RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 154 - Testo della Trasmissione di martedì 3 giugno 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Impulso all’evangelizzazione, dialogo, difesa della vita e promozione della donna, tra i temi toccati dal Papa nel discorso ad un gruppo di vescovi dell’India in visita “ad Limina”.

 

In udienza dal Santo Padre il presidente di Serbia e Montenegro, Svetozar Marovic, ricevuto anche dal cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano. Al centro dei colloqui, l’auspicata integrazione nell’Unione Europea.

 

Quarant’anni fa, il 3 giugno 1963, moriva Giovanni XXIII, il servo buono e fedele ascritto nella luce dei beati: con noi, il segretario particolare mons. Loris Capovilla.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Conclusa la missione umanitaria in Iraq di mons. Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, per portare la solidarietà del Papa alla popolazione provata dalla guerra: il presule ai nostri microfoni.

 

L’impegno instancabile di Giovanni Paolo II e della diplomazia vaticana per la pace in Terra Santa: intervista con lo storico Alberto Melloni.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Con la Benedizione del Papa recata dal cardinale Crescenzio Sepe, inaugurato in Rwanda il Santuario mariano di Kibeho, luogo di apparizione della Vergine e di sanguinosi scontri etnici.

 

Gli oltre 45 gradi all’ombra continuano a mietere vittime in India. Oltre mille i morti, specialmente anziani, nello Stato dell’Andhra Pradesh.

 

E’ un dovere di ogni europeo riconoscere il contributo del cristianesimo nella costruzione del continente: così il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, in un messaggio al Capitolo generale dei Frati Minori.

 

In Paraguay, l’arcidiocesi di Asunción ha varato un progetto, unitamente ad altre organizzazioni non governative, in aiuto dell’Istituto paraguayano per gli indigeni.

 

Il primo Sinodo della Chiesa maronita dopo 150 anni, in corso da domenica nella sede patriarcale di Bkerké, in Libano. 

 

24 ORE NEL MONDO:

“Israele tratti sugli insediamenti, i palestinesi fermino il terrorismo”: nel vertice di Sharm, Bush ribadisce l’urgenza di due Stati indipendenti.

 

Dal G8 di Evian, un impegno comune per la ricostruzione in Iraq e la lotta al terrorismo.

 

Uganda, violenze contro gli acholi: per l’arcivescovo di Gulu è alle porte una catastrofe umanitaria.

 

Il governo birmano sotto accusa, dopo l’arresto di Aung San Suu Kyi.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

3 giugno 2003

 

 

NUOVO IMPULSO ALL’EVANGELIZZAZIONE, AL DIALOGO, ALLA DIFESA DEL DIRITTO

DELLA VITA E DELLA DONNA PUR TRA LE DIFFICOLTA’ POSTE DALLA GLOBALIZZAZIONE

E DAL FONDAMENTALISMO INDU’ LA CONSEGNA DEL PAPA AI VESCOVI INDIANI

RICEVUTI IN UDIENZA QUESTA MATTINA

 

La vitalità della Chiesa in India è stata sottolineata dal Papa questa mattina ricevendo in udienza, per la quinquennale visita “ad Limina”, un gruppo di 28 vescovi delle regioni occidentali comprendenti il Gujarat, Bombay, Goa e Kerala, dove il messaggio cristiano è giunto più di 450 anni fa ad opera di San Francesco Saverio. Il Santo Padre non ha ignorato le molte sfide che la Chiesa deve affrontare, come: la cultura della morte che minaccia soprattutto le bambine non nate, la mentalità contraccettiva imposta dalla globalizzazione, la discriminazione e sfruttamento della donna, l’azione dei gruppi fondamentalisti indù. Servizio di Carla Cotignoli:

 

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Una Chiesa viva, quella indiana, povera materialmente, ma ricca di vocazioni, con un’ alta la percentuale nella frequenta alla Messa domenicale. Così l’ha tratteggiata il Papa. Numerose le comunità di base, i movimenti laicali e le associazioni che “hanno un ruolo vitale nella vita ecclesiale della regione”. Nonostante questi segni positivi non mancano  le sfide. Il Santo Padre ha parlato della cultura della morte che minaccia la vita dei bambini non nati, specialmente se femmine. Per contrastare questa cultura – ha detto - è necessario coinvolgere tutte le componenti della Chiesa.

 

Il Santo Padre  ha poi affrontato uno degli effetti devastanti della globalizzazione. Ha denunciato “i tentativi di imporre alla società asiatica modelli moralmente inaccettabili di pianificazione famigliare”. “Possono condurre molta gente – ha detto - a giustificare un esercizio immorale della sessualità all’insegna della libertà”, diffondendo “una mentalità contraccettiva”. Un fatto  – ha avvertito - che non solo mette in crisi l’istituzione della famiglia, ma contribuisce all’espandersi dell’Aids che in alcune regioni ha dimensioni epidemiche. In risposta il Papa ha incoraggiato i vescovi indiani a proclamare la verità dell’amore cristiano e a promuovere programmi educativi sull’insegnamento della Chiesa.

 

Il Papa ha poi toccato un altro punto cruciale per l’India: il rispetto della dignità e dei diritti della donna. Ed ha incoraggiato a promuovere “un nuovo femminismo” che “rigetti le tentazioni del predomino maschile”, “per far affermare il vero genio della donna”,  superando “ogni discriminazione, violenza e sfruttamento”.

 

Il Santo Padre, ha incoraggiato l’opera di evangelizzazione, pur “non facile”. E qui ha parlato dell’”accresciuta attività di pochi gruppi fondamentalisti indù, che stanno alimentando sospetti sulla Chiesa e altre religioni”. “In alcune regioni – ha rilevato -  le autorità statali hanno ceduto alle pressioni di questi estremisti ed hanno approvato ingiuste leggi anti-conversione, che proibiscono il libero esercizio del diritto naturale alla libertà di religione, o privando del sostegno dello Stato i poveri che  hanno scelto di convertirsi al cristianesimo”.

 

Il Papa ha sollecitato i vescovi a continuare il dialogo interreligioso che, ha detto, “assicura la mutua comprensione e cooperazione” ed ha raccomandato “il dialogo con le autorità locali e nazionali perché l’India continui a promuovere e proteggere i diritti umani fondamentali di tutti i suoi cittadini”.

 

Nel suo saluto al Papa a nome dei vescovi il cardinale Ivan Dias aveva espresso la stima di tutto il popolo indiano che – ha detto – lo considera “un guru che è “colui che ha esperienza di Dio, che è vicino a Dio, che parla con autorità”. “Questo – ha detto - siete voi per ciascuno di loro”.

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IN UDIENZA DAL PAPA IL PRESIDENTE DI SERBIA MONTENEGRO,

SVETOZAR MAROVIC, RICEVUTO ANCHE DAL SEGRETARIO DI STATO

CARDINALE SODANO. AL CENTRO DEI COLLOQUI

L’AUSPICATA INTEGRAZIONE NELL’UNIONE EUROPEA

 

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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Dal marzo scorso Marovic è alla guida della rinnovata unione dei due Stati, sancita a febbraio di quest’anno, secondo gli accordi del marzo del 2002, raggiunti con la mediazione dell’Unione Europea, a frenare le spinte secessionistiche montenegrine, in cambio di consistenti aiuti economici, che sono arrivati anche dalla Banca Mondiale. Il nuovo Stato di Serbia e Montenegro ha sostituito la Repubblica federale di Iugoslavia, sorta nel ’92 dopo la dissoluzione della Federazione con l’indipendenza di Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia. Lo Statuto prevede che le due Repubbliche abbiano una propria Costituzione, un proprio Bilancio e diverse Monete, mentre le Istituzioni federali comprendono Presidenza, Parlamento e un Consiglio di cinque ministri, che si occupa solo di Difesa e Affari esteri: tre sono serbi e due montenegrini. Ma al Montenegro è andata anche la carica di presidente, conquistata appunto da Marovic, succeduto a Kostunica, e che è anche Premier, dopo l’assassinio di Djindjic, nel marzo scorso.

 

Grazie ad interventi dall’estero Serbia e Montenegro sono oggi in ripresa economica, pure se lamentano ancora un elevata inflazione e disoccupazione e bassi salari. Non mancano poi altre gravi problematiche sociali, in primo luogo le condizioni precarie di circa 1 milione di profughi dalla Bosnia, Croazia e Kosovo, il 10 per cento della popolazione, che raccoglie tutt’ora una miriade di minoranze che convivono con la maggioranza serba che supera il 60 per cento, rispetto ai montenegrini che sono solo il 5 per cento, preceduti dagli albanesi che sono il 16 per cento.

 

L’incontro di Marovic con Giovanni Paolo II giunge dopo uno scambio di visite nell’ultimo anno a Belgrado e in Vaticano fra delegazioni della Chiesa cattolica e della Chiesa serbo-ortodossa, con intensi contatti diretti in un clima di apertura al dialogo, inteso ad approfondire la conoscenza ed eliminare incomprensioni e malintesi.

 

Al termine dell’incontro Marovic parlando alla stampa ha sottolineato l’importanza del dialogo ecumenico anche per il futuro di tutta l’Europa, ed ha spiegato che sta preparando le condizioni per una visita del Papa in Serbia Montenegro, nella speranza di formulare l’invito ufficiale il prossimo anno. Marovic ha aggiunto di aver colloquiato su una prossima auspicata integrazione della Serbia Montenegro nell’Unione Europea. Tema che sarà anche al centro dei colloqui previsti domani con le massime autorità italiane, in vista del semestre di presidenza italiana dell’Ue.

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QUARANT’ANNI FA, IL 3 GIUGNO 1963, MORIVA GIOVANNI XXIII,

IL SERVO BUONO E FEDELE OGGI ASCRITTO NELLA LUCE DEI BEATI.

CON NOI IL SUO SEGRETARIO PARTICOLARE,

L’ARCIVESCOVO LORIS FRANCESCO CAPOVILLA

 

- A cura di Giovanni Peduto -

 

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L’attenzione del mondo si fermò quella sera in raccoglimento sotto la finestra del palazzo apostolico: un uomo rendeva la sua anima a Dio dopo aver servito con fedeltà la Chiesa. Era divenuto per tutti il Papa Buono, aveva catalizzato la simpatia di amici e non amici; uomo di pace e riconciliazione, a lui il mondo attribuì l’aver evitato la catastrofe di un conflitto nucleare fra Unione Sovietica e Stati Uniti. A 40 anni dalla morte del Beato Papa Giovanni XXIII cosa possiamo dire di lui che ancora non sia stato detto? Certo solo chi gli è stato fedelmente vicino può ancora parlarci con novità di lui: il suo segretario, l’arcivescovo Loris Francesco Capovilla, 88 anni il prossimo 15 ottobre, che ha voluto fissare la sua residenza nel paese natale di Angelo Giuseppe Roncalli, a Sotto il Monte Giovanni XXIII, sempre a disposizione dei numerosi fedeli che vi si recano continuamente …

        

“Vivo questo 3 giugno 2003 in preghiera e riflessione, silenzio e letizia mettendo da parte, ove si affacciassero, sensi di nostalgia, di solitudine e mestizia. Nel dipartirsi dalla scena di questo mondo, nel vespro pentecostale di 40 anni fa, al termine della Messa celebrata sul sagrato della Basilica Vaticana, mentre il colonnato del Bernini sembrava abbracciare migliaia di persone, Papa Giovanni, l’amabile padre – secondo la definizione di Papa a lui congeniale  - sollevò al cielo la lampada della fede che gli aveva rischiarato il lungo cammino: la mia giornata terrena finisce, ma il Cristo vive e la Chiesa ne continua la missione nel tempo e nello spazio”.

 

Ma cosa ha fatto di straordinario quest’uomo che – secondo il parere di Jean Guitton – appartiene alla stirpe dei patriarchi, dei precursori, dei pionieri, di quelli che per la loro semplicità geniale, docili allo Spirito creatore dei mondi e dei secoli, aprono nuove strade? …

 

“Non si era proposto di avviare grandi imprese e tuttavia le compì, essendo vissuto in piena obbedienza a Dio, in perseverante sforzo di imitazione di Cristo. Ha infranto la segregazione papale, percorso le strade della sua diocesi, rimesso in circolazione le opere della misericordia, riacceso le lampade di antiche tradizioni devozionali come l’Angelus, il Rosario, il Mese mariano, le Stazioni quaresimali. Ha aperto la porta del Concilio Vaticano II, allargato le tende del Collegio cardinalizio, istituito la Gerarchia in molti Paesi africani ed asiatici. Ha offerto a tutti, senza esclusioni, come pane casalingo, il dono della speranza che non delude. Ha avviato l’epoca del dialogo senza confusione né cedimenti dottrinali, segnalato le vie del progresso a tutti esteso, sostenuto le ragioni dei poveri e degli oppressi, accentuato il canone evangelico del servizio. E’ stato povero e casto con letizia, apostolo di bontà, artefice di pace. Mite e umile ha posseduto la terra, perché a lui si sono aperti i cuori degli uomini. In vita e in morte ha dimostrato che il Vangelo continua ad illuminare le anime, a preparare – secondo le parole della Pacem in terris – un nuovo ordine di rapporti umani, fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, animato ed integrato dalla carità e posto in atto nella libertà”.

 

Soffermandosi un giorno a meditare sull’elogio che il Breviario romano tributa a Papa Sant’Eugenio – fu benevolo, mite e mansueto e, ciò che più conta, fu distinto per santità di vita – commentò: non sarebbe bello arrivare almeno sin là? …

 

“I superstiti che lo conobbero – concittadini bergamaschi e cittadini dei luoghi dove successivamente alzò la sua tenda – affermano che vi è arrivato. Genti di Bulgaria, Turchia e Grecia sperimentarono durante 20 anni la sua  presenza pacifica e amichevole. I francesi, sensibili alle voci dello spirito, indovinarono e apprezzarono i tesori di natura e di grazia di cui era dotato. I veneziani e i romani lo acclamarono. A Venezia si ripeteva: è tornato Pio X. A Roma, presentatosi come fratello divenuto Padre per volontà del Signore, i figli gli si strinsero attorno col proposito di imitare la sua bontà e di far onore alla sua schiettezza”.

 

Dal villaggio nativo, percorrendo le vie del mondo fino al vertice della gerarchia cattolica, non mutò volto, non si stancò il cuore. Fino all’ultimo, negli occhi suoi, limpidi come quelli di un fanciullo, si poté leggere l’amabilità innocente e attraente …

 

“A chi è vissuto accanto a lui è parso di vedere riflessa sul suo volto di padre, l’eterna giovinezza del Padre celeste. Lui non ha portato nel sepolcro questo dono di giovinezza: l’ha trasmesso ai suoi successori.Ne fa sentire l’attrattiva a tutti coloro  che sono determinati ad abbattere barriere divisorie, a rinunciare agli equilibri della paura, ad entrare nel cantiere che costruisce il tempio della pace”.

 

Nel ricordo di quei lontani rintocchi di campana, di quella luce accesasi al balcone dell’Angelus, di quell’assembramento ecumenico in Piazza San Pietro, di quel silenzio che per alcune ore avvolse Roma e il mondo, riconosciamo vera e stimolante la sottolineatura data all’evento dal cardinale Suenens: “La sua vita è stata una grazia per tutti i cristiani. A lui, infatti, dobbiamo un’atmosfera, un clima nuovo che permetterà di affrontare insieme, fraternamente gli ostacoli ancora da superare sulla via dell’unità visibile e piena dei cristiani …

 

“Questo  clima egli lo ha creato con la sua carità e sincerità. Con la carità che apriva i cuori al dialogo, alla pregiudiziale favorevole, all’unità cristiana. Meglio di ogni altro, Giovanni XXIII sapeva che la ricerca dell’unità non segue la via delle trattative diplomatiche, ma si colloca nelle profondità stesse della vita religiosa. Ci si avvicina gli uni agli altri – pensava – nella stessa misura in cui ognuno si lascia impregnare dalla vita e dalla carità di Cristo e divenendo sempre più una cosa sola con Cristo non possiamo non avvicinarci ai nostri fratelli”.

 

Ora molti guardano a lui come all’incantato fanciullo di Sotto il Monte, vissuto – come scrisse lui stesso nel 1920 – preferendo l’umiliazione alla gloria, compresa l’umiliazione di riconoscere in sé i limiti, le pesantezze, le negligenze, i ritardi e gli abbagli della condizione umana, ognora pronto a confrontarsi col Divino Modello ...

 

“A 40 anni dal transito, le nostre voci rinnovano esultanti l’auspicio del suo terzo successore, Giovanni Paolo, II che ha proclamato: Papa Giovanni, ci accompagni col suo esempio e la sua preghiera per le strade faticose della nostra vita. Egli è buon amico. Ascoltiamolo! La sua eredità è davvero in benedizione”.

 

(musica)

 

(Voce di Papa Giovanni XXIII)

“La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore ... Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina si apre con il Medio Oriente, dove Bush è in missione per rilanciare il negoziato.

 

Nelle vaticane, nel discorso ai vescovi indiani di rito latino, Giovanni Paolo II ha sottolineato che l'intera comunità cattolica deve impegnarsi contro i tentativi di imporre in Asia tipologie moralmente inaccettabili di pianificazione familiare. 

L'omelia del cardinale Crescenzio Sepe nel Santuario di Mamugongo, in Uganda.

Una pagina ad un mese dal viaggio apostolico del Papa in Spagna.

Un articolo sui funerali del cardinale Francesco Colasuonno.

 

Nelle pagine estere, al vertice del "G-8", ribadito l'impegno a favorire lo sviluppo dei Paesi poveri.

Repubblica Democratica del Congo: l'Ituri sconvolto da continue violenze.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Paola Cerami sulla raffigurazione del Rosario in celebri opere dal XVI al XIX secolo.

Nell' "Osservatore libri", un contributo di Danilo Veneruso sulla nuova edizione de "Il discorso delle 27 libertà" di Guido Gonella.

 

Nelle pagine italiane, tra i temi in rilievo, l'economia e l'immunità parlamentare.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

3 giugno 2003

 

 

L’INVIATO DI GIOVANNI PAOLO II IN IRAQ, MONS. PAUL CORDES, PRESIDENTE

DI “COR UNUM”, HA CONCLUSO LA SUA MISSIONE. HA PORTATO LA SOLIDARIETA’

 DEL PAPA AL POPOLO IRACHENO PROVATO DALLA GUERRA

 

Si è conclusa oggi la missione in Iraq dell’inviato di Giovanni Paolo II, l’arcivescovo Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” che si è fatto interprete della vicinanza spirituale del Papa verso l’intera popolazione irachena, provata dalla guerra. Il presule oltre a Baghdad, si è recato anche nella città settentrionale di Mosul, roccaforte dei cattolici del Paese, ed ha incontrato i vescovi iracheni ed esponenti di altre confessioni cristiane per promuovere e coordinare un piano di aiuti umanitari. Prima di lasciare l’Iraq mons. Cordes è stato raggiunto telefonicamente questa mattina a Baghdad da Roberto Piermarini.

 

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R. – La gente ricorda molto bene tutto quello che il Papa ha fatto, i suoi interventi. Tre volte abbiamo concelebrato l’eucaristia e ho voluto sempre ricordare a questa gente la comunione del Papa con i fedeli, la sua preoccupazione per il presente ed il futuro: le mie parole sono sempre state accompagnate da un grande applauso. Anche i pastori, soprattutto i vescovi, hanno ringraziato il Papa che ha aiutato molto moralmente il popolo iracheno durante questo passaggio difficile.

 

D. – Di cosa ha maggiormente bisogno in questo momento la popolazione irachena?

 

R. – Sono giustamente preoccupati per il futuro; per questo, ci vuole una grande attenzione, non bisogna dimenticare questa gente. Hanno chiesto molte volte di continuare a pregare intensamente per loro, perché durante la guerra hanno sentito fortemente anche l’appoggio spirituale. Sarebbe sbagliato dire: ‘Ormai tutto è fatto, la guerra è finita e il futuro viene da solo’, perché in realtà la situazione è abbastanza complessa, ancora. Politicamente, socialmente c’è grande miseria. Ci vuole quindi una grande attenzione spirituale, una forte sensibilità per seguire questa gente, seguire le notizie nei quotidiani. La popolazione chiede il sostegno materiale alle diverse istituzioni che aiutano ed a tutte le agenzie cattoliche che stanno intervenendo ... anzi, per il futuro sarà richiesto molto lavoro per superare la distruzione e anche per ricostruire possibilmente un ordine sociale, la giustizia e soprattutto la libertà di praticare la religione. Sappiamo che nella maggioranza – cioè al 60 per cento - qui, sono sciiti e per questo i cristiani hanno paura di essere emarginati.

 

D. – Mons. Cordes, in questo senso qual è la condizione  dei cristiani dell’Iraq?

 

R. – I cristiani stanno molto bene insieme; abbiamo incontrato anche molti rappresentanti delle Chiese ortodosse e anche là abbiamo trovato un’accoglienza profonda e bella. In futuro, i cristiani dovranno essere uniti nell’attesa dell’appoggio morale ma anche materiale dall’esterno.

 

D. – Quindi anche dal punto di vista ecumenico è stato un incontro importante, quello che lei ha avuto in Iraq?

 

R. – In ogni caso, qui si vede che è necessaria la vicinanza delle varie confessioni cristiane; anche politicamente, gli iracheni si aspettano qualche cosa. Abbiamo incontrato il sindaco di Mosul, che è musulmano: anche loro sono stati riconoscenti del fatto che il Papa abbia tanto aiutato e anche loro aspettano concretamente un appoggio da parte dei cristiani per la ricostruzione della società.

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L’IMPEGNO INSTANCABILE DI GIOVANNI PAOLO II E DELLA DIPLOMAZIA VATICANA

PER LA PACE IN TERRA SANTA: UNA RIFLESSIONE DELLO STORICO ALBERTO MELLONI

 

Solo scegliendo la via del dialogo e rifiutando le azioni unilaterali si potrà raggiungere la pace in Medio Oriente. Giovanni Paolo II lo ha ribadito con vigore, ieri, rivolgendosi al nuovo ambasciatore israeliano presso la Santa Sede. Un discorso dedicato al dramma, che quotidianamente vive la Terra Santa, scossa da un conflitto che da anni semina dolori e sofferenze, mortificando le speranze di pace per i popoli israeliano e palestinese. Il Papa ha indicato nella coesistenza di due Stati indipendenti e sovrani la condizione necessaria per risolvere la crisi mediorientale. Un richiamo, questo, di grande significato, come spiega – al microfono di Alessandro Gisotti - il prof. Alberto Melloni, docente di storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, e membro della Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna:

 

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R. – Questa è una posizione che la Santa Sede ha già assunto in varie circostanze, che però mi sembra rivesta oggi, nell’essere riaffermata in questo momento e con questa forza, la testimonianza di come, da parte vaticana, si guardi alla vicenda israelo-palestinese non come ad una questione impossibile, come ad una cosa condannata in ogni caso, al trascinarsi o di un conflitto o alla fine di una situazione che dev’essere risolta dalla brutalità della legge del più forte. Mi pare che si affermi il fatto che esiste una soluzione politica della questione, che è fatta dell’applicazione di norme del diritto internazionale e anche tenendo conto della quota immensa di sofferenze che da una parte e dall’altra viene pagata ad una condizione di guerra che si trascina ormai da due anni in un modo così disperante. Il fatto che il Santo Padre affermi non l’applicazione astratta di principi morali, ma indichi che nella costruzione del dialogo tra persone di buona volontà c’è una prospettiva di pace, questo mi sembra che abbia un grande significato sia dal punto di vista teologico sia dal punto di vista politico.

 

D. – Di fronte al terrorismo – ha avvertito il Pontefice – qualunque Stato ha il diritto a difendersi, ma sempre nel rispetto dei diritti degli altri. Come tradurre questo monito nel percorso, irto d’ostacoli, per la pace in Terra Santa?

 

R. – Da parte del Papa mi sembra ci sia un’affermazione molto importante per entrambi i versi. Da un lato, un’affermazione che riguarda la società israeliana prima ancora che nel suo governo, e cioè il sostegno dato a coloro che in Israele ritengono che il problema del terrorismo sia un problema da affrontare e risolvere non perdendo quella che è la dignità più profonda dello Stato, che è uno Stato libero e democratico. E dall’altro, un ammonimento e un’affermazione non meno significativa verso il mondo palestinese, cercando di affermare il principio che non può essere l’argomento della guerra - tanto meno quello della guerra terroristica - a dare il riconoscimento alle aspirazioni del popolo palestinese.

 

D. – Quale ruolo accanto al Magistero pontificio può svolgere la diplomazia vaticana per la pace in Medio Oriente?

 

R. – La diplomazia vaticana svolge senz’altro un grande ruolo, fra l’altro alcuni dei suoi migliori uomini sono coinvolti in questo quadrante. C’è senz’altro un peso importante che è dato da questo arnese antico delle relazioni, dei rappresentanti diplomatici. Credo che ci sia, accanto al ruolo della diplomazia, un ruolo non meno importante che è proprio il ruolo delle Chiese; c’è un’ansia per la pace in Medio Oriente e per la pace tra israeliani e palestinesi che, credo, è qualcosa che tutti nelle Chiese sentono, proprio attorno a quello che è accaduto durante la seconda guerra mondiale, l’esperienza tragica della Shoah e dei grandissimi errori che sono stati commessi in quel momento. Oggi ci si rende conto di come la terra può essere santa o meno, ma sempre ogni vita è santa e veder perdere le vite così, in questo modo così insensato è una cosa che provoca la preghiera cristiana, la fede cristiana e anche tutti gli strumenti che la storia cristiana ha costruito, compreso quello diplomatico.

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CHIESA E SOCIETA’

3 giugno 2003

 

 

INAUGURATO IN RWANDA IL SANTUARIO MARIANO DI KIBEHO: LA BENEDIZIONE

APOSTOLICA DEL SANTO PADRE, CHE HA FATTO SAPERE DI AVERE UN POSTO SPECIALE NEL CUORE

PER IL POPOLO RWANDESE. PROPRIO KIBEHO E’ STATO IL LUOGO DI

APPARIZIONI DELLA VERGINE, E POI DEI PIÙ SANGUINOSI SCONTRI TRA HUTU E TUTSI

 

KIBEHO. = Il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, cardinale Crescenzio Sepe, ha recentemente consacrato il nuovo santuario mariano dedicato a “Notre Dame de Douleurs”. Presenti alla celebrazione i vescovi rwandesi, il nunzio apostolico mons. Salvatore Pennacchio, ed operatori pastorali. L’edificio dedicato a Maria è stato costruito a Kibeho, luogo di pellegrinaggio nazionale e internazionale, dove si crede che dal 1981 la Vergine sia  apparsa più volte. Secondo il racconto di chi si è detto testimone delle apparizioni, la Vergine si era presenta in lingua locale come “Nyina wa Jambo” cioè “Madre del Verbo” o “Madre di Dio”, ed invitò alla conversione, alla preghiera e al digiuno. In un’unica circostanza aveva mostrato immagini spaventose: un fiume di sangue, persone che si uccidevano a vicenda, cadaveri abbandonati senza nessuno che li seppellisse. Tale visione negli anni successivi fu messa in relazione con il genocidio che sconvolse il Rwanda nel 1994-1995, che proprio a Kibeho si manifestò nella maniera più sanguinosa. “Rivolgo un cordiale benvenuto alle autorità e a tutti i presenti – ha detto il cardinale Sepe nel corso della cerimonia -. Sono molto lieto di poter presentare a tutti voi il saluto affettuoso del Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale ha potuto visitare questa amata terra nel settembre 1990. Il Rwanda e il suo popolo hanno un posto speciale nel cuore del Papa; egli oggi rimane spiritualmente unito a noi in questa celebrazione eucaristica e ci impartisce la sua Benedizione apostolica”. (S.C.)

 

 

GLI OLTRE 45 GRADI ALL’OMBRA CONTINUANO A MIETERE VITTIME IN INDIA.

OLTRE MILLE I MORTI, SPECIALMENTE ANZIANI, NELLO STATO DELL’ANDHRA PRADESH,

MENTRE MUSULMANI E INDU’ INVOCANO IN PREGHIERA IL SOLLIEVO DELLA PIOGGIA

 

NALGONDA. = Sono ormai 1.100 le vittime del caldo in India, in meno di tre settimane. Il bilancio dei morti è stato diffuso ieri mattina dalle autorità sanitarie indiane. L’ondata di caldo ha fatto letteralmente strage di vite nello Stato meridionale dell’Andhra Pradesh, dove sono morte 1024 persone, in maggioranza anziani o persone impossibilitate a proteggersi dal sole cocente o a bere a sufficienza. Temperature infernali si sono registrate nel distretto di Nalgonda, dove il termometro ha sfiorato i 49 gradi. Questi fenomeni climatici - che non rappresentano una novità per l’India – non sembrano poter contare sull’arrivo delle piogge monsoniche, in preoccupante ritardo. Domenica, mentre il sole batteva a 46 gradi a picco, nella capitale dello Stato, Hyderabad, 100 mila musulmani si sono riuniti in preghiera per chiedere il sollievo delle piogge. In altre città, 5 mila indù hanno fatto altrettanto recitando testi sacri della religione induista. Le autorità, che continuano ad invitare la popolazione a non uscire di casa dalle 10 del mattino alle 5 del pomeriggio, sono purtroppo impotenti di fronte alle masse di persone che si riversano negli ospedali con sintomi di disidratazione, insolazione, febbre alta e attacchi di vomito. E le previsioni meteorologiche non confortano: la temperatura non dovrebbe calare per almeno due giorni ancora. (A.D.C.)

 

 

E’ UN DOVERE PER OGNI EUROPEO, DI OGNI CREDO O IDEOLOGIA, RICONOSCERE

IL CONTRIBUTO DEL CRISTIANESIMO NELL’EDIFICAZIONE DEL CONTINENTE.

LO HA DETTO IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA, PRODI,

IN UN MESSAGGIO AL CAPITOLO GENERALE DEI FRATI MINORI

 

ASSISI. = “L'Europa ha bisogno di un pensiero e di un'anima, che si richiamino ai valori fondamentali che l'hanno modellata nel corso della sua storia”. E’ una delle affermazioni contenute nel messaggio che il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, ha voluto indirizzare al Capitolo generale dell’Ordine dei Frati Minori, riunito ad Assisi per l’elezione del nuovo superiore generale. Prodi è tornato sul tema delle radici cristiane del Vecchio continente, recentemente più volte affrontato anche da Giovanni Paolo II. “Sono tempi difficili e incerti; per l'Europa e per il mondo intero, che ci spingono ad una riflessione profonda per trovare la vera strada del rinnovamento e della pace”, scrive il capo dell’esecutivo comunitario. “L'Europa stessa - osserva ancora - è espressione per eccellenza di una coesistenza possibile di culture, anime, tradizioni diverse, e trova la sua forza proprio nella valorizzazione delle diversità che la costituiscono, anche a livello religioso”. Prodi definisce dunque “fondamentale” affrontare la questione della dimensione religiosa, spirituale ed etica in chiave europea, e che si riconosca il patrimonio apportato dalla tradizione cristiana, “qualunque sia la tradizione filosofica o spirituale a cui si appartenga”. Il cuore del progetto europeo, spiega Prodi, “è proprio il raggiungimento e la promozione della pace, del rispetto, della coesistenza” tra le varie etnie e culture continentali, in modo particolare ora che lo sguardo comunitario è rivolto ai Paesi dell’est. Un progetto al quale il cristianesimo - con la forza dei suoi principi di misericordia e di dono di sé al prossimo -  può dare un contributo decisivo perché “i diritti fondamentali della persona umana siano salvaguardati contro la violenza, l'odio e le discriminazioni”. (A.D.C.)

 

 

IN PARAGUAY L’ARCIDIOCESI DI ASUNCION HA VARATO UN PROGETTO,

 UNITAMENTE AD ALTRE ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE,

IN AIUTO DELL’ISTITUTO PARAGUAYANO PER GLI INDIGENI

 

ASUNCION. = L’arcidiocesi di Asunción, unitamente ad altre Organizzazioni non governative (Ong), si schiererà al fianco dell’Istituto paraguaiano per gli indigeni (Indi), organismo che si occupa dell’assistenza ai nativi poveri e senza fissa dimora. “Il nostro primo problema – ha dichiarato il presidente dell’Indi, Oscar Centurion - è la mancanza di fondi”. “E’ un ostacolo che possiamo comunque superare con la collaborazione di altre realtà che si occupano del settore medesimo. Possiamo, ad esempio, potenziare il servizio formativo, creare un’assistenza sanitaria permanente e, non per ultimo, migliorare l’accesso ai servizi”. Centurion si è detto inoltre convinto che “pur non godendo di contributi, l’Indi può invitare il Parlamento a legiferare a sostegno del settore agricolo”. Il presidente ha annunciato che il Comitato per l’emergenza nazionale, al quale ha aderito anche l’arcidiocesi della capitale, si occuperà del recupero degli alcolisti e dei tossicodipendenti e del loro reinserimento nella società. Solo nell’ultima settimana sono stati “tolti dalla strada” una cinquantina di aborigeni, tutti tratti in salvo. Sono stati trasferiti nel Seminario metropolitano dove verranno assistiti per un periodo di quindici giorni, prima di tornare nelle rispettive comunità. (D.D.)

 

 

IL PRIMO SINODO DELLA CHIESA MARONITA DOPO 150 ANNI, IN CORSO DA DOMENICA

NELLA SEDE PATRIARCALE DI BKERKE’, IN LIBANO, ALL’INSEGNA DEL PERDONO.

I LAVORI, APERTI DAL CARDINALE PIERRE SFEIR DAVANTI A DIECIMILA PERSONE,

PROSEGUONO FINO ALLA TERZA SETTIMANA DI GIUGNO.

PRESENTI ANCHE RAPPRESENTANTI MUSULMANI

 

BKERKE’. = All’insegna del perdono, si è aperto domenica scorsa nella sede patriarcale di Bkerké, in Libano, il primo Sinodo della Chiesa maronita da 150 anni. Circa 10 mila fedeli hanno partecipato alla Messa inaugurale, presieduta dal cardinale Nasrallah Pierre Sfeir, patriarca di Antiochia dei Maroniti, nel cortile esterno della stessa sede patriarcale. Richiamandosi all’Esortazione apostolica scaturita dal Sinodo per il Libano del 1995, il cardinale Sfeir ha indicato il motivo di questo Sinodo patriarcale come una marcia “profetica” e “coraggiosa” che permetterà alla Chiesa di “purificare la sua memoria mediante il perdono”. Il patriarca maronita si è riferito alle conseguenze psicologiche della lunga guerra libanese, tra il 1975 e il 1990, che ha lasciato in molti animi “i segni della violenza, dell’odio e del desiderio di vendetta”. Al suo uditorio, tra cui ministri, deputati ed altre personalità, il patriarca ha quindi indicato la necessità di “prendere iniziative coraggiose, profetiche, in vista del perdono e della purificazione della memoria”. Altro teme centrale del Sinodo patriarcale, “l’identità della Chiesa maronita” e al riguardo il cardinale  Sfeir ha sottolineato “la sua vocazione apostolica ed ecumenica ed i suoi rapporti con il suo ambiente islamico e arabo”. In più, ci sono le radici storiche che avvicinano la Chiesa maronita ad altre Chiese orientali e alla Chiesa ortodossa. “Il Sinodo Patriarcale – ha detto in proposito – potrebbe mettere in luce questo patrimonio comune, al servizio di un riavvicinamento ecumenico”. I lavori veri e propri del Sinodo si sono aperti alla presenza di circa 300  membri del clero e del laicato. Essi proseguiranno nella prima e nella terza settimana di giugno, mentre la seconda settimana sarà dedicata ad un ritiro spirituale  dei vescovi maroniti, come tempo di ascolto e di preghiera. “Identità, vocazione e missione della Chiesa maronita” e il primo argomento in agenda, con particolare riguardo alla sua natura apostolica, alla sua apertura ecumenica e ai suoi rapporti con l’islam. Osservatori delle comunità sunnita, sciita e drusa assistono al lavori del Sinodo patriarcale. (P. Sv.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

3 giugno 2003

 

 

- A cura di Andrea Sarubbi -

 

Occhi puntati su Sharm el Sheikh, la località egiziana in cui si sta svolgendo la prima tappa della missione di Bush in Medio Oriente. Il presidente degli Stati Uniti – che ha ribadito l’esigenza di due Stati indipendenti e pacifici, ha invitato Israele a “trattare sugli insediamenti” ed i palestinesi ad impedire che “pochi killer distruggano i sogni di molti” – ha assunto in prima persona il ruolo di mediatore a sostegno della road map, il piano di pace stilato dalla comunità internazionale. Ad attendere il capo della Casa Bianca, questa mattina, 6 leader arabi: il palestinese Abu Mazen e quelli di Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Marocco e Bahrein. E’ ormai alle porte, intanto, un altro importante vertice: quello di domani ad Aqaba, in Giordania, tra Bush ed i capi dei governi israeliano e palestinese. Se daranno il loro assenso all’attuazione della road map, Sharon ed Abu Mazen verranno assistiti da un pool di esperti, guidati dall’attuale ambasciatore americano in India, Robert Blackwill. Un primo segnale di disgelo, in attesa del vertice di domani, è arrivato questa mattina: Israele ha infatti iniziato la scarcerazione di un centinaio di palestinesi, detenuti sulla base di procedure amministrative. Nella notte è stato rilasciato anche Tayseer Khaled, un importante esponente del Fronte di liberazione democratico.

 

Notizie preoccupanti giungono invece dall’Iraq, dove è giunto ieri l’inviato speciale dell’Onu, Vieira de Mello. Mentre gli scarsi raccolti nel sud del Paese fanno temere l’aggravamento delle già precarie condizioni alimentari, non si placano ancora gli scontri nei dintorni di Baghdad. A Balad, una novantina di chilometri a nord della capitale, ieri sera una granata ha ucciso un soldato americano. Ancora più a nord, nella regione di Kirkuk, è stata trovata una fossa comune con i corpi di 200 bambini curdi.

 

Nel processo di pace in Medio Oriente dovranno essere inclusi anche Libano e Siria, e corale dovrà essere anche la ricostruzione in Iraq, dove occorrono “stabilità e democrazia”. Lo afferma il documento finale del G8, che si è concluso questa mattina ad Evian, nella Francia meridionale. I Grandi hanno anche accettato la proposta di creare un Gruppo di azione contro il terrorismo – che dovrà bloccare i finanziamenti ai gruppi estremisti – e si sono detti fiduciosi nel potenziale di crescita delle proprie economie. Preoccupazione, invece, per la situazione in Zimbabwe, al cui governo il G8 chiede di “rispettare la libertà di manifestare”. Ma per un bilancio del vertice, sentiamo il nostro inviato, Jean-Charles Putzolu:

 

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È la solita storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: questo vertice del G8 si chiude con una vittoria e una sconfitta. La star indiscussa di Evian, in questi giorni, è stata l’americano Bush. Arrivato domenica in veste di “cattivo guerrigliere preventivo”, è ripartito ieri da “buono”, incoraggiato dai suoi partner, per andare ad implorare la pace in Medio Oriente. Con la sua missione, la diplomazia americana ha realizzato una enorme operazione di bonifica, e le apparenze sono salve. Per questo, il summit è anche un mezzo successo di Chirac, che si è riconciliato con l’altra sponda dell’Atlantico. Ma il grado di riconciliazione non è quello desiderato: le divisioni rimangono, ha ammesso Chirac, aggiungendo che “Bush da solo può fare la guerra, ma non la pace”. Andandosene via prima della fine dei lavori – anche se “per una buona causa”, come ha detto Chirac – il capo della Casa Bianca ha tolto buona parte del suo credito al G8. Altra prova di credibilità ridotta: gli analisti di mercato sono convinti che gli Stati Uniti proseguiranno la politica del dollaro debole, mentre Washington ha assicurato il contrario. Il modo in cui si chiude il vertice non è quindi di buon auspicio per i Paesi emergenti, ricevuti domenica: se prosegue questa tendenza, c’è molto da temere per la realizzazione delle promesse. Se infatti i Paesi ricchi non riusciranno a rilanciare l’economia, gli aiuti pubblici per lo sviluppo subiranno sicuramente tagli drastici.

 

Da Evian, Jean Charles Putzolu, per la Radio Vaticana.

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Nonostante le dichiarazioni comuni di principio, comunque, il G8 conferma le differenti strategie in atto tra i Grandi. Le preoccupazioni americane non hanno fatto cambiare idea alla Russia, che continuerà la cooperazione nucleare con l’Iran. Lo ha confermato il presidente Putin, chiedendo però a Teheran di porre i propri programmi sotto il controllo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica.

 

Anche la Monuc, la missione dell’Onu nell’ex Zaire, ha confermato i combattimenti in corso a Tchomia, nella regione nordorientale dell’Ituri. Non è stata ancora provata da fonti indipendenti, invece, la notizia del massacro avvenuto nei giorni scorsi, in cui sarebbero morte 350 persone. L'Unione europea deciderà domani se partecipare militarmente ad una missione di pace, sotto l'ombrello nelle Nazioni Unite.

 

Una missione cattolica data alle fiamme, una lunga lista di innocenti sottoposti a mutilazioni e sfregi: sono ore drammatiche per la diocesi di Gulu, nel nord Uganda. Gli attacchi dei ribelli dell’Esercito di resistenza del Signore contro l’etnia Acholi hanno reso la situazione insostenibile: lo ha denunciato lo stesso arcivescovo, mons. John Baptist Odama, chiedendo alle Nazioni Unite di intervenire rapidamente, per evitare una “catastrofe umanitaria”.

 

Lo spoglio delle schede in Togo conferma le previsioni della vigilia: il presidente Gnassingbe Eyadema, in carica da 36 anni, è in testa allo scrutinio provvisorio dei voti, con il 59 per cento dei consensi. Lo segue a distanza, con il 35 per cento delle preferenze, Emmanuel Bob Akitani. Ma l’opposizione contesta la validità del voto, per almeno due motivi: l’esclusione dalla corsa elettorale di Gilchrist Olympio, accreditato come l’avversario più pericoloso per il capo di Stato attuale, ed i presunti brogli avvenuti in diverse località del Paese.

 

Si susseguono senza sosta gli episodi di violenza in Colombia. Le notizie delle ultime ore riferiscono di almeno 12 vittime. Particolarmente tesa è la situazione nella località nordoccidentale di Granada, dove una bomba – esplosa al passaggio di una pattuglia militare – ha ucciso 4 civili. Otto guerriglieri hanno invece perso la vita in tre violente offensive dell’esercito, nei dipartimenti di César, Norte de Santander e Tolima. Le operazioni antiguerriglia hanno portato anche alla scoperta di alcune basi delle Farc nei pressi della casa presidenziale, a Bogotà.

 

Cresce la condanna della comunità internazionale per la recente repressione in Myanmar, l’ex Birmania. Nei giorni scorsi, la capitale Rangoon è stata teatro di sanguinosi incidenti che hanno preceduto l’arresto della leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, già premio Nobel per la pace. Anne Leveugle, della nostra redazione francese, ha parlato dei possibili scenari con Mael Raynaud, coordinatore dell’associazione “Info Birmania”:

 

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SI LA COMMUNAUTÉ INTERNATIONALE SE MOBILISE RAPIDEMENT ET ...

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“Se la comunità internazionale si mobiliterà rapidamente e decisamente contro la giunta, questo arresto diventerà solo un arresto di troppo, potranno essere prese delle misure e potrebbero accadere fatti positivi. Nella seconda ipotesi, cioè se non ci fosse alcuna reazione, la giunta inasprirebbe ulteriormente la propria posizione e la Birmania ricadrebbe in un cerchio di oppressione della popolazione con effetti catastrofici. La terza ipotesi, che nessuno si augura ma che è comunque possibile, è un sollevamento della popolazione: colpire Aung San Sun Kyi è toccare un eroe nazionale, il simbolo della speranza dei birmani di poter vivere un giorno in un Paese più o meno normale e tranquillo. In quest’ultimo caso, nessuno può prevedere cosa accadrà, perché stiamo parlando di un popolo oppresso da 50 anni che si trova di fronte ad un esercito di 150 mila soldati: il più grande esercito del sudest asiatico dopo quello del Vietnam, anche se, al contrario del Vietnam, la Birmania non ha mai avuto nemici dall’esterno, non ha mai fatto la guerra!”

 

Sarà siglato il 6 giugno l’accordo tra l’Onu e la Cambogia per l’istituzione di un tribunale speciale che giudicherà gli ex dirigenti Khmer Rossi, accusati della morte di oltre due milioni di persone sotto il regime di Pol Pot. Le istituzioni per la difesa dei diritti umani denunciano la mancanza di imparzialità della giuria, composta prevalentemente da giudici cambogiani e da un magistrato internazionale.

 

 

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