RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 40 - Testo della
Trasmissione di domenica 9 febbraio 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Montenegro al voto oggi per le
presidenziali
9 febbraio 2003
ALL’ANGELUS
DOMENICALE, GIOVANNI PAOLO II ESORTA I FEDELI A UNIRSI IN PREGHIERA PER LA PACE
E, NELL’IMMINENZA DELL’XI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO, RIBADISCE LA NECESSITA’
DI UNA MAGGIORE ATTENZIONE VERSO CHI SOFFRE
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
**********
Pregare per la pace con coraggio e
speranza, nonostante le difficoltà che si presentano in questo avvio di nuovo
millennio. All’Angelus domenicale, Giovanni Paolo II si è rivolto ai fedeli
convenuti in piazza San Pietro levando alta la sua voce, instancabile, in
favore della pace:
In
quest'ora di preoccupazione internazionale, tutti sentiamo il bisogno di
rivolgerci al Signore per implorare il grande dono della pace.
Il
Pontefice ha ricordato le parole della Lettera Apostolica Rosarium Virginis
Mariae: “solo un intervento dall’Alto – ha detto – può far sperare in un futuro
meno oscuro”. Non ha poi mancato di rivolgere un pensiero affettuoso alle
numerose iniziative di preghiera che, in questi giorni, si svolgono in tante
parti del mondo:
Mentre
le incoraggio di cuore, invito tutti a prendere in mano la Corona per invocare
l'intercessione della Vergine Santissima: “non si può recitare il Rosario senza
sentirsi coinvolti in un preciso impegno di servizio alla pace”.
Assieme
al grande tema della pace, il Papa ha voluto dedicare una particolare
attenzione alla Giornata mondiale del Malato, che ricorre il prossimo 11
febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes:
Si
tratta d'una significativa occasione, che aiuta le Comunità ecclesiali a tenere
sempre viva l'attenzione verso i fratelli e le sorelle infermi e sofferenti, e
incoraggia gli operatori sanitari a curare con costante dedizione il loro
servizio professionale.
Il Pontefice
si è soffermato sulla coincidenza di tale evento con la data dell’apparizione
della Vergine di Lourdes, un “riferimento costante della Giornata del Malato”.
Maria, ha proseguito, “non cessa di effondere sul mondo della sofferenza il
consolante messaggio della fiducia e della speranza”. Il Papa ha dunque
espresso viva gratitudine a coloro che hanno curato le manifestazioni della
Giornata, che nel Santuario nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington
vedrà le sue principali celebrazioni. Poi, ha indirizzato un “pensiero
riconoscente” a tutte quelle categorie di persone che “operano nel vasto campo
dell’assistenza ai malati” corredandolo con una viva esortazione:
La
Giornata del Malato rinnovi in ciascuno il desiderio di servire con dedizione
chi è nella sofferenza, imitando Gesù, Buon Samaritano dell'umanità.
Prima di congedarsi, il Santo Padre ha rivolto un saluto
speciale ai membri del Forum degli Oratori italiani, riuniti per la loro
Assemblea annuale. La ricca esperienza degli oratori, ha detto, possa
“continuare a svilupparsi nel tessuto ecclesiale e sociale, offrendo ai giovani
e alle famiglie un prezioso contributo educativo”.
*********
IL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY, DOMANI ALLA VOLTA DI
BAGHDAD, QUALE INVIATO SPECIALE DEL PAPA IN IRAQ: LO RENDE NOTO IN UNA
DICHIARAZIONE
IL DIRETTORE
DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, NAVARRO-VALLS
- A
cura di Alessandro Gisotti -
La Santa Sede moltiplica gli sforzi per sventare la guerra
in Iraq. In una dichiarazione rilasciata stamani dal Direttore della Sala
Stampa della Santa Sede, dott. Joaquín Navarro-Valls viene reso noto che domani
- lunedì 10 febbraio - partirà alla volta di Baghdad, quale Inviato Speciale
del Papa, il cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace, accompagnato dal mons. Franco Coppola,
consigliere di Nunziatura in servizio presso la Segreteria di Stato. “Scopo
della Missione Pontificia - afferma Navarro-Valls - è dimostrare a tutti la
sollecitudine del Santo Padre a favore della pace ed aiutare poi le Autorità
irachene a fare una seria riflessione sul dovere di una fattiva cooperazione
internazionale, basata sulla giustizia e sul diritto internazionale, in vista
di assicurare a quelle popolazioni il bene supremo della pace”.
INIZIANO OGGI A WASHINGTON LE CELEBRAZIONI
DELLA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO CHE
CULMINERANNO
MARTEDI’
PROSSIMO 11 FEBBRAIO: CON NOI, IL VESCOVO JOSE’ REDRADO
-
Servizio di Giovanni Peduto -
**********
Undici febbraio, XI Giornata mondiale del malato, che
quest’anno si celebra a Washington, negli Stati Uniti. Con noi, il segretario
del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, il vescovo José
Redrado. Intanto, precisiamo anzitutto una cosa: perché la data dell’11
febbraio? In questo giorno, la Chiesa fa memoria della Beata Vergine Maria di
Lourdes. L’11 febbraio 1858 avveniva infatti a Lourdes la prima apparizione
della Vergine a Santa Bernardette. Ora, questo santuario è divenuto un luogo di
convergenza di tante persone malate da tutto il mondo, che si recano lì con la
speranza di una guarigione, se non fisica almeno spirituale. Ecco la
motivazione per cui Giovanni Paolo II ha collocato la celebrazione della
Giornata mondiale del malato il giorno 11 febbraio.
D. - Quali frutti ha prodotto questa Giornata, quale eco
ha in seno alla comunità ecclesiale, eccellenza?
R. – Ha fatto bene a sottolineare Lourdes: lo ha voluto il
Papa, e noi siamo andati per la celebrazione della prima Giornata a Lourdes e
torneremo il prossimo anno a Lourdes, dopo avere toccato tutti i continenti.
Siamo stati in Polonia, in Costa d’Avorio, in Messico, in Portogallo, in
Italia, in Libano, in Australia, in India, e così via. Torneremo a Lourdes. Sì,
la Giornata mondiale del malato è stata una occasione d’oro. Non mi stancherò
mai di ripeterlo. E’ stata un’occasione per impegnarci di più nella pastorale
sanitaria. Con l’istituzione della Giornata del malato, tutte le Chiese si
impegnano particolarmente non soltanto per celebrarla ma anche a prepararla
bene: le Chiese locali, le Conferenze episcopali, le diocesi, le parrocchie...
E’ una giornata per sensibilizzare il popolo di Dio e la società, per aiutare i
malati a prendere coscienza del significato della sofferenza, e favorisce
l’impegno di tante persone.
D. – Quest’anno, le celebrazioni si svolgono a Washington.
Quale ne è la peculiarità?
R. – La celebrazione ha tre momenti forti. Per prima cosa,
vogliamo fare un incontro con tutti i vescovi responsabili della pastorale
sanitaria del continente americano. Speriamo che vengano tutti. La giornata di
oggi serve per incoraggiare i vescovi responsabili nell’impegno alla pastorale
sanitaria. Domani vi sarà una riflessione di tipo pastorale – etico – sul tema
“Globalizzazione e sanità cattolica in America: richiamo alla giustizia”. E ci
sono, durante tutta la giornata, relatori, tavole rotonde, con momenti forti di
riflessione sul tema enunciato. Martedì vi sarà la solenne concelebrazione
eucaristica nella basilica dell’Immacolata Concezione a Washington. Di solito
il Papa manda un inviato speciale, e quest’anno ha nominato il nostro
presidente, l’arcivescovo Javier Lozano Barragán.
D. – In un Paese tecnologicizzato come gli Usa, non si è
deformato il senso del dolore, della malattia e della morte?
R. – Questa deformazione del dolore, della malattia e
della morte non è una peculiarità degli Stati Uniti; io direi che in tutto il
mondo vi è questa deformazione: è tutta la nostra società consumistica,
materializzata, che emargina, allontana il dolore e la morte… Dobbiamo essere
coraggiosi e renderci conto che, a seconda di come noi ci rapportiamo con la
sofferenza, possiamo ritenerla una sciagura, qualcosa di estremamente negativo,
oppure possiamo essere capaci di convertirla in qualcosa di positivo. Oggi
l’uomo tecnico rischia di sequestrare dal dolore e dalla morte la dimensione
intima, personale, religiosa, mistica, tutto quello che appartiene all’uomo:
l’uomo soffre, muore, ma questa sofferenza e questa morte devono diventare
proprie, personali, irripetibili; l’uomo deve assumerle.
**********
=======ooo=======
UN APPROFONDIMENTO SULL’INTRECCIO TRA GLI
INTERESSI ECONOMICI
DEI
PAESI SVILUPPATI E I CONFLITTI DIMENTICATI DEL SUD DEL MONDO
NELLA
RIFLESSIONE DI PADRE BARTOLOMEO SORGE
La possibile guerra all’Iraq catalizza l’interesse
dell’opinione pubblica mondiale, ma sono tanti i conflitti nelle aree più
povere del pianeta che non fanno notizia. Conflitti dimenticati e interessi del
mondo sviluppato, un binomio che dà spesso origine ad orrori destinati a
rimanere nell’ombra in diversi continenti. Se n’è discusso a Milano nel corso
di una tavola rotonda cui hanno preso parte Famiglia Cristiana, la rete
televisiva Nova T e la rivista Popoli. A farne le spese è
soprattutto il continente africano, ricco di risorse naturali, ma politicamente
instabile. Stefano Leszczynski ha intervistato padre Bartolomeo Sorge,
direttore della rivista Popoli.
**********
R. – Sono molti i luoghi dove il sangue umano viene sparso
senza che nessuno si degni di guardarlo. C’è per esempio un caso veramente
impressionante nel Sahara occidentale, dove c’è una popolazione, la popolazione
Saharaoui, che da 30 anni è in guerra e nessuno ne parla; il conflitto nel
Congo, che alcuni chiamano appunto ‘la prima guerra mondiale africana’ per cui
dopo la caduta di Mobutu sono soprattutto le nazioni ricche dell’Occidente che
ingolosite dalle ricchezze che ci sono, strumentalizzano anche le guerre per
interessi non sempre nobili. Poi la Costa d’Avorio, il Rwanda, il Burundi, il
Sudan dove c’è una grande guerra civile tra Nord e Sud; la Somalia che, dopo la
caduta di Siad Barre, praticamente non è più uno Stato e sembra che gli
occidentali abbiano interesse a mantenerlo così ...
D. – L’opinione pubblica manifesta un forte scetticismo
quando, appunto, si parla di conflitti che sono alimentati esclusivamente dagli
interessi dei Paesi ricchi ...
R. – Purtroppo, è un triste modo di pensare. Direi che la
prima cosa da fare di fronte a questo dramma è cominciare con un serio esame di
coscienza. C’è un egoismo, un razzismo, una logica – diciamo – predatoria che è
lo sfruttamento di questi popoli ricchi di materie prime, di energie vitali che
viene fatto senza coscienza.
D. – Ma l’Africa non ha coscienza di queste sue ricchezze?
R. – Vede, questo è il dramma dei Paesi poveri in via di
sviluppo: che ormai sono coscienti ma non hanno la forza di tirarsi su da soli,
hanno bisogno di una funzione di ‘volano’ che solo i Paesi del benessere
possono fare.
D. – La Chiesa è spesso presente in questi Paesi dove
esistono situazioni drammatiche. Che ruolo svolge e, soprattutto, che riscontro
ha là dove ci sono i centri decisionali africani?
R. – La Chiesa ha la sua funzione di fermento, di lievito,
di coscienza critica, quindi mette in luce le situazioni disumane che vanno
contro Dio e contro l’uomo; però ha anche una dimensione profetica: le
iniziative che si stanno facendo sono enormi. Se all’improvviso tutti i
missionari e tutta la presenza della Chiesa dovessero scomparire dall’Africa,
veramente il continente sarebbe in balìa del disastro più grande che si possa
immaginare. Però, ovviamente non tocca alla Chiesa sostituirsi agli Stati, alle
industrie, a tutto quello che altre realtà devono fare.
D. – E quale dovrebbe essere la coscienza dei media, della
stampa, che spesso non portano a conoscenza del vasto pubblico quello che
avviene?
R. – Bene, io direi una sola cosa: la comunicazione
sociale dovrebbe essere veramente libera, perché se chi scrive, chi parla, chi
dà notizie non è interiormente libero, sarà sempre asservito al carro del
padrone di turno. Abbiamo bisogno di uomini liberi, di coscienze libere ed
equilibrate, che possano veramente prendere la parte dei meno favoriti.
**********
LA STRAORDINARIA EPOPEA DEGLI EMIGRATI ITALIANI
NEL MONDO,
RIPERCORSA
IN UNA SUGGESTIVA MOSTRA A ROMA
- Ai
nostri microfoni Emanuele Stolfi e Mirko Tremaglia -
“Tante
Patrie Una Patria - L’identità italiana nel mondo attraverso l’emigrazione”. E’
il titolo della singolare mostra inaugurata nei giorni scorsi al Vittoriano di
Roma. L’esposizione, realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della
Repubblica, sarà visitabile fino al 16 marzo; successivamente proseguirà
attraverso un lungo viaggio in molte regioni italiane e poi all’estero, nei
principali insediamenti delle comunità italiane. Il servizio è di Barbara Castelli.
**********
(musica)
Passaporti, biglietti di viaggio, lettere, giornali e
stendardi. Sono i tasselli di un mosaico che ripercorre e racconta la storia
degli italiani nel mondo: quegli uomini e quelle donne che hanno abbandonato la
propria Patria alla ricerca di un lavoro e di una nuova vita. L’emigrazione
italiana all’estero è così protagonista della suggestiva esposizione “Tante
Patrie Una Patria - L’identità italiana nel mondo attraverso l’emigrazione”,
allestita in due ampie sale del Vittoriano. Il percorso espositivo, che
intende, in primo luogo, portare un contributo concreto alla ricostruzione di
un’identità nazionale “a rete”, si avvale di un vasto repertorio fotografico,
di filmati provenienti dalle più famose cineteche italiane e straniere, di
preziosi reperti scientifici e manoscritti originali. Ampio spazio è dato poi
agli elementi che hanno fatto conoscere il “made in Italy” all’estero: la moda,
la cucina, l’arte e la letteratura. Al nostro microfono Emanuele Stolfi,
curatore della mostra.
“Noi
vogliamo ripercorrere la storia non solo dell’emigrazione, ma di ciò che poi
l’emigrazione ha generato nel mondo oggi. L’epopea di 25-26 milioni di
italiani, che in un secolo hanno lasciato il Paese sono cifre straordinarie,
che, credo, solo in parte gli italiani nei nostri confini conoscono. Abbiamo
voluto evitare la retorica, l’apologia, perché riteniamo che tutti coloro che
sono andati siano vincenti. E’ gente che ha superato prove straordinarie e ce
l’ha fatta. Ha mandato i figli a scuola, ha appreso le lingue. Oggi, è tutta
gente profondamente inserita nelle rispettive realtà. Per questo abbiamo
chiamato ‘Tante Patrie’, perché ciascuno di loro è prima di tutto argentino,
americano, brasiliano, ma ha un’altra patria che è l’Italia”.
(musica)
Una mostra per ripercorrere pagine della storia italiana
per molti versi dimenticata, e allo stesso tempo l’occasione per maturare un
maggiore senso di accoglienza, come ha sottolineato il Ministro per gli
italiani all’estero, Mirko Tremaglia.
“Noi non dobbiamo dimenticare mai il nostro passato, le
sofferenze che la nostra gente ha dovuto attraversare. Bisogna tenerne conto di
fronte alla gente che viene qui, che ha fame, che scappa, che non ha lavoro.
Ecco, allora, l’accoglienza è un fatto di umanità e di civiltà. Certo, occorre
la legalità insieme, ma ripeto che questi sono dei principi assoluti”.
(musica)
**********
DA
PAESE DI PACE, A TEATRO DI GUERRA:
L’INCUBO
DELLA COSTA D’AVORIO, NEL RACCONTO DI UN MISSIONARIO
-
Intervista con don Giuseppe Baldàs -
E’ sempre alta la tensione in Costa d’Avorio nonostante le
assicurazioni del presidente Gbagbo a rispettare l’accordo firmato a Parigi da
governo e ribelli. La transizione per il Paese africano si presenta quanto mai
difficile come testimonia un sacerdote che lo conosce da molto tempo. Si tratta
di don Giuseppe Baldàs, direttore del Centro missionario di Gorizia, che aiuta
il popolo ivoriano da ormai 33 anni. È del 1970, infatti, la costruzione del
lebbrosario di Maniero, e di tre anni dopo l’inaugurazione della prima
missione, gestita da sacerdoti, religiosi e laici. Nel suo ultimo viaggio in
Costa d’Avorio, concluso qualche giorno fa, don Giuseppe Baldàs si è occupato
tra l’altro di far fronte all’emergenza profughi con le offerte della diocesi
di Gorizia e con i fondi dell’8 per mille della Chiesa italiana. Giancarlo La
Vella ha chiesto al religioso quale effetto gli abbia fatto ritrovare il Paese
in preda alla guerra:
**********
R. – Sembra quasi impossibile fare un paragone tra la
situazione attuale e tutto quello che abbiamo vissuto in questi anni, in un
Paese che veniva chiamato a suo tempo ‘la Svizzera africana’. In Costa
d’Avorio, noi abbiamo una missione che è rimasta sotto ai governativi – quella
di Kossou – mentre l’altra – quella di Nimbo-Bouaké – è in territorio
controllato dai ribelli ed è doloroso vedere, per esempio, che per arrivare in
queste due missioni bisogna passare centinaia di posti di blocco formati con
giovani al massimo ventenni con il mitra in mano. Ho visto perfino due
ragazzini, avranno avuto 10, 12 anni, anche questi con il mitra. Indubbiamente
è una sensazione di grande sofferenza, perché io ero abituato a vedere nella
Costa d’Avorio il Paese della pace e prendere atto della grave situazione
attuale, con tutte le distruzioni e le violenze, è certamente qualcosa che non
ero abituato a vivere.
D. – Don Baldàs, si sperava che gli accordi firmati
qualche giorno fa a Marcoussis, vicino Parigi, riuscissero a riportare la
tranquillità nel Paese: così non è stato. Secondo lei, per quale motivo?
R. – Perché questi accordi sono stati in un certo senso
‘imposti’: i militari lealisti non accetteranno mai di essere comandati da un
ministro che era l’espressione dei ribelli e poi, indubbiamente, perché vi sono
anche interessi economici da spartire. E poi, secondo me, ci sono troppe armi
attualmente in Costa d’Avorio, per cui è difficile che la bilancia tra governo
e ribelli torni a riequilibrarsi.
D. – Secondo lei, qual è la via per ritrovare la pace in
Costa d’Avorio?
R. – Ci sarebbe una via, ma è abbastanza difficile da
realizzare. Se ci fosse domani un altro Trattato di pace, ad esempio, chi ci
garantisce che i ribelli deporranno le armi o non si daranno invece alla
macchia e faranno del banditismo? A mio parere, occorrerebbe una forza internazionale
sotto il comando dell’Onu, che veramente facesse opera di rastrellamento e di
raccolta delle armi, in modo che tutti restino disarmati. Indubbiamente,
occorre anche che si raggiunga un accordo di pace, per ottenere la quale ognuna
delle parti deve pur rinunciare a qualcosa.
D. – Poi c’è bisogno di realizzare la pacificazione anche
tra la gente: gente che sta soffrendo le difficoltà di questi mesi di conflitto
...
R. – Certo, occorre la costanza
e la grande fede, la grande passione che hanno i missionari, perché molte
persone sono scappate. Ad esempio, nella nostra missione di Nimbo-Bouaké l’80
per cento dei cristiani sono scappati o al sud o nei villaggi, però i
missionari sono rimasti e la gente non può non vedere il loro impegno in questa
situazione. Sia i governativi che i rivoltosi sanno che noi siamo lì per il
bene spirituale e materiale della gente, per cui la speranza di una
riconciliazione o di una pacificazione passerà sicuramente anche attraverso
l’opera dei missionari.
**********
ALLA SCOPERTA DEL
“SIGNORE DEGLI ANELLI”, CAPOLAVORO LETTERARIO
DELLO
SCRITTORE INGLESE TOLKIEN. UN TESTO EPICO CHE STIMOLA LA RIFLESSIONE SULLA
LOTTA TRA IL BENE E IL MALE, PRESENTE IN OGNI UOMO
-
Con noi, Paolo Gulisano -
Guidare il lettore alla
scoperta del mondo del “Signore degli Anelli” attraverso gli eroi e i luoghi
fantastici che lo animano. Questo lo scopo del libro “Gli eroi del Signore
degli Anelli” edito da Ancora e
scritto da Paolo Gulisano, uno dei massimi esperti di John Roland Tolkien in Italia e
dell’aspetto religioso presente nei libri dello scrittore inglese, nato in Sud
Africa. Un testo ideale per coloro che vogliono accostarsi ad una storia
meravigliosa, una curiosità per gli esperti appassionati del genere, sempre
attenti a tutto ciò che si muove attorno alla Tolkien-mania. L’iniziativa
editoriale conferma ancora una volta il successo di questa storia fantastica
giunta al suo secondo episodio cinematografico. Ma quale il significato de “Il
Signore degli anelli”? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Paolo Gulisano.
**********
(musica)
R. – A mio avviso “Il Signore degli anelli” è un viaggio,
innanzitutto. Torna in questo capolavoro il simbolismo dell’homo viator:
un simbolismo antico nella letteratura e, molto significativo. Si tratta di un’epica
della ricerca umana.
D. – Ogni opera epica ha anche dei valori. Quali sono i
valori de “Il Signore degli anelli”?
R. – E’ Tolkien stesso che in una lettera del ’51, prima
ancora che il libro uscisse, scriveva ad un amico, mostrandogli le bozze: “Tutto questo materiale tratta di
tre cose: la caduta, la morte e la macchina”. Per caduta evidentemente si
intende la condizione di caduta dell’uomo, che in ambito cristiano è quella del
peccato originale. Poi il problema della morte affronta i vari tentativi
per vincerla. Ed infine la macchina,
dove per macchina non si intende tanto la scienza, ma un certo uso disumano
della tecnologia. Il problema fondamentale de “Il Signore degli anelli” non è
tanto la lotta tra il bene e il male o la questione del potere - appunto
l’anello che è simbolo del potere - ma che Dio solo ha diritto di ricevere
attributi divini: ovvero è lo scontro tra Dio e idolatria. Ne “Il Signore degli
anelli” non c’è il Dio cristiano, però Dio è cercato, si chiede a Dio in
maniera quasi commovente di manifestarsi.
D. – A proposito della distinzione che in molte opere di
genere fantasy viene fatta tra bene e male, “Il Signore degli Anelli”
presenta bene e male non così divisi …
R. – Esattamente. Questa osservazione fa decadere quella
critica a Tolkien di essere un attore manicheo. Tolkien sa bene che il bene e
il male vivono in ciascuno di noi. Nessuno è cattivo fin dall’inizio. I
personaggi malvagi, per esempio gli orchi, sono appunto il risultato di un
pervertimento, di una natura che è uscita buona dalle mani di Dio. E la
soluzione netta, chiara, che ci dà Tolkien è una sola: con il male nessun
compromesso. L’anello, che è il male, va distrutto. Bisogna rinunciare.
L’eroismo dei personaggi de “Il Singore degli anelli” è l’eroismo della
rinuncia, è l’eroismo del sacrificio. Per questo Tolkien ha scelto come eroi
del suo romanzo non dei guerrieri possenti, ma dei piccoli hobbit.
D. – La riscoperta de “Il Signore degli anelli” in questi
ultimi due anni è avvenuta grazie alle due trasposizioni cinematografiche,
l’ultima sul grande schermo in questi giorni, ma quanto la pellicola è fedele
alla penna di Tolkien?
R. – Manca un po’ della poesia. “Il Signore degli anelli”
non è soltanto guerra, non è soltanto uno scontro. Mi auguro che gli spettatori,
specialmente i più giovani, avvertano il bisogno di leggere il libro.
Troveranno in esso sicuramente un grande tesoro, ricco di spunti di
riflessione.
(musica)
**********
======ooo=======
9 febbraio 2003
GLI
IRACHENI HANNO FORNITO ALL'ONU DOCUMENTI SULLE ARMI NUCLEARI E BIOCHIMICHE. E’
QUANTO DICHIARATO A BAGHDAD DA UNA FONTE VICINO
AGLI
ISPETTORI DELLE NAZIONI UNITE, AL TERMINE DEI COLLOQUI TRA BLIX,
EL BARADEI ED ALCUNI RESPONSABILI IRACHENI
BAGHDAD.
= L'Iraq ha consegnato oggi ai capi degli ispettori dell'Onu documenti sul suo
armamento “biochimico e nucleare''. Lo ha detto una fonte vicina alle Nazioni
Unite al termine dei colloqui tra gli ispettori sul disarmo, Hans Blix e Mohamed
el Baradei, e alcune autorità di
Baghdad: il generale Hossam Mohamed Amin ed il consigliere del leader
iracheno Saddam Hussein, Amer al Saadi. Intanto, il ministro della difesa russo
Serghei Ivanov ha fatto sapere che Mosca potrebbe aderire al piano di pace franco-tedesco
qualora il Consiglio di sicurezza decidesse di approvarlo. La dichiarazione è
avvenuta a poche ore dai colloqui sulla crisi irachena che il presidente
Vladimir Putin avrà, prima a Berlino con il cancelliere Gerhard Schroeder, e
poi a Parigi con il presidente francese Jacques Chirac. Nel frattempo questa mattina
è giunto a Teheran, per una breve visita non annunciata, il ministro degli
affari Esteri iracheno Naji Sabri per parlare con il suo omologo iraniano Kamal
Kharrazi. Lo ha comunicato l'agenzia governativa Irna, che ha sottolineato il
ruolo “importante” svolto dall’Iran nella regione e la diplomazia “attiva” del
Paese nel cercare di evitare un conflitto. Sempre di Iraq parleranno oggi a
Sharm El Sheikh il leader libico Gheddafi
ed il presidente egiziano
Mubarak. Quest’ultimo, che in giornata riceverà il ministro degli esteri
saudita, Saud Al Faysal ed il presidente siriano Bashar El Assad, ha detto che se gli
Stati Uniti e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite decideranno in
favore di una guerra all'Iraq, gli arabi non potranno opporsi. Infine sempre questa mattina circa
500 palestinesi hanno manifestato a Rafah - nel sud della Striscia di Gaza -
a sostegno dell'Iraq e contro la
“guerra di Bush e Sharon”, scandendo slogan a favore di Saddam Hussein. I
dimostranti hanno invitato a bombardare Tel Aviv come durante la guerra del
Golfo del 1991. L’iniziativa è stata indetta dal Fronte di liberazione arabo,
un'organizzazione palestinese filo-irachena. (P.O.)
MONTENEGRO OGGI AL VOTO PER LE
PRESIDENZIALI.
BASSA L’AFFLUENZA ALLE URNE, ANCHE A CAUSA DEL
BOICOTTAGGIO
DEL PARTITO SOCIALISTA POPOLARE
PODGORICA. = Iniziate sotto cattivi auspici le
presidenziali in Montenegro, secondo tentativo di dotarsi di un presidente dopo
la fallita chiamata alle urne del dicembre scorso, annullata per non aver
raggiunto il quorum. Nella repubblica che dal 4 febbraio forma con la Serbia il
nuovo Stato di Serbia e Montenegro, al posto della Jugoslavia, i seggi sono
stati aperti questa mattina alle ore 8. Tra gli 11 candidati è dato favorito
l'ex premier e attuale presidente ad interim Filip Vujanovic che in dicembre
aveva ottenuto l'83 per cento dei consensi. Sarà sufficiente il 50 per cento
più uno dei 650 mila elettori per rendere valida l’odierna tornata. Come già
accaduto a dicembre, il Partito socialista popolare detentore del 23 per cento
degli elettori ha invitato a boicottare la chiamata alle urne. Se l'azione del
movimento di opposizione andrà a segno, invalidando il voto, le due repubbliche
si troveranno senza un Capo di Stato eletto. I sondaggi parlano di un’affluenza
massima del 46 per cento degli aventi diritto, maggiore dunque rispetto a
quanto registrato a dicembre, ma inferiore al numero richiesto. Ostacola
l’accesso ad alcuni seggi, inoltre, la neve che continua a cadere senza sosta
da ormai diversi giorni. D’altro canto, è stato deciso che il voto sarà
ripetuto in tutti quei seggi in cui non sarà stato possibile votare per avverse
condizioni climatiche. Si dovranno attendere le 21 di stasera, ora di chiusura
dei seggi, per conoscere i primi risultati parziali. (P.O.)
CORDOGLIO DEI VESCOVI SUDANESI PER LA MORTE DI DUE
MISSIONARI
IN UN
INCIDENTE STRADALE VICINO KHARTOUM.
SULLA
VETTURA, RIBALTATASI IN SEGUITO ALLO
SCOPPIO DI UN PNEUMATICO,
C’ERANO ANCHE IL VESCOVODI EL OBEID
E UN
ALTRO SACERDOTE, RIMASTI FERITI
EL OBEID. = In un incidente stradale avvenuto, ieri in
Sudan, due sacerdoti vicentini don Antonio Doppio, arciprete di Schio, e don
Giacomo Bravo, direttore dell’ufficio missionario diocesano di Vicenza, hanno
perso la vita. A bordo della vettura c’erano altri due religiosi che hanno riportato
solo qualche ferita e che al momento sono ricoverati all’ospedale di Tendelti,
a cento chilometri da Kosti, sulla strada verso El Obeid. Si tratta di mons.
Antonio Menegazzo, di 72 anni, vescovo di El Obeid e Don Grigolo Armido. Ne ha
dato notizia ieri la Misna, secondo cui i quattro religiosi stavano viaggiando
in jeep da Khartoum verso El Obeid, quando verso le 15.00, ora locale, l'automobile si è ribaltata a causa
dello scoppio di un pneumatico. I
vescovi della capitale sudanese e di Kosti, profondamente addolorati per
l'avvenimento, hanno immediatamente espresso le loro condoglianze alle famiglie
delle vittime e al vescovo di Vicenza. La comunità comboniana si è unita ai
presuli sudanesi in un momento tanto drammatico, ricordando che i sacerdoti
erano strettamente legati al mondo missionario. (P.O.)
VIVA
PREOCCUPAZIONE PER IL CONTINENTE AFRICANO, TEATRO DI FREQUENTI
CONFLITTI.
AD ESPRIMERLA SONO I VESCOVI DELL’AFRICA DELL’OVEST FRANCOFONA, NEL COMUNICATO
FINALE DELLA LORO 15.MA ASSEMBLEA PLENARIA
CHE SI
CONCLUDERA’ DOMANI A BAMAKO, NEL MALI.
LE
GRIDA DI DOLORE, SCRIVONO I PRESULI, NON CI LASCIANO INDIFFERENTI
- A
cura di Joseph Ballong -
**********
BAMAKO.= Oggi penultimo giorno dei lavori della XV
Assemblea plenaria della conferenza episcopale regionale dell’Africa dell’Ovest
francofona, dopo una Messa solenne, l’attenzione è stata rivolta all’ascolto
delle Chiese sorelle dell’Africa dell’Ovest anglofona, rappresentate
dall’arcivescovo di Abuja in Nigeria, mons. John Onaiyekan e dell’arcivescovo
di Kumasi, nel Ghana, mons. Peter Sarpong. Dopo aver ugualmente ascoltato un
rapporto sulle attività dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul
matrimonio e la famiglia, creato nel 1997 a Cotonou nel Benin, per tutta
l’Africa francofona i vescovi hanno invocato una risoluzione del problema della
riforma degli statuti della loro Conferenza regionale, e hanno fatto delle
proposte per l’elaborazione di un nuovo piano pastorale triennale. Poi, in un
comunicato finale, i vescovi dell’Africa occidentale francofona hanno ribadito
la loro viva preoccupazione per la situazione del continente che rimane ancora
teatro di conflitti e di guerre. “Queste sofferenze e queste grida di dolore
non ci hanno lasciati indifferenti” - dichiarano nel loro comunicato - “abbiamo
pregato per i nostri fratelli e sorelle che vivono queste situazioni
drammatiche, e ci siamo interrogati sulle azioni di prevenzione che la Chiesa
potrebbe proporre per evitare o fermare questi conflitti armati, e creare le
condizioni di perdono e di riconciliazione”. Riguardo al processo di
mondializzazione, i vescovi dichiarano che si tratta di una buona opportunità e
di una minaccia per le culture africane e soprattutto per la fede cristiana.
Infine, l’Assemblea ha rinnovato i mandati alle diverse cariche. Sono stati,
dunque, eletti presidente mons. Theodore-Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar nel
Senegal; primo vice presidente mons. Jean-Marie Compaorè, arcivescovo del
Ouagadougou, nel Burkina Faso; secondo vice presidente, mons. Jean Zerbo,
arcivescovo di Bamako, nel Mali. Un messaggio al popolo della Costa d’Avorio
sarà reso pubblico oggi, durante la Messa di chiusura.
**********
=======ooo=======