RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 31 - Testo della
Trasmissione di venerdì 31 gennaio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
L’Europa divisa dalla
crisi irachena: intervista con Federica Bindi.
CHIESA E
SOCIETA’:
Non si arresta in Botswana il flusso migratorio di
clandestini provenienti dallo Zimbabwe.
Per gli Stati Uniti la
guerra contro l’Iraq sarà l’ ultima scelta possibile non la prima.
Numerosi morti in
Afghanistan per l’esplosione di una mina: si sospetta di Al Qaeda.
Iniziate in Israele le
consultazioni per il nuovo governo.
31 gennaio 2003
IN UDIENZA STAMANE DAL PAPA IL PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL LIBANO, RAFIC HARIRI
-
Intervista con il leader libanese -
Un mosaico di razze e di religioni, al centro di una delle
aree geopoliticamente più delicate del pianeta: il Libano. Paese questa mattina
all’attenzione di Giovanni Paolo II, che ha ricevuto in udienza il presidente
del Consiglio dei ministri dello Stato mediorientale, Rafic Hariri, insieme
alla moglie e ad un seguito di 12 persone. Il Pontefice aveva visitato il
Libano nel maggio del 1997, accolto calorosamente non solo dai cattolici, circa
il 25 per cento dei 3 milioni di abitanti totali, ma anche dai musulmani che
nel Paese costituiscono la maggioranza. Poco prima dell’udienza la nostra
collega della redazione inglese, Tracey McClure, ha intervistato il leader
libanese, che ricorda i giorni del viaggio apostolico del Papa e descrive la
realtà sociale del suo Paese:
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R. – YOU
KNOW, SINCE 1993 I COME TO ROME AND TO THE VATICAN TO MEET ...
E’ dal 1993 che vengo a Roma e in Vaticano per incontrare
il Papa, perché sono convinto che il presidente del Consiglio del Libano debba
intrattenere rapporti stretti con il Vaticano. Questo è uno dei motivi
principali della mia presenza qui, oggi. Ma, aggiungo, di voler venire anche
per manifestare il mio rispetto a Giovanni Paolo II. E questo è ciò che ho
fatto negli ultimi dieci anni. E’ stato per noi un grande onore quando il Papa
è venuto in Libano e ci ha reso visita. il Libano è uno dei pochi Paesi arabi
che il Papa abbia visitato, e questo ci ha molto onorati. Tutti i libanesi lo
hanno aspettato: musulmani e cristiani, ed il Santo Padre è stato ricevuto con
tutti gli onori che gli si devono. Gli argomenti di politica di cui vogliamo
parlare con i responsabili in Vaticano sono principalmente la questione
dell’Iraq e della pace in Medio Oriente.
D. - Lei è musulmano eppure,
come ha detto, è venuto più volte in visita dal Papa. C’è un motivo particolare
che la spinge ad incontrarlo?
R. - YOU
KNOW, THAT’S ISLAM, I’M ACTING AS A MUSLIM, AS A MODERATE MUSLIM, ...
Perché questo è l’Islam: io mi comporto come un musulmano,
un musulmano moderato. Si parla molto dell’Islam, del fondamentalismo e
dell’estremismo.
Ma quest’ultimo non è Islam: è l’atteggiamento di gente folle
che non ha nulla a che vedere con la nostra fede. Noi crediamo fermamente che
l’Islam sia una religione che chiede tolleranza, coesistenza pacifica e
rispetto del prossimo. Alcuni parlano di lotta tra cristiani, musulmani ed
ebrei, e tra Cristianesimo ed Ebraismo. Non capisco come possa essere possibile
che il musulmano abbia il diritto di sposare una donna cristiana o ebrea e di
avere dei figli da questa donna, per poi considerare lo zio di questi bambini -
ebreo o cristiano che sia - il proprio nemico: questo non può andare bene! Non
può funzionare! Quindi, fin tanto che noi permettiamo, come è accaduto nel
corso della storia, che si formi una famiglia - ovvero, la più alta espressione
dei rapporti tra le persone - e che si formi una famiglia da un uomo musulmano
ed una donna cristiana o ebrea, questo rappresenterà la massima espressione
delle relazioni inter-personali. Non voglio fare una trattazione ideologica,
semplicemente dare una risposta molto semplice ad una domanda molto difficile.
Noi non siamo in conflitto con nessuno. Rispettiamo le altre religioni, rispettiamo
il Cristianesimo, rispettiamo l’Ebraismo.
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ALTRE UDIENZE
Sono proseguite anche oggi le udienze del Papa ai presuli
brasiliani in visita “ad Limina Apostolorum”: stamane ha ricevuto due
arcivescovi e tre vescovi della regione centro ovest e nord II.
Nel corso della mattina il Santo
Padre ha incontrato pure il cardinale Michele Giordano, arcivescovo di Napoli,
accompagnato da un gruppo di 12 persone, ed il cardinale Giovanni Battista Re,
prefetto della Congregazione per i vescovi.
RINUNCIA E NOMINA IN ITALIA
Giovanni Paolo II ha accettato
oggi la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace
in Italia, presentata dall’arcivescovo Antonio Cantisani per raggiunti limiti
di età.
Allo stesso incarico di
arcivescovo metropolita della medesima arcidiocesi il Papa ha nominato mons.
Antonio Ciliberti, finora arcivescovo di Matera-Irsina.
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"Un popolo già prostrato da un lungo embargo
vive sotto la logorante minaccia della guerra": è il titolo che apre la
prima pagina, in riferimento alla situazione in Iraq. Sempre in prima, in
rilievo, la notizia della Santa Messa celebrata dal Cardinale Angelo Sodano,
nella festa di san Giovanni Bosco, per la comunità di lavoro della Tipografia
Vaticana-Editrice "L'Osservatore Romano". Un servizio dal titolo
"Tragedie dell'Africa: privi di ogni diritto centomila profughi etiopi ed
eritrei". "Maria, guida alla contemplazione del mistero di
Cristo" è il titolo del pensiero di M. Anna Maria Canopi dedicato all'Anno
del Rosario.
Nelle vaticane, l'omelia del
Card. Sodano in occasione della suddetta Celebrazione. L'intervento
introduttivo del Card. Castrillon Hoyos in apertura della video-conferenza,
promossa dalla Congregazione per il Clero, sul tema "La Pace sfidata dalla
guerra, dalla violenza e dal terrorismo". Due pagine per la Giornata
della Vita Consacrata, che si celebra il 2 febbraio. Una monografica dedicata
alla figura di Santa Maria de Mattias, fondatrice delle Suore Adoratrici del
Preziosissimo Sangue. La notizia della morte del religioso noto in tutto il
mondo con il soprannome di "Padre Lardo".
Nelle pagine estere, Unione
Europea: entra in vigore il Trattato di Nizza; prevede il voto a maggioranza.
Corea del Nord: l'Aiea afferma che la crisi nucleare va discussa all'Onu, mentre
Pyongyang respinge le accuse.
Nella pagina culturale, per la
rubrica "Incontri", Fernando Salsano intervistato da Franco Lanza. Il
titolo della monografica è "Le quarantennali 'lecturae' di un dantista che
ha scoperto inediti di Folengo e di Marino".
Nelle pagine italiane, il
giornale sferra un duro attacco al ministro della Difesa Martino, che ha
commentato, "con malcelato sarcasmo", il giudizio "ovviamente
negativo correttamente espresso" dal Vaticano su una guerra "preventiva"
in Iraq o altrove. Si sottolinea, tra l'altro, che "a chi vuole dare
suggerimenti ai 'prelati' sarà forse opportuno ricordare che essi incarnano il
palpito della Chiesa che è esperta in umanità".
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E’ MORTO QUESTA MATTINA PADRE WERENFRIED
VAN STRAATEN,
IL
FONDATORE DI “AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE”,
NOTO COME “PADRE LARDO”
-
Intervista con Attilio Tamburrini -
E’
deceduto questa mattina un grande uomo di Dio: padre Werenfried Van Straaten.
Aveva appena compiuto 90 anni, il 17 gennaio scorso. C’è chi lo ha definito,
“il più grande mendicante del XX secolo”. Era noto con l’appellativo di
"Padre Lardo" perché nell’immediato dopoguerra raccolse quintali di
lardo dalle massaie fiamminghe per soccorrere i profughi tedeschi. Da
quest’azione nacque, nel dicembre 1947 “Aiuto alla Chiesa che soffre”, una
"multinazionale della carità" per aiutare la Chiesa cattolica
dovunque soffrisse per mancanza di mezzi sotto le persecuzioni comuniste dell’Est
Europeo o a causa della miseria nel terzo mondo. Ascoltiamo la voce di padre
Lardo, registrata pochi giorni fa, in occasione del suo 90.mo compleanno,
intervistato da Paolo Ondarza.
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Dalla mia ormai
lunga vita potrei dirvi di aver constatato quanto è vero il Vangelo. Il Signore
non mi ha mai piantato in asso, perché mi ha sempre aiutato, mi ha dato sempre
quello che gli chiedevo per la Chiesa che soffre. Ecco da dove viene la mia sconfinata fiducia in lui.
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Ed ecco come lo ricorda Attilio Tamburrini, Presidente di Aiuto alla
Chiesa che soffre Italia, ancora al microfono di Paolo Ondarza.
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R. - Il santo Padre, Giovanni Paolo II, in occasione
dell’80.mo compleanno di Padre Lardo, disse: “Infine mi rivolgo al caro padre
Werenfried per esprimergli la mia più profonda gratitudine. Chi potrà valutare
tutta la generosità suscitata in Occidente, ed anche oltre, per i cristiani che
soffrono? Tutto questo, noi lo sappiamo, è scritto nel libro della vita. Il
Signore stesso è la ricompensa dei suoi discepoli”. Credo che questa frase
sintetizzi bene la vita di quest’uomo.
D. – Dopo la caduta del totalitarismo nell’est dell’Europa
padre Werenfried si è occupato anche di un’altra dimensione, cioè l’impegno
ecumenico per la riconciliazione tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa …
R. – Padre Werenfried quando inizia la primissima attività
di soccorso ai profughi tedeschi, comincia a raccogliere offerte in alcuni
Paesi vicini alla sua abbazia, l’abbazia di Tongerlo in Belgio; Paesi che
avevano particolarmente sofferto a causa dell’occupazione tedesca. Quindi, lo
scopo fondamentale era, oltre quello dell’aiuto ovviamente, che l’aiuto
giungesse da qualcuno che era stato capace di perdonare. Allora si trattò di
riconciliare i popoli europei dopo la guerra civile europea. Oggi, soprattutto
in Russia, il tentativo consiste nella riconciliazione tra i cattolici e gli
ortodossi.
D. – Se si dovesse sintetizzare, qual è il significato
della vita di padre Werenfried?
R. – E’ un personaggio che è venuto fuori in un momento
storico particolarissimo, la fine della II Guerra Mondiale. Nel corso di questo
secolo drammatico, che è stato il ‘900, padre Werenfried ha tenuta viva quella
fiamma di collegamento tra la Chiesa, che non subiva persecuzione, e la Chiesa
sofferente e perseguitata. Ci ha ricordato quella frase di Gesù: “I poveri li
avete sempre con voi”. Un tipo particolare di povero, in questo caso, perché
privo della libertà, della possibilità di manifestare la propria fede.
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L’EUROPA DIVISA DALLA CRISI IRACHENA
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Intervista con Federica Bindi -
Il governo tedesco ha accolto
positivamente l'iniziativa di un Vertice europeo straordinario sull'Iraq
annunciata dalla Presidenza greca della Ue. La Grecia, presidente di turno
dell'Ue, ha fatto sapere che continuerà ad usare ''ogni mezzo'' per creare una
posizione comune dell'Unione sull'Iraq. Lo ha detto il portavoce del governo
ellenico, Christos Protopappas, spiegando che la Grecia ''crede al ruolo che
l'Ue deve giocare sul piano internazionale e continuerà a cercare una voce
comune dei 15, malgrado le difficoltà provocate dalle diverse opinioni degli
Stati membri''. In termini di dibattito politico tra maggioranza e opposizione
e di confronto all’interno dell’opinione pubblica, continua, pertanto, nei
diversi Paesi europei la discussione sulla posizione dell’Unione nei confronti
dell’eventuale attacco all’Iraq. Le diverse valutazioni emerse hanno fatto
parlare di una spaccatura all’interno dell’Unione europea. Il servizio di
Fausta Speranza.
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L’Europarlamento si è dichiarato contrario ad ogni
iniziativa militare unilaterale nei confronti dell’Iraq spiegando che un
attacco preventivo non sarebbe conforme al diritto internazionale''. Ha poi
definito non giustificata una guerra sulla base delle violazioni attualmente
individuate dagli ispettori Onu ma ha anche richiesto a Bruxelles l'avvio di
indagini internazionali sul regime di
Saddam Hussein. Una presa di posizione analoga è venuta anche dai
parlamentari del Consiglio d’Europa. D’altra parte, queste dichiarazioni sono
giunte dopo l’appello di otto leader europei che hanno espresso la loro
solidarietà al presidente statunitense Bush con un documento di cui gli altri
premier dell’Unione, compreso il leader greco, presidente di turno dell’UE, non
erano a conoscenza. La stessa Commissione europea, come anche Parigi, Berlino e
Atene, hanno minimizzato la portata del documento degli otto, definendolo “un
contributo al dibattito che non contiene sorprese”. Resta l’impressione, però,
che gli Stati dell’Unione non riescano a parlare con una sola voce. Si tratta
di una reale spaccatura? Lo abbiamo chiesto alla prof.ssa Federica Bindi,
docente di organizzazione politica europea all’Università di Firenze.
R. – E’ sicuramente vera spaccatura. Quello ancora più
grave è che possiamo vedere un parallelo con quello che è successo con la prima
guerra del Golfo, se così possiamo chiamarla, che provocò anch’essa una
spaccatura in Europa, una spaccatura nel settore della Difesa in particolare tra
Inghilterra e Francia che poi sono il ‘motore’ della Difesa in Europa e che
avviene in un momento in cui l’Europa sta facendo un grosso sforzo, così come
lo stava facendo prima di Maastricht, per riscrivere i propri Trattati
fondamentali.
D. – Nell’appello, rivolto ieri da alcuni Paesi
dell’Europa, conta di più, secondo lei l’aspetto di solidarietà espressa a Bush
o l’appello ribadito all’Onu affinché faccia fronte alle proprie responsabilità
nei confronti di Saddam?
R. – Ognuno ci leggerà quello che
ci vuole leggere. Bush chiaramente leggerà il sostegno di questi Paesi e lo
considererà come ulteriore punto di forza per andare avanti; altri diranno: sì,
però, aspettiamo l’Onu. Quindi ognuno ci leggerà quello che vuole. Credo, che
tra i due, passerà di più il sostegno agli Stati Uniti che non quello alle
Nazioni Unite.
D. - Il sostegno agli Stati Uniti, in qualche modo, non
passa sopra l’Onu?
R. – Sì. Il problema è quello,
tanto più che stiamo aspettando ormai questo rapporto degli ispettori. Invece
il messaggio forte che passa, che è passato sulla “Cnn”, che pure è critica
rispetto all’amministrazione Bush è: c’è un appello alla solidarietà. Perché
gli altri non sono solidali con noi?
D. – Quindi in definitiva questa situazione è una
sconfitta per l’Europa che si vede divisa ed è una sconfitta per l’Onu che
passa in sotto tono?
R. – Sicuramente. E’ una sconfitta
per l’approccio multilaterale che abbiamo costruito in questi anni, sia in sede
Onu, sia in sede europea.
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IL MONTE ATHOS, ROCCAFORTE DELL’ORTODOSSIA
GRECO-BIZANTINA,
FA
PARLARE DI SE’ IN QUESTI GIORNI A MOTIVO DI UN GRUPPO DI MONACI
RIBELLI
AL PATRIARCATO DI COSTANTINOPOLI
-
Servizio di Giovanni Peduto -
Agenzie
di stampa riferiscono che un centinaia di monaci greco-ortodossi, dichiarati
scismatici dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, si sono asserragliati
nel monastero di Esphigmenou, sul Monte Athos, la Repubblica teocratica che si
trova nel nord-est della Grecia, in una delle tre diramazioni della penisola
calcidica: le altre due sono la Sithonia e la Kassandra. I religiosi promettono
di resistere ad oltranza all’interno dell’antico edificio, circondato ora dalla
polizia, uno dei 20 complessi monastici che punteggiano da oltre mille anni la
penisola athonita. Il Patriarca di Costantinopoli, da cui dipendono i monasteri
dell’Athos, li ha scomunicati lo scorso dicembre, intimandoli di lasciare il
monastero a motivo della loro tenace opposizione al Patriarcato al quale essi
rimproverano con asprezza la sua apertura ecumenica con Roma fin dai tempi di
Athenagora, che incontrò per primo Paolo VI. E da quando Bartolomeo, l’attuale
patriarca, si è insediato al vertice della Chiesa ortodossa nel 1991, il
dialogo con i cattolici ha avuto un ulteriore slancio, con vari incontri tra lo
stesso Bartolomeo e Giovanni Paolo II, che ha pure compiuto una storica visita
in Grecia. E’ risaputo che il Monte Athos è la roccaforte dell’Ortodossia greca
e a sua volta il monastero Esphigmenou, cioè i suoi monaci sono accanitamente
contrari ad ogni rapporto con i cattolici.
Il
fatto di cronaca offre l’occasione per un accenno a questa singolare realtà
dell’Athos, che prende nome dall’eroe mitologico, uno dei giganti che si
ribellarono agli dei e questi lo tramutarono in montagna, oggi Santa Montagna,
l’Aghion Oros degli Ortodossi, dove nessuna presenza femminile può esservi
ammessa a motivo della sua consacrazione alla Vergine Maria, che una poetica
leggenda vuole vi sia approdata nel suo viaggio da Gerusalemme ad Efeso assieme
all’apostolo Giovanni. Chiamato anche il Giardino della Vergine, il monachesimo
vi si diffuse in maniera preponderante, dapprima sotto forma di eremitismo, già
verso la fine del primo millennio, quando la Chiesa era ancora indivisa. Basti
pensare che vi era anche un monastero detto degli Amalfitani, fatto costruire
infatti dalla allora gloriosa Repubblica marinara di Amalfi, di cui restano
ancora i ruderi della torre.
I venti
monasteri, e le altre numerose costruzioni monastiche dette Schiti, accolgono
monaci oltre che della Grecia anche degli altri Paesi dell’oriente slavo. Agli
inizi del novecento i monaci erano parecchie migliaia; ora anche fra loro c’è
crisi di vocazioni e si aggirano attorno ai 1500. La vita spirituale è severa e
la giornata è scandita dalle lunghe liturgie, poi dal lavoro, dalle altre
attività e dal riposo. Tutto il contesto è come rimasto sospeso a un passato
remoto affascinante e suggestivo per il visitatore che, lasciatosi alle spalle
la civiltà dei consumi, si trova immerso in un’atmosfera al primo impatto
surreale. Ma, penetrandola, a poco a poco, vi scopre l’intima aderenza a quanto
di più sostanziale anela lo spirito umano: il ritorno alle origini di una vita
semplice che, dopo aver sopperito alle strettamente necessarie esigenze del
corpo, è tutta protesa all’appagamento degli aneliti dello spirito.
E che
dire dei tesori d’arte racchiusi nei monasteri della Santa Montagna? Intanto
ogni chiesa – ciascun monastero ne ha una – è completamente affrescata, e si
tratta sempre di pitture dei secoli passati, e poi le icone si calcola che
complessivamente siano oltre duemila, per non parlare delle biblioteche ricche
di codici e pergamene preziosi. Ma soprattutto va detto che il Monte Athos è
stata la culla dell’esicasmo, di quella corrente di spiritualità, cioè, tipica
dell’ascesi orientale che punta alla preghiera del cuore con
l’interiorizzazione profonda del nome di Gesù. E l’Athos è stato ed è una
fucina di monaci santi, molti dei quali canonizzati dalla Chiesa ortodossa.
Addolorano
le notizie che ora giungono da quel faro di spiritualità che è il Monte Athos,
e ci auguriamo che si ricomponga il dissidio fra i monaci asserragliati nel
monastero di Esphigmenou e il Patriarcato di Costantinopoli.
OGGI LA CHIESA FESTEGGIA SAN GIOVANNI BOSCO: LA
SUA VOCE CI PARLA ANCORA.
IN
RICORDO DELL’ OPERA DI QUESTO “MAESTRO E PADRE DELLA GIOVENTU’”
UNA
RACCOLTA DI CANZONI
-
Intervista con don Donato Lacedonio -
Oggi la Chiesa ricorda San Giovanni Bosco, fondatore della
famiglia Salesiana. Ordinato sacerdote nel 1941, don Bosco iniziò il suo
apostolato tra i giovani più poveri e tra gli immigrati fondando l'Oratorio e
mettendolo sotto la protezione di San Francesco di Sales. Grazie al suo Sistema
Preventivo, un metodo educativo basato su ragione, religione e amorevolezza,
condusse i suoi discepoli alla riflessione, all’incontro con Cristo e con i
fratelli e all’impegno apostolico e professionale. Quando poi diversi ragazzi
manifestarono la volontà di seguire il suo cammino, don Bosco fondò la
Società di San Francesco di Sales, insegnando ai suoi fratelli Salesiani una forma di vita religiosa
basata sul binomio “lavoro e temperanza”. Successivamente don Bosco fondò l'Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, insieme a Santa Maria Domenica Mazzarello, e l'Associazione dei
Cooperatori salesiani, un gruppo di laici con i quali anticipò nuove forme di
apostolato nella Chiesa. A cento anni dalla sua morte, avvenuta il 31 Gennaio
1888, Giovanni Paolo II lo ha proclamato “Padre e Maestro della Gioventù”. In
occasione della festa di San Giovanni Bosco, l’editrice Elledici ha pubblicato
su CD una nuova raccolta di canzoni inedite su don Bosco dal titolo "Sentite
parla ancora … quasi un recital". La realizzazione è stata curata
dall'Ufficio Comunicazione Sociali dell'Ispettoria Salesiana Meridionale. Il
servizio è di Maria Di Maggio.
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Un itinerario canoro in 14 tappe per raccontare il cammino
di San Giovanni Bosco e la spiritualità giovanile salesiana. Ma come nasce il
titolo “Sentite, parla ancora … quasi un recital”? Lo abbiamo chiesto a don
Donato Lacedonio, curatore del progetto.
R. – Trae spunto da una buonanotte che un salesiano, don
Francesia, diede all’indomani della morte di don Bosco, il 31 gennaio dell’’88.
Rivolgendosi ai ragazzi dell’Oratorio di Valdocco, li invitava a superare il
dolore per la scomparsa di don Bosco, richiamava tutti quegli insegnamenti che
aveva dato sia con la parola, sia con la propria vita, e li invitava a mettersi
in ascolto di questa voce che, naturalmente, continuava a farsi sentire.
D. – Qual è stato il carisma di don Bosco nel rapporto con
i giovani, carisma che da allora si conferma ogni giorno nell’attività della
Congregazione salesiana?
R. – Il segreto di don Bosco era quello di far sentire
ogni ragazzo un ragazzo privilegiato, un ragazzo con particolari capacità.
Primo perché don Bosco incontrava il ragazzo lì dove si trovava nella propria
situazione di vita, con le proprie problematiche, ma nello stesso tempo anche
con le prospettive e le possibilità in positivo. E poi perché attraverso la sua
presenza in cortile, la parolina all’orecchio, l’attenta educazione ai
sacramenti, faceva percepire al ragazzo questa straordinarietà che aveva per
lui, e quindi si innescava quel forte legame di simpatia, ma nello stesso tempo
anche di rapporto fra educatore ed educando.
D. – A suo avviso qual è il messaggio di San Giovanni
Bosco ai giovani di oggi?
R. – Il messaggio principale credo che sia legato ad una
canzone, il cui titolo è “Faremo a metà”: un impegno che don Bosco ha preso concretamente
con un ragazzino, Michelino Rua. E quell’impegno poi si è trasformato in un
progetto di vita. Quel ragazzino è poi diventato il suo primo successore. A noi
piace considerare questo come un impegno che don Bosco continua a prender con
tutti i giovani oggi. Il condividere non parti della vita, non determinati
aspetti, ma tutta una vita insieme. Perché don Bosco, attraverso i salesiani e
tutti coloro che godono della sua spiritualità, ha il progetto di condividere
la propria vita con i giovani.
D. – Quale proposta viene offerta dalla Congregazione
salesiana ai giovani di oggi attraverso il cd “Sentite, parla ancora … quasi un
recital”?
R. – Quello di mettersi ancora in ascolto sia del vissuto
di don Bosco - perché quello che ha vissuto, quello che lui ha realizzato, come
riscoperta della sua vita, penso sia ancora oggi un forte messaggio per i
giovani - e, nello stesso tempo, la provocazione di rendere attuale questa
esperienza, perché l’idea del cd è che don Bosco continui, non soltanto a far
sentire la sua voce, ma ad essere vivo nel cuore di ogni giovane che decida di
mettersi in colloquio con lui.
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31 gennaio 2003
“SONO NUMEROSE LE FORME DI MERCATO DELLA VITA
ALLE QUALI I CREDENTI SONO CHIAMATI AD OPPORSI CON FERMEZZA”.
LO HA
AFFERMATO IN UN’INTERVISTA RILASCIATA IERI ALL’AGENZIA FIDES L’ARCIVESCOVO ELIO
SGRECCIA,
VICE PRESIDENTE DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA
PER LA VITA
ROMA. =
“Sono numerose le forme di mercato della vita alle quali i credenti sono
chiamati ad opporsi con fermezza”. Lo ha affermato l’arcivescovo Elio Sgreccia,
vice presidente della Pontificia Accademia per la vita, in un’intervista rilasciata
ieri all’agenzia Fides, in vista della 25.ma giornata per la vita. "Della vita non si fa mercato" è
il tema scelto dai vescovi italiani per questa Giornata, in programma il
prossimo 2 febbraio. “Il mercato della vita – ha commentato mons. Sgreccia –
non consiste soltanto nello sfruttamento della prostituzione o nelle forme di
pedofilia perché ci sono anche altre forme di violazione della dignità umana
come la ricerca scientifica o il risparmio economico da parte delle
amministrazioni sanitarie. “La vendita di embrioni per uteri in affitto – ha
detto l’esperto di bioetica - e lo stesso affitto degli uteri delle donne sono
altre forme di mercato finalizzate alla procreazione artificiale”. "Non ci
si preoccupa – ha aggiunto il presidente della Pontificia Accademia per la vita
- se nei Paesi più poveri come l’Africa non arrivano medicine".
Attualmente, ha ricordato il presule, "è in corso il dibattito delle
Nazioni Unite sull'uso degli embrioni umani per ricavarne cellule staminali ma
in realtà non è necessario uccidere un altro essere umano per ottenere delle
cellule che si possono ricavare anche dalle persone in vita". “Contro ogni
forma di mercato della vita - ha concluso mons. Sgreccia - è necessario fare
appello al valore più prezioso, la dignità della persona". (A.L.)
NEGLI ULTIMI DUE ANNI E’ AUMENTATO
NEI PAESI AMERICANI IL CONSUMO DI DROGHE SINTETICHE.
LO
DOCUMENTA UN RAPPORTO STILATO DALL’ORGANIZZAZIONE DEGLI STATI AMERICANI
PRESENTATO QUESTA SETTIMANA A WASHINGTON
WASHINGTON.
= Negli ultimi due anni i Paesi americani hanno fatto progressi in campo
giuridico nella lotta al narcotraffico, ma allo stesso tempo si è registrato un
aumento del consumo delle droghe sintetiche. È quanto emerge da un rapporto
stilato dall’Organizzazione degli Stati americani (Osa), presentato questa
settimana a Washington dal procuratore generale messicano, Rafael Macedo de la
Concha. “Le strategie di lotta al traffico di stupefacenti sono risultate più
incisive – ha asserito Macedo, presidente della Commissione interamericana per
il controllo e l’abuso di droghe (Cicad) – ma in molti casi presentano ancora
lacune che ne limitano l’efficacia”. “Noi governi della regione – ha aggiunto
il procuratore - affrontiamo ostacoli e difficoltà che ci impediscono di
conoscere con esattezza la richiesta di sostanze illecite da parte della
popolazione e questo mina le politiche di prevenzione e di riduzione del
consumo”. “All’elaborazione del rapporto Osa 2001-2002 - ha precisato Macedo -
hanno collaborato tutti i Paesi americani, eccetto Cuba”. La Cicad – istituita
nel 1998 a Santiago del Cile – ha dovuto assemblare informazioni frammentarie,
relative per lo più ai passi avanti compiuti a livello di singole legislazioni
nazionali e all’istituzione di organi di controllo anti-droga, troppo spesso
carenti di un adeguato finanziamento da parte dello Stato. In base ai dati
raccolti la Commissione ha concluso che “la produzione, il traffico e il
consumo delle droghe sintetiche nel continente sono purtroppo aumentati”.
(A.L.)
IL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE
CRISTIANE IN INDIA CHIEDE UN’INCHIESTA INTERNAZIONALE SUI GRUPPI
FONDAMENTALISTI INDU.
LA NOTIZIA, DIFFUSA DALL’AGENZIA
MISNA, GIUNGE DOPO VARI EPISODI DI MINACCIA ALLA LIBERTA’ RELIGIOSA
E D’ESPRESSIONE DA PARTE DELLE
AUTORITA’ DELLO STATO DEL KERALA
NEW DELHI. = Preoccupazione e disappunto. E’ quanto
espresso dal Consiglio ecumenico delle Chiese cristiane dell’India (Aicc), che
chiede alla comunità internazionale un’inchiesta sui gruppi fondamentalisti
indù, in seguito alla decisione delle autorità di Polizia dello Stato
meridionale del Kerala di sospendere il visto del pastore Joseph Cooper. Ne da
notizia l’agenzia missionaria Misna. Padre Cooper alcuni giorni fa aveva subito
un aggressione dopo aver presenziato ad un incontro religioso della comunità
protestante. I primi sospetti sono ricaduti sui militari dell’Organizzazione
dei volontari nazionalisti, Rashtriya
Swayamsevak Sangh (Rss), già
ritenuti responsabili del ferimento di un altro pastore, Benson Sam
avvenuto il 13 gennaio scorso a Kilmanoor. L’Aicc ha inoltre ricordato che
proprio in questi giorni è stato commemorato l’anniversario della morte del
missionario evangelico australiano Graham Stuart Staines, bruciato vivo nella
sua auto con i figli Thimothy e Phillips, nello Stato dell’Orissa, il 22
gennaio del 1999, per mano di un gruppo di fondamentalisti indù.
L’organizzazione ecumenica sottolinea alla comunità internazionale la necessità
di arrivare ad una condanna di queste formazioni per l’interesse e la stabilità
della pace nel mondo. Parimenti i membri del Consiglio delle Chiese cristiane
del Paese condannano il lassismo delle autorità del Kerala nel perseguire i
fautori degli atti violenti contro i religiosi cristiani. “Un comportamento –
si legge sull’agenzia di stampa - in contraddizione con la costituzione indiana
che garantisce ad ogni uomo libertà di espressione e di religione”. (P.O.)
NON SI ARRESTA IN BOTSWANA IL FLUSSO MIGRATORIO
DI CLANDESTINI PROVENIENTI DALLO ZIMBABWE,
PAESE
TORMENTATO DA UNA GRAVE CRISI ALIMENTARE
E
DALL’INCERTEZZA POLITICA
GABORONE.
= Continui flussi migratori illegali dallo Zimbabwe stanno mettendo in seria
difficoltà il Botswana. Le autorità di quello che è il più ricco tra i Paesi
dell’Africa australe avvisano di essere costretti a rimpatriare 1600
clandestini al mese, provenienti dal più svantaggiato vicino. Lo Zimbabwe,
infatti, è tormentato da una grave crisi alimentare accentuata dal malgoverno e
dall’incertezza politica. Secondo gli esperti del Fondo monetario
internazionale il Paese rischia di vedere nel 2003 crescere il tasso
d’inflazione fino al 522 per cento, ed il Programma alimentare mondiale ha
inserito lo Zimbabwe tra i sei Paesi africani che complessivamente rischiano di
contare quest’anno 14 milioni di morti per malnutrizione. La maggior parte
degli immigrati clandestini che superano la frontiera con il Botswana, cercando
un lavoro da domestica o da agricoltore, provengono dalla regione del
Matabeland, proprio sul confine meridionale. Qui la carestia è più severa che
in altre parti del Paese. Poiché la regione è considerata una ‘roccaforte’
della formazione di opposizione Movimento democratico per il cambiamento (Mdc),
la popolazione denuncia da tempo di non ricevere gli aiuti alimentari del
governo, lamentando anche una discriminazione su base etnica. Il Botswana
ammette di non essere in grado di gestire l’emergenza. I clandestini vengono
radunati nei Centri di accoglienza prima di essere rimpatriati, un operazione
che costa al governo molto denaro. Ogni settimana 125 mila zimbabwani entrano
legalmente nel Paese ma, secondo il locale servizio per l’immigrazione, la
maggioranza resterebbe anche dopo la scadenza del permesso di soggiorno. (A.L.)
GLI
ORGANIZZATORI DI EUROCHOCOLATE,
LA FIERA DOLCIARA IN PROGRAMMA A ROMA LA PRIMA SETTIMANA DI MARZO,
NON INVITERANNO LA NESTLÈ, LA MULTINAZIONALE SVIZZERA
CHE SCORAGGIA L’ALLATTAMENTO AL
SENO IN FAVORE DEL LATTE IN POLVERE
ROMA. = Gli organizzatori di Eurochocolate, la fiera dedicata ai prodotti dolciari a base di
cioccolato, che si svolgerà a Roma la prima settimana di marzo, non inviteranno
la Nestlè. Lo scorso dicembre, padre Alex Zanotelli si era rivolto al sindaco
della capitale, Walter Veltroni, per chiedergli di non dare una ‘vetrina’ ad
un’azienda che, come rivela l'Unicef , è corresponsabile ogni anno della morte
di un milione e mezzo di bambini nei Paesi del Sud del mondo. "In vista
della seconda edizione di Eurochocolate
– ha spiegato oggi il sindaco di Roma - abbiamo sollecitato una riflessione con
gli organizzatori per tenere conto delle varie denunce e prese di posizione, a
partire da quelle delle agenzie dell’Onu e di tante associazioni del mondo
della solidarietà e del volontariato". "L’auspicio è che da Roma
inizi un percorso che porti al superamento dei problemi denunciati", ha
concluso il primo cittadino della capitale ringraziando gli organizzatori Eurochocolate per la sensibilità
dimostrata. L’uscita del colosso alimentare dagli espositori di una
manifestazione visitata da decine di migliaia di persone, segna una vittoria
della società civile. Sono anni che le Ong e le associazioni denunciano gli
effetti nocivi delle spregiudicate politiche di mercato della Nestlè, che
scoraggia l’allattamento al seno in favore del latte in polvere. A questa
battaglia hanno partecipato anche i missionari attraverso la loro testata
“Nigrizia”, che per anni ha sostenuto le campagna boicottaggio della
multinazionale svizzera. (A.L.)
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31 gennaio 2003
- A cura di Giancarlo La Vella -
Gli Stati Uniti sembrano
ammorbidire i toni sulla crisi irachena. Un’eventuale dichiarazione di guerra
contro l'Iraq “sarà l'ultima scelta possibile, non la
prima”. Così si è espresso il presidente americano Bush, nell’incontro
di ieri a Washington col premier italiano Berlusconi. Ma da un altro punto di
vista la linea dura della Casa Bianca contro l’Iraq non è cambiata: Bush ha
infatti aggiunto che la diplomazia ha ormai solo settimane, non mesi per
risolvere la situazione. Da New York, Paolo Mastrolilli:
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“Speriamo che la pressione del mondo libero convinca
Saddam Hussein a lasciare il potere”: lo ha detto ieri il presidente Bush nel
corso dell’incontro alla Casa Bianca con il capo del governo italiano
Berlusconi, confermando quindi che gli Stati Uniti sarebbero favorevoli a
risolvere la crisi tramite l’esilio del leader iracheno. Il vertice di
Washington è avvenuto nel clima di polemiche provocato dalla lettera firmata da
otto leader europei, in cui si sostiene la linea americana. Francia e Germania,
che si oppongono alla guerra, hanno criticato l’iniziativa e ieri il Parlamento
europeo ha approvato una risoluzione per diffidare gli Stati Uniti dal lanciare
contro l’Iraq un intervento armato unilaterale. Berlusconi, però, ha dichiarato
che Hussein deve essere disarmato, perché i terroristi potrebbero usare le sue
armi per fare una strage e, pur auspicando una seconda risoluzione dell’Onu, ha
aggiunto che lavorerà per convincere gli altri Paesi a seguire la leadership
americana. Il segretario di Stato, Powell, intanto, sta preparando le prove del
riarmo iracheno che presenterà mercoledì prossimo all’Onu; tra i documenti
dovrebbero esserci le foto satellitari dei laboratori mobili chimici e
biologici, delle manovre per sgomberare i siti sospetti e i presunti contatti
con Al Qaeda.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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L’Iraq
ha intanto chiesto agli ispettori di tornare a Baghdad, per nuovi colloqui sui
controlli nei siti militari, prima della riunione del Consiglio di sicurezza
dell’Onu, prevista per il 5 febbraio. “Il 99 per cento della cooperazione non
basterà”, hanno avvisato gli esperti delle Nazioni Unite, aggiungendo che un
ritorno nei prossimi giorni sarà possibile solo se verranno assicurati
progressi nelle ispezioni.
E a
preoccupare il direttore dell'Agenzia per l’energia atomica dell’Onu, Mohamed
El Baradei, c’è anche la crisi nordcoreana: il diplomatico egiziano ha chiesto
oggi che le accuse di aver avviato il riarmo nucleare lanciate contro Pyongyang
vengano portate davanti al Consiglio di sicurezza. E negli Stati Uniti cresce
la preoccupazione, dopo l’avvistamento da parte di alcuni satelliti spia di
movimenti sospetti intorno alla centrale di Yongbyon: si teme, infatti, che la
Corea del nord possa completare il suo piano entro la fine di marzo.
Almeno
18 persone sono morte e 5 sono rimaste ferite in Afghanistan nell’esplosione di
una mina, che ha devastato una corriera. Lo scoppio è avvenuto a Rambaha, una
ventina di chilometri a sud della città meridionale di Kandahar, ultima roccaforte
dei talebani. E proprio alla rete di Al Qaeda sarebbe imputabile l’attentato.
La polizia sta anche indagando su un possibile coinvolgimento dell’ex signore
della guerra Gulbuddin Hekmatyar, vicino alla rete terroristica di Osama Bin
Laden.
Dopo le
elezioni che hanno visto la vittoria della destra del Likud, in Israele sono
iniziate oggi le consultazioni per la formazione del prossimo governo. C’è
stato un incontro tra il premier Sharon e il leader del partito laico di centro
Shinui, Yossef Lapid, che ha offerto la propria collaborazione per un esecutivo
che escluda sia gli ultraortodossi di destra che la sinistra estrema. Intanto,
i risultati definitivi delle elezioni hanno premiato ulteriormente il Likud,
che ha conquistato un deputato in più. Il servizio di Graziano Motta:
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Il partito di Sharon passa a 38 seggi, ma, in pratica, si
è rafforzato tutto lo schieramento di destra, che ora conta 69 seggi su 120,
per quanto Sharon punti sempre a formare un governo di unità nazionale con i
laburisti, con la presenza di uno Shimon Peres comunque favorevole. Le
consultazioni del capo dello Stato cominceranno lunedì e, intanto, Sharon ha
chiesto di incontrare Bush per una valutazione del suo piano di riattivazione
del negoziato con i palestinesi che escluda comunque Yasser Arafat, accusato di
sostenere la rivolta. Rivolta che, nelle ultime ore, registra nuove vittime: 7
i palestinesi uccisi, un attivista di Hamas e un civile a Jenin, a Tulkarem due
militanti delle brigate di el-Aqsa, tre guerriglieri nella Striscia di Gaza,
uccisi mentre si apprestavano a sparare missili in territorio israeliano.
Sempre a Gaza, sono state demolite quattro abitazioni di combattenti
palestinesi. Infine, è in corso una grande operazione militare a Hebron con
perquisizioni e arresti.
Per la Radio Vaticana, da Gerusalemme, Graziano Motta.
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E passiamo alla Costa d’Avorio. I militari francesi stanno
presidiando le piste dell’aeroporto di Abidjan, invase all’alba da giovani sostenitori
del presidente Gbagbo, che vogliono impedire l’arrivo ad Abidjan di Seydou
Diarra, incaricato della formazione di un governo di unità nazionale, deciso
dopo l’accordo firmato a Parigi tra governo e i ribelli autori del tentato
golpe del settembre scorso. Negli scontri, un militare è rimasto ferito.
Intanto, nel nord si teme un nuovo attacco dell’esercito. E
stamani il governo di Parigi è tornato a consigliare ai francesi in Costa
d'Avorio, la cui presenza non sia indispensabile, di lasciare il Paese
africano.
La diplomazia internazionale è al lavoro per
tentare di sbloccare la fase di stallo della crisi in Venezuela. Ieri sono
arrivati a Caracas i membri del “Gruppo dei Paesi amici”, che comprende Stati
Uniti, Spagna, Portogallo, Brasile, Messico e Cile. Dopo l’incontro in serata
con il mediatore Cesar Gaviria, che presiede il “Tavolo del dialogo”, oggi i
diplomatici saranno ricevuti dal presidente Chávez. La protesta
dell’opposizione contro il capo dello Stato, intanto, sembra in calo. Ci
riferisce Maurizio Salvi:
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Sul piano materiale, lo sciopero sta perdendo vigore a
vista d’occhio ed è ridotto praticamente solo ai settori della grande
distribuzione e della scuola privata. Ma il presidente Chavez non può godersi
questo successo parziale, perché l’economia nazionale versa in gravi difficoltà
e perché il negoziato sulla soluzione della crisi si gioca ora sulla
possibilità per lui di restare alla guida del Paese. L’ex presidente
statunitense, Jimmy Carter, ha offerto alle parti di scegliere fra un emendamento
elettorale che permetta la riduzione del mandato presidenziale e l’accettazione
di un referendum revocatorio del mandato stesso che la Costituzione consente
dal 19 agosto scorso. L’opposizione ha accettato questa base di trattativa;
infine Chavez, in un discorso al Paese, ha rivolto un appello per la
riconciliazione nazionale e ha confermato l’introduzione del controllo dei
cambi a partire da giovedì prossimo.
Maurizio Salvi per la Radio Vaticana.
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E’ stato diffuso oggi il rapporto Eurispes 2003
sull’Italia. Nel Paese l’economia sommersa sta assumendo, secondo il documento,
proporzioni di rilievo, pari a tre volte quella statunitense e due volte quella
britannica. L'evasione fiscale, connessa al fenomeno, ammonta, nel 2002, a 128
miliardi di euro, che saliranno a 129 nel 2003. Dal rapporto emerge che una
famiglia su 5 ha meno di 10 mila euro e che il 59% degli italiani ha meno
fiducia nelle istituzioni. L'inflazione, inoltre, ha portato a una forte
contrazione dei consumi.
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