAPITOLO GENERALE DEI FRATI MINORI
- A cura di Carla Cotignoli -
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“Tendete alla santità! Ecco una vera urgenza
pastorale per il nostro temp”.
E’
questa la consegna del Papa ai 200 frati minori riuniti da tre settimane alla
Porziuncola, presso Assisi, per il Capitolo generale, ricevuti in udienza
questa mattina nella Sala Clementina, insieme al neo-eletto ministro generale
fra Josè Rodriguez Carballo. “E’ ora di riproporre a tutti con convinzione
questa ‘misura alta’ della vita cristiana” - ha ribadito il Papa riprendendo le
parole della Lettera apostolica Novo
millennio ineunte. Ma “per aiutare gli altri a cercare Dio al di sopra di
tutto – ha aggiunto – occorre che voi per primi, vi impegniate in questa ardua,
ma esaltante ascesi personale e comunitaria”. Un itinerario questo già
tracciato da tempo, “qualificato da uno specifico carisma autenticato dalla Chiesa”.
Con un perenne modello di riferimento: il Poverello di Assisi. “Conservate il vostro tipico stile
improntato a povertà e vita fraterna, docilità e obbedienza – ha detto il Papa
– tenendo fisso lo sguardo su Cristo, come faceva il ‘Poverello’ d’Assisi,
vostro padre e maestro”.
“Egli insegna che ‘il predicatore deve prima
attingere nel segreto della preghiera ciò che poi riverserà nei discorsi. Prima
deve riscaldarsi interiormente, per non proferire all’esterno fredde parole’”.
E’
questa una citazione di Tommaso da Celano, il primo biografo di San Francesco.
Di lui cita un altro passaggio in cui viene affermato il ruolo fondamentale riconosciuto da San Francesco allo Spirito
Santo, tanto da definirlo “Ministro generale dell’ordine”. Il Papa ha quindi
auspicato che lo Spirito Santo conceda ai figli di Francesco oggi, di “meglio
comprendere quali sono le priorità della missione che Dio affida loro per il
bene della Chiesa e del mondo”.
Trattando
poi dell’”urgenza della nuova evangelizzazione”, il Santo Padre ha ricordato
che “questo impegno missionario risulterà fruttuoso nella misura in cui sarà
svolto in sintonia con i legittimi pastori” ed ha rilevato con favore il superamento
di “difficoltà esistenti in alcuni territori”.
E’
questo l’impegno riaffermato dal ministro generale fra José Rodriguez Carballo,
nell’indirizzo di saluto al Papa, a nome dei
16.000 frati minori in 110 Paesi del mondo: “essere al servizio della
Chiesa e contribuire alla sua missione di annuncio”, lieti di vivere a servizio
dei più poveri e dei più deboli.
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UDIENZA
A NUNZI APOSTOLICI, NOMINA DI CURIA E PROVVISTA DI CHIESA IN GERMANIA
Il Papa ha ricevuto in udienza questa mattina tre
rappresentanti pontifici: il nunzio apostolico presso le Comunità Europee,
mons. Faustino Sainz Munoz; il nunzio apostolico in Canada, mons. Luigi
Ventura; il nunzio apostolico in Kuwait, in Bahrain e in Yemen, nonché delegato
apostolico nella Penisola Arabica; e il neo arcivescovo coadiutore di Dublino,
mons. Diarmuid Martin, che ha ricevuto dal Santo Padre questa nomina il 3
maggio scorso, dopo aver svolto la missione di osservatore permanente della
Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a
Ginevra e presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Il Santo Padre ha nominato capo ufficio per l’islamismo
nel Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso il reverendo mons.
Khaled Akasheh, finora aiutante di studio dello stesso dicastero.
Nella Repubblica Federale di
Germania, il Pontefice ha nominato arcivescovo metropolita di Freiburg im
Breisgau il prelato mons. Robert Zollitsch, di 64 anni, attualmente canonico
del locale Capitolo metropolitano e direttore del dipartimento per il personale
della Curia arcidiocesana.
LIBERARE
L’UOMO DALLA POVERTA’, IMPERATIVO ETICO PER LA COSCIENZA UMANA:
INTERVENTO
DEL CAPO DELEGAZIONE DELLA SANTA SEDE,
VESCOVO
GIAMPAOLO CREPALDI, ALLA 91.MA CONFERENZA INTERNAZIONALE
- A cura di Paolo Scappucci -
“La povertà
non è più una fatalità! Liberarne l’uomo è dunque un imperativo etico che si
impone alla coscienza dell’umanità”: con riferimento al Messaggio di Giovanni
Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, lo afferma il capo-delegazione
della Santa Sede, vescovo Giampaolo Crepaldi, intervenendo alla 91.ma
Conferenza internazionale del lavoro in corso a Ginevra per iniziativa del
Bureau International du Travail sul tema: “Affrancarsi dalla povertà mediante
il lavoro”.
Citando la
Centesimus Annus, il presule sottolinea che “bisogna abbandonare la mentalità
che considera i poveri – persone e popoli – come un fardello... I poveri
chiedono di mettere a profitto la loro capacità di lavoro per creare un mondo
più giusto e più prospero per tutti. Il progresso dei poveri è una grande
opportunità per la crescita morale, culturale ed anche economica di tutta
l’umanità”.
Dopo aver
ricordato l’impegno della comunità internazionale di ridurre della metà, entro
il 2015, il numero delle persone che vivono in povertà estrema, mons. Crepaldi
insiste – come evidenziato dal Santo Padre nel citato Messaggio – sulla
necessità di rispettare le promesse nei confronti dei poveri, pena il drammatico
aumento delle loro sofferenze per la perdita di fiducia, con risultato finale
della caduta di ogni speranza.
Il
capo-delegazione della Santa Sede non manca quindi di richiamare l’attenzione
dei responsabili delle politiche del lavoro, a livello nazionale e internazionale,
sul problema fondamentale della disoccupazione giovanile. La difficoltà del
compito è evidentemente enorme, ma occorre al riguardo coniugare la grandezza
degli obiettivi con il senso della realtà, puntando in particolare sulla necessità
della partecipazione, modo concreto per ancorare il processo di affrancamento
dalla povertà alla realtà locale.
A
conclusione del suo intervento, mons. Crepaldi
rileva il ruolo fondamentale del Bureau International du Travail (BIT)
per integrare gli obiettivi dell’impiego e del lavoro dignitoso nelle strategie
di riduzione della povertà nel mondo.
-
Intervista con mons. Diarmuid Martin -
Tra le udienze che il Papa ha concesso stamattina,
c’è stata anche quella a mons. Diarmuid Martin, appena nominato arcivescovo
coadiutore di Dublino. Mons. Martin è stato per due anni Osservatore permanente
della Santa Sede all’ufficio Onu di Ginevra, ed ha avuto rapporti con le
principali agenzie delle Nazioni Unite, tra cui l’Organizzazione mondiale del
Commercio (Wto). Prima di incontrare il Papa, il presule irlandese ha accettato
di fare con noi un bilancio del suo mandato. Andrea Sarubbi gli ha chiesto come
è cambiata la globalizzazione in questi due anni:
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R. – Ci sono dei
cambiamenti, c’è certamente molta più attenzione alla dimensione sociale della
globalizzazione, almeno a parole. Ad esempio, l’Organizzazione internazionale
del lavoro ha istituito una commissione ad alto livello per esaminare le
dimensioni sociali della globalizzazione. Quando sono arrivato a Ginevra,
l’Organizzazione mondiale del commercio insisteva molto sul fatto di non essere
un’organizzazione per lo sviluppo, ma di avere come unico compito quello di trovare
e formulare delle regole per il libero commercio. Preoccuparsi dello sviluppo,
insomma, sarebbe dovuto toccare ad altri. Invece, alla Conferenza di Doha di novembre
2001, si è presentato il documento finale come una development agenda ed
ora si comincia a comprendere che un sistema di commercio internazionale libero
funzionerà solamente se ci sono delle persone capaci di farlo funzionare bene e
nella maniera giusta. In altre parole, c’è la necessità di investire molto
nelle capacità delle persone nei Paesi in via di sviluppo.
D. – Molti si
chiedono come mai il Vaticano faccia parte, come Osservatore, del Wto: qual è
il contributo che lei ha cercato di dare alle riflessioni in questi due anni?
R. – Nel Wto, la
prima cosa è cercare di elaborare un sistema multilaterale di regole per il commercio,
che dia le stesse opportunità ai Paesi poveri ed a quelli ricchi. Purtroppo,
c’è un’asimmetria nel punto di partenza. Per me è stato molto importante
sottolineare l’importanza di assistenza tecnica ai Paesi poveri, per renderli
capaci di approfittare dell’opportunità che il commercio offre; bisogna anche
convincere i Paesi ricchi che non basta predicare il libero commercio, ma
occorre aprire i mercati ai prodotti dai quali i Paesi poveri traggono
vantaggio. Quindi, non cercare di bloccare ciò attraverso sussidi o protezionismo.
D. – Un anno e
mezzo fa, a Doha, sembrava si fosse trovato un accordo storico: sembrava che
finalmente i farmaci per le gravi malattie e per le epidemie fossero garantiti
a tutti, gratuitamente. Sono passati ormai 19 mesi e siamo ancora al punto di
partenza ...
R. – Tutti
cantavano vittoria, tutti dicevano che questo accordo avrebbe creato una nuova
situazione, e adesso – un anno e mezzo dopo – siamo bloccati e non abbiamo
compiuto il progresso sperato. Questo crea problemi anche in merito alla
credibilità degli organismi. L’altro giorno, nel prendere congedo dal direttore
dell’Organizzazione mondiale del Commercio, gli ho ricordato che – se gli
impegni erano stati presi dai ministri dei vari governi – le promesse, invece,
erano state fatte ai poveri, e la comunità internazionale non può deludere i
poveri facendo promesse che poi non si mantengono. Questo è esattamente il
contrario dello ‘sviluppo’.
D. – Stando a
Ginevra, Lei ha visto anche la ‘faccia sporca’ della politica: al di là delle
buone intenzioni ci si scontra – anche Europa e Stati Uniti si scontrano su
questo punto, quasi ogni settimana – sulle barriere da mettere o da non
mettere, sui sussidi da dare o da non dare ... Questo scoraggia un po’ il lavoro?
R. – Certamente,
qualche volta è scoraggiante vedere questa lentezza delle trattative. Però
bisogna considerare che i negoziati hanno un ritmo ed un tempo loro, e qualche
volta ci sono degli ‘incidenti di percorso’. L’importante è rendersi conto che,
in generale, si sta andando nella direzione giusta e vigilare che non si torni
indietro. La mia esperienza mi ha insegnato a non perdere la pazienza, a saper
dire una parola un po’ forte alle persone quando occorre, per evitare che
interessi economici locali dominino sulla necessità primaria: la creazione di
un sistema non solo di libero commercio, ma di rapporti onesti, giusti e
pacifici tra le popolazioni.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la
prima pagina il seguente titolo "La comunità internazionale non si stanchi
di aiutare israeliani e palestinesi entrati in un vortice senza fine di
violenze e di rappresaglie": per la Terra Santa, sconvolta da gironi di
sangue e di morte, Giovanni Paolo II rinnova ancora una volta il suo appello
alla pace, alla giustizia, al perdono.
Nelle
vaticane, il titolo all'Angelus è "Santissima Trinità: l'orizzonte primo e
ultimo dell'universo e della storia". Si ricorda, poi, il dramma dei
rifugiati nel mondo: quasi la metà sono bambini e ragazzi.
Nel discorso al Capitolo
Generale dell'Ordine dei Frati Minori, Giovanni Paolo II ha esortato
a tendere alla santità nel segno della povertà e dell'obbedienza.
Un articolo di Marcello Bordoni sull'Enciclica
"Ecclesia de Eucharistia".
Una pagina dedicata alla Serva di Dio, Suor
Teresina di Gesù Obbediente.
Nelle pagine estere, Medio Oriente: Israele pronta
a ritirarsi dalla Striscia di Gaza.
Iraq: un'altra imboscata contro un convoglio Usa.
Nella pagina culturale, un contributo di Carmine Di
Biase dal titolo "Pirandello e il giornalismo": una monografia di
Franco Zangrilli.
Nelle pagine italiane, in primo piano il
referendum: quorum a rischio.
Tra i temi in rilievo, l'immigrazione.
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16 giugno 2003
“PER
OGNI BAMBINO, UNA IDENTITA’”. E’ IL MOTTO DELLA 13.MA
GIORNATA
DEL BAMBINO AFRICANO, PROMOSSA DALL’UNICEF
E
DEDICATA ALLA PIAGA DE MILIONI DI NEONATI AFRICANI
PRIVI
DI CERTIFICATO DI NASCITA UFFICIALE E SPESSO VITTIME DI ABUSI
-
Intervista con Rossella Del Conte -
Non
possedere un certificato di nascita e quindi, di fatto, non esistere per lo
Stato nel quale si è venuti al mondo. Quella che per un bambino di una qualsiasi
nazione occidentale potrebbe essere poco più di una noia burocratica - di più,
un avvenimento assurdo - diventa un autentico dramma per moltissimi bambini
africani. Nel 2002, afferma l’Unicef, ben 50 milioni di neonati in Africa non
hanno mai avuto un’identità ufficiale, quindi né un nome registrato né una
nazionalità. Piccoli e incolpevoli “fantasmi” per l’anagrafe, sono condannati
ad andare incontro ad enormi e talvolta insormontabili difficoltà nel loro
inserimento all’interno della società: come, ad esempio, al momento di trovare
un lavoro, esercitare il diritto di voto, richiedere un passaporto o un
certificato di matrimonio.
Tra
le cause più comuni di questa piaga sociale, l’organismo Onu per l’infanzia
include il cosiddetto “letargo burocratico”, la mancanza di risorse economiche,
la lontananza dei luoghi di registrazione dalle zone rurali. C’è poi il rovescio
della medaglia, quello degli abusi: senza un nome ufficialmente riconosciuto,
non si hanno diritti e spesso si diventa il bersaglio preferito di gente senza
scrupoli in cerca di minorenni da sfruttare.
Contro
questo scenario grave ma purtroppo reale, si è schierata l’Unicef che oggi vede
celebrata in molti Stati la sua 13.ma Giornata del Bambino Africano, inaugurata
nel 1991 dall’Organizzazione dell’Unità Africana per commemorare la
manifestazione di migliaia di scolari del ghetto nero di Soweto (Sud Africa),
repressa nel sangue 27 anni fa. Ma in quali zone dell’Africa è più evidente questo
fenomeno, che interessa ormai il 40 per cento delle nascite globali? La risposta
dell’Unicef arriva da Rossella Del Conte, intervistata da Alessandro De
Carolis:
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R. – E’ un fenomeno che si
riscontra soprattutto nell’Africa subsahariana, quindi tra i Paesi di fatto più
poveri del continente, dove il tasso di mortalità infantile è fra i più alti e
dove c’è quindi difficoltà anche nella registrazione delle nascite. Le
soluzioni a questo problema sono la diffusione capillare di una adeguata
informazione, che faccia comprendere a tutti l’importanza di essere registrati per
avere accesso ad alcune fondamentali risorse per la vita personale:
l’assistenza sanitaria, ad esempio, l’istruzione e tutta una serie di altri
diritti. Si pensi a come possa essere facile per un bambino che non è registrato,
e che dunque di fatto non esiste, essere attirato nel traffico degli esseri
umani, che sappiamo una piaga diffusa sia da un punto di vista sessuale,
purtroppo, sia legata al lavoro illegale. Non essere registrati vuol dire senza
dubbio essere preda di questo traffico.
D. – Combattere il
fenomeno impone quindi alle autorità di ogni Paese di raggiungere anche i
villaggi più sperduti, per indurre i genitori a registrare i propri
figli...
R. - Certamente. Intanto, va
operato un cambiamento culturale: e questo l’Unicef lo ha come obiettivo, insieme a tutte le altre organizzazioni. In
altre parole, cerchiamo di esercitare pressioni perché i governi interessati
capiscano che quella della registrazione è una priorità. Nel momento in cui lo
si comprende, si mette in moto un meccanismo che consente di raggiungere i
Paesi e i villaggi più sperduti. E l’Unicef, sempre più, insieme ai governi,
adotta come mezzo per riuscire nell’impresa il lavoro dei volontari,
giovani e meno giovani. Questo modo è l’unico per raggiungere veramente
tutti. Naturalmente, per condurre in porto questa operazione, che sembra
semplice ai nostri occhi, c’è anche bisogno di risorse economiche. Bisogna, sì,
convincere i governi a spendere le proprie, ma è indispensabile convincere anche
i nostri governi ad impegnarsi in modo tale che queste campagne vadano a buon
fine.
D. - Hai potuto
constatare di persona questo problema in qualche Paese africano?
R. – Personalmente,
quando sono stata in Angola all’inizio del maggio scorso, ho constatato che si
stanno facendo dei passi da gigante anche in direzione della registrazione dei
bambini alla nascita. E questo anche perché si è scelto di affiancarla ad altre
campagne che l’Unicef già porta avanti in tutti questi Paesi, per esempio la
vaccinazione di massa. In Angola, c’è stata una campagna di vaccinazioni contro
il morbillo, che aveva come obiettivo, e l’ha raggiunto, di vaccinare 7 milioni
di bambini. Ma, attraverso la vaccinazione, è stato possibile anche procedere
ad una registrazione e questo sistema porterà, speriamo, ad una soluzione del
problema.
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PER IL
PRIMO ANNO DI SAN PIO FOLLA DI PELLEGRINI A SAN GIOVANNI ROTONDO
-
Intervista con padre Luciano Lotti -
Sono cominciate ieri sera, con una
fiaccolata a san Giovanni Rotondo, le celebrazioni per l’anniversario della
canonizzazione di Padre Pio, presieduta da Giovanni Paolo II lo scorso 16 giugno
in piazza San Pietro. Il Papa aveva definito il frate di Pietrelcina “un santo
per il nuovo millennio, esempio di preghiera e carità”, annunciando la nuova
ricorrenza fissata nel calendario liturgico: il 23 settembre, giorno della
morte di Padre Pio. Ad un anno dalla canonizzazione, Fausta Speranza ha chiesto
a padre Luciano Lotti, portavoce dei frati cappuccini di San Giovanni Rotondo,
che cosa è cambiato:
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R. – C’è veramente una maggiore
consapevolezza a livello ecclesiale. Padre Pio, con la canonizzazione, non è
più solo un momento importante della storia dell’Ordine Cappuccino, ma è veramente una figura emblematica per
tutta la Chiesa. E noi abbiamo constatato che veramente la Chiesa ha preso coscienza
di questo: i vescovi sempre più frequentemente accompagnano personalmente i pellegrini,
e poi io vengo chiamato nelle diocesi a parlare al clero diocesano e a
presentare la figura di Padre Pio. Per l’Ordine Cappuccino, Padre Pio sta diventando
un po’ un punto di riferimento per la spiritualità. Una nota importante è il
fatto che l’Unitalsi ha inserito San Giovanni Rotondo nei grandi pellegrinaggi:
cioé oltre a Lourdes e a Loreto.
D. – Che dire della sensibilità della gente?
R. – La gente si sta evolvendo
molto in senso positivo. Abbiamo sempre tante persone che vengono a San
Giovanni Rotondo e sappiamo che molto spesso si viene per la richiesta di
grazie, di aiuti spirituali. Ultimamente però San Giovanni Rotondo sta
diventando il punto di riferimento per un momento anche di riflessione a
livello personale o per fare un po’ il punto sulla propria situazione di vita.
Padre Pio rimane sempre un modello e un punto di riferimento per la nostra società.
D. – Padre Lotti, un ricordo di un anno fa, al momento
della canonizzazione?
R. – Ero a San
Giovanni Rotondo. Un episodio personale: ero accanto a mio padre, che ha
conosciuto Padre Pio, e ad un sacerdote anziano che anche lui aveva conosciuto
Padre Pio. Si sono guardati e quel sacerdote ha detto a mio padre: ‘Io non
pensavo proprio di arrivare a questo momento’. Ecco, la canonizzazione è stato
un momento grande di Chiesa, importante; però, per tutti noi che l’abbiamo
conosciuto è stato veramente anche un momento importante proprio a livello
personale.
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16 giugno 2003
LA
COSTRUZIONE DELLA PACE E LA PROMOZIONE DEL DIALOGO TRA I RIBELLI
E LE
FORZE GOVERNATIVE IN COSTA D’AVORIO. QUESTE LE PRIORITÀ ESPRESSE
DAI
VESCOVI IVORIANI NELLA LORO ASSEMBLEA PLENARIA,
ABIDJAN.
= Si è conclusa ieri, ad Abidjan, la 76.ma Assemblea plenaria della Conferenza
episcopale della Costa d’Avorio. I lavori, iniziati mercoledì scorso, hanno
messo a fuoco i segni della crisi che sta colpendo da quasi un anno il Paese
africano. Lo Stato ivoriano, lentamente avviato verso un graduale ritorno alla
normalità, è ancora vittima, infatti, di una profonda divisione tra il Nord,
controllato dai ribelli, ed il Sud, presidiato dalle forze governative. “La
situazione della Costa d’Avorio – ha dichiarato il presidente della Conferenza
episcopale, mons. Vital Kobenan Yao – ci obbliga all’ascolto reciproco, ad
unirci e a ritrovarci”. Più volte, ha ricordato mons. Yao, i vescovi hanno
invitato le diverse parti in conflitto al dialogo, alla ponderazione e a
sacrifici di conciliazione in vista di un risultato felice ed accettabile. Il
vicepresidente della Conferenza episcopale, mons. Laurent Mandjo, ha ricordato
ai confratelli il fallimento del cosiddetto Forum della riconciliazione che si
tenne nel 2002. “Contrariamente a quello che si attendeva il popolo – ha
affermato mons. Mandjo – il Forum ha servito su un piatto d’oro il placebo
della menzogna, dell’ipocrisia e della doppiezza sottilmente ammantato di buone
intenzioni e di voci pie”. (A.L.)
IN
LIBERIA, DOVE LA SITUAZIONE SANITARIA È DRAMMATICA, SI RISCHIA DI ANDARE
INCONTRO AD UNA CATASTROFE UMANITARIA. QUESTO
L’ACCORATO APPELLO
LANCIATO DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA
SANITÀ
MONROVIA. = “In assenza di
soccorsi, la situazione sanitaria a Monrovia va verso una catastrofe”. È il
drammatico appello lanciato dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms)
sulla situazione degli sfollati in Liberia. Secondo un primo bilancio sugli
scontri dei giorni scorsi tra l'esercito fedele al presidente liberiano,
Charles Taylor, ed i ribelli, le vittime dei gravi episodi di violenza
sarebbero circa 400. Il portavoce dell'Oms, Christine McNab, ha sottolineato
anche la grave carenza d’acqua in alcuni dei campi per i rifugiati. La tregua
raggiunta mercoledì tra le forze governative ed i ribelli ha permesso, intanto,
l'attività di assistenza agli sfollati. Il Programma alimentare mondiale (Pam)
spera di riprendere quanto prima la distribuzione di aiuti, interrotta da sei
settimane, in sette campi disseminati nella periferia della capitale liberiana,
che già prima dei recenti scontri ospitavano 115 mila persone. Sul fronte
politico, il presidente liberiano Charles
Taylor “non si ripresenterà” alla scadenza del suo mandato, nel gennaio
2004. Lo ha affermato ieri a Lomè l'ex presidente nigeriano, Abdulsalami
Abubakar, mediatore dell'Ecowas per la crisi liberiana. (A.L.)
NON
DIMENTICHIAMO LA TURCHIA, PAESE COLPITO DAL CROLLO
DEL SETTORE TURISTICO A CAUSA DELLA RECENTE
GUERRA IN IRAQ.
E’
L’APPELLO DEI MISSIONARI CAPPUCCINI DI ANTIOCHIA
ANTIOCHIA. = La guerra in Iraq ha
portato la Turchia ad un nuovo tracollo economico a causa del conseguente calo
registrato dalla locale industria turistica. “Bisogna rispondere concretamente
e prima possibile a questo drammatico aumento della povertà che colpisce
soprattutto le classi sociali meno abbienti”.
E’ questo l’allarme lanciato all’Agenzia Fides dai padri cappuccini
della missione di Antiochia, che aiuta numerose famiglie offrendo loro generi
alimentari di prima necessità, contributi per le spese mediche o incentivando
l’avvio di piccole attività artigianali e commerciali. “In una nazione che vive
di turismo culturale e religioso – spiega una laica collaboratrice della
missione, Maria Grazia Zambon – chi soffre per primo questa difficile situazione
sono i contadini, i piccoli commercianti, gli artigiani, le guide turistiche ed
i gestori di locande”. Il crollo dell’economia, già debole prima della guerra
nel Golfo Persico, spinge le famiglie turche a limitare al massimo ogni genere
di spese. L’unica forma di sostegno, spesso, proviene dall’estero. Quasi tutti
i nuclei familiari, infatti, hanno almeno un parente all’estero, soprattutto in
Germania, che riesce a spedire qualche risparmio per le spese più urgenti
impedendo che i propri familiari, rimasti in Turchia, sprofondino ancor più nel
baratro dei debiti. “Con questa economia di sussistenza - aggiunge Maria Grazia
Zambon - la gente vive perennemente in una situazione di emergenza”. In un
contesto così instabile, è necessario incentivare il turismo ed il commercio
anche attraverso aiuti tangibili. “E possibile manifestare la propria solidarietà
– affermano i frati del luogo - sostenendo concretamente, secondo le
possibilità di ciascuno, il Centro di cooperazione missionaria dei frati
cappuccini emiliani, un ponte che dall’Italia fa pervenire le offerte in modo
sicuro e immediato”. Chi volesse venire a conoscenza dei vari progetti
esistenti ad Antiochia e sostenere le attività dei frati in Turchia, può
contattare direttamente il coordinatore dell’animazione missionaria, frate
Adriano Parenti, al seguente indirizzo di posta elettronica: centromissionario@tin.it. Chi,
invece, ha intenzione di fare un’esperienza di fede e solidarietà in questa
terra ricca di memorie può contattare la missione di Antiochia scrivendo a: domenicobertogli@hotmail.com.
(A.L.)
“A
COLONIA PER RIFLETTERE SUL FUTURO DELL’EUROPA”. E’ L’INVITO
DEL
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI,
IL CARDINALE
FRANCIS STAFFORD, PER LA PROSSIMA GIORNATA
MONDIALE
DELLA GIOVENTÙ DI COLONIA 2005
COLONIA.
= “Colonia è una città molto importante per tutta l'Europa, specialmente in
questo periodo in cui c'è un acceso dibattito sulle sue radici cristiane, e nel
2005 ci sarà l'opportunità di offrire a Dio i nostri sentimenti come giovani europei
per il futuro dell'Europa”. Così il presidente del Pontificio consiglio per i
laici, il cardinale Francis Stafford, interviene in un’intervista rilasciata
oggi al portale dei giovani cattolici, www.korazym.org,
sulla prossima Giornata mondiale della Gioventù di Colonia 2005. La
preparazione tecnica e spirituale di questo importante appuntamento è entrata nel vivo dopo la presentazione,
giovedì scorso, del logo della Gmg. “Il pellegrinaggio a Colonia – afferma il
cardinale - sarà una opportunità, per gli oltre 800 mila giovani attesi in
Germania, di discutere sul futuro di questo grande continente costruito sui
valori del cristianesimo”. L’appuntamento di Colonia costituirà dunque, per i
giovani, una grande opportunità di riflessione. “La cultura post-moderna –
aggiunge Stafford, riferendosi al dibattito sulle radici cristiane dell’Europa,
assenti nel preambolo del Trattato costituzionale europeo - ci chiama a
dimenticare il passato ma il cristianesimo è una fede fondata sulla memoria”.
“A Colonia – conclude - c'è una grande tradizione per i pellegrini cristiani
che costituiscono una parte essenziale per la crescita del cristianesimo
europeo”. (A.L.)
IN
ZIMBABWE, PAESE COLPITO DA UNA LUNGA SERIE DI SCIOPERI, IL GOVERNO
HA
INTRODOTTO NUOVE NORME PER REGOLAMENTARE LE MANIFESTAZIONI
DI PROTESTA. SECONDO I RAPPRESENTANTI DEI
PRINCIPALI SINDACATI
DEL
PAESE AFRICANO, LE NUOVE MISURE NON CAMBIERANNO LA SITUAZIONE
HARARE. = Il governo dello Zimbabwe ha introdotto
una serie di misure per regolamentare la possibilità di sciopero di alcune
categorie di lavoratori. Lo riferisce un quotidiano locale, il “Sunday Standard”,
precisando che i servizi veterinari e quelli farmaceutici sono stati inclusi
nella lista di industrie e ospedali che per legge non possono partecipare allo
sciopero dovendo garantire l'erogazione di servizi ritenuti indispensabili per
la popolazione. La decisione è stata comunicata attraverso una nota governativa
diffusa venerdì scorso e nel documento viene anche garantita al ministro del
lavoro, July Moyo, la facoltà di dichiarare “essenziale” qualsiasi altro
settore produttivo, qualora lo sciopero indetto dai sindacati “persistesse al
punto da rappresentare una minaccia per la popolazione”. I responsabili dei
principali sindacati del Paese hanno giudicato la nuova norma un segno della
“disperazione” del governo dopo la
settimana di proteste organizzate dal principale partito d'opposizione, il
“Movimento per il cambiamento democratico” (Mdc). La principale confederazione
sindacale zimbabwana, la “Zimbabwe's Congress of Trade Unions” (Zctu), ha
sottolineato che negli ultimi 5 anni il governo ha sistematicamente vietato
qualsiasi sciopero, ma nonostante questo manifestazioni e proteste sono
proseguite regolarmente. Intanto oggi il leader dello Mdc, Morgan Tsvangirai, è
atteso di fronte all'Alta Corte di giustizia di Harare chiamata a decidere del
suo rilascio su cauzione. Tsvangirai, si trova in stato di fermo da dieci
giorni, da quando, lo scorso 6 giugno, è stato arrestato dalla polizia con
l'accusa di “tradimento” per aver organizzato una settimana di manifestazioni e
proteste contro il governo. (A.L.)
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16 giugno 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
●Sembra riaprirsi uno
spiraglio di pace per il Medio Oriente: grazie alla mediazione dell’Egitto, il
movimento islamico Hamas fa marcia indietro e si dice disponibile ad un cessate
il fuoco con Israele, in cambio del ritiro totale. La notizia, anticipata dal governo
palestinese, è stata confermata dagli stessi attivisti, verso i
quali ieri il presidente degli Stati Uniti, Bush, ha avuto parole molto dure.
Sentiamo Graziano Motta:
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La comunità internazionale non ha
altra scelta che quella di agire fermamente contro Hamas e le organizzazioni
palestinesi estremiste. Così il presidente Bush ha risposto alle perplessità
crescenti da parte degli osservatori sulla politica israeliana di eliminazioni
“mirate” di capi della rivolta palestinese, che coinvolgono dei civili
innocenti. Bush ha parlato di una “estrema determinazione nella lotta contro
gli assassini” e sembra che questa dura posizione abbia ammorbidito lo sceicco Ahmed
Yassin. Il leader
spirituale di Hamas ha infatti affermato che la sua organizzazione sarebbe
pronta a porre termine alla guerriglia ed agli attentati suicidi – definiti “resistenza
armata” – a condizione che le truppe israeliane si ritirino non solo da Gaza
ma, sia pure gradualmente, anche dalle zone della Cisgiordania rioccupate, sino
ai confini del 1967. Hamas – ha proseguito Yassin – non vuole uccidere i civili
innocenti, “deplora” anzi la morte di donne e bambini, e comunque agisce
“secondo i principi islamici dell’occhio per occhio e dente per dente”.
Per Radio Vaticana,
Graziano Motta.
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●Mohamed El Baradei, direttore generale
dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ha tenuto oggi a Vienna
l’intervento inaugurale della riunione del Consiglio dei governatori, dove
verrà esaminato il rapporto sull’Iran. Teheran ha ribadito questa mattina il
proprio rifiuto ad accogliere ispettori, e non ha voluto fornire all’Europa le
garanzie richieste sul proprio programma nucleare. Quanto agli Stati Uniti, il
governo ha affermato che “il dialogo è attualmente impossibile”, protestando
per le “crescenti ingerenze americane” nei suoi affari interni. Il regime degli
ayatollah deve intanto far fronte alle continue proteste di studenti e società
civile, che anche stanotte hanno provocato feriti e diversi arresti. Alberto
Zanconato, corrispondente Ansa a Teheran, ci spiega l’origine di queste manifestazioni:
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La voglia di democrazia. L’80 per
cento degli iraniani ha votato per il presidente della Repubblica Khatami nel
’97, e poi ancora nel 2001, credendo alle sue promesse di riforme, ma
soprattutto di democratizzazione del Paese. Ora, questo processo di riforme ha
subito molte battute di arresto per la reazione dei conservatori. Il potere
politico, in sostanza, non è cambiato. E, quindi, quello che ha portato la gente
in piazza in questi ultimi giorni è proprio la delusione per l’arresto di
questo processo. Sicuramente la società sta cambiando, è cambiata molto negli
ultimi anni. E, quindi, questa frattura tra società e regime si amplia sempre
di più.
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●La ricerca delle armi di
distruzione di massa in Iraq ha prodotto un ennesimo fallimento. Esperti britannici
hanno, infatti, stabilito che i due camion trovati nel nord del Paese, e
presentati come laboratori mobili per lanciare un’offensiva batteriologica,
servissero in realtà per produrre idrogeno. Nel Paese, intanto, il clima è
sempre più teso: di fronte alla crescente ostilità della popolazione locale, le
forze americane hanno lanciato una seconda offensiva – denominata “desert
scorpion” – contro gli ultimi irriducibili del rais. Ce ne parla Paolo
Mastrolilli:
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“Desert
Scorpion” è cominciata sabato notte a Falluja, la città occidentale nel
cosiddetto triangolo sunnita, dove la resistenza all’occupazione ha attaccato
gli americani quasi ogni giorno. I soldati hanno arrestato diverse persone e
sequestrato armi ed esplosivi. Ieri mattina, però, sono stati seguiti da camion
con razioni alimentari, prodotti farmaceutici ed altri beni da distribuire alla
popolazione. Il comando centrale infatti ha detto che la nuova offensiva è
disegnata per identificare e sconfiggere selezionati lealisti del partito
Baath, organizzazioni terroristiche ed elementi criminali, consegnando
simultaneamente aiuti umanitari. I fedelissimi del vecchio regime, intanto,
continuano a colpire. Ieri, un camion americano è stato attaccato a circa 20
chilometri a sud di al-Balad. La resistenza potrebbe essere fomentata dallo stesso
Saddam, che, secondo quanto ha detto la figlia Raghad, al Times di
Londra, è sopravvissuto alla guerra insieme ai figli Udai e Qusai e si nasconde
in Iraq.
Da New York, per la
Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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●Torna
la violenza in Algeria. Quattro poliziotti sono stati uccisi ed uno è rimasto
ferito ieri sera nell’esplosione di una bomba a Tizi N’Tleta, nella Grande
Kabylia, 110 chilometri ad est della capitale, Algeri. La deflagrazione è
avvenuta al passaggio di una camionetta della polizia, in una zona dove operano
militanti del Gruppo salafista per la predicazione ed il combattimento.
●Restano
imprecise le notizie relative ad un nuovo massacro che sarebbe stato compiuto
negli ultimi giorni in Ituri, nel nordest della Repubblica Democratica del
Congo. Secondo alcune testimonianze, ci sarebbero 77 morti; secondo altre
fonti, le vittime sarebbero almeno un centinaio. Il servizio di Giulio Albanese:
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La conferma ufficiale di Kampala è
avvenuta proprio dal generale Kale Kahiura, comandante della Forza di invasione
in Congo, rimpatriata il mese scorso per ordine del presidente ugandese, Yoweri
Museveni. Il massacro
è avvenuto l’11 giugno scorso a Nyoca, 200 chilometri a nord-est di Bunia, capoluogo
dell’insanguinata regione dell’Ituri, dove è operativa tra l’altro da alcuni
giorni una forza di pace dell’Unione Europea, incaricata di proteggere i civili
e le organizzazioni umanitarie che si adoperano per soccorrere la stremata
popolazione. Al momento non si conoscono altri particolari sul massacro e, soprattutto,
non si hanno informazioni da fonti indipendenti. Le vittime, di etnia Alur, sarebbero
state aggredite nel villaggio da milizie Lendu.
Per la Radio
Vaticana, Giulio Albanese.
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●Nuove minacce in Uganda
da parte di Joseph Kony, il leader del sedicente Esercito di resistenza del Signore
(Lra). Usando gli apparati ricetrasmittenti rubati negli ultimi mesi alle
missioni cattoliche, il capo dei guerriglieri ha ordinato ai suoi uomini di
ammazzare senza pietà chiunque capiti loro a tiro – compresi anziani e bambini
– e di risparmiare solo le donne incinte. Il bilancio degli ultimi attacchi dei
ribelli è piuttosto pesante: almeno 33 vittime, una settantina di rapiti – che
verranno probabilmente arruolati a combattere – e circa 300 capanne date alle
fiamme.
●È iniziata nel sangue la
nuova tornata di colloqui, in Tanzania, tra il governo del Burundi ed i ribelli
delle Forze di difesa della democrazia. Un gruppo di uomini armati ha infatti
ucciso, in un bar di Makamba – circa 200 chilometri a sudest di Bujumbura –
Gerard Buryo, deputato della maggioranza. I guerriglieri si sono detti estranei
all’omicidio, ordinando anche l’apertura di un’inchiesta.
●È ancora molto bassa
l’affluenza alle urne in Italia, dove si vota fino alle 15 per i due referendum
sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e sulla servitù coattiva di
elettrodotto. Alle 22 di ieri sera aveva votato il 17,5 per cento degli
elettori. Non sono ancora disponibili i dati di questa mattina, ma il quorum minimo
del 50 per cento appare comunque lontano.
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