RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 166 - Testo della
Trasmissione di domenica 15 giugno 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Italiani chiamati al voto per decidere sull’art. 18 e sugli elettrodotti
Il governo di Myanman si appresta a liberare la dirigente dell’opposizione Aung San Suu Kyi
Coste siciliane prese d’assalto dai clandestini
con decine di sbarchi negli ultimi giorni.
15 giugno 2003
AIUTARE
ISRAELIANI E PALESTINESI A RITROVARE IL SENSO DELL’UOMO:
NUOVO
APPELLO DI GIOVANNI PAOLO II ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE.
IN
QUESTA DOMENICA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ IL PAPA RICHIAMA
LA
VOCAZIONE DELL’INTERA UMANITA’ A FORMARE UN’UNICA GRANDE FAMIGLIA,
RICORDANDO
IL DRAMMA DI DECINE DI MILIONI DI RIFUGIATI
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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“Giorni
di sangue e di morte” per la Terra Santa entrata – ha detto il Papa – “in un
vortice senza fine di violenze e rappresaglie”. Ancora una volta la voce di
Giovanni Paolo II si è levata da Piazza San Pietro, dopo la recita
dell’Angelus, per “ripetere l’appello già sovente rivolto in passato”:
“‘Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia
senza perdono’. Lo ricordo di nuovo oggi con accresciuto convincimento,
rivolgendomi a tutti gli abitanti della Terra Santa. Esorto poi la comunità
internazionale a non stancarsi di aiutare israeliani e palestinesi a ritrovare
il senso dell’uomo e della fraternità per tessere assieme il loro futuro.”
In questa domenica della Santissima Trinità, “primo
mistero della fede cattolica”, l’invito del Santo Padre - prima della preghiera
mariana - a contemplare “l’orizzonte
primo ed ultimo dell’universo e della storia: l’Amore di Dio, Padre e Figlio e
Spirito Santo”. “Dio non è
solitudine, ma perfetta comunione” – ha sottolineato il Papa - e da qui deriva
“la vocazione dell’intera umanità a formare un’unica grande famiglia”.
“Risalta come grave offesa a Dio e all'uomo ogni
situazione in cui persone o gruppi umani sono costretti a fuggire dalla propria
terra per cercare rifugio altrove.”
Giovanni Paolo II ha puntato l’attenzione sulla prossima
Giornata mondiale del rifugiato, che ricorre venerdì prossimo 20 giugno e che avrà
come tema la gioventù. “Quasi la metà dei rifugiati - ha rammentato - sono
bambini e ragazzi”, di cui molti “non frequentano la scuola, mancano di
beni essenziali, vivono in campi-profughi o, addirittura, in detenzione”:
“Il dramma dei rifugiati chiede alla comunità
internazionale di impegnarsi a curare non solo i sintomi, ma prima di tutto le
cause del problema: a prevenire, cioè, i conflitti promuovendo la giustizia e
la solidarietà in ogni ambito della famiglia umana”.
Quindi l’invocazione alla
Vergine Maria ‘termine fisso d’eterno consiglio’, ha detto il Papa, citando
Dante Alighieri, perché la Chiesa sia “sempre comunità ospitale” per ogni
persona, specie se povera e emarginata e renda tutti noi ‘strumenti’ della Pace
di Dio.
Prima di salutare i numerosi fedeli riuniti in Piazza San
Pietro, nonostante l’eccezionale ondata di caldo che ha colpito anche Roma,
Giovanni Paolo II ha voluto estendere a tutti l’invito a partecipare numerosi
giovedì prossimo solennità del Corpus Domini, alla Messa, che sarà presieduta
alle ore 19 dal Papa sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano,
cui seguirà la tradizionale processione fino a Santa Maria Maggiore.
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LE
CONCLUSIONI IERI IN VATICANO DEL QUARTO INCONTRO
DEI
PRESIDENTI DELLE COMMISSIONI EPISCOPALI EUROPEE
PER LA
FAMIGLIA E LA VITA
- A cura di Salvatore Sabatino -
“Sfide e possibilità all’inizio del III
Millennio", questo il tema attorno a cui ha ruotato il quarto
Incontro di studio dei Presidenti delle Commissioni episcopali per la famiglia
e la vita, convocato dal Pontificio Consiglio per la famiglia, dall’11 al 14
giugno nel Palazzo San Calisto, in Vaticano. La riunione, cui hanno partecipato
anche diversi rappresentanti di istituzioni interessate ed esperti, ha fatto il
punto sui problemi e sull'operato nei vari Paesi europei, partendo dal presupposto
che ci sono delle nuove sfide da raccogliere, soprattutto nei Parlamenti, per
le quali è necessario lavorare con impegno crescente. Il servizio di Salvatore
Sabatino:
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Al centro dei lavori è stata la
relazione del cardinale Alfonso López Trujillo, presidente del Pontificio
Consiglio per la Famiglia, il quale ha posto l'attenzione sullo scenario
internazionale che fa da sfondo alla realtà politica e sociale europea. Dalla
relazione è emersa una realtà fondamentalmente critica del Continente europeo,
perché da molto tempo la secolarizzazione ha influito in maniera negativa sulla
famiglia, già di per sé molto fragile per problematiche interne ed esterne.
Esistono, però, segni di speranza: tanti movimenti e associazioni che lavorano
per la famiglia, tra cui il porporato ha voluto evidenziare il lavoro pastorale
delle Chiese particolari, che in questi ultimi anni è andato aumentando in
qualità ed intensità. Basta pensare agli Istituti di studi per la famiglia, che
sono luoghi di approfondimento e di ricerca, e ai tanti Istituti di bioetica.
Un secondo aspetto della
riflessione del cardinale López Trujillo ha toccato il rapporto tra famiglia e
società, soprattutto in riferimento a Leggi poco rispettose dei diritti
dell'uomo e dei diritti della famiglia e della vita, dal concepimento fino alla
morte naturale. I Parlamentari hanno una grave responsabilità e devono avere
sempre cura di informarsi bene e di evitare l’utilizzo di un linguaggio non
coerente con la ricerca scientifica più avanzata.
Tra gli altri interventi, quelli
di mons. Karl Josef Romer e mons. Francesco Di Felice. Il primo parlando su:
"Le attività del Pontificio Consiglio per la Famiglia” dal
1999 ad oggi, ha evidenziato la ricchezza delle attività che il Dicastero ha
messo in atto nei vari ambiti per dare risposta adeguata a queste sfide così
impellenti e sempre più complesse, come è complesso il momento che stiamo vivendo.
Il secondo ha fatto invece il punto sulle pubblicazioni del Pontificio Consiglio
per la Famiglia, che sono diffuse in tutto il mondo e che rispecchiano le principali
aree e filoni dell’intensa attività del Dicastero.
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15
giugno 2003
LA
GUERRA INFINITA. LA NORMALIZZAZIONE IN IRAQ PASSA ATTRAVERSO
ATTACCHI
E BATTAGLIE. LE RADICI DEL PAESE MEDIORIENTALE IN UN NUOVO LIBRO
DAL
TITOLO: “C’ERA UNA VOLTA IN IRAQ”
-
Intervista con Antonello Biagini e Laura Boldrini -
A più
di un mese dall’annuncio della fine delle operazioni belliche, l’Iraq è di
fatto ancora in guerra. La tensione, riaccesasi in questi giorni, tra militari
statunitensi e popolazione locale, continua a provocare morte e distruzione.
L’ultimo attacco ai danni della forza di Washington è avvenuto questa mattina:
il quartier generale americano di Ramadi, a 100 chilometri ad ovest di Baghdad,
è stato attaccato con mortai, provocando un incendio all’interno della
struttura. Il quartier generale americano si trova in un palazzo dove avevano
sede i servizi di informazione militare del deposto regime di Saddam Hussein.
Nella
notte, poi, gli statunitensi hanno lanciato una nuova operazione militare nel
nord del Paese. Un’operazione che lo stesso generale Myers dice essere
indirizzata contro ''coloro che attaccano i
soldati americani: quasi tutti membri del partito Baath”, la fazione
politica dell’ex rais. A far salire, infine, maggiormente la tensione era stata
ieri una lettera scritta da Saddam Hussein, che invitava la popolazione
irachena a ribellarsi al nemico
stranieri; infine un messaggio anche per gli americani: “lasciate l’Iraq entro
la fine di giugno”, periodo oltre il quale nessuno potrà garantire sulla vostra
incolumità”.
Ma come
si è arrivati all’Iraq di oggi? Un’analisi accurata della storia di questo
Paese - partendo dalla Conferenza di Sanremo del 1920 che decretò la fine
dell’Impero Ottomano – la si trova in “C’era una volta in Iraq”. Il libro,
edito dall’Associazione Culturale Relazioni Internazionali, ha il merito di
guardare alla difficile situazione irachena con grande lucidità. Il servizio di
Benedetta Capelli.
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Guardando
al passato per capire il futuro, potrebbe essere questa la chiave di lettura di
“C’era una volta in Iraq”. Una riflessione sui principali eventi della storia
del Paese: dalla tensione con l’Iran all’ascesa di Saddam Hussein, dalla repressione
della minoranza curda alla Guerra del Golfo. Un volume in cui si rilanciano
diversi interrogativi riguardanti soprattutto il futuro dell’Iraq e il ruolo
degli Stati Uniti, come ci conferma il prof. Antonello Biagini, docente di
Storia dell’Europa Orientale dell’Università La Sapienza di Roma e curatore del
volume.
“C’è una grande
incognita oggi, che è quella della presenza diretta degli Stati Uniti con una
forma di governatorato, proprio quelle cose che si usavano qualche secolo fa,
ma questa forma di presenza diretta non dà la dimensione di come si potrà poi
trasformare questo Paese. In altri termini, gli Stati Uniti sostengono che lì
vogliono portare la democrazia, il sistema democratico, però non si tiene conto
che anche per la costruzione di una mentalità idonea, per esempio alla
rappresentanza parlamentare alla lotta tra i partiti, ecc, occorre un percorso
che difficilmente si può porre in mano militare. Si potrebbe verificare, in
altri termini, come in una costruzione di partiti finti, che poi, però al
momento della crisi tornerebbero a scontrarsi, perché in realtà è ancora la
presenza delle tribù che conta in Iraq, come quella di Saddam che ancora oggi
ha un suo ruolo”.
Il
conflitto dell’aprile scorso, condannato con fermezza da Giovanni Paolo II a
cui è dedicato un saggio, ha aggravato la situazione del popolo iracheno già
provato da dodici anni d’embargo. L’ultima guerra ha mostrato una serie di anomalie
tra cui l’assenza di profughi al confine del Paese, spiegabile con la politica
intimidatoria e repressiva del partito Baath. Ma secondo Laura Boldrini, portavoce italiana dell'Alto Commissariato Onu per i
Rifugiati, il problema dei profughi iracheni
è di primaria importanza.
“Credo che sia
importante che ci sia un rimpatrio. Un rimpatrio di tutti i milioni di iracheni
che negli anni sono fuggiti. La diaspora irachena conta quasi 5 milioni di
persone. Ora, tra questi si conta che circa 1 milione siano tra i rifugiati e
richiedenti asilo, ma comunque persone sotto il mandato dell’Alto commissariato
Onu per i rifugiati. Molte di queste persone vogliono tornare, hanno desiderio
di tornare. Io ho visto anche di recente in Iran, dove sono stata nei campi
profughi, che tutti quanti vorrebbero tornare. Il problema è che non sanno dove
andare, non sanno dove abitare, non sanno dove mandare i figli a scuola, non
sanno dove curarsi. Non hanno più nulla. E’ gente che ha perso tutto. Molti di
loro hanno perso anche la loro identità, perché non hanno più i documenti.
L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha un programma di rimpatriare almeno
500 mila rifugiati, ma per fare questo programma c’è bisogno di soldi. Abbiamo
fatto un appello per 118 milioni di dollari, perché rimpatriare significa
ridare i mezzi necessari a queste persone per rimanere poi nelle comunità di provenienza”.
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IN
AFGHANISTAN NON C’E’ PACE PER LA POPOLAZIONE:
A RISCHIO
ANCHE LE OPERAZIONI PER PORTARE NEL PAESE AIUTI UMANITARI
-
Intervista con Franco Lunari -
Il forte ritorno alla tensione in Afghanistan sta mettendo
a rischio l’aiuto umanitario. La denuncia arriva da alcune organizzazioni dopo
una serie di gravissimi episodi di violenza, come l’uccisione di 4 militari
tedeschi in un attentato kamikaze, sostenuto dal leader islamico afgano
Hekmatyar, nemico del presidente Karzai. A Khors, al confine con il Pakistan,
gli alpini italiani stanno per passare le consegne ai paracadutisti che daranno
il via a Nibbio 2, operazione di contrasto al terrorismo ma anche di aiuto
umanitario e sanitario alla popolazione. Ce ne parla il tenente medico Federico
Lunari, del battaglione Montecervino. L’intervista è di Francesca Sabatinelli.
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R. – Quasi quotidianamente noi abbiamo persone che bussano
ai nostri cancelli chiedendo assistenza, perché la regione di Khors è una zona
di transito per i profughi ma anche una regione abbastanza povera e poi il sistema
sanitario afgano è praticamente inesistente. L’Afghanistan è grande ed ha delle
difficoltà geografiche non da poco. Comunque, è un Paese dove c’è una guerra
civile e con la presenza di stranieri: è una situazione sicuramente complessa.
E’ una situazione dove un bambino su 4, entro i primi 5 anni di vita muore. Noi
come team medico cerchiamo di supportare queste persone facendo diagnosi e
dando farmaci per patologie di facile identificazione e di possibile trattamento
domiciliare.
D. – Proprio a proposito delle patologie, quali sono
quelle più ricorrenti?
R. – Sicuramente la parte che riguarda malattie della
pelle come micosi, forme erpetiche, forme allergiche, insomma vediamo un po’ di
tutto. Poi, comunque qui c’è in fase endemica sempre la dissenteria, che in
questo periodo poi è più forte e da questo derivano tutte le gastroenteriti,
febbri tifoidee, ecc. Poi sicuramente ci sono molto patologie di tipo
polmonare, fino alla tubercolosi.
D. – Come avvicinate queste persone, come fate capire loro
il vostro intervento medico?
R. – Non è un impatto così difficile perché il concetto
che qui hanno di malattia o di invalidità non è quello che una persona invalida
o malata debba essere nascosta, anzi è una società che ostenta il malato o
l’invalido, infatti basta girare per Kabul
e vedere la gente che circola, quindi sotto quest’aspetto non sembra esserci un
grande problema. L’impatto più difficile, se vogliamo, è un impatto di tipo
linguistico, proprio per la difficoltà di capirsi, anche perché comunque è
povera gente; però devo dire che con noi è più facile l’approccio, nel senso
che la classe medica afghana spesso tratta male i pazienti, per cui quando
trovano persone che stanno ad ascoltarli, che sorridono, che cercano di
capirli, tante barriere si superano.
D. – Le patologie di cui lei parlava prima sono legate
essenzialmente alle non condizioni igieniche …
R. – Sicuramente, basti pensare che non c’è alcun
controllo nelle falde acquifere.
D. – Quasi nulla la presenza delle donne … Non si
ammalano?
R. – Ho avuto la possibilità di girare un po’ per il Paese
ed ho avuto l’opportunità di visitare
delle donne, magari con tutta la corte maschile di fianco. Comunque faccio
sempre riferimento all’esperienza di Kabul e devo dire che lì venivano le
bambine che accompagnavano i bambini più piccoli, però venivano anche le donne.
Mi sono trovato anche di fronte ad una donna che si è tolta il burka, per farmi
vedere una mammella perché aveva un cancro al seno, così come mi sono trovato
di fronte a donne che non hanno acconsentito neanche all’auscultazione col
burka indosso. Penso però che qualcosa si muova anche sotto questo aspetto;
certo ci vorrà del tempo, questo è fuori di dubbio. Anche nel Panshir, la valle
nelle mani di Massoud e dove i Talebani non sono mai arrivati, il burka lo
usavano prima, durante e anche dopo il regime talebano. Ancora adesso c’è. Io
mi sono trovato lì ad esercitare la mia professione e le donne arrivavano con
il burka. Alcune se lo toglievano coprendosi il viso, altre invece rimanevano
per tutto il tempo della visita col burka addosso.
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UNA
RIFLESSIONE SUL RECENTE RICHIAMO DELLA PRESIDENTE DELLA RAI
PER
TRASMETTERE PROGRAMMI RISPETTOSI DELL’IMMAGINE DELLA DONNA
- Ai
nostri microfoni, Franco Monteleone -
Sotto la definizione di reality show si presentano
i più discutibili programmi televisivi che in periodo estivo accentuano gli
elementi di volgarità e banalità che li caratterizzano tutto l’anno. Per quanto
riguarda il servizio pubblico, però, c’è di nuovo l’invito rivolto, di recente,
dalla presidente della Rai. Con una vera e propria delibera, Lucia Annunziata
ha raccomandato di “fare costante riferimento, nelle trasmissioni televisive, a
modelli rispettosi dell’immagine della donna”. Che significato può avere tale
provvedimento? Nell’intervista di Fausta Speranza ascoltiamo il parere del
prof. Franco Monteleone, autore del volume sulla Storia della Radio e della
Televisione di cui è stata pubblicata nei giorni scorsi l’edizione aggiornata.
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R. – Certamente ha un significato di grande importanza,
che va accolto e va tradotto poi in pratiche operative. Ci apprestiamo a
celebrare i famosi 50 anni della televisione italiana. Diciamo che il rapporto
con la donna in questi 50 anni è stato determinato da molte cose e innanzitutto
dalla morale corrente. Certamente nella televisione del passato era presente il
rispetto. Il rispetto per tutti da un lato, e dall’altro lato tutti i temi,
tutti i problemi che venivano fuori dai programmi, riguardavano una società che
stava maturando un suo sviluppo molto equilibrato. Recentemente è accaduto
qualcosa. La televisione è diventata braccio armato della politica, per mezzo
di una competizione accesa è diventata un mezzo per acquisire risorse
economiche. Ne hanno sofferto le donne e i bambini. Sui bambini, mi pare,
l’ultimo ‘Contratto di servizio’ credo che abbia giustamente posto il problema
della difesa e della tutela dei minori. Il ruolo femminile, così svilito in
questi ultimi tempi, è un effetto e non una causa: è l’effetto dell’indebolirsi
del senso di Servizio pubblico. Questo è un primo tassello, secondo me, per
rimettere il Servizio pubblico sui binari del suo vero, grande, ruolo
istituzionale.
D. – Chi per primo, secondo lei, dovrebbe cogliere questo
appello? Parliamo forse di autori o di direttori …
R. – Io credo che oggi ci sia un problema reale di
management culturale, soprattutto nel servizio pubblico. Secondo me c’è un
problema di autori. Si è dato molta importanza, giustamente, agli autori della
fiction. Ma io quando parlo di autori, parlo di quel genere del reality show
che francamente non mi pare un genere sul quale il Servizio pubblico possa
puntare le sue carte per il rinnovo dei palinsesti. Il Servizio pubblico deve
quindi rivedere molte delle sue politiche culturali.
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UN LIBRO CHE INDAGA SUI MECCANISMI DI DISAGIO
PSICHICO,
CHE
PORTANO AD ATTI ESTREMI DI MORTE E AUTODISTRUZIONE,
E
CERCA SOLUZIONI PREVENTIVE
- Con
noi, Maria Rita Parsi e Maria Burani Procaccini -
“Cuore di mostro”, questo il titolo dell’ultimo libro della
psicoterapeuta Maria Rita Parsi, presentato nei giorni scorsi nella Sala Del
Cenacolo, a Roma. All’incontro sono intervenuti psicologi, operatori della
comunicazione e parlamentari che, traendo spunto dallo scritto della Parsi,
hanno dibattuto di disagio mentale, familiare e giovanile. “Un disagio che
alberga in ciascuno di noi, una belva interiore – scrive l’autrice – che, se
riconosciuta in tempo, può essere affrontata e sconfitta”. Il servizio è di
Dorotea Gambardella:
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(musica)
Un libro, “Cuore di mostro” di
Maria Rita Parsi, che conduce il lettore in ‘una discesa agli inferi’, che è
esplorazione delle zone d’ombra del nostro quotidiano, fatto di famiglie
cosiddette ‘felici’. Attraverso l’artificio della fiaba-zione, la
psicoterapeuta dà voce a cinque persone, che la società definisce ‘mostri’, ricostruendo
dal loro punto di vista il percorso che li ha portati a compiere atti devastanti.
Ascoltiamo l’autrice:
R. – ‘Mostri’ sono coloro che con i comportamenti che feriscono loro
stessi, le persone più care mostrano una condizione di sofferenza, di rabbia,
di odio che riguardano non soltanto loro ma la comunità familiare, la società.
Quindi ogni ‘mostro’ che arriva, passaggio dopo passaggio, a compiere un atto
terribile, è sempre qualcuno che ci deve invitare a riflettere su come noi non
abbiamo saputo cogliere i messaggi che sempre i cosiddetti ‘mostri’ lanciano
prima di arrivare a quel momento. C’è sempre tutta una serie di sedimentazione,
di micro-eventi negativi che, insieme, sommandosi, danno luogo – quando c’è una
causa scatenante – a quelle terribili condizioni di fronte alle quali poi dopo
noi gridiamo all’orrore.
D. – Per cui, qual è l’obiettivo
di questo libro?
R. – Creare una condizione di
attenzione intorno a questi eventi affinché non vengano trasformati in eventi
per cui si getta il mostro in prima pagina e si chiude lì; divengono invece
momenti di collettiva riflessione e occasioni di organizzare in maniera
articolata, con senso di responsabilità individuale, familiare, sociale,
scolastica quella prevenzione di cui tanto parliamo ma che nessuno fa mai.
Perché noi non facciamo nient’altro di fronte ai casi terribili che continuano
a ripetersi, che dire: “C’erano stati dei segnali d’allarme, ma nessuno ha
fatto niente. Si poteva ...”: ma se si poteva, si deve potere organizzare
sistematicamente e lo si deve passando per i nodi fondamentali dove tutti si
incontrano. Per esempio, la scuola: questo libro auspica la formazione degli
educatori, la sensibilizzazione dei genitori, la attivazione di tutti gli
strumenti ed i finanziamenti di tutti i presidi psico-pedagogici che si possono
trovare sul territorio; è un libro che racconta di come tante mine vaganti
avrebbero potuto essere disinnescate, perché non ci sono solo i ‘mostri’ che in
prima persona raccontano la propria storia fino al momento del dramma, ma ci
sono anche le storie di persone che invece hanno potuto evitare perché c’è
stato quell’insegnante, quello psico-terapeuta, quel sacerdote, quella lettura
che hanno cambiato la loro vita ...
Purtroppo spesso sono i minori, in
particolare gli adolescenti, ad essere protagonisti o vittime di tragedie
familiari. Eppure, questa fascia d’età costituisce una sorta di “buco nero”,
come ci spiega l’on. Maria Burani Procaccini, presidente della Commissione
Infanzia della Camera dei Deputati.
“Ci si occupa dei bambini, ci si
occupa degli adulti ma non degli adolescenti. E’ il momento più delicato, è il
momento in cui la psiche di un ragazzo è più debole perché è in un momento di
grandi sconvolgimenti ormonali, è un momento in cui la solitudine diventa
maggiore, è il momento in cui il senso di responsabilità non è ancora molto
sviluppato però lo si sente come una sorta di cappio, di peso, e quindi si
scatenano quei disturbi che possono poi diventare delle vere e proprie
patologie. E allora, bisogna aiutarli, i nostri ragazzi, a crescere, pensando a
loro anche nel momento in cui sono il brutto anatroccolo che deve diventare il
cigno, e cercare di fare in modo che attraverso un’assistenza adeguata nelle
scuole, attraverso programmi mirati anche d’informazione televisiva, attraverso
tutta una serie di strumenti che devono aiutarli nel momento della crescita.
Non si possono più lasciare soli!”.
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15
giugno 2003
MEDIO ORIENTE: NONOSTANTE LE VIOLENZE DEI GIORNI
SCORSI
SI
RIACCENDONO LE SPARANZE DI PACE DOPO LA LENTA RIPRESA DEI NEGOZIATI
TRA ISRAELIANI
E PALESTINESI
- A
cura di Graziano Motta -
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GERUSALEMME. = Avrà un seguito la riunione di ieri sera
tra il generale israeliano Amos Gilad, e il ministro palestinese Mohamed
Dahlan, e sarà dedicata alla definizione delle responsabilità palestinesi nel
campo della sicurezza in quelle zone dei territori da cui saranno ritirati i
soldati. Nella riunione, che si è svolta nella residenza dell’ambasciatore
americano, c’è stato uno scambio di richieste – con la promessa di risposte
sollecite – da una parte sul ritiro militare israeliano da Gaza e Betlemme,
sulla fine delle operazioni cosiddette ‘mirate’ contro i capi della rivolta e
sulla liberazione dei prigionieri; dall’altra, sulla cessazione di ogni violenza
da parte dei gruppi estremisti e dell’incitazione alla violenza sui mass media.
Domani il capo del governo palestinese Mahmud Abbas e il ministro Dahlan
saranno a Gaza per tentare di negoziare con i movimenti fondamentalisti Hamas e
Jihad una tregua negli attentati e nelle operazioni di guerriglia contro gli
israeliani. Il punto sugli sviluppi di queste iniziative, volte al
consolidamento del dialogo tra le parti, sarà compiuto nei prossimi giorni alla
presenza dell’inviato americano John Wolf, incaricato di seguire con 12
collaboratori l’applicazione della road-map, ovvero il piano di pace. In
vista di questo incontro, il governo israeliano ha affrontato oggi un documento
di lavoro in cui, come ha precisato il primo ministro Sharon, vengono
riproposte le quattordici riserve a suo tempo espresse sulla road-map,
considerate essenziali, mentre i palestinesi non intendono riconoscerle del
tutto. Sharon ha detto inoltre ai ministri che sarà proseguita la lotta agli
attentatori suicidi e che se l’autorità palestinese non smantellerà le infrastrutture
dei gruppi terroristici, se ne incaricheranno i soldati. Intanto, guerriglieri
palestinesi hanno lanciato dalla Striscia di Gaza altri due missili sulla città
israeliana di Sderot, mentre in Samaria coloni ebrei hanno stabilito un nuovo
punto di espansione presso il posto dove giorni fa due automobiliste sono state
ferite gravemente.
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I VESCOVI POLACCHI, RIUNITI A PARADYZ HANNO
DENUNCIATO LA PROFONDA CRISI
IN CUI
VERSA IL LORO PAESE. COMMENTO POSITIVO, INVECE,
SULL’ADESIONE
DELLA POLONIA ALL’UNIONE EUROPEA
PARADYZ. = Corruzione,
particolarismo, partitismo e la ricerca del profitto ad ogni costo. Queste le
cause della crisi strutturale della Polonia. Una denuncia concreta, quella
della Conferenza Episcopale, che evidenzia queste problematiche sia a livello
centrale del potere politico, sia a livello dell’Amministrazione regionale e
locale. “Il dramma di una crescente disoccupazione inasprisce, inoltre, la già
grave situazione dei più poveri. Purtroppo, alcuni nostri connazionali – scrivono
i vescovi nel loro documento – dando per scontata questa situazione, si preoccupano
solamente del proprio profitto senza nessuno scrupolo morale” . A Paradyz si è
parlato inoltre del risultato del Referendum europeo, ringraziando il Santo Padre
per la sua voce a favore dell’adesione del Paese alle strutture dell’UE. “La
nostra presenza nell’Unione europea – scrivono - servirà come una prova del patriottismo
polacco, e allo stesso tempo come verifica della profondità della nostra fede e
cultura”. I presuli hanno criticato inoltre “una cosciente omissione nel progetto
della Costituzione europea della menzione del cristianesimo, e del suo ruolo
nel plurisecolare processo della costruzione del Continente”. Si spera che
sulla forma del futuro Trattato costituzionale dell’Ue avrà influsso anche la
voce dei cristiani polacchi, essi infatti rilevano una continua presenza del
Vangelo nello sviluppo spirituale del nostro Continente. Infine un invito
rivolto a Giovanni Paolo II, affinché visiti nuovamente il suo Paese natale.
(S.S.)
ITALIANI CHIAMATI AL VOTO PER DECIDERE SU ARTICOLO
18 ED ELETTRODOTTI.
SUI DUE REFERENDUM L’INCOGNITA DEL NON
RAGGIUNGIMENTO DEL QUORUM
NECESSARIO PER RENDERE VALIDA LA CONSULTAZIONE
ROMA. = Seggi aperti in tutta
Italia dalle otto di questa mattina per consentire ad oltre 54 milioni di
elettori, compresi quelli all’estero, di dire sì o no all'estensione della
giusta causa come unica legittima ragione di licenziamento, anche nelle aziende
che occupano meno di quindici dipendenti e all'abolizione della servitù di
elettrodotto sui terreni privati. Per questa tornata referendaria
resta, però, altissimo il rischio del non raggiungimento del quorum del 50% più
uno, soglia sotto il quale i due Referendum verrebbero invalidati. Agli
elettori saranno consegnate due schede: una di colore celeste, per il
referendum sull'articolo 18, una arancione per scegliere sugli elettrodotti. Nel primo caso, se vinceranno i
no, resterà in vigore l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nella sua attuale
formulazione, per cui non possono essere licenziati senza giusta causa i dipendenti
delle imprese con più di 15 lavoratori. Il successo dei sì determinerà, invece,
l'estensione della norma anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. Nel
secondo caso, la vittoria dei sì determinerà la possibilità per i proprietari
di terreni di opporsi al passaggio degli eletrodotti nei loro fondi, mentre se
prevarranno i no resteranno in vigore le attuali servitù coattive. Le urne
saranno sigillate questa sera alle 22 per essere riaperte domattina alle 7 fino
alle 15. Gli elettori italiani residenti all'estero, 2 milioni e 300 mila,
hanno già votato nei giorni scorsi. (S.S.)
IL GOVERNO MYANMAR SI APPRESTA A LIBERARE LA DIRIGENTE DELL’OPPOSIZIONE
SAN
SUU KYI, DICHIARANDOSI DISPIACIUTO DEGLI INCIDENTI
CHE IL
30 MAGGIO SCORSO PORTARONO AL SUO ARRESTO
RANGOON. = L’annuncio è stato
fatto dal ministro degli Esteri birmano
Win Aung. “Ci stiamo lavorando – ha riferito -
anche se non posso dire quando avverra”. La dirigente dell'opposizione San Suu Kyi fu imprigionata dopo un
attacco di sostenitori dei militari al potere contro una folla riunita attorno
a lei, che compiva un giro politico nel nord del paese. La polizia, intanto, prosegue nelle indagini
sulle violenze. “L'accaduto il 30
maggio è molto sgradevole – ha poi aggiunto il capo della diplomazia birmano -
e lavoriamo molto intensamente alla riconciliazione nazionale”. La situazione
in Myanmar sarà uno dei principali argomenti sui cui si incentrerà l’attenzione
della riunione dell'Asean, l’Associazione di Stati del Sudest asiatico, in
programma per questa settimana a Phnom Penh, in Cambogia. All’incontro
parteciperanno anche alcuni ministri degli Esteri occidentali e di altri Paesi
del Sudest, che non sono membri dell'Asean. (S.S.)
COSTE SICILIANE PRESE
D’ASSALTO DAI CLANDESTINI, CON DECINE DI SBARCHI
NEGLI ULTIMI GIORNI. IERI VERTICE AL VIMINALE PER
COMBATTERE IL FENOMENO.
SECONDO GLI ULTIMI DATI UFFICIALI, PERO’, RISPETTO
ALLO SCORSO ANNO
GLI
APPRODI SONO DIMINUITI DEL 49%
LAMPEDUSA.
= Complice il bel tempo ed il mare piatto, proseguono gli sbarchi di clandestini
sulle coste italiane. All'alba sono sbarcati 178 clandestini a Lampedusa. Sono
quasi tutti originari dell'Africa centrale. Gli extracomunitari sono stati trasferiti, a dieci miglia dall'isola, su
due motovedette della Guardia costiera dal barcone con il quale avevano
attraversato il Canale di Sicilia. I clandestini, tra cui 20 donne e due
neonati, sono ora ospitati nel Centro di prima accoglienza. Ieri sera sono
invece arrivati i 49 extracomunitari avvistati nel pomeriggio dalla Guardia di
Finanza e dalla Capitaneria di porto. Provengono da Pakistan, Iraq e Africa centrale.
Sono intanto migliorate le condizioni dell’extracomunitario colto da una grave
crisi cardiaca, che ieri sera era stato trasportato con un elicottero della
Marina Militare a Lampedusa. L'uomo era a bordo di un gommone diretto verso la Sicilia. Intanto ieri in un vertice al
Viminale, convocato dal ministro degli Interni, Giuseppe Pisanu, è stata messa
a punto una strategia di contrasto agli sbarchi di clandestini in Italia.
Guardia di Finanza, Marina Militare e Capitanerie di Porto verranno coinvolte
negli interventi con la sorveglianza e il pattugliamento delle acque nazionali
e internazionali, mentre il coordinamento generale di tutte le forze in campo
verrà affidato alla direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia di
frontiere. Nello stesso vertice sono stati diffusi gli ultimi dati sugli sbarchi
che parlano di un calo, rispetto allo scorso anno, del 49%. (S.S.)
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