RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 159 - Testo della Trasmissione di domenica 8 giugno 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Giovanni Paolo II dalla Croazia: “Il cristiano non si rassegna alla stanchezza e all’inerzia”. Nell’odierna festa di Pentecoste, celebrata nella città di Rijeka, il Papa richiama ancora una volta le famiglie a farsi carico della grande responsabilità riposta in loro e sollecita dallo Stato croato provvedimenti concreti di sostegno: con noi l’arcivescovo Ivan Devcic e padre Federico Lombardi.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Nel nord dell’Uganda si intensificano gli attacchi dei ribelli contro chiese e missioni cattoliche. Sequestrati altri bambini per essere addestrati alla guerra: ce ne parla padre Giulio Albanese.

 

Dal Paralympic day, ospitato a Torino, un messaggio di accoglienza per i disabili, che va al di là dello sport: intervista con Tiziana Nasi e Renato Montabona.

 

Nel 50.mo anniversario della storica conquista dell’Everest, organizzate in Nepal numerose iniziative: ai nostri microfoni Reinhold Messner.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Ancora scontri e morti questa mattina in Terra Santa, al valico di Erez, tra Gaza ed Israele.

 

Oggi, in Polonia, secondo ed ultimo giorno di Referendum sull’adesione all’Unione Europea.

 

Un chiaro ‘no’ ai piani atomici della Corea del Sud è stato espresso ieri a Tokyo durante l’incontro tra il primo ministro giapponese ed il presidente sudcoreano.

 

E’ fallito questa notte, in Mauritania, un tentativo di colpo di Stato compiuto da alcuni elementi delle Forze armate.

 

Nella Repubblica Democratica del Congo l’Ebola non uccide più. Lo ha annunciato il ministro della sanità del Paese africano.

 

Oggi e domani urne aperte in Italia per le elezioni amministrative.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 giugno 2003

 

 

GIOVANNI PAOLO II DALLA CROAZIA: “IL CRISTIANO NON SI RASSEGNA

ALLA STANCHEZZA E ALL’INERZIA”. NELL’ODIERNA FESTA DI PENTECOSTE,

CELEBRATA NELLA CITTA’ DI RIJEKA, IL PAPA RICHIAMA ANCORA UNA VOLTA

 LE FAMIGLIE A FARSI CARICO DELLA GRANDE RESPONSABILITA’ RIPOSTA IN LORO

 E SOLLECITA DALLO STATO CROATO PROVVEDIMENTI CONCRETI DI SOSTEGNO

 

- A cura di Roberta Gisotti -

 

“L’odierna società è drammaticamente frammentata e divisa. Proprio per questo è cosi disperatamente insoddisfatta”. Dalla terra croata la parola forte del Papa si è levata in questa domenica di Pentecoste, dedicata alla famiglia. Nel grande piazzale di Rijeka, che prende il nome dal Delta del fiume Rijecina, il Santo Padre ha celebrato stamane la Santa Messa, e recitato il Regina Coeli, davanti una folla di 140 mila fedeli, presenti tra le autorità ecclesiali il presidente della Conferenza episcopale croata, mons. Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria, ed il primo ministro, Iviza Racan.

 

Giunto al quarto giorno di questo intenso viaggio apostolico, il terzo in Croazia, il 100 mo fuori dall’Italia, Giovanni Paolo II ha parlato anche oggi ai Croati e al mondo intero sui valori fondamentali della nostra vita. Alcuni verbi ricorrono nei discorsi del Papa in questa particolare visita ad un Paese che faticosamente sta tornando alla piena convivenza pacifica e democratica, in un periodo delicato per l’Europa che si appresta a varare la nuova Costituzione europea, in uno scenario internazionale denso di interrogativi per la pace e lo sviluppo economico.

 

“Non stancatevi”, ha detto il Papa - al suo arrivo - alle autorità civili e religiose croate di curare le ferite di una recente guerra crudele e di sanare pure le conseguenze del passato regime comunista; e poi si è rivolto - il giorno dopo - a tutte le donne croate, segnate dal dolore e da cocenti delusioni, per incoraggiarle nella famiglia, nella società, nella comunità ecclesiale; ed ancora ieri ha parlato ai fedeli laici, “perché nessun battezzato può rimanere ozioso”: “non vi scoraggiate - ha detto loro - di fronte alla complessità delle situazioni”; e questa mattina “non stancatevi” ha ripetuto alle famiglie, ai genitori, ai giovani di dare testimonianza di vita cristiana.

        

Ma colleghiamoci ora con il nostro inviato Luca Collodi, per la cronaca di questa giornata.

 

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Ai piedi della collina dove sorge il Santuario mariano di Trsat dove secondo la tradizione fu custodita dal 1291 al 1294 la Santa Casa di Nazareth, trasportata poi a Loreto, Giovanni Paolo II richiama il carattere sacro ed inviolabile della famiglia cristiana. Lo fa alla presenza del premier croato Iviza Racan, proprio mentre il mondo politico e sindacale è impegnato nella discussione di un progetto che punta a trasformare la domenica in un giorno lavorativo

 

(Parole Papa in croato)

“La famiglia cattolica croata prega ogni giorno ed alla domenica celebra l’Eucarestia. Perché ciò possa avvenire è di fondamentale importanza il rispetto della sacralità del giorno festivo, che consente ai membri della famiglia di ritrovarsi e di rendere insieme a Dio il culto dovuto”.

 

“Aiutando la famiglia - fa notare - si contribuisce alla soluzione anche di altri gravi problemi”, quali, la casa, il lavoro, l’assistenza ai malati ed agli anziani e si mette un freno alla criminalità. Rivolgendosi poi agli oltre 140 mila fedeli presenti nel bacino del fiume Rijecina, da cui il nome Rijeka, Giovanni Paolo II li invita a non esitare nel proporre “l’autentico progetto di Dio sulla famiglia come comunità di vita fondata sul matrimonio, cioè sull’unione stabile e fedele di un uomo e di una donna” legati da un vincolo pubblico. In una società frammentata e divisa, ai genitori spetta il carico dell’educazione umana e cristiana dei figli con l’aiuto di educatori e catechisti seri e ben formati.

 

Anche da Rjieka, dopo la tappa di Osijek nella Slavonia colpita dalla guerra, il Papa rinnova l’invito alla riconciliazione ed esorta i coniugi croati ad essere il popolo della speranza e della preghiera per superare, grazie allo Spirito Santo, ogni dispersione e ricucire ogni lacerazione. Prima del Regina Coeli, Giovanni Paolo II ha salutato i giovani della Croazia, rinnovando l’invito delle recenti Giornate Mondiali della Gioventù ad essere “sentinelle del mattino e popolo delle Beatitudini”, in vista delle grandi responsabilità a cui saranno chiamati nella vita familiare e professionale. Alla cerimonia della Festa di Pentecoste nel Delta del Rijecina, dove dal 1921 al 1947 correva il confine tra l’Italia e la Jugoslavia, hanno partecipato fedeli di nazionalità slovena, tedesca, albanese, polacca e italiana.

 

Saluto i fedeli di lingua italiana, in particolare le famiglie qui convenute. Lo Spirito del Signore rinsaldi i vincoli che vi uniscono e vi renda nel mondo testimoni dell’amore fedele e gratuito di Dio.

 

L’appello alla riconciliazione nazionale, alla solidarietà e alla giustizia sociale lanciato ieri dal Papa in Slavonia trova vasta eco sui giornali nazionali. Alcuni articoli sono dedicati alla morte di tre persone per il gran caldo. Uno dei morti era un uomo di 42 anni, padre di tre figli. L’istriano Jutarnji List apre con una grande foto centrale con il Papa che saluta la delegazione di 5 vescovi della Chiesa ortodossa a Osjiek accompagnati da 15 autobus di fedeli provenienti dalla Serbia e dal Montenegro. In un’intervista, il metropolita ortodosso di Zagabria e Lubiana, Jovan, si dice possibilista sulla visita del Papa in Serbia. La Chiesa ortodossa serba, rilancia Novilist di Rjieka, desidera l’arrivo del Papa a Belgrado. Vecernji List, quotidiano di Zagabria, scrive di 7 giornalisti serbi che hanno voluto salutare il Papa al termine della Messa. Tra i fedeli a Osjiek, anche il calciatore Zvone Boban, ex Milan, con la famiglia. Per lui è stata la prima volta con il Papa dal vivo.

 

Da Rijeka, Luca Collodi, Radio Vaticana

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La famiglia dunque al centro della celebrazione odierna; la famiglia messa a dura prova nelle situazioni di sofferenza anche estrema vissute dalla popolazione in Croazia; la famiglia che oggi cerca sostegno nella fede e considerazione dalle istituzioni dello Stato. Ascoltiamo in proposito la testimonianza dell’arcivescovo di Rijeka, mons. Ivan Devcic, che ha concelebrato la Santa Messa con il Papa questa mattina.

 

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Noi constatiamo che le nostre famiglie hanno molti problemi come le famiglie degli altri Paesi europei: per esempio con il divorzio e l’aborto. Ma le nostre famiglie possono curare poco l’educazione, perché i genitori sono troppo occupati e non hanno tempo per educare i propri bambini, allora, delegano ciò alla scuola, alla Chiesa, alla società, ma spesso il principale educatore dei figli è la strada. D’altra parte le nostre famiglie hanno anche problemi più grandi rispetto ad altre famiglie europee alle quali non sono equiparate economicamente, infatti hanno grandi problemi finanziari. Molte sono state colpite dalla guerra: alcune sono rimaste senza padri, altre senza figli. Hanno avuto molte difficoltà e per queste ci vuole un’assistenza particolare della Chiesa. Noi vescovi abbiamo pensato che in occasione della visita del Santo Padre, potevamo affrontare questo problema, e sottolineare l’importanza della Chiesa e della società, perché la famiglia nella società è una cellula fondamentale. La famiglia deve prima di tutto trasmettere valori religiosi e morali, perciò abbiamo scelto il motto ‘Famiglia la via della Chiesa e del popolo’; questo motto è la nostra risposta alla situazione economica, morale e religiosa della famiglia croata in questo momento.

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E diamo quindi la parola al nostro direttore dei programmi, padre Federico Lombardi, al seguito del Papa, che ci offre una riflessione sulla Festa della Pentecoste e sull’omelia del Santo Padre.

 

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Pentecoste in viaggio, per il Papa non è una novità, perché questa solennità capita in un periodo dell’anno che spesso il Pontefice ha dedicato a viaggiare, anzi, è rimasta storica proprio la prima Pentecoste del Pontificato, a Varsavia nel ’79, durante il primo viaggio in Polonia. “Vieni Spirito del Signore e rinnova la faccia della terra, di questa terra”, disse allora Giovanni Paolo II. Quella invocazione è stata largamente esaudita allora nella storia della sua patria. Sotto la spinta dello Spirito, il Papa ha pronunciato la stessa invocazione per 25 anni in innumerevoli lingue diverse, si può ben dire fino ai confini della Terra, rivivendo e ripresentando, in un modo molto concreto, l’attualità del mistero della Pentecoste nella missione e nella vita della Chiesa. Oggi è la volta della Croazia.

 

“Sono testimone del passaggio dello Spirito nella storia della Chiesa e nella vita della diletta Nazione croata” ha detto nella introduzione alla Messa, il Papa. Dello Spirito c’è molto bisogno. Senza di esso non si capirebbe come la Chiesa continui miracolosamente ad esistere attraverso tante traversie nonostante le sue fragilità. Ce ne è bisogno qui a Rijeka, terra di confine continuamente alla ricerca di una propria identità: prima asburgica, poi italiana, poi croata, dove non si riesce ancora a formulare un disegno pastorale coerente. Ce ne è bisogno in Croazia, dove nella transizione dal comunismo alla democrazia, di fronte alla sfida della secolarizzazione, la tradizione popolare cattolica è messa a dura prova e non a caso i vescovi hanno scelto la famiglia come tema di questo viaggio del Papa.

 

Famiglia troppo spesso soverchiata dai problemi da affrontare e non adeguatamente sostenuta nel rispondere alle sue funzioni fondamentali per la società e per la Chiesa. Oggi a Rijeka sono presenti vescovi e fedeli non solo della Croazia e della Bosnia-Erzegovina, ma anche delle vicine Slovenia e Italia, e qui confluiscono immigrati dai vari Paesi balcanici, nella loro tendenza verso i Paesi più ricchi. In questo snodo della mitteleuropa, lo Spirito deve soffiare, perché la diversità culturale e spirituale non generi confusione e solitudine, ma incontro e creatività. Ciò è necessario soprattutto per i giovani che stentano a trovare una proposta cristiana che sappia suscitare il loro entusiasmo e orientare le loro energie latenti verso la costruzione di un futuro all’altezza delle loro speranze. Speriamo che lo Spirito soffi per questi giovani, perché siano anch’essi insieme ai loro coetanei dell’Europa e del mondo, sentinelle del mattino e popolo delle beatitudini. E così la Pentecoste continui.

 

Da Rijeka, per la Radio Vaticana, padre Federico Lombardi.

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Torniamo agli appuntamenti prossimi del Papa, che dopo il pranzo con i vescovi croati nel Seminario arcidiocesano di Rijeka, si recherà in visita privata nel Santuario di Nostra Signora di Trsat, Regina dell’Adriatico, detto anche “la Nazareth croata”, che risale al XV secolo e che si trova sulla collina - come abbiamo già ascoltato - che domina la città ed è affidato all’Ordine dei Frati minori. Qui dunque il Papa giungerà nel tardo pomeriggio intorno alle 18 e si intratterrà con la comunità composta da una trentina di persone; quindi farà rientro in città e - dopo una breve sosta davanti alla cattedrale barocca di Rijeka intitolata al patrono San Vito - tornerà al Seminario, dove incontrerà nel giardino un gruppo di circa 150 suore della Congregazione del Sacro Cuore. Infine la cena in privato.

 

Domani lunedì 9 giugno, ultimo giorno del viaggio, il Papa lascerà in mattinata Rijeka, dall’aeroporto dell’isola di Krk diretto a Zadar, dove arriverà alle 10.30. Qui, all’aeroporto cittadino, ad accoglierlo saranno il vescovo, il sindaco e il direttore dello Scalo: quindi si recherà al Forum, una grande bella piazza, in riva la mare, nei pressi della cattedrale e del Palazzo arcivescovile di Zadar, dove presiederà alle ore 11.15 la celebrazione della Parola, nella festività croata della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa. La nostra emittente seguirà l’intera cerimonia con radiocronaca in lingua italiana sull’onda media di 585 kHz e in modulazione di frequenza di 105 MHz.

 

Al termine del rito Giovanni Paolo II, dopo la cerimonia di congedo all’aeroporto di Zadar, partirà per Roma - dove è previsto l’arrivo a Ciampino alle 14.30 - e quindi in elicottero farà rientro in Vaticano.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

8 giugno 2003

 

 

NEL NORD DELL’UGANDA SI INTENSIFICANO GLI ATTACCHI DEI RIBELLI

CONTRO CHIESE E MISSIONI CATTOLICHE.

SEQUESTRATI ALTRI BAMBINI PER ESSERE ADDESTRATI A COMBATTERE

- Intervista con Giulio Albanese -

 

 

Nel nord dell’Uganda, nuovo offensiva dei ribelli del sedicente Esercito di Resistenza del Signore che stanno assediando e razziando i centri abitati.  Negli attacchi vengono sequestrati i bambini che sono poi forzatamente arruolati nell’esercito dei ribelli. La conferenza episcopale italiana ha chiesto un pronunciamento internazionale. In un messaggio consegnato ad un parroco locale, padre Alex Ojera, catturato e poi rilasciato dai ribelli, l’Esercito di Resistenza del Signore si dice pronto a negoziare con il governo ma chiede di parlare direttamente con il presidente ugandese Museveni, rifiutando qualsiasi mediazione da parte dei leader religiosi locali.

 

Ultimamente sono state prese di mira chiese e nove missioni cattoliche, come riferisce dall’Uganda, al microfono di Roberto Piermarini, padre Giulio Albanese, direttore dell’Agenzia Misna, che in questi giorni si trova nella missione cattolica di Kitgum:

 

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R. – La situazione è disperata, in quanto tutti i principali centri abitati sono praticamente circondati dai ribelli; le zone rurali sono infestate di ‘olum’, così li chiama la gente questi ribelli della ‘Lord’s Resistance Army’. Il dato più preoccupante è proprio il fatto che ultimamente sono state prese di mira le chiese, le missioni cattoliche, l’ultima in ordine cronologico è quella di Opit: la missione è stata saccheggiata, sono stati commessi veri e propri atti sacrileghi non foss’altro perché vi è stata una sparatoria proprio dentro l’edificio della chiesa, sono stati portati via dai ribelli addirittura gli arredi sacri. Ma quella che è più drammatica è la situazione dei civili: basti pensare che in un villaggio sono state incendiate oltre cento capanne, e ci sono qualcosa come 10 mila persone che sono ormai all’addiaccio, non hanno un tetto sotto cui dormire. E ancora, c’è la situazione alimentare che è preoccupante anche perché i rifornimenti, gli aiuti alimentari arrivavano praticamente via terra fino a poco tempo fa; adesso, a questo punto, gli unici soccorsi sono via aerea e ci sono molti centri che sono praticamene isolati, dove la gente sta letteralmente morendo di fame.

 

D. – Ecco, a Kitgum sono stati rapiti anche diversi bambini dai ribelli ...

 

R. – Questi, purtroppo, sono fatti ordinari. Il dato forse più preoccupante per noi che siamo qui a Kitgum è il fatto che i ribelli potrebbero anche attaccare questa missione dove, peraltro, hanno trovato rifugio nel catecumenato, oltre 500 bambini. Si tratta di ragazzi tra i 10 ed i 15 anni che i genitori hanno lasciato qui in missione perché temono che possano essere sequestrati da questi ribelli di Kony. L’esercito di Kony – questo è bene ricordarlo – è un esercito formato fondamentalmente da bambini che vengono costretti a combattere questa guerra sanguinosa che purtroppo viene pagata innanzitutto e soprattutto dai civili.

 

D. – Il governo centrale di Kampala non riesce a controllare la situazione?

 

R. – Il governo fa fatica, anche perché i ribelli sono molto, molto equipaggiati di armi.

 

D. – Chi finanzia questi ribelli?

 

R. – Certamente il Sudan per quanto riguarda tutte le forniture militari, ma in effetti rappresentano – a detta di molti – una scheggia impazzita: il loro leader è un folle visionario, Joseph Kony, il quale dalla fine degli anni Ottanta predica un messaggio a dir poco demenziale. Lui vuole sostituire la Costituzione ugandese con i Dieci Comandamenti. In sostanza il suo è un credo ‘sincretista’, dove c’è un po’ di tutto: vi sono elementi di cristianesimo, islam e anche di fede animista. Purtroppo i bambini sequestrati vengono plagiati, si parla addirittura di ipnosi collettiva. La verità è che sono costretti ad ammazzare, spesso anche sotto l’effetto di droghe.

 

D. – Come si è conclusa la vicenda degli studenti del Seminario minore di Lachor che sono stati rapiti dai ribelli alcune settimane fa?

 

R. – Alcuni di loro – sette – sono riusciti in un modo o nell’altro, rocambolescamente a fuggire; il grosso dei seminaristi è ancora nelle mani dei ribelli e si teme che alcuni di loro siano già stati inquadrati in questa formazione armata. Purtroppo, il dramma di questi seminaristi è vissuto dalla stragrande maggioranza dei bambini che vivono in questa regione. Nell’arco degli ultimi dieci anni sono stati sequestrati qualcosa come 15 mila bambini in questa remota regione del Nord Uganda.

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NEI GIORNI SCORSI SI E’ SVOLTA A TORINO L’INIZIATIVA

DEL PARALYMPIC DAY,  UNA GIORNATA DI SPORT E DI FESTA.

GLI ATLETI DISABILI HANNO DIMOSTRATO GRANDI DOTI TECNICHE

- Servizio di Giancarlo La Vella -

 

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Qualsiasi attività agonistica è sport vero quando viene praticata col serio allenamento, nel rispetto delle regole e dell’avversario. Tanto più nello sport per disabili in cui al sacrificio degli allenamenti va aggiunta la difficoltà di vivere in una società che solo da poco si sta adeguando veramente alle esigenze di tutte le diversità fisiche. Lo sport è il settore guida in cui i portatori di handicap possono esprimere le proprie potenzialità. Non è più una curiosità vedere una partita di basket o tennis in carrozzina, una gara di corsa o ciclistica per atleti amputati. E nei giorni scorsi si è concluso a Torino il Paralympic Day, un’iniziativa che ha coinvolto l’intero capoluogo piemontese, quale tappa di avvicinamento ai Giochi Olimpici Invernali per disabili, che verranno ospitati dalla città nel 2006. Sullo spirito dell’avvenimento sentiamo Tiziana Nasi, presidente del Comitato Paraolimpiadi Torino 2006.

 

“Credo che finalmente in certe occasioni stiamo cominciando a parlare di sport tout court e non più di sport per disabili, perché vediamo che gli atleti sono tali sotto tutti i punti di vista e, in moltissimi casi, non hanno nulla da invidiare, neanche fisicamente, agli atleti normo-dotati. Gli sport che praticano sono gli stessi, con le stesse regole, con dei risultati che si avvicinano anche moltissimo ai risultati dei normo-dotati. L’unica cosa è che ognuno dei nostri atleti ha bisogno di uno strumento specifico, di uno strumento speciale per poter praticare l’attività agonistica”.

 

E Torino, che si sta preparando a questi avvenimenti, vuole essere la città pilota da cui parta un messaggio di sensibilizzazione a tutte le municipalità europee e che vada anche al di là dello sport. Lo conferma Renato Montabona, assessore allo sport di Torino:

 

“Abbiamo inventato il Paralympic Day, che viene fatto nel centro cittadino, e lì si possono osservare atleti abili e atleti disabili che insieme fanno sport. Non è un confronto agonistico, ma è un’attività di sensibilizzazione per quelli che guardano le gare, ad esempio fra Pedroso e La Barbera, con Fiona Mei ed altri. Certo, tutti i settori della società dovranno far sì che cresca questa sensibilità, perché, attraverso questo messaggio che noi mandiamo, poi imponiamo anche a molti, per esempio, che le barriere architettoniche vengano abolite, quindi una sensibilizzazione che attraverso l’evento sportivo riesce a divenire realtà”.

 

Dunque, col Paralympic Day cresce l’attesa per i Giochi del 2006 nella certezza che i vincitori saranno pur sempre dei campioni nello sport e nella vita.

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PER IL 50.MO ANNIVERSARIO DELLA STORICA SCALATA DELL’EVEREST,

LA VETTA PIU’ ALTA DEL MONDO,  ORGANIZZATE  IN NEPAL NUMEROSE INIZIATIVE

- Intervista con Reinhold Messner -

 

Fitto il calendario delle iniziative organizzate in Nepal per celebrare il 50.esimo anniversario della prima conquista della vetta più alta del mondo, il 29 maggio del 1953. Da quello storico giorno oltre 1300 persone sono salite su quella ambita cima. L’Everest, nella catena dell’Himalaya, al confine tra il Tibet e il Nepal, rappresenta nell’immaginario collettivo degli alpinisti, una sfida che inizia fin dai primi passi della spedizione, con il superamento obbligatorio dell’icefall, situato poco sopra il campo basso e provocato dal movimento veloce del ghiacciaio del Kumbu sopra la roccia ripida. La prima esplorazione alpinistica risale al 1921. Il servizio è di Dorotea Gambardella.

 

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(musica)

 

Era il 1953 quando per la prima volta venne raggiunta la cima dell’Everest da Edmund Hillary, neozelandese, e dal nepalese Sherpa Norgay. Per i nepalesi il suo nome è “Sagarmata”, la dea del cielo, mentre i tibetani e gli sherpa del Nepal del Nord lo chiamano “Komolungma”, la dea madre dell’universo: nomi che esprimono tutto il rispetto del mondo himalayano per questo colosso che con i suoi 8.850 metri è la montagna più alta della terra, nota all’Occidente come ‘Everest’, dal nome del generale George Everest, ispettore dell’India dal 1830 al 1853.

 

Tante le ascese alla montagna fino ad oggi; tra esse, è celebre quella di Reinhold Messner e di Peter Habeler, che nel 1978 stabilirono un nuovo primato, raggiungendo la vetta senza l’uso dell’ossigeno. Reinhold Messner ricorda quell’esperienza ai nostri microfoni:

 

R. – Sono stato sull’Everest per circa otto settimane. Nella traversata della prima parte, quella più pericolosa, c’era una forte emozione perché c’era la paura, la speranza di farcela. Poi, il primo tentativo fallito in una bufera terribile ad ottomila metri: per due giorni e due notti siamo rimasti in tenda, senza sapere se saremmo sopravvissuti perché il vento attraverso i buchetti della tenda aveva spento il nostro fornelletto: è stato un momento terribile. Quando finalmente l’8 maggio 1978 siamo arrivati in cima, c’era anche la paura di non riuscire a tornare. Solo nel ritorno al campo base c’era una grande emozione e una forte gioia per avercela fatta e di essere ancora vivi!.

 

D. – La conquista degli ottomila metri è stata segnata da vicende eroiche e anche tragiche. Secondo lei, che cosa spinge gli alpinisti ad imprese così rischiose?

 

R. – Cinquant’anni fa si tentava di conquistare le montagne, come si conqui-stavano anche i Paesi: è un atteggiamento colonialistico che io non ho mai condiviso, però cinquant’anni fa, quando sono saliti per la prima volta sull’Everest, era stata una specie di conquista. Noi, poi, abbiamo cercato sulle grandi montagne, vie difficili, siamo andati su anche da soli, senza grande tecnologia per avere la possibilità di mettere alla prova le nostre debolezze. L’alpinismo ha poco a che vedere con l’eroismo o lo spirito di conquista; l’alpinismo significa, cioè, che noi piccoli ci confrontiamo con questo ‘infinito’, e ci accorgiamo che c’è qualche cosa che è molto più grande di noi, che definirei ‘il divino’. E con questo atteggiamento cresce il rispetto per l’infinito o il ‘divino’ della montagna.

 

D. – Che differenza c’è tra l’Everest e il Nangaparbat o il K2?

 

R. – L’Everest è il più alto; è un record in se stesso, per questo è molto famoso e tutti vogliono scalarlo. Non è la montagna più difficile: il K2 è più impegnativo. Pensiamo ai primi tentativi negli anni 1902, 1909, poi a quelli successivi degli americani negli anni Trenta, e degli italiani nel ’54. La montagna più pericolosa tra queste tre è il Nangaparbat. Sul Nangaparbat, prima di riuscire a conquistarlo, sono morte 31 persone e anch’io ho perso lì mio fratello.

 

D. – Lei sta lavorando ad un approccio alla montagna eco-compatibile ...

 

R. – Lavoro e parlo in tutto il mondo per salvare le montagne, per dare alla gente che vive alla base della montagna una possibilità di sopravvivenza. Abbiamo capito che bisogna portare il turismo. L’obiettivo sta nel combinare la cultura locale, l’agricoltura del posto con il turismo.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

8 giugno 2003

 

 

AL VALICO DI EREZ, TRA GAZA ED ISRAELE, L’INCURSIONE DI TRE PALESTINESI,

DECEDUTI NEL CORSO DEL CONSEGUENTE SCONTRO A FUOCO,

HA CAUSATO LA MORTE, STAMANI, ANCHE DI QUATTRO SOLDATI ISRAELIANI

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

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EREZ. = Tre palestinesi sono penetrati stamani nel valico di Erez, tra Gaza ed Israele, ed hanno aperto il fuoco contro una postazione militare israeliana. Durante il sanguinoso scontro a fuoco sono rimasti uccisi i tre infiltrati palestinesi e quattro soldati israeliani. L’emittente televisiva dei guerriglieri libanesi Hezbollah, al-Manar, ha riferito che la paternità dell’attacco è stata rivendicata congiuntamente da al-Fatah, Hamas e dalla Jihad islamica. Secondo la fonte giornalistica libanese l’incursione dei palestinesi, che indossavano divise dell’Esercito israeliano, è stata concepita come un messaggio diretto al premier palestinese Mahmud Abbas, alias Abu Mazen, e conferma come queste formazioni non siano affatto inclini a sospendere l’intifada armata seguendo l’auspicio emerso nel corso del recente vertice di Aqaba. In seguito a questo drammatico e purtroppo ennesimo episodio di violenza, il governo di Israele ha chiuso i valichi di transito fra Gaza ed il territorio israeliano. Nella tarda mattinata inoltre, in una seconda sparatoria avvenuta nella città cisgiordana di Hebron, è rimasto ferito un agente israeliano. Un palestinese ha cercato di  colpire una comitiva di coloni presso la Tomba dei Patriarchi, un luogo di preghiere frequentato da ebrei e da musulmani, e si è poi dato alla fuga. Di fronte all'acuirsi della crisi  politica nei Territori, il premier palestinese Mahmud Abbas ha chiesto, oggi, l'intervento dell'Egitto affinché contribuisca a persuadere i gruppi radicali a sospendere la lotta armata per consentire la progressiva realizzazione del ‘Tracciato di pace’.

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TRA UN SUSSEGUIRSI DI APPELLI AL VOTO E DI SOLLECITAZIONI

 A DIRE SI ALL'EUROPA, OGGI IN POLONIA, SECONDO  ED ULTIMO GIORNO

DI REFERENDUM SULL'ADESIONE ALL'UNIONE EUROPEA 

- A cura di Giuseppe D’Amato -

 

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VARSAVIA. = Alle 6 di stamattina i seggi sono stati riaperti. Ci sarà tempo fino alle 20. Ieri, solo il 17,6 per cento degli oltre 29 milioni di polacchi hanno votato. La maggior parte degli elettori è comunque attesa dopo le funzioni domenicali. Come ci si aspettava, domina l’apatia. Nelle città l’affluenza si è attestata sul 25 per cento, in campagna intorno al 10. E’ necessario il superamento del quorum del 50 per cento dei votanti per considerare valido il referendum, altrimenti la parola passerà al Parlamento. La Polonia è il Paese più grande tra i dieci candidati all’adesione all’Unione Europea. Tre elettori su quattro dovrebbero scegliere il sì. La Conferenza episcopale ha scritto una lettera ai fedeli, domenica scorsa, invitandoli a votare. Il 19 maggio scorso il Papa è intervenuto personalmente. “L’ingresso della Polonia in Europa - ha detto il Santo Padre - è un atto di giustizia storica. Le file degli euro scettici si sono assottigliate, ma il Paese resta diviso. Bruxelles ha chiesto molti sacrifici alla Polonia, soprattutto alle classi più deboli. Gli ultra conservatori temono poi che il Paese possa soffrire una perdita di identità nell’Ue. In base alla legge polacca in vigore, non ci saranno proiezioni ufficiali sull’affluenza alle urne durante la giornata. Ieri, la Commissione elettorale ha comunicato i dati ufficiali con svariate ore di ritardo.

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UN CHIARO NO AI PIANI ATOMICI DELLA COREA DEL SUD È STATO ESPRESSO IERI

A TOKYO DURANTE L’INCONTRO TRA IL PRIMO MINISTRO GIAPPONESE,

JUNICHIRO KOIZUMI, ED IL PRESIDENTE SUDCOREANO ROH MOO HYUN

 

TOKYO. = Nel corso dell’incontro di ieri tra il primo ministro giapponese, Junichiro Koizumi, ed il presidente sudcoreano, Roh Moo Hyun, Giappone e Corea del Sud hanno raggiunto un accordo di fondo per ribadire la loro condanna alle ambizioni nucleari della Corea del Nord. Nella dichiarazione congiunta i due Paesi rilevano che “Corea del Sud e Giappone sono d’accordo nel rafforzare la loro cooperazione con gli Stati Uniti per la soluzione pacifica della crisi nucleare nord coreana”. I leader dei due Paesi asiatici hanno espresso, inoltre, la convinzione che i negoziati tripartiti, avviati con un primo round di colloqui a Pechino tra Corea del Nord, Usa e Cina sulla questione nucleare di Pyongyang, “devono essere estesi includendo la partecipazione anche di Corea del Sud e Giappone”. I rappresentanti politici dei due Paesi, divisi in passato da incomprensioni e risentimenti per il dominio coloniale nipponico sulla penisola coreana dal 1910 al 1945, hanno ribadito l’intenzione di creare, in futuro, un’area di libero scambio senza barriere tariffarie. “Siamo ormai entrati in una nuova era delle relazioni nippo-coreane - hanno affermato Roh e Koizumi - e questo è un fatto importante per la pace e la stabilità dell’intera regione”. (A.L.)

 

 

E’ FALLITO QUESTA NOTTE, IN MAURITANIA, IL TENTATIVO DI COLPO DI STATO

COMPIUTO DA ALCUNI ELEMENTI DELLE FORZE ARMATE

 

NUAKCHOTT. = Reparti delle forze armate hanno tentato questa notte, in Mauritania, di portare a termine un colpo di Stato. Lo hanno reso noto fonti vicine all’esecutivo, precisando che l'azione è stata neutralizzata. Colpi di arma da fuoco sono stati uditi nel centro di Nuakchott, la capitale del Paese, ed in particolare nei pressi del Palazzo della Presidenza e dello Stato Maggiore dell'esercito. Le fonti hanno aggiunto che il presidente Maaouiya Ould Taya, salito al potere  con un colpo di Stato nel 1984 prima di vincere le elezioni nel  1992 e nel 1997, è rimasto incolume e sarà candidato alle elezioni  presidenziali previste il prossimo 7 novembre. (A.L.)

 

 

NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO L’EBOLA, FORTUNATAMENTE,

NON UCCIDE PIU’. LO HA ANNUNCIATO IL MINISTRO DELLA SANITÀ

DEL PAESE AFRICANO, ALAIN MOKA

 

BRAZZAVILLE. = Nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Brazzaville, nella Repubblica democratica del Congo, il ministro della sanità, Alain Moka, ha dichiarato che l’epidemia di ebola si è arrestata. La febbre emorragica ha colpito, tra gennaio ed aprile, non meno di 175 persone, uccidendone 136. “E’ dallo scorso 22 aprile - ha spiegato Moka - che non si registrano vittime a causa dell’ebola, esplosa nella regione della Cuvette, circa 500 chilometri a nord di Brazzaville, all’inizio dell’anno”. Il ministro ha inoltre annunciato l’imminente apertura, grazie a fondi stanziati dalla Banca Mondiale, di un programma di formazione degli staff medici nazionali per la prevenzione e le cura degli ammalati infettati da Ebola. Il fondo va ad aggiungersi ai circa 500 mila euro già stanziati dalla Banca africana per lo sviluppo (Adb), che il governo utilizzerà per la produzione di materiale informativo e la formazione del personale sanitario. La recente epidemia di Ebola sembra essersi dapprima manifestata, alla fine del 2002, colpendo un gruppo di gorilla. Solo successivamente, probabilmente a causa dell’abitudine degli abitanti dei villaggi rurali di mangiare carne di primate, ha colpito anche gli esseri umani. Il tasso di mortalità tra i contagiati dal virus oscilla tra il 50 ed il 90 per cento. (A.L.)

 

 

IN ITALIA OLTRE DUE MILIONI DI ELETTORI SONO CHIAMATI OGGI ALLE URNE

PER IL RINNOVO DEI CONSIGLI REGIONALI DEL FRIULI-VENEZIA-GIULIA

E DELLA VAL D’AOSTA E PER IL SECONDO TURNO DELLE AMMINISTRATIVE

 

ROMA. = Dalle 8 alle 22 di oggi e dalle 7 alle 15 di domani  sono aperti i seggi, in Italia, per il rinnovo dei Consigli regionali del Friuli-Venezia Giulia e della Val d'Aosta e per il primo turno del sindaco di Udine. Si vota anche per il secondo turno delle Amministrative di primavera che riguardano 49 comuni, tra i quali sei capoluoghi di provincia e le tre Amministrazioni provinciali siciliane di Caltanissetta, Siracusa e Trapani. Sono chiamati alle urne oltre due milioni e 200 mila elettori. In quattro sezioni del Friuli Venezia Giulia si sperimenterà il voto elettronico, ma solo dopo aver espletato la procedura tradizionale. (A.L.)

 

 

 

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