RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 46 - Testo della Trasmissione sabato 15 febbraio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Ricevuti dal Papa, in visita ad Limina, i vescovi di Gambia, Liberia e Sierra Leone, Guinea Equatoriale e Guinea Conakry.

 

Telegramma di cordoglio di Giovanni Paolo II alle vittime dell’attentato terroristico in Colombia che ha provocato 16 morti.

 

Stamani, a Baghdad, colloquio tra il cardinale Roger Etchegaray e il presidente Saddam Hussein sulla crisi irachena. Ne parliamo con il porporato.

 

Da oggi accessibili, negli Archivi vaticani, i documenti sui rapporti tra Santa Sede e Germania. Intervista a P. Sergio Pagano.

 

“La ricerca biomedica per una visione cristiana” al centro della nona Assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita, in programma dal 24 febbraio.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il vice-premier iracheno Tarek Aziz in preghiera questa mattina ad Assisi. Ci riferisce Pinto Ostuni.

 

A Roma e nel mondo milioni di persone in piazza contro la guerra in Iraq.

 

Ieri sera, a Roma, veglia di preghiera organizzata da movimenti e associazioni di ispirazione cristiana.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Anche l’ Ong dei salesiani, condanna un eventuale intervento militare in Iraq.

 

Stephen Lewis, inviato dell’Onu in Africa per il problema dell’Aids, ha presentato il rapporto a conclusione della sua recente missione.

 

Dalla ricerca sui conflitti, curata dalla Caritas italiana in collaborazione con “Famiglia cristiana” e il “Regno”, è emerso che il 93 per cento delle vittime di guerra sono stati dei civili.

 

La nuova campagna contro i trafficanti di droga, iniziata lo scorso primo febbraio in Thailandia, ha mietuto finora almeno un centinaio di vittime.

 

Si è aperta oggi a Milano la Borsa Internazionale del turismo di scena.

 

24 ORE NEL MONDO :

Il primo risultato tangibile dopo la relazione, al Consiglio di Sicurezza, dei capi ispettori per il disarmo iracheno è la concessione di altre due settimane per proseguire nei controlli.

 

Yasser Arafat annuncia la nomina di un primo ministro che lo affianchi alla guida del suo popolo. Nella striscia di Gaza proseguono le violenze.

 

La guerriglia colombiana insanguina il Paese con una serie impressionante di attentati e violenze.

 

In Congo-Brazaville è allarme sanitario per una nuova epidemia di Ebola: oltre una cinquantina i morti.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

15 febbraio 2003

 

 

L’IMPEGNO PER LA PACE E LA RICONCILIAZIONE E LA CENTRALITA’ DELLA

 FAMIGLIA NELLA SOCIETA’ AFRICANA, TEMI FORTI DEL DISCORSO

DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI DI GAMBIA, LIBERIA E SIERRA LEONE,

 RICEVUTI STAMANI AL TERMINE DELLA VISITA AD LIMINA

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

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Il “cammino della pace è sempre difficile”, ma con “l’impegno e la buona volontà” è possibile costruire “una cultura di rispetto e dignità”. E’ la riflessione offerta, stamani, da Giovanni Paolo II ai vescovi di Gambia, Liberia e Sierra Leone, ricevuti al termine della Visita ad Limina. Il Papa ha messo l’accento sulla difficile condizione in cui versano questi Paesi africani, spesso teatro di sanguinosi conflitti. La Chiesa, ha detto, che “tanto ha sofferto durante queste guerre deve mantenere una posizione forte per proteggere coloro che non hanno voce”. I presuli, ha proseguito, sono allora chiamati a “lavorare senza sosta per la riconciliazione” di cui devono essere “testimoni autentici”, attraverso “gesti di solidarietà a sostegno delle vittime di decenni di violenze”. Non ha poi mancato di rivolgere un pensiero speciale ai milioni di rifugiati e sfollati della zona, vittime di guerre ma anche afflitti da disastri naturali e da uno sviluppo socio-economico rivelatosi spesso inadeguato.

 

Il Papa si è quindi soffermato sulla centralità della famiglia nella cultura africana. Sfortunatamente, ha constato, il Vangelo della vita “fonte di speranza e stabilità” viene minacciato in questi Paesi dalla “diffusione della poligamia, del divorzio, dell’aborto, della prostituzione” e da una cultura della contraccezione. Proprio questi fattori, ha rilevato, “contribuiscono a quell’immorale e irresponsabile attività sessuale” che porta alla diffusione dell’Aids. Una pandemia che, non solo sta distruggendo la vita di tante persone, ma minaccia la stabilità economica e sociale dell’intero continente. Di qui, l’esortazione del Papa a “difendere la santità della famiglia e il suo ruolo preminente nella società africana”. Un compito, ha avvertito, che non richiede solamente l’educazione dei giovani, ma anche che la Chiesa sia sempre in prima linea nel sostenere gli sforzi per promuovere un “autentico rispetto della dignità e dei diritti delle donne”. Rivolgendo, inoltre, l’attenzione ai rapporti tra comunità cristiane, religioni tradizionali e Islam, il Santo Padre ha indicato la necessità di “un’attitudine di mutuo rispetto che sappia evitare l’indifferenza religiosa e il fondamentalismo militante”.

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IN GESU’ CRISTO LA RISPOSTA ULTIMA ALLE LEGITTIME ASPIRAZIONI DEL POPOLO

AL RISPETTO DELLA SUA DIGNITA’ E DEI SUOI DIRITTI INALIENABILI.

COSI’ IL PAPA AI VESCOVI DELLA GUINEA EQUATORIALE

RICEVUTI QUESTA MATTINA IN VISITA AD LIMINA

 

“Dedicare le migliori energie per annunciare il Vangelo”. E’ questo il rinnovato invito del Papa ai vescovi delle tre diocesi della Guinea Equatoriale ricevuti questa mattina in visita ad Limina. Il piccolo Paese dell’Africa nord occidentale conta poco più di 400 mila abitanti, per il 90 per cento cattolici. E’ al 135.mo posto nella scala mondiale dell’indice di sviluppo. Servizio di Carla Cotignoli.

 

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Il Santo Padre, sin dalle prime battute, ha dato voce alle legittime aspirazioni del popolo della Guinea Equatoriale al “rispetto della sua dignità e dei suoi diritti inalienabili”. Ed ha aggiunto: “Solo in Gesù Cristo potrà incontrare la risposta ultima ai suoi interrogativi più profondi”.

 

Il Papa non ha ignorato la storia passata che ha lasciato ”conseguenze dolorose i cui effetti negativi – ha detto – attendono di essere sanati tanto nel campo ecclesiale che sociale”. La Guinea equatoriale è infatti una ex colonia spagnola che solo nel 1968 ha raggiunto l’indipendenza dando inizio ad un difficile cammino verso la conquista dei diritti democratici. “Siate sempre ministri di riconciliazione”, ha detto il Papa. “Il perdono – ha ricordato – non è incompatibile con la giustizia”. E qui il Santo Padre ha esortato i vescovi a valorizzare lo specifico ruolo dei laici, chiamati ad essere  “fermento nella massa e a promuovere i valori umani e cristiani in armonia con la realtà politica, economica e culturale del Paese, per instaurare un ordine sociale sempre più giusto e equo”.

 

Di fronte poi alla scarsità di sacerdoti, Giovanni Paolo II ha incoraggiato i vescovi a promuovere la pastorale vocazionale. Ha richiamato la loro “responsabilità ineludibile” nell’accettare per l’ordinazione sacerdotale solo i candidati animati “unicamente dal desiderio di seguire Gesù e non da ambizioni ambigue o da interessi materiali”. Il Papa ha poi avuto parole di riconoscimento verso i molti religiosi e religiose missionari di origine spagnola che animano le molte opere assistenziali e di evangelizzazione.

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COLTIVARE IL DIALOGO CON I MUSULMANI E CURARE LA SOLIDARIETA’ SOCIALE,

PER PERMETTERE UNA PIU’ EFFICACE INCULTURAZIONE DEL VANGELO.

LO HA DETTO IL PAPA AI VESCOVI DELLA GUINEA CONAKRY IN VISITA AD LIMINA

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Uno Stato a maggioranza musulmana, con una piccola comunità di cristiani che ha, tra i suoi imperativi, quello di “perseguire il dialogo” con i fedeli dell’Islam della bontà e della misericordia di Dio, “nel rispetto reciproco”. E’ questa una delle indicazioni principali data da Giovanni Paolo II ai vescovi della Guinea Conakry, ricevuti questa mattina a conclusione della loro visita ad Limina. Al Papa sono ben note le difficoltà poste all’evangelizzazione in un Paese segnato da un’endemica povertà, costretto nella morsa di un’economia stagnante e, viceversa, di una speranza di vita tra le più basse del pianeta. Ma anche un Paese, ha osservato il Pontefice, dove al predominio “di altre tradizioni religiose” si unisce quello dell’isolamento geografico di alcune comunità difficili da raggiungere. Ai presuli, dunque, Giovanni Paolo II ha raccomandato un’attenzione particolare “all’inculturazione del messaggio evangelico”, riconoscendo nel contempo il grande lavoro già svolto dalla Chiesa locale nel campo dell’educazione, della solidarietà, della sanità e della promozione sociale. Il Papa ha anche invitato i cristiani della Guinea ad impegnarsi nella vita politica del Paese, forti “di una formazione dottrinale adeguata”. La minaccia delle sette religiose è stato un altro punto delicato toccato dal Pontefice. Per arginarla, ha affermato, è necessaria “un’attenzione rinnovata alla formazione dei catechisti”. Così come, ha soggiunto, va difesa la visione cristiana del matrimonio e della famiglia dalla pratica diffusa della poligamia.

 

Il Papa ha concluso esortando vescovi e clero all’unità reciproca ed ha dedicato uno sguardo sollecito ai malati di Aids e ai rifugiati provenienti dai Paesi limitrofi, sconvolti da conflitti intestini. “Vi esorto - ha affermato Giovanni Paolo II - a offrire loro l’assistenza materiale e pastorale necessaria”, come testimoni della carità di Cristo.

 

 

TELEGRAMMA DI CORDOGLIO DEL PAPA

PER LE VITTIME DELL’ATTENTATO A NEIVA, IN COLOMBIA

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Profondo cordoglio viene espresso da Giovanni Paolo II per le vittime di un attentato terroristico, che ieri ha scosso la città colombiana di Neiva, provocando 16 morti e decine di feriti. In un telegramma - a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano - indirizzato al vescovo di Neiva, mons. Ramon Dario Molina, il Pontefice esprime “riprovazione e ferma condanna” per questo nuovo atto di terrore in Colombia che ha causato la morte di “persone innocenti”. Queste azioni terroristiche, prosegue, “minano la pacifica convivenza” e offendono i sentimenti del popolo colombiano, “contrario alla violenza” e “amante della pace nella giustizia”. Mentre assicura la sua vicinanza spirituale alle famiglie delle vittime, il Papa prega affinché i feriti possano presto ristabilirsi. Al tempo stesso, esprime solidarietà alla comunità ecclesiale di Neiva, cosi provata da questo doloroso evento. D’altro canto, il Pontefice richiama i “responsabili di queste azioni esecrabili” a recedere da un “cammino di distruzione e morte che non porterà mai al progresso autentico del popolo della Colombia”.

 

 

COMPIERE OGNI POSSIBILE SFORZO PER GARANTIRE LA PACE

E PER RIPORTARE LA FIDUCIA IN CAMPO INTERNAZIONALE:

QUESTI I PUNTI AL CENTRO DELL’INCONTRO DI OGGI TRA

IL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY E SADDAM HUSSEIN

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Fare tutto il possibile perché la pace sia ristabilita e insieme con essa la fiducia in tutto il consesso internazionale. E’ questa la sostanza dell’importante e atteso incontro che stamattina, a Baghdad, ha visto di fronte il presidente iracheno, Saddam Hussein, e l’inviato di Giovanni Paolo II nello Stato mediorientale, il cardinale Roger Etchegaray. Il colloquio è iniziato questa mattina molto presto, alle 6.30 ora locale, le 7.30 in Italia, e si è protratto a lungo. Dopo l’udienza di ieri, concessa dal Papa al vicepremier iracheno Tarek Aziz - oggi ad Assisi, appuntamento del quale vi riferiremo più avanti – un nuovo passo distensione è stato compiuto, come conferma ai nostri microfoni lo stesso cardinale Etchegaray, raggiunto telefonicamente a Baghdad dal collega della nostra redazione francese, Jean-Charles Putzolu:

 

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R. – IL FAUT D’ABORD QUE TOUS PUISSENT COMPRENDRE QUE LE SENS DE MA ...

E’ necessario innanzitutto che tutti possano comprendere che il senso della mia missione a Baghdad è spirituale. E’ necessario tenere presente che la Chiesa ha un suo modo proprio di parlare di pace, di costruire la pace tra tutti coloro che stanno impegnandosi per lo stesso scopo, in queste giornate cruciali, con tanta tenacia. Mi preme rendere omaggio a queste persone. Giovanni Paolo II ha detto: “La Chiesa si fa portavoce - cito - della coscienza morale dell’umanità allo stato puro, di un’umanità che desidera la pace, di un’umanità che ha bisogno della pace”. Nel colloquio con il presidente Saddam Hussein abbiamo toccato questioni molto concrete che – come potrete comprendere – per ovvie ragioni non posso menzionare in questa sede. Posso dire però che abbiamo valutato in questo incontro se tutto sia stato fatto – da parte di tutti, peraltro: non soltanto in Iraq! – per garantire la pace, affinché questo possa ristabilire quell’atmosfera di fiducia che consenta a quel Paese di ritrovare il posto che merita nella comunità internazionale. Il popolo iracheno è stato al centro della nostra conversazione: tutto il popolo iracheno, nessuno escluso ed eccettuato. Io stesso ho potuto rendermi conto fino a qual punto il popolo iracheno aspiri ad una pace che sia giusta, in primo luogo, e quindi durevole. La Chiesa ha manifestato la propria solidarietà con questo popolo, che ha tanto sofferto fin dalla guerra Iran-Iraq e poi nel corso di questi 13 anni di embargo. Infine, a nome del Papa, ho osato lanciare un appello alla coscienza – perché è essa che conta, in definitiva – alla coscienza di tutti coloro che in queste giornate decisive hanno un qualche peso sull’avvenire della pace. Perché in definitiva è vero: sarà la coscienza, qualunque cosa accada, ad avere l’ultima parola. Credo che noi tutti stiamo impegnando ogni nostra forza e tutto il nostro tempo per aiutare l’Iraq ad affrontare le minacce che pesano così gravemente su di esso.

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Le parole dell’inviato del Papa in Iraq sono state accolte nella capitale irachena da un folto numero di giornalisti, inviati delle maggiori testate internazionali. Tra costoro, vi è l’inviato del Sole 24 ore, Alberto Negri, che commenta a caldo l’esito dell’incontro tra Saddam Hussein e il cardinale Etchegaray:        

 

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R. - Credo che l’azione diplomatica prodotta dalla Santa Sede abbia cercato soprattutto di tener vivo, e in qualche modo di rendere esplicito, ciò che l’Iraq deve compiere e deve approfondire per evitare una soluzione grave da parte americana. Si tratta di una missione diplomatica che tiene comunque viva la speranza di pace all’indomani della relazione del capo degli ispettori dell’Onu, Hans Blix: relazione che, in qualche modo, ha certificato che alcuni progressi sono stati fatti.

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DAL 24 AL 26 DI QUESTO MESE IN VATICANO, LA IX ASSEMBLEA GENERALE

DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA SUL TEMA:

“LA RICERCA BIOMEDICA PER UNA VISIONE CRISTIANA”

- A cura di Giovanni Peduto -

 

Le relazioni che verranno presentate durante l’assemblea sono il frutto del lavoro di un’équipe di relatori, svoltosi nei mesi scorsi. Verranno analizzati gli orientamenti della ricerca biomedica e ripresi i temi classici dell’argomento, come la sperimentazione nei suoi metodi e criteri di validità, l’etica della sperimentazione ed i comitati di etica. Ecco la domanda cruciale: quale dev’essere l’impegno dei ricercatori e dei politici credenti, perché gli obiettivi della ricerca rimangano centrati sul bene dell’uomo e per orientare questa capacità di produrre il bene dell’uomo verso una giustizia distributiva, che colmi il grande divario tra il mondo sviluppato e quello in via di sviluppo? A ciò vuole rispondere la prossima assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita, nella consapevolezza che la ricerca dovrà avere sì la sua globalizzazione, ma averla nel senso della ricerca del bene comune.

 

La Chiesa ha più volte fatto appello alla collaborazione dei ricercatori e degli scienziati per la soluzione dei problemi morali, come quello della procreazione responsabile e quello delle terapie della infertilità, nei documenti storicamente conosciuti come la Humanae Vitae ed Evangelium Vitae. E’ questo un segno del necessario dialogo tra scienza e fede e di una necessaria collaborazione tra il magistero ed i ricercatori credenti. La riflessione della nona Assemblea generale sarà dunque focalizzata su un punto nevralgico, non soltanto per la Chiesa, ma per tutta la società nel suo insieme. Un capitolo particolare è dedicato al contributo specificamente cristiano nell’ambito della ricerca biomedica e ai soggetti vulnerabili della ricerca su cui l’etica cristiana pone particolare attenzione e protezione.

 

Dall’insieme delle relazioni emergerà innanzitutto il fatto che la ricerca biomedica viene oggi identificata non solo come il principale impegno per il progresso della scienza medica e per il miglioramento delle cure della salute, a beneficio di tutta l’organizzazione sanitaria, ma anche come uno dei fattori principali del progresso economico di ciascun Paese. E’ un fatto che i Paesi sviluppati del mondo fondano la loro floridezza economica sulla ricerca scientifica, mentre i Paesi poveri, che sono la maggior parte, non possiedono una capacità interna ed endogena per la ricerca, mancando spesso persino dei presidi elementari per la sopravvivenza e la salute. E la Chiesa non può restare indifferente.

 

 

DA OGGI SONO RESI ACCESSIBILI NEGLI ARCHIVI VATICANI UNA PARTE IMPORTANTE

DEI FONDI DIPLOMATICI RELATIVI AI RAPPORTI TRA SANTA SEDE E GERMANIA

- Intervista di Luca Pellegrini con padre Sergio Pagano,

prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano -

 

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Nelle sale di studio dell’Archivio Segreto Vaticano sono molti gli studiosi che attendono di consultare alcuni preziosi documenti. Da oggi, infatti, vengono aperti e resi accessibili i cosiddetti “fondi diplomatici” concernenti i rapporti fra Santa Sede, Baviera e Germania. Si tratta dei documenti relativi alla corrispondenza tra le Nunziature a Monaco di Baviera e Berlino, contenuti negli archivi della Sezione dei Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato e nello stesso Archivio vaticano, relativi agli anni del Pontificato di Pio XI, ossia dal 1922 al 1939, vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Quali sono i motivi che hanno dettato questa importante apertura anticipata?. Lo abbiamo chiesto a padre Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano:

 

R. – Naturalmente, questa è una sovrana decisione del Pontefice. Si pensa che il Santo Padre sia stato consigliato, o abbia voluto in prima persona questa apertura - anche se di per sé, tecnicamente, non siamo ancora del tutto preparati - proprio per agevolare il clima di interesse e di studi attorno alla fine della Prima Guerra Mondiale e ai prodromi della Seconda Guerra Mondiale. Ma soprattutto per l’interesse attorno alla figura di Pacelli e, se si può dire ancora di più, ai rapporti fra Santa Sede ed il nazionalsocialismo nascente e poi affermatosi in Germania, in quel periodo.

 

D. – Un interrogativo ricorrente si leva non solo da parte dei ricercatori: l’accessibilità di questi fondi potrà cambiare qualche valutazione da parte della storiografia abituale, relativa a questo difficile e controverso periodo storico?

 

R. – Questo giudizio io preferirei lasciarlo agli storici, i quali avranno ora modo di studiare questi nuovi fondi che si apriranno e potranno farsi una cognizione a partire, naturalmente, dai documenti stessi. Per quanto ho potuto vedere sommariamente - preparando negli anni questa apertura, e quindi il lavoro dei miei colleghi intorno agli inventari che abbiamo dovuto redigere nei fondi della Nunziatura di Monaco, di Berlino e, naturalmente, della II sezione - non credo che si possano trovare rivelazioni eclatanti, in grado di rovesciare le acquisizioni storiografiche che già abbiamo. Direi, piuttosto, che ci saranno molti documenti di conferma e di ampliamento di conoscenza in merito a situazioni storiche che a grandi linee, sono già conosciute. Naturalmente, nessuno di noi può sapere che cosa è contenuto minutamente in queste centinaia di buste: ve ne sono a centinaia e quindi si tratta di milioni di documenti che vanno analizzati uno per uno. Quindi, in realtà, non si può escludere nessuna scoperta, come neanche si può però accreditarla troppo.

 

D. – La preparazione degli strumenti di ricerca da parte dell’Archivio - ossia inventari e indici, relativi ai nuovi fondi che si aprono - è ormai completata in vista del 2005, anno in cui sarà aperto tutto il materiale relativo al Pontificato di Pio XI. Sono, inoltre, già a disposizione degli studiosi alcuni preziosi strumenti di corredo, ossia un inventario analitico del fondo della Nunziatura di Baviera, che parte dal 1917 fino al 1925, quando vi rimase nunzio Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, oltre che l’inventario della Nunziatura di Berlino, sempre con Pacelli, sino ad arrivare al Nunzio Orsenigo, addirittura dopo la Guerra. Ma con una precisazione importante …

 

R. – Infatti, c’è da dire che nel ’43 i bombardamenti di Berlino, se non ricordo male nel dicembre del ’43, interessarono anche il palazzo della Nunziatura, con bombe al fosforo, e per la relazione stessa del nunzio Orsenigo, sappiamo che l’Archivio della Nunziatura di Berlino, purtroppo, fu distrutto in questi bombardamenti, per cui gli studiosi non possono attendersi nulla in quanto i documenti dal 1930-31 fino al ’42 mancano assolutamente.

 

Da parte dell’Archivio Segreto Vaticano il lavoro procede dunque paziente e meticoloso, al di fuori delle polemiche e dei tentativi di strumentalizzazione. Per permettere a tutti di conoscere e valutare sempre meglio la storia del XX secolo.

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Fin dai tempi apostolici, i Papi conservavano con cura le scritture che si riferivano all’esercizio della loro attività. La fragilità del materiale usato, tuttavia, fece sì che i documenti anteriori a Innocenzo III andassero quasi del tutto perduti. Con il moltiplicarsi degli uffici della Curia romana, si moltiplicarono anche gli archivi e, nel secolo XV, i documenti più preziosi furono collocati in Castel Sant’Angelo. L’idea di un archivio centrale della Santa Sede risale a Paolo V, i quale negli anni 1611-1614, con fondi tratti principalmente dalla Biblioteca segreta, dalla Camera apostolica, dalla “Guardarobba” e da Castel Sant’Angelo, istituì nel Palazzo apostolico vaticano un archivio che si unì ad alcuni altri precedenti, prendendo nome di “Archivio segreto vaticano”, il quale si andò man mano arricchendo di sempre nuovi fondi. Nel 1880, per volontà di Leone XIII, fu aperto alla libera consultazione degli studiosi e divenne così il centro di ricerche storiche più importante del mondo.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

“La forza della preghiera” è il titolo che apre la prima pagina: si sottolinea che “mai come in questo tempo denso di trepidazione, la ‘strategia’ della preghiera si rivela l'unica, concreta, credibile possibilità di costruire la pace”.

Il cardinale Etchegaray incontra Saddam Hussein a Baghdad; nessuna prova di violazioni sostanziali nel rapporto degli ispettori.

 

Nelle vaticane, nel discorso ai vescovi del Gambia, della Liberia e della Sierra Leone, Giovanni Paolo II ha sottolineato che la Parola di Dio è punto di partenza fondamentale per un dialogo con i seguaci delle religioni tradizionali e dell'Islam.

Nel discorso ai vescovi della Guinea Equatoriale, il Papa ha ricordato che la Chiesa veglia affinché nessuno violi la dignità della persona.

Ai presuli delle Guinea Conakry, il Santo Padre ha auspicato che le sfide dell'evangelizzazione ravvivino la coscienza missionaria della Chiesa.

I vescovi della Corea e le diocesi italiane in preghiera per la pace.

Un articolo di Graziano Motta sui 150 anni di storia del Seminario del Patriarcato latino di Gerusalemme.

 

Nelle pagine estere, il telegramma del Papa, a firma del cardinale Angelo Sodano, per il sanguinoso attentato in Colombia.

Un articolo di Francesco Follo dal titolo “L'Europa, la sua storia e il suo futuro. Il contributo del cristianesimo e delle altre religioni”.

Medio Oriente: reazioni positive alla ventilata nomina di un premier palestinese dopo la costituzione di uno Stato autonomo.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Giuseppe Costa su una mostra fiorentina, appena conclusa, dedicata alla storica rivista “Leonardo”.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica, con riferimento all'evolversi della crisi irachena.

I temi del lavoro e della sanità.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

15 febbraio 2003

 

 

IL VICEPREMIER IRACHENO AD ASSISI

PER IMPLORARE LA PACE PER IL MONDO E L’IRAQ.

OGGI, IN MOLTE CITTA’ DEL MONDO,

MANIFESTAZIONI E CORTEI PER IL “NO” ALLA GUERRA.

IERI, A ROMA, VEGLIA DI PREGHIERA NELLA CHIESA DEL GESU’

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Si è sviluppata imponente, in molte parti del mondo - dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda, da Baghdad a Londra - la mobilitazione dei pacifisti contro il rischio di una nuova guerra nel Golfo Persico. A partire da Assisi dove, questa mattina, intorno alle 11, è giunto Tareq Aziz. Dopo l’incontro di ieri con Giovanni Paolo II, il vicepremier iracheno è sostato in preghiera nella Basilica inferiore di San Francesco, accolto dal vescovo della cittadina francescana, Sergio Goretti, e dal custode del Sacro Convento, padre Vincenzo Coli. Aziz si è fermato in meditazione davanti alla tomba di San Francesco, ha detto di desiderare un incontro con il presidente americano Bush, ed ha affidato il suo auspicio di pace alle pagine del registro della Basilica con queste parole: “Possa Dio Onnipotente concedere la pace al popolo dell’Iraq e a tutto il mondo”. Il vicepremier iracheno ha anche acceso insieme alla comunità francescana la lampada della pace. Prima della cerimonia in Basilica, Tarek Aziz aveva fatto tappa nella chiesa di Santa Maria degli Angeli e alla Porziuncola. Giada Aquilino ha raccolto la testimonianza di uno dei religiosi presenti, padre Gianfranco Pinto Ostuni, portavoce dei frati minori:

 

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R. – Si sta vivendo un momento di preghiera, con lo spirito del pellegrinaggio che ha condotto questa personalità qui ad Assisi, sui luoghi francescani. Si spera che Francesco - che fu nella quinta Crociata colui che scavalcò la trincea per andare ad incontrare il sultano Malek el Kamil e ottenne poi da lui anche il permesso di poter visitare i luoghi santi, parlandogli molto francamente di Gesù Cristo e riuscendo a fare breccia in quel cuore e a fare quello che la violenza delle armi non era riuscita a fare – possa compiere anche quest’oggi un miracolo.

 

D. – Ma quale speranza si leva da Assisi per la visita di Aziz?

 

R. – L’unica speranza di tutti è questo desiderio che Saddam Hussein possa a sua volta rompere una trincea, aprire una strada, dare la possibilità – per quanto sia possibile da parte irachena – affinché si apra una via di pace.

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Dopo la cerimonia, Tarek Aziz è stato invitato a pranzo dai religiosi del Sacro convento. La sua agenda degli appuntamenti, però, resta fitta: al suo rientro a Roma, alle 18.30 di oggi, il vicepremier iracheno incontrerà nella sede dell’ambasciata dell'Iraq presso la Santa Sede alcuni rappresentanti di organizzazioni di ispirazione cristiana, tra cui le Acli, la Focsiv, Pax Christi, il Movimento dei Focolari, la Caritas, il Centro sportivo italiano, l’Agesci e la Compagnia delle Opere.

 

Ma la giornata di oggi, come si diceva, rappresenta anche il giorno delle voci contrarie al conflitto, che hanno preso possesso di piazze e strade in molte città italiane e straniere. A Roma, l’arcobaleno della bandiere con il “no” sta colorando alcune vie del centro capitolino, che dalla Piramide Cestia conducono a San Giovanni. Dalle cinque di stamattina a mezzogiorno, 26 treni speciali e un centinaio di pullmann hanno riversato su Roma centinaia di migliaia di manifestanti. A seguire l’evento c’è per noi Francesca Sabatinelli:

 

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Le bandiere per la pace stanno sfilando ormai da questa mattina presto in tutta Roma. Migliaia di persone in piazza, contro una guerra che non vogliono sia condotta in loro nome. Si chiede di dare una possibilità alla pace, di fermare la possibilità di un conflitto in Iraq, così come si chiedono pace e giustizia per il Medio Oriente. La giornata di oggi è stata definita uno dei più grandi momenti di azione globale contro la guerra. Manifestazioni si svolgono in centinaia di città e nelle capitali di una settantina di Paesi: la lista di mobilitazioni contro la guerra in Iraq si è allungata giorno dopo giorno.

 

E’ una coalizione, quella che sfila oggi a Roma, cresciuta dopo l’appuntamento di novembre al Social Forum di Firenze, dove a migliaia espressero la loro opposizione alla guerra. “Vogliamo dire a Bush ed ai suoi alleati - dicono i partecipanti - che la guerra all’Iraq non può essere condotta nel nome dei popoli sulla terra. E vogliamo anche ribadire che non siamo qui per spirito anti-americano”. Sono tantissime le realtà che prendono parte a questo appuntamento: famiglie, cittadini di ogni provincia d’Italia, partiti politici, associazionismo laico e cattolico, organizzazioni per i diritti umani, molte le comunità religiose e i gruppi confessionali. Un movimento forte, pacifico, unito, determinato perché a parlare sia solo la voce della pace. Una voce che chiede che sia il Consiglio di sicurezza ad assumersi la responsabilità di valutare le conseguenze che un intervento militare in Iraq avrebbe per i diritti umani e la situazione umanitaria.

 

I megaschermi che campeggiano a Piazza San Giovanni assicurano i collegamenti audio-video con le altre piazze del mondo: con Baghdad, Madrid, Atene, Londra e altre città. Le manifestazioni di oggi, è la speranza comune, cercano di essere un ulteriore modo per far pressione sui rappresentanti istituzionali, sui governi, per non partecipare e non collaborare a questa guerra preventiva.

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Un prologo a carattere religioso delle manifestazioni odierne si è avuto ieri pomeriggio, nella Chiesa romana del Gesù, dove si sono radunati per una veglia di preghiera moltissimi appartenenti ad organizzazioni e movimenti cattolici. Nel corso della veglia hanno preso la parola il vescovo Gianpaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, mons. Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni in Sierra Leone, Miriam Girardi, responsabile della comunità interconfessionale di Gerusalemme del Movimento dei Focolari. Altre testimonianze sono state offerte da un cristiano iracheno e da responsabili di Caritas, Pax Christi, Sant’Egidio ed altri organismi ecclesiali. Stefano Leszczinsky era presente per noi e ha raccolto alcune impressioni dei presenti:

 

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“Certamente nella preghiera i cristiani trovano ispirazione, forza, coraggio per essere testimoni e operatori della pace”.

 

Il terrorismo internazionale resta una minaccia reale che va combattuta anche attraverso lo sradicamento delle cause che lo producono, come la povertà, l’ignoranza ed il fanatismo. L’impegno per la pace – sottolinea Luigi Bobba, presidente delle Acli – non va interpretato come un sentimento anti-americano, ma come coerenza allo spirito del Vangelo:

 

“Una democrazia, anche una grande democrazia, come quella degli Stati Uniti, non si può confrontare con una dittatura: deve confrontarsi attorno a quei valori che la costituiscono, e questi valori sono quelli che sono nati anche dalla difesa e promozione della libertà, dalla difesa e promozione dei diritti della persona e soprattutto dalla possibilità di costituire, attraverso gli organismi internazionali, una strada per la pace”.

 

La scelta della pace richiede il coraggio di esporsi, come sottolinea mons. Biguzzi, vescovo di Makeni, in Sierra Leone:

 

“La pace è possibile, se la si vuole, se la si cerca, se ci si espone anche al rischio di essere accusati di collaborazionismo con questo o con quello, se si accetta il rischio e si va avanti con idee ben chiare, credo che si possa ottenere la pace anche in questo mondo”.

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CHIESA E SOCIETA’

15 febbraio 2003

 

 

“NON SIAMO DISPOSTI AD ACCETTARE CHE I CONFLITTI SIANO CHIAMATI

AZIONE PREVENTIVA. SONO OMICIDI DI MASSA”. CON QUESTE PAROLE

L’ONG DEI SALESIANI “VOLONTARIATO INTERNAZIONALE PER LO SVILUPPO”

CONDANNA CON UN COMUNICATO UN EVENTUALE INTERVENTO MILITARE IN IRAQ

 

ROMA. = Anche il Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis), l’organismo non governativo promosso dal Centro nazionale delle Opere salesiane, aggiunge la propria voce al coro di chi dice “no” alla guerra in Iraq. Il Vis spiega con un comunicato la propria posizione: "Non siamo disposti – si legge nel testo - ad accettare che i conflitti siano chiamati lotta al terrorismo o azione preventiva per spostare l’attenzione del pubblico dal fatto che si sta perpetrando un omicidio di massa in nome della sicurezza per l’umanità". Per questo il Vis, insieme al movimento giovanile salesiano, parteciperà oggi alla giornata europea contro la guerra, aderendo alla grande manifestazione di Roma. "Non siamo disposti ad accettare i morti delle guerre silenziose, le vittime non riprese dai media internazionali, il sacrificio dei più deboli a causa degli embarghi e la quotidiana strage di innocenti", sostiene ancora il Vis. "Non possiamo accettare – aggiunge l’ong dei salesiani - l’umiliazione del diritto internazionale e l’oscuramento della volontà mondiale di pace". Queste considerazioni nascono dall’esperienza di un organismo che da quasi venti anni è impegnato quotidianamente in prima linea, a fianco dei popoli del Sud del mondo, nella lotta contro la morte di milioni di bambini per fame. "Siamo sempre più convinti – prosegue il documento - che solo un autentico processo di sviluppo umano può costruire le basi di una solida e duratura pace". "Bisogna trovare – termina il comunicato - un disegno politico che rimuova quell’humus di disperazione che genera conflitti ed odio in tanti Paesi del mondo". (A.L.)

 

 

SOLLECITATE ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE LE RISORSE PER INTERVENIRE

CONTRO LA PIAGA DELL’AIDS DALL’INVIATO DELL’ONU IN AFRICA, STEPHEN LEWIS,

CHE HA PRESENTATO IL RAPPORTO A CONCLUSIONE DELLA SUA MISSIONE IN AFRICA MERIDIONALE

 

NEW YORK. = L’inviato speciale del segretario della Nazioni Unite per l’Hiv/Aids in Africa, Stephen Lewis, ha tenuto giovedì scorso una conferenza stampa nella quale ha presentato il rapporto sulla sua recente missione in Malawi, Zambia, Zimbawe e Lesotho. “La principale causa della crisi di quelle aree – ha dichiarato Lewis - è l’Aids. C’è stato un grande dibattito sulla siccità, ma un nuovo tipo di carestia è causata proprio dall’Aids”. Lewis, 65 anni, canadese e con una lunga esperienza nelle Nazioni Unite, ha spiegato che nonostante il lavoro svolto dal Programma alimentare mondiale (Pam) per combattere la fame, resta preoccupante la situazione sanitaria. Particolarmente critica la condizione della donne: “Sono terribilmente vulnerabili – ha detto Lewis – perché non solo sono colpite dalla malattia, ma si assumono il peso delle responsabilità: lavorano a casa, obbligate, senza riconoscimenti o compensi. Milioni di donne – ha aggiunto – hanno perso la vita a causa dell’Aids nell’ultima decade”. Un altro punto su cui il funzionario dell’Onu ha messo l’accento è stato quello dei bambini, che rimangono presto soli a causa della morte dei genitori, abbandonati e “senza controllo”. Lewis ha sollecitato l’impegno dell’Onu, per aumentare la  collaborazione con i Paesi Africani ed ha auspicato che dai Paesi più ricchi e dalle istituzioni finanziarie internazionali arrivino risorse necessarie per gli interventi. “Bisogna agire nel campo dell’istruzione – ha concluso Lewis - ed è necessario attuare politiche alimentari, sanitarie adeguate e prestare attenzione alle persone più deboli”. (M.A.)

 

 

“NEL TERZO MILLENNIO IL 93% DELLE VITTIME DI GUERRA SONO STATI DEI CIVILI”.

E’ UNO DEI DATI EMERSI DALLA RICERCA SUI CONFLITTI DIMENTICATI NEL MONDO,

 CURATA DALLA CARITAS ITALIANA IN COLLABORAZIONE CON “FAMIGLIA CRISTIANA” ED “IL REGNO”

ROMA. = “Nel terzo millennio il 93% delle vittime di guerra sono stati civili”. E’ uno dei dati che emergono dalla ricerca sui conflitti dimenticati nel mondo curata dalla Caritas italiana in collaborazione con “Famiglia Cristiana” e “Il Regno”. Lo studio è stato presentato lo scorso 13 febbraio durante il seminario "Conflitti dimenticati o informazione globale?", in programma fino a ieri a Roma. Dal dopoguerra ad oggi sono state 25 milioni le persone morte in tutto il mondo a causa di conflitti armati. Lo scorso anno si sono registrate 25 guerre, legate soprattutto ad interessi economici. La ricerca ha indagato anche il grado di dimenticanza di alcuni conflitti da parte degli italiani: il 26% del campione non sa indicare quali siano i Paesi attualmente colpiti dalle guerre. Tra le fonti informative sui conflitti, il 60% indica la televisione e la radio ed il 28% i giornali e le riviste. Il 47% del campione giudica insufficiente l’informazione fornita dai mass media, soprattutto dalla televisione. (A.L.)

 

 

“IL GOVERNO STA INCORAGGIANDO LA POLIZIA AD ELUDERE

LE NORMALI PROCEDURE GIUDIZIARIE PER PREVILEGIARE LE ESECUZIONI SOMMARIE”.

E’ L’ALLARME LANCIATO DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE CONTRO LA TORTURA

SULLA NUOVA CAMPAGNA ANTIDROGA IN THAILANDIA

 

BANGKOK. = La nuova campagna contro i trafficanti di droga iniziata lo scorso primo febbraio in Thailandia ha mietuto finora almeno un centinaio di vite. A lanciare l’allarme sulla effettiva legalità dell’iniziativa è l’Organizzazione mondiale contro la tortura (Omct): sostiene che “il governo del primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra sta incoraggiando la polizia ad eludere le normali procedure giudiziarie per privilegiare invece le esecuzioni sommarie dei presunti criminali”. Il premier si è detto soddisfatto dell’esito dei primi 10 giorni della campagna anti-droga, durante la quale si stima siano morte almeno un centinaio di persone. Di fatto è difficile stabilire il numero esatto delle vittime: il quotidiano “Bangkok Post” parla di 183 morti dal primo al 9 febbraio, mentre altri media ne contano 144 ed alcune organizzazioni non governative sostengono che in realtà il numero è molto più elevato. "Non possiamo mettere la sicurezza dei trafficanti di stupefacenti – ha dichiarato Shinawatra - al di sopra di quella degli agenti. Se un poliziotto non spara per primo, rischia di morire". Ancora più severo il giudizio del ministro dell’interno Wan Muhammad Nor Matha. "Chi smercia droga dovrebbe finire dietro le sbarre – ha detto - o scomparire senza lasciare traccia ". Oltre ai numerosi morti, vi sono stati 7 mila arresti di sospetti da parte della polizia. Il prossimo 28 febbraio la “Commissione nazionale per i diritti umani della Thailandia” dovrebbe incontrare il ministro della giustizia ed altri esperti, ma Omct teme che nel frattempo possano verificarsi ulteriori esecuzioni ed arresti arbitrari. (A.L.)

 

 

SI E’ APERTA OGGI LA BORSA INTERNAZIONALE DEL TURISMO DI SCENA

NEI PADIGLIONI DELLA FIERA DI MILANO FINO AL 18 FEBBRAIO

- A cura di Fabio Brenna -

 

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MILANO. = E’ un turismo che si è rimesso in moto, ma anche più consapevole e sostenibile quello protagonista della 23° edizione della BIT, Borsa Internazionale del Turismo, di scena alla Fiera di Milano fino al 18 febbraio. Oltre 5 mila espositori, rappresentanti 123 nazioni, cercheranno di confermare quella crescita del comparto che, secondo dati del World Tourism organization, ha registrato 715 milioni di arrivi internazionali nel 2002, con una crescita del 3,1% sull’anno precedente. Le attuali incertezze internazionali non sembrano frenare questa voglia di viaggiare. Aumenta però la consapevolezza che il turismo deve essere sostenibile, rispettoso cioè dei luoghi e delle popolazioni con cui viene a contatto. Non a caso l’annuale convegno proposto dal Pontificio Consiglio dei Migranti, Cei e Diocesi di Milano, avrà come tema lunedì prossimo, l’ecoturismo, inteso come incontro tra culture nel rispetto del creato. Sempre lunedì, una tavola rotonda con il premio Nobel per l’economia del 1999, Robert Mundell, affronterà le relazioni fra etica, economia e globalizzazione attraverso il turismo. La Bit si ripropone in cinque sezioni: “The World”, le più belle mete dei cinque continenti; “Tourism Collection” con i protagonisti dei servizi turistici; “Italy”, dedicato interamente al Belpaese. Due i saloni tematici: “Bit Virtual”, l’area espositiva dedicata alle novità tecnologiche a servizio del turismo e “Bit Neway”, dove sono concentrate le nuove tendenze che sembrano essere le proposte che mirano al benessere psico-fisico della persona. Presenti anche quest’anno gli stand di alcune realtà ecclesiali come Cei e Diocesi di Milano, insieme alle proposte per i viaggiatori dello spirito, dai santuari italiani alle varie forme di pellegrinaggio, proposte queste che incontrano un sempre maggior gradimento all’interno di un turismo che vuole essere sempre più consapevole.

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24 ORE NEL MONDO

15 febbraio 2003

 

 

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

Al Palazzo di Vetro di New York, ieri, si sono vissute ore cruciali per la crisi nel Golfo. I capi degli ispettori Onu per il disarmo iracheno sono riusciti a strappare ancora due settimane di tempo. Il primo marzo Blix ed El Baradei terranno, infatti, una nuova audizione al Consiglio di Sicurezza. Il segretario di Stato americano Powell, pur non mutando la linea dura della Casa Bianca, a proposito delle scadenze per una soluzione della crisi ha detto: “stiamo ancora parlando di settimane”. Blix, invece, ha sottolineato come - se pure sia necessario proseguire le ispezioni - stiano aumentando i segnali positivi da parte di Baghdad. Secondo la Russia, ieri si sono rafforzate le possibilità di una soluzione pacifica della crisi. Sul contenuto del rapporto di Blix, al servizio da New York di Paolo Mastrolilli:

 

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Il disarmo dell’Iraq non è completo, restano parecchie questioni aperte, ma Baghdad sta collaborando e nelle ultime settimane sono aumentati i segnali positivi. Il diplomatico svedese ha detto che non ha trovato armi vietate, ma non può provare il disarmo dell’Iraq, perché mancano informazioni sui materiali chimici e biologici che aveva prodotto e sostiene di avere distrutto. Il regime poi ha costruito missili di gettata superiore a quella consentita dall’Onu che dovranno essere eliminati. Hans Blix, però, ha notato alcuni progressi di sostanza, come il via libera ai voli spia degli aerei U2, la recente consegna di nuovi documenti, l’aggiunta di altri nomi alla lista degli scienziati che potrebbero sapere che fine hanno fatto le sostanze vietate e l’emanazione, ieri, di un decreto che bandisce le armi di distruzione di massa. Quindi, ha contestato anche alcune accuse lanciate il 5 febbraio scorso dal segretario di Stato americano Powell. Il rapporto sommato ai giudizi incoraggianti sul piano nucleare di El Baradei è stato più positivo di quello del 27 gennaio, e Francia, Cina e Russia hanno subito dichiarato che non giustifica la guerra. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno risposto che l’assenza di collaborazione attiva, viola l’ultima risoluzione. Powell e poi Bush hanno detto di avere altre prove del collegamento tra Baghdad ed Al Qaeda, aggiungendo che è venuta l’ora delle serie conseguenze. Washington e Londra adesso decideranno se presentare una seconda risoluzione, oppure se agire da sole, ma al momento sono in minoranza nel Consiglio di Sicurezza.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Per discutere della crisi nel Golfo, si riunirà in Egitto anche la Lega Araba. L’invito per il 22 febbraio a Sharm el Sheikh, sul mar Rosso, è partito proprio dal presidente egiziano Hosni Mubarak che ha messo in evidenza i rischi nella regione e nel mondo di un’operazione militare contro l’Iraq.

 

Per oggi, è sicuro che la Nato non prenderà alcuna decisione sugli aiuti alla Turchia in caso di guerra all’Iraq, e al momento è impossibile prevedere con certezza se potrà essere presa tra domani e lunedì. A dichiararlo è il portavoce dell'Alleanza atlantica, Yves Brodeur. Ricordiamo che il rifiuto di Francia, Germania e Belgio di iniziare la pianificazione difensiva per la Turchia ha gettato la Nato, nei giorni scorsi, nella peggiore crisi da quando l'Alleanza è stata creata.

 

E’ ancora crisi anche sul fronte nord coreano. Dopo i toni pacati dei giorni scorsi, questa mattina un nuovo proclama minaccioso ha improvvisamente rialzato la tensione. ''Se gli imperialisti cercheranno di scatenare una guerra contro di noi – riferiscono da Pyongyang - li spazzeremo via con un attacco incontrollabile e distruggeremo i loro quartier generali senza pietà”. Il messaggio  giunge alla vigilia del 61mo compleanno di  Kim Jong Il, che il ''regno eremita'' si appresta a festeggiare con imponenti parate.

 

Passiamo al Medio Oriente. Yasser Arafat non sarà più l’unico punto di riferimento della politica palestinese. Cedendo alle pressioni internazionali, il presidente dell’Anp ha infatti annunciato ieri che accetterà la nomina di un primo ministro, che lo affianchi alla guida del suo popolo. Intanto sul campo c’è da segnalare ancora una volta la violenza come unica protagonista della giornata. Un cingolato israeliano è caduto stamattina in un agguato palestinese presso la colonia di Dughit, nel nord della Striscia di Gaza. Secondo la rete televisiva Al Jazeera, nell’attentato - rivendicato dal movimento di resistenza islamico Hamas attraverso il suo sito internet - sarebbero rimasti uccisi i quattro membri dell’equipaggio.

 

Ed ore drammatiche si stanno vivendo anche in Colombia. L’elicottero del governo americano caduto nella zona di Florencia, controllata dalle Farc, non è precipitato per un guasto tecnico, ma è stato abbattuto dai ribelli, che hanno ucciso due membri dell’equipaggio e ne hanno sequestrati tre. E la paura è altissima, nel Paese, dopo l’ennesimo attentato della guerriglia, nella località meridionale di Neiva: ieri è esplosa una casa mentre le forze di sicurezza la perquisivano, in preparazione alla visita di oggi del presidente Alvaro Uribe. Pesantissimo il bilancio: 16 morti e 45 feriti. La cronaca nel servizio di Maurizio Salvi:

 

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La casa saltata in aria a Neida è soltanto l’ultimo di una serie di attentati che mostrano come la violenza si stia spostando ora verso i centri urbani. Nessuno ha rivendicato l’azione, ma i vertici dell’esercito ed il governo l’hanno addossata alle Farc, lo stesso movimento guerrigliero indicato quale responsabile dell’attacco spettacolare, la settimana scorsa, contro l’esclusivo club il “Nogal” di Bogotà. Di fronte all’acuirsi della crisi, la Chiesa colombiana ha intanto rivolto un appello al dialogo. Mons. Luis Augusto Castro, vice presidente della Conferenza episcopale colombiana riunitasi in sessione straordinaria, ha detto che dopo questo tremendo mese di febbraio, in cui sembra che le distanze fra le parti si siano ampliate, è importante mantenere all’orizzonte la fede e che vi possa essere dialogo e riconciliazione.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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“In Bolivia vi è stato un tentativo di golpe con la partecipazione di cecchini”. E’ la denuncia fatta ieri da un portavoce della presidenza che ha parlato di “cospirazione contro la democrazia”. Intanto, il governo boliviano ha decretato tre giorni di lutto nazionale dopo gli incidenti degli ultimi giorni in cui sono morte 29 persone e oltre cento sono  rimaste ferite.

 

Hanno preso il via, ieri, le trattative per la formazione del nuovo governo in Costa d’Avorio. Il primo ministro incaricato ivoriano, Seydou Diarra, ha incontrato per la prima volta i responsabili dei ribelli del Movimento patriottico della Costa d’Avorio. Il testo dell’intesa negoziale sottoscritta in Francia il 24 gennaio tra le parti prevede, infatti, la partecipazione all’esecutivo dei gruppi ribelli. Conteso dai due schieramenti il Ministero della Difesa.

 

Torna l’incubo Ebola in Africa. La terribile febbre emorragica ha causato nella zona nord occidentale del Congo Brazaville oltre 50 morti. Il virus si sta diffondendo in una regione coperta dalla foresta tropicale, che rende difficoltoso l’arrivo dei primi soccorsi dell’Organizzazione mondiale per la Sanità. Per capire meglio cosa sta accadendo nella zona, abbiamo raggiunto telefonicamente a Brazaville il nostro collega Andrea Mianzoukoutà. L’intervista è di Teresa Gerundino:

 

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R. – Oltre al numero importante di morti, il problema è più grave perché non si sapeva nulla nella capitale. E non c’è nessuna certezza sul modo preciso della contaminazione.

 

D. – Quali iniziative hanno preso le autorità del Paese per evitare che il morbo si diffonda?

 

R. – Chiudere questa zona, quindi limitare la mobilità della popolazione, cioè il passare da un villaggio ad un altro. Ed è arrivata sul luogo una equipe dell’Organizzazione Mondiale della Salute.

 

D. – Cosa si può fare per informare?

 

R. – L’informazione è limitata alla capitale, Brazzaville, cioè quasi a 600 chilometri dal luogo interessato. La popolazione che avrebbe bisogno di saperne di più, di prendere misure che sono necessarie, è tenuta al di là della zona di copertura della radio, della tv ecc. Gli esperti stanno cercando di avvicinare la popolazione con molta fatica e pazienza, però non è del tutto facile, questo si può indovinare.

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