RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 166 - Testo della Trasmissione di domenica 15 giugno 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Aiutare israeliani e palestinesi a ritrovare il senso dell’uomo: all’Angelus, nuovo appello di Giovanni Paolo II alla comunità internazionale. In questa domenica della Santissima Trinità, il Papa richiama la vocazione dell’intera umanità a formare un’unica grande famiglia, ricordando il dramma di decine di milioni di rifugiati

 

I presidenti delle Commissioni episcopali per la famiglia e la vita dei Paesi europei, riuniti in Vaticano per valutare nuove sfide e progetti.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

“C’era una volta in Iraq”: le radici del Paese mediorientale in un nuovo libro. Con noi, il curatore del volume, Antonello Biagini

 

In Afghanistan, non c’è pace per la popolazione: a rischio anche le operazioni per portare nel Paese aiuti umanitari. Intervista con Federico Lunari

 

Una riflessione sul recente richiamo della presidente della Rai per trasmettere programmi rispettosi dell’immagine della donna: ai nostri microfoni, Franco Monteleone

 

“Cuore di mostro”: un libro che indaga sui meccanismi di disagio psichico che portano ad atti estremi di morte e autodistruzione: ce ne parlano l’autrice, Maria Rita Parsi e Maria Burani Procaccini.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Medio Oriente: nonostante le violenze dei giorni scorsi si riaccendono le speranze di pace dopo la lenta ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi

 

I vescovi polacchi hanno denunciato la profonda crisi in cui versa il loro Paese; commento positivo, invece, sull’adesione della Polonia all’Unione Europea

 

Italiani chiamati al voto per decidere sull’art. 18 e sugli elettrodotti

 

Il governo di Myanman si appresta a liberare la dirigente dell’opposizione Aung San Suu Kyi

 

Coste siciliane prese d’assalto dai clandestini con decine di sbarchi negli ultimi giorni.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

15 giugno 2003

 

AIUTARE ISRAELIANI E PALESTINESI A RITROVARE IL SENSO DELL’UOMO:

NUOVO APPELLO DI GIOVANNI PAOLO II ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE.

IN QUESTA DOMENICA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ IL PAPA RICHIAMA

LA VOCAZIONE DELL’INTERA UMANITA’ A FORMARE UN’UNICA GRANDE FAMIGLIA,

RICORDANDO IL DRAMMA DI DECINE DI MILIONI DI RIFUGIATI

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

 

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“Giorni di sangue e di morte” per la Terra Santa entrata – ha detto il Papa – “in un vortice senza fine di violenze e rappresaglie”. Ancora una volta la voce di Giovanni Paolo II si è levata da Piazza San Pietro, dopo la recita dell’Angelus, per “ripetere l’appello già sovente rivolto in passato”:

 

“‘Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono’. Lo ricordo di nuovo oggi con accresciuto convincimento, rivolgendomi a tutti gli abitanti della Terra Santa. Esorto poi la comunità internazionale a non stancarsi di aiutare israeliani e palestinesi a ritrovare il senso dell’uomo e della fraternità per tessere assieme il loro futuro.”

 

In questa domenica della Santissima Trinità, “primo mistero della fede cattolica”, l’invito del Santo Padre - prima della preghiera mariana  - a contemplare “l’orizzonte primo ed ultimo dell’universo e della storia: l’Amore di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo”. “Dio non è solitudine, ma perfetta comunione” – ha sottolineato il Papa - e da qui deriva “la vocazione dell’intera umanità a formare un’unica grande famiglia”. 

 

“Risalta come grave offesa a Dio e all'uomo ogni situazione in cui persone o gruppi umani sono costretti a fuggire dalla propria terra per cercare rifugio altrove.”

 

Giovanni Paolo II ha puntato l’attenzione sulla prossima Giornata mondiale del rifugiato, che ricorre venerdì prossimo 20 giugno e che avrà come tema la gioventù. “Quasi la metà dei rifugiati - ha rammentato - sono bambini e ragazzi”, di cui molti “non frequentano la scuola, mancano di beni essenziali, vivono in campi-profughi o, addirittura, in detenzione”:

 

“Il dramma dei rifugiati chiede alla comunità internazionale di impegnarsi a curare non solo i sintomi, ma prima di tutto le cause del problema: a prevenire, cioè, i conflitti promuovendo la giustizia e la solidarietà in ogni ambito della famiglia umana”.

 

Quindi l’invocazione alla Vergine Maria ‘termine fisso d’eterno consiglio’, ha detto il Papa, citando Dante Alighieri, perché la Chiesa sia “sempre comunità ospitale” per ogni persona, specie se povera e emarginata e renda tutti noi ‘strumenti’ della Pace di Dio.

 

Prima di salutare i numerosi fedeli riuniti in Piazza San Pietro, nonostante l’eccezionale ondata di caldo che ha colpito anche Roma, Giovanni Paolo II ha voluto estendere a tutti l’invito a partecipare numerosi giovedì prossimo solennità del Corpus Domini, alla Messa, che sarà presieduta alle ore 19 dal Papa sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano, cui seguirà la tradizionale processione fino a Santa Maria Maggiore.

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LE CONCLUSIONI IERI IN VATICANO DEL QUARTO INCONTRO

DEI PRESIDENTI DELLE COMMISSIONI EPISCOPALI EUROPEE

PER LA FAMIGLIA E LA VITA

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

 

Sfide e possibilità all’inizio del III Millennio", questo il tema attorno a cui ha ruotato il quarto Incontro di studio dei Presidenti delle Commissioni episcopali per la famiglia e la vita, convocato dal Pontificio Consiglio per la famiglia, dall’11 al 14 giugno nel Palazzo San Calisto, in Vaticano. La riunione, cui hanno partecipato anche diversi rappresentanti di istituzioni interessate ed esperti, ha fatto il punto sui problemi e sull'operato nei vari Paesi europei, partendo dal presupposto che ci sono delle nuove sfide da raccogliere, soprattutto nei Parlamenti, per le quali è necessario lavorare con impegno crescente. Il servizio di Salvatore Sabatino:

 

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Al centro dei lavori è stata la relazione del cardinale Alfonso López Trujillo, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, il quale ha posto l'attenzione sullo scenario internazionale che fa da sfondo alla realtà politica e sociale europea. Dalla relazione è emersa una realtà fondamentalmente critica del Continente europeo, perché da molto tempo la secolarizzazione ha influito in maniera negativa sulla famiglia, già di per sé molto fragile per problematiche interne ed esterne. Esistono, però, segni di speranza: tanti movimenti e associazioni che lavorano per la famiglia, tra cui il porporato ha voluto evidenziare il lavoro pastorale delle Chiese particolari, che in questi ultimi anni è andato aumentando in qualità ed intensità. Basta pensare agli Istituti di studi per la famiglia, che sono luoghi di approfondimento e di ricerca, e ai tanti Istituti di bioetica.

 

Un secondo aspetto della riflessione del cardinale López Trujillo ha toccato il rapporto tra famiglia e società, soprattutto in riferimento a Leggi poco rispettose dei diritti dell'uomo e dei diritti della famiglia e della vita, dal concepimento fino alla morte naturale. I Parlamentari hanno una grave responsabilità e devono avere sempre cura di informarsi bene e di evitare l’utilizzo di un linguaggio non coerente con la ricerca scientifica più avanzata.

 

Tra gli altri interventi, quelli di mons. Karl Josef Romer e mons. Francesco Di Felice. Il primo parlando su: "Le attività del Pontificio Consiglio per la Famiglia” dal 1999 ad oggi, ha evidenziato la ricchezza delle attività che il Dicastero ha messo in atto nei vari ambiti per dare risposta adeguata a queste sfide così impellenti e sempre più complesse, come è complesso il momento che stiamo vivendo. Il secondo ha fatto invece il punto sulle pubblicazioni del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che sono diffuse in tutto il mondo e che rispecchiano le principali aree e filoni dell’intensa attività del Dicastero.

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OGGI IN PRIMO PIANO

15 giugno 2003

 

 

LA GUERRA INFINITA. LA NORMALIZZAZIONE IN IRAQ PASSA ATTRAVERSO

ATTACCHI E BATTAGLIE. LE RADICI DEL PAESE MEDIORIENTALE IN UN NUOVO LIBRO

DAL TITOLO: “C’ERA UNA VOLTA IN IRAQ”

- Intervista con Antonello Biagini e Laura Boldrini -

 

 

A più di un mese dall’annuncio della fine delle operazioni belliche, l’Iraq è di fatto ancora in guerra. La tensione, riaccesasi in questi giorni, tra militari statunitensi e popolazione locale, continua a provocare morte e distruzione. L’ultimo attacco ai danni della forza di Washington è avvenuto questa mattina: il quartier generale americano di Ramadi, a 100 chilometri ad ovest di Baghdad, è stato attaccato con mortai, provocando un incendio all’interno della struttura. Il quartier generale americano si trova in un palazzo dove avevano sede i servizi di informazione militare del deposto regime di Saddam Hussein.

 

Nella notte, poi, gli statunitensi hanno lanciato una nuova operazione militare nel nord del Paese. Un’operazione che lo stesso generale Myers dice essere indirizzata contro ''coloro che attaccano i  soldati americani: quasi tutti membri del partito Baath”, la fazione politica dell’ex rais. A far salire, infine, maggiormente la tensione era stata ieri una lettera scritta da Saddam Hussein, che invitava la popolazione irachena  a ribellarsi al nemico stranieri; infine un messaggio anche per gli americani: “lasciate l’Iraq entro la fine di giugno”, periodo oltre il quale nessuno potrà garantire sulla vostra incolumità”.

 

Ma come si è arrivati all’Iraq di oggi? Un’analisi accurata della storia di questo Paese - partendo dalla Conferenza di Sanremo del 1920 che decretò la fine dell’Impero Ottomano – la si trova in “C’era una volta in Iraq”. Il libro, edito dall’Associazione Culturale Relazioni Internazionali, ha il merito di guardare alla difficile situazione irachena con grande lucidità. Il servizio di Benedetta Capelli.

 

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Guardando al passato per capire il futuro, potrebbe essere questa la chiave di lettura di “C’era una volta in Iraq”. Una riflessione sui principali eventi della storia del Paese: dalla tensione con l’Iran all’ascesa di Saddam Hussein, dalla repressione della minoranza curda alla Guerra del Golfo. Un volume in cui si rilanciano diversi interrogativi riguardanti soprattutto il futuro dell’Iraq e il ruolo degli Stati Uniti, come ci conferma il prof. Antonello Biagini, docente di Storia dell’Europa Orientale dell’Università La Sapienza di Roma e curatore del volume.

 

 “C’è una grande incognita oggi, che è quella della presenza diretta degli Stati Uniti con una forma di governatorato, proprio quelle cose che si usavano qualche secolo fa, ma questa forma di presenza diretta non dà la dimensione di come si potrà poi trasformare questo Paese. In altri termini, gli Stati Uniti sostengono che lì vogliono portare la democrazia, il sistema democratico, però non si tiene conto che anche per la costruzione di una mentalità idonea, per esempio alla rappresentanza parlamentare alla lotta tra i partiti, ecc, occorre un percorso che difficilmente si può porre in mano militare. Si potrebbe verificare, in altri termini, come in una costruzione di partiti finti, che poi, però al momento della crisi tornerebbero a scontrarsi, perché in realtà è ancora la presenza delle tribù che conta in Iraq, come quella di Saddam che ancora oggi ha un suo ruolo”.

 

Il conflitto dell’aprile scorso, condannato con fermezza da Giovanni Paolo II a cui è dedicato un saggio, ha aggravato la situazione del popolo iracheno già provato da dodici anni d’embargo. L’ultima guerra ha mostrato una serie di anomalie tra cui l’assenza di profughi al confine del Paese, spiegabile con la politica intimidatoria e repressiva del partito Baath. Ma secondo Laura Boldrini, portavoce italiana dell'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, il problema dei  profughi iracheni è di primaria importanza.

 

 “Credo che sia importante che ci sia un rimpatrio. Un rimpatrio di tutti i milioni di iracheni che negli anni sono fuggiti. La diaspora irachena conta quasi 5 milioni di persone. Ora, tra questi si conta che circa 1 milione siano tra i rifugiati e richiedenti asilo, ma comunque persone sotto il mandato dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Molte di queste persone vogliono tornare, hanno desiderio di tornare. Io ho visto anche di recente in Iran, dove sono stata nei campi profughi, che tutti quanti vorrebbero tornare. Il problema è che non sanno dove andare, non sanno dove abitare, non sanno dove mandare i figli a scuola, non sanno dove curarsi. Non hanno più nulla. E’ gente che ha perso tutto. Molti di loro hanno perso anche la loro identità, perché non hanno più i documenti. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha un programma di rimpatriare almeno 500 mila rifugiati, ma per fare questo programma c’è bisogno di soldi. Abbiamo fatto un appello per 118 milioni di dollari, perché rimpatriare significa ridare i mezzi necessari a queste persone per rimanere poi nelle comunità di provenienza”.

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IN AFGHANISTAN NON C’E’ PACE PER LA POPOLAZIONE:

A RISCHIO ANCHE LE OPERAZIONI PER PORTARE NEL PAESE AIUTI UMANITARI

- Intervista con Franco Lunari -

 

 

Il forte ritorno alla tensione in Afghanistan sta mettendo a rischio l’aiuto umanitario. La denuncia arriva da alcune organizzazioni dopo una serie di gravissimi episodi di violenza, come l’uccisione di 4 militari tedeschi in un attentato kamikaze, sostenuto dal leader islamico afgano Hekmatyar, nemico del presidente Karzai. A Khors, al confine con il Pakistan, gli alpini italiani stanno per passare le consegne ai paracadutisti che daranno il via a Nibbio 2, operazione di contrasto al terrorismo ma anche di aiuto umanitario e sanitario alla popolazione. Ce ne parla il tenente medico Federico Lunari, del battaglione Montecervino. L’intervista è di Francesca Sabatinelli.

 

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R. – Quasi quotidianamente noi abbiamo persone che bussano ai nostri cancelli chiedendo assistenza, perché la regione di Khors è una zona di transito per i profughi ma anche una regione abbastanza povera e poi il sistema sanitario afgano è praticamente inesistente. L’Afghanistan è grande ed ha delle difficoltà geografiche non da poco. Comunque, è un Paese dove c’è una guerra civile e con la presenza di stranieri: è una situazione sicuramente complessa. E’ una situazione dove un bambino su 4, entro i primi 5 anni di vita muore. Noi come team medico cerchiamo di supportare queste persone facendo diagnosi e dando farmaci per patologie di facile identificazione e di possibile trattamento domiciliare.

 

D. – Proprio a proposito delle patologie, quali sono quelle più ricorrenti?

 

R. – Sicuramente la parte che riguarda malattie della pelle come micosi, forme erpetiche, forme allergiche, insomma vediamo un po’ di tutto. Poi, comunque qui c’è in fase endemica sempre la dissenteria, che in questo periodo poi è più forte e da questo derivano tutte le gastroenteriti, febbri tifoidee, ecc. Poi sicuramente ci sono molto patologie di tipo polmonare, fino alla tubercolosi.

 

D. – Come avvicinate queste persone, come fate capire loro il vostro intervento medico?

 

R. – Non è un impatto così difficile perché il concetto che qui hanno di malattia o di invalidità non è quello che una persona invalida o malata debba essere nascosta, anzi è una società che ostenta il malato o l’invalido, infatti  basta girare per Kabul e vedere la gente che circola, quindi sotto quest’aspetto non sembra esserci un grande problema. L’impatto più difficile, se vogliamo, è un impatto di tipo linguistico, proprio per la difficoltà di capirsi, anche perché comunque è povera gente; però devo dire che con noi è più facile l’approccio, nel senso che la classe medica afghana spesso tratta male i pazienti, per cui quando trovano persone che stanno ad ascoltarli, che sorridono, che cercano di capirli, tante barriere si superano.

 

D. – Le patologie di cui lei parlava prima sono legate essenzialmente alle non condizioni igieniche …

 

R. – Sicuramente, basti pensare che non c’è alcun controllo nelle falde acquifere.

 

D. – Quasi nulla la presenza delle donne … Non si ammalano?

 

R. – Ho avuto la possibilità di girare un po’ per il Paese ed ho avuto l’opportunità  di visitare delle donne, magari con tutta la corte maschile di fianco. Comunque faccio sempre riferimento all’esperienza di Kabul e devo dire che lì venivano le bambine che accompagnavano i bambini più piccoli, però venivano anche le donne. Mi sono trovato anche di fronte ad una donna che si è tolta il burka, per farmi vedere una mammella perché aveva un cancro al seno, così come mi sono trovato di fronte a donne che non hanno acconsentito neanche all’auscultazione col burka indosso. Penso però che qualcosa si muova anche sotto questo aspetto; certo ci vorrà del tempo, questo è fuori di dubbio. Anche nel Panshir, la valle nelle mani di Massoud e dove i Talebani non sono mai arrivati, il burka lo usavano prima, durante e anche dopo il regime talebano. Ancora adesso c’è. Io mi sono trovato lì ad esercitare la mia professione e le donne arrivavano con il burka. Alcune se lo toglievano coprendosi il viso, altre invece rimanevano per tutto il tempo della visita col burka addosso.

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UNA RIFLESSIONE SUL RECENTE RICHIAMO DELLA PRESIDENTE DELLA RAI

PER TRASMETTERE PROGRAMMI RISPETTOSI DELL’IMMAGINE DELLA DONNA

- Ai nostri microfoni, Franco Monteleone -

 

 

Sotto la definizione di reality show si presentano i più discutibili programmi televisivi che in periodo estivo accentuano gli elementi di volgarità e banalità che li caratterizzano tutto l’anno. Per quanto riguarda il servizio pubblico, però, c’è di nuovo l’invito rivolto, di recente, dalla presidente della Rai. Con una vera e propria delibera, Lucia Annunziata ha raccomandato di “fare costante riferimento, nelle trasmissioni televisive, a modelli rispettosi dell’immagine della donna”. Che significato può avere tale provvedimento? Nell’intervista di Fausta Speranza ascoltiamo il parere del prof. Franco Monteleone, autore del volume sulla Storia della Radio e della Televisione di cui è stata pubblicata nei giorni scorsi l’edizione aggiornata.

 

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R. – Certamente ha un significato di grande importanza, che va accolto e va tradotto poi in pratiche operative. Ci apprestiamo a celebrare i famosi 50 anni della televisione italiana. Diciamo che il rapporto con la donna in questi 50 anni è stato determinato da molte cose e innanzitutto dalla morale corrente. Certamente nella televisione del passato era presente il rispetto. Il rispetto per tutti da un lato, e dall’altro lato tutti i temi, tutti i problemi che venivano fuori dai programmi, riguardavano una società che stava maturando un suo sviluppo molto equilibrato. Recentemente è accaduto qualcosa. La televisione è diventata braccio armato della politica, per mezzo di una competizione accesa è diventata un mezzo per acquisire risorse economiche. Ne hanno sofferto le donne e i bambini. Sui bambini, mi pare, l’ultimo ‘Contratto di servizio’ credo che abbia giustamente posto il problema della difesa e della tutela dei minori. Il ruolo femminile, così svilito in questi ultimi tempi, è un effetto e non una causa: è l’effetto dell’indebolirsi del senso di Servizio pubblico. Questo è un primo tassello, secondo me, per rimettere il Servizio pubblico sui binari del suo vero, grande, ruolo istituzionale.

 

D. – Chi per primo, secondo lei, dovrebbe cogliere questo appello? Parliamo forse di autori o di direttori …

 

R. – Io credo che oggi ci sia un problema reale di management culturale, soprattutto nel servizio pubblico. Secondo me c’è un problema di autori. Si è dato molta importanza, giustamente, agli autori della fiction. Ma io quando parlo di autori, parlo di quel genere del reality show che francamente non mi pare un genere sul quale il Servizio pubblico possa puntare le sue carte per il rinnovo dei palinsesti. Il Servizio pubblico deve quindi rivedere molte delle sue politiche culturali.

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UN LIBRO CHE INDAGA SUI MECCANISMI DI DISAGIO PSICHICO,

CHE PORTANO AD ATTI ESTREMI DI MORTE E AUTODISTRUZIONE,

E CERCA SOLUZIONI PREVENTIVE

- Con noi, Maria Rita Parsi e Maria Burani Procaccini -

 

 

“Cuore di mostro”, questo il titolo dell’ultimo libro della psicoterapeuta Maria Rita Parsi, presentato nei giorni scorsi nella Sala Del Cenacolo, a Roma. All’incontro sono intervenuti psicologi, operatori della comunicazione e parlamentari che, traendo spunto dallo scritto della Parsi, hanno dibattuto di disagio mentale, familiare e giovanile. “Un disagio che alberga in ciascuno di noi, una belva interiore – scrive l’autrice – che, se riconosciuta in tempo, può essere affrontata e sconfitta”. Il servizio è di Dorotea Gambardella:

 

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(musica)

 

Un libro, “Cuore di mostro” di Maria Rita Parsi, che conduce il lettore in ‘una discesa agli inferi’, che è esplorazione delle zone d’ombra del nostro quotidiano, fatto di famiglie cosiddette ‘felici’. Attraverso l’artificio della fiaba-zione, la psicoterapeuta dà voce a cinque persone, che la società definisce ‘mostri’, ricostruendo dal loro punto di vista il percorso che li ha portati a compiere atti devastanti. Ascoltiamo l’autrice:

 

R. – ‘Mostri’ sono coloro che con i comportamenti che feriscono loro stessi, le persone più care mostrano una condizione di sofferenza, di rabbia, di odio che riguardano non soltanto loro ma la comunità familiare, la società. Quindi ogni ‘mostro’ che arriva, passaggio dopo passaggio, a compiere un atto terribile, è sempre qualcuno che ci deve invitare a riflettere su come noi non abbiamo saputo cogliere i messaggi che sempre i cosiddetti ‘mostri’ lanciano prima di arrivare a quel momento. C’è sempre tutta una serie di sedimentazione, di micro-eventi negativi che, insieme, sommandosi, danno luogo – quando c’è una causa scatenante – a quelle terribili condizioni di fronte alle quali poi dopo noi gridiamo all’orrore.

 

D. – Per cui, qual è l’obiettivo di questo libro?

 

R. – Creare una condizione di attenzione intorno a questi eventi affinché non vengano trasformati in eventi per cui si getta il mostro in prima pagina e si chiude lì; divengono invece momenti di collettiva riflessione e occasioni di organizzare in maniera articolata, con senso di responsabilità individuale, familiare, sociale, scolastica quella prevenzione di cui tanto parliamo ma che nessuno fa mai. Perché noi non facciamo nient’altro di fronte ai casi terribili che continuano a ripetersi, che dire: “C’erano stati dei segnali d’allarme, ma nessuno ha fatto niente. Si poteva ...”: ma se si poteva, si deve potere organizzare sistematicamente e lo si deve passando per i nodi fondamentali dove tutti si incontrano. Per esempio, la scuola: questo libro auspica la formazione degli educatori, la sensibilizzazione dei genitori, la attivazione di tutti gli strumenti ed i finanziamenti di tutti i presidi psico-pedagogici che si possono trovare sul territorio; è un libro che racconta di come tante mine vaganti avrebbero potuto essere disinnescate, perché non ci sono solo i ‘mostri’ che in prima persona raccontano la propria storia fino al momento del dramma, ma ci sono anche le storie di persone che invece hanno potuto evitare perché c’è stato quell’insegnante, quello psico-terapeuta, quel sacerdote, quella lettura che hanno cambiato la loro vita ...

 

Purtroppo spesso sono i minori, in particolare gli adolescenti, ad essere protagonisti o vittime di tragedie familiari. Eppure, questa fascia d’età costituisce una sorta di “buco nero”, come ci spiega l’on. Maria Burani Procaccini, presidente della Commissione Infanzia della Camera dei Deputati.

 

“Ci si occupa dei bambini, ci si occupa degli adulti ma non degli adolescenti. E’ il momento più delicato, è il momento in cui la psiche di un ragazzo è più debole perché è in un momento di grandi sconvolgimenti ormonali, è un momento in cui la solitudine diventa maggiore, è il momento in cui il senso di responsabilità non è ancora molto sviluppato però lo si sente come una sorta di cappio, di peso, e quindi si scatenano quei disturbi che possono poi diventare delle vere e proprie patologie. E allora, bisogna aiutarli, i nostri ragazzi, a crescere, pensando a loro anche nel momento in cui sono il brutto anatroccolo che deve diventare il cigno, e cercare di fare in modo che attraverso un’assistenza adeguata nelle scuole, attraverso programmi mirati anche d’informazione televisiva, attraverso tutta una serie di strumenti che devono aiutarli nel momento della crescita. Non si possono più lasciare soli!”.

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CHIESA E SOCIETA’

15 giugno 2003

 

MEDIO ORIENTE: NONOSTANTE LE VIOLENZE DEI GIORNI SCORSI

SI RIACCENDONO LE SPARANZE DI PACE DOPO LA LENTA RIPRESA DEI NEGOZIATI

TRA ISRAELIANI E PALESTINESI

- A cura di Graziano Motta -

 

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GERUSALEMME. = Avrà un seguito la riunione di ieri sera tra il generale israeliano Amos Gilad, e il ministro palestinese Mohamed Dahlan, e sarà dedicata alla definizione delle responsabilità palestinesi nel campo della sicurezza in quelle zone dei territori da cui saranno ritirati i soldati. Nella riunione, che si è svolta nella residenza dell’ambasciatore americano, c’è stato uno scambio di richieste – con la promessa di risposte sollecite – da una parte sul ritiro militare israeliano da Gaza e Betlemme, sulla fine delle operazioni cosiddette ‘mirate’ contro i capi della rivolta e sulla liberazione dei prigionieri; dall’altra, sulla cessazione di ogni violenza da parte dei gruppi estremisti e dell’incitazione alla violenza sui mass media. Domani il capo del governo palestinese Mahmud Abbas e il ministro Dahlan saranno a Gaza per tentare di negoziare con i movimenti fondamentalisti Hamas e Jihad una tregua negli attentati e nelle operazioni di guerriglia contro gli israeliani. Il punto sugli sviluppi di queste iniziative, volte al consolidamento del dialogo tra le parti, sarà compiuto nei prossimi giorni alla presenza dell’inviato americano John Wolf, incaricato di seguire con 12 collaboratori l’applicazione della road-map, ovvero il piano di pace. In vista di questo incontro, il governo israeliano ha affrontato oggi un documento di lavoro in cui, come ha precisato il primo ministro Sharon, vengono riproposte le quattordici riserve a suo tempo espresse sulla road-map, considerate essenziali, mentre i palestinesi non intendono riconoscerle del tutto. Sharon ha detto inoltre ai ministri che sarà proseguita la lotta agli attentatori suicidi e che se l’autorità palestinese non smantellerà le infrastrutture dei gruppi terroristici, se ne incaricheranno i soldati. Intanto, guerriglieri palestinesi hanno lanciato dalla Striscia di Gaza altri due missili sulla città israeliana di Sderot, mentre in Samaria coloni ebrei hanno stabilito un nuovo punto di espansione presso il posto dove giorni fa due automobiliste sono state ferite gravemente.

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I VESCOVI POLACCHI, RIUNITI A PARADYZ HANNO DENUNCIATO LA PROFONDA CRISI

IN CUI VERSA IL LORO PAESE. COMMENTO POSITIVO, INVECE,

SULL’ADESIONE DELLA POLONIA ALL’UNIONE EUROPEA

 

PARADYZ. = Corruzione, particolarismo, partitismo e la ricerca del profitto ad ogni costo. Queste le cause della crisi strutturale della Polonia. Una denuncia concreta, quella della Conferenza Episcopale, che evidenzia queste problematiche sia a livello centrale del potere politico, sia a livello dell’Amministrazione regionale e locale. “Il dramma di una crescente disoccupazione inasprisce, inoltre, la già grave situazione dei più poveri. Purtroppo, alcuni nostri connazionali – scrivono i vescovi nel loro documento – dando per scontata questa situazione, si preoccupano solamente del proprio profitto senza nessuno scrupolo morale” . A Paradyz si è parlato inoltre del risultato del Referendum europeo, ringraziando il Santo Padre per la sua voce a favore dell’adesione del Paese alle strutture dell’UE. “La nostra presenza nell’Unione europea – scrivono - servirà come una prova del patriottismo polacco, e allo stesso tempo come verifica della profondità della nostra fede e cultura”. I presuli hanno criticato inoltre “una cosciente omissione nel progetto della Costituzione europea della menzione del cristianesimo, e del suo ruolo nel plurisecolare processo della costruzione del Continente”. Si spera che sulla forma del futuro Trattato costituzionale dell’Ue avrà influsso anche la voce dei cristiani polacchi, essi infatti rilevano una continua presenza del Vangelo nello sviluppo spirituale del nostro Continente. Infine un invito rivolto a Giovanni Paolo II, affinché visiti nuovamente il suo Paese natale. (S.S.)

 

 

ITALIANI CHIAMATI AL VOTO PER DECIDERE SU ARTICOLO 18 ED ELETTRODOTTI.

 SUI DUE REFERENDUM L’INCOGNITA DEL NON RAGGIUNGIMENTO DEL QUORUM

 NECESSARIO PER RENDERE VALIDA LA CONSULTAZIONE

 

ROMA. = Seggi aperti in tutta Italia dalle otto di questa mattina per consentire ad oltre 54 milioni di elettori, compresi quelli all’estero, di dire sì o no all'estensione della giusta causa come unica legittima ragione di licenziamento, anche nelle aziende che occupano meno di quindici dipendenti e all'abolizione della servitù di elettrodotto sui terreni privati. Per questa tornata referendaria resta, però, altissimo il rischio del non raggiungimento del quorum del 50% più uno, soglia sotto il quale i due Referendum verrebbero invalidati. Agli elettori saranno consegnate due schede: una di colore celeste, per il referendum sull'articolo 18, una arancione per scegliere sugli elettrodotti. Nel primo caso, se vinceranno i no, resterà in vigore l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nella sua attuale formulazione, per cui non possono essere licenziati senza giusta causa i dipendenti delle imprese con più di 15 lavoratori. Il successo dei sì determinerà, invece, l'estensione della norma anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. Nel secondo caso, la vittoria dei sì determinerà la possibilità per i proprietari di terreni di opporsi al passaggio degli eletrodotti nei loro fondi, mentre se prevarranno i no resteranno in vigore le attuali servitù coattive. Le urne saranno sigillate questa sera alle 22 per essere riaperte domattina alle 7 fino alle 15. Gli elettori italiani residenti all'estero, 2 milioni e 300 mila, hanno già votato nei giorni scorsi. (S.S.)

 

 

IL GOVERNO MYANMAR SI APPRESTA A LIBERARE LA DIRIGENTE DELL’OPPOSIZIONE

SAN SUU KYI, DICHIARANDOSI DISPIACIUTO DEGLI INCIDENTI

CHE IL 30 MAGGIO SCORSO PORTARONO AL SUO ARRESTO

 

RANGOON. = L’annuncio è stato fatto dal ministro  degli Esteri birmano Win Aung. “Ci stiamo lavorando – ha riferito -  anche se non posso dire quando avverra”.  La dirigente dell'opposizione San Suu Kyi fu imprigionata dopo un attacco di sostenitori dei militari al potere contro una folla riunita attorno a lei, che compiva un giro politico nel nord del paese. La  polizia, intanto, prosegue nelle indagini sulle violenze.  “L'accaduto il 30 maggio è molto sgradevole – ha poi aggiunto il capo della diplomazia birmano - e lavoriamo molto intensamente alla riconciliazione nazionale”. La situazione in Myanmar sarà uno dei principali argomenti sui cui si incentrerà l’attenzione della riunione dell'Asean, l’Associazione di Stati del Sudest asiatico, in programma per questa settimana a Phnom Penh, in Cambogia. All’incontro parteciperanno anche alcuni ministri degli Esteri occidentali e di altri Paesi del Sudest, che non sono membri dell'Asean. (S.S.)

 

 

COSTE SICILIANE PRESE D’ASSALTO DAI CLANDESTINI, CON DECINE DI SBARCHI

NEGLI ULTIMI GIORNI. IERI VERTICE AL VIMINALE PER COMBATTERE IL FENOMENO.

SECONDO GLI ULTIMI DATI UFFICIALI, PERO’, RISPETTO ALLO SCORSO ANNO

 GLI APPRODI SONO DIMINUITI DEL 49%

 

LAMPEDUSA. = Complice il bel tempo ed il mare piatto, proseguono gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane. All'alba sono sbarcati 178 clandestini a Lampedusa. Sono quasi tutti originari dell'Africa centrale. Gli extracomunitari sono stati  trasferiti, a dieci miglia dall'isola, su due motovedette della Guardia costiera dal barcone con il quale avevano attraversato il Canale di Sicilia. I clandestini, tra cui 20 donne e due neonati, sono ora ospitati nel Centro di prima accoglienza. Ieri sera sono invece arrivati i 49 extracomunitari avvistati nel pomeriggio dalla Guardia di Finanza e dalla Capitaneria di porto. Provengono da Pakistan, Iraq e Africa centrale. Sono intanto migliorate le condizioni dell’extracomunitario colto da una grave crisi cardiaca, che ieri sera era stato trasportato con un elicottero della Marina Militare a Lampedusa. L'uomo era a bordo di un gommone diretto  verso la Sicilia. Intanto ieri in un vertice al Viminale, convocato dal ministro degli Interni, Giuseppe Pisanu, è stata messa a punto una strategia di contrasto agli sbarchi di clandestini in Italia. Guardia di Finanza, Marina Militare e Capitanerie di Porto verranno coinvolte negli interventi con la sorveglianza e il pattugliamento delle acque nazionali e internazionali, mentre il coordinamento generale di tutte le forze in campo verrà affidato alla direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia di frontiere. Nello stesso vertice sono stati diffusi gli ultimi dati sugli sbarchi che parlano di un calo, rispetto allo scorso anno, del 49%. (S.S.)

  

 

 

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