RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 40 - Testo della Trasmissione di domenica 9 febbraio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

 

All’Angelus domenicale, Giovanni Paolo II esorta i fedeli a unirsi in preghiera per la pace e, nell’imminenza dell’XI Giornata Mondiale del Malato, ribadisce la necessità di una maggiore attenzione verso chi soffre

 

 Il cardinale Etchegaray, domani a Baghdad, quale Inviato Speciale del Papa. Lo rende noto, in una dichiarazione, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Navarro-Valls

 

Nell’impegno a ravvivare la pastorale sanitaria, si aprono oggi a Washington le celebrazioni per la Giornata Mondiale del Malato. Intervista con il vescovo Josè Redrado.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

 

Un approfondimento sui conflitti dimenticati del Sud del pianeta nella riflessione di padre Bartolomeo Sorge, direttore della rivista Popoli

 

 In una suggestiva mostra a Roma, la straordinaria storia degli emigrati italiani nel mondo. Con noi, il ministro Mirko Tremaglia e il curatore della mostra, Emanuele Stolfi

 

 Da Paese di pace a teatro di guerra, la crisi in Costa d’Avorio raccontata dal missionario don Giuseppe Baldàs

 

Alla scoperta del “Signore degli Anelli”, epico poema del romanziere Tolkien. Ai nostri microfoni, lo scrittore Paolo Gulisano

 

CHIESA E SOCIETA’:

 

Crisi irachena: il governo di Baghdad ha fornito stamani agli ispettori dell’Onu documenti su armamenti nucleari e biochimici

 

Montenegro al voto oggi per le presidenziali

 

 La preoccupazione dei vescovi africani francofoni per il proliferare dei conflitti nella regione, espresso alla 15.ma assemblea plenaria della Cerao, in corso a Bamako

 

 Cordoglio dei vescovi sudanesi per la morte di due sacerdoti vicentini in un incidente stradale vicino Khartoum, nel quale è rimasto ferito il vescovo di El Obeid.

 

 

  IL PAPA E LA SANTA SEDE

9 febbraio 2003

 

 

ALL’ANGELUS DOMENICALE, GIOVANNI PAOLO II ESORTA I FEDELI A UNIRSI IN PREGHIERA PER LA PACE E, NELL’IMMINENZA DELL’XI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO, RIBADISCE LA NECESSITA’ DI UNA MAGGIORE ATTENZIONE VERSO CHI SOFFRE

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

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         Pregare per la pace con coraggio e speranza, nonostante le difficoltà che si presentano in questo avvio di nuovo millennio. All’Angelus domenicale, Giovanni Paolo II si è rivolto ai fedeli convenuti in piazza San Pietro levando alta la sua voce, instancabile, in favore della pace:

 

In quest'ora di preoccupazione internazionale, tutti sentiamo il bisogno di rivolgerci al Signore per implorare il grande dono della pace.

 

Il Pontefice ha ricordato le parole della Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae: “solo un intervento dall’Alto – ha detto – può far sperare in un futuro meno oscuro”. Non ha poi mancato di rivolgere un pensiero affettuoso alle numerose iniziative di preghiera che, in questi giorni, si svolgono in tante parti del mondo:

 

Mentre le incoraggio di cuore, invito tutti a prendere in mano la Corona per invocare l'intercessione della Vergine Santissima: “non si può recitare il Rosario senza sentirsi coinvolti in un preciso impegno di servizio alla pace”.

 

Assieme al grande tema della pace, il Papa ha voluto dedicare una particolare attenzione alla Giornata mondiale del Malato, che ricorre il prossimo 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes:

 

Si tratta d'una significativa occasione, che aiuta le Comunità ecclesiali a tenere sempre viva l'attenzione verso i fratelli e le sorelle infermi e sofferenti, e incoraggia gli operatori sanitari a curare con costante dedizione il loro servizio professionale.

 

Il Pontefice si è soffermato sulla coincidenza di tale evento con la data dell’apparizione della Vergine di Lourdes, un “riferimento costante della Giornata del Malato”. Maria, ha proseguito, “non cessa di effondere sul mondo della sofferenza il consolante messaggio della fiducia e della speranza”. Il Papa ha dunque espresso viva gratitudine a coloro che hanno curato le manifestazioni della Giornata, che nel Santuario nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington vedrà le sue principali celebrazioni. Poi, ha indirizzato un “pensiero riconoscente” a tutte quelle categorie di persone che “operano nel vasto campo dell’assistenza ai malati” corredandolo con una viva esortazione:

 

La Giornata del Malato rinnovi in ciascuno il desiderio di servire con dedizione chi è nella sofferenza, imitando Gesù, Buon Samaritano dell'umanità.

 

         Prima di congedarsi, il Santo Padre ha rivolto un saluto speciale ai membri del Forum degli Oratori italiani, riuniti per la loro Assemblea annuale. La ricca esperienza degli oratori, ha detto, possa “continuare a svilupparsi nel tessuto ecclesiale e sociale, offrendo ai giovani e alle famiglie un prezioso contributo educativo”.

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IL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY, DOMANI ALLA VOLTA DI BAGHDAD, QUALE INVIATO SPECIALE DEL PAPA IN IRAQ: LO RENDE NOTO IN UNA DICHIARAZIONE

IL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, NAVARRO-VALLS

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

La Santa Sede moltiplica gli sforzi per sventare la guerra in Iraq. In una dichiarazione rilasciata stamani dal Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, dott. Joaquín Navarro-Valls viene reso noto che domani - lunedì 10 febbraio - partirà alla volta di Baghdad, quale Inviato Speciale del Papa, il cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, accompagnato dal mons. Franco Coppola, consigliere di Nunziatura in servizio presso la Segreteria di Stato. “Scopo della Missione Pontificia - afferma Navarro-Valls - è dimostrare a tutti la sollecitudine del Santo Padre a favore della pace ed aiutare poi le Autorità irachene a fare una seria riflessione sul dovere di una fattiva cooperazione internazionale, basata sulla giustizia e sul diritto internazionale, in vista di assicurare a quelle popolazioni il bene supremo della pace”.

 

 

INIZIANO OGGI A WASHINGTON LE CELEBRAZIONI

 DELLA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO CHE CULMINERANNO

MARTEDI’ PROSSIMO 11 FEBBRAIO: CON NOI, IL VESCOVO JOSE’ REDRADO

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Undici febbraio, XI Giornata mondiale del malato, che quest’anno si celebra a Washington, negli Stati Uniti. Con noi, il segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, il vescovo José Redrado. Intanto, precisiamo anzitutto una cosa: perché la data dell’11 febbraio? In questo giorno, la Chiesa fa memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes. L’11 febbraio 1858 avveniva infatti a Lourdes la prima apparizione della Vergine a Santa Bernardette. Ora, questo santuario è divenuto un luogo di convergenza di tante persone malate da tutto il mondo, che si recano lì con la speranza di una guarigione, se non fisica almeno spirituale. Ecco la motivazione per cui Giovanni Paolo II ha collocato la celebrazione della Giornata mondiale del malato il giorno 11 febbraio.

 

D. - Quali frutti ha prodotto questa Giornata, quale eco ha in seno alla comunità ecclesiale, eccellenza?

 

R. – Ha fatto bene a sottolineare Lourdes: lo ha voluto il Papa, e noi siamo andati per la celebrazione della prima Giornata a Lourdes e torneremo il prossimo anno a Lourdes, dopo avere toccato tutti i continenti. Siamo stati in Polonia, in Costa d’Avorio, in Messico, in Portogallo, in Italia, in Libano, in Australia, in India, e così via. Torneremo a Lourdes. Sì, la Giornata mondiale del malato è stata una occasione d’oro. Non mi stancherò mai di ripeterlo. E’ stata un’occasione per impegnarci di più nella pastorale sanitaria. Con l’istituzione della Giornata del malato, tutte le Chiese si impegnano particolarmente non soltanto per celebrarla ma anche a prepararla bene: le Chiese locali, le Conferenze episcopali, le diocesi, le parrocchie... E’ una giornata per sensibilizzare il popolo di Dio e la società, per aiutare i malati a prendere coscienza del significato della sofferenza, e favorisce l’impegno di tante persone.

 

D. – Quest’anno, le celebrazioni si svolgono a Washington. Quale ne è la peculiarità?

 

R. – La celebrazione ha tre momenti forti. Per prima cosa, vogliamo fare un incontro con tutti i vescovi responsabili della pastorale sanitaria del continente americano. Speriamo che vengano tutti. La giornata di oggi serve per incoraggiare i vescovi responsabili nell’impegno alla pastorale sanitaria. Domani vi sarà una riflessione di tipo pastorale – etico – sul tema “Globalizzazione e sanità cattolica in America: richiamo alla giustizia”. E ci sono, durante tutta la giornata, relatori, tavole rotonde, con momenti forti di riflessione sul tema enunciato. Martedì vi sarà la solenne concelebrazione eucaristica nella basilica dell’Immacolata Concezione a Washington. Di solito il Papa manda un inviato speciale, e quest’anno ha nominato il nostro presidente, l’arcivescovo Javier Lozano Barragán.

 

D. – In un Paese tecnologicizzato come gli Usa, non si è deformato il senso del dolore, della malattia e della morte?

 

R. – Questa deformazione del dolore, della malattia e della morte non è una peculiarità degli Stati Uniti; io direi che in tutto il mondo vi è questa deformazione: è tutta la nostra società consumistica, materializzata, che emargina, allontana il dolore e la morte… Dobbiamo essere coraggiosi e renderci conto che, a seconda di come noi ci rapportiamo con la sofferenza, possiamo ritenerla una sciagura, qualcosa di estremamente negativo, oppure possiamo essere capaci di convertirla in qualcosa di positivo. Oggi l’uomo tecnico rischia di sequestrare dal dolore e dalla morte la dimensione intima, personale, religiosa, mistica, tutto quello che appartiene all’uomo: l’uomo soffre, muore, ma questa sofferenza e questa morte devono diventare proprie, personali, irripetibili; l’uomo deve assumerle.

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OGGI IN PRIMO PIANO

9 febbraio 2003

 

 

UN APPROFONDIMENTO SULL’INTRECCIO TRA GLI INTERESSI ECONOMICI

DEI PAESI SVILUPPATI E I CONFLITTI DIMENTICATI DEL SUD DEL MONDO

NELLA RIFLESSIONE DI PADRE BARTOLOMEO SORGE

 

 

La possibile guerra all’Iraq catalizza l’interesse dell’opinione pubblica mondiale, ma sono tanti i conflitti nelle aree più povere del pianeta che non fanno notizia. Conflitti dimenticati e interessi del mondo sviluppato, un binomio che dà spesso origine ad orrori destinati a rimanere nell’ombra in diversi continenti. Se n’è discusso a Milano nel corso di una tavola rotonda cui hanno preso parte Famiglia Cristiana, la rete televisiva Nova T e la rivista Popoli. A farne le spese è soprattutto il continente africano, ricco di risorse naturali, ma politicamente instabile. Stefano Leszczynski ha intervistato padre Bartolomeo Sorge, direttore della rivista Popoli.

 

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R. – Sono molti i luoghi dove il sangue umano viene sparso senza che nessuno si degni di guardarlo. C’è per esempio un caso veramente impressionante nel Sahara occidentale, dove c’è una popolazione, la popolazione Saharaoui, che da 30 anni è in guerra e nessuno ne parla; il conflitto nel Congo, che alcuni chiamano appunto ‘la prima guerra mondiale africana’ per cui dopo la caduta di Mobutu sono soprattutto le nazioni ricche dell’Occidente che ingolosite dalle ricchezze che ci sono, strumentalizzano anche le guerre per interessi non sempre nobili. Poi la Costa d’Avorio, il Rwanda, il Burundi, il Sudan dove c’è una grande guerra civile tra Nord e Sud; la Somalia che, dopo la caduta di Siad Barre, praticamente non è più uno Stato e sembra che gli occidentali abbiano interesse a mantenerlo così ...

 

D. – L’opinione pubblica manifesta un forte scetticismo quando, appunto, si parla di conflitti che sono alimentati esclusivamente dagli interessi dei Paesi ricchi ...

 

R. – Purtroppo, è un triste modo di pensare. Direi che la prima cosa da fare di fronte a questo dramma è cominciare con un serio esame di coscienza. C’è un egoismo, un razzismo, una logica – diciamo – predatoria che è lo sfruttamento di questi popoli ricchi di materie prime, di energie vitali che viene fatto senza coscienza.

 

D. – Ma l’Africa non ha coscienza di queste sue ricchezze?

 

R. – Vede, questo è il dramma dei Paesi poveri in via di sviluppo: che ormai sono coscienti ma non hanno la forza di tirarsi su da soli, hanno bisogno di una funzione di ‘volano’ che solo i Paesi del benessere possono fare.

 

D. – La Chiesa è spesso presente in questi Paesi dove esistono situazioni drammatiche. Che ruolo svolge e, soprattutto, che riscontro ha là dove ci sono i centri decisionali africani?

 

R. – La Chiesa ha la sua funzione di fermento, di lievito, di coscienza critica, quindi mette in luce le situazioni disumane che vanno contro Dio e contro l’uomo; però ha anche una dimensione profetica: le iniziative che si stanno facendo sono enormi. Se all’improvviso tutti i missionari e tutta la presenza della Chiesa dovessero scomparire dall’Africa, veramente il continente sarebbe in balìa del disastro più grande che si possa immaginare. Però, ovviamente non tocca alla Chiesa sostituirsi agli Stati, alle industrie, a tutto quello che altre realtà devono fare.

 

D. – E quale dovrebbe essere la coscienza dei media, della stampa, che spesso non portano a conoscenza del vasto pubblico quello che avviene?

 

R. – Bene, io direi una sola cosa: la comunicazione sociale dovrebbe essere veramente libera, perché se chi scrive, chi parla, chi dà notizie non è interiormente libero, sarà sempre asservito al carro del padrone di turno. Abbiamo bisogno di uomini liberi, di coscienze libere ed equilibrate, che possano veramente prendere la parte dei meno favoriti.

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LA STRAORDINARIA EPOPEA DEGLI EMIGRATI ITALIANI NEL MONDO,

RIPERCORSA IN UNA SUGGESTIVA MOSTRA A ROMA

 

- Ai nostri microfoni Emanuele Stolfi e Mirko Tremaglia -

 

“Tante Patrie Una Patria - L’identità italiana nel mondo attraverso l’emigrazione”. E’ il titolo della singolare mostra inaugurata nei giorni scorsi al Vittoriano di Roma. L’esposizione, realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, sarà visitabile fino al 16 marzo; successivamente proseguirà attraverso un lungo viaggio in molte regioni italiane e poi all’estero, nei principali insediamenti delle comunità italiane. Il servizio è di Barbara Castelli.

 

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(musica)

 

Passaporti, biglietti di viaggio, lettere, giornali e stendardi. Sono i tasselli di un mosaico che ripercorre e racconta la storia degli italiani nel mondo: quegli uomini e quelle donne che hanno abbandonato la propria Patria alla ricerca di un lavoro e di una nuova vita. L’emigrazione italiana all’estero è così protagonista della suggestiva esposizione “Tante Patrie Una Patria - L’identità italiana nel mondo attraverso l’emigrazione”, allestita in due ampie sale del Vittoriano. Il percorso espositivo, che intende, in primo luogo, portare un contributo concreto alla ricostruzione di un’identità nazionale “a rete”, si avvale di un vasto repertorio fotografico, di filmati provenienti dalle più famose cineteche italiane e straniere, di preziosi reperti scientifici e manoscritti originali. Ampio spazio è dato poi agli elementi che hanno fatto conoscere il “made in Italy” all’estero: la moda, la cucina, l’arte e la letteratura. Al nostro microfono Emanuele Stolfi, curatore della mostra.

 

“Noi vogliamo ripercorrere la storia non solo dell’emigrazione, ma di ciò che poi l’emigrazione ha generato nel mondo oggi. L’epopea di 25-26 milioni di italiani, che in un secolo hanno lasciato il Paese sono cifre straordinarie, che, credo, solo in parte gli italiani nei nostri confini conoscono. Abbiamo voluto evitare la retorica, l’apologia, perché riteniamo che tutti coloro che sono andati siano vincenti. E’ gente che ha superato prove straordinarie e ce l’ha fatta. Ha mandato i figli a scuola, ha appreso le lingue. Oggi, è tutta gente profondamente inserita nelle rispettive realtà. Per questo abbiamo chiamato ‘Tante Patrie’, perché ciascuno di loro è prima di tutto argentino, americano, brasiliano, ma ha un’altra patria che è l’Italia”.

 

(musica)

 

Una mostra per ripercorrere pagine della storia italiana per molti versi dimenticata, e allo stesso tempo l’occasione per maturare un maggiore senso di accoglienza, come ha sottolineato il Ministro per gli italiani all’estero, Mirko Tremaglia.

 

“Noi non dobbiamo dimenticare mai il nostro passato, le sofferenze che la nostra gente ha dovuto attraversare. Bisogna tenerne conto di fronte alla gente che viene qui, che ha fame, che scappa, che non ha lavoro. Ecco, allora, l’accoglienza è un fatto di umanità e di civiltà. Certo, occorre la legalità insieme, ma ripeto che questi sono dei principi assoluti”.

 

(musica)

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DA PAESE DI PACE, A TEATRO DI GUERRA:

L’INCUBO DELLA COSTA D’AVORIO, NEL RACCONTO DI UN MISSIONARIO

- Intervista con don Giuseppe Baldàs -

 

E’ sempre alta la tensione in Costa d’Avorio nonostante le assicurazioni del presidente Gbagbo a rispettare l’accordo firmato a Parigi da governo e ribelli. La transizione per il Paese africano si presenta quanto mai difficile come testimonia un sacerdote che lo conosce da molto tempo. Si tratta di don Giuseppe Baldàs, direttore del Centro missionario di Gorizia, che aiuta il popolo ivoriano da ormai 33 anni. È del 1970, infatti, la costruzione del lebbrosario di Maniero, e di tre anni dopo l’inaugurazione della prima missione, gestita da sacerdoti, religiosi e laici. Nel suo ultimo viaggio in Costa d’Avorio, concluso qualche giorno fa, don Giuseppe Baldàs si è occupato tra l’altro di far fronte all’emergenza profughi con le offerte della diocesi di Gorizia e con i fondi dell’8 per mille della Chiesa italiana. Giancarlo La Vella ha chiesto al religioso quale effetto gli abbia fatto ritrovare il Paese in preda alla guerra:

 

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R. – Sembra quasi impossibile fare un paragone tra la situazione attuale e tutto quello che abbiamo vissuto in questi anni, in un Paese che veniva chiamato a suo tempo ‘la Svizzera africana’. In Costa d’Avorio, noi abbiamo una missione che è rimasta sotto ai governativi – quella di Kossou – mentre l’altra – quella di Nimbo-Bouaké – è in territorio controllato dai ribelli ed è doloroso vedere, per esempio, che per arrivare in queste due missioni bisogna passare centinaia di posti di blocco formati con giovani al massimo ventenni con il mitra in mano. Ho visto perfino due ragazzini, avranno avuto 10, 12 anni, anche questi con il mitra. Indubbiamente è una sensazione di grande sofferenza, perché io ero abituato a vedere nella Costa d’Avorio il Paese della pace e prendere atto della grave situazione attuale, con tutte le distruzioni e le violenze, è certamente qualcosa che non ero abituato a vivere.

 

D. – Don Baldàs, si sperava che gli accordi firmati qualche giorno fa a Marcoussis, vicino Parigi, riuscissero a riportare la tranquillità nel Paese: così non è stato. Secondo lei, per quale motivo?

 

R. – Perché questi accordi sono stati in un certo senso ‘imposti’: i militari lealisti non accetteranno mai di essere comandati da un ministro che era l’espressione dei ribelli e poi, indubbiamente, perché vi sono anche interessi economici da spartire. E poi, secondo me, ci sono troppe armi attualmente in Costa d’Avorio, per cui è difficile che la bilancia tra governo e ribelli torni a riequilibrarsi.

 

D. – Secondo lei, qual è la via per ritrovare la pace in Costa d’Avorio?

 

R. – Ci sarebbe una via, ma è abbastanza difficile da realizzare. Se ci fosse domani un altro Trattato di pace, ad esempio, chi ci garantisce che i ribelli deporranno le armi o non si daranno invece alla macchia e faranno del banditismo? A mio parere, occorrerebbe una forza internazionale sotto il comando dell’Onu, che veramente facesse opera di rastrellamento e di raccolta delle armi, in modo che tutti restino disarmati. Indubbiamente, occorre anche che si raggiunga un accordo di pace, per ottenere la quale ognuna delle parti deve pur rinunciare a qualcosa.

 

D. – Poi c’è bisogno di realizzare la pacificazione anche tra la gente: gente che sta soffrendo le difficoltà di questi mesi di conflitto ...

 

R. – Certo, occorre la costanza e la grande fede, la grande passione che hanno i missionari, perché molte persone sono scappate. Ad esempio, nella nostra missione di Nimbo-Bouaké l’80 per cento dei cristiani sono scappati o al sud o nei villaggi, però i missionari sono rimasti e la gente non può non vedere il loro impegno in questa situazione. Sia i governativi che i rivoltosi sanno che noi siamo lì per il bene spirituale e materiale della gente, per cui la speranza di una riconciliazione o di una pacificazione passerà sicuramente anche attraverso l’opera dei missionari.

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ALLA SCOPERTA DEL “SIGNORE DEGLI ANELLI”, CAPOLAVORO LETTERARIO

DELLO SCRITTORE INGLESE TOLKIEN. UN TESTO EPICO CHE STIMOLA LA RIFLESSIONE SULLA LOTTA TRA IL BENE E IL MALE, PRESENTE IN OGNI UOMO

 

- Con noi, Paolo Gulisano -

 

Guidare il lettore alla scoperta del mondo del “Signore degli Anelli” attraverso gli eroi e i luoghi fantastici che lo animano. Questo lo scopo del libro “Gli eroi del Signore degli Anelli”  edito da Ancora e scritto da Paolo Gulisano, uno dei massimi esperti di John Roland Tolkien in Italia e dell’aspetto religioso presente nei libri dello scrittore inglese, nato in Sud Africa. Un testo ideale per coloro che vogliono accostarsi ad una storia meravigliosa, una curiosità per gli esperti appassionati del genere, sempre attenti a tutto ciò che si muove attorno alla Tolkien-mania. L’iniziativa editoriale conferma ancora una volta il successo di questa storia fantastica giunta al suo secondo episodio cinematografico. Ma quale il significato de “Il Signore degli anelli”? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Paolo Gulisano.

 

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R. – A mio avviso “Il Signore degli anelli” è un viaggio, innanzitutto. Torna in questo capolavoro il simbolismo dell’homo viator: un simbolismo antico nella letteratura e, molto significativo. Si tratta di un’epica della ricerca umana.

 

D. – Ogni opera epica ha anche dei valori. Quali sono i valori de “Il Signore degli anelli”?

 

R. – E’ Tolkien stesso che in una lettera del ’51, prima ancora che il libro uscisse, scriveva ad un amico, mostrandogli  le bozze: “Tutto questo materiale tratta di tre cose: la caduta, la morte e la macchina”. Per caduta evidentemente si intende la condizione di caduta dell’uomo, che in ambito cristiano è quella del peccato originale. Poi il problema della morte affronta i vari tentativi per  vincerla. Ed infine la macchina, dove per macchina non si intende tanto la scienza, ma un certo uso disumano della tecnologia. Il problema fondamentale de “Il Signore degli anelli” non è tanto la lotta tra il bene e il male o la questione del potere - appunto l’anello che è simbolo del potere - ma che Dio solo ha diritto di ricevere attributi divini: ovvero è lo scontro tra Dio e idolatria. Ne “Il Signore degli anelli” non c’è il Dio cristiano, però Dio è cercato, si chiede a Dio in maniera quasi commovente di manifestarsi.

 

D. – A proposito della distinzione che in molte opere di genere fantasy viene fatta tra bene e male, “Il Signore degli Anelli” presenta bene e male non così divisi …

 

R. – Esattamente. Questa osservazione fa decadere quella critica a Tolkien di essere un attore manicheo. Tolkien sa bene che il bene e il male vivono in ciascuno di noi. Nessuno è cattivo fin dall’inizio. I personaggi malvagi, per esempio gli orchi, sono appunto il risultato di un pervertimento, di una natura che è uscita buona dalle mani di Dio. E la soluzione netta, chiara, che ci dà Tolkien è una sola: con il male nessun compromesso. L’anello, che è il male, va distrutto. Bisogna rinunciare. L’eroismo dei personaggi de “Il Singore degli anelli” è l’eroismo della rinuncia, è l’eroismo del sacrificio. Per questo Tolkien ha scelto come eroi del suo romanzo non dei guerrieri possenti, ma dei piccoli hobbit.

 

D. – La riscoperta de “Il Signore degli anelli” in questi ultimi due anni è avvenuta grazie alle due trasposizioni cinematografiche, l’ultima sul grande schermo in questi giorni, ma quanto la pellicola è fedele alla penna di Tolkien?

 

R. – Manca un po’ della poesia. “Il Signore degli anelli” non è soltanto guerra, non è soltanto uno scontro. Mi auguro che gli spettatori, specialmente i più giovani, avvertano il bisogno di leggere il libro. Troveranno in esso sicuramente un grande tesoro, ricco di spunti di riflessione.

 

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CHIESA E SOCIETA’

9 febbraio 2003

 

 

GLI IRACHENI HANNO FORNITO ALL'ONU DOCUMENTI SULLE ARMI NUCLEARI E BIOCHIMICHE. E’ QUANTO DICHIARATO A BAGHDAD DA UNA FONTE VICINO

AGLI ISPETTORI DELLE NAZIONI UNITE, AL TERMINE DEI COLLOQUI TRA BLIX,

 EL BARADEI ED ALCUNI RESPONSABILI IRACHENI

 

BAGHDAD. = L'Iraq ha consegnato oggi ai capi degli ispettori dell'Onu documenti sul suo armamento “biochimico e nucleare''. Lo ha detto una fonte vicina alle Nazioni Unite al termine dei colloqui tra gli ispettori sul disarmo, Hans Blix e Mohamed el Baradei, e alcune autorità di  Baghdad: il generale Hossam Mohamed Amin ed il consigliere del leader iracheno Saddam Hussein, Amer al Saadi. Intanto, il ministro della difesa russo Serghei Ivanov ha fatto sapere che Mosca potrebbe aderire al piano di pace franco-tedesco qualora il Consiglio di sicurezza decidesse di approvarlo. La dichiarazione è avvenuta a poche ore dai colloqui sulla crisi irachena che il presidente Vladimir Putin avrà, prima a Berlino con il cancelliere Gerhard Schroeder, e poi a Parigi con il presidente francese Jacques Chirac. Nel frattempo questa mattina è giunto a Teheran, per una breve visita non annunciata, il ministro degli affari Esteri iracheno Naji Sabri per parlare con il suo omologo iraniano Kamal Kharrazi. Lo ha comunicato l'agenzia governativa Irna, che ha sottolineato il ruolo “importante” svolto dall’Iran nella regione e la diplomazia “attiva” del Paese nel cercare di evitare un conflitto. Sempre di Iraq parleranno oggi a Sharm El Sheikh il leader libico Gheddafi  ed il presidente egiziano  Mubarak. Quest’ultimo, che in giornata riceverà il ministro degli esteri saudita, Saud Al Faysal ed il presidente siriano Bashar El Assad, ha detto che se gli Stati Uniti e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite decideranno in favore di una guerra all'Iraq, gli arabi non potranno opporsi. Infine sempre questa mattina circa 500 palestinesi hanno manifestato a Rafah - nel sud della Striscia di Gaza - a  sostegno dell'Iraq e contro la “guerra di Bush e Sharon”, scandendo slogan a favore di Saddam Hussein. I dimostranti hanno invitato a bombardare Tel Aviv come durante la guerra del Golfo del 1991. L’iniziativa è stata indetta dal Fronte di liberazione arabo, un'organizzazione palestinese filo-irachena. (P.O.)

 

 

 

 

MONTENEGRO OGGI AL VOTO PER LE PRESIDENZIALI.

BASSA L’AFFLUENZA ALLE URNE, ANCHE A CAUSA DEL BOICOTTAGGIO

DEL PARTITO SOCIALISTA POPOLARE

 

PODGORICA. = Iniziate sotto cattivi auspici le presidenziali in Montenegro, secondo tentativo di dotarsi di un presidente dopo la fallita chiamata alle urne del dicembre scorso, annullata per non aver raggiunto il quorum. Nella repubblica che dal 4 febbraio forma con la Serbia il nuovo Stato di Serbia e Montenegro, al posto della Jugoslavia, i seggi sono stati aperti questa mattina alle ore 8. Tra gli 11 candidati è dato favorito l'ex premier e attuale presidente ad interim Filip Vujanovic che in dicembre aveva ottenuto l'83 per cento dei consensi. Sarà sufficiente il 50 per cento più uno dei 650 mila elettori per rendere valida l’odierna tornata. Come già accaduto a dicembre, il Partito socialista popolare detentore del 23 per cento degli elettori ha invitato a boicottare la chiamata alle urne. Se l'azione del movimento di opposizione andrà a segno, invalidando il voto, le due repubbliche si troveranno senza un Capo di Stato eletto. I sondaggi parlano di un’affluenza massima del 46 per cento degli aventi diritto, maggiore dunque rispetto a quanto registrato a dicembre, ma inferiore al numero richiesto. Ostacola l’accesso ad alcuni seggi, inoltre, la neve che continua a cadere senza sosta da ormai diversi giorni. D’altro canto, è stato deciso che il voto sarà ripetuto in tutti quei seggi in cui non sarà stato possibile votare per avverse condizioni climatiche. Si dovranno attendere le 21 di stasera, ora di chiusura dei seggi, per conoscere i primi risultati parziali. (P.O.)

 

 

CORDOGLIO DEI VESCOVI SUDANESI PER LA MORTE DI DUE MISSIONARI

IN UN INCIDENTE STRADALE VICINO KHARTOUM.

SULLA VETTURA, RIBALTATASI  IN SEGUITO ALLO SCOPPIO DI UN PNEUMATICO,

 C’ERANO ANCHE IL VESCOVODI EL OBEID

E UN ALTRO SACERDOTE, RIMASTI FERITI

 

EL OBEID. = In un incidente stradale avvenuto, ieri in Sudan, due sacerdoti vicentini don Antonio Doppio, arciprete di Schio, e don Giacomo Bravo, direttore dell’ufficio missionario diocesano di Vicenza, hanno perso la vita. A bordo della vettura c’erano altri due religiosi che hanno riportato solo qualche ferita e che al momento sono ricoverati all’ospedale di Tendelti, a cento chilometri da Kosti, sulla strada verso El Obeid. Si tratta di mons. Antonio Menegazzo, di 72 anni, vescovo di El Obeid e Don Grigolo Armido. Ne ha dato notizia ieri la Misna, secondo cui i quattro religiosi stavano viaggiando in jeep da Khartoum verso El Obeid, quando verso le 15.00, ora  locale, l'automobile si è ribaltata a causa dello scoppio di  un pneumatico. I vescovi della capitale sudanese e di Kosti, profondamente addolorati per l'avvenimento, hanno immediatamente espresso le loro condoglianze alle famiglie delle vittime e al vescovo di Vicenza. La comunità comboniana si è unita ai presuli sudanesi in un momento tanto drammatico, ricordando che i sacerdoti erano strettamente legati al mondo missionario. (P.O.)

 

 

 

VIVA PREOCCUPAZIONE PER IL CONTINENTE AFRICANO, TEATRO DI FREQUENTI

CONFLITTI. AD ESPRIMERLA SONO I VESCOVI DELL’AFRICA DELL’OVEST FRANCOFONA, NEL COMUNICATO FINALE DELLA LORO 15.MA ASSEMBLEA PLENARIA

CHE SI CONCLUDERA’ DOMANI A BAMAKO, NEL MALI.

LE GRIDA DI DOLORE, SCRIVONO I PRESULI, NON CI LASCIANO INDIFFERENTI

 

- A cura di Joseph Ballong -

 

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BAMAKO.= Oggi penultimo giorno dei lavori della XV Assemblea plenaria della conferenza episcopale regionale dell’Africa dell’Ovest francofona, dopo una Messa solenne, l’attenzione è stata rivolta all’ascolto delle Chiese sorelle dell’Africa dell’Ovest anglofona, rappresentate dall’arcivescovo di Abuja in Nigeria, mons. John Onaiyekan e dell’arcivescovo di Kumasi, nel Ghana, mons. Peter Sarpong. Dopo aver ugualmente ascoltato un rapporto sulle attività dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia, creato nel 1997 a Cotonou nel Benin, per tutta l’Africa francofona i vescovi hanno invocato una risoluzione del problema della riforma degli statuti della loro Conferenza regionale, e hanno fatto delle proposte per l’elaborazione di un nuovo piano pastorale triennale. Poi, in un comunicato finale, i vescovi dell’Africa occidentale francofona hanno ribadito la loro viva preoccupazione per la situazione del continente che rimane ancora teatro di conflitti e di guerre. “Queste sofferenze e queste grida di dolore non ci hanno lasciati indifferenti” - dichiarano nel loro comunicato - “abbiamo pregato per i nostri fratelli e sorelle che vivono queste situazioni drammatiche, e ci siamo interrogati sulle azioni di prevenzione che la Chiesa potrebbe proporre per evitare o fermare questi conflitti armati, e creare le condizioni di perdono e di riconciliazione”. Riguardo al processo di mondializzazione, i vescovi dichiarano che si tratta di una buona opportunità e di una minaccia per le culture africane e soprattutto per la fede cristiana. Infine, l’Assemblea ha rinnovato i mandati alle diverse cariche. Sono stati, dunque, eletti presidente mons. Theodore-Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar nel Senegal; primo vice presidente mons. Jean-Marie Compaorè, arcivescovo del Ouagadougou, nel Burkina Faso; secondo vice presidente, mons. Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako, nel Mali. Un messaggio al popolo della Costa d’Avorio sarà reso pubblico oggi, durante la Messa di chiusura.

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