RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 5 - Testo della
Trasmissione di domenica 5 gennaio
2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Escalation di violenza in
Algeria: gruppi armati islamici provocano la
morte di oltre 50 persone
E’ stato liberato
padre Laudani, il comboniano rapito in Congo nei giorni scorsi
Lituania alle urne oggi per
eleggere il nuovo capo di stato: favorito il presidente uscente Adamkus
5
gennaio 2003
DI
FRONTE A UNA CULTURA IMBEVUTA DI EGOISMO
E UNA
SOCIETA’ CHIUSA ALL’AMORE DI DIO, BISOGNA TESTIMONIARE
CON GIOIA IL MESSAGGIO DI SALVEZZA DEL
VANGELO: COSI’ GIOVANNI PAOLO II
ALL’ANGELUS
DOMENICALE IN PIAZZA SAN PIETRO
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Il “mistero sublime dell’incarnazione del Verbo eterno” ci
rivela che Dio è venuto ad “abitare in mezzo a noi”. Giovanni Paolo II lo ha
ricordato alle migliaia di fedeli radunatesi stamani in una soleggiata piazza
San Pietro per il primo Angelus domenicale del nuovo anno. In Gesù, ha detto il
Papa, Dio “totalmente si rivela” e “partecipa la sua vita ad ogni essere umano
che lo riconosce come Salvatore”. Un messaggio di salvezza, ha avvertito, che
va testimoniato con urgenza di fronte ad una società, spesso chiusa all’amore
di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre lui lo ha rivelato”. Nella domenica che precede la
solennità dell’Epifania del Signore, Giovanni Paolo II si è soffermato sul
prologo del Vangelo di san Giovanni. Le parole dell’evangelista, ha detto,
“risuonano nel cuore della Chiesa” da più di due millenni, eppure conservano
“tutta la loro novità e attualità”. Il Bambino nato a Betlemme, ha spiegato, è
allora “veramente il coetaneo di ogni persona che viene sulla faccia della
terra”.
“E', pertanto,
anche nostro ‘contemporaneo’. I doni del Signore non tramontano mai. Ecco il
lieto annuncio del Natale: la luce divina, che inondò il cuore di Maria e di
Giuseppe, e guidò i passi dei pastori e dei Magi, brilla anche oggi per noi”.
E qui, il Papa
ha levato alta la voce per richiamare il “dramma” di “Cristo luce del mondo”
che da molti “non è conosciuto, da altri non è accolto, anzi è rifiutato”. Non
ha così mancato di indicare i mali che affliggono il nostro tempo:
“Nella nostra
società è purtroppo diffusa una cultura imbevuta di egoismo e chiusa alla
conoscenza e all'amore di Dio. E' una cultura che, rifiutando di fatto un saldo
riferimento alla trascendenza divina, genera smarrimento e insoddisfazione,
indifferenza e solitudine, odio e violenza”.
E’ allora
quanto mai urgente, ha proseguito, “testimoniare con gioia l’unico messaggio di
salvezza, antico e sempre nuovo, del Vangelo”. Un messaggio di vita, luce,
speranza ed amore. In tale contesto, ha aggiunto il Papa, possiamo contare
sull’aiuto di Maria. A lei, “Stella dell’evangelizzazione” dobbiamo dunque
rivolgerci fiduciosi perché ci sostenga a rimanere sempre “fedeli alla
vocazione cristiana”, realizzando “le aspirazioni di giustizia e di pace che
ardentemente avvertiamo all’inizio di questo nuovo anno”.
Al termine della recita
dell’Angelus, il Papa ha rivolto un saluto particolare ai partecipanti a due
cortei storici provenienti da Montecassino e Giulianello di Cori. Corredati di
tamburi, stendardi e Re Magi a cavallo i due gruppi folcloristici hanno
contribuito a dar vita ad un’atmosfera di festa che stamani pervadeva le tante
famiglie raccolte in piazza San Pietro.
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UN
APPUNTAMENTO TRADIZIONALE, MA SEMPRE NUOVO PER EMOZIONI:
OGGI
POMERIGGIO, NELLA SALA CLEMENTINA IN VATICANO,
L’INCONTRO
DI INIZIO ANNO DEL PAPA CON I NETTURBINI
DELL’AZIENDA
MUNICIPALE AMBIENTE DI ROMA
-
Intervista con Carlo Pierotti -
Si rinnova anche quest’anno, ma con modalità differenti,
il tradizionale incontro tra Giovanni Paolo II e gli addetti dell’Azienda
Municipale Ambiente dell’Urbe. Questo pomeriggio, infatti, il Papa non si
recherà, come d’abitudine, presso la sede AMA di Via dei Cavalleggeri, per rimirare
il Presepe dei Netturbini, ma riceverà il personale dell’Azienda Municipale
Ambiente in Vaticano, nella Sala Clementina. Ma quanti sono i netturbini a Roma
e quale è il lavoro che svolgono? Barbara Castelli lo ha chiesto a Carlo
Pierotti, direttore per la comunicazione dell’AMA.
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R. – A Roma i dipendenti dell’Ama sono 6.400. Il loro
lavoro è la pulizia della città e altri servizi di tutela ambientale a 360
gradi. Non solo, ultimamente l’azienda ha ereditato anche, da circa quattro
anni, la gestione dei servizi funebri e cimiteriali.
D. – Quali sono le difficoltà di gestione per una città
come Roma?
R. – Le difficoltà del nostro servizio sono un po’ comuni
a quelle dei grandi centri, delle grandi aree metropolitane, indubbiamente il
traffico. Noi abbiamo una realtà estremamente eterogenea, quella del Comune di
Roma composta dai suoi 19 Municipi. Abbiamo il centro storico più grande del
mondo, abbiamo una realtà periferica in continua evoluzione e delle vaste zone
densamente popolate.
D. – Come suddividete le vostre ore di lavoro?
R. – La nostra attività è concentrata in tre turni di
lavoro e nel centro storico è supportato da un quarto turno che integra la
presenza di numerose attività commerciali e di altro genere. Noi lavoriamo
mattina, pomeriggio, sera e notte. Praticamente una non-stop 24 ore su 24.
D. – Come è cambiata la figura dei netturbini nel tempo?
R. – Possiamo fotografare un’evoluzione del nostro
servizio dal vecchio, come si dice in gergo romanesco, monnezzaro,
dall’operatore che andava addirittura ai piani a ritirare i rifiuti prodotti
dalle singole famiglie, alla raccolta su strada, intorno agli ’80, col
posizionamento dei cosiddetti cassonetti. Successivamente si è passati alla
meccanizzazione completa del servizio tranne rare aree della città, come il
centro storico, dove per vincoli di sovrintendenza e motivi di arredo urbano, è
vietato collocare i cassonetti per la ristrettezza delle sedi stradali, che non
consentono ai nostri automezzi di potersi muovere ed eseguire le operazioni
indispensabili di svuotamento.
D. – Gli addetti dell’Ama rinnovano anche quest’anno il
tradizionale incontro con Giovanni Paolo II. Quali sono le loro emozioni, come
attendono questo appuntamento?
R. – C’è un’atmosfera molto calda. Un’attesa quasi
spasmodica. Noi ringrazieremmo di nuovo Sua Santità di questa opportunità, di
questo grande incontro. In particolare, quest’anno assume un significato
leggermente diverso perché, mentre gli anni passati eravamo noi, in particolare
il nostro ideatore del presepe, Giuseppe Ianni, a far vedere a Sua Santità
Giovanni Paolo II questa nostra opera nella sede di Via di Porta Cavalleggeri,
quest’anno si è invertita la tradizione, e sarà il Papa a farci vedere il suo
presepe. Quindi c’è un’attesa per molti dei nostri operatori anche perché sarà
la prima volta che entreranno in Vaticano, metteranno piede in una delle sale
più prestigiose del Vaticano ed avranno un contatto molto ravvicinato con Sua
Santità.
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NELLA FESTA DELL’EPIFANIA, GIOVANNI PAOLO
II CONFERIRA’
L’ORDINAZIONE
EPISCOPALE A 12 VESCOVI DI TRE CONTINENTI
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Nella festività dell’Epifania
del Signore, il Papa presiederà - domani mattina alle 9.00 nella Basilica
vaticana - la solenne celebrazione eucaristica durante la quale conferirà
l’ordinazione episcopale a 12 nuovi vescovi provenienti da 8 Paesi di tre
diversi continenti. Nella cerimonia di consacrazione, concelebreranno assieme
al Santo Padre gli arcivescovi Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di
Stato e Antonio Maria Vegliò, segretario della Congregazione per le Chiese
Orientali, oltre ai vescovi neo-eletti.
Il Rito dell'ordinazione
episcopale, celebrato nella solennità della manifestazione del Verbo incarnato,
evidenzia anche l'Epifania della Chiesa, chiamata ad essere, come Cristo, “luce delle genti” e punto
di incontro per tutti i popoli della terra ai quali Cristo ha inviato i suoi
Apostoli che continuano, nei Vescovi loro successori, la sua missione di
salvezza.
Il rito sarà trasmesso dalla nostra emittente a partire
dalle ore 8,50 sulle consuete frequenze per la zona di Roma, l’Europa
occidentale, l’Africa e l’America Latina, con i commenti in italiano, tedesco,
francese, spagnolo, e in portoghese per il Brasile solo via satellite.
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5
gennaio 2003
LA
STRAORDINARIA ARTE PRESEPIALE PARTENOPEA
IN
MOSTRA AL MUSEO SAN MARTINO DI NAPOLI
- Con
noi, Rossana Muzzi e Antonio Affaitati -
Un
viaggio spettacolare nell’arte del presepe partenopeo dal Quattrocento al
Settecento. E’ quanto propone il Museo di San Martino a Napoli, una delle più
celebri raccolte pubbliche di presepi storici, allestita negli ambienti dove un
tempo sorgevano le cucine dell’omonima Certosa. Il servizio è di Maria Di
Maggio.
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(musica)
Il legame tra Napoli ed il presepe affonda le sue radici
in epoche assai lontane. Antichissimi documenti parrocchiali, infatti, parlano
di una natività allestita nel 1025 a Napoli nella Chiesa di Santa Maria del
Presepe. A dimostrazione di come nel tempo il presepe
sia sempre stato profondamente radicato nell’anima e nell’immaginario
partenopeo, il Museo di San Martino propone un interessante excursus
nella storia dell’arte presepiale napoletana, dal presepe liturgico del ‘400 al
presepe sontuoso e spettacolare di epoca borbonica. Ma
quali sono i tratti caratteristici dell’arte presepiale partenopea? Lo abbiamo
chiesto a Rossana Muzzi, direttrice del Museo di San Martino:
R. – Questo non si può spiegare con poche parole: da un
lato, la commozione della religiosità napoletana, per cui piuttosto che un
albero di Natale la nostra tradizione si fonda sulla ricostruzione della
Vergine e di San Giuseppe adoranti il Bambino, con i gruppi dei pastori e della
taverna; il profano è rappresentato dalla esuberanza della folla che partecipa
a questo evento; il corteo dei Re Magi può invece significare l’esotismo che ha
sempre caratterizzato anche la Napoli capitale.
D. – Tra i presepi esposti nella Certosa di San Martino,
qual è a suo avviso l’opera più rappresentativa?
R. – Tra le opere esposte, il presepe Cuciniello, del
cavaliere Michele Cuciniello, che era un patriota, collezionista e scenografo,
ed è stato allestito nel 1879 nel museo di San Martino; è la prima opera che
acquista dignità museale. Si compone di 700 figure, con alcuni momenti ben
evidenziati, la Natività all’interno di un tempio pagano a significare la
riscoperta delle rovine classiche qui, nella città, e una vittoria del
cristianesimo sul paganesimo. Stoffe preziose, allestimenti di una taverna
piena di cose da mangiare e un corteo dei Magi addobbato con la raffinatezza
della seta.
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Gli
antichi e preziosissimi presepi esposti al museo di San Martino testimoniano
che la forgiatura di statuine e architetture presepiali è una vera e propria
forma d’arte. Ma qual è la differenza tra presepi artistici e quelli
artigianali? Risponde, al microfono di Dorotea Gambardella, Antonio Affaitati,
titolare di due negozi di antiquariato a Napoli.
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R. –
L’artigianato, sia pure valido, non ha molto a che vedere con la figura
presepiale artistica. La differenza sostanziale è determinata dai materiali
impiegati. Se parliamo di artigianato, parliamo di figure presepiali
prevalentemente fatte in terracotta; se parliamo di pastore artistico, troviamo
la figura presepiale così come si faceva nel ‘700, vale a dire con mani e piedi
rigorosamente in legno, le teste in terracotta, gli occhi di vetro dipinti a
sottovetro. I corpi sono sempre di stoppa e con il filo di ferro e tutti i
vestiti curati nelle varie scelte: in seta, cotone a seconda dei personaggi che
stanno a rappresentare, rigorosamente cuciti a mano. Quando si raggiunge tale
grado di perfezione allora si può dire di trovarsi di fronte ad un oggetto
artistico. Il pastore, così come ogni forma di arte, quando è costruita e fatta
bene, è destinata ad aumentare di valore nel tempo.
D. – Ma che valore ha il presepe?
R. – Per il
napoletano verace, è un valore sentito. Non esiste forse un napoletano che
unitamente all’albero di Natale non costruisca e non abbia in casa un presepe.
Lo ‘straniero’, quando compra un presepe di un certo pregio, lo fa unicamente
per portare via da Napoli un ricordo ed avere in casa un pezzo di napoletanità.
(musica)
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DAL PROCESSO DI PACE A CIPRO
ALLA COOPERAZIONE SIRIANA
NELLA
LOTTA AL TERRORISMO INTERNAZIONALE:
DUE
SEGNI DI SPERANZA IN QUESTO INIZIO DI 2003
-
Servizio di Roberto Piermarini -
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Tra le varie notizie, giunte nelle redazioni esteri
all’inizio di questo nuovo anno, ce ne sono due che non hanno avuto una grande
risonanza sulla stampa internazionale ma che contengono dei segni di speranza
per la pace in alcune travagliate regioni del mondo. La prima riguarda la
questione di Cipro e giunge dalla Turchia dove il leader del partito al potere,
Erdogan, ha criticato il dirigente turco-cipriota Denktash per la sua
intransigenza ed ha messo in guardia contro la mancanza di un accordo entro la
fine di febbraio sulla riunificazione dell’isola, la cui parte greca, entrerà
in ogni caso l’anno prossimo nell’Unione Europea. Erdogan si è anche detto
insoddisfatto della politica di Istanbul nei confronti di Cipro negli ultimi 30
anni, preannunciando implicitamente cambiamenti di rotta. Che valore dare alle
sue dichiarazioni? Ci risponde da Atene il corrispondente del Corriere della sera,
Antonio Ferrari:
“Questo ha davvero il sapore di una svolta importante. E’
chiaro che non è un gesto di bontà da parte della Turchia. La Turchia vuole
entrare nell’Unione Europea, vuole mantenere un rapporto con gli Stati Uniti.
C’è l’ipotesi di una possibile guerra contro l’Iraq e la Turchia non sarà uno
spettatore fermo, ma sarà in qualche modo coinvolta per le ragioni dei curdi
nel nord dell’Iraq. Questo passo suona veramente come un campanello di allarme.
Qualcuno parla addirittura di “campane a morto”, in senso politico ovviamente,
nei confronti di questo leader, Denktash, che pare abbia perso proprio il
sostegno della sua gente. Un giornale greco ha pubblicato un sondaggio secondo
il quale il 60,1 per cento della popolazione turco-cipriota vuole unirsi ai
greco-ciprioti, quindi accetta di discutere il piano delle Nazioni Unite, e
vuole entrare in Europa con loro. Quando la maggioranza di un popolo è pronta
anche a fare dei sacrifici pur di riottenere la propria dignità di parte di una
nazione, dell’intera nazione cipriota, significa che qualcosa di importante è
accaduto. E queste manifestazioni nella parte turco-cipriota non si sarebbero
sviluppate senza la compiacenza della Turchia. Ecco perché si può parlare
davvero di svolta”.
Dagli Stati Uniti giunge un’altra notizia positiva nella
lotta al terrorismo. Washington si è infatti complimentata con la Siria per
aver fornito informazioni importanti sui terroristi di Al Qaida e sulle
componenti più dure dell’estremismo islamico nell’area. Un elemento importante
per l’assetto strategico della regione come ci spiega ancora Antonio Ferrari:
“Questo
riconoscimento da parte americana è doppiamente importante, perché viene nel
momento in cui la Siria viene accusata da Israele di favorire l’Hezbollah, ora
partito, ma anche gruppo rivoluzionario che si trova appunto in Libano - di
matrice filo-iraniana - nelle sue sortite contro Israele. In verità, gli
attacchi contro Israele sono diminuiti da parte della componente Hezbollah,
però questo non ha impedito, anche alcuni membri del Congresso americano
sollecitati da Israele, di accusare Hezbollah di essere persino più pericoloso
di Al Qaeda. Il fatto che gli Stati Uniti riconoscano alla Siria questo ruolo
pragmatico di collaboratore prezioso nella lotta al terrorismo internazionale
spiega anche perché la Siria abbia votato all’Onu, come membro non permanente
del Consiglio di Sicurezza, a favore della missione degli ispettori in Iraq. Un
voto a favore della risoluzione presentata dagli stessi americani. La Siria ha raggiunto
oggi una posizione, uno status internazionale, di collaboratore importante. E
questo non può non avere delle conseguenze in quello che sarà tutto il grande
riassetto strategico della regione, sia che avvenga o meno la guerra contro
l’Iraq”.
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PRESIDENTI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU
RISPETTIVAMENTE A GENNAIO E FEBBRAIO:
COSA CAMBIA NELLA CRISI IRACHENA
- Con noi, Alberto Negri -
Con l’inizio del nuovo anno, è cambiata la composizione
del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, formato da 15 Paesi. Accanto ai 5 membri
permanenti - Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna - ed ai 5 non
permanenti giunti a metà del loro mandato - Bulgaria, Camerun, Guinea, Messico
e Siria - sono entrati altri 5 membri non permanenti, per un periodo di due
anni: Angola, Cile, Germania, Pakistan e Spagna. Questo mese, la presidenza
tocca alla Francia. Il prossimo, alla Germania. Un cambiamento ai vertici che
potrebbe avere riflessi sull’attuale crisi internazionale legata alle continue
tensioni tra Iraq e Stati Uniti: Parigi e Berlino rimangono infatti ostili ad
una nuova guerra nel Golfo. Cosa cambia allora per Washington, riguardo alla
questione irachena? Risponde Alberto Negri, inviato speciale del ‘Sole 24 Ore’,
intervistato da Giada Aquilino:
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R. – In questo momento, la situazione istituzionale del
Consiglio di Sicurezza sembra mettere un freno alla corsa verso la guerra. Per
diversi motivi: sia perché la Francia è presidente di turno del Consiglio di
Sicurezza, sia perché all’interno dello stesso organismo sappiamo bene che
membri permanenti come la Russia e la Cina sono contrari ad un conflitto, sia
perché la Germania ha già la presidenza del Comitato sanzioni che, peraltro, si
è trovato di fronte da poco a nuove restrizioni sulle importazioni da approvare
verso l’Iraq. A questa situazione si aggiunge poi il cuore della questione,
cioè il rapporto degli ispettori delle Nazioni Unite sul disarmo del regime di
Baghdad. Il 9 gennaio verrà dato un primo conto di quello che è stato il
risultato delle verifiche finora compiute: gli ispettori, tra l’altro, possono
ora utilizzare anche gli elicotteri per controlli dall’alto delle istallazioni
sospette irachene. E poi, verso la fine di gennaio, avremo il rapporto definitivo.
Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, è stato molto chiaro nei giorni
scorsi: ha detto che finora non ci sono evidenze che in qualche modo
giustifichino una violazione da parte dell’Iraq delle risoluzioni dell’Onu e,
quindi, un eventuale conflitto. Oltre alla situazione istituzionale, ce n’è
anche una politica: come abbiamo visto nei giorni scorsi, gli attentati contro
gli americani nello Yemen hanno messo in chiaro che forse non basterà una
guerra cosiddetta ‘normale’ contro l’Iraq per risolvere il problema del
terrorismo.
D. – Tra i membri a rotazione al
Consiglio di Sicurezza c’è anche il Pakistan: che ruolo avrà Islamabad nella
strategia dell’Onu?
R. – Il
Pakistan ha vissuto una situazione molto particolare in questo ultimo anno e
mezzo. Nell’ottobre dell’anno scorso, alla vigilia del conflitto in
Afghanistan, Islamabad prese una decisione importantissima, cioè quella di
concedere agli americani delle basi militari per un’azione contro un regime,
quello dei Taleban, che era stato fortemente sponsorizzato e propriamente
voluto dal Pakistan stesso. A un anno di distanza, il presidente Musharraf ha
in mano la situazione ma dopo le recenti elezioni i partiti fondamentalisti
islamici - molto legati peraltro al vecchio regime dei Taleban - hanno ora un
predominio politico nel nord del Paese, nelle zone cioè che confinano con
l’Afghanistan. C’è comunque da dire che il Pakistan è riuscito a tirare dalla
propria parte gli Stati Uniti in quella che è l’eterna disputa del Kashmir con
gli indiani. Questo fa sì che gli americani, in qualche modo, si siano trovati
sbilanciati a favore del Pakistan.
D. –
Il presidente statunitense Bush ha ripetuto più volte di non considerarsi
legato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu: a questo punto, cosa ci si deve
aspettare?
R. – Credo che
Bush sappia di non poter condurre un’azione militare in assoluto contrasto con
il Consiglio di Sicurezza. Questo metterebbe in difficoltà anche gli alleati
con cui sta ricucendo la trama diplomatica indispensabile per il conflitto. È
evidente, infatti, la difficoltà degli Stati Uniti a intessere quei rapporti
politici e diplomatici che avevano preceduto invece il conflitto del ’91.
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5
gennaio 2003
ESCALATION
DI VIOLENZA IN ALGERIA: NELLE ULTIME ORE, GRUPPI ARMATI ISLAMICI HANNO UCCISO
DUE FAMIGLIE NEL COMUNE DI ZABAN E NEL CORSO DI UN’IMBOSCATA, NELLA REGIONE DEL
BATNA, HANNO PROVOCATO LA MORTE DI OLTRE 40 MILITARI E CIVILI, IMPEGNATI NELLA
LOTTA AL TERRORISMO
- A
cura di Paolo Ondarza -
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ALGERI.
= Due episodi di sangue nelle ultime ventiquattrore hanno avuto come scenario
l’Algeria: il primo e più recente - la notte scorsa - nel comune di Zaban, 50
chilometri a sud di Algeri, ha visto lo sterminio di due famiglie da parte di
un gruppo islamico armato. L’accaduto è stato riferito da fonti della sicurezza che riferiscono di circa 13 morti.
La nuova strage segue di poche ore l'imboscata in cui un altro gruppo armato
riconducibile al terrorismo islamico ha provocato la morte di oltre 40 uomini.
Questo secondo episodio ha avuto luogo a Theniet el Abed, nella regione del
Batna: circa 43 militari e “patrioti”, civili armati impegnati nella lotta al
terrorismo, sono stati uccisi in una
imboscata tesa da un gruppo armato islamico. A riferirlo è il quotidiano Le
Matin, che cita fonti ospedaliere. Le bombe artigianali, fatte esplodere
al passaggio di una pattuglia, nella zona montagnosa del massiccio dell’Aures,
contenevano gas acetilene. La deflagrazione ha provocato anche circa venti
feriti. Preoccupanti i toni del giornale che definisce “senza tregua” la lotta
tra forze governative ed estremisti islamici, in corso ormai dal 1992, quando
cioè le autorità impedirono una tornata di elezioni parlamentari che i radicali
islamici avrebbero potuto vincere. Già ieri, si legge ne Le Matin, nella
provincia di Batna erano stati notati “importanti movimenti di truppe elitrasportate”. Quest’ultimo episodio di
violenza è il più grave, considerando
il numero delle perdite tra le forze armate e le milizie dei ‘patrioti’, da
quando in Algeria è cominciata la lotta di gruppi integralisti. Da allora,
informa il governo, sono state uccise circa 100 mila persone. Proprio nella
provincia di Batna, lo scorso 12 settembre si è verificata l’uccisione, da
parte delle forze di sicurezza, del trentasettenne yemenita Emad Abdelwahid
Alwane, rappresentante della
organizzazione terroristica al Qaeda per la zona del Maghreb-Sahel. L’uomo era stato incaricato di organizzare in
Algeria, dopo la perdita dell'Afghasnistan e della Somalia, una base di prima
grandezza dell’organizzazione terroristica di Osama Bin Laden.
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LIBERATO IN CONGO PADRE FRANCESCO LAUDANI, IL
MISSIONARIO COMBONIANO
RAPITO
NEI GIORNI SCORSI DA UN GRUPPO DI MILIZIANI
MAMBASA.= L’agenzia missionaria Misna ha confermato la
liberazione di padre Francesco Laudani, il missionario comboniano italiano
di 60 anni rapito nei giorni scorsi dai
miliziani nei pressi di Mambasa, nel
nord-est del Congo. A riferirlo, da Kinshasa, è stato il generale Roberto
Martinelli, vice-comandante del contingente militare della missione dell'Onu
nell'ex Zaire (Monuc). Padre Francesco Laudani è originario di Biancavilla in
provincia di Catania. Alcuni giorni fa si era recato a verificare le condizioni
della popolazione civile nelle zone nord-occidentali dell’ex Zaire, dove svolge
il suo mandato con la pastorale dei pigmei. Si tratta di un’area che negli
ultimi mesi è stata teatro di sanguinosi combattimenti tra le diverse fazioni
dei ribelli, che si contendono un’area ricca di miniere d’oro e diamanti. Le
violenze hanno provocato la fuga di decine di migliaia di persone, tanto che il
numero degli sfollati ha raggiunto quota 130 mila nei dintorni della città di Beni.
Il religioso è stato fermato dai miliziani che hanno il controllo di questa
zona. Nelle ultime ore, prima del rilascio, si era rivelato decisivo
l’intervento della missione delle Nazioni Unite in Congo. Il generale Roberto
Martinelli ha ottenuto garanzie direttamente dal capo dei ribelli, Roger
Lumbala, sulla liberazione del religioso (P.O.)
LONDRA
HA GIA’ PRONTI 20 MILA UOMINI DA INVIARE IN IRAQ.
LA
NOTIZIA, DIFFUSA IERI DALLA STAMPA, NON E’ STATA SMENTITA DAL GOVERNO
BRITANNICO. MA BLAIR RIBADISCE CHE LA GUERRA NON E’ INEVITABILE
- A
cura di Paolo Mastrolilli -
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NEW YORK.= I media britannici hanno citato un ministro di
Londra, secondo cui le probabilità di una guerra in Iraq sono scese al 40 per
cento. Ma le notizie che arrivano sul piano militare non sembrano puntare ad
una soluzione pacifica della crisi. Proprio il governo di Tony Blair, infatti,
ha ordinato la mobilitazione di circa 20 mila soldati, che dovrebbero
raggiungere il Golfo Persico per unirsi ai 60 mila americani già presenti e
agli altri che sono in partenza o stanno arrivando. Due giorni fa il presidente
Bush ha detto che gli Stati Uniti sono pronti alla guerra, anche se la
considerano come l’ultima opzione. Ed ha aggiunto che se Saddam non sceglierà
di disarmare volontariamente verrà obbligato a farlo dalla Forza militare di
Washington. Infatti ieri, il Corpo dei Marines ha ordinato a diversi reparti di
prepararsi per la possibile guerra, e la Cbs ha rivelato che il Pentagono sta
preparando nuovi ordini per la mobilitazione di oltre 80 mila soldati, allo
scopo di avere un contingente da circa 85 mila uomini schierato entro febbraio.
L’Iraq ha risposto accusando gli Stati Uniti di fomentare il terrorismo, e il
ministro degli Esteri, Sabri, ha inviato una lettera all’Onu, in cui sostiene
che Washington sta violando le leggi internazionali perché appoggia
l’opposizione anti-Saddam. La data chiave, a questo punto, sembra essere il 27
gennaio, quando il capo degli ispettori, Hans Blix, atteso a giorni a Baghdad,
presenterà il primo rapporto complessivo sui controlli al Consiglio di
sicurezza. Le sue parole potrebbero fare la differenza tra la guerra e la pace.
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LA
LITUANIA E’ CHIAMATA OGGI AD ELEGGERE IL NUOVO CAPO DI STATO.
E’ LA
TERZA VOLTA DA QUANDO LA EX REPUBBLICA SOVIETICA E’ DIVENTATA
INDIPENDENTE. FAVORITO L’ATTUALE PRESIDENTE
VALDAS ADAMKUS
VILNIUS.= Per la terza volta dal 1991, anno in cui il
Paese è diventato indipendente, la Lituania si recherà oggi alle urne per
sceglier il proprio capo di stato. I sondaggi diffusi dai principali quotidiani
danno come favorito il presidente uscente, il centrista Valdas Adamkus. Questi,
76 anni, è rientrato in patria nel 1997 dopo esser emigrato negli Stati Uniti 50 anni fa. Suo diretto concorrente
nell’odierna tornata elettorale è il liberal democratico Rolandas Paksas, 46
anni, già sindaco di Vilnius e primo ministro. L’odierna tornata di voto segue
quella del primo turno del 22 dicembre, quando Adamkus, molto popolare per il
suo contributo all'adesione del Paese ex-sovietico alla Nato e all'Ue, ha
registrato in suo favore il 35 per cento dei voti. Solo il 19 per cento
dell’elettorato ha invece votato Paksas. La Repubblica della Lituania è una
democrazia parlamentare, la cui popolazione è costituita da 3,5 milioni di persone,
delle quali l’85 per cento lituani, il 6,7 per cento polacchi, il 6,3 per cento
russi e il restante 2 per cento, diviso tra bielorussi ed ucraini. L’economia
del Paese è basata fondamentalmente sull’attività rurale. I seggi elettorali si
chiuderanno questa sera alle ore 20.00 e i primi risultati saranno diffusi poche ore dopo (P.O.)
AL VIA
DA DOMANI IN THAILANDIA LA QUARTA SESSIONE DEI NEGOZIATI DI PACE
TRA
TIGRI TAMIL E GOVERNO DELLO SRI LANKA. ESTREMAMENTE DELICATO L’ARGOMENTO
ALL’ORDINE DEL GIORNO: IL DISARMO DEI GUERRIGLIERI TAMIL
BANGKOK.=
Si apre in Thailandia una nuova sessione dei negoziati per la pace in Sri
Lanka. Ordine del giorno di questa ripresa dei lavori: è la questione del
disarmo dei guerriglieri Tamil. Anche per questo quarto appuntamento di dialogo
e confronto, spetta alla Norvegia il compito di fare da intermediario tra il
governo di Colombo e le Tigri Tamil. Importanti i risultati conseguiti negli
ultimi colloqui: in meno di un anno è stato deciso il cessate il fuoco
finalizzato a porre fine ad un conflitto che negli ultimi trent’anni ha
provocato oltre 60 mila morti. I ribelli hanno abbandonato la rivendicazione
d’indipendenza chiesta dalla minoranza tamil nel nord dell’isola ed accettato
una forma di governo federale che garantisca una larga autonomia. Infine la
comunità internazionale ha promesso un primo aiuto di 70 milioni di dollari in
favore della ricostruzione economica del Paese. La questione militare che sarà
discussa nel corso di questa settimana, si preannuncia comunque difficile. Si
teme addirittura che possa compromettere il delicato processo di pace avviato
nello Sri Lanka. Le “giornate di dialogo” si concluderanno il prossimo 9
gennaio e si svolgeranno nella località tailandese di Nakhorn Phaton, 30
chilometri ad ovest di Bangkok. (P.O.)
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