RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 167 - Testo della Trasmissione di lunedì 16 giugno 2003

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’urgenza di una efficace opera di evangelizzazione, in sintonia con i pastori delle diocesi, richiamata dal Papa nell’udienza al Capitolo generale dell’Ordine dei Frati Minori

 

Liberare l’uomo dalla povertà, imperativo etico per la coscienza umana. Così il delegato della Santa Sede, mons. Giampaolo Crepaldi, alla Conferenza internazionale del lavoro, in corso a Ginevra

 

Le grandi sfide della globalizzazione, del lavoro e del commercio mondiale viste da un osservatore della Santa Sede: intervista con l’arcivescovo Diarmuid Martin.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Un anno fa la canonizzazione di padre Pio da Pietrelcina. Con noi, il portavoce del Convento di San Giovanni Rotondo, padre Luciano Lotti

 

Milioni di bimbi africani, privi del certificato di nascita e dei relativi diritti umani. Una piaga denunciata dalla Giornata del Bambino Africano. Ai nostri microfoni, Rossella Del Conte.

 

CHIESA E SOCIETA’:

      Dialogo per la pace tra governo e ribelli in Costa d’Avorio incoraggiato dai vescovi.

 

 Drammatica crisi della sanità in Liberia. Rischio di catastrofe umanitaria secondo l’OMS.

 

Appello dei missionari cappuccini di Antiochia a non dimenticare la Turchia, paese colpito dal crollo del settore turistico a causa della recente guerra in Iraq

 

Intervento del cardinale Francis Stafford sulla prossima Giornata mondiale della gioventù di Colonia 2005

 

In Zimbabwe, Paese colpito da una lunga serie di scioperi, il governo ha introdotto nuove norme per regolamentare le manifestazioni di protesta   

 

24 ORE NEL MONDO’:

 

Medio oriente, Hamas disponibile ad una tregua in cambio del ritiro totale israeliano – L’Iran rifiuta gli ispettori dell’Aiea e giudica “impossibile” il dialogo con gli Stati Uniti. Monta la protesta contro i conservatori – In Iraq parte “Desert scorpion”, ma le armi di distruzione di massa ancora non si trovano. 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

16 giugno 2003

 

 L’URGENZA DELLA VERA SANTITA’ SULLA SCIA DEL POVERELLO D’ASSISI

PER RIPROPORRE A TUTTI QUESTA MISURA ALTA DELLA VITA CRISTIANA:

COSI’ IL PAPA RICEVENDO IN UDIENZA

IL CAPITOLO GENERALE DEI FRATI MINORI

- A cura di Carla Cotignoli -

 

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“Tendete alla santità! Ecco una vera urgenza pastorale per il nostro temp”.

 

E’ questa la consegna del Papa ai 200 frati minori riuniti da tre settimane alla Porziuncola, presso Assisi, per il Capitolo generale, ricevuti in udienza questa mattina nella Sala Clementina, insieme al neo-eletto ministro generale fra Josè Rodriguez Carballo. “E’ ora di riproporre a tutti con convinzione questa ‘misura alta’ della vita cristiana” - ha ribadito il Papa riprendendo le parole della Lettera apostolica Novo millennio ineunte. Ma “per aiutare gli altri a cercare Dio al di sopra di tutto – ha aggiunto – occorre che voi per primi, vi impegniate in questa ardua, ma esaltante ascesi personale e comunitaria”. Un itinerario questo già tracciato da tempo, “qualificato da uno specifico carisma autenticato dalla Chiesa”. Con un perenne modello di riferimento: il Poverello di Assisi. Conservate il vostro tipico stile improntato a povertà e vita fraterna, docilità e obbedienza – ha detto il Papa – tenendo fisso lo sguardo su Cristo, come faceva il ‘Poverello’ d’Assisi, vostro padre e maestro”.

 

“Egli insegna che ‘il predicatore deve prima attingere nel segreto della preghiera ciò che poi riverserà nei discorsi. Prima deve riscaldarsi interiormente, per non proferire all’esterno fredde parole’”.

 

E’ questa una citazione di Tommaso da Celano, il primo biografo di San Francesco. Di lui cita un altro passaggio in cui viene affermato  il ruolo fondamentale riconosciuto da San Francesco allo Spirito Santo, tanto da definirlo “Ministro generale dell’ordine”. Il Papa ha quindi auspicato che lo Spirito Santo conceda ai figli di Francesco oggi, di “meglio comprendere quali sono le priorità della missione che Dio affida loro per il bene della Chiesa e del mondo”.

 

Trattando poi dell’”urgenza della nuova evangelizzazione”, il Santo Padre ha ricordato che “questo impegno missionario risulterà fruttuoso nella misura in cui sarà svolto in sintonia con i legittimi pastori” ed ha rilevato con favore il superamento di “difficoltà esistenti in alcuni territori”.

 

E’ questo l’impegno riaffermato dal ministro generale fra José Rodriguez Carballo, nell’indirizzo di saluto al Papa, a nome dei  16.000 frati minori in 110 Paesi del mondo: “essere al servizio della Chiesa e contribuire alla sua missione di annuncio”, lieti di vivere a servizio dei più poveri e dei più deboli.

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UDIENZA A NUNZI APOSTOLICI, NOMINA DI CURIA E PROVVISTA DI CHIESA IN GERMANIA

 

Il Papa ha ricevuto in udienza questa mattina tre rappresentanti pontifici: il nunzio apostolico presso le Comunità Europee, mons. Faustino Sainz Munoz; il nunzio apostolico in Canada, mons. Luigi Ventura; il nunzio apostolico in Kuwait, in Bahrain e in Yemen, nonché delegato apostolico nella Penisola Arabica; e il neo arcivescovo coadiutore di Dublino, mons. Diarmuid Martin, che ha ricevuto dal Santo Padre questa nomina il 3 maggio scorso, dopo aver svolto la missione di osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra e presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

 

Il Santo Padre ha nominato capo ufficio per l’islamismo nel Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso il reverendo mons. Khaled Akasheh, finora aiutante di studio dello stesso dicastero.

 

Nella Repubblica Federale di Germania, il Pontefice ha nominato arcivescovo metropolita di Freiburg im Breisgau il prelato mons. Robert Zollitsch, di 64 anni, attualmente canonico del locale Capitolo metropolitano e direttore del dipartimento per il personale della Curia arcidiocesana.

 

 

LIBERARE L’UOMO DALLA POVERTA’, IMPERATIVO ETICO PER LA COSCIENZA UMANA:

INTERVENTO DEL CAPO DELEGAZIONE DELLA SANTA SEDE,

VESCOVO GIAMPAOLO CREPALDI, ALLA 91.MA CONFERENZA INTERNAZIONALE

DEL LAVORO IN CORSO A GINEVRA

- A cura di Paolo Scappucci -

 

         “La povertà non è più una fatalità! Liberarne l’uomo è dunque un imperativo etico che si impone alla coscienza dell’umanità”: con riferimento al Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, lo afferma il capo-delegazione della Santa Sede, vescovo Giampaolo Crepaldi, intervenendo alla 91.ma Conferenza internazionale del lavoro in corso a Ginevra per iniziativa del Bureau International du Travail sul tema: “Affrancarsi dalla povertà mediante il lavoro”.

 

         Citando la Centesimus Annus, il presule sottolinea che “bisogna abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone e popoli – come un fardello... I poveri chiedono di mettere a profitto la loro capacità di lavoro per creare un mondo più giusto e più prospero per tutti. Il progresso dei poveri è una grande opportunità per la crescita morale, culturale ed anche economica di tutta l’umanità”.

 

         Dopo aver ricordato l’impegno della comunità internazionale di ridurre della metà, entro il 2015, il numero delle persone che vivono in povertà estrema, mons. Crepaldi insiste – come evidenziato dal Santo Padre nel citato Messaggio – sulla necessità di rispettare le promesse nei confronti dei poveri, pena il drammatico aumento delle loro sofferenze per la perdita di fiducia, con risultato finale della caduta di ogni speranza.

 

         Il capo-delegazione della Santa Sede non manca quindi di richiamare l’attenzione dei responsabili delle politiche del lavoro, a livello nazionale e internazionale, sul problema fondamentale della disoccupazione giovanile. La difficoltà del compito è evidentemente enorme, ma occorre al riguardo coniugare la grandezza degli obiettivi con il senso della realtà, puntando in particolare sulla necessità della partecipazione, modo concreto per ancorare il processo di affrancamento dalla povertà alla realtà locale.

 

         A conclusione del suo intervento, mons. Crepaldi  rileva il ruolo fondamentale del Bureau International du Travail (BIT) per integrare gli obiettivi dell’impiego e del lavoro dignitoso nelle strategie di riduzione della povertà nel mondo.

 

 

 

 

 

 

 

LE NUOVE SFIDE MONDIALI DELLO SVILUPPO E DEL LAVORO

VISTE DA UN OSSERVATORE DELLA SANTA SEDE

- Intervista con mons. Diarmuid Martin -

 

Tra le udienze che il Papa ha concesso stamattina, c’è stata anche quella a mons. Diarmuid Martin, appena nominato arcivescovo coadiutore di Dublino. Mons. Martin è stato per due anni Osservatore permanente della Santa Sede all’ufficio Onu di Ginevra, ed ha avuto rapporti con le principali agenzie delle Nazioni Unite, tra cui l’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto). Prima di incontrare il Papa, il presule irlandese ha accettato di fare con noi un bilancio del suo mandato. Andrea Sarubbi gli ha chiesto come è cambiata la globalizzazione in questi due anni:

 

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R. – Ci sono dei cambiamenti, c’è certamente molta più attenzione alla dimensione sociale della globalizzazione, almeno a parole. Ad esempio, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha istituito una commissione ad alto livello per esaminare le dimensioni sociali della globalizzazione. Quando sono arrivato a Ginevra, l’Organizzazione mondiale del commercio insisteva molto sul fatto di non essere un’organizzazione per lo sviluppo, ma di avere come unico compito quello di trovare e formulare delle regole per il libero commercio. Preoccuparsi dello sviluppo, insomma, sarebbe dovuto toccare ad altri. Invece, alla Conferenza di Doha di novembre 2001, si è presentato il documento finale come una development agenda ed ora si comincia a comprendere che un sistema di commercio internazionale libero funzionerà solamente se ci sono delle persone capaci di farlo funzionare bene e nella maniera giusta. In altre parole, c’è la necessità di investire molto nelle capacità delle persone nei Paesi in via di sviluppo.

 

D. – Molti si chiedono come mai il Vaticano faccia parte, come Osservatore, del Wto: qual è il contributo che lei ha cercato di dare alle riflessioni in questi due anni?

 

R. – Nel Wto, la prima cosa è cercare di elaborare un sistema multilaterale di regole per il commercio, che dia le stesse opportunità ai Paesi poveri ed a quelli ricchi. Purtroppo, c’è un’asimmetria nel punto di partenza. Per me è stato molto importante sottolineare l’importanza di assistenza tecnica ai Paesi poveri, per renderli capaci di approfittare dell’opportunità che il commercio offre; bisogna anche convincere i Paesi ricchi che non basta predicare il libero commercio, ma occorre aprire i mercati ai prodotti dai quali i Paesi poveri traggono vantaggio. Quindi, non cercare di bloccare ciò attraverso sussidi o protezionismo.

 

D. – Un anno e mezzo fa, a Doha, sembrava si fosse trovato un accordo storico: sembrava che finalmente i farmaci per le gravi malattie e per le epidemie fossero garantiti a tutti, gratuitamente. Sono passati ormai 19 mesi e siamo ancora al punto di partenza ...

 

R. – Tutti cantavano vittoria, tutti dicevano che questo accordo avrebbe creato una nuova situazione, e adesso – un anno e mezzo dopo – siamo bloccati e non abbiamo compiuto il progresso sperato. Questo crea problemi anche in merito alla credibilità degli organismi. L’altro giorno, nel prendere congedo dal direttore dell’Organizzazione mondiale del Commercio, gli ho ricordato che – se gli impegni erano stati presi dai ministri dei vari governi – le promesse, invece, erano state fatte ai poveri, e la comunità internazionale non può deludere i poveri facendo promesse che poi non si mantengono. Questo è esattamente il contrario dello ‘sviluppo’.

 

D. – Stando a Ginevra, Lei ha visto anche la ‘faccia sporca’ della politica: al di là delle buone intenzioni ci si scontra – anche Europa e Stati Uniti si scontrano su questo punto, quasi ogni settimana – sulle barriere da mettere o da non mettere, sui sussidi da dare o da non dare ... Questo scoraggia un po’ il lavoro?

 

R. – Certamente, qualche volta è scoraggiante vedere questa lentezza delle trattative. Però bisogna considerare che i negoziati hanno un ritmo ed un tempo loro, e qualche volta ci sono degli ‘incidenti di percorso’. L’importante è rendersi conto che, in generale, si sta andando nella direzione giusta e vigilare che non si torni indietro. La mia esperienza mi ha insegnato a non perdere la pazienza, a saper dire una parola un po’ forte alle persone quando occorre, per evitare che interessi economici locali dominino sulla necessità primaria: la creazione di un sistema non solo di libero commercio, ma di rapporti onesti, giusti e pacifici tra le popolazioni.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

Apre la prima pagina il seguente titolo "La comunità internazionale non si stanchi di aiutare israeliani e palestinesi entrati in un vortice senza fine di violenze e di rappresaglie": per la Terra Santa, sconvolta da gironi di sangue e di morte, Giovanni Paolo II rinnova ancora una volta il suo appello alla pace, alla giustizia, al perdono.

 

Nelle vaticane, il titolo all'Angelus è "Santissima Trinità: l'orizzonte primo e ultimo dell'universo e della storia". Si ricorda, poi, il dramma dei rifugiati nel mondo: quasi la metà sono bambini e ragazzi.

Nel discorso al Capitolo Generale dell'Ordine dei Frati Minori, Giovanni Paolo II ha esortato a tendere alla santità nel segno della povertà e dell'obbedienza.

Un articolo di Marcello Bordoni sull'Enciclica "Ecclesia de Eucharistia".

Una pagina dedicata alla Serva di Dio, Suor Teresina di Gesù Obbediente.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: Israele pronta a ritirarsi dalla Striscia di Gaza.

Iraq: un'altra imboscata contro un convoglio Usa.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Carmine Di Biase dal titolo "Pirandello e il giornalismo": una monografia di Franco Zangrilli.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il referendum: quorum a rischio.

Tra i temi in rilievo, l'immigrazione.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

16 giugno 2003

 

 

 

 

 

 

 

“PER OGNI BAMBINO, UNA IDENTITA’”. E’ IL MOTTO DELLA 13.MA

GIORNATA DEL BAMBINO AFRICANO, PROMOSSA DALL’UNICEF

E DEDICATA ALLA PIAGA DE MILIONI DI NEONATI AFRICANI

PRIVI DI CERTIFICATO DI NASCITA UFFICIALE E SPESSO VITTIME DI ABUSI

 

- Intervista con Rossella Del Conte -

 

Non possedere un certificato di nascita e quindi, di fatto, non esistere per lo Stato nel quale si è venuti al mondo. Quella che per un bambino di una qualsiasi nazione occidentale potrebbe essere poco più di una noia burocratica - di più, un avvenimento assurdo - diventa un autentico dramma per moltissimi bambini africani. Nel 2002, afferma l’Unicef, ben 50 milioni di neonati in Africa non hanno mai avuto un’identità ufficiale, quindi né un nome registrato né una nazionalità. Piccoli e incolpevoli “fantasmi” per l’anagrafe, sono condannati ad andare incontro ad enormi e talvolta insormontabili difficoltà nel loro inserimento all’interno della società: come, ad esempio, al momento di trovare un lavoro, esercitare il diritto di voto, richiedere un passaporto o un certificato di matrimonio.

 

Tra le cause più comuni di questa piaga sociale, l’organismo Onu per l’infanzia include il cosiddetto “letargo burocratico”, la mancanza di risorse economiche, la lontananza dei luoghi di registrazione dalle zone rurali. C’è poi il rovescio della medaglia, quello degli abusi: senza un nome ufficialmente riconosciuto, non si hanno diritti e spesso si diventa il bersaglio preferito di gente senza scrupoli in cerca di minorenni da sfruttare.

 

Contro questo scenario grave ma purtroppo reale, si è schierata l’Unicef che oggi vede celebrata in molti Stati la sua 13.ma Giornata del Bambino Africano, inaugurata nel 1991 dall’Organizzazione dell’Unità Africana per commemorare la manifestazione di migliaia di scolari del ghetto nero di Soweto (Sud Africa), repressa nel sangue 27 anni fa. Ma in quali zone dell’Africa è più evidente questo fenomeno, che interessa ormai il 40 per cento delle nascite globali? La risposta dell’Unicef arriva da Rossella Del Conte, intervistata da Alessandro De Carolis:

 

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R. – E’ un fenomeno che si riscontra soprattutto nell’Africa subsahariana, quindi tra i Paesi di fatto più poveri del continente, dove il tasso di mortalità infantile è fra i più alti e dove c’è quindi difficoltà anche nella registrazione delle nascite. Le soluzioni a questo problema sono la diffusione capillare di una adeguata informazione, che faccia comprendere a tutti l’importanza di essere registrati per avere accesso ad alcune fondamentali risorse per la vita personale: l’assistenza sanitaria, ad esempio, l’istruzione e tutta una serie di altri diritti. Si pensi a come possa essere facile per un bambino che non è registrato, e che dunque di fatto non esiste, essere attirato nel traffico degli esseri umani, che sappiamo una piaga diffusa sia da un punto di vista sessuale, purtroppo, sia legata al lavoro illegale. Non essere registrati vuol dire senza dubbio essere preda di questo traffico.

 

D. – Combattere il fenomeno impone quindi alle autorità di ogni Paese di raggiungere anche i villaggi più sperduti, per indurre i genitori a registrare i propri figli...   

 

R. - Certamente. Intanto, va operato un cambiamento culturale: e questo l’Unicef  lo ha come obiettivo, insieme a tutte le altre organizzazioni. In altre parole, cerchiamo di esercitare pressioni perché i governi interessati capiscano che quella della registrazione è una priorità. Nel momento in cui lo si comprende, si mette in moto un meccanismo che consente di raggiungere i Paesi e i villaggi più sperduti. E l’Unicef, sempre più, insieme ai governi, adotta come mezzo per riuscire nell’impresa il lavoro dei volontari, giovani e meno giovani. Questo modo è l’unico per raggiungere veramente tutti. Naturalmente, per condurre in porto questa operazione, che sembra semplice ai nostri occhi, c’è anche bisogno di risorse economiche. Bisogna, sì, convincere i governi a spendere le proprie, ma è indispensabile convincere anche i nostri governi ad impegnarsi in modo tale che queste campagne vadano a buon fine.

 

D. - Hai potuto constatare di persona questo problema in qualche Paese africano?

 

R. – Personalmente, quando sono stata in Angola all’inizio del maggio scorso, ho constatato che si stanno facendo dei passi da gigante anche in direzione della registrazione dei bambini alla nascita. E questo anche perché si è scelto di affiancarla ad altre campagne che l’Unicef già porta avanti in tutti questi Paesi, per esempio la vaccinazione di massa. In Angola, c’è stata una campagna di vaccinazioni contro il morbillo, che aveva come obiettivo, e l’ha raggiunto, di vaccinare 7 milioni di bambini. Ma, attraverso la vaccinazione, è stato possibile anche procedere ad una registrazione e questo sistema porterà, speriamo, ad una soluzione del problema.

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PER IL PRIMO ANNO DI SAN PIO FOLLA DI PELLEGRINI A SAN GIOVANNI ROTONDO

- Intervista con padre Luciano Lotti -

 

Sono cominciate ieri sera, con una fiaccolata a san Giovanni Rotondo, le celebrazioni per l’anniversario della canonizzazione di Padre Pio, presieduta da Giovanni Paolo II lo scorso 16 giugno in piazza San Pietro. Il Papa aveva definito il frate di Pietrelcina “un santo per il nuovo millennio, esempio di preghiera e carità”, annunciando la nuova ricorrenza fissata nel calendario liturgico: il 23 settembre, giorno della morte di Padre Pio. Ad un anno dalla canonizzazione, Fausta Speranza ha chiesto a padre Luciano Lotti, portavoce dei frati cappuccini di San Giovanni Rotondo, che cosa è cambiato:

 

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R. – C’è veramente una maggiore consapevolezza a livello ecclesiale. Padre Pio, con la canonizzazione, non è più solo un momento importante della storia dell’Ordine Cappuccino,  ma è veramente una figura emblematica per tutta la Chiesa. E noi abbiamo constatato che veramente la Chiesa ha preso coscienza di questo: i vescovi sempre più frequentemente accompagnano personalmente i pellegrini, e poi io vengo chiamato nelle diocesi a parlare al clero diocesano e a presentare la figura di Padre Pio. Per l’Ordine Cappuccino, Padre Pio sta diventando un po’ un punto di riferimento per la spiritualità. Una nota importante è il fatto che l’Unitalsi ha inserito San Giovanni Rotondo nei grandi pellegrinaggi: cioé oltre a Lourdes e a Loreto.

 

D. – Che dire della sensibilità della gente?

 

R. – La gente si sta evolvendo molto in senso positivo. Abbiamo sempre tante persone che vengono a San Giovanni Rotondo e sappiamo che molto spesso si viene per la richiesta di grazie, di aiuti spirituali. Ultimamente però San Giovanni Rotondo sta diventando il punto di riferimento per un momento anche di riflessione a livello personale o per fare un po’ il punto sulla propria situazione di vita. Padre Pio rimane sempre un modello e un punto di riferimento per la nostra società.

 

D. – Padre Lotti, un ricordo di un anno fa, al momento della canonizzazione?

 

R. – Ero a San Giovanni Rotondo. Un episodio personale: ero accanto a mio padre, che ha conosciuto Padre Pio, e ad un sacerdote anziano che anche lui aveva conosciuto Padre Pio. Si sono guardati e quel sacerdote ha detto a mio padre: ‘Io non pensavo proprio di arrivare a questo momento’. Ecco, la canonizzazione è stato un momento grande di Chiesa, importante; però, per tutti noi che l’abbiamo conosciuto è stato veramente anche un momento importante proprio a livello personale.

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CHIESA E SOCIETA’

16 giugno 2003

 

 

 

  

LA COSTRUZIONE DELLA PACE E LA PROMOZIONE DEL DIALOGO TRA I RIBELLI

E LE FORZE GOVERNATIVE IN COSTA D’AVORIO. QUESTE LE PRIORITÀ ESPRESSE

DAI VESCOVI IVORIANI NELLA LORO ASSEMBLEA PLENARIA,

 CONCLUSASI IERI AD ABIDJAN

 

ABIDJAN. = Si è conclusa ieri, ad Abidjan, la 76.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale della Costa d’Avorio. I lavori, iniziati mercoledì scorso, hanno messo a fuoco i segni della crisi che sta colpendo da quasi un anno il Paese africano. Lo Stato ivoriano, lentamente avviato verso un graduale ritorno alla normalità, è ancora vittima, infatti, di una profonda divisione tra il Nord, controllato dai ribelli, ed il Sud, presidiato dalle forze governative. “La situazione della Costa d’Avorio – ha dichiarato il presidente della Conferenza episcopale, mons. Vital Kobenan Yao – ci obbliga all’ascolto reciproco, ad unirci e a ritrovarci”. Più volte, ha ricordato mons. Yao, i vescovi hanno invitato le diverse parti in conflitto al dialogo, alla ponderazione e a sacrifici di conciliazione in vista di un risultato felice ed accettabile. Il vicepresidente della Conferenza episcopale, mons. Laurent Mandjo, ha ricordato ai confratelli il fallimento del cosiddetto Forum della riconciliazione che si tenne nel 2002. “Contrariamente a quello che si attendeva il popolo – ha affermato mons. Mandjo – il Forum ha servito su un piatto d’oro il placebo della menzogna, dell’ipocrisia e della doppiezza sottilmente ammantato di buone intenzioni e di voci pie”. (A.L.)

 

 

IN LIBERIA, DOVE LA SITUAZIONE SANITARIA È DRAMMATICA, SI RISCHIA DI ANDARE

 INCONTRO AD UNA CATASTROFE UMANITARIA. QUESTO L’ACCORATO APPELLO

 LANCIATO DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ

 

MONROVIA. = “In assenza di soccorsi, la situazione sanitaria a Monrovia va verso una catastrofe”. È il drammatico appello lanciato dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sulla situazione degli sfollati in Liberia. Secondo un primo bilancio sugli scontri dei giorni scorsi tra l'esercito fedele al presidente liberiano, Charles Taylor, ed i ribelli, le vittime dei gravi episodi di violenza sarebbero circa 400. Il portavoce dell'Oms, Christine McNab, ha sottolineato anche la grave carenza d’acqua in alcuni dei campi per i rifugiati. La tregua raggiunta mercoledì tra le forze governative ed i ribelli ha permesso, intanto, l'attività di assistenza agli sfollati. Il Programma alimentare mondiale (Pam) spera di riprendere quanto prima la distribuzione di aiuti, interrotta da sei settimane, in sette campi disseminati nella periferia della capitale liberiana, che già prima dei recenti scontri ospitavano 115 mila persone. Sul fronte politico, il presidente liberiano Charles  Taylor “non si ripresenterà” alla scadenza del suo mandato, nel gennaio 2004. Lo ha affermato ieri a Lomè l'ex presidente nigeriano, Abdulsalami Abubakar, mediatore dell'Ecowas per la crisi liberiana.  (A.L.)

 

 

NON DIMENTICHIAMO LA TURCHIA, PAESE COLPITO DAL CROLLO

 DEL SETTORE TURISTICO A CAUSA DELLA RECENTE GUERRA IN IRAQ.

E’ L’APPELLO DEI MISSIONARI CAPPUCCINI DI ANTIOCHIA

 

ANTIOCHIA. = La guerra in Iraq ha portato la Turchia ad un nuovo tracollo economico a causa del conseguente calo registrato dalla locale industria turistica. “Bisogna rispondere concretamente e prima possibile a questo drammatico aumento della povertà che colpisce soprattutto le classi sociali meno abbienti”.  E’ questo l’allarme lanciato all’Agenzia Fides dai padri cappuccini della missione di Antiochia, che aiuta numerose famiglie offrendo loro generi alimentari di prima necessità, contributi per le spese mediche o incentivando l’avvio di piccole attività artigianali e commerciali. “In una nazione che vive di turismo culturale e religioso – spiega una laica collaboratrice della missione, Maria Grazia Zambon – chi soffre per primo questa difficile situazione sono i contadini, i piccoli commercianti, gli artigiani, le guide turistiche ed i gestori di locande”. Il crollo dell’economia, già debole prima della guerra nel Golfo Persico, spinge le famiglie turche a limitare al massimo ogni genere di spese. L’unica forma di sostegno, spesso, proviene dall’estero. Quasi tutti i nuclei familiari, infatti, hanno almeno un parente all’estero, soprattutto in Germania, che riesce a spedire qualche risparmio per le spese più urgenti impedendo che i propri familiari, rimasti in Turchia, sprofondino ancor più nel baratro dei debiti. “Con questa economia di sussistenza - aggiunge Maria Grazia Zambon - la gente vive perennemente in una situazione di emergenza”. In un contesto così instabile, è necessario incentivare il turismo ed il commercio anche attraverso aiuti tangibili. “E possibile manifestare la propria solidarietà – affermano i frati del luogo - sostenendo concretamente, secondo le possibilità di ciascuno, il Centro di cooperazione missionaria dei frati cappuccini emiliani, un ponte che dall’Italia fa pervenire le offerte in modo sicuro e immediato”. Chi volesse venire a conoscenza dei vari progetti esistenti ad Antiochia e sostenere le attività dei frati in Turchia, può contattare direttamente il coordinatore dell’animazione missionaria, frate Adriano Parenti, al seguente indirizzo di posta elettronica: centromissionario@tin.it. Chi, invece, ha intenzione di fare un’esperienza di fede e solidarietà in questa terra ricca di memorie può contattare la missione di Antiochia scrivendo a: domenicobertogli@hotmail.com. (A.L.)

 

 

“A COLONIA PER RIFLETTERE SUL FUTURO DELL’EUROPA”. E’ L’INVITO

DEL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI,

 IL CARDINALE  FRANCIS STAFFORD, PER LA PROSSIMA GIORNATA

MONDIALE DELLA GIOVENTÙ DI COLONIA 2005

 

COLONIA. = “Colonia è una città molto importante per tutta l'Europa, specialmente in questo periodo in cui c'è un acceso dibattito sulle sue radici cristiane, e nel 2005 ci sarà l'opportunità di offrire a Dio i nostri sentimenti come giovani europei per il futuro dell'Europa”. Così il presidente del Pontificio consiglio per i laici, il cardinale Francis Stafford, interviene in un’intervista rilasciata oggi al portale dei giovani cattolici, www.korazym.org, sulla prossima Giornata mondiale della Gioventù di Colonia 2005. La preparazione tecnica e spirituale di questo importante appuntamento  è entrata nel vivo dopo la presentazione, giovedì scorso, del logo della Gmg. “Il pellegrinaggio a Colonia – afferma il cardinale - sarà una opportunità, per gli oltre 800 mila giovani attesi in Germania, di discutere sul futuro di questo grande continente costruito sui valori del cristianesimo”. L’appuntamento di Colonia costituirà dunque, per i giovani, una grande opportunità di riflessione. “La cultura post-moderna – aggiunge Stafford, riferendosi al dibattito sulle radici cristiane dell’Europa, assenti nel preambolo del Trattato costituzionale europeo - ci chiama a dimenticare il passato ma il cristianesimo è una fede fondata sulla memoria”. “A Colonia – conclude - c'è una grande tradizione per i pellegrini cristiani che costituiscono una parte essenziale per la crescita del cristianesimo europeo”. (A.L.)

 

 

IN ZIMBABWE, PAESE COLPITO DA UNA LUNGA SERIE DI SCIOPERI, IL GOVERNO

HA INTRODOTTO NUOVE NORME PER REGOLAMENTARE LE MANIFESTAZIONI

 DI PROTESTA. SECONDO I RAPPRESENTANTI DEI PRINCIPALI SINDACATI

DEL PAESE AFRICANO, LE NUOVE MISURE NON CAMBIERANNO LA SITUAZIONE

 

HARARE. = Il governo dello Zimbabwe ha introdotto una serie di misure per regolamentare la possibilità di sciopero di alcune categorie di lavoratori. Lo riferisce un quotidiano locale, il “Sunday Standard”, precisando che i servizi veterinari e quelli farmaceutici sono stati inclusi nella lista di industrie e ospedali che per legge non possono partecipare allo sciopero dovendo garantire l'erogazione di servizi ritenuti indispensabili per la popolazione. La decisione è stata comunicata attraverso una nota governativa diffusa venerdì scorso e nel documento viene anche garantita al ministro del lavoro, July Moyo, la facoltà di dichiarare “essenziale” qualsiasi altro settore produttivo, qualora lo sciopero indetto dai sindacati “persistesse al punto da rappresentare una minaccia per la popolazione”. I responsabili dei principali sindacati del Paese hanno giudicato la nuova norma un segno della “disperazione” del governo  dopo la settimana di proteste organizzate dal principale partito d'opposizione, il “Movimento per il cambiamento democratico” (Mdc). La principale confederazione sindacale zimbabwana, la “Zimbabwe's Congress of Trade Unions” (Zctu), ha sottolineato che negli ultimi 5 anni il governo ha sistematicamente vietato qualsiasi sciopero, ma nonostante questo manifestazioni e proteste sono proseguite regolarmente. Intanto oggi il leader dello Mdc, Morgan Tsvangirai, è atteso di fronte all'Alta Corte di giustizia di Harare chiamata a decidere del suo rilascio su cauzione. Tsvangirai, si trova in stato di fermo da dieci giorni, da quando, lo scorso 6 giugno, è stato arrestato dalla polizia con l'accusa di “tradimento” per aver organizzato una settimana di manifestazioni e proteste contro il governo. (A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

16 giugno 2003

 

   - A cura di Andrea Sarubbi -

 

●Sembra riaprirsi uno spiraglio di pace per il Medio Oriente: grazie alla mediazione dell’Egitto, il movimento islamico Hamas fa marcia indietro e si dice disponibile ad un cessate il fuoco con Israele, in cambio del ritiro totale. La notizia, anticipata dal governo palestinese, è stata confermata dagli stessi attivisti, verso i quali ieri il presidente degli Stati Uniti, Bush, ha avuto parole molto dure. Sentiamo Graziano Motta:

 

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La comunità internazionale non ha altra scelta che quella di agire fermamente contro Hamas e le organizzazioni palestinesi estremiste. Così il presidente Bush ha risposto alle perplessità crescenti da parte degli osservatori sulla politica israeliana di eliminazioni “mirate” di capi della rivolta palestinese, che coinvolgono dei civili innocenti. Bush ha parlato di una “estrema determinazione nella lotta contro gli assassini” e sembra che questa dura posizione abbia ammorbidito lo sceicco Ahmed Yassin. Il leader spirituale di Hamas ha infatti affermato che la sua organizzazione sarebbe pronta a porre termine alla guerriglia ed agli attentati suicidi – definiti “resistenza armata” – a condizione che le truppe israeliane si ritirino non solo da Gaza ma, sia pure gradualmente, anche dalle zone della Cisgiordania rioccupate, sino ai confini del 1967. Hamas – ha proseguito Yassin – non vuole uccidere i civili innocenti, “deplora” anzi la morte di donne e bambini, e comunque agisce “secondo i principi islamici dell’occhio per occhio e dente per dente”.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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●Mohamed El Baradei, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ha tenuto oggi a Vienna l’intervento inaugurale della riunione del Consiglio dei governatori, dove verrà esaminato il rapporto sull’Iran. Teheran ha ribadito questa mattina il proprio rifiuto ad accogliere ispettori, e non ha voluto fornire all’Europa le garanzie richieste sul proprio programma nucleare. Quanto agli Stati Uniti, il governo ha affermato che “il dialogo è attualmente impossibile”, protestando per le “crescenti ingerenze americane” nei suoi affari interni. Il regime degli ayatollah deve intanto far fronte alle continue proteste di studenti e società civile, che anche stanotte hanno provocato feriti e diversi arresti. Alberto Zanconato, corrispondente Ansa a Teheran, ci spiega l’origine di queste manifestazioni:

 

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La voglia di democrazia. L’80 per cento degli iraniani ha votato per il presidente della Repubblica Khatami nel ’97, e poi ancora nel 2001, credendo alle sue promesse di riforme, ma soprattutto di democratizzazione del Paese. Ora, questo processo di riforme ha subito molte battute di arresto per la reazione dei conservatori. Il potere politico, in sostanza, non è cambiato. E, quindi, quello che ha portato la gente in piazza in questi ultimi giorni è proprio la delusione per l’arresto di questo processo. Sicuramente la società sta cambiando, è cambiata molto negli ultimi anni. E, quindi, questa frattura tra società e regime si amplia sempre di più.

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●La ricerca delle armi di distruzione di massa in Iraq ha prodotto un ennesimo fallimento. Esperti britannici hanno, infatti, stabilito che i due camion trovati nel nord del Paese, e presentati come laboratori mobili per lanciare un’offensiva batteriologica, servissero in realtà per produrre idrogeno. Nel Paese, intanto, il clima è sempre più teso: di fronte alla crescente ostilità della popolazione locale, le forze americane hanno lanciato una seconda offensiva – denominata “desert scorpion” – contro gli ultimi irriducibili del rais. Ce ne parla Paolo Mastrolilli:

 

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         “Desert Scorpion” è cominciata sabato notte a Falluja, la città occidentale nel cosiddetto triangolo sunnita, dove la resistenza all’occupazione ha attaccato gli americani quasi ogni giorno. I soldati hanno arrestato diverse persone e sequestrato armi ed esplosivi. Ieri mattina, però, sono stati seguiti da camion con razioni alimentari, prodotti farmaceutici ed altri beni da distribuire alla popolazione. Il comando centrale infatti ha detto che la nuova offensiva è disegnata per identificare e sconfiggere selezionati lealisti del partito Baath, organizzazioni terroristiche ed elementi criminali, consegnando simultaneamente aiuti umanitari. I fedelissimi del vecchio regime, intanto, continuano a colpire. Ieri, un camion americano è stato attaccato a circa 20 chilometri a sud di al-Balad. La resistenza potrebbe essere fomentata dallo stesso Saddam, che, secondo quanto ha detto la figlia Raghad, al Times di Londra, è sopravvissuto alla guerra insieme ai figli Udai e Qusai e si nasconde in Iraq.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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●Torna la violenza in Algeria. Quattro poliziotti sono stati uccisi ed uno è rimasto ferito ieri sera nell’esplosione di una bomba a Tizi N’Tleta, nella Grande Kabylia, 110 chilometri ad est della capitale, Algeri. La deflagrazione è avvenuta al passaggio di una camionetta della polizia, in una zona dove operano militanti del Gruppo salafista per la predicazione ed il combattimento.

 

●Restano imprecise le notizie relative ad un nuovo massacro che sarebbe stato compiuto negli ultimi giorni in Ituri, nel nordest della Repubblica Democratica del Congo. Secondo alcune testimonianze, ci sarebbero 77 morti; secondo altre fonti, le vittime sarebbero almeno un centinaio. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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La conferma ufficiale di Kampala è avvenuta proprio dal generale Kale Kahiura, comandante della Forza di invasione in Congo, rimpatriata il mese scorso per ordine del presidente ugandese, Yoweri Museveni. Il massacro è avvenuto l’11 giugno scorso a Nyoca, 200 chilometri a nord-est di Bunia, capoluogo dell’insanguinata regione dell’Ituri, dove è operativa tra l’altro da alcuni giorni una forza di pace dell’Unione Europea, incaricata di proteggere i civili e le organizzazioni umanitarie che si adoperano per soccorrere la stremata popolazione. Al momento non si conoscono altri particolari sul massacro e, soprattutto, non si hanno informazioni da fonti indipendenti. Le vittime, di etnia Alur, sarebbero state aggredite nel villaggio da milizie Lendu.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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●Nuove minacce in Uganda da parte di Joseph Kony, il leader del sedicente Esercito di resistenza del Signore (Lra). Usando gli apparati ricetrasmittenti rubati negli ultimi mesi alle missioni cattoliche, il capo dei guerriglieri ha ordinato ai suoi uomini di ammazzare senza pietà chiunque capiti loro a tiro – compresi anziani e bambini – e di risparmiare solo le donne incinte. Il bilancio degli ultimi attacchi dei ribelli è piuttosto pesante: almeno 33 vittime, una settantina di rapiti – che verranno probabilmente arruolati a combattere – e circa 300 capanne date alle fiamme.

 

●È iniziata nel sangue la nuova tornata di colloqui, in Tanzania, tra il governo del Burundi ed i ribelli delle Forze di difesa della democrazia. Un gruppo di uomini armati ha infatti ucciso, in un bar di Makamba – circa 200 chilometri a sudest di Bujumbura – Gerard Buryo, deputato della maggioranza. I guerriglieri si sono detti estranei all’omicidio, ordinando anche l’apertura di un’inchiesta.

 

●È ancora molto bassa l’affluenza alle urne in Italia, dove si vota fino alle 15 per i due referendum sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e sulla servitù coattiva di elettrodotto. Alle 22 di ieri sera aveva votato il 17,5 per cento degli elettori. Non sono ancora disponibili i dati di questa mattina, ma il quorum minimo del 50 per cento appare comunque lontano.

 

 

 

          

 

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