RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 10 - Testo della Trasmissione di venerdì 10 gennaio  2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Unito in “preghiera solidale” alla  Chiesa statunitense, che vive un difficile momento. Così Giovanni Paolo II ai convegnisti del Pontificio Collegio nordamericano ricevuti oggi in udienza.

 

Continuare ad annunciare Cristo ai bambini di tutto il mondo, soccorrendoli nelle loro necessità. L’incoraggiamento del Papa ai membri della Pontificia Opera dell’Infanzia missionaria, nel 160.mo di fondazione.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Lunedì prossimo, la consueta udienza del Santo Padre agli ambasciatori accreditati della Santa Sede. Intervista con il decano del Corpo diplomatico, Giovanni Galassi.

 

Dopo 60 anni di tensioni, rinascono i rapporti tra Giappone e Russia. Ne parliamo con Fulvio Scaglione.

 

Rifugiati, un’emergenza sempre attuale. Ai nostri microfoni Laura Boldrini, portavoce dell’Acnur.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Sempre più grave la situazione economica in America Latina: la denuncia di un responsabile claretiano del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.

 

Ballerini indiani non vedenti si esibiscono in favore dei malati di lebbra in occasione della 50.ma Giornata mondiale della lebbra che ricorre il 26 gennaio prossimo.

 

Le chiese cristiane della Svizzera proclamano il 2003 anno della Bibbia.

 

In San Salvador una ventina di persone con il volto coperto continuano ad occupare la cattedrale in segno di protesta contro il governo.

 

Sul tema delle Beatitudini si terrà a Viterbo dal 6 all’8 febbraio un Convegno ecumenico promosso dalla Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo.

 

24 ORE NEL MONDO:

La Corea del Nord annuncia il ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare e la comunità internazionale insorge.

 

Il capo ispettore Blix all’Onu: non ci sono prove sul riarmo dell’Iraq.

 

Il premier israeliano Sharon respinge le accuse di finanziamento illecito.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

10 gennaio 2003

 

 

LA PREGHIERA DI SOLIDARIETA’ PER LA DIFFICILE SITUAZIONE

DELLA CHIESA STATUNITENSE ASSICURATA DAL PAPA

NEL SUO SALUTO AI CONVEGNISTI DEL PONTIFICIO COLLEGIO NORDAMERICANO

 

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Vicino alla Chiesa degli Stati Uniti, “in questo periodo di difficoltà e di sofferenza”. Così si è espresso questa mattina Giovanni Paolo II, nel ricevere in udienza 380 partecipanti al Convegno promosso dal Pontificio Collegio nordamericano di Roma. Ai futuri sacerdoti riuniti nella capitale per celebrare il 50.mo della dedicazione del Seminario, situato sul Gianicolo, e dell’inaugurazione della Casa di studi “Santa Maria”, il Papa ha anzitutto auspicato - nel suo breve discorso di saluto - che il doppio anniversario conferisca nuovo slancio all’impegno del Collegio nel “formare sacerdoti permeati da un profondo senso dell’universalità della Chiesa e dallo zelo per la diffusione del Regno di Dio”.

 

Quindi, nell’assicurare alla Chiesa statunitense la propria personale “preghiera solidale”, il Pontefice ha invitato con forza i seminaristi a “impegnarsi nella nobile vocazione di essere discepoli di Gesù Cristo, testimoni della verità del suo Vangelo e pastori interamente dedicati al rinnovo della Chiesa nella fede, nella speranza e nell’amore”.

 

 

EVANGELIZZARE IL MONDO E’ POSSIBILE SIN DALLA PIU’ TENERA ETA’,

COME DIMOSTRANO I MEMBRI DELL’INFANZIA MISSIONARIA.

MESSAGGIO DEL PAPA IN OCCASIONE DEL 160.MO ANNO DI FONDAZIONE DELL’OPERA

 

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Venditori di stelle o raccoglitori di francobolli a scopo benefico. Oppure, durante il periodo natalizio, vestiti da Magi e pastori per annunciare di casa in casa la nascita di Gesù, invitando gli adulti alla solidarietà verso i piccoli del pianeta. Sono alcuni dei volti dell’intraprendenza dei giovanissimi apostoli appartenenti alla Pontificia Opera dell’Infanzia missionaria, giunta al 160.mo anno di attività. Giovanni Paolo II ha indirizzato a questo benemerito organismo pontificio un lungo messaggio di apprezzamento per il lavoro, la preghiera, il sacrificio, i gesti di “concreta solidarietà” che costituiscono il bagaglio dell’Opera della Santa Infanzia, come la definì Benedetto XV.

 

Nata a metà dell’Ottocento con i ragazzini di Parigi invitati dall’allora vescovo di Nancy, mons. Charles de Forbin-Janson, a recitare un’Ave Maria e ad offrire un soldo al mese per sostenere i loro coetanei cattolici in Cina, oggi l’Infanzia missionaria è una realtà che scrive storie straordinarie in 110 nazioni del mondo. “I primi bambini cinesi, salvati dai ‘bambini missionari’, sono diventati insegnanti, catechisti, medici e sacerdoti”, ricorda il Pontefice. Ma a quella prima pagina di “eroismo missionario”, nato dalla generosità di cuori piccoli solo per l’anagrafe, seguono oggi - osserva il Papa - quelle scritte dai ragazzi del terzo millennio: che condividono “la sorte dei bambini costretti anzitempo al lavoro”, che soccorrono “l’indigenza di quelli poveri”, che sanno essere solidali “con i drammi dei bambini coinvolti nelle guerre dei grandi”, nelle quali spesso cadono come vittime ignare.

 

Nel ricordare la catena d’amore che attualmente lega, all’interno dell’Infanzia missionaria, giovani e giovanissimi da un angolo all’altro della terra, Giovanni Paolo II ha incoraggiato gli appartenenti a restare fedeli alla loro splendida missione. Un’attività in grado di finanziare oggi circa 3 mila tra piccoli e grandi progetti destinati all’infanzia, grazie al Fondo mondiale di solidarietà appositamente creato. Certo, riconosce il Papa, ”i bisogni dei bambini del mondo sono così numerosi e complessi che nessun salvadanaio e nessun gesto di solidarietà, per quanto grande, basterebbe a risolverli”. E’ necessario l’aiuto di Dio, per farvi fronte. Ma sull’esempio di tanti modelli del passato e del presente, da Santa Teresa di Lisieux a Madre Teresa di Calcutta,  i giovani appartenenti all’Opera pontificia - ha esortato il Papa - sappiano valorizzare sempre un impegno che, già da piccoli, aiuta “crescere nella fede” e ad aprire il cuore “alle grandi esigenze dell’umanità”. Recitate il Rosario in quest’anno ad esso dedicato, ha concluso Giovanni Paolo II. La corona missionaria, in cinque colori, ricorderà i bisogni spirituali e concreti di ciascun continente.

 

 

UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattinata, in successive udienze, il Santo Padre ha ricevuto il cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e del Pontificio Consiglio "Cor Unum", il cardinale Mario Francesco Pompedda, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e il cardinale Jan Pietre Scotte, segretario generale del Sinodo dei Vescovi.

 

In Colombia, il Santo Padre ha nominato arcivescovo metropolita di Ibagué mons. Flavio Calle Zapata, finora vescovo di Sonsón-Rionegro. Ordinato sacerdote dal Paolo VI a Bogotá il 22 agosto 1968, il 59.enne neo arcivescovo è stato parroco, nonché direttore spirituale e professore nel Seminario maggiore di Santa Rosa de Osos. Dal febbraio 1993, dopo l’ordinazione episcopale, mons. Calle Zapata è alla guida alla sede di Sonsón-Rionegro.

 

Negli Stati Uniti, il Papa ha nominato vescovo coadiutore di Oakland mons. Allen Henry Vigneron, finora vescovo titolare di Sault Sainte Marie, nel Michigan, ed ausiliare di Detroit. Il presule, 55 anni, è originario di Mount Clemens nell'arcidiocesi di Detroit (Michigan). Ha perfezionato gli studi di Teologia a Roma, presso la Gregoriana, e si è successivamente laureato in Filosofia presso l'Università Cattolica di America. Ha ricoperto, tra l’altro, la carica di officiale presso la Prima Sezione della Segreteria di Stato fino al 1994.

 

In Colombia, il Pontefice ha nominato vescovo di Libano-Honda mons. Rafael Arcadio Bernal Supelano, finora vescovo di Arauca. Religioso redentorista, 69 anni, ha ottenuto il dottorato in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma ed ha svolto il ministero sacerdotale in Colombia come insegnante, prefetto e, poi, in veste di rettore del Seminario maggiore dei Redentoristi. E’ stato anche docente di filosofia in alcune Università e parroco a Bogotá.

 

 

LA CRISI DELLA COSTA D’AVORIO SIA RISOLTA ATTRAVERSO IL DIALOGO,

EVITANDO L’USO DISTORTO DELLA RELIGIONE PER FINI POLITICI.

L’AUSPICIO DI MONS. MARTINO IN UN MESSAGGIO AI VESCOVI DELLO STATO AFRICANO

 

- A cura di Paolo Scappucci -

 

Il ruolo positivo delle religioni nella costruzione della pace e la condanna di “un uso disonesto e pericoloso della religione a fini politici” sono evidenziati in un messaggio di incoraggiamento che il nuovo presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, l’arcivescovo Renato Martino, ha inviato alla Conferenza episcopale della Costa d’Avorio, un Paese sconvolto da mesi di conflitto interno con migliaia di vittime.

 

Facendo propri la denuncia e l’appello pressante dei capi religiosi del Paese africano all’inizio dell’anno, che invitavano alla conversione dei cuori e alla riconciliazione nazionale, mons. Martino - sulla scorta del Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace 2003 - auspica che “i vari attori della crisi accettino di interrogarsi sulle proprie responsabilità nella cessazione del conflitto e si adoperino per la promozione della vera pace, fondata sulla giustizia e sul perdono.”

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

"Il Papa ai bambini dei cinque Continenti: recitate il Rosario missionario per la pace e l'evangelizzazione del mondo": è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento al Messaggio per i 160 anni di storia della Pontificia Opera dell'Infanzia Missionaria.

Sempre in prima, un articolo di Riccardo Barile dal titolo "Il Rosario nella storia: dagli inizi al consolidamento della sua attuale struttura". 

 

Nelle pagine vaticane, l'intervento dell'arcivescovo Javier Lozano Barragan in occasione della Giornata di studio sul tema "Dal disagio al benessere", organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute.

Un articolo di Giampaolo Mattei sull'"impressionante ed incalzante attualità" della missione di pace svolta in Medio Oriente da Giorgio La Pira.

Nel cammino della Chiesa in Europa, un articolo sulla presenza dei Francescani conventuali in Russia.

 

Nelle pagine estere, Iraq: un primo rapporto degli esperti Onu afferma che "nessuna violazione è stata riscontrata".

Argentina: nuova missione dell'Fmi a Buenos Aires. Corea del Nord: annunciato il ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare.

 

Nella pagina culturale, un articolo sulla mostra, a Milano, dedicata al tema "Napoleone e la Repubblica Italiana, 1802-1805".

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica e la Fiat. L'emergenza-maltempo in Campania. 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

10 gennaio 2003

 

 

LUNEDI’ IL TRADIZIONALE SCAMBIO DI AUGURI PER IL NUOVO ANNO

TRA IL SANTO PADRE ED IL CORPO DIPLOMATICO

ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE

 

- Intervista con l’ambasciatore Giovanni Galassi -

 

Si svolgerà lunedì mattina, nella Sala Regia in Vaticano, l’udienza di Giovanni Paolo II al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Un incontro, ormai consueto, che propone all’inizio del nuovo anno uno scambio di auguri tra il Pontefice ed i rappresentanti degli Stati o degli organismi internazionali legati da rapporti ufficiali con la Santa Sede.

 

Al di là del valore simbolico, l’incontro di lunedì rappresenta tuttavia un significativo momento di riflessione sulle differenti situazioni in atto sul pianeta, su ciò che dal punto di vista diplomatico resta ancora da fare, sui successi delle cancellerie internazionali.

 

Sul significato di questo tradizionale appuntamento, ascoltiamo Giovanni Galassi, ambasciatore della Repubblica di San Marino presso la Santa Sede e decano del Corpo Diplomatico. L’intervista è di Fabio Colagrande:

 

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R. - Il discorso che il Santo Padre fa all’inizio dell’anno a tutti noi ambasciatori non è un semplice discorso di auguri o di buon anno: è un discorso in cui egli, con estrema lucidità, con estrema chiarezza - come sua abitudine d’altronde - mette a fuoco i principali problemi che assillano il pianeta intero dal punto di vista sia della situazione politica che regna nei singoli Paesi, sia della situazione di vivibilità nei singoli continenti. Riteniamo che, di fronte ad un discorso così profondo, così importante, che augura una soluzione per ogni problema, anche noi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede dovremmo dare il massimo della nostra riflessione per contribuire, in parte, a illustrare al Santo Padre quali siano i problemi che ci troviamo ad affrontare nei Paesi di provenienza. Un contributo che possa offrire al Santo Padre anche un’immagine di ciò che ogni Paese cerca, nel suo piccolo, di realizzare secondo gli insegnamenti ricevuti l’anno precedente.

 

D. - Ambasciatore Galassi, l’incontro di quest’anno tra il Papa e il Corpo diplomatico avviene proprio all’inizio del 25.mo anno di pontificato di Giovanni Paolo II: un incontro che si apre, dunque, sotto una luce particolare ...

 

R. - Il numero di anni che passano in un pontificato può essere importante da un punto di vista statistico. Ciò che io vorrei sottolineare è che sono stati 25 anni di un pontificato a mio avviso eccezionale: per la sostanza che il Santo Padre ha posto nel risolvere i singoli problemi via via presentatisi all’umanità, e per la sua disponibilità ad offrire, con estrema chiarezza e soprattutto con grande impulso, spiragli per la soluzione dei conflitti, dei problemi di ogni tipo, con un ricorso continuo al dialogo.

 

D. - Sicuramente, nel discorso che il Papa tiene di fronte al Corpo diplomatico viene ripresa un po’ la linea che lo stesso Pontefice anticipa nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace. Questo, probabilmente, accadrà anche quest’anno. Intanto possiamo riflettere sul fatto che, nel messaggio per la pace del 2003, Giovanni Paolo II fa riferimento in maniera concreta ad una sola situazione attuale, quella del conflitto in Terra Santa. Lo scorso anno, parlando al Corpo diplomatico, il Papa disse parole molto forti, molto note: “Israeliani e palestinesi, gli uni contro gli altri non vinceranno la guerra, gli uni insieme agli altri possono vincere la pace” ...

 

R. - La situazione in Medio Oriente, in particolar modo in questo momento, indubbiamente è una situazione esplosiva, perché c’è in atto una catena di odio da una parte e di vendette dall’altra che non potrà portare a nessun risultato concreto. D’altra parte, il Santo Padre - oltre a dialogare per la pace in maniera franca e leale, assieme alla necessità che ciascuno compia un passo indietro pur di arrivare ad una pacifica convivenza, l’unica possibile in quella regione - ha anche sottolineato più volte che non c’è la libertà senza la giustizia. E la giustizia, che cosa è? In fondo ha a che fare con i singoli responsabili dei governi dei vari Paesi, i quali devono essere in grado di garantire ai loro cittadini il miglior benessere possibile nella maniera più corretta.

 

D. - Parliamo ora del minacciato conflitto internazionale: l’attacco contro l’Iraq. Esiste un impegno comune degli ambasciatori presso la Santa Sede per evitare questa guerra?

 

R. - L’impegno comune c’è e lo conferma il fatto - e questa è un po’ un’anteprima - che io terminerò il mio indirizzo di auguri al Santo Padre assicurandogli il nostro impegno permanente per costruire pacificamente una società migliore. Anche perché il credo - e questa ritengo sia l’opinione di tutti gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede - che ci voglia molto più coraggio a costruire una pace che non a dichiarare una guerra.

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RUSSIA E GIAPPONE SULLA VIA DI UNO STORICO ACCORDO

DOPO 60 ANNI DI TENSIONI

 

- Intervista con Fulvio Scaglione -

 

C’è molta attesa per i risultati del vertice in corso a Mosca tra il presidente russo Putin ed il premier giapponese Junichiro Koìzumi, che dovrebbe concludersi con la firma di uno storico accordo-quadro, studiato per dare impulso ai rapporti bilaterali fra i due Paesi che, dalla fine della Seconda Guerra mondiale, non hanno firmato un trattato di pace a causa, soprattutto, della disputa delle isole Kurili Meridionali. Sul significato politico di questo accordo, Roberto Piermarini ha raccolto il parere di Fulvio Scaglione, esperto di questi russe:

 

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R. - Nei rapporti tra Russia e Giappone, commercio e politica e le esigenze geo-strategiche si confondono continuamente. In questo momento, ad esempio, la questione delle Isole Kurili, che ha impedito ai due Paesi di siglare un accordo di pace dopo la fine della Seconda guerra mondiale, viene conglobata nella comune esigenza di contenere l’improvviso pericolo rappresentato dalla Corea del Nord, dalle sue sperimentazioni nucleari e dal suo ritiro dal Trattato di non-proliferazione nucleare. E’ più netta la comune esigenza di prepararsi in qualche modo ai nuovi scenari che, ancora, sono politici ma anche economici e sociali, e che potrebbero essere determinati da una spedizione militare contro l’Iraq. Da qui, dunque, un accordo molto complesso e molto pesante.

 

D. - Per quanto riguarda le Kurili, quanto sono  importanti queste isole per gli equilibri tra i due Paesi?

 

R. - Sono state una carta eminentemente politica per tanti anni, nel senso che nessuno dei due Stati voleva fare la concessione decisiva per risolvere il problema. Non si tratta di un problema geo-strategico fondamentale, ma ai due Paesi serviva per avere delle carte sul tavolo delle reciproche contrattazioni. Adesso che le esigenze geo-strategiche sono diverse, il problema delle Isole Kurili sta per essere risolto senza particolarissimi affanni. Molto più importante è certamente l’impegno che Tokyo avrebbe preso di acquistare dalla Russia un milione di barili di petrolio al giorno, nonché l’interesse del Giappone a collaborare al progetto che Mosca ha lanciato per la costruzione di un oleodotto di circa 3.800 chilometri, in grado di portare il greggio siberiano fino al Mare del Giappone. Ciò significherebbe per la Russia l’apertura di uno straordinario mercato per la vendita del petrolio, e per il Giappone una straordinaria occasione di limitare la sua dipendenza energetica dal petrolio che gli arriva dal Golfo. In altre parole, qualunque stravolgimento possa provocare la guerra con l’Iraq, il Giappone si metterebbe al riparo.

 

D. - Come mai il riavvicinamento tra Giappone e Russia matura proprio in questo momento storico, dopo 60 anni di tensioni tra i due Paesi?

 

R. - Da un lato, c’è il dinamismo della politica estera di Putin, che oscilla perennemente tra necessità e volontà. La necessità è quella di non poter contrastare apertamente lo strapotere americano. La volontà è quella di assecondarlo il meno possibile, ritagliandosi costantemente spazi di autonomia. Questo sbocco a est, per la Russia, ha anche questo significato, oltre che a completare una strategia. Non dimentichiamo il rapporto preferenziale che la Russia ha già con la Cina. Quindi, se l’occidente per la Russia è bloccato dalla presenza americana, in attesa di sviluppi dall’Unione Europea, l’est è aperto a prospettive che per molti sono davvero interessanti. Per il Giappone, valgono le ragioni che si dicevano: il Paese ha l’esigenza di sganciarsi da certi meccanismi internazionali e non va dimenticato che esso è un insieme di isole, quindi con tutte le costrizioni che la sua economia patisce a causa della sua conformazione geografica, ovvero necessità di grandi importazioni. Per il Giappone, allora, il petrolio russo potrebbe essere una straordinaria boccata di ossigeno economico.

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RIFUGIATI: UN’EMERGENZA SEMPRE ATTUALE.

UNA PANORAMICA SULL’ANNO APPENA TRASCORSO

DALL’AFGHANISTAN AL CONTINENTE AFRICANO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

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(musica)

 

Prima il rumore assordante della guerra, poi il silenzio angoscioso della fuga. Per milioni di persone, dal cuore dell’Africa agli angoli più sperduti dell’Asia, la patria è un ricordo amaro, lontano. Sradicati dalla propria terra, strappati dalla famiglia, dagli affetti più cari, i rifugiati con il loro bagaglio di dolore e l’incredulità di chi è vittima innocente sono una ferita sempre aperta nella storia dell’umanità. Dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, espressioni come pulizia etnica sembravano essere relegate in un triste vocabolario del passato. Al tramonto del secolo scorso, invece, la follia genocida si è manifestata di nuovo in Europa, proprio in quei Balcani dove il primo conflitto globale aveva avuto origine. Nessun’area del mondo sembra allora immune dalla sofferenza di chi, per la religione professata, le proprie idee politiche o più semplicemente per il colore della pelle, è stato costretto ad abbandonare la propria casa, le proprie radici. Una realtà drammatica anche per le sue dimensioni, come spiega Laura Boldrini, portavoce dell’Acnur, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati:

 

“Quest’anno, di competenza dell’Alto Commissariato ci sono circa 20 milioni di persone. Di questi, circa 12 milioni sono rifugiati, la metà sono sfollati e gli altri sono richiedenti asilo, cioè coloro che fanno domanda per ottenere lo status, ma sono in attesa. Poi ci sono i rimpatriati, cioè quelli che vengono riportati a casa dopo anni di esilio”.

 

Particolarmente impegnativa per l’Acnur, nell’anno appena trascorso, l’emergenza umanitaria in Afghanistan. Una regione dove la pace è ancora fragile e necessita perciò dell’attenzione costante della comunità internazionale:

 

“Al primo posto direi l’Afghanistan. E’ stata una delle emergenze più positive, in quanto circa 2 milioni di persone sono tornate a casa con l’assistenza dell’Alto Commissariato, dopo anni e anni di soggiorno in Paesi della regione, in Paesi confinanti. Questo significa che gli afghani hanno fiducia nel futuro del Paese, credono nel governo Karzai. Certo, non basta questo: bisogna sostenere lo sforzo, bisogna continuare l’assistenza, bisogna mettere in atto - come noi diciamo - le famose quattro “r”: ritorno, reintegrazione, riabilitazione e soprattutto la ricostruzione. Perché, per dare un senso a questo sforzo, bisogna far sì che la gente possa rimanere nei villaggi di origine, possa avere un lavoro e sfamare la propria famiglia. Dovesse cadere il livello di interesse della comunità internazionale, e quindi il sostegno finanziario, si rischia che tutto questo lavoro finisca in fumo”.

 

Non solo Afghanistan, tuttavia, perché il 2002 ha visto la positiva soluzione di vecchie crisi accanto all’emergere di nuovi conflitti, che hanno riproposto in primo piano l’emergenza rifugiati:

 

“C’è l’Angola dove è stato raggiunto un accordo di pace, lo Sri Lanka, la Sierra Leone. Ci sono situazioni in evoluzione che, comunque, debbono essere seguite da vicino affinché possano avviarsi su un sentiero di pace stabile e duraturo. Il bilancio negativo riguarda Paesi che sono tornati in guerra, come la Liberia, o nazioni in cui è scoppiato il nuovo conflitto, come la Costa d’Avorio. Ma ci sono poi problemi perduranti in Burundi, in Sudan, in Somalia e anche in Colombia. Di quest’ultima emergenza non si parla mai, ma la Colombia vive purtroppo da 40 anni una terribile guerra civile e, al suo interno, ci sono oltre 2 milioni e 700 mila sfollati”.

 

Anche in questo 2003, l’Acnur sarà dunque impegnato su più fronti tra mille difficoltà, ma con lo spirito che da sempre anima questo organismo delle Nazioni Unite:

 

“Le difficoltà sono di diversa natura. La prima difficoltà è quella di consentire che le persone possano scampare ai pericoli, possano attraversare la frontiera. Questo è per noi di fondamentale importanza, in quanto le persone debbono poter mettersi in salvo e chiedere asilo. E questo è il motivo per cui esiste l’Alto Commissariato, cioè la protezione dei rifugiati”.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

10 gennaio 2003

 

 

PEGGIORA LA SITUAZIONE ECONOMICA IN AMERICA LATINA. E’ QUANTO DICHIARA

UN RESPONSABILE CLARETTIANO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO GIUSTIZIA E PACE ALL’AGENZIA DI STAMPA RELIGIOSA VIDIMUS DOMINUM

 

ROMA. = Previsioni negative per il 2003 in arrivo dall’America Latina: gli indicatori socio-economici indicano un peggioramento della situazione generale del continente a causa delle politiche neoliberali. Particolarmente drammatica la situazione in Argentina, Uruguay e Venezuela. A fare il punto della situazione è il padre clarettiano Enrique Marroquin, in un’intervista all’agenzia religiosa Vidimus Dominum. Il religioso, incaricato del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace per la sua congregazione, spiega tuttavia che “ci sono segni di speranza”, portati dall’emergere dei movimenti nella società civile, tra i quali anche le religiose e i religiosi. Ma i dati sono davvero preoccupanti: la disoccupazione ha subito un’impennata dal 6 per cento degli anni Novanta al 10 di oggi; la povertà, anch’essa in aumento, interessa il 44 per cento della popolazione; il debito estero ha raggiunto quota 800 miliardi di dollari. Si assiste, infine, ad una progressiva scomparsa  della classe media e ad un sempre più ristretto orizzonte del futuro dei giovani. Secondo gli analisti, ad aggravare le già notevoli difficoltà economiche patite dall’America del Sud, a vantaggio delle imprese multinazionali, contribuirà quest’anno l’approvazione del trattato Alca (Area di libero commercio delle Americhe). E non sono più rosee le prospettive dei prossimi anni. Sul tappeto ci sono infatti due progetti: il piano “Pueblo Panama” di integrazione della regione centroamericana, che costituisce un punto a favore del mercato transnazionale a scapito dell’autonomia dei singoli Stati, e il piano che riguarderà l’Amazzonia con lo sfruttamento delle risorse economiche. Secondo padre Marroquin, poi, “il possibile conflitto bellico con l’Iraq rende instabile il prezzo del petrolio e più forti le pressioni per assicurare i rifornimenti, in Venezuela, Colombia e Messico con il Chiapas: le zone “calde” non a caso coincidono con la presenza di riserve di petrolio”. (P.O.)

 

 

ARRIVA IN ITALIA LA COMPAGNIA SHREE RAMANA MARASHI: BALLERINI INDIANI NON VEDENTI SI ESIBISCONO IN FAVORE DEI MALATI DI LEBBRA,

 IN OCCASIONE DELLA 50.MA GIORNATA MONDIALE DELLA LEBBRA CHE RICORRE IL 26 GENNAIO PROSSIMO

 

NEW DELHI. = Danze evocative di antichi riti di lode, combinazioni veloci e complesse di passi, movimenti rapidi e sincronizzati di tutte le parti del corpo eseguiti da ballerini indiani non vedenti. Si tratta del progetto della compagnia di danza Shree Ramana Marashi di non vedenti che il prossimo 15 gennaio debutterà in Italia, presso il Teatro Arena del Sole di Bologna. Il principio a cui si ispira la scuola, intitolata ad un autore indiano di testi di spiritualità, è “il servizio di Dio è servizio degli uomini”. L’Accademia, nata sul finire degli anni Sessanta come scuola per ragazzi con handicap visivi, offre oggi servizi ad 8.500 persone  attraverso una decina  di progetti nell’ambito della sanità, dell’istruzione e della riabilitazione socio–economica. Le varie esibizioni eseguite in diversi paesi del mondo hanno fatto guadagnare alla Compagnia alcuni prestigiosi premi, come il National Award nel 1989. Le lezioni impartite agli allievi si basano sul metodo sensoriale touch and feel, in cui l’apprendimento si realizza toccando il corpo dell’insegnante per riprodurne esattamente i movimenti. Tra i momenti salienti dello spettacolo che verrà portato dalla prossima settimana, in nove città italiane sono da segnalare il Tarangam, in cui il ballerino esegue i movimenti tenendo sul capo un recipiente pieno d’acqua, il Bhangra danza folk del Punjabi, eseguita solo da ballerini maschi, e il Tillana, caratterizzata da movimenti rapidi degli occhi delle sopracciglia e del collo. Tra i numeri previsti, c’è anche una danza di ispirazione cristiana, chiamata Jesus Christ, che narra appunto la vita di Gesù.  In Italia, la tournée è promossa dall’Associazione Italiana Amici di Raul Follerau, organismo internazionale di cooperazione socio sanitaria, impegnato in India nella lotta alla lebbra e nel reinserimento sociale delle persone con disabilità. I soldi raccolti attraverso questa iniziativa saranno versati in favore dei numerosi malati di lebbra in India. (P.O.)

 

 

LE CHIESE CRISTIANE DELLA SVIZZERA PROCLAMANO IL 2003 ANNO DELLA BIBBIA.

VARIE LE INIZIATIVE ORGANIZZATE PER UNA RISCOPERTA DEI TESTI SACRI, A RISCHIO DI OBLIO

 

BERNA. = Il 2003 sarà l’anno della Bibbia. E’ quanto hanno deciso le Chiese cristiane della Svizzera  in accordo con Germania, Austria e Francia. L’iniziativa sarà presentata venerdì 17 gennaio a Berna da mons. Kurt Koch, vescovo di Basilea e presidente del Comitato di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera. Si tratta di un’idea finalizzata ad avvicinare la gente alla lettura delle Sacre Scritture, proponendo percorsi non tradizionali attraverso i mezzi dell’arte, del turismo, della cultura e del teatro. Tre i progetti proposti dalla chiese elvetiche, il primo, "Sulle tracce della Bibbia", è rivolto a  scuole e gruppi di bambini dagli 8 ai 13 anni. Il secondo, intitolato "Cammini biblici", è imperniato invece sul binomio turismo–arte ed offre ai cittadini una serie di percorsi storici e visite archeologiche sui luoghi significativi della Bibbia. Infine, il terzo ed ultimo progetto invita Comuni, parrocchie e comunità a trascrivere una o più pagine della Bibbia, per ricavarne un manoscritto originale in più lingue, comprese quelle dell’America Latina, Africa ed Europa dell’est. Jean Zumstein, biblista e docente  all’università di Zurigo, spiega: "La Bibbia è a rischio di oblio. In questi ultimi anni, la conoscenza biblica della popolazione è diminuita drasticamente". Ma “l’approccio al testo sacro – avverte l’esperto – deve seguire una linea di condotta aperta, responsabile e innovatrice". Il biblista suggerisce poi alcune regole: avere un approccio di lettura “fedele ed onesto”  e  "non utilizzare la Bibbia a proprio beneficio". Zumstein esorta inoltre a non usare il testo sacro per "nutrire i fanatismi religiosi" e a combattere "l’analfabetismo biblico", mantenendo vivo "nelle nostra società il mondo biblico, i suo grandi racconti e personaggi". (P.O.)

 

 

PROSEGUE, A SAN SALVADOR, L’OCCUPAZIONE DELLA CATTEDRALE

 DA PARTE DI UN GRUPPO DI MANIFESTANTI,

CHE CONTESTANO LA POLITICA  SANITARIA DEL GOVERNO

 

SAN SALVADOR. = Una ventina di persone con il volto coperto continuano ad occupare la Cattedrale di San Salvador in segno di protesta contro il governo, colpevole di aver varato riforme volte alla privatizzazione del sistema sanitario nazionale. Prosegue, parallelamente, lo sciopero del personale medico e paramedico, iniziato quattro mesi fa. Si ritiene che gli occupanti siano sindacalisti o esponenti del nuovo movimento denominato “Blocco popolare giovanile”. Il gruppo è penetrato nella cattedrale, nei giorni scorsi, contando sull’effetto sorpresa, ed ha serrato i due grandi portoni in legno. “Data la crisi del sistema sanitario nazionale, dovuta all’effetto delle decisioni del presidente Francisco Flores, abbiamo preso in consegna pacificamente la cattedrale di San Salvador per protestare contro le prese di posizione dell’esecutivo”, recita il comunicato stampa emesso dal gruppo. Gli addetti ai lavori dell'Instituto Salvadoreño del Seguro Social proseguono lo sciopero iniziato il 19 settembre scorso perché rifiutano il piano di privatizzazione e chiedono al presidente Flores l'approvazione di un decreto che garantisca il mantenimento del sistema sanitario pubblico. L’ausiliare dell’arcidiocesi, mons. Gregorio Rosa Chavez, ha dichiarato che gli occupanti si sono detti disposti a rispettare il luogo sacro e a lasciarlo entro breve. (D.D.)

 

 

SUL TEMA DELLE BEATITUDINI, SI TERRÀ A VITERBO, DAL 6 ALL’8 FEBBRAIO,

UN CONVEGNO ECUMENICO PROMOSSO DALLA COMMISSIONE EPISCOPALE

PER L’ECUMENISMO E IL DIALOGO, DALLA FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE

IN ITALIA E DALLA SACRA ARCIDIOCESI ORTODOSSA D’ITALIA

 

VITERBO. = Sul tema delle beatitudini si terrà a Viterbo, dal 6 all’8 febbraio, un Convegno ecumenico in cui interverranno rappresentanti cristiani, evangelici e ortodossi. I promotori dell’incontro sono la Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e la Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia. Il primo Convegno delle tre Chiese cristiane si svolse nell’aprile del 1999, a Perugia, sulla preghiera del Padre Nostro. "Ci è apparso quasi naturale – scrivono in una lettera alle comunità i rappresentanti delle tre Chiese – proporre di confrontarsi ancora su una pagina della Scrittura che rappresenta quasi una declinazione della preghiera al Padre". La Lettera è firmata da mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, da mons. Gennadios Zervos, metropolita ortodosso d’Italia e Gianni Long, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. "Le Beatitudini – scrivono – indicano la via lungo la quale la dimensione ecumenica è chiamata ad incamminarsi". (A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

10 gennaio 2003

 

 

- A cura di Giada Aquilino -

 

Doccia fredda sulle trattative diplomatiche in corso tra Stati Uniti e Corea del Nord. Il Paese comunista ha infatti annunciato il ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare, firmato nell’85, e la totale libertà dagli obblighi dell'accordo relativo all'Agenzia internazionale dell'energia atomica. Il servizio di Andrea Sarubbi:

 

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È una questione di petrolio a dividere Washington e Pyongyang. Quel petrolio che gli Stati Uniti hanno smesso di fornire da ottobre – da quando, cioè, venne scoperta in Corea del Nord una produzione segreta di uranio arricchito – e che il regime di Kim Jong Il reclama in base all’accordo del ’94. La rinuncia al nucleare valeva, per i nordcoreani, ben 500mila tonnellate all’anno di carburante. E così, ora che il petrolio non arriva più, si ricomincia: prima la riapertura delle centrali ad acqua pesante, oggi il ritiro dal Trattato di non proliferazione. Il messaggio alla Casa Bianca è chiaro: la Corea non pensa alla guerra, ma al greggio, ed un diplomatico a Pechino ha confermato che, se Washington ricomincerà a mandare carburante, Pyongyang potrebbe fare marcia indietro. L’America, impegnata sul fronte iracheno, si dice “non sorpresa” ma non rinuncia alla diplomazia. Tanto che il governatore del New Mexico – Bill Richardson, già ambasciatore degli Usa all’Onu – riprenderà oggi gli incontri iniziati ieri con il suo ex collega nordcoreano al Palazzo di Vetro. Agli Stati Uniti darà una mano anche l’Australia, uno dei Paesi che hanno ultimamente ripreso i rapporti diplomatici con la Corea del Nord: martedì il premier Howard invierà a Pyongyang tre funzionari, per tentare di risolvere la crisi prima che degeneri. Vari appelli sono giunti a Kim Jong Il, tra cui quelli di Russia e Giappone, Cina ed Unione europea. Gli stessi sudcoreani hanno messo in guardia i cugini del Nord circa “i pericoli che un ritiro dal Trattato comporta”. Rischi esplicitati dal ministro francese De Villepin, che ha invocato una mobilitazione internazionale.

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E la crisi nordcoreana è al centro degli incontri, in corso a Mosca, tra il presidente russo Putin e il premier giapponese Koizumi. I colloqui tra i due leader sono destinati ad avviare nuovi rapporti bilaterali. Il servizio di Giuseppe D’Amato:

 

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Il vertice della svolta, quello in corso al Cremlino tra Putin e Koizumi, è stato influenzato dall’aggravarsi della crisi coreana. Sia Mosca, sia Tokyo sono preoccupate per la scelta di Pyongyang di abbandonare il Trattato di non proliferazione nucleare. Koizumi invita i nordcoreani a tornare sui loro passi, mentre i russi rilanciano la mediazione di Mosca, sfruttando i buoni rapporti con Pyongyang. Questa mattina prima di recarsi al Cremlino, il premier giapponese ha posto una corona di fiori davanti al teatro della Dubrovka. Un atto ufficiale molto apprezzato da Putin, che non ha mancato di ringraziare pubblicamente Koizumi per il sostegno nella lotta al terrorismo. “I rapporti con il Giappone sono molto importanti”, ha detto Putin aprendo il vertice. Si deve accelerare la conclusione del trattato di pace, ancora pendente dalla Seconda guerra mondiale. Per anni le diplomazie hanno trattato senza sciogliere il nodo dei "territori del Nord", come li chiamano i giapponesi, occupati dai sovietici negli ultimi mesi del ‘45. Tokyo ha sempre chiesto invano la restituzione. Adesso il Cremlino sembra disposto a concessioni pur di avere dei vantaggi economici. Decisamente contrari i nazional comunisti russi.

 

Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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L'Unione europea "non vuole una guerra" in Iraq, ma spetterà al Consiglio di Sicurezza dell’Onu prendere una decisione in base alle procedure previste. Questa la posizione dei Quindici espressa ad Atene dal premier greco Costas Simitis, presidente di turno dell’Ue. Sul terreno iracheno intanto oggi sono tornati in azione gli ispettori dell’Onu, mentre ieri il capo della missione, Hans Blix, ha riferito al Palazzo di Vetro di New York che la dichiarazione sugli arsenali presentata all’Onu dall’Iraq contiene lacune, ma che finora gli ispettori non hanno trovato alcuna prova del riarmo di Baghdad. Il servizio da New York:

 

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Il diplomatico svedese ha in programma di andare in Iraq il 19 gennaio per chiedere chiarimenti su che fine hanno fatto circa 6 mila bombe chimiche, centinaia di litri di antrace e diverse scorte di gas che il regime di Saddam ha detto di aver distrutto, senza però fornire le prove. Poi Blix tornerà davanti al Consiglio di Sicurezza per presentare il suo primo rapporto complessivo sulle ispezioni, che però - a suo avviso - finora sono andate avanti senza ostacoli e non hanno fatto riscontrare violazioni degli obblighi sul disarmo. La Casa Bianca ha ribadito invece di avere le prove del riarmo di Baghdad e l’ambasciatore americano all’Onu ha aggiunto che Saddam ha violato la nuova risoluzione 1441 perché non sta collaborando in pieno. L’Iraq continua ad assicurare che non ha più armi e che le verifiche stanno dimostrando la veridicità della sua dichiarazione. A livello internazionale, cresce la pressione per evitare la guerra. Il presidente francese Chirac ha sollecitato una soluzione pacifica, mentre la stampa britannica ha scritto che Londra ha chiesto a Washington di rimandare l’eventuale attacco almeno fino all’autunno, in modo da consentire agli ispettori di completare il loro lavoro.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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“Vergognose calunnie”. Così il premier israeliano Sharon ha etichettato le accuse rivoltegli dai laburisti che gli attribuiscono un finanziamento illecito per 1,5 milioni di dollari utilizzato per restituire altri fondi elettorali illeciti del ‘99. Mentre il partito di Sharon, il Likud, continua a perdere punti nei sondaggi in vista delle elezioni del prossimo 28 gennaio, i palestinesi hanno annunciato la riapertura dell'Orient House, il loro quartier generale a Gerusalemme est, chiuso dalla polizia israeliana nell'agosto 2001.

 

Bisognerà attendere ancora per il varo della Costituzione palestinese. I 120 membri del Consiglio centrale dovevano riunirsi ieri per approvare la legge fondamentale, ma la riunione è stata vietata da Israele per le nuove restrizioni imposte dallo Stato ebraico dopo la strage compiuta domenica da due kamikaze palestinesi, a Tel Aviv. Il dibattito è quindi slittato, così come le elezioni politiche, previste per il 20 gennaio. Ma quale importanza ha il varo della Costituzione per l’Autorità nazionale palestinese? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Nemer Hammad, delegato palestinese in Italia:

 

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R. - Tutto il mondo ha chiesto all’Autorità nazionale palestinese di fare le riforme, che comprendono la Carta costituzionale. E’ per noi una cosa molto importante: dobbiamo poi ricordare che Israele stesso è tuttora sprovvisto di una Carta costituzionale. Tutti ci chiedono però una Costituzione, affinché siano chiaramente affermate le responsabilità, definiti l’esecutivo e la magistratura. Questo documento è stato preparato, è pronto. Ma gli israeliani hanno proibito la riunione del Consiglio centrale.

 

D. - A questo punto, quali sono i tempi del varo della Costituzione e delle elezioni legislative, che anch’esse sono state annullate?

 

R. -  E’ presto detto: il nostro è l’unico caso al mondo in cui c’è uno scontro, ma nessun tentativo internazionale di inviare forze di interposizione. La via più breve sarebbe quella di un invio, da parte della comunità internazionale, di un osservatore delle Nazioni Unite. Ciò faciliterebbe la nascita di tutti gli organi legislativi palestinesi.

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In Gibuti hanno preso il via oggi, nella piena normalità, le prime elezioni politiche multipartitiche dall’indipendenza dalla Francia, avvenuta nel ‘77. Oltre 181mila gli aventi diritto al voto. A contendersi le preferenze, due blocchi distinti: l'Unione per la maggioranza presidenziale, la coalizione che sostiene il governo del presidente Ismaël Omar Guelleh, e l'Unione per l’alternativa democratica, che riunisce l’opposizione guidata dall’ex premier Ahmed Dini.

 

Ancora tensioni nelle Comore. Le autorità dell’isola autonoma di Anjouan hanno tolto provvisoriamente la bandiera nazionale dal loro aeroporto per “protestare contro i metodi dittatoriali” del presidente dell’Unione, il colonnello Azali Assoumani. Ieri l’alto ufficiale aveva predisposto nuove regole per le forze di sicurezza interne. L'arcipelago è percorso dal ’97 da una crisi provocata dalla secessione di Anjouan e aggravata nel ’99 da un colpo di Stato militare.

 

 

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