RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 5 - Testo della Trasmissione di domenica 5 gennaio 2003 

 

Sommario   

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Testimoniare con gioia il messaggio salvifico del Vangelo nella nostra società, spesso chiusa all’amore di Dio: e’ il richiamo dì Giovanni Paolo II al primo Angelus domenicale del nuovo anno

 

 Oggi pomeriggio in Vaticano, il tradizionale incontro del Papa con il personale dell’Azienda Municipale Ambiente di Roma: ai nostri microfoni il direttore per la comunicazione dell’Azienda, Carlo Pierotti

 

 In occasione della solennità dell’Epifania del Signore, il Papa ordinerà domani nella Basilica vaticana 12 nuovi vescovi di tre diversi continenti.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La straordinaria arte partenopea del presepe in mostra al museo San Martino di Napoli: interviste con la direttrice del museo, Rossana Muzzi e l’esperto di arte presepiale Antonio Affaitati

 

 Dal processo di pace a Cipro alla cooperazione siriana nella lotta al terrorismo, due notizie positive in questo inizio di 2003: ce ne parla il giornalista Antonio Ferrari

 

 La nuova configurazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la crisi irachena: ai nostri microfoni Alberto Negri.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Escalation di violenza in Algeria: gruppi armati islamici provocano la  morte di oltre 50 persone

 

E’ stato liberato padre Laudani, il comboniano rapito in Congo nei giorni scorsi

 

Londra ha già pronti 20 mila uomini da inviare in Iraq, ma Blair avverte: “la guerra non è inevitabile”

 

Lituania alle urne oggi per eleggere il nuovo capo di stato: favorito il presidente uscente Adamkus

 

Al via domani in Thailandia la quarta e delicata fase dei negoziati tra governo dello Sri Lanka e ribelli Tamil.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

5 gennaio 2003

 

 

 

DI FRONTE A UNA CULTURA IMBEVUTA DI EGOISMO

E UNA SOCIETA’ CHIUSA ALL’AMORE DI DIO, BISOGNA TESTIMONIARE

 CON GIOIA IL MESSAGGIO DI SALVEZZA DEL VANGELO: COSI’ GIOVANNI PAOLO II

ALL’ANGELUS DOMENICALE IN PIAZZA SAN PIETRO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Il “mistero sublime dell’incarnazione del Verbo eterno” ci rivela che Dio è venuto ad “abitare in mezzo a noi”. Giovanni Paolo II lo ha ricordato alle migliaia di fedeli radunatesi stamani in una soleggiata piazza San Pietro per il primo Angelus domenicale del nuovo anno. In Gesù, ha detto il Papa, Dio “totalmente si rivela” e “partecipa la sua vita ad ogni essere umano che lo riconosce come Salvatore”. Un messaggio di salvezza, ha avvertito, che va testimoniato con urgenza di fronte ad una società, spesso chiusa all’amore di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre lui lo ha rivelato”. Nella domenica che precede la solennità dell’Epifania del Signore, Giovanni Paolo II si è soffermato sul prologo del Vangelo di san Giovanni. Le parole dell’evangelista, ha detto, “risuonano nel cuore della Chiesa” da più di due millenni, eppure conservano “tutta la loro novità e attualità”. Il Bambino nato a Betlemme, ha spiegato, è allora “veramente il coetaneo di ogni persona che viene sulla faccia della terra”.

 

“E', pertanto, anche nostro ‘contemporaneo’. I doni del Signore non tramontano mai. Ecco il lieto annuncio del Natale: la luce divina, che inondò il cuore di Maria e di Giuseppe, e guidò i passi dei pastori e dei Magi, brilla anche oggi per noi”.

 

E qui, il Papa ha levato alta la voce per richiamare il “dramma” di “Cristo luce del mondo” che da molti “non è conosciuto, da altri non è accolto, anzi è rifiutato”. Non ha così mancato di indicare i mali che affliggono il nostro tempo:

 

“Nella nostra società è purtroppo diffusa una cultura imbevuta di egoismo e chiusa alla conoscenza e all'amore di Dio. E' una cultura che, rifiutando di fatto un saldo riferimento alla trascendenza divina, genera smarrimento e insoddisfazione, indifferenza e solitudine, odio e violenza”.

 

E’ allora quanto mai urgente, ha proseguito, “testimoniare con gioia l’unico messaggio di salvezza, antico e sempre nuovo, del Vangelo”. Un messaggio di vita, luce, speranza ed amore. In tale contesto, ha aggiunto il Papa, possiamo contare sull’aiuto di Maria. A lei, “Stella dell’evangelizzazione” dobbiamo dunque rivolgerci fiduciosi perché ci sostenga a rimanere sempre “fedeli alla vocazione cristiana”, realizzando “le aspirazioni di giustizia e di pace che ardentemente avvertiamo all’inizio di questo nuovo anno”.

 

Al termine della recita dell’Angelus, il Papa ha rivolto un saluto particolare ai partecipanti a due cortei storici provenienti da Montecassino e Giulianello di Cori. Corredati di tamburi, stendardi e Re Magi a cavallo i due gruppi folcloristici hanno contribuito a dar vita ad un’atmosfera di festa che stamani pervadeva le tante famiglie raccolte in piazza San Pietro.

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UN APPUNTAMENTO TRADIZIONALE, MA SEMPRE NUOVO PER EMOZIONI:

OGGI POMERIGGIO, NELLA SALA CLEMENTINA IN VATICANO,

L’INCONTRO DI INIZIO ANNO DEL PAPA CON I NETTURBINI

DELL’AZIENDA MUNICIPALE AMBIENTE DI ROMA

- Intervista con Carlo Pierotti -

 

Si rinnova anche quest’anno, ma con modalità differenti, il tradizionale incontro tra Giovanni Paolo II e gli addetti dell’Azienda Municipale Ambiente dell’Urbe. Questo pomeriggio, infatti, il Papa non si recherà, come d’abitudine, presso la sede AMA di Via dei Cavalleggeri, per rimirare il Presepe dei Netturbini, ma riceverà il personale dell’Azienda Municipale Ambiente in Vaticano, nella Sala Clementina. Ma quanti sono i netturbini a Roma e quale è il lavoro che svolgono? Barbara Castelli lo ha chiesto a Carlo Pierotti, direttore per la comunicazione dell’AMA.

 

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R. – A Roma i dipendenti dell’Ama sono 6.400. Il loro lavoro è la pulizia della città e altri servizi di tutela ambientale a 360 gradi. Non solo, ultimamente l’azienda ha ereditato anche, da circa quattro anni, la gestione dei servizi funebri e cimiteriali.

 

D. – Quali sono le difficoltà di gestione per una città come Roma?

 

R. – Le difficoltà del nostro servizio sono un po’ comuni a quelle dei grandi centri, delle grandi aree metropolitane, indubbiamente il traffico. Noi abbiamo una realtà estremamente eterogenea, quella del Comune di Roma composta dai suoi 19 Municipi. Abbiamo il centro storico più grande del mondo, abbiamo una realtà periferica in continua evoluzione e delle vaste zone densamente popolate.

 

D. – Come suddividete le vostre ore di lavoro?

 

R. – La nostra attività è concentrata in tre turni di lavoro e nel centro storico è supportato da un quarto turno che integra la presenza di numerose attività commerciali e di altro genere. Noi lavoriamo mattina, pomeriggio, sera e notte. Praticamente una non-stop 24 ore su 24.

 

D. – Come è cambiata la figura dei netturbini nel tempo?

 

R. – Possiamo fotografare un’evoluzione del nostro servizio dal vecchio, come si dice in gergo romanesco, monnezzaro, dall’operatore che andava addirittura ai piani a ritirare i rifiuti prodotti dalle singole famiglie, alla raccolta su strada, intorno agli ’80, col posizionamento dei cosiddetti cassonetti. Successivamente si è passati alla meccanizzazione completa del servizio tranne rare aree della città, come il centro storico, dove per vincoli di sovrintendenza e motivi di arredo urbano, è vietato collocare i cassonetti per la ristrettezza delle sedi stradali, che non consentono ai nostri automezzi di potersi muovere ed eseguire le operazioni indispensabili di svuotamento.

 

D. – Gli addetti dell’Ama rinnovano anche quest’anno il tradizionale incontro con Giovanni Paolo II. Quali sono le loro emozioni, come attendono questo appuntamento?

 

R. – C’è un’atmosfera molto calda. Un’attesa quasi spasmodica. Noi ringrazieremmo di nuovo Sua Santità di questa opportunità, di questo grande incontro. In particolare, quest’anno assume un significato leggermente diverso perché, mentre gli anni passati eravamo noi, in particolare il nostro ideatore del presepe, Giuseppe Ianni, a far vedere a Sua Santità Giovanni Paolo II questa nostra opera nella sede di Via di Porta Cavalleggeri, quest’anno si è invertita la tradizione, e sarà il Papa a farci vedere il suo presepe. Quindi c’è un’attesa per molti dei nostri operatori anche perché sarà la prima volta che entreranno in Vaticano, metteranno piede in una delle sale più prestigiose del Vaticano ed avranno un contatto molto ravvicinato con Sua Santità.

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NELLA FESTA DELL’EPIFANIA, GIOVANNI PAOLO II CONFERIRA’

L’ORDINAZIONE EPISCOPALE A 12 VESCOVI DI TRE CONTINENTI

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Nella festività dell’Epifania del Signore, il Papa presiederà - domani mattina alle 9.00 nella Basilica vaticana - la solenne celebrazione eucaristica durante la quale conferirà l’ordinazione episcopale a 12 nuovi vescovi provenienti da 8 Paesi di tre diversi continenti. Nella cerimonia di consacrazione, concelebreranno assieme al Santo Padre gli arcivescovi Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di Stato e Antonio Maria Vegliò, segretario della Congregazione per le Chiese Orientali, oltre ai vescovi neo-eletti.

  

Il Rito dell'ordinazione episcopale, celebrato nella solennità della manifestazione del Verbo incarnato, evidenzia anche l'Epifania della Chiesa, chiamata ad essere, come Cristo, “luce delle genti” e punto di incontro per tutti i popoli della terra ai quali Cristo ha inviato i suoi Apostoli che continuano, nei Vescovi loro successori, la sua missione di salvezza.

 

Il rito sarà trasmesso dalla nostra emittente a partire dalle ore 8,50 sulle consuete frequenze per la zona di Roma, l’Europa occidentale, l’Africa e l’America Latina, con i commenti in italiano, tedesco, francese, spagnolo, e in portoghese per il Brasile solo via satellite.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

5 gennaio 2003

 

 

 

LA STRAORDINARIA ARTE PRESEPIALE PARTENOPEA

IN MOSTRA AL MUSEO SAN MARTINO DI NAPOLI

 

- Con noi, Rossana Muzzi e Antonio Affaitati -

 

Un viaggio spettacolare nell’arte del presepe partenopeo dal Quattrocento al Settecento. E’ quanto propone il Museo di San Martino a Napoli, una delle più celebri raccolte pubbliche di presepi storici, allestita negli ambienti dove un tempo sorgevano le cucine dell’omonima Certosa. Il servizio è di Maria Di Maggio.

 

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(musica)

 

Il legame tra Napoli ed il presepe affonda le sue radici in epoche assai lontane. Antichissimi documenti parrocchiali, infatti, parlano di una natività allestita nel 1025 a Napoli nella Chiesa di Santa Maria del Presepe. A dimostrazione di come nel tempo il presepe sia sempre stato profondamente radicato nell’anima e nell’immaginario partenopeo, il Museo di San Martino propone un interessante excursus nella storia dell’arte presepiale napoletana, dal presepe liturgico del ‘400 al presepe sontuoso e spettacolare di epoca borbonica. Ma quali sono i tratti caratteristici dell’arte presepiale partenopea? Lo abbiamo chiesto a Rossana Muzzi, direttrice del Museo di San Martino:

 

R. – Questo non si può spiegare con poche parole: da un lato, la commozione della religiosità napoletana, per cui piuttosto che un albero di Natale la nostra tradizione si fonda sulla ricostruzione della Vergine e di San Giuseppe adoranti il Bambino, con i gruppi dei pastori e della taverna; il profano è rappresentato dalla esuberanza della folla che partecipa a questo evento; il corteo dei Re Magi può invece significare l’esotismo che ha sempre caratterizzato anche la Napoli capitale.

 

D. – Tra i presepi esposti nella Certosa di San Martino, qual è a suo avviso l’opera più rappresentativa?

 

R. – Tra le opere esposte, il presepe Cuciniello, del cavaliere Michele Cuciniello, che era un patriota, collezionista e scenografo, ed è stato allestito nel 1879 nel museo di San Martino; è la prima opera che acquista dignità museale. Si compone di 700 figure, con alcuni momenti ben evidenziati, la Natività all’interno di un tempio pagano a significare la riscoperta delle rovine classiche qui, nella città, e una vittoria del cristianesimo sul paganesimo. Stoffe preziose, allestimenti di una taverna piena di cose da mangiare e un corteo dei Magi addobbato con la raffinatezza della seta.

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Gli antichi e preziosissimi presepi esposti al museo di San Martino testimoniano che la forgiatura di statuine e architetture presepiali è una vera e propria forma d’arte. Ma qual è la differenza tra presepi artistici e quelli artigianali? Risponde, al microfono di Dorotea Gambardella, Antonio Affaitati, titolare di due negozi di antiquariato a Napoli.

 

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R. – L’artigianato, sia pure valido, non ha molto a che vedere con la figura presepiale artistica. La differenza sostanziale è determinata dai materiali impiegati. Se parliamo di artigianato, parliamo di figure presepiali prevalentemente fatte in terracotta; se parliamo di pastore artistico, troviamo la figura presepiale così come si faceva nel ‘700, vale a dire con mani e piedi rigorosamente in legno, le teste in terracotta, gli occhi di vetro dipinti a sottovetro. I corpi sono sempre di stoppa e con il filo di ferro e tutti i vestiti curati nelle varie scelte: in seta, cotone a seconda dei personaggi che stanno a rappresentare, rigorosamente cuciti a mano. Quando si raggiunge tale grado di perfezione allora si può dire di trovarsi di fronte ad un oggetto artistico. Il pastore, così come ogni forma di arte, quando è costruita e fatta bene, è destinata ad aumentare di valore nel tempo.

 

D. – Ma che valore ha il presepe?

 

R. – Per il napoletano verace, è un valore sentito. Non esiste forse un napoletano che unitamente all’albero di Natale non costruisca e non abbia in casa un presepe. Lo ‘straniero’, quando compra un presepe di un certo pregio, lo fa unicamente per portare via da Napoli un ricordo ed avere in casa un pezzo di napoletanità.

 

(musica)

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DAL PROCESSO DI PACE A CIPRO ALLA COOPERAZIONE SIRIANA

NELLA LOTTA AL TERRORISMO INTERNAZIONALE:

DUE SEGNI DI SPERANZA IN QUESTO INIZIO DI 2003

 

- Servizio di Roberto Piermarini -

 

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Tra le varie notizie, giunte nelle redazioni esteri all’inizio di questo nuovo anno, ce ne sono due che non hanno avuto una grande risonanza sulla stampa internazionale ma che contengono dei segni di speranza per la pace in alcune travagliate regioni del mondo. La prima riguarda la questione di Cipro e giunge dalla Turchia dove il leader del partito al potere, Erdogan, ha criticato il dirigente turco-cipriota Denktash per la sua intransigenza ed ha messo in guardia contro la mancanza di un accordo entro la fine di febbraio sulla riunificazione dell’isola, la cui parte greca, entrerà in ogni caso l’anno prossimo nell’Unione Europea. Erdogan si è anche detto insoddisfatto della politica di Istanbul nei confronti di Cipro negli ultimi 30 anni, preannunciando implicitamente cambiamenti di rotta. Che valore dare alle sue dichiarazioni? Ci risponde da Atene il corrispondente del Corriere della sera, Antonio Ferrari:

 

“Questo ha davvero il sapore di una svolta importante. E’ chiaro che non è un gesto di bontà da parte della Turchia. La Turchia vuole entrare nell’Unione Europea, vuole mantenere un rapporto con gli Stati Uniti. C’è l’ipotesi di una possibile guerra contro l’Iraq e la Turchia non sarà uno spettatore fermo, ma sarà in qualche modo coinvolta per le ragioni dei curdi nel nord dell’Iraq. Questo passo suona veramente come un campanello di allarme. Qualcuno parla addirittura di “campane a morto”, in senso politico ovviamente, nei confronti di questo leader, Denktash, che pare abbia perso proprio il sostegno della sua gente. Un giornale greco ha pubblicato un sondaggio secondo il quale il 60,1 per cento della popolazione turco-cipriota vuole unirsi ai greco-ciprioti, quindi accetta di discutere il piano delle Nazioni Unite, e vuole entrare in Europa con loro. Quando la maggioranza di un popolo è pronta anche a fare dei sacrifici pur di riottenere la propria dignità di parte di una nazione, dell’intera nazione cipriota, significa che qualcosa di importante è accaduto. E queste manifestazioni nella parte turco-cipriota non si sarebbero sviluppate senza la compiacenza della Turchia. Ecco perché si può parlare davvero di svolta”.

 

Dagli Stati Uniti giunge un’altra notizia positiva nella lotta al terrorismo. Washington si è infatti complimentata con la Siria per aver fornito informazioni importanti sui terroristi di Al Qaida e sulle componenti più dure dell’estremismo islamico nell’area. Un elemento importante per l’assetto strategico della regione come ci spiega ancora Antonio Ferrari:

 

“Questo riconoscimento da parte americana è doppiamente importante, perché viene nel momento in cui la Siria viene accusata da Israele di favorire l’Hezbollah, ora partito, ma anche gruppo rivoluzionario che si trova appunto in Libano - di matrice filo-iraniana - nelle sue sortite contro Israele. In verità, gli attacchi contro Israele sono diminuiti da parte della componente Hezbollah, però questo non ha impedito, anche alcuni membri del Congresso americano sollecitati da Israele, di accusare Hezbollah di essere persino più pericoloso di Al Qaeda. Il fatto che gli Stati Uniti riconoscano alla Siria questo ruolo pragmatico di collaboratore prezioso nella lotta al terrorismo internazionale spiega anche perché la Siria abbia votato all’Onu, come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza, a favore della missione degli ispettori in Iraq. Un voto a favore della risoluzione presentata dagli stessi americani. La Siria ha raggiunto oggi una posizione, uno status internazionale, di collaboratore importante. E questo non può non avere delle conseguenze in quello che sarà tutto il grande riassetto strategico della regione, sia che avvenga o meno la guerra contro l’Iraq”.  

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FRANCIA E GERMANIA,

PRESIDENTI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU

RISPETTIVAMENTE A GENNAIO E FEBBRAIO:

COSA CAMBIA NELLA CRISI IRACHENA

 

- Con noi, Alberto Negri -

 

Con l’inizio del nuovo anno, è cambiata la composizione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, formato da 15 Paesi. Accanto ai 5 membri permanenti - Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna - ed ai 5 non permanenti giunti a metà del loro mandato - Bulgaria, Camerun, Guinea, Messico e Siria - sono entrati altri 5 membri non permanenti, per un periodo di due anni: Angola, Cile, Germania, Pakistan e Spagna. Questo mese, la presidenza tocca alla Francia. Il prossimo, alla Germania. Un cambiamento ai vertici che potrebbe avere riflessi sull’attuale crisi internazionale legata alle continue tensioni tra Iraq e Stati Uniti: Parigi e Berlino rimangono infatti ostili ad una nuova guerra nel Golfo. Cosa cambia allora per Washington, riguardo alla questione irachena? Risponde Alberto Negri, inviato speciale del ‘Sole 24 Ore’, intervistato da Giada Aquilino:

 

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R. – In questo momento, la situazione istituzionale del Consiglio di Sicurezza sembra mettere un freno alla corsa verso la guerra. Per diversi motivi: sia perché la Francia è presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, sia perché all’interno dello stesso organismo sappiamo bene che membri permanenti come la Russia e la Cina sono contrari ad un conflitto, sia perché la Germania ha già la presidenza del Comitato sanzioni che, peraltro, si è trovato di fronte da poco a nuove restrizioni sulle importazioni da approvare verso l’Iraq. A questa situazione si aggiunge poi il cuore della questione, cioè il rapporto degli ispettori delle Nazioni Unite sul disarmo del regime di Baghdad. Il 9 gennaio verrà dato un primo conto di quello che è stato il risultato delle verifiche finora compiute: gli ispettori, tra l’altro, possono ora utilizzare anche gli elicotteri per controlli dall’alto delle istallazioni sospette irachene. E poi, verso la fine di gennaio, avremo il rapporto definitivo. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, è stato molto chiaro nei giorni scorsi: ha detto che finora non ci sono evidenze che in qualche modo giustifichino una violazione da parte dell’Iraq delle risoluzioni dell’Onu e, quindi, un eventuale conflitto. Oltre alla situazione istituzionale, ce n’è anche una politica: come abbiamo visto nei giorni scorsi, gli attentati contro gli americani nello Yemen hanno messo in chiaro che forse non basterà una guerra cosiddetta ‘normale’ contro l’Iraq per risolvere il problema del terrorismo.

 

D. – Tra i membri a rotazione al Consiglio di Sicurezza c’è anche il Pakistan: che ruolo avrà Islamabad nella strategia dell’Onu?

 

R. – Il Pakistan ha vissuto una situazione molto particolare in questo ultimo anno e mezzo. Nell’ottobre dell’anno scorso, alla vigilia del conflitto in Afghanistan, Islamabad prese una decisione importantissima, cioè quella di concedere agli americani delle basi militari per un’azione contro un regime, quello dei Taleban, che era stato fortemente sponsorizzato e propriamente voluto dal Pakistan stesso. A un anno di distanza, il presidente Musharraf ha in mano la situazione ma dopo le recenti elezioni i partiti fondamentalisti islamici - molto legati peraltro al vecchio regime dei Taleban - hanno ora un predominio politico nel nord del Paese, nelle zone cioè che confinano con l’Afghanistan. C’è comunque da dire che il Pakistan è riuscito a tirare dalla propria parte gli Stati Uniti in quella che è l’eterna disputa del Kashmir con gli indiani. Questo fa sì che gli americani, in qualche modo, si siano trovati sbilanciati a favore del Pakistan.

 

D. – Il presidente statunitense Bush ha ripetuto più volte di non considerarsi legato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu: a questo punto, cosa ci si deve aspettare?

 

R. – Credo che Bush sappia di non poter condurre un’azione militare in assoluto contrasto con il Consiglio di Sicurezza. Questo metterebbe in difficoltà anche gli alleati con cui sta ricucendo la trama diplomatica indispensabile per il conflitto. È evidente, infatti, la difficoltà degli Stati Uniti a intessere quei rapporti politici e diplomatici che avevano preceduto invece il conflitto del ’91.

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CHIESA E SOCIETA’

5 gennaio 2003

 

 

 

ESCALATION DI VIOLENZA IN ALGERIA: NELLE ULTIME ORE, GRUPPI ARMATI ISLAMICI HANNO UCCISO DUE FAMIGLIE NEL COMUNE DI ZABAN E NEL CORSO DI UN’IMBOSCATA, NELLA REGIONE DEL BATNA, HANNO PROVOCATO LA MORTE DI OLTRE 40 MILITARI E CIVILI, IMPEGNATI NELLA LOTTA AL TERRORISMO

- A cura  di Paolo Ondarza -

 

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ALGERI. = Due episodi di sangue nelle ultime ventiquattrore hanno avuto come scenario l’Algeria: il primo e più recente - la notte scorsa - nel comune di Zaban, 50 chilometri a sud di Algeri, ha visto lo sterminio di due famiglie da parte di un gruppo islamico armato. L’accaduto è stato riferito da fonti della  sicurezza che riferiscono di circa 13 morti. La nuova strage segue di poche ore l'imboscata in cui un altro gruppo armato riconducibile al terrorismo islamico ha provocato la morte di oltre 40 uomini. Questo secondo episodio ha avuto luogo a Theniet el Abed, nella regione del Batna: circa 43 militari e “patrioti”, civili armati impegnati nella lotta al terrorismo, sono stati  uccisi in una imboscata tesa da un gruppo armato islamico. A riferirlo è il quotidiano Le Matin, che cita fonti ospedaliere. Le bombe artigianali, fatte esplodere al passaggio di una pattuglia, nella zona montagnosa del massiccio dell’Aures, contenevano gas acetilene. La deflagrazione ha provocato anche circa venti feriti. Preoccupanti i toni del giornale che definisce “senza tregua” la lotta tra forze governative ed estremisti islamici, in corso ormai dal 1992, quando cioè le autorità impedirono una tornata di elezioni parlamentari che i radicali islamici avrebbero potuto vincere. Già ieri, si legge ne Le Matin, nella provincia di Batna erano stati notati “importanti movimenti di truppe   elitrasportate”. Quest’ultimo episodio di violenza è il  più grave, considerando il numero delle perdite tra le forze armate e le milizie dei ‘patrioti’, da quando in Algeria è cominciata la lotta di gruppi integralisti. Da allora, informa il governo, sono state uccise circa 100 mila persone. Proprio nella provincia di Batna, lo scorso 12 settembre si è verificata l’uccisione, da parte delle forze di sicurezza, del trentasettenne yemenita Emad Abdelwahid Alwane, rappresentante della  organizzazione terroristica al Qaeda per la zona del  Maghreb-Sahel. L’uomo  era stato incaricato di organizzare in Algeria, dopo la perdita dell'Afghasnistan e della Somalia, una base di prima grandezza dell’organizzazione terroristica di Osama Bin Laden.

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LIBERATO IN CONGO PADRE FRANCESCO LAUDANI, IL MISSIONARIO COMBONIANO

RAPITO NEI GIORNI SCORSI DA UN GRUPPO DI MILIZIANI

 

MAMBASA.= L’agenzia missionaria Misna ha confermato la liberazione di padre Francesco Laudani, il missionario comboniano italiano di  60 anni rapito nei giorni scorsi dai miliziani nei pressi di  Mambasa, nel nord-est del Congo. A riferirlo, da Kinshasa, è stato il generale Roberto Martinelli, vice-comandante del contingente militare della missione dell'Onu nell'ex Zaire (Monuc). Padre Francesco Laudani è originario di Biancavilla in provincia di Catania. Alcuni giorni fa si era recato a verificare le condizioni della popolazione civile nelle zone nord-occidentali dell’ex Zaire, dove svolge il suo mandato con la pastorale dei pigmei. Si tratta di un’area che negli ultimi mesi è stata teatro di sanguinosi combattimenti tra le diverse fazioni dei ribelli, che si contendono un’area ricca di miniere d’oro e diamanti. Le violenze hanno provocato la fuga di decine di migliaia di persone, tanto che il numero degli sfollati ha raggiunto quota 130 mila nei dintorni della città di Beni. Il religioso è stato fermato dai miliziani che hanno il controllo di questa zona. Nelle ultime ore, prima del rilascio, si era rivelato decisivo l’intervento della missione delle Nazioni Unite in Congo. Il generale Roberto Martinelli ha ottenuto garanzie direttamente dal capo dei ribelli, Roger Lumbala, sulla liberazione del religioso (P.O.)

 

 

LONDRA HA GIA’ PRONTI 20 MILA UOMINI DA INVIARE IN IRAQ.

LA NOTIZIA, DIFFUSA IERI DALLA STAMPA, NON E’ STATA SMENTITA DAL GOVERNO BRITANNICO. MA BLAIR RIBADISCE CHE LA GUERRA NON E’ INEVITABILE

- A cura di Paolo Mastrolilli -

 

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NEW YORK.= I media britannici hanno citato un ministro di Londra, secondo cui le probabilità di una guerra in Iraq sono scese al 40 per cento. Ma le notizie che arrivano sul piano militare non sembrano puntare ad una soluzione pacifica della crisi. Proprio il governo di Tony Blair, infatti, ha ordinato la mobilitazione di circa 20 mila soldati, che dovrebbero raggiungere il Golfo Persico per unirsi ai 60 mila americani già presenti e agli altri che sono in partenza o stanno arrivando. Due giorni fa il presidente Bush ha detto che gli Stati Uniti sono pronti alla guerra, anche se la considerano come l’ultima opzione. Ed ha aggiunto che se Saddam non sceglierà di disarmare volontariamente verrà obbligato a farlo dalla Forza militare di Washington. Infatti ieri, il Corpo dei Marines ha ordinato a diversi reparti di prepararsi per la possibile guerra, e la Cbs ha rivelato che il Pentagono sta preparando nuovi ordini per la mobilitazione di oltre 80 mila soldati, allo scopo di avere un contingente da circa 85 mila uomini schierato entro febbraio. L’Iraq ha risposto accusando gli Stati Uniti di fomentare il terrorismo, e il ministro degli Esteri, Sabri, ha inviato una lettera all’Onu, in cui sostiene che Washington sta violando le leggi internazionali perché appoggia l’opposizione anti-Saddam. La data chiave, a questo punto, sembra essere il 27 gennaio, quando il capo degli ispettori, Hans Blix, atteso a giorni a Baghdad, presenterà il primo rapporto complessivo sui controlli al Consiglio di sicurezza. Le sue parole potrebbero fare la differenza tra la guerra e la pace.

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LA LITUANIA E’ CHIAMATA OGGI AD ELEGGERE IL NUOVO CAPO DI STATO.

E’ LA TERZA VOLTA DA QUANDO LA EX REPUBBLICA SOVIETICA E’ DIVENTATA

 INDIPENDENTE. FAVORITO L’ATTUALE PRESIDENTE VALDAS ADAMKUS

 

VILNIUS.=  Per la terza volta dal 1991, anno in cui il Paese è diventato indipendente, la Lituania si recherà oggi alle urne per sceglier il proprio capo di stato. I sondaggi diffusi dai principali quotidiani danno come favorito il presidente uscente, il centrista Valdas Adamkus. Questi, 76 anni, è rientrato in patria nel 1997 dopo esser  emigrato negli Stati Uniti 50 anni fa. Suo diretto concorrente nell’odierna tornata elettorale è il liberal democratico Rolandas Paksas, 46 anni, già sindaco di Vilnius e primo ministro. L’odierna tornata di voto segue quella del primo turno del 22 dicembre, quando Adamkus, molto popolare per il suo contributo all'adesione del Paese ex-sovietico alla Nato e all'Ue, ha registrato in suo favore il 35 per cento dei voti. Solo il 19 per cento dell’elettorato ha invece votato Paksas. La Repubblica della Lituania è una democrazia parlamentare, la cui popolazione è costituita da 3,5 milioni di persone, delle quali l’85 per cento lituani, il 6,7 per cento polacchi, il 6,3 per cento russi e il restante 2 per cento, diviso tra bielorussi ed ucraini. L’economia del Paese è basata fondamentalmente sull’attività rurale. I seggi elettorali si chiuderanno questa sera alle ore 20.00 e i primi  risultati saranno diffusi poche ore dopo (P.O.)

 

 

AL VIA DA DOMANI IN THAILANDIA LA QUARTA SESSIONE DEI NEGOZIATI DI PACE

TRA TIGRI TAMIL E GOVERNO DELLO SRI LANKA. ESTREMAMENTE DELICATO L’ARGOMENTO ALL’ORDINE DEL GIORNO: IL DISARMO DEI GUERRIGLIERI TAMIL

 

BANGKOK.= Si apre in Thailandia una nuova sessione dei negoziati per la pace in Sri Lanka. Ordine del giorno di questa ripresa dei lavori: è la questione del disarmo dei guerriglieri Tamil. Anche per questo quarto appuntamento di dialogo e confronto, spetta alla Norvegia il compito di fare da intermediario tra il governo di Colombo e le Tigri Tamil. Importanti i risultati conseguiti negli ultimi colloqui: in meno di un anno è stato deciso il cessate il fuoco finalizzato a porre fine ad un conflitto che negli ultimi trent’anni ha provocato oltre 60 mila morti. I ribelli hanno abbandonato la rivendicazione d’indipendenza chiesta dalla minoranza tamil nel nord dell’isola ed accettato una forma di governo federale che garantisca una larga autonomia. Infine la comunità internazionale ha promesso un primo aiuto di 70 milioni di dollari in favore della ricostruzione economica del Paese. La questione militare che sarà discussa nel corso di questa settimana, si preannuncia comunque difficile. Si teme addirittura che possa compromettere il delicato processo di pace avviato nello Sri Lanka. Le “giornate di dialogo” si concluderanno il prossimo 9 gennaio e si svolgeranno nella località tailandese di Nakhorn Phaton, 30 chilometri ad ovest di Bangkok. (P.O.)

 

 

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