RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 2 - Testo della Trasmissione di giovedì 2 gennaio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La pace è possibile e doverosa. Prevalgano la solidarietà umana e il diritto. Vasta eco hanno suscitato nell’opinione pubblica i ripetuti appelli lanciati dal Papa con l’inizio del nuovo anno, perché si trovino soluzioni pacifiche alle molte tensioni in atto nel Medio Oriente e nel resto del mondo: con noi, Lucio Caracciolo

 

La prima festa dell’anno dedicata dalla Chiesa a Maria, Madre di Dio, veicolo dell’amore divino per l’umanità: intervista con il teologo don Bruno Forte.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Evento storico nel processo di pacificazione dei Balcani. Un contingente di polizia europea raccoglie il testimone dai caschi blu dell’Onu nella missione di sicurezza in Bosnia Erzegovina: ai nostri microfoni, la prof.ssa Maria Rita Saulle

 

Costruire la pace e dare un’anima all’Europa, impegno dei giovani di varie Chiese riuniti a Parigi per il 25.mo Incontro promosso dalla Comunità ecumenica di Taizé: un bilancio del giornalista Giuseppe Lanzi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’apprezzamento del capo dello Stato italiano, Carlo Azeglio Ciampi, per il messaggio del Santo Padre sulla pace nel mondo

 

L’evangelizzazione profetica della cultura e le sfide della grande città: questi i temi al centro del piano pastorale 2003-2005 dell’arcidiocesi di Santiago del Cile

 

Annuncio sui media ufficiali a Pechino: a metà del 2003 la Cina lancerà nello spazio i suoi primi astronauti

 

Presto collegate via internet le 47 diocesi della Repubblica Democratica del Congo

 

Cambio della guardia al Consiglio di Sicurezza dell’Onu

 

24 ORE NEL MONDO:

Nuove accuse dell’Iraq agli Usa: “preparano la guerra nonostante la cooperazione di Baghdad con gli ispettori Onu”, dice il vicepremier Aziz

 

Con il 2003, iniziato il semestre di presidenza greca dell’Unione europea

 

Medio Oriente: nuove violenze nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania

 

Lula da Silva è ufficialmente il nuovo presidente del Brasile.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

2 gennaio 2003

 

 

LO STATO DEL MONDO DAVANTI ALLA GRANDE SFIDA DELLA PACE,

RILANCIATA CON FORZA DA GIOVANNI PAOLO II

NEL PASSAGGIO DAL VECCHIO AL NUOVO ANNO

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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Hanno fatto il giro del mondo le parole del Papa sulla pace. Non solo le comunità ecclesiali, ma anche a livello istituzionale quell’esortazione contenuta nell’omelia di ieri, “la pace è possibile e doverosa”, ha lasciato il segno. Come nel caso del presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, che ieri, al termine dell’Angelus, era stato salutato da Giovanni  Paolo II.

 

Nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2003, celebrata ieri, il Santo Padre fa emergere dall’enciclica Pacem in terris del beato Giovanni XXIII l’eredità lasciataci dal Papa che, 40 anni fa, seppe spiegare la pace al mondo sull’orlo della catastrofe atomica. Guardando a lui, scrive Giovanni Paolo II, “siamo invitati ad impegnarci in quei medesimi sentimenti che furono suoi: fiducia in Dio misericordioso e compassionevole, che ci chiama alla fratellanza; fiducia negli uomini e nelle donne del nostro come di ogni altro tempo”. Un concetto ribadito ancora ieri, con forza, come un estremo atto di fiducia nelle capacità di dialogo della comunità internazionale. La stessa fiducia che ebbe Papa Roncalli in quei giorni difficili degli anni Sessanta:

 

“Oggi come allora, malgrado gravi e ripetuti attentati alla serena e solidale convivenza dei popoli, la pace è possibile e doverosa. Anzi, la pace è il bene più prezioso da invocare da Dio e da costruire con ogni sforzo, mediante gesti concreti di pace, da parte di ogni uomo e ogni donna di buona volontà”.

 

L’invito del Papa a credere nella pace è la sfida che ha aperto il nuovo anno. Ma quali progressi sono stati realmente compiuti nell’ultimo quarantennio in direzione di questo obiettivo? Il parere di Lucio Caracciolo, direttore delle rivista di geopolitica Limes, intervistato da Paolo Ondarza:

 

 (musica)

 

R. - Sicuramente, per quanto riguarda noi europei, abbiamo goduto di un periodo fuori della norma, denominato “Guerra fredda”. Questa forma di pace è stata poi scontata in regioni più periferiche del mondo, penso soprattutto all’Africa, all’Asia, in generale al Terzo mondo. Poi, quel periodo particolare è finito e nell’ultimo decennio, anche in Europa - penso ai Balcani - abbiamo dovuto sperimentare ancora una volta la guerra che si pensava essere stata espulsa dal nostro orizzonte. Questo credo sia il fattore più preoccupante degli ultimi anni.

 

D. - Tenendo conto dei grandi passi fatti verso il conseguimento della pace, quali sono, oggi, gli ulteriori obiettivi?

 

R. - Credo che nel momento in cui si proclama la guerra al terrorismo, evidentemente si apre un orizzonte molto, molto incerto. Questa definizione legittima una quantità di conflitti tra cui quello prossimo e probabile contro il regime di Saddam Hussein, in nome di un reale o presunto pericolo di attacco terroristico agli Stati Uniti e all’Occidente. Non è quindi un momento particolarmente felice per le prospettive di pace: è un momento che richiede un maggior impegno da parte di tutti gli Stati, ma anche di tutti i cittadini.

 

D. - Pensiamo alla situazione in Medio Oriente: a suo parere, in che termini si può sperare in una pace e a quale condizioni?

 

R. - Molto probabilmente, la guerra all’Iraq - se vi sarà - cambierà radicalmente la situazione in Medio Oriente, nel senso che stabilirà un regime pro-americano a Baghdad e, a quel punto, non sarà più differibile lo scioglimento della questione palestinese.

 

D. - Ma con un tipo di governo filo-americano, la questione palestinese sarebbe risolta a suo parere?

 

R. - No, non è affatto risolta, anche perché durante la guerra, in ogni caso, possiamo attenderci di tutto. Una delle possibilità che ovviamente speriamo non si verifichi mai è che Saddam possa ricorrere ad armi di distruzione di massa anche contro i Paesi vicini, come il Kuwait, o come Israele stesso.

 

(musica)

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ALL’INIZIO DELL’ANNO LA CHIESA FESTEGGIA MARIA, MADRE DI DIO

                               - Intervista con il teologo don Bruno Forte -     

 

Il primo giorno del nuovo anno è anche la festa che ricorda Maria Santissima Madre di Dio. Una ricorrenza importante, vicino al Natale, che illumina la figura della Madonna, veicolo dell’amore divino per l’umanità. Debora Donnini ha parlato di Maria con il teologo don Bruno Forte.

 

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R. – Non è un caso che nel 33.mo Canto del Paradiso Dante canta a Maria esaltando esattamente il paradosso di ciò che in lei si è compiuto. La saluta come “Vergine Madre”: primo paradosso; “Figlia del tuo Figlio”, altro paradosso; Colei che è creatura, diventa il grembo ospitale del suo Creatore.

 

D. – Questo quale significato ha per noi?

 

R. – Io credo che il paradosso dell’Incarnazione di Dio nel grembo di una Vergine significhi per noi che è sempre possibile l’impossibile, se a farlo è il Dio vivente. Ed è questa impossibile possibilità di Dio, che si compie in Maria, ed è questa impossibile possibilità di Dio che la speranza del cristiano osa attendere anche per la storia degli uomini.

 

D. – L’essere Madre di Dio di Maria, come si lega con l’essere questa fontana vivace di speranza di cui parla Dante?

 

R. – Il fatto che il Figlio eterno abbia voluto una Madre autorizza ognuno di noi a ricorrere a questa Madre come a Colei che ci ama e ci veicola l’amore gratuito e materno di Dio.

 

D. – Nel 431 dopo Cristo, il Concilio di Efeso riconosce definitivamente Maria come Madre di Dio. Secondo lei, questo, nel corso della storia, ha avuto un significato importante  e di difesa per le donne?

 

R. – Io credo senz’altro di sì, perché la donna ha avuto nella storia della fede un ruolo fondamentale. Mi sembra che tutta la cultura segnata dal cristianesimo – mi riferisco in particolar modo alla cultura occidentale – abbia potuto scoprire il valore della persona umana nella sua dignità infinita e in particolare il valore della persona umana femminile, grazie alla fede cristologica e alla confessione di fede relativa al dogma mariano della maternità di Dio.

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UDIENZE DI OGGI

 

Il Papa ha ricevuto nel corso della mattinata l’arcivescovo Renato Martino, neo presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; il prelato mons. Piero Monni, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione Mondiale del Turismo; e il presule francese mons. Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

"Dal Giubileo all'Anno del Rosario: una ininterrotta corona di preghiere e di gesti per la pace" è il titolo che, a tutta pagina, apre il giornale: di fronte ai conflitti e alle minacciose tensioni del momento, Giovanni Paolo II ha rinnovato, all'inizio del nuovo anno, l'appello ad invocare e costruire il bene più prezioso per l'umanità.

 

Nelle vaticane, il dettagliato resoconto degli avvenimenti legati alla celebrazione del "Te Deum", della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e della XXXVI Giornata mondiale della pace.

In occasione del "Te Deum", il Papa ha sottolineato che l'attenzione alle vocazioni, inserita all'interno della scelta di missione, costituisce la linea portante della vita e della pastorale della Chiesa di Roma.

All'Angelus, il Santo Padre ha esortato con forza i fedeli a "non smettere mai" di pregare per la pace.

Una pagina dedicata alla celebrazione della Giornata mondiale della pace nelle diocesi italiane.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: cinque palestinesi uccisi da militari israeliani.

Iraq: per Bush solo la pressione militare può indurre Baghdad al disarmo.

La Corea del Sud avvia una mediazione per fermare il programma nucleare di Pyongyang. 

 

Nella pagina culturale, un contributo di Angelo Marchesi dal titolo "Occorre una meditata riflessione per non cadere in immotivate improvvisazioni": considerazioni sulle sperimentazioni in atto per la nuova riforma scolastica in Italia. 

 

Nelle pagine italiane, in primo piano le reazioni al discorso di fine anno del presidente della Repubblica.

 

OGGI IN PRIMO PIANO

2 gennaio 2003

 

 

EVENTO STORICO NEL PROCESSO DI PACIFICAZIONE DEI BALCANI:

UN CONTINGENTE DI POLIZIA EUROPEA RACCOGLIE IL TESTIMONE DAI

CASCHI BLU DELL’ONU NELLA MISSIONE DI SICUREZZA IN BOSNIA-ERZEGOVINA

 

- Servizio di Alessandro Gisotti -

        

All’insegna dell’Unione europea: è iniziato così il nuovo anno per la Bosnia-Erzegovina impegnata a costruire un futuro di prosperità dopo gli anni bui della guerra che, tra il 1992 e il 1995, ha seminato morte e distruzione nel Paese balcanico. Ieri, un corpo di polizia europea, l’Eupm, ha preso le consegne dai 1500 caschi blu dell’Onu che negli ultimi sette anni – a seguito degli Accordi di Dayton – hanno garantito il consolidamento della sicurezza e della pace nella regione. La bandiera stellata su campo blu sventola così a Sarajevo accanto a quella della Bosnia e al vessillo delle Nazioni Unite. Un evento non solo simbolico che è stato salutato con grande soddisfazione a Bruxelles come nella capitale bosniaca. Il servizio di Emiliano Bos:

                  

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L’obiettivo politico dell’impegno diretto di Bruxelles in quest’area è quello di permettere il consolidamento della pace, superando definitiva-mente i traumi provocati dalla guerra in Bosnia, che provocò oltre 200 mila vittime e 2 milioni e mezzo di sfollati. Sul piano pratico la missione punta ad assistere e sostenere le autorità locali. Il compito è affidato a circa 500 ufficiali di polizia, 50 esperti civili e 300 dipendenti locali suddivisi in tre dipartimenti che avranno il proprio quartier generale a Sarajevo. L’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell’Unione Europea Javier Solana, ha sottolineato l’importanza strategica delle iniziative in Bosnia, che rappresenta, ha dichiarato un simbolo della volontà degli europei di promuovere la stabilità e la sicurezza in questa regione.

 

Per Radio Vaticana, Emiliano Bos.

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La missione in Bosnia - il cui mandato scade il primo dicembre del 2005 - segna dunque un salto di qualità nell’impegno dell’Unione europea per la stabiliz-zazione dei Balcani. Un aspetto, questo, che viene sottolineato dalla prof.ssa Maria Rita Saulle, docente di Diritto internazionale all’Università La Sapienza di Roma:

 

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R. – Più che la localizzazione di questa missione, è il fatto che si tratti di un’iniziativa che rientra nella politica di sicurezza e di difesa comune, dell’Unione Europea - la ‘Pesc’ - che stenta a decollare e che dovrebbe invece servire, giovare a rendere l’Europa coesa. E’ anche importante sul piano politico, della politica internazionale in particolare.

 

D. – La missione in Bosnia rappresenta, evidentemente, un test significativo per la politica continentale di difesa. L’Unione Europea sarà davvero all’altezza del compito, assumendolo in prospettiva anche nel vicino Kosovo?

 

R. – Si tratta di un fatto assolutamente innovativo: la presenza di 500 uomini può sembrare inizialmente esigua, ma se è vero che è un test, il test viene fatto con pochi elementi e poi dopo si vedrà, nel senso che si vedrà se sarà possibile ampliare questa iniziativa e se sarà possibile anche incrementarne la presenza.

 

D. – Per quanto riguarda, in prospettiva, il Kosovo?

 

R. – Indubbiamente, c’è contiguità tra questi Stati che un tempo formavano parte della Repubblica federale di Jugoslavia. Dal punto di vista territoriale, è facile dire: ‘Sì, certo’. Sebbene la situazione sia diversa tra la Bosnia e il Kosovo, indubbiamente si pensa in prospettiva che possa esserci un cambiamento nel momento in cui la Bosnia si rendesse assolutamente autonoma. Quando sarà in grado di autogestirsi, si potrebbe avere uno spostamento di questa forza da un Paese all’altro.

 

D. – L’Europa intensifica gli sforzi per garantire la sicurezza in Bosnia; ma quanto sta investendo nel progresso economico della regione?

 

R. – Allo stato attuale, la Bosnia ha delle strutture democratiche e la tendenza ad incrementare queste strutture, seppure con qualche difficoltà, di volta in volta evidenziate anche dai risultati delle ultime elezioni. C’è però la difficoltà a dare a questo Stato quel carattere di democrazia e di autonomia che contraddistingue uno Stato moderno. Tuttavia, non si può dire che ci troviamo in una situazione assolutamente negativa. Siamo in una fase di transizione che dovrebbe poi condurre la Bosnia ad autonomizzarsi e a presentarsi al mondo come una repubblica democratica secondo i principi che ormai sono consolidati da parte delle democrazie più antiche. Economia e democrazia spesso vanno di pari passo, là dove c’è una autogestione economica c’è un consolidamento dei valori democratici, e la Bosnia si trova in una situazione un po’ particolare: in questi anni dagli Accordi di Dayton, dal 1995 ad oggi, non è riuscita a creare condizioni di autonomia sotto il profilo economico, sebbene l’Unione Europea non sia stata ingenerosa nei confronti della Bosnia.

 

D. – Allargando l’orizzonte, nei confronti della nuova Unione Europea scaturita a Copenaghen, che ruolo potranno giocare gli Stati sorti dalla frantumazione della Jugoslavia?

 

R. – Occorre fare una riflessione, cioè ‘farli entrare’ o ‘tenerli fuori’ o ‘tenerli invece in anticamera’. Penso che la terza ipotesi, cioè di far fare un’antica-mera programmata che preveda una preparazione più sostanziale alla democrazia e al rispetto dei diritti umani per gli Stati che oggi non sono stati ancora ammessi, sia quanto mai necessario; estrometterli è estremamente pericoloso sul piano politico e non giova neanche alla politica dell’Unione Europea e all’economia dell’Ue. E’ necessario che l’Europa sia molto attenta, prodiga di consigli, rigida nelle richieste di democrazia ma non sbatta la porta in faccia a questi Stati.

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COSTRUIRE LA PACE E DARE UN’ANIMA ALL’EUROPA

L’IMPEGNO DEGLI 80 MILA GIOVANI DI VARIE CHIESE A CONCLUSIONE DEL 

25.MO INCONTRO EUROPEO PROMOSSO A PARIGI DALLA COMUNITA’ DI TAIZE’

- Intervista con Giuseppe Lanzi -

 

Ieri mattina Parigi ha salutato gli 80 mila giovani - ma c’è chi parla di 100 mila - che in questi giorni hanno invaso le strade, le chiese, le piazze per  il 25.mo appuntamento con la Comunità di Taizé fondata da frère Roger Schutz. Ricordiamo che questi giovani erano cattolici, ma anche luterani, anglicani, ortodossi, appartenevano cioè alle più diverse Chiese cristiane e  provenivano da 35 Paesi di tutta Europa, dall’Est all’Ovest e  non mancavano rappresentanze di africani, asiatici e americani. Quale l’impatto di questa fiumana di giovani sulla capitale francese, proprio a Capodanno, quando Parigi assume un volto ben diverso da quello della preghiera. Ci risponde il collega giornalista Giuseppe Lanzi, al microfono di Carla Cotignoli:

 

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R. - Parigi sicuramente è stata, in un certo senso, trasformata. Non vuol dire che non c’è stato il solito Capodanno, però, vedere un centinaio di chiese, sia a Parigi che sull’Ile de France, che festeggiano il Capodanno con una veglia di preghiera, con un momento di silenzio proprio nel momento del passaggio dell’anno, con questi canti di Taizé che risuonano veramente in tutta la città, è qualcosa che ha lasciato il segno.

 

D. – Quale l’eco della stampa?

 

R. – Direi che la stampa cosiddetta laica, si chiede sempre, quando vede questi giovani, perché dei giovani accettano di passare le loro vacanze, invece che in momenti di festa e di svago, in cinque giorni di forte riflessione e pre-ghiera. Non dimentichiamoci che Parigi è rimasta scioccata dall’evento che fu la Gmg nel ’97, l’incontro di queste centinaia di migliaia di giovani insieme al Santo Padre e quindi in un certo senso, erano un po’ più preparati, ma si vede ancora molta sorpresa.

 

D. – A Parigi c’erano giovani di tutta Europa, oltre la metà provenivano dall’Euro-pa orientale. Quale messaggio e quale testimonianza hanno dato in questo momento storico in cui si sta davvero costruendo la casa comune europea?

 

R. – Credo che i giovani abbiano preso coscienza di due cose: la prima che l’Europa la si costruisce nel piccolo, ciascuno di noi deve prendere delle responsabilità, degli impegni concreti nella sua realtà, e poi credo che loro - forse più delle generazioni che già hanno fatto tanto per l’Europa, quelle che hanno portato ad avere una moneta comune - credo che i giovani si stiano rendendo conto che a questa Europa bisogna dare un’anima, senza la quale non si può veramente parlare di casa comune europea. Sono stati quasi inviati in missione nei loro paesi e nelle loro parrocchie, come fermenti di pace. Spesso è stato citato Sant’Ambrogio: “se tu vuoi costruire la pace nel mondo, devi costruirla in te stesso per poi essere segno di pace. E credo che in questo, i giovani abbiano veramente letto un impegno nella costruzione dell’Europa.

 

D. – I giovani in genere sono l’indicatore più significativo delle linee di tendenza che si profilano in questo nuovo millennio. Quali tratti emergono dalle mani-festazioni di questi giorni?

 

R. – Innanzitutto voglio sottolineare che questi giovani sono gli stessi giovani che vediamo regolarmente nelle nostre parrocchie, nelle discoteche, nelle piazze, nelle scuole, sono dei giovani assolutamente normali. A loro  però, mi sembra di poter dire,  che non  basta più che venga detto cosa devono fare, ma vogliono veramente prendere in mano la situazione. La cosa che anche personalmente mi ha colpito di più durante questo incontro, è questa voglia di dire la propria, senza la pretesa di avere la soluzione. Forse la consapevo-lezza di dover lavorare nel piccolo per poter modificare il grande, può aiutarli in questo impegno che sicuramente non è semplice.

 

D. – Tu descrivevi questi momenti di silenzio assoluto e quindi di preghiera profonda, il che vuol dire che questa nuova consapevolezza delle loro responsabilità nel costruire la società ha radici profonde, ha radici in Dio..

 

R. – Credo proprio di si. Di fronte a quel silenzio, ho visto colleghi giornalisti che rimanevano scioccati. Noi siamo abituati a vedere 80, 100, 200 mila persone, ma siamo abituati a vederle urlanti, magari pericolose, immagino gli stadi, i grandi concerti rock. Invece vedere 80 mila giovani oranti pone delle domande, cioè, questo silenzio è un silenzio attivo, è consapevolezza che la preghiera è qualcosa di concreto anche per la costruzione della società e per la ricerca della pace. Credo che questi giovani qualcosa da dire la abbiano davvero.   

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CHIESA E SOCIETA’

2 gennaio 2003

 

 

 

E' UNA RESPONSABILITÀ DEI PAESI PIÙ AVANZATI IMPEGNARSI

PER DIFFONDERE BENESSERE, SICUREZZA, GIUSTIZIA,

LADDOVE ESSI NON SONO OGGI GARANTITI'':

LO SOTTOLINEA OGGI IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA,

CARLO AZEGLIO CIAMPI, IN RISPOSTA AL MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II

PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE CELEBRATA IERI

 

ROMA. = Ispirato dal messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della pace, celebrata ieri, il presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, ha inviato oggi una nota di risposta rallegrandosi per la  “rinnovata e così autorevole sollecitazione a perseguire la costruzione di un ordine internazionale fondato sul riconoscimento dei valori universali della pace, della giustizia e dei diritti umani.” “E' significativo - sottolinea Ciampi - che il messaggio sia  quest'anno dedicato a Papa Giovanni XXIII: il suo insegnamento, a quarant'anni dall'enciclica Pacem in Terris, resta valido ed  attuale. La compiuta applicazione dei valori sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite è una grande sfida del nostro tempo''. ''In questo quadro - si legge ancora nel testo -, la lotta alla povertà è, al tempo stesso, uno strumento d'elevazione ed un obiettivo. Il raggiungimento, in tutti i Paesi, dei livelli indispensabili di salute e di istruzione, lo sviluppo sostenibile del Pianeta, sono traguardi alla portata della comunità internazionale.  La dichiarazione del Millennio e la conferenza di Monterrey ne hanno ribadito l'importanza cruciale. E' una responsabilità dei Paesi più avanzati impegnarsi per diffondere benessere, sicurezza, giustizia, laddove essi non sono oggi garantiti''. ''Queste responsabilità - osserva il presidente della  Repubblica - sono ben presenti all'attenzione dei popoli europei: con  l'approvazione, a suo tempo, della Carta dei Diritti Fondamentali e con il suo prossimo inserimento nella Costituzione dell'Unione  Europea, vengono riaffermati in maniera solenne i valori comuni che uniscono i popoli dell'Unione”. Ciampi conclude confermando la sua “riconoscenza” al Papa “per aver posto la cultura della pace e dei diritti  dell'uomo al centro dei rapporti tra i popoli”  e “sicuro di interpretare i sentimenti profondi del popolo italiano” rivolge infine a Giovanni Paolo II “un augurio fervido e sincero per la prosecuzione del suo apostolato nel mondo''. (R.G.)

 

L’EVANGELIZZAZIONE PROFETICA DELLA CULTURA E LE SFIDE DELLA GRANDE CITTA’ : TEMI AL CENTRO DEL PIANO PASTORALE 2003-2005 DELL’ARCIDIOCESI

DI SANTIAGO DEL CILE, ELABORATE DALL’ARCIVESCOVO DELLA CAPITALE CILENA

 

SANTIAGO. = 50 pagine suddivise in 4 capitoli, tutte incentrate sull’evangeliz-zazione profetica della cultura e sulle sfide che presenta la grande città. Sono le “Linee pastorali 2003-2005” dell’arcidiocesi di Santiago del Cile, siglate dal cardinale Francisco Javier Errazuriz Ossa. Alla sezione introduttiva fa seguito lo Sguardo sulla realtà culturale ed ecclesiale, le Sfide pastorali e le proposte di evangelizzazione per i prossimi tre anni. “La fonte principale che ha ispirato la nostra proposta è il IX Sinodo della Chiesa di Santiago” spiega il porporato nella presentazione aggiungendo che nel documento è evidente la piena sintonia con le indicazioni dettate dal Santo Padre per quel che riguarda la Chiesa in America e con gli stessi Orientamenti pastorali di tutti i vescovi cileni. “Non si tratta in realtà di un piano pastorale” specifica il cardinale Errazuriz “bensì di lineamenta, giacché ciascuna parrocchia, scuola, movimento e organismo dovrà elaborare un proprio programma per i prossimi tre anni”. (D.D.)

 

 

OGGI L’ANNUNCIO SUI MEDIA UFFICIALI DI PECHIN0: ENTRO LA META’ DEL 2003

LA CINA LANCERA’ NELLO SPAZIO I SUOI PRIMI ASTRONAUTI

 

PECHINO.= La Cina lancerà la sua prima nave spaziale con astronauti a bordo nella seconda metà di quest’anno. Lo hanno annunciato oggi i mezzi  d'informazione ufficiali di Pechino, sottolineando che la Cina diventerà così il terzo Paese a mandare nello spazio esseri umani con mezzi propri dopo Russia e Stati Uniti. Il quotidiano ufficiale “China Daily” ha affermato - citando il   direttore del Centro aerospaziale di Shanghai Yuan Jie - che i preparativi per la prima missione di astronauti cinesi nello spazio sono giunti alla fase finale dei test.     Nel corso del suo programma spaziale, la Cina ha già lanciato nello spazio, senza equipaggio, navicelle concepite per ospitare esseri umani. Il quarto lancio della serie è avvenuto lunedì scorso, in quello che probabilmente è l'ultimo test prima che Pechino mandi in orbita il suo primo astronauta. Shenzhou IV, il cui nome significa “Nave divina” – come hanno spiegato i media di Stato - è già in orbita intorno alla Terra e vi resterà per alcuni giorni prima di rientrare. La prima navicella della serie era stata lanciata nel 1999. (R.G.)       

 

 

SARANNO PRESTO COLLEGATE VIA INTERNET LE 47 DIOCESI

DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, GRAZIE AL NUOVO SITO WEB

CHE RISPONDE ALL’INDIRIZZO WWW.CENCO.CD., REALIZZATO DAL SERVIZIO COMUNICAZIONI SOCIALI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE CONGOLESE

 

KINSHASA. = E’ a buon punto il nuovo sito web dei vescovi della Repubblica Democratica del Congo. Realizzato dal Servizio dei mezzi di comunicazione sociale dipendente dalla Commissione episcopale per l’evangelizzazione, il nuovo portale rientra nell’ambito di un grande progetto volto a rendere accessibili a tutte le diocesi del Paese le moderne tecnologie della comunicazione e dell’informazione. L’obiettivo principale, spiega il direttore del servizio padre Marcel Ndala, missionario di San Paolo, è di usare questi nuovi strumenti per l’evangelizzazione, ma anche di “informare rapidamente i fedeli, i sacerdoti e i vescovi sulla vita della Chiesa nella Rdc, le sue prese di posizione nel contesto socio-politico del nostro Paese. In altre parole di fare conoscere la sua azione pastorale”. “A breve termine – precisa il sacerdote intervistato dall’agenzia cattolica Dia – ci proponiamo di collegare tutte le 47 diocesi congolesi al satellite. Questo ci permetterà di avere a nostra disposizione una rete cattolica, con un servizio Internet, di posta elettronica e telefonico”. A medio termine invece c’è la creazione di una televisione nazionale cattolica. Alla realizzazione del sito, che risponde all’indirizzo http://www.cenco.cd, sono stati invitati a partecipare tutte le componenti della Chiesa congolese, in particolare le commissioni diocesane per i mezzi di comunicazione sociale, ma anche le varie comunità religiose presenti nel Paese. Quanto al contenuto, il sito “metterà a disposizione dei fedeli tutti i documenti accessibili della Chiesa cattolica”. Esso vuole inoltre essere una delle “voci ufficiale della Conferenza episcopale”. La home page si apre con un’intestazione rossa, che simbolizza la vita, con al centro diverse foto di siti religiosi cattolici del Paese, a sinistra la bandiera nazionale e a destra la croce kongo ispirata a quelle portate nel XV secolo dai missionari portoghesi nella regione. Sotto all’intestazione a sinistra vi è una colonna con tutte le voci cliccabili  relative alla Chiesa nella Rdc: la Conferenza nazionale dei vescovi congolesi (Cenco) e le sue attività, le varie commissioni episcopali, l’annuario della Chiesa locale, archivi storici e collegamenti con l’Aceac, l’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa Centrale, che comprende anche la Rdc. In questa sezione è indicata anche l’e-mail del Servizio dei mezzi di comunicazione sociale. La colonna a destra comprende invece notizie dalle diverse diocesi, links con i principali istituti educativi cattolici del Congo e i media della Cenco, tra cui la stessa agenzia Dia.

 

 

CAMBIO DELLA GUARDIA AL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU:

SONO USCITI DAL PRIMO GENNAIO COLOMBIA, IRLANDA, MAURITIUS, NORVEGIA E SINGAPORE E SONO ENTRATI ANGOLA, CILE, GERMANIA, PAKISTAN E SPAGNA

 

WASHINGTON. = Cambio della guardia, nel Consiglio di Sicurezza  dell'Onu: A partire dal 1 gennaio sono usciti cinque membri non permanenti, che hanno  esaurito il loro mandato di due anni, e ne sono entrati altri cinque. Paesi uscenti sono la Colombia, che ha fatto in tempo ad esercitare a dicembre un contestato turno di presidenza del Consiglio, l'Irlanda, le Mauritius, la Norvegia e Singapore.     A loro, sono subentrati Angola, il Cile, la Germania, il Pakistan e la Spagna, che si aggiungono ai cinque Stati membri permanenti, ovvero Stati Uniti, Gran   Bretagna, Francia, Russia e Cina e agli altri cinque membri non permanenti che sono alla metà del loro mandato di due anni: Bulgaria, Camerun, Guinea, Messico e Siria. Da rilevare che nel periodo cruciale per la crisi irachena, questo gennaio ed il prossimo febbraio, la presidenza di turno, che ruota ogni mese, sarà esercitata dalla Francia e poi dalla Germania, due Paesi della Nato e alleati degli Stati Uniti, ma che hanno già espresso obiezioni all’ipotesi di una guerra contro l'Iraq. A marzo, quindi, la presidenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu andrà alla Guinea. (R.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

2 gennaio 2003

 

 

- A cura di Giada Aquilino e Amedeo Lomonaco -

 

Non si ferma il lavoro degli ispettori sul disarmo iracheno, giunto ormai al 34.esimo giorno. Gli esperti dell’Onu e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica hanno visitato oggi 5 siti in tutto l’Iraq. E il capo degli specialisti, lo svedese Hans Blix, potrebbe andare a Baghdad tra il 18 ed il 20 gennaio per colloqui con i dirigenti iracheni. Ma proprio dal regime di Saddam Hussein giungono nuove accuse a Washington: il vicepremier Tareq Aziz ha affermato che gli Stati Uniti “proseguono i loro preparativi per una guerra di aggressione, nonostante l’Iraq cooperi con gli esperti dell'Onu”. A New York, comunque, i commenti ai risultati delle ispezioni in Iraq non sono preludio ad attacchi imminenti:

 

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Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha detto che al momento non c’è motivo per scatenare una guerra, tenendo conto della collaborazione che Baghdad sta offrendo ai controlli. Il Pentagono però ha ordinato ad una intera divisione di fanteria, con circa 15mila uomini, di preparasi a raggiungere il Golfo Persico, oltre a due portaerei e due gruppi anfibi. Nello stesso tempo, il presidente Bush ha continuato ad alzare la tensione, dicendo che un presunto attacco da parte irachena, magari in collaborazione con qualche gruppo terroristico, potrebbe distruggere l’economia americana, giustificando, quindi, il possibile intervento con un argomento che tocca da vicino l’opinione pubblica. Il capo della Casa Bianca, invece, parlando di un’altra situazione di crisi, ha ribadito che la Corea del Nord rappresenta un problema diplomatico e non militare. L’anno intanto è cominciato con un nuovo raid dei caccia anglo-americani in pattugliamento sull’Iraq, che ha colpito una postazione radar nella zona di interdizione al volo nel sud del Paese: l’attacco, secondo le autorità di Baghdad, avrebbe ucciso un civile.

 

Da New York, per Radio la Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Con l’inizio del 2003, è cominciato anche il semestre di presidenza greca dell’Unione europea, preceduto dal tour in 14 capitali del premier Kostas Simitis, per presentare l’agenda dei lavori. Il governo di Atene – che subentra a quello di Copenaghen – ha auspicato una maggiore unità dei Quindici sulla politica estera, a cominciare dalla crisi irachena.

 

Esercitare una pressione politica sulla Corea del Nord per tentare di impedire l'aggravarsi della crisi fra Pyongyang e gli Stati Uniti, dopo la ripresa della corsa al riarmo nordcoreano. Questo il senso dell’incontro di oggi a Pechino fra il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, e il viceministro degli Esteri della Corea del Sud, Lee Tae-shik. Le autorità di Pechino e Seul tentano così di smorzare la tensione, riacutizzatasi dopo la decisione di Pyongyang di smantellare gli strumenti di controllo sulle centrali nordcoreane per la produzione di plutonio e di espellere dal Paese gli ispettori dell'Aiea, l'Agenzia dell'Onu per l'energia atomica.

 

Il governo israeliano si è impegnato a sbloccare il pagamento del debito nei confronti dei palestinesi, purché i fondi dovuti – che ammontano ancora a circa 600 milioni di dollari – non vengano utilizzati per attività terroristiche. Il rispetto degli accordi verrà monitorato dall’amministrazione statunitense. Intanto, il 2002 si è chiuso con la violenza e allo stesso modo si è aperto il 2003: nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania si sono susseguiti gli scontri. Il servizio di Graziano Motta:

 

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Cinque i palestinesi uccisi tra ieri e la scorsa notte: tre nella Striscia di Gaza erano giovanissimi e tentavano di infiltrarsi negli insediamenti agricoli ebraici di Elei Sinai. Alcune ore dopo, nel contesto della politica di pressione costante sugli attivisti della rivolta, forze blindate israeliane appoggiate da elicotteri sono penetrate nei campi profughi di Nusseirat e di Bureij, nel centro della Striscia, per compiervi perquisizioni e arresti. Le altre due vittime in Cisgiordania, durante operazioni che hanno avuto come obiettivo sempre insediamenti ebraici. Un guerrigliero, che operava nella zona di Jenin, ha insospettito dei soldati perché portava una grossa borsa, che in effetti conteneva una bomba: è rimasto dilaniato dall’esplosione. Un altro uomo armato, riuscito a penetrare in una casa del villaggio di Maor, ha tentato di sparare contro una coppia di sposi: il guerrigliero è stato alla fine ucciso. Il clima di apprensione per una possibile guerra contro l’Iraq è caratterizzato dalla distribuzione di nuove maschere anti-gas e da manovre navali al largo di Haifa, con la partecipazione di unità israeliane, statunitensi e turche.

 

In questo contesto di tensioni, una speciale preghiera per la pace in unione con il Papa ha riunito ieri mattina a Gerusalemme, attorno al patriarca Sabbah, religiosi e fedeli della città e pellegrini della Chiesa di Francia guidati dall’arcivescovo di Bordeaux, mons. Jean Pierre Ricard, presidente della loro Conferenza episcopale.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Veniamo allo sciopero ad oltranza indetto in Venezuela, dal 2 dicembre scorso, contro il presidente, Hugo Chavez. L’opposizione ha annunciato ieri un rientro parziale della crisi, che non prevede, tuttavia, l’abbandono della “disobbedienza civile”. Questa scelta, secondo quanto ha riferito uno dei leader dell’opposizione, Americo Martin, è tesa ad “evitare la violenza per puntare, invece, alla via elettorale”.

 

Il 2003 in Brasile si è aperto sotto il segno dell’ex sindacalista Luiz Inacio Lula da Silva che da ieri è ufficialmente il nuovo presidente del Paese. La cerimonia di insediamento ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di persone e di oltre cento delegazioni in rappresentanza dei governi di tutto il mondo. Lula, primo capo di Stato di sinistra della storia carioca, ha giurato fedeltà alla Costituzione ed ha indicato subito le priorità del suo governo: la lotta alla fame e la politica estera. Il servizio di Maurizio Salvi:

 

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Lula ha fatto riferimento alla nozione di “cambiamento” che – ha detto – “è il desiderio dei brasiliani che mi hanno votato”. Il presidente del Partito dei lavoratori è quindi entrato nel vivo del suo programma, sottolineando la necessità di avviare subito una campagna per vincere la fame nel Paese. “Nella sua storia – ha insistito il neo capo dello Stato – il Brasile è riuscito a sconfiggere la schiavitù, ha raggiunto l’indipendenza, ha creato industrie, prodotto oro e caffè, ma non ha potuto eliminare la fame. Questo – ha sottolineato – non può più continuare”. Più tardi, davanti ad una folla che lo aveva atteso per tutta la giornata, Lula ha rinnovato i suoi impegni etici, assicurando: “non mentirò mai” e “vi dirò francamente quando non potrò fare qualcosa”. Evocando ancora una volta l’esigenza, per ogni brasiliano, di mangiare tre volte al giorno, il neopresidente ha sostenuto che questo è scritto nella Costituzione e nella Bibbia. Ora le sfide che attendono Lula sono numerose: dare una risposta concreta ai 57 milioni di poveri che hanno rappresentato lo zoccolo duro del suo trionfo elettorale, realizzare una distribuzione della ricchezza più equa, ridurre il 20 per cento di disoccupati e l’enorme debito estero.

 

Maurizio Salvi per la Radio Vaticana.

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In Costa d’Avorio, in una zona controllata dai ribelli, ieri sono stati uccisi dodici civili durante un bombardamento delle forze governative. La Francia ha condannato con fermezza l’offensiva degli uomini del presidente ivoriano Gbagbo, specificando che “l’attacco è stato condotto da almeno un elicottero di fabbricazione sovietica contro il villaggio di pescatori di Menakro, a 50 chilometri dalla linea di cessate il fuoco”. I francesi hanno pure dichiarato che non permetteranno l’arrivo dei ribelli a Duekoue. Attualmente i rivoltosi si trovano a 200 chilometri da San Pedro, città portuale dove viene caricato il 20% della produzione mondiale di cacao.

 

Ancora scontri in Sudan. I gruppi ribelli accusano le forze governative di aver lanciato un attacco violando il “cessate il fuoco” in atto. Secondo i ribelli, 1500 soldati avrebbero bombardato insediamenti civili, bruciato villaggi e saccheggiato bestiame nei pressi della città di Tam, 420 chilometri a sud dalla capitale Karthoum. Durante l’offensiva – hanno dichiarato i ribelli - sarebbero stati uccisi dodici uomini delle forze militari governative.

 

Il governo dello Zimbabwe ha decretato un’amnistia con effetto immediato per 3.600 prigionieri. Secondo dati diffusi dalla radio di Stato, attualmente i detenuti sono 24.500, contro i 16.000 consentiti dal regime carcerario. Negli ultimi giorni una campagna stampa aveva denunciato carenze alimentari in tutti i penitenziari del Paese africano.

 

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