RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 2 - Testo della
Trasmissione di giovedì 2 gennaio 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Presto collegate via internet le 47 diocesi della Repubblica
Democratica del Congo
Cambio della guardia al Consiglio di Sicurezza dell’Onu
Nuove accuse dell’Iraq agli Usa: “preparano la
guerra nonostante la cooperazione di Baghdad con gli ispettori Onu”, dice il
vicepremier Aziz
Con il 2003, iniziato il semestre di presidenza
greca dell’Unione europea
Medio Oriente: nuove violenze nella Striscia di
Gaza e in Cisgiordania
Lula da Silva è ufficialmente il nuovo presidente
del Brasile.
2
gennaio 2003
LO STATO DEL MONDO DAVANTI ALLA GRANDE
SFIDA DELLA PACE,
RILANCIATA
CON FORZA DA GIOVANNI PAOLO II
NEL
PASSAGGIO DAL VECCHIO AL NUOVO ANNO
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
**********
Hanno
fatto il giro del mondo le parole del Papa sulla pace. Non solo le comunità
ecclesiali, ma anche a livello istituzionale quell’esortazione contenuta
nell’omelia di ieri, “la pace è possibile e doverosa”, ha lasciato il segno.
Come nel caso del presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi,
che ieri, al termine dell’Angelus, era stato salutato da Giovanni Paolo II.
Nel suo
Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2003, celebrata ieri, il Santo
Padre fa emergere dall’enciclica Pacem in terris del beato Giovanni
XXIII l’eredità lasciataci dal Papa che, 40 anni fa, seppe spiegare la pace al
mondo sull’orlo della catastrofe atomica. Guardando a lui, scrive Giovanni
Paolo II, “siamo invitati ad impegnarci in quei medesimi sentimenti che furono
suoi: fiducia in Dio misericordioso e compassionevole, che ci chiama alla
fratellanza; fiducia negli uomini e nelle donne del nostro come di ogni altro
tempo”. Un concetto ribadito ancora ieri, con forza, come un estremo atto di
fiducia nelle capacità di dialogo della comunità internazionale. La stessa fiducia
che ebbe Papa Roncalli in quei giorni difficili degli anni Sessanta:
“Oggi come allora, malgrado gravi e ripetuti
attentati alla serena e solidale convivenza dei popoli, la pace è possibile e
doverosa. Anzi, la pace è il bene più prezioso da invocare da Dio e da
costruire con ogni sforzo, mediante gesti concreti di pace, da parte di ogni
uomo e ogni donna di buona volontà”.
L’invito del Papa a credere
nella pace è la sfida che ha aperto il nuovo anno. Ma quali progressi sono stati
realmente compiuti nell’ultimo quarantennio in direzione di questo obiettivo?
Il parere di Lucio Caracciolo, direttore delle rivista di geopolitica Limes,
intervistato da Paolo Ondarza:
(musica)
R. - Sicuramente, per quanto riguarda noi europei, abbiamo
goduto di un periodo fuori della norma, denominato “Guerra fredda”. Questa forma
di pace è stata poi scontata in regioni più periferiche del mondo, penso
soprattutto all’Africa, all’Asia, in generale al Terzo mondo. Poi, quel periodo
particolare è finito e nell’ultimo decennio, anche in Europa - penso ai Balcani
- abbiamo dovuto sperimentare ancora una volta la guerra che si pensava essere
stata espulsa dal nostro orizzonte. Questo credo sia il fattore più
preoccupante degli ultimi anni.
D. - Tenendo conto dei grandi passi fatti verso il
conseguimento della pace, quali sono, oggi, gli ulteriori obiettivi?
R. - Credo che nel momento in
cui si proclama la guerra al terrorismo, evidentemente si apre un orizzonte
molto, molto incerto. Questa definizione legittima una quantità di conflitti
tra cui quello prossimo e probabile contro il regime di Saddam Hussein, in nome
di un reale o presunto pericolo di attacco terroristico agli Stati Uniti e
all’Occidente. Non è quindi un momento particolarmente felice per le prospettive
di pace: è un momento che richiede un maggior impegno da parte di tutti gli
Stati, ma anche di tutti i cittadini.
D. - Pensiamo alla situazione in
Medio Oriente: a suo parere, in che termini si può sperare in una pace e a
quale condizioni?
R. - Molto probabilmente, la
guerra all’Iraq - se vi sarà - cambierà radicalmente la situazione in Medio
Oriente, nel senso che stabilirà un regime pro-americano a Baghdad e, a quel
punto, non sarà più differibile lo scioglimento della questione palestinese.
D. - Ma con un tipo di governo
filo-americano, la questione palestinese sarebbe risolta a suo parere?
R. - No, non è affatto risolta,
anche perché durante la guerra, in ogni caso, possiamo attenderci di tutto. Una
delle possibilità che ovviamente speriamo non si verifichi mai è che Saddam
possa ricorrere ad armi di distruzione di massa anche contro i Paesi vicini,
come il Kuwait, o come Israele stesso.
(musica)
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ALL’INIZIO DELL’ANNO LA CHIESA FESTEGGIA MARIA,
MADRE DI DIO
- Intervista con
il teologo don Bruno Forte -
Il
primo giorno del nuovo anno è anche la festa che ricorda Maria Santissima Madre
di Dio. Una ricorrenza importante, vicino al Natale, che illumina la figura
della Madonna, veicolo dell’amore divino per l’umanità. Debora Donnini ha parlato
di Maria con il teologo don Bruno Forte.
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R. – Non è un caso che nel 33.mo Canto del Paradiso Dante
canta a Maria esaltando esattamente il paradosso di ciò che in lei si è
compiuto. La saluta come “Vergine Madre”: primo paradosso; “Figlia del tuo
Figlio”, altro paradosso; Colei che è creatura, diventa il grembo ospitale del
suo Creatore.
D. – Questo quale significato ha per noi?
R. – Io credo che il paradosso dell’Incarnazione di Dio
nel grembo di una Vergine significhi per noi che è sempre possibile
l’impossibile, se a farlo è il Dio vivente. Ed è questa impossibile possibilità
di Dio, che si compie in Maria, ed è questa impossibile possibilità di Dio che
la speranza del cristiano osa attendere anche per la storia degli uomini.
D. – L’essere Madre di Dio di Maria, come si lega con
l’essere questa fontana vivace di speranza di cui parla Dante?
R. – Il fatto che il Figlio eterno abbia voluto una Madre
autorizza ognuno di noi a ricorrere a questa Madre come a Colei che ci ama e ci
veicola l’amore gratuito e materno di Dio.
D. – Nel 431 dopo Cristo, il Concilio di Efeso riconosce
definitivamente Maria come Madre di Dio. Secondo lei, questo, nel corso della
storia, ha avuto un significato importante
e di difesa per le donne?
R. – Io credo senz’altro di sì, perché la donna ha avuto
nella storia della fede un ruolo fondamentale. Mi sembra che tutta la cultura
segnata dal cristianesimo – mi riferisco in particolar modo alla cultura
occidentale – abbia potuto scoprire il valore della persona umana nella sua
dignità infinita e in particolare il valore della persona umana femminile,
grazie alla fede cristologica e alla confessione di fede relativa al dogma
mariano della maternità di Dio.
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Il Papa
ha ricevuto nel corso della mattinata l’arcivescovo Renato Martino, neo
presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; il prelato
mons. Piero Monni, osservatore permanente della Santa Sede presso
l’Organizzazione Mondiale del Turismo; e il presule francese mons. Philippe
Barbarin, arcivescovo di Lione.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
"Dal Giubileo all'Anno del
Rosario: una ininterrotta corona di preghiere e di gesti per la
pace" è il titolo che, a tutta pagina, apre il giornale: di fronte ai
conflitti e alle minacciose tensioni del momento, Giovanni Paolo II ha
rinnovato, all'inizio del nuovo anno, l'appello ad invocare e costruire il bene
più prezioso per l'umanità.
Nelle vaticane, il dettagliato
resoconto degli avvenimenti legati alla celebrazione del "Te Deum",
della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e della XXXVI Giornata
mondiale della pace.
In occasione del "Te
Deum", il Papa ha sottolineato che l'attenzione alle vocazioni, inserita
all'interno della scelta di missione, costituisce la linea portante della vita
e della pastorale della Chiesa di Roma.
All'Angelus, il Santo Padre ha
esortato con forza i fedeli a "non smettere mai" di pregare per la
pace.
Una pagina dedicata alla
celebrazione della Giornata mondiale della pace nelle diocesi italiane.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: cinque palestinesi uccisi da militari israeliani.
Iraq: per Bush solo
la pressione militare può indurre Baghdad al disarmo.
La Corea del Sud avvia una
mediazione per fermare il programma nucleare di Pyongyang.
Nella pagina culturale, un
contributo di Angelo Marchesi dal titolo "Occorre una meditata riflessione
per non cadere in immotivate improvvisazioni": considerazioni sulle
sperimentazioni in atto per la nuova riforma scolastica in Italia.
Nelle pagine italiane, in primo
piano le reazioni al discorso di fine anno del presidente della Repubblica.
EVENTO
STORICO NEL PROCESSO DI PACIFICAZIONE DEI BALCANI:
UN
CONTINGENTE DI POLIZIA EUROPEA RACCOGLIE IL TESTIMONE DAI
CASCHI
BLU DELL’ONU NELLA MISSIONE DI SICUREZZA IN BOSNIA-ERZEGOVINA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
All’insegna dell’Unione europea: è iniziato così il nuovo
anno per la Bosnia-Erzegovina impegnata a costruire un futuro di prosperità
dopo gli anni bui della guerra che, tra il 1992 e il 1995, ha seminato morte e
distruzione nel Paese balcanico. Ieri, un corpo di polizia europea, l’Eupm, ha
preso le consegne dai 1500 caschi blu dell’Onu che negli ultimi sette anni – a
seguito degli Accordi di Dayton – hanno garantito il consolidamento della
sicurezza e della pace nella regione. La bandiera stellata su campo blu
sventola così a Sarajevo accanto a quella della Bosnia e al vessillo delle
Nazioni Unite. Un evento non solo simbolico che è stato salutato con grande
soddisfazione a Bruxelles come nella capitale bosniaca. Il servizio di Emiliano
Bos:
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L’obiettivo politico dell’impegno diretto di Bruxelles in
quest’area è quello di permettere il consolidamento della pace, superando
definitiva-mente i traumi provocati dalla guerra in Bosnia, che provocò oltre
200 mila vittime e 2 milioni e mezzo di sfollati. Sul piano pratico la missione
punta ad assistere e sostenere le autorità locali. Il compito è affidato a
circa 500 ufficiali di polizia, 50 esperti civili e 300 dipendenti locali
suddivisi in tre dipartimenti che avranno il proprio quartier generale a
Sarajevo. L’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza
dell’Unione Europea Javier Solana, ha sottolineato l’importanza strategica
delle iniziative in Bosnia, che rappresenta, ha dichiarato un simbolo della
volontà degli europei di promuovere la stabilità e la sicurezza in questa
regione.
Per Radio Vaticana, Emiliano Bos.
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La missione in Bosnia - il cui mandato scade il primo
dicembre del 2005 - segna dunque un salto di qualità nell’impegno dell’Unione
europea per la stabiliz-zazione dei Balcani. Un aspetto, questo, che viene
sottolineato dalla prof.ssa Maria Rita Saulle, docente di Diritto
internazionale all’Università La Sapienza di Roma:
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R. – Più che la localizzazione di questa missione, è il fatto che si
tratti di un’iniziativa che rientra nella politica di sicurezza e di difesa
comune, dell’Unione Europea - la ‘Pesc’ - che stenta a decollare e che dovrebbe
invece servire, giovare a rendere l’Europa coesa. E’ anche importante sul piano
politico, della politica internazionale in particolare.
D. – La missione in Bosnia rappresenta, evidentemente, un test
significativo per la politica continentale di difesa. L’Unione Europea sarà
davvero all’altezza del compito, assumendolo in prospettiva anche nel vicino
Kosovo?
R. – Si tratta di un fatto assolutamente innovativo: la presenza di 500
uomini può sembrare inizialmente esigua, ma se è vero che è un test, il test
viene fatto con pochi elementi e poi dopo si vedrà, nel senso che si vedrà se
sarà possibile ampliare questa iniziativa e se sarà possibile anche
incrementarne la presenza.
D. – Per quanto riguarda, in
prospettiva, il Kosovo?
R. – Indubbiamente, c’è contiguità tra questi Stati che un tempo
formavano parte della Repubblica federale di Jugoslavia. Dal punto di vista
territoriale, è facile dire: ‘Sì, certo’. Sebbene la situazione sia diversa tra
la Bosnia e il Kosovo, indubbiamente si pensa in prospettiva che possa esserci
un cambiamento nel momento in cui la Bosnia si rendesse assolutamente autonoma.
Quando sarà in grado di autogestirsi, si potrebbe avere uno spostamento di
questa forza da un Paese all’altro.
D. – L’Europa intensifica gli sforzi per garantire la sicurezza in
Bosnia; ma quanto sta investendo nel progresso economico della regione?
R. – Allo stato attuale, la Bosnia ha delle strutture democratiche e la
tendenza ad incrementare queste strutture, seppure con qualche difficoltà, di
volta in volta evidenziate anche dai risultati delle ultime elezioni. C’è però
la difficoltà a dare a questo Stato quel carattere di democrazia e di autonomia
che contraddistingue uno Stato moderno. Tuttavia, non si può dire che ci
troviamo in una situazione assolutamente negativa. Siamo in una fase di
transizione che dovrebbe poi condurre la Bosnia ad autonomizzarsi e a
presentarsi al mondo come una repubblica democratica secondo i principi che
ormai sono consolidati da parte delle democrazie più antiche. Economia e
democrazia spesso vanno di pari passo, là dove c’è una autogestione economica
c’è un consolidamento dei valori democratici, e la Bosnia si trova in una
situazione un po’ particolare: in questi anni dagli Accordi di Dayton, dal 1995
ad oggi, non è riuscita a creare condizioni di autonomia sotto il profilo
economico, sebbene l’Unione Europea non sia stata ingenerosa nei confronti della
Bosnia.
D. – Allargando l’orizzonte, nei confronti della nuova Unione Europea
scaturita a Copenaghen, che ruolo potranno giocare gli Stati sorti dalla
frantumazione della Jugoslavia?
R. – Occorre fare una riflessione, cioè ‘farli entrare’ o ‘tenerli fuori’
o ‘tenerli invece in anticamera’. Penso che la terza ipotesi, cioè di far fare
un’antica-mera programmata che preveda una preparazione più sostanziale alla
democrazia e al rispetto dei diritti umani per gli Stati che oggi non sono
stati ancora ammessi, sia quanto mai necessario; estrometterli è estremamente
pericoloso sul piano politico e non giova neanche alla politica dell’Unione
Europea e all’economia dell’Ue. E’ necessario che l’Europa sia molto attenta,
prodiga di consigli, rigida nelle richieste di democrazia ma non sbatta la
porta in faccia a questi Stati.
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COSTRUIRE
LA PACE E DARE UN’ANIMA ALL’EUROPA
L’IMPEGNO
DEGLI 80 MILA GIOVANI DI VARIE CHIESE A CONCLUSIONE DEL
25.MO
INCONTRO EUROPEO PROMOSSO A PARIGI DALLA COMUNITA’ DI TAIZE’
-
Intervista con Giuseppe Lanzi -
Ieri
mattina Parigi ha salutato gli 80 mila giovani - ma c’è chi parla di 100 mila -
che in questi giorni hanno invaso le strade, le chiese, le piazze per il 25.mo appuntamento con la Comunità di
Taizé fondata da frère Roger Schutz. Ricordiamo che questi giovani erano
cattolici, ma anche luterani, anglicani, ortodossi, appartenevano cioè alle più
diverse Chiese cristiane e provenivano
da 35 Paesi di tutta Europa, dall’Est all’Ovest e non mancavano rappresentanze di africani, asiatici e americani.
Quale l’impatto di questa fiumana di giovani sulla capitale francese, proprio a
Capodanno, quando Parigi assume un volto ben diverso da quello della preghiera.
Ci risponde il collega giornalista Giuseppe Lanzi, al microfono di Carla
Cotignoli:
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R. -
Parigi sicuramente è stata, in un certo senso, trasformata. Non vuol dire che
non c’è stato il solito Capodanno, però, vedere un centinaio di chiese, sia a
Parigi che sull’Ile de France, che festeggiano il Capodanno con una veglia di
preghiera, con un momento di silenzio proprio nel momento del passaggio
dell’anno, con questi canti di Taizé che risuonano veramente in tutta la città,
è qualcosa che ha lasciato il segno.
D. – Quale l’eco della stampa?
R. – Direi che la stampa cosiddetta laica, si chiede
sempre, quando vede questi giovani, perché dei giovani accettano di passare le
loro vacanze, invece che in momenti di festa e di svago, in cinque giorni di
forte riflessione e pre-ghiera. Non dimentichiamoci che Parigi è rimasta
scioccata dall’evento che fu la Gmg nel ’97, l’incontro di queste centinaia di
migliaia di giovani insieme al Santo Padre e quindi in un certo senso, erano un
po’ più preparati, ma si vede ancora molta sorpresa.
D. – A Parigi c’erano giovani di tutta Europa, oltre la
metà provenivano dall’Euro-pa orientale. Quale messaggio e quale testimonianza
hanno dato in questo momento storico in cui si sta davvero costruendo la casa
comune europea?
R. – Credo che i giovani abbiano preso coscienza di due
cose: la prima che l’Europa la si costruisce nel piccolo, ciascuno di noi deve
prendere delle responsabilità, degli impegni concreti nella sua realtà, e poi
credo che loro - forse più delle generazioni che già hanno fatto tanto per
l’Europa, quelle che hanno portato ad avere una moneta comune - credo che i
giovani si stiano rendendo conto che a questa Europa bisogna dare un’anima,
senza la quale non si può veramente parlare di casa comune europea. Sono stati
quasi inviati in missione nei loro paesi e nelle loro parrocchie, come fermenti
di pace. Spesso è stato citato Sant’Ambrogio: “se tu vuoi costruire la pace nel
mondo, devi costruirla in te stesso per poi essere segno di pace. E credo che
in questo, i giovani abbiano veramente letto un impegno nella costruzione dell’Europa.
D. – I giovani in genere sono l’indicatore più
significativo delle linee di tendenza che si profilano in questo nuovo
millennio. Quali tratti emergono dalle mani-festazioni di questi giorni?
R. – Innanzitutto voglio sottolineare che questi giovani
sono gli stessi giovani che vediamo regolarmente nelle nostre parrocchie, nelle
discoteche, nelle piazze, nelle scuole, sono dei giovani assolutamente normali.
A loro però, mi sembra di poter dire, che non
basta più che venga detto cosa devono fare, ma vogliono veramente
prendere in mano la situazione. La cosa che anche personalmente mi ha colpito
di più durante questo incontro, è questa voglia di dire la propria, senza la
pretesa di avere la soluzione. Forse la consapevo-lezza di dover lavorare nel piccolo
per poter modificare il grande, può aiutarli in questo impegno che sicuramente
non è semplice.
D. – Tu descrivevi questi momenti di silenzio assoluto e
quindi di preghiera profonda, il che vuol dire che questa nuova consapevolezza
delle loro responsabilità nel costruire la società ha radici profonde, ha
radici in Dio..
R. – Credo proprio di si. Di fronte a quel silenzio, ho
visto colleghi giornalisti che rimanevano scioccati. Noi siamo abituati a
vedere 80, 100, 200 mila persone, ma siamo abituati a vederle urlanti, magari
pericolose, immagino gli stadi, i grandi concerti rock. Invece vedere 80 mila
giovani oranti pone delle domande, cioè, questo silenzio è un silenzio attivo,
è consapevolezza che la preghiera è qualcosa di concreto anche per la costruzione
della società e per la ricerca della pace. Credo che questi giovani qualcosa da
dire la abbiano davvero.
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“E' UNA
RESPONSABILITÀ DEI PAESI PIÙ AVANZATI IMPEGNARSI
PER
DIFFONDERE BENESSERE, SICUREZZA, GIUSTIZIA,
LADDOVE
ESSI NON SONO OGGI GARANTITI'':
LO
SOTTOLINEA OGGI IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA,
CARLO
AZEGLIO CIAMPI, IN RISPOSTA AL MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
PER LA
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE CELEBRATA IERI
ROMA. = Ispirato dal messaggio di Giovanni Paolo II per la
Giornata mondiale della pace, celebrata ieri, il presidente della Repubblica
Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, ha inviato oggi una nota di risposta
rallegrandosi per la “rinnovata e così
autorevole sollecitazione a perseguire la costruzione di un ordine
internazionale fondato sul riconoscimento dei valori universali della pace,
della giustizia e dei diritti umani.” “E' significativo - sottolinea Ciampi -
che il messaggio sia quest'anno
dedicato a Papa Giovanni XXIII: il suo insegnamento, a quarant'anni
dall'enciclica Pacem in Terris, resta valido ed attuale. La compiuta applicazione dei valori
sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite è una grande sfida del nostro tempo''.
''In questo quadro - si legge ancora nel testo -, la lotta alla povertà è, al
tempo stesso, uno strumento d'elevazione ed un obiettivo. Il raggiungimento, in
tutti i Paesi, dei livelli indispensabili di salute e di istruzione, lo
sviluppo sostenibile del Pianeta, sono traguardi alla portata della comunità
internazionale. La dichiarazione del
Millennio e la conferenza di Monterrey ne hanno ribadito l'importanza cruciale.
E' una responsabilità dei Paesi più avanzati impegnarsi per diffondere
benessere, sicurezza, giustizia, laddove essi non sono oggi garantiti''.
''Queste responsabilità - osserva il presidente della Repubblica - sono ben presenti all'attenzione dei popoli europei:
con l'approvazione, a suo tempo, della
Carta dei Diritti Fondamentali e con il suo prossimo inserimento nella
Costituzione dell'Unione Europea,
vengono riaffermati in maniera solenne i valori comuni che uniscono i popoli
dell'Unione”. Ciampi conclude confermando la sua “riconoscenza” al Papa “per
aver posto la cultura della pace e dei diritti
dell'uomo al centro dei rapporti tra i popoli” e “sicuro di interpretare i sentimenti profondi del popolo
italiano” rivolge infine a Giovanni Paolo II “un augurio fervido e sincero per
la prosecuzione del suo apostolato nel mondo''. (R.G.)
L’EVANGELIZZAZIONE PROFETICA DELLA CULTURA E LE
SFIDE DELLA GRANDE CITTA’ : TEMI AL CENTRO DEL PIANO PASTORALE 2003-2005
DELL’ARCIDIOCESI
DI
SANTIAGO DEL CILE, ELABORATE DALL’ARCIVESCOVO DELLA CAPITALE CILENA
SANTIAGO. = 50 pagine
suddivise in 4 capitoli, tutte incentrate sull’evangeliz-zazione profetica
della cultura e sulle sfide che presenta la grande città. Sono le “Linee
pastorali 2003-2005” dell’arcidiocesi di Santiago del Cile, siglate dal cardinale
Francisco Javier Errazuriz Ossa. Alla sezione introduttiva fa seguito lo Sguardo
sulla realtà culturale ed ecclesiale, le Sfide pastorali e le
proposte di evangelizzazione per i prossimi tre anni. “La fonte principale
che ha ispirato la nostra proposta è il IX Sinodo della Chiesa di Santiago”
spiega il porporato nella presentazione aggiungendo che nel documento è
evidente la piena sintonia con le indicazioni dettate dal Santo Padre per quel
che riguarda la Chiesa in America e con gli stessi Orientamenti pastorali di
tutti i vescovi cileni. “Non si tratta in realtà di un piano pastorale”
specifica il cardinale Errazuriz “bensì di lineamenta, giacché ciascuna
parrocchia, scuola, movimento e organismo dovrà elaborare un proprio programma
per i prossimi tre anni”. (D.D.)
OGGI
L’ANNUNCIO SUI MEDIA UFFICIALI DI PECHIN0: ENTRO LA META’ DEL 2003
LA
CINA LANCERA’ NELLO SPAZIO I SUOI PRIMI ASTRONAUTI
PECHINO.= La Cina lancerà la sua prima nave spaziale con
astronauti a bordo nella seconda metà di quest’anno. Lo hanno annunciato oggi i
mezzi d'informazione ufficiali di
Pechino, sottolineando che la Cina diventerà così il terzo Paese a mandare
nello spazio esseri umani con mezzi propri dopo Russia e Stati Uniti. Il quotidiano
ufficiale “China Daily” ha affermato - citando il direttore del Centro aerospaziale di Shanghai Yuan Jie - che i
preparativi per la prima missione di astronauti cinesi nello spazio sono giunti
alla fase finale dei test. Nel corso
del suo programma spaziale, la Cina ha già lanciato nello spazio, senza
equipaggio, navicelle concepite per ospitare esseri umani. Il quarto lancio
della serie è avvenuto lunedì scorso, in quello che probabilmente è l'ultimo
test prima che Pechino mandi in orbita il suo primo astronauta. Shenzhou IV, il
cui nome significa “Nave divina” – come hanno spiegato i media di Stato - è già
in orbita intorno alla Terra e vi resterà per alcuni giorni prima di rientrare.
La prima navicella della serie era stata lanciata nel 1999. (R.G.)
SARANNO
PRESTO COLLEGATE VIA INTERNET LE 47 DIOCESI
DELLA
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, GRAZIE AL NUOVO SITO WEB
CHE
RISPONDE ALL’INDIRIZZO WWW.CENCO.CD.,
REALIZZATO DAL SERVIZIO COMUNICAZIONI SOCIALI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE CONGOLESE
KINSHASA. = E’ a buon punto il nuovo sito web dei vescovi
della Repubblica Democratica del Congo. Realizzato dal Servizio dei mezzi di
comunicazione sociale dipendente dalla Commissione episcopale per
l’evangelizzazione, il nuovo portale rientra nell’ambito di un grande progetto
volto a rendere accessibili a tutte le diocesi del Paese le moderne tecnologie
della comunicazione e dell’informazione. L’obiettivo principale, spiega il
direttore del servizio padre Marcel Ndala, missionario di San Paolo, è di usare
questi nuovi strumenti per l’evangelizzazione, ma anche di “informare
rapidamente i fedeli, i sacerdoti e i vescovi sulla vita della Chiesa nella
Rdc, le sue prese di posizione nel contesto socio-politico del nostro Paese. In
altre parole di fare conoscere la sua azione pastorale”. “A breve termine –
precisa il sacerdote intervistato dall’agenzia cattolica Dia – ci
proponiamo di collegare tutte le 47 diocesi congolesi al satellite. Questo ci
permetterà di avere a nostra disposizione una rete cattolica, con un servizio
Internet, di posta elettronica e telefonico”. A medio termine invece c’è la
creazione di una televisione nazionale cattolica. Alla realizzazione del sito,
che risponde all’indirizzo http://www.cenco.cd,
sono stati invitati a partecipare tutte le componenti della Chiesa congolese,
in particolare le commissioni diocesane per i mezzi di comunicazione sociale,
ma anche le varie comunità religiose presenti nel Paese. Quanto al contenuto,
il sito “metterà a disposizione dei fedeli tutti i documenti accessibili della
Chiesa cattolica”. Esso vuole inoltre essere una delle “voci ufficiale della
Conferenza episcopale”. La home page si apre con un’intestazione rossa,
che simbolizza la vita, con al centro diverse foto di siti religiosi cattolici
del Paese, a sinistra la bandiera nazionale e a destra la croce kongo
ispirata a quelle portate nel XV secolo dai missionari portoghesi nella
regione. Sotto all’intestazione a sinistra vi è una colonna con tutte le voci
cliccabili relative alla Chiesa nella
Rdc: la Conferenza nazionale dei vescovi congolesi (Cenco) e le sue attività,
le varie commissioni episcopali, l’annuario della Chiesa locale, archivi
storici e collegamenti con l’Aceac, l’Associazione delle Conferenze episcopali
dell’Africa Centrale, che comprende anche la Rdc. In questa sezione è indicata
anche l’e-mail del Servizio dei mezzi di comunicazione sociale. La colonna a
destra comprende invece notizie dalle diverse diocesi, links con i
principali istituti educativi cattolici del Congo e i media della Cenco, tra
cui la stessa agenzia Dia.
CAMBIO DELLA GUARDIA AL CONSIGLIO
DI SICUREZZA DELL’ONU:
SONO USCITI DAL PRIMO GENNAIO
COLOMBIA, IRLANDA, MAURITIUS, NORVEGIA E SINGAPORE E SONO ENTRATI ANGOLA, CILE,
GERMANIA, PAKISTAN E SPAGNA
WASHINGTON.
= Cambio della guardia, nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu: A partire dal 1 gennaio sono usciti cinque membri non
permanenti, che hanno esaurito il loro
mandato di due anni, e ne sono entrati altri cinque. Paesi uscenti sono la
Colombia, che ha fatto in tempo ad esercitare a dicembre un contestato turno di
presidenza del Consiglio, l'Irlanda, le Mauritius, la Norvegia e
Singapore. A loro, sono subentrati
Angola, il Cile, la Germania, il Pakistan e la Spagna, che si aggiungono ai
cinque Stati membri permanenti, ovvero Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina e agli
altri cinque membri non permanenti che sono alla metà del loro mandato di due
anni: Bulgaria, Camerun, Guinea, Messico e Siria. Da rilevare che nel periodo
cruciale per la crisi irachena, questo gennaio ed il prossimo febbraio, la
presidenza di turno, che ruota ogni mese, sarà esercitata dalla Francia e poi
dalla Germania, due Paesi della Nato e alleati degli Stati Uniti, ma che hanno
già espresso obiezioni all’ipotesi di una guerra contro l'Iraq. A marzo,
quindi, la presidenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu andrà alla Guinea.
(R.G.)
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- A cura
di Giada Aquilino e Amedeo Lomonaco -
Non si ferma il lavoro degli
ispettori sul disarmo iracheno, giunto ormai al 34.esimo giorno. Gli esperti
dell’Onu e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica hanno visitato
oggi 5 siti in tutto l’Iraq. E il capo degli specialisti, lo svedese Hans Blix,
potrebbe andare a Baghdad tra il 18 ed il 20 gennaio per colloqui con i dirigenti
iracheni. Ma proprio dal regime di Saddam Hussein giungono nuove accuse a
Washington: il vicepremier Tareq Aziz ha affermato che gli Stati Uniti
“proseguono i loro preparativi per una guerra di aggressione, nonostante l’Iraq
cooperi con gli esperti dell'Onu”. A New York, comunque, i commenti ai
risultati delle ispezioni in Iraq non sono preludio ad attacchi imminenti:
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Il segretario generale dell’Onu,
Kofi Annan, ha detto che al momento non c’è motivo per scatenare una guerra,
tenendo conto della collaborazione che Baghdad sta offrendo ai controlli. Il
Pentagono però ha ordinato ad una intera divisione di fanteria, con circa
15mila uomini, di preparasi a raggiungere il Golfo Persico, oltre a due
portaerei e due gruppi anfibi. Nello stesso tempo, il presidente Bush ha
continuato ad alzare la tensione, dicendo che un presunto attacco da parte
irachena, magari in collaborazione con qualche gruppo terroristico, potrebbe
distruggere l’economia americana, giustificando, quindi, il possibile
intervento con un argomento che tocca da vicino l’opinione pubblica. Il capo
della Casa Bianca, invece, parlando di un’altra situazione di crisi, ha
ribadito che la Corea del Nord rappresenta un problema diplomatico e non
militare. L’anno intanto è cominciato con un nuovo raid dei caccia
anglo-americani in pattugliamento sull’Iraq, che ha colpito una postazione
radar nella zona di interdizione al volo nel sud del Paese: l’attacco, secondo
le autorità di Baghdad, avrebbe ucciso un civile.
Da New York, per Radio la
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Con l’inizio del 2003, è
cominciato anche il semestre di presidenza greca dell’Unione europea, preceduto
dal tour in 14 capitali del premier Kostas Simitis, per presentare l’agenda dei
lavori. Il governo di Atene – che subentra a quello di Copenaghen – ha
auspicato una maggiore unità dei Quindici sulla politica estera, a cominciare
dalla crisi irachena.
Esercitare
una pressione politica sulla Corea del Nord per tentare di impedire
l'aggravarsi della crisi fra Pyongyang e gli Stati Uniti, dopo la ripresa della
corsa al riarmo nordcoreano. Questo il senso dell’incontro di oggi a Pechino
fra il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, e il viceministro degli Esteri
della Corea del Sud, Lee Tae-shik. Le autorità di Pechino e Seul tentano così
di smorzare la tensione, riacutizzatasi dopo la decisione di Pyongyang di
smantellare gli strumenti di controllo sulle centrali nordcoreane per la
produzione di plutonio e di espellere dal Paese gli ispettori dell'Aiea,
l'Agenzia dell'Onu per l'energia atomica.
Il governo israeliano si è
impegnato a sbloccare il pagamento del debito nei confronti dei palestinesi,
purché i fondi dovuti – che ammontano ancora a circa 600 milioni di dollari –
non vengano utilizzati per attività terroristiche. Il rispetto degli accordi
verrà monitorato dall’amministrazione statunitense. Intanto, il 2002 si è chiuso con la violenza e allo stesso
modo si è aperto il 2003: nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania si sono
susseguiti gli scontri. Il servizio di Graziano Motta:
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Cinque i palestinesi uccisi tra
ieri e la scorsa notte: tre nella Striscia di Gaza erano giovanissimi e
tentavano di infiltrarsi negli insediamenti agricoli ebraici di Elei Sinai.
Alcune ore dopo, nel contesto della politica di pressione costante sugli attivisti
della rivolta, forze blindate israeliane appoggiate da elicotteri sono
penetrate nei campi profughi di Nusseirat e di Bureij, nel centro della
Striscia, per compiervi perquisizioni e arresti. Le altre due vittime in
Cisgiordania, durante operazioni che hanno avuto come obiettivo sempre
insediamenti ebraici. Un guerrigliero, che operava nella zona di Jenin, ha
insospettito dei soldati perché portava una grossa borsa, che in effetti
conteneva una bomba: è rimasto dilaniato dall’esplosione. Un altro uomo armato,
riuscito a penetrare in una casa del villaggio di Maor, ha tentato di sparare
contro una coppia di sposi: il guerrigliero è stato alla fine ucciso. Il clima
di apprensione per una possibile guerra contro l’Iraq è caratterizzato dalla
distribuzione di nuove maschere anti-gas e da manovre navali al largo di Haifa,
con la partecipazione di unità israeliane, statunitensi e turche.
In questo contesto di tensioni,
una speciale preghiera per la pace in unione con il Papa ha riunito ieri
mattina a Gerusalemme, attorno al patriarca Sabbah, religiosi e fedeli della
città e pellegrini della Chiesa di Francia guidati dall’arcivescovo di
Bordeaux, mons. Jean Pierre Ricard, presidente della loro Conferenza
episcopale.
Per la Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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Veniamo
allo sciopero ad oltranza indetto in Venezuela, dal 2 dicembre scorso, contro
il presidente, Hugo Chavez. L’opposizione ha annunciato ieri un rientro
parziale della crisi, che non prevede, tuttavia, l’abbandono della “disobbedienza
civile”. Questa scelta, secondo quanto ha riferito uno dei leader
dell’opposizione, Americo Martin, è tesa ad “evitare la violenza per puntare,
invece, alla via elettorale”.
Il 2003 in Brasile si è aperto
sotto il segno dell’ex sindacalista Luiz Inacio Lula da Silva che da ieri è
ufficialmente il nuovo presidente del Paese. La cerimonia di insediamento ha
visto la partecipazione di centinaia di migliaia di persone e di oltre cento
delegazioni in rappresentanza dei governi di tutto il mondo. Lula, primo capo
di Stato di sinistra della storia carioca, ha giurato fedeltà alla Costituzione
ed ha indicato subito le priorità del suo governo: la lotta alla fame e la politica
estera. Il servizio di Maurizio Salvi:
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Lula ha fatto riferimento alla
nozione di “cambiamento” che – ha detto – “è il desiderio dei brasiliani che mi
hanno votato”. Il presidente del Partito dei lavoratori è quindi entrato nel
vivo del suo programma, sottolineando la necessità di avviare subito una
campagna per vincere la fame nel Paese. “Nella sua storia – ha insistito il neo
capo dello Stato – il Brasile è riuscito a sconfiggere la schiavitù, ha
raggiunto l’indipendenza, ha creato industrie, prodotto oro e caffè, ma non ha
potuto eliminare la fame. Questo – ha sottolineato – non può più continuare”.
Più tardi, davanti ad una folla che lo aveva atteso per tutta la giornata, Lula
ha rinnovato i suoi impegni etici, assicurando: “non mentirò mai” e “vi dirò
francamente quando non potrò fare qualcosa”. Evocando ancora una volta
l’esigenza, per ogni brasiliano, di mangiare tre volte al giorno, il
neopresidente ha sostenuto che questo è scritto nella Costituzione e nella
Bibbia. Ora le sfide che attendono Lula sono numerose: dare una risposta
concreta ai 57 milioni di poveri che hanno rappresentato lo zoccolo duro del
suo trionfo elettorale, realizzare una distribuzione della ricchezza più equa,
ridurre il 20 per cento di disoccupati e l’enorme debito estero.
Maurizio Salvi per la Radio
Vaticana.
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In Costa d’Avorio, in una zona
controllata dai ribelli, ieri sono stati uccisi dodici civili durante un
bombardamento delle forze governative. La Francia ha condannato con fermezza
l’offensiva degli uomini del presidente ivoriano Gbagbo, specificando che
“l’attacco è stato condotto da almeno un elicottero di fabbricazione sovietica
contro il villaggio di pescatori di Menakro, a 50 chilometri dalla linea di
cessate il fuoco”. I francesi hanno pure dichiarato che non permetteranno
l’arrivo dei ribelli a Duekoue. Attualmente i rivoltosi si trovano a 200
chilometri da San Pedro, città portuale dove viene caricato il 20% della
produzione mondiale di cacao.
Ancora scontri in Sudan. I
gruppi ribelli accusano le forze governative di aver lanciato un attacco
violando il “cessate il fuoco” in atto. Secondo i ribelli, 1500 soldati
avrebbero bombardato insediamenti civili, bruciato villaggi e saccheggiato
bestiame nei pressi della città di Tam, 420 chilometri a sud dalla capitale Karthoum.
Durante l’offensiva – hanno dichiarato i ribelli - sarebbero stati uccisi dodici
uomini delle forze militari governative.
Il
governo dello Zimbabwe ha decretato un’amnistia con effetto immediato per 3.600
prigionieri. Secondo dati diffusi dalla radio di Stato, attualmente i detenuti
sono 24.500, contro i 16.000 consentiti dal regime carcerario. Negli ultimi
giorni una campagna stampa aveva denunciato carenze alimentari in tutti i penitenziari
del Paese africano.
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