RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 154 - Testo della
Trasmissione di martedì 3 giugno 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
“Israele tratti sugli insediamenti, i palestinesi
fermino il terrorismo”: nel vertice di Sharm, Bush ribadisce l’urgenza di due
Stati indipendenti.
Dal G8 di Evian, un impegno comune per la
ricostruzione in Iraq e la lotta al terrorismo.
Uganda, violenze contro gli acholi: per
l’arcivescovo di Gulu è alle porte una catastrofe umanitaria.
Il governo birmano sotto
accusa, dopo l’arresto di Aung San Suu Kyi.
NUOVO
IMPULSO ALL’EVANGELIZZAZIONE, AL DIALOGO, ALLA DIFESA DEL DIRITTO
DELLA VITA E DELLA DONNA PUR TRA LE DIFFICOLTA’
POSTE DALLA GLOBALIZZAZIONE
E DAL FONDAMENTALISMO INDU’ LA CONSEGNA DEL PAPA AI
VESCOVI INDIANI
RICEVUTI IN UDIENZA QUESTA MATTINA
La vitalità della Chiesa in
India è stata sottolineata dal Papa questa mattina ricevendo in udienza, per la
quinquennale visita “ad Limina”, un gruppo di 28 vescovi delle regioni
occidentali comprendenti il Gujarat, Bombay, Goa e Kerala, dove il messaggio
cristiano è giunto più di 450 anni fa ad opera di San Francesco Saverio. Il
Santo Padre non ha ignorato le molte sfide che la Chiesa deve affrontare, come:
la cultura della morte che minaccia soprattutto le bambine non nate, la
mentalità contraccettiva imposta dalla globalizzazione, la discriminazione e
sfruttamento della donna, l’azione dei gruppi fondamentalisti indù. Servizio di
Carla Cotignoli:
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Una Chiesa viva, quella indiana,
povera materialmente, ma ricca di vocazioni, con un’ alta la percentuale nella
frequenta alla Messa domenicale. Così l’ha tratteggiata il Papa. Numerose le
comunità di base, i movimenti laicali e le associazioni che “hanno un ruolo
vitale nella vita ecclesiale della regione”. Nonostante questi segni positivi
non mancano le sfide. Il Santo Padre ha
parlato della cultura della morte che minaccia la vita dei bambini non nati,
specialmente se femmine. Per contrastare questa cultura – ha detto - è
necessario coinvolgere tutte le componenti della Chiesa.
Il Santo Padre ha poi affrontato uno degli effetti
devastanti della globalizzazione. Ha denunciato “i tentativi di imporre alla
società asiatica modelli moralmente inaccettabili di pianificazione
famigliare”. “Possono condurre molta gente – ha detto - a giustificare un
esercizio immorale della sessualità all’insegna della libertà”, diffondendo
“una mentalità contraccettiva”. Un fatto
– ha avvertito - che non solo mette in crisi l’istituzione della
famiglia, ma contribuisce all’espandersi dell’Aids che in alcune regioni ha
dimensioni epidemiche. In risposta il Papa ha incoraggiato i vescovi indiani a
proclamare la verità dell’amore cristiano e a promuovere programmi educativi
sull’insegnamento della Chiesa.
Il Papa ha poi toccato un altro
punto cruciale per l’India: il rispetto della dignità e dei diritti della
donna. Ed ha incoraggiato a promuovere “un nuovo femminismo” che “rigetti le
tentazioni del predomino maschile”, “per far affermare il vero genio della
donna”, superando “ogni
discriminazione, violenza e sfruttamento”.
Il Santo Padre, ha incoraggiato
l’opera di evangelizzazione, pur “non facile”. E qui ha parlato
dell’”accresciuta attività di pochi gruppi fondamentalisti indù, che stanno
alimentando sospetti sulla Chiesa e altre religioni”. “In alcune regioni – ha
rilevato - le autorità statali hanno
ceduto alle pressioni di questi estremisti ed hanno approvato ingiuste leggi
anti-conversione, che proibiscono il libero esercizio del diritto naturale alla
libertà di religione, o privando del sostegno dello Stato i poveri che hanno scelto di convertirsi al
cristianesimo”.
Il Papa ha sollecitato i vescovi
a continuare il dialogo interreligioso che, ha detto, “assicura la mutua
comprensione e cooperazione” ed ha raccomandato “il dialogo con le autorità
locali e nazionali perché l’India continui a promuovere e proteggere i diritti
umani fondamentali di tutti i suoi cittadini”.
Nel suo saluto al Papa a nome
dei vescovi il cardinale Ivan Dias aveva espresso la stima di tutto il popolo
indiano che – ha detto – lo considera “un guru” che è “colui che ha esperienza di Dio, che è
vicino a Dio, che parla con autorità”. “Questo – ha detto - siete voi per
ciascuno di loro”.
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IN UDIENZA DAL
PAPA IL PRESIDENTE DI SERBIA MONTENEGRO,
SVETOZAR MAROVIC, RICEVUTO ANCHE DAL SEGRETARIO DI STATO
CARDINALE SODANO. AL CENTRO DEI COLLOQUI
L’AUSPICATA INTEGRAZIONE NELL’UNIONE EUROPEA
- Servizio di Roberta Gisotti -
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Dal marzo scorso Marovic è alla guida della rinnovata
unione dei due Stati, sancita a febbraio di quest’anno, secondo gli accordi del
marzo del 2002, raggiunti con la mediazione dell’Unione Europea, a frenare le
spinte secessionistiche montenegrine, in cambio di consistenti aiuti economici,
che sono arrivati anche dalla Banca Mondiale. Il nuovo Stato di Serbia e
Montenegro ha sostituito la Repubblica federale di Iugoslavia, sorta nel ’92
dopo la dissoluzione della Federazione con l’indipendenza di Slovenia, Croazia,
Bosnia-Erzegovina e Macedonia. Lo Statuto prevede che le due Repubbliche abbiano
una propria Costituzione, un proprio Bilancio e diverse Monete, mentre le
Istituzioni federali comprendono Presidenza, Parlamento e un Consiglio di
cinque ministri, che si occupa solo di Difesa e Affari esteri: tre sono serbi e
due montenegrini. Ma al Montenegro è andata anche la carica di presidente,
conquistata appunto da Marovic, succeduto a Kostunica, e che è anche Premier,
dopo l’assassinio di Djindjic, nel marzo scorso.
Grazie ad interventi dall’estero Serbia e Montenegro sono
oggi in ripresa economica, pure se lamentano ancora un elevata inflazione e
disoccupazione e bassi salari. Non mancano poi altre gravi problematiche
sociali, in primo luogo le condizioni precarie di circa 1 milione di profughi
dalla Bosnia, Croazia e Kosovo, il 10 per cento della popolazione, che
raccoglie tutt’ora una miriade di minoranze che convivono con la maggioranza
serba che supera il 60 per cento, rispetto ai montenegrini che sono solo il 5
per cento, preceduti dagli albanesi che sono il 16 per cento.
L’incontro di Marovic con Giovanni Paolo II giunge dopo
uno scambio di visite nell’ultimo anno a Belgrado e in Vaticano fra delegazioni
della Chiesa cattolica e della Chiesa serbo-ortodossa, con intensi contatti
diretti in un clima di apertura al dialogo, inteso ad approfondire la
conoscenza ed eliminare incomprensioni e malintesi.
Al termine dell’incontro Marovic parlando alla stampa ha
sottolineato l’importanza del dialogo ecumenico anche per il futuro di tutta
l’Europa, ed ha spiegato che sta preparando le condizioni per una visita del
Papa in Serbia Montenegro, nella speranza di formulare l’invito ufficiale il
prossimo anno. Marovic ha aggiunto di aver colloquiato su una prossima
auspicata integrazione della Serbia Montenegro nell’Unione Europea. Tema che
sarà anche al centro dei colloqui previsti domani con le massime autorità
italiane, in vista del semestre di presidenza italiana dell’Ue.
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QUARANT’ANNI FA, IL 3 GIUGNO
1963, MORIVA GIOVANNI XXIII,
IL
SERVO BUONO E FEDELE OGGI ASCRITTO NELLA LUCE DEI BEATI.
CON
NOI IL SUO SEGRETARIO PARTICOLARE,
L’ARCIVESCOVO
LORIS FRANCESCO CAPOVILLA
- A
cura di Giovanni Peduto -
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L’attenzione del mondo si fermò quella sera in
raccoglimento sotto la finestra del palazzo apostolico: un uomo rendeva la sua
anima a Dio dopo aver servito con fedeltà la Chiesa. Era divenuto per tutti il
Papa Buono, aveva catalizzato la simpatia di amici e non amici; uomo di pace e
riconciliazione, a lui il mondo attribuì l’aver evitato la catastrofe di un
conflitto nucleare fra Unione Sovietica e Stati Uniti. A 40 anni dalla morte
del Beato Papa Giovanni XXIII cosa possiamo dire di lui che ancora non sia
stato detto? Certo solo chi gli è stato fedelmente vicino può ancora parlarci
con novità di lui: il suo segretario, l’arcivescovo Loris Francesco Capovilla,
88 anni il prossimo 15 ottobre, che ha voluto fissare la sua residenza nel
paese natale di Angelo Giuseppe Roncalli, a Sotto il Monte Giovanni XXIII,
sempre a disposizione dei numerosi fedeli che vi si recano continuamente …
“Vivo questo 3
giugno 2003 in preghiera e riflessione, silenzio e letizia mettendo da parte,
ove si affacciassero, sensi di nostalgia, di solitudine e mestizia. Nel
dipartirsi dalla scena di questo mondo, nel vespro pentecostale di 40 anni fa,
al termine della Messa celebrata sul sagrato della Basilica Vaticana, mentre il
colonnato del Bernini sembrava abbracciare migliaia di persone, Papa Giovanni,
l’amabile padre – secondo la definizione di Papa a lui
congeniale - sollevò al cielo la
lampada della fede che gli aveva rischiarato il lungo cammino: la mia giornata
terrena finisce, ma il Cristo vive e la Chiesa ne continua la missione nel
tempo e nello spazio”.
Ma cosa ha fatto di
straordinario quest’uomo che – secondo il parere di Jean Guitton – appartiene
alla stirpe dei patriarchi, dei precursori, dei pionieri, di quelli che per la
loro semplicità geniale, docili allo Spirito creatore dei mondi e dei secoli,
aprono nuove strade? …
“Non si era proposto di
avviare grandi imprese e tuttavia le compì, essendo vissuto in piena obbedienza
a Dio, in perseverante sforzo di imitazione di Cristo. Ha infranto la
segregazione papale, percorso le strade della sua diocesi, rimesso in
circolazione le opere della misericordia, riacceso le lampade di antiche
tradizioni devozionali come l’Angelus, il Rosario, il Mese mariano, le Stazioni
quaresimali. Ha aperto la porta del Concilio Vaticano II, allargato le tende
del Collegio cardinalizio, istituito la Gerarchia in molti Paesi africani ed
asiatici. Ha offerto a tutti, senza esclusioni, come pane casalingo, il dono
della speranza che non delude. Ha avviato l’epoca del dialogo senza confusione
né cedimenti dottrinali, segnalato le vie del progresso a tutti esteso,
sostenuto le ragioni dei poveri e degli oppressi, accentuato il canone
evangelico del servizio. E’ stato povero e casto con letizia, apostolo di
bontà, artefice di pace. Mite e umile ha posseduto la terra, perché a lui si
sono aperti i cuori degli uomini. In vita e in morte ha dimostrato che il
Vangelo continua ad illuminare le anime, a preparare – secondo le parole della Pacem
in terris – un nuovo ordine di rapporti umani, fondato sulla verità,
costruito secondo giustizia, animato ed integrato dalla carità e posto in atto
nella libertà”.
Soffermandosi un giorno a meditare
sull’elogio che il Breviario romano tributa a Papa Sant’Eugenio – fu benevolo,
mite e mansueto e, ciò che più conta, fu distinto per santità di vita –
commentò: non sarebbe bello arrivare almeno sin là? …
“I superstiti che lo conobbero – concittadini bergamaschi e cittadini
dei luoghi dove successivamente alzò la sua tenda – affermano che vi è arrivato.
Genti di Bulgaria, Turchia e Grecia sperimentarono durante 20 anni la sua presenza pacifica e amichevole. I francesi,
sensibili alle voci dello spirito, indovinarono e apprezzarono i tesori di
natura e di grazia di cui era dotato. I veneziani e i romani lo acclamarono. A
Venezia si ripeteva: è tornato Pio X. A Roma, presentatosi come fratello
divenuto Padre per volontà del Signore, i figli gli si strinsero attorno col
proposito di imitare la sua bontà e di far onore alla sua schiettezza”.
Dal villaggio nativo,
percorrendo le vie del mondo fino al vertice della gerarchia cattolica, non
mutò volto, non si stancò il cuore. Fino all’ultimo, negli occhi suoi, limpidi
come quelli di un fanciullo, si poté leggere l’amabilità innocente e attraente
…
“A chi è
vissuto accanto a lui è parso di vedere riflessa sul suo volto di padre,
l’eterna giovinezza del Padre celeste. Lui non ha portato nel sepolcro questo dono
di giovinezza: l’ha trasmesso ai suoi successori.Ne fa sentire l’attrattiva a
tutti coloro che sono determinati ad
abbattere barriere divisorie, a rinunciare agli equilibri della paura, ad
entrare nel cantiere che costruisce il tempio della pace”.
Nel ricordo di quei lontani
rintocchi di campana, di quella luce accesasi al balcone dell’Angelus, di
quell’assembramento ecumenico in Piazza San Pietro, di quel silenzio che per
alcune ore avvolse Roma e il mondo, riconosciamo vera e stimolante la sottolineatura
data all’evento dal cardinale Suenens: “La sua vita è stata una grazia per
tutti i cristiani. A lui, infatti, dobbiamo un’atmosfera, un clima nuovo che
permetterà di affrontare insieme, fraternamente gli ostacoli ancora da superare
sulla via dell’unità visibile e piena dei cristiani …
“Questo clima egli lo ha creato
con la sua carità e sincerità. Con la carità che apriva i cuori al dialogo,
alla pregiudiziale favorevole, all’unità cristiana. Meglio di ogni altro,
Giovanni XXIII sapeva che la ricerca dell’unità non segue la via delle
trattative diplomatiche, ma si colloca nelle profondità stesse della vita
religiosa. Ci si avvicina gli uni agli altri – pensava – nella stessa misura in
cui ognuno si lascia impregnare dalla vita e dalla carità di Cristo e divenendo
sempre più una cosa sola con Cristo non possiamo non avvicinarci ai nostri
fratelli”.
Ora molti guardano a lui come
all’incantato fanciullo di Sotto il Monte, vissuto – come scrisse lui stesso
nel 1920 – preferendo l’umiliazione alla gloria, compresa l’umiliazione di
riconoscere in sé i limiti, le pesantezze, le negligenze, i ritardi e gli
abbagli della condizione umana, ognora pronto a confrontarsi col Divino Modello
...
“A 40 anni dal transito, le nostre voci rinnovano esultanti l’auspicio
del suo terzo successore, Giovanni Paolo, II che ha proclamato: Papa Giovanni,
ci accompagni col suo esempio e la sua preghiera per le strade faticose della
nostra vita. Egli è buon amico. Ascoltiamolo! La sua eredità è davvero in benedizione”.
(musica)
(Voce di Papa Giovanni XXIII)
“La mia persona conta niente: è
un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro
Signore ... Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci
così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è,
qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà”.
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La prima pagina si apre con il
Medio Oriente, dove Bush è in missione per rilanciare il negoziato.
Nelle vaticane, nel discorso ai
vescovi indiani di rito latino, Giovanni Paolo II ha sottolineato che l'intera
comunità cattolica deve impegnarsi contro i tentativi di imporre in Asia
tipologie moralmente inaccettabili di pianificazione familiare.
L'omelia del cardinale
Crescenzio Sepe nel Santuario di Mamugongo, in Uganda.
Una pagina ad un mese dal
viaggio apostolico del Papa in Spagna.
Un articolo sui funerali del
cardinale Francesco Colasuonno.
Nelle pagine estere, al vertice
del "G-8", ribadito l'impegno a favorire lo sviluppo dei Paesi
poveri.
Repubblica Democratica del
Congo: l'Ituri sconvolto da continue violenze.
Nella pagina culturale, un
articolo di Paola Cerami sulla raffigurazione del Rosario in celebri opere dal
XVI al XIX secolo.
Nell' "Osservatore
libri", un contributo di Danilo Veneruso sulla nuova edizione de "Il
discorso delle 27 libertà" di Guido Gonella.
Nelle pagine italiane, tra i
temi in rilievo, l'economia e l'immunità parlamentare.
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3 giugno 2003
L’INVIATO DI GIOVANNI PAOLO II IN IRAQ,
MONS. PAUL CORDES, PRESIDENTE
DI
“COR UNUM”, HA CONCLUSO LA SUA MISSIONE. HA PORTATO LA SOLIDARIETA’
DEL PAPA AL POPOLO IRACHENO PROVATO DALLA
GUERRA
Si è conclusa oggi la missione in Iraq dell’inviato di
Giovanni Paolo II, l’arcivescovo Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio
Consiglio “Cor Unum” che si è fatto interprete della vicinanza spirituale del
Papa verso l’intera popolazione irachena, provata dalla guerra. Il presule
oltre a Baghdad, si è recato anche nella città settentrionale di Mosul,
roccaforte dei cattolici del Paese, ed ha incontrato i vescovi iracheni ed
esponenti di altre confessioni cristiane per promuovere e coordinare un piano
di aiuti umanitari. Prima di lasciare l’Iraq mons. Cordes è stato raggiunto
telefonicamente questa mattina a Baghdad da Roberto Piermarini.
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R. – La gente ricorda molto bene tutto quello che il Papa
ha fatto, i suoi interventi. Tre volte abbiamo concelebrato l’eucaristia e ho
voluto sempre ricordare a questa gente la comunione del Papa con i fedeli, la
sua preoccupazione per il presente ed il futuro: le mie parole sono sempre
state accompagnate da un grande applauso. Anche i pastori, soprattutto i
vescovi, hanno ringraziato il Papa che ha aiutato molto moralmente il popolo
iracheno durante questo passaggio difficile.
D. – Di cosa ha maggiormente bisogno in questo momento la
popolazione irachena?
R. – Sono giustamente preoccupati per il futuro; per
questo, ci vuole una grande attenzione, non bisogna dimenticare questa gente.
Hanno chiesto molte volte di continuare a pregare intensamente per loro, perché
durante la guerra hanno sentito fortemente anche l’appoggio spirituale. Sarebbe
sbagliato dire: ‘Ormai tutto è fatto, la guerra è finita e il futuro viene da
solo’, perché in realtà la situazione è abbastanza complessa, ancora.
Politicamente, socialmente c’è grande miseria. Ci vuole quindi una grande
attenzione spirituale, una forte sensibilità per seguire questa gente, seguire
le notizie nei quotidiani. La popolazione chiede il sostegno materiale alle
diverse istituzioni che aiutano ed a tutte le agenzie cattoliche che stanno
intervenendo ... anzi, per il futuro sarà richiesto molto lavoro per superare
la distruzione e anche per ricostruire possibilmente un ordine sociale, la
giustizia e soprattutto la libertà di praticare la religione. Sappiamo che
nella maggioranza – cioè al 60 per cento - qui, sono sciiti e per questo i
cristiani hanno paura di essere emarginati.
D. – Mons. Cordes, in questo senso qual è la
condizione dei cristiani dell’Iraq?
R. – I cristiani stanno molto bene insieme; abbiamo
incontrato anche molti rappresentanti delle Chiese ortodosse e anche là abbiamo
trovato un’accoglienza profonda e bella. In futuro, i cristiani dovranno essere
uniti nell’attesa dell’appoggio morale ma anche materiale dall’esterno.
D. – Quindi anche dal punto di vista ecumenico è stato un
incontro importante, quello che lei ha avuto in Iraq?
R. – In ogni caso, qui si vede che è necessaria la
vicinanza delle varie confessioni cristiane; anche politicamente, gli iracheni
si aspettano qualche cosa. Abbiamo incontrato il sindaco di Mosul, che è
musulmano: anche loro sono stati riconoscenti del fatto che il Papa abbia tanto
aiutato e anche loro aspettano concretamente un appoggio da parte dei cristiani
per la ricostruzione della società.
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L’IMPEGNO INSTANCABILE DI GIOVANNI
PAOLO II E DELLA DIPLOMAZIA VATICANA
PER LA
PACE IN TERRA SANTA: UNA RIFLESSIONE DELLO STORICO ALBERTO MELLONI
Solo scegliendo la via del dialogo
e rifiutando le azioni unilaterali si potrà raggiungere la pace in Medio
Oriente. Giovanni Paolo II lo ha ribadito con vigore, ieri, rivolgendosi al
nuovo ambasciatore israeliano presso la Santa Sede. Un discorso dedicato al
dramma, che quotidianamente vive la Terra Santa, scossa da un conflitto che da
anni semina dolori e sofferenze, mortificando le speranze di pace per i popoli
israeliano e palestinese. Il Papa ha indicato nella coesistenza di due Stati
indipendenti e sovrani la condizione necessaria per risolvere la crisi
mediorientale. Un richiamo, questo, di grande significato, come spiega – al
microfono di Alessandro Gisotti - il prof. Alberto Melloni, docente di storia
contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, e membro della
Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna:
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R. – Questa è una posizione che la
Santa Sede ha già assunto in varie circostanze, che però mi sembra rivesta
oggi, nell’essere riaffermata in questo momento e con questa forza, la
testimonianza di come, da parte vaticana, si guardi alla vicenda
israelo-palestinese non come ad una questione impossibile, come ad una cosa
condannata in ogni caso, al trascinarsi o di un conflitto o alla fine di una
situazione che dev’essere risolta dalla brutalità della legge del più forte. Mi
pare che si affermi il fatto che esiste una soluzione politica della questione,
che è fatta dell’applicazione di norme del diritto internazionale e anche
tenendo conto della quota immensa di sofferenze che da una parte e dall’altra
viene pagata ad una condizione di guerra che si trascina ormai da due anni in
un modo così disperante. Il fatto che il Santo Padre affermi non l’applicazione
astratta di principi morali, ma indichi che nella costruzione del dialogo tra
persone di buona volontà c’è una prospettiva di pace, questo mi sembra che
abbia un grande significato sia dal punto di vista teologico sia dal punto di
vista politico.
D. – Di fronte al terrorismo – ha
avvertito il Pontefice – qualunque Stato ha il diritto a difendersi, ma sempre
nel rispetto dei diritti degli altri. Come tradurre questo monito nel percorso,
irto d’ostacoli, per la pace in Terra Santa?
R. – Da parte del Papa mi sembra
ci sia un’affermazione molto importante per entrambi i versi. Da un lato,
un’affermazione che riguarda la società israeliana prima ancora che nel suo
governo, e cioè il sostegno dato a coloro che in Israele ritengono che il
problema del terrorismo sia un problema da affrontare e risolvere non perdendo
quella che è la dignità più profonda dello Stato, che è uno Stato libero e
democratico. E dall’altro, un ammonimento e un’affermazione non meno
significativa verso il mondo palestinese, cercando di affermare il principio
che non può essere l’argomento della guerra - tanto meno quello della guerra
terroristica - a dare il riconoscimento alle aspirazioni del popolo
palestinese.
D. – Quale ruolo accanto al
Magistero pontificio può svolgere la diplomazia vaticana per la pace in Medio
Oriente?
R. – La diplomazia vaticana svolge
senz’altro un grande ruolo, fra l’altro alcuni dei suoi migliori uomini sono
coinvolti in questo quadrante. C’è senz’altro un peso importante che è dato da
questo arnese antico delle relazioni, dei rappresentanti diplomatici. Credo che
ci sia, accanto al ruolo della diplomazia, un ruolo non meno importante che è
proprio il ruolo delle Chiese; c’è un’ansia per la pace in Medio Oriente e per
la pace tra israeliani e palestinesi che, credo, è qualcosa che tutti nelle
Chiese sentono, proprio attorno a quello che è accaduto durante la seconda
guerra mondiale, l’esperienza tragica della Shoah e dei grandissimi errori che
sono stati commessi in quel momento. Oggi ci si rende conto di come la terra
può essere santa o meno, ma sempre ogni vita è santa e veder perdere le vite
così, in questo modo così insensato è una cosa che provoca la preghiera
cristiana, la fede cristiana e anche tutti gli strumenti che la storia
cristiana ha costruito, compreso quello diplomatico.
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3 giugno 2003
INAUGURATO
IN RWANDA IL SANTUARIO MARIANO DI KIBEHO: LA BENEDIZIONE
APOSTOLICA DEL SANTO PADRE, CHE HA FATTO SAPERE DI
AVERE UN POSTO SPECIALE NEL CUORE
PER IL POPOLO RWANDESE. PROPRIO KIBEHO E’ STATO IL
LUOGO DI
APPARIZIONI DELLA VERGINE, E POI DEI PIÙ
SANGUINOSI SCONTRI TRA HUTU E TUTSI
KIBEHO. = Il prefetto della
Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, cardinale Crescenzio Sepe, ha
recentemente consacrato il nuovo santuario mariano dedicato a “Notre Dame de
Douleurs”. Presenti alla celebrazione i vescovi rwandesi, il nunzio apostolico
mons. Salvatore Pennacchio, ed operatori pastorali. L’edificio dedicato a Maria
è stato costruito a Kibeho, luogo di pellegrinaggio nazionale e internazionale,
dove si crede che dal 1981 la Vergine sia
apparsa più volte. Secondo il racconto di chi si è detto testimone delle
apparizioni, la Vergine si era presenta in lingua locale come “Nyina wa Jambo”
cioè “Madre del Verbo” o “Madre di Dio”, ed invitò alla conversione, alla
preghiera e al digiuno. In un’unica circostanza aveva mostrato immagini
spaventose: un fiume di sangue, persone che si uccidevano a vicenda, cadaveri
abbandonati senza nessuno che li seppellisse. Tale visione negli anni
successivi fu messa in relazione con il genocidio che sconvolse il Rwanda nel
1994-1995, che proprio a Kibeho si manifestò nella maniera più sanguinosa. “Rivolgo
un cordiale benvenuto alle autorità e a tutti i presenti – ha detto il
cardinale Sepe nel corso della cerimonia -. Sono molto lieto di poter
presentare a tutti voi il saluto affettuoso del Santo Padre Giovanni Paolo II,
il quale ha potuto visitare questa amata terra nel settembre 1990. Il Rwanda e
il suo popolo hanno un posto speciale nel cuore del Papa; egli oggi rimane spiritualmente
unito a noi in questa celebrazione eucaristica e ci impartisce la sua
Benedizione apostolica”. (S.C.)
GLI OLTRE 45 GRADI ALL’OMBRA
CONTINUANO A MIETERE VITTIME IN INDIA.
OLTRE
MILLE I MORTI, SPECIALMENTE ANZIANI, NELLO STATO DELL’ANDHRA PRADESH,
MENTRE
MUSULMANI E INDU’ INVOCANO IN PREGHIERA IL SOLLIEVO DELLA PIOGGIA
NALGONDA. = Sono ormai 1.100 le
vittime del caldo in India, in meno di tre settimane. Il bilancio dei morti è
stato diffuso ieri mattina dalle autorità sanitarie indiane. L’ondata di caldo
ha fatto letteralmente strage di vite nello Stato meridionale dell’Andhra
Pradesh, dove sono morte 1024 persone, in maggioranza anziani o persone
impossibilitate a proteggersi dal sole cocente o a bere a sufficienza.
Temperature infernali si sono registrate nel distretto di Nalgonda, dove il
termometro ha sfiorato i 49 gradi. Questi fenomeni climatici - che non
rappresentano una novità per l’India – non sembrano poter contare sull’arrivo
delle piogge monsoniche, in preoccupante ritardo. Domenica, mentre il sole
batteva a 46 gradi a picco, nella capitale dello Stato, Hyderabad, 100 mila
musulmani si sono riuniti in preghiera per chiedere il sollievo delle piogge.
In altre città, 5 mila indù hanno fatto altrettanto recitando testi sacri della
religione induista. Le autorità, che continuano ad invitare la popolazione a
non uscire di casa dalle 10 del mattino alle 5 del pomeriggio, sono purtroppo
impotenti di fronte alle masse di persone che si riversano negli ospedali con
sintomi di disidratazione, insolazione, febbre alta e attacchi di vomito. E le
previsioni meteorologiche non confortano: la temperatura non dovrebbe calare
per almeno due giorni ancora. (A.D.C.)
E’ UN
DOVERE PER OGNI EUROPEO, DI OGNI CREDO O IDEOLOGIA, RICONOSCERE
IL CONTRIBUTO DEL CRISTIANESIMO NELL’EDIFICAZIONE
DEL CONTINENTE.
LO HA DETTO IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE
EUROPEA, PRODI,
IN UN MESSAGGIO AL CAPITOLO GENERALE DEI FRATI
MINORI
ASSISI.
= “L'Europa ha bisogno di un pensiero e di un'anima, che si richiamino ai
valori fondamentali che l'hanno modellata nel corso della sua storia”. E’ una
delle affermazioni contenute nel messaggio che il presidente della Commissione
europea, Romano Prodi, ha voluto indirizzare al Capitolo generale dell’Ordine
dei Frati Minori, riunito ad Assisi per l’elezione del nuovo superiore
generale. Prodi è tornato sul tema delle radici cristiane del Vecchio
continente, recentemente più volte affrontato anche da Giovanni Paolo II. “Sono
tempi difficili e incerti; per l'Europa e per il mondo intero, che ci spingono
ad una riflessione profonda per trovare la vera strada del rinnovamento e della
pace”, scrive il capo dell’esecutivo comunitario. “L'Europa stessa - osserva
ancora - è espressione per eccellenza di una coesistenza possibile di culture,
anime, tradizioni diverse, e trova la sua forza proprio nella valorizzazione
delle diversità che la costituiscono, anche a livello religioso”. Prodi
definisce dunque “fondamentale” affrontare la questione della dimensione
religiosa, spirituale ed etica in chiave europea, e che si riconosca il patrimonio
apportato dalla tradizione cristiana, “qualunque sia la tradizione filosofica o
spirituale a cui si appartenga”. Il cuore del progetto europeo, spiega Prodi,
“è proprio il raggiungimento e la promozione della pace, del rispetto, della coesistenza”
tra le varie etnie e culture continentali, in modo particolare ora che lo
sguardo comunitario è rivolto ai Paesi dell’est. Un progetto al quale il
cristianesimo - con la forza dei suoi principi di misericordia e di dono di sé
al prossimo - può dare un contributo
decisivo perché “i diritti fondamentali della persona umana siano salvaguardati
contro la violenza, l'odio e le discriminazioni”. (A.D.C.)
IN PARAGUAY L’ARCIDIOCESI DI ASUNCION
HA VARATO UN PROGETTO,
UNITAMENTE AD ALTRE ORGANIZZAZIONI NON
GOVERNATIVE,
IN
AIUTO DELL’ISTITUTO PARAGUAYANO PER GLI INDIGENI
ASUNCION.
= L’arcidiocesi di Asunción, unitamente ad altre Organizzazioni non governative
(Ong), si schiererà al fianco dell’Istituto paraguaiano per gli indigeni
(Indi), organismo che si occupa dell’assistenza ai nativi poveri e senza fissa
dimora. “Il nostro primo problema – ha dichiarato il presidente dell’Indi,
Oscar Centurion - è la mancanza di fondi”. “E’ un ostacolo che possiamo
comunque superare con la collaborazione di altre realtà che si occupano del
settore medesimo. Possiamo, ad esempio, potenziare il servizio formativo,
creare un’assistenza sanitaria permanente e, non per ultimo, migliorare
l’accesso ai servizi”. Centurion si è detto inoltre convinto che “pur non
godendo di contributi, l’Indi può invitare il Parlamento a legiferare a
sostegno del settore agricolo”. Il presidente ha annunciato che il Comitato per
l’emergenza nazionale, al quale ha aderito anche l’arcidiocesi della capitale,
si occuperà del recupero degli alcolisti e dei tossicodipendenti e del loro
reinserimento nella società. Solo nell’ultima settimana sono stati “tolti dalla
strada” una cinquantina di aborigeni, tutti tratti in salvo. Sono stati
trasferiti nel Seminario metropolitano dove verranno assistiti per un periodo
di quindici giorni, prima di tornare nelle rispettive comunità. (D.D.)
IL PRIMO SINODO DELLA CHIESA MARONITA DOPO 150
ANNI, IN CORSO DA DOMENICA
NELLA
SEDE PATRIARCALE DI BKERKE’, IN LIBANO, ALL’INSEGNA DEL PERDONO.
I
LAVORI, APERTI DAL CARDINALE PIERRE SFEIR DAVANTI A DIECIMILA PERSONE,
PROSEGUONO
FINO ALLA TERZA SETTIMANA DI GIUGNO.
PRESENTI
ANCHE RAPPRESENTANTI MUSULMANI
BKERKE’.
= All’insegna del perdono, si è aperto domenica scorsa nella sede patriarcale
di Bkerké, in Libano, il primo Sinodo della Chiesa maronita da 150 anni. Circa
10 mila fedeli hanno partecipato alla Messa inaugurale, presieduta dal cardinale
Nasrallah Pierre Sfeir, patriarca di Antiochia dei Maroniti, nel cortile esterno
della stessa sede patriarcale. Richiamandosi all’Esortazione apostolica scaturita
dal Sinodo per il Libano del 1995, il cardinale Sfeir ha indicato il motivo di
questo Sinodo patriarcale come una marcia “profetica” e “coraggiosa” che permetterà
alla Chiesa di “purificare la sua memoria mediante il perdono”. Il patriarca
maronita si è riferito alle conseguenze psicologiche della lunga guerra libanese,
tra il 1975 e il 1990, che ha lasciato in molti animi “i segni della violenza,
dell’odio e del desiderio di vendetta”. Al suo uditorio, tra cui ministri,
deputati ed altre personalità, il patriarca ha quindi indicato la necessità di
“prendere iniziative coraggiose, profetiche, in vista del perdono e della
purificazione della memoria”. Altro teme centrale del Sinodo patriarcale,
“l’identità della Chiesa maronita” e al riguardo il cardinale Sfeir ha sottolineato “la sua vocazione
apostolica ed ecumenica ed i suoi rapporti con il suo ambiente islamico e
arabo”. In più, ci sono le radici storiche che avvicinano la Chiesa maronita ad
altre Chiese orientali e alla Chiesa ortodossa. “Il Sinodo Patriarcale – ha
detto in proposito – potrebbe mettere in luce questo patrimonio comune, al
servizio di un riavvicinamento ecumenico”. I lavori veri e propri del Sinodo si
sono aperti alla presenza di circa 300
membri del clero e del laicato. Essi proseguiranno nella prima e nella
terza settimana di giugno, mentre la seconda settimana sarà dedicata ad un
ritiro spirituale dei vescovi maroniti,
come tempo di ascolto e di preghiera. “Identità, vocazione e missione della
Chiesa maronita” e il primo argomento in agenda, con particolare riguardo alla
sua natura apostolica, alla sua apertura ecumenica e ai suoi rapporti con
l’islam. Osservatori delle comunità sunnita, sciita e drusa assistono al lavori
del Sinodo patriarcale. (P. Sv.)
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3 giugno 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
Occhi puntati su Sharm el Sheikh, la località egiziana in
cui si sta svolgendo la prima tappa della missione di Bush in Medio Oriente. Il
presidente degli Stati Uniti – che ha ribadito l’esigenza di due Stati indipendenti
e pacifici, ha invitato Israele a “trattare sugli insediamenti” ed i
palestinesi ad impedire che “pochi killer distruggano i sogni di molti” – ha
assunto in prima persona il ruolo di mediatore a sostegno della road map, il
piano di pace stilato dalla comunità internazionale. Ad attendere il capo della
Casa Bianca, questa mattina, 6 leader arabi: il palestinese Abu Mazen e quelli
di Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Marocco e Bahrein. E’ ormai alle
porte, intanto, un altro importante vertice: quello di domani ad Aqaba, in
Giordania, tra Bush ed i capi dei governi israeliano e palestinese. Se daranno
il loro assenso all’attuazione della road map, Sharon ed Abu Mazen verranno
assistiti da un pool di esperti, guidati dall’attuale ambasciatore americano in
India, Robert Blackwill. Un primo segnale di disgelo, in attesa del vertice di domani, è
arrivato questa mattina: Israele ha infatti iniziato la scarcerazione di un
centinaio di palestinesi, detenuti sulla base di procedure amministrative.
Nella notte è stato rilasciato anche Tayseer Khaled, un importante esponente
del Fronte di liberazione democratico.
Notizie
preoccupanti giungono invece dall’Iraq, dove è giunto ieri l’inviato speciale
dell’Onu, Vieira de Mello. Mentre gli scarsi raccolti nel sud del Paese fanno
temere l’aggravamento delle già precarie condizioni alimentari, non si placano
ancora gli scontri nei dintorni di Baghdad. A Balad, una novantina di
chilometri a nord della capitale, ieri sera una granata ha ucciso un soldato
americano. Ancora più a nord, nella regione di Kirkuk, è stata trovata una
fossa comune con i corpi di 200 bambini curdi.
Nel
processo di pace in Medio Oriente dovranno essere inclusi anche Libano e Siria,
e corale dovrà essere anche la ricostruzione in Iraq, dove occorrono “stabilità
e democrazia”. Lo afferma il documento finale del G8, che si è concluso questa
mattina ad Evian, nella Francia meridionale. I Grandi hanno anche accettato la
proposta di creare un Gruppo di azione contro il terrorismo – che dovrà
bloccare i finanziamenti ai gruppi estremisti – e si sono detti fiduciosi nel
potenziale di crescita delle proprie economie. Preoccupazione, invece, per la
situazione in Zimbabwe, al cui governo il G8 chiede di “rispettare la libertà
di manifestare”. Ma per un bilancio del vertice, sentiamo il nostro inviato,
Jean-Charles Putzolu:
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È la solita storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo
vuoto: questo vertice del G8 si chiude con una vittoria e una sconfitta. La
star indiscussa di Evian, in questi giorni, è stata l’americano Bush. Arrivato
domenica in veste di “cattivo guerrigliere preventivo”, è ripartito ieri da
“buono”, incoraggiato dai suoi partner, per andare ad implorare la pace in
Medio Oriente. Con la sua missione, la diplomazia americana ha realizzato una
enorme operazione di bonifica, e le apparenze sono salve. Per questo, il summit
è anche un mezzo successo di Chirac, che si è riconciliato con l’altra sponda
dell’Atlantico. Ma il grado di riconciliazione non è quello desiderato: le
divisioni rimangono, ha ammesso Chirac, aggiungendo che “Bush da solo può fare
la guerra, ma non la pace”. Andandosene via prima della fine dei lavori – anche
se “per una buona causa”, come ha detto Chirac – il capo della Casa Bianca ha
tolto buona parte del suo credito al G8. Altra prova di credibilità ridotta:
gli analisti di mercato sono convinti che gli Stati Uniti proseguiranno la
politica del dollaro debole, mentre Washington ha assicurato il contrario. Il
modo in cui si chiude il vertice non è quindi di buon auspicio per i Paesi
emergenti, ricevuti domenica: se prosegue questa tendenza, c’è molto da temere
per la realizzazione delle promesse. Se infatti i Paesi ricchi non riusciranno
a rilanciare l’economia, gli aiuti pubblici per lo sviluppo subiranno sicuramente
tagli drastici.
Da Evian, Jean Charles Putzolu, per la Radio Vaticana.
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Nonostante le dichiarazioni comuni di principio, comunque,
il G8 conferma le differenti strategie in atto tra i Grandi. Le preoccupazioni
americane non hanno fatto cambiare idea alla Russia, che continuerà la
cooperazione nucleare con l’Iran. Lo ha confermato il presidente Putin,
chiedendo però a Teheran di porre i propri programmi sotto il controllo
dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
Anche la Monuc, la missione dell’Onu nell’ex Zaire, ha
confermato i combattimenti in corso a Tchomia, nella regione nordorientale
dell’Ituri. Non è stata ancora provata da fonti indipendenti, invece, la
notizia del massacro avvenuto nei giorni scorsi, in cui sarebbero morte 350
persone. L'Unione europea deciderà domani se partecipare militarmente ad una
missione di pace, sotto l'ombrello nelle Nazioni Unite.
Una missione cattolica data alle fiamme, una lunga lista
di innocenti sottoposti a mutilazioni e sfregi: sono ore drammatiche per la
diocesi di Gulu, nel nord Uganda. Gli attacchi dei ribelli dell’Esercito di
resistenza del Signore contro l’etnia Acholi hanno reso la situazione
insostenibile: lo ha denunciato lo stesso arcivescovo, mons. John Baptist
Odama, chiedendo alle Nazioni Unite di intervenire rapidamente, per evitare una
“catastrofe umanitaria”.
Lo spoglio delle schede in Togo conferma le previsioni
della vigilia: il presidente Gnassingbe Eyadema, in carica da 36 anni, è in
testa allo scrutinio provvisorio dei voti, con il 59 per cento dei consensi. Lo
segue a distanza, con il 35 per cento delle preferenze, Emmanuel Bob Akitani.
Ma l’opposizione contesta la validità del voto, per almeno due motivi:
l’esclusione dalla corsa elettorale di Gilchrist Olympio, accreditato come
l’avversario più pericoloso per il capo di Stato attuale, ed i presunti brogli
avvenuti in diverse località del Paese.
Si susseguono senza sosta gli episodi di violenza in
Colombia. Le notizie delle ultime ore riferiscono di almeno 12 vittime.
Particolarmente tesa è la situazione nella località nordoccidentale di Granada,
dove una bomba – esplosa al passaggio di una pattuglia militare – ha ucciso 4
civili. Otto guerriglieri hanno invece perso la vita in tre violente offensive
dell’esercito, nei dipartimenti di César, Norte de Santander e Tolima. Le
operazioni antiguerriglia hanno portato anche alla scoperta di alcune basi
delle Farc nei pressi della casa presidenziale, a Bogotà.
Cresce la condanna della comunità internazionale per la
recente repressione in Myanmar, l’ex Birmania. Nei giorni scorsi, la capitale
Rangoon è stata teatro di sanguinosi incidenti che hanno preceduto l’arresto
della leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, già premio Nobel per la pace.
Anne Leveugle, della nostra redazione francese, ha parlato dei possibili
scenari con Mael Raynaud, coordinatore dell’associazione “Info Birmania”:
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SI LA COMMUNAUTÉ
INTERNATIONALE SE MOBILISE RAPIDEMENT ET ...
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“Se la
comunità internazionale si mobiliterà rapidamente e decisamente contro la
giunta, questo arresto diventerà solo un arresto di troppo, potranno essere
prese delle misure e potrebbero accadere fatti positivi. Nella seconda ipotesi,
cioè se non ci fosse alcuna reazione, la giunta inasprirebbe ulteriormente la
propria posizione e la Birmania ricadrebbe in un cerchio di oppressione della
popolazione con effetti catastrofici. La terza ipotesi, che nessuno si augura
ma che è comunque possibile, è un sollevamento della popolazione: colpire Aung
San Sun Kyi è toccare un eroe nazionale, il simbolo della speranza dei birmani
di poter vivere un giorno in un Paese più o meno normale e tranquillo. In
quest’ultimo caso, nessuno può prevedere cosa accadrà, perché stiamo parlando
di un popolo oppresso da 50 anni che si trova di fronte ad un esercito di 150
mila soldati: il più grande esercito del sudest asiatico dopo quello del
Vietnam, anche se, al contrario del Vietnam, la Birmania non ha mai avuto
nemici dall’esterno, non ha mai fatto la guerra!”
Sarà siglato il 6 giugno l’accordo tra l’Onu e la Cambogia
per l’istituzione di un tribunale speciale che giudicherà gli ex dirigenti
Khmer Rossi, accusati della morte di oltre due milioni di persone sotto il
regime di Pol Pot. Le istituzioni per la difesa dei diritti umani denunciano la
mancanza di imparzialità della giuria, composta prevalentemente da giudici
cambogiani e da un magistrato internazionale.
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