RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 357 - Testo della
Trasmissione di martedì 23 dicembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Domani, mercoledì 24 dicembre, Vigilia di Natale,
Giovanni Paolo II non terrà l’udienza generale : celebrerà invece la Messa di
mezzanotte nella Basilica vaticana.
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
In Italia calano i reati contro l’ambiente
Messaggio di Natale del
presidente della Conferenza episcopale indiana.
Gheddafi esorta Corea del Nord, Iran e Siria a disfarsi delle armi di distruzione di massa
La denuncia di Bank
of America alla Procura di Milano in
relazione alla vicenda Parmalat
Filippine: 200 i morti
accertati e 100 i dispersi per il maltempo. Ritrovate 20 delle 75 vittime del
naufragio di domenica.
23 dicembre 2003
LE MIGRAZIONI STRUMENTO DI PACE E
DI DIALOGO TRA LE CIVILTA’:
COSI’ IL PAPA NEL MESSAGGIO PER LA
GIORNATA DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO
DEL 6 GENNAIO PROSSIMO, SUL TEMA
“MIGRAZIONI IN VISIONE DI PACE”
- Servizio di Alessandro Gisotti -
Il mondo dei migranti “è in grado di offrire un valido
contributo al consolidamento della pace”, giacché le migrazioni possono
“agevolare l’incontro e la comprensione tra le civiltà”. E’ la riflessione
offerta dal Papa nel Messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato,
che ricorre il 6 gennaio prossimo, sul tema “Migrazioni in visione di pace”.
Nel documento, pubblicato oggi in Vaticano, il Papa sottolinea che se “si
valorizza l’apporto dei migranti e dei rifugiati, l’umanità può divenire sempre
più famiglia di tutti e la nostra Terra una reale casa comune”. E
ribadisce che per i cristiani, “la ricerca di una fraterna comunione tra gli
uomini trova la sua sorgente” in Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Occorre
combattere il male della guerra alla radice, perché la pace non è unicamente
assenza di conflitti, ma un processo dinamico” che “coinvolge ogni fascia della
società”. Giovanni Paolo II sottolinea come oggi “l’aspirazione alla pace sia
nel cuore di gran parte dell’umanità”. Insieme, “si può e si deve” allora
“costruire una cultura di pace” per “prevenire il ricorso alle armi e ogni
forma di violenza”. Proprio per questo, avverte, “vanno incoraggiati gesti e
sforzi concreti di perdono e di riconciliazione”. E’ necessario “superare contrasti
e divisioni”. D’altro canto, “va ribadito con vigore che non ci può essere vera
pace senza giustizia e senza rispetto dei diritti umani”. Esiste, infatti, “uno
stretto legame tra la giustizia e la pace”.
Soffermandosi,
così, sulla condizione dei migranti e dei rifugiati, il messaggio mette
l’accento sull’impegno a “salvaguardare anzitutto il diritto a non emigrare, a
vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria”. Ogni Paese, sostiene, deve
essere in grado di assicurare ai propri abitanti la soddisfazione delle necessità
fondamentali. Esiste, d’altro canto, anche il diritto ad emigrare. Ai governi,
afferma il Pontefice, spetta “regolare i flussi migratori nel pieno rispetto
della dignità delle persone e dei bisogni delle loro famiglie”. E qui esorta “a
non rimanere insensibili dinnanzi alle condizioni in cui versano schiere di
migranti”. Riconosce, tuttavia, il “lodevole sforzo” compiuto da non poche
organizzazioni pubbliche e private per “alleviare le preoccupanti situazioni”
in tante parti del pianeta. Il Papa non tralascia, poi, di “denunciare il
traffico praticato da sfruttatori senza scrupoli che abbandonano in mare, su
imbarcazioni precarie, persone alla disperata ricerca di un futuro meno
incerto”. Chi versa in condizioni critiche, prosegue, “necessita di solleciti e
concreti interventi”.
Il
messaggio si concentra infine sulle migrazioni come strumento di dialogo interculturale.
Quando con ogni mezzo “si favorisce la cultura dell’accoglienza”, pur non
cedendo a forme di indifferentismo”, questa “apertura solidale diviene offerta
e condizione di pace”. Quando le “diversità” si incontrano integrandosi,
prosegue, “danno vita a una convivialità delle differenze”. Si
riscoprono così i “valori comuni ad ogni cultura, capaci di unire e non di
dividere”. Proprio da questi presupposti si dispiega “un dialogo proficuo per
costruire un cammino di tolleranza reciproca, realistica e rispettosa delle
peculiarità di ciascuno”. Il fenomeno delle “migrazioni – conclude –
contribuisce a coltivare il sogno di un avvenire di pace per l’intera
umanità”.
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Ma sul
messaggio del Papa ascoltiamo l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del
Pontificio Consiglio per i Migranti, al microfono di Giovanni Peduto.
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R. – Nel mondo contemporaneo, sempre più globalizzato e
interdipendente, lo sviluppo del fenomeno della mobilità umana, come sta ripetendo
da alcuni anni il Santo Padre, rappresenta una grande occasione per stimolare
una più larga conoscenza delle culture, delle religioni, per avviare il dialogo
tra popolazioni differenti, per migliorare la convivenza fra civiltà. La
mobilità umana può diventare in questo senso una straordinaria opportunità nel
cammino per una vera pace nel mondo. Che tale mobilità umana si stia sempre più
intensificando è un fatto che balza agli occhi. Basti pensare che oggi sono più
di 200 milioni i migranti e i rifugiati che vivono fuori dal loro Paese di
origine, non solo per realizzare il desiderio di una vita migliore, ma troppo
spesso costretti dalla fame, dalla miseria, dalle violenze e anche da guerre e
rivalità etniche. Le loro mete sono generalmente i Paesi cosiddetti
industrializzati, dove però si vedono questi flussi inarrestabili di bisognosi,
quasi come una invasione. E’ una visione di molti. Da questo incontro-scontro
scattano le azioni spesso di chiusura e di incomprensione e da qui viceversa
dovrebbe nascere l’organizzazione della solidarietà, che si traduce anzitutto
in centri di prima ospitalità e anche in legislazioni giuste, atte a
regolarizzare la situazione dei nuovi arrivati. Si tratta di un vero e proprio
itinerario dell’accoglien-za, che ha come caratteristica “sine qua non” appunto
il dialogo. Essi però devono rispettare l’identità culturale e le leggi nei
Paesi di accoglienza, naturalmente. Che il Santo Natale ci veda tutti
accomunati, dunque, nel desiderio di avvicinarci di più gli uni agli altri, di
capirci, di aiutarci, e insieme andare vicino al Bambino Gesù. Ci doni Egli un
supplemento di semplicità di cuore, per farci piccoli accanto ai nostri
fratelli più umili e bisognosi.
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IL
SILENZIO CHIAVE PER PERCEPIRE IL SENSO DEL NATALE.
L’INVITO
DEL PAPA, ALL’ANGELUS DI DOMENICA SCORSA,
NELLA
RIFLESSIONE DI DON LEONARDO ZEGA
-
Intervista con il teologo -
Umiltà, silenzio, stupore, gioia. Sono le quattro
parole-chiave per comprendere l’Avvento e l’attesa di Gesù, secondo il pensiero
di Giovanni Paolo II. All’Angelus di domenica scorsa, è risuonato l’invito del
Papa a tacere per “non soffocare il mistero del Natale”. In queste ore che ci
separano dalla vigilia di uno degli eventi centrali della fede cristiana –
ricordiamo che domani, 24 dicembre, il Pontefice non terrà l’udienza generale e
celebrerà la Messa di mezzanotte in San Pietro – ci soffermiamo ancora a
riflettere sull’invito del Papa: e lo facciamo con il teologo don Leonardo
Zega, intervistato da Fabio Colagrande:
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R. - Viviamo nel rumore e nel fracasso non soltanto delle
parole, ma anche delle cose, dei consumi. Questo richiamo al silenzio mi sembra
sia dunque particolarmente puntuale ed importante. Dio parla nel silenzio. Noi,
molte volte, crediamo di non essere ascoltati perché non sappiamo fare
silenzio. Questo silenzio non è soltanto il non dire parole, il tacere: il
silenzio è anche attenzione e ascolto dell’altro. Non riuscendo a stare in
silenzio, spesso non ascoltiamo. Certo, c’è il dovere poi di parlare, ma è
impossibile parlare se prima non si ascolta e per ascoltare bisogna restare in
silenzio.
D. – Quindi il silenzio è la virtù anche di chi sa
dialogare…
R. – Il silenzio è la base del dialogo. Ogni giorno
assistiamo in televisione - nei talk show, ecc… - a questa specie di scandalosa
gara a sovrapporsi, a coprirsi gli uni con gli altri, al punto da creare una
babele totale di voci, nella quale nessuno più ci capisce niente.
D. – Qual è l’origine del chiasso, secondo lei?
R. – L’origine del chiasso è l’insicurezza. Una persona fa
molto rumore perché è impaurita, è insicura, non sa esattamente quello che
vuole. Del resto, il baccano maggiore lo fa la persona che sta annegando…
D. – Don Leonardo Zega, come può seguire l’invito al
silenzio chi per mestiere, come gli operatori della comunicazione, è in qualche
modo “condannato” all’uso della parola?
R. – Deve imparare il silenzio per usare bene la parola,
questo è il punto. C’è un tempo per parlare ed un tempo per tacere. Ma tacere
non significa nascondere. La franchezza evangelica impone anche che si parli
dai tetti quando è necessario. Ma ciò non significa fare rumore, fare fracasso,
cercare l’effetto: significa dire bene, in maniera limpida e franca, le parole
giuste, che sono poi quelle parole che vengono sempre dalle riflessioni, che
nascono dal silenzio. I grandi comunicatori sono persone che sanno stare zitte.
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Nel
corso della mattinata il Papa ha ricevuto il
cardinale Ignace Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le
Chiese Orientali e il cardinale Edmund Casimir Szoka, presidente della
Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente del
Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
L’apertura della prima pagina è
dedicata al Messaggio di Giovanni Paolo II per la 90.ma Giornata mondiale del
migrante e del rifugiato sul tema “Migrazioni in visione di pace”.
All’interno, il testo della
presentazione del Messaggio da parte del cardinale Stephen Fumio Hamao.
Nelle vaticane, una pagina
dedicata all’ingresso in diocesi del vescovo di Orvieto-Todi.
Nelle estere, in Iraq è stata
rinvenuta un'altra enorme fossa comune con i resti di decine di migliaia di
corpi; tale scoperta rinnova l’orrore per i crimini del deposto regime.
Medio Oriente: il ministro
degli esteri egiziano assalito in una moschea.
Per la rubrica dell’“Atlante
geopolitico”, un articolo di Marcello Filotei dal titolo “Israele annuncia un
piano per il distacco dai Territori”.
Nella pagina culturale, un
articolo di M. Antonietta De Angelis sulla mostra “Visioni ed estasi”,
allestita nel Braccio di Carlo Magno, in Vaticano.
Per l’“Osservatore libri”, un
approfondito contributo di Armando Genovese dedicato agli “Inni sulla Natività
e sull’Epifania” di Efrem il Siro, nelle Paoline Editoriale Libri.
Nelle pagine italiane, in
rilievo i temi della finanziaria e delle pensioni.
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23 dicembre 2003
“LA
PACE IN TERRA SANTA E’ POSSIBILE, MA BISOGNA ABBATTERE I MURI CHE SEPARANO I
POPOLI”: QUESTO L’APPELLO DA GERUSALEMME
DEL
PATRIARCA MICHEL SABBAH
-
Intervista con padre Ibrahim Faltas -
Un
forte appello alla pace e al dialogo tra israeliani e palestinesi è stato
lanciato ieri dal patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah nel
tradizionale incontro di Natale con i
giornalisti. Il patriarca ha detto che “la pace è possibile e i leader politici
possono e devono agire per mettere fine al conflitto”. Quindi ha criticato la
costruzione da parte di Israele del
'muro di separazione' con la Cisgiordania. “Il muro - ha detto - spinge la pace
lontano: solo quando cadranno i 'muri' finirà l'ostilità nei cuori e il sangue cesserà di scorrere”.
Purtroppo sul terreno le violenze continuano: oggi otto
palestinesi sono stati uccisi e più di 20 feriti in una vasta operazione
dell'esercito israeliano a Rafah, nella striscia di Gaza. Ieri sera 2 ufficiali
israeliani erano stati uccisi da un assalitore palestinese sempre nella
striscia di Gaza. Ed è in questo contesto difficile che i cristiani di Terra
Santa si preparano a vivere il Natale. Ma in che modo? Roberto Piermarini lo ha
chiesto al padre francescano Ibrahim Faltas, custode della Basilica della
Natività a Betlemme.
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R. – E’ veramente molto triste questo Natale, perché la
situazione politica, economica è tremenda. Allora noi stiamo cercando di dare
un po’ di gioia a questi bambini, che hanno veramente sofferto molto. Hanno
sofferto nel vedere tutta questa violenza, il sangue… Speriamo che questo
Natale sancisca la fine di questo odio e di questa violenza. Intanto posso dire
che questo Natale è migliore di quello dell’anno scorso, quando in questi
giorni c’era ancora il coprifuoco. Ci saranno 20 gruppi di scout in tutta la
Terra Santa. E la Porta della Pace, offerta da un’Associazione di Verona, sarà
inaugurata durante la Messa di mezzanotte alla presenza del Patriarca Michel
Sabbah e il ministro dell’ordine dei Frati Minori José Rodriguez Garballo.
D. – Padre Faltas, cosa vuole rappresentare questa Porta
della Pace?
R. – E’ un simbolo che porta la pace tra i due popoli,
affinché si aprano, discutano. Non si può arrivare ad una pace vera con la
violenza, con i carri armati, con i missili, con gli attentati, ma solo tramite
il dialogo. Come ha detto il Papa in Terra Santa servono ponti, non muri.
D. – Secondo lei questo muro di separazione costruito da
Israele allontana la pace?
R. – Noi vogliamo ponti di amore, di collaborazione, di
amicizia, di convivenza. Questo è quello di cui ha bisogno la Terra Santa, non
certo di un muro.
D. – Padre Faltas, sono arrivati molti pellegrini a
Betlemme per questo Natale?
R. – Sì, ci sono tanti pellegrini, soprattutto italiani.
D. – Sono continuate le migrazioni dei cristiani da
Betlemme?
R. – Purtroppo sì. In questi tre anni, solo da Betlemme, 2
mila cristiani sono andati via. E solo
dalla nostra parrocchia 79 famiglie. E’ veramente una cosa disastrosa. Ci
preoccupa molto vedere i cristiani lasciare la Terra Santa.
D. – E dove vanno?
R. – Vanno in Cile, vanno in Canada, in Austria, in tutto
il mondo.
D. – Padre Faltas quale augurio fa lei per Natale a Sharon
e Arafat?
R. – Che devono fare di tutto per il bene del loro popolo,
per arrivare ad un accordo di pace, per finire questa violenza, questo odio. I
due capi penso siano gli unici capaci di fare la pace.
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CON IL PENSIERO ALLE
VITTIME DI NASSIRIYA, I MILITARI ITALIANI DELLA
MISSIONE
DI PACE IN IRAQ SI APPRESTANO A CELEBRARE IL NATALE.
LA TESTIMONIANZA DEL GENERALE GIORGIO CORNACCHIONE
Non si arrestano le violenze in
Iraq: un alto magistrato curdo, il giudice Youssef Khoshi, è stato colpito a
morte ieri notte a Mossul. Intanto tre militanti islamici legati all'ex
vicepresidente, Izzat Ibrahim al-Douri, sono caduti nelle mani delle truppe
americane. Sul piano diplomatico, il ministro degli Esteri iracheno, Hoshyar
Zebari, ha annunciato a Roma che - a metà gennaio a New York – verrà ridiscusso
il rientro del personale Onu in Iraq. Zebari, che si è incontrato ieri sera con
il suo omologo italiano Franco Frattini, ha affrontato il problema del debito
estero iracheno, discusso già a Parigi, Berlino e a Mosca.
Si moltiplicano, dunque, a più
livelli gli sforzi per conseguire una stabilizzazione dell’Iraq. In prima linea
su questo fronte sono i militari italiani della missione di pace “Antica
Babilonia”. Un’attività che prosegue quotidianamente nel vivo ricordo delle
vittime dell’attentato del 12 novembre a Nassiriya. E proprio a loro va il
pensiero dei soldati italiani nell’approssimarsi del Natale. Lo testimonia
commosso il generale Giorgio Cornacchione, comandante in capo dei militari italiani
in Iraq, raggiunto telefonicamente a Bassora da Alessandro Gisotti:
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D. – Con quale spirito, con quali sentimenti, vi state
preparando a questo Natale?
R. – Innanzitutto con il pensiero rivolto ai nostri caduti
e a tutti i caduti nell’attentato contro la nostra base di Nassiriya. Io non
dimentico mai che insieme ai nostri soldati sono caduti anche due civili
italiani e sono rimasti coinvolti dei civili iracheni. Non posso nascondere che
per noi militari italiani, quando veniamo ingaggiati in queste operazioni che ci
ostiniamo a considerare di pace ancorché il contesto possa essere complesso e
difficile come qui in Iraq, queste festività sono anche un momento di
riflessione sulla correttezza di quello che stiamo facendo. La nostra cultura,
e per molti di noi la nostra fede, ci sono di aiuto in questo. Pensiamo anche
alle nostre famiglie e ai nostri affetti, che abbiamo lasciato a casa. E anche
da loro vengono parole di incoraggiamento, pur nella tristezza di dover essere
separati da noi in questo momento che è tradizionalmente di comunione in
Italia.
D. – C’è uno stato di allerta particolare?
R. – Dal punto di vista delle operazioni, l’allerta è
sempre molto elevata. In questo momento, potrebbe anche esserci qualcuno che
vuol portare danno alle forze della coalizione.
D. – Nel momento del dolore l’Italia si è stretta attorno
ai suoi soldati in missione di pace. Quanto è importante per il vostro lavoro
la vicinanza, il supporto del popolo italiano?
R. – Assolutamente determinante. Al di là dei lutti che
abbiamo avuto, noi riteniamo, come militari, di essere qua per mandato del
nostro Paese e, quindi, abbiamo bisogno di sentircelo dire, magari anche con
enfasi, magari anche nel ripetere questa vicinanza, perché per noi è
assolutamente determinante e ci consente di andare avanti anche nei momenti più
difficili, come quelli dell’attacco che abbiamo subito.
D. – Il presidente Ciampi ha definito la missione in Iraq
uno sforzo per la pace e la democrazia, come avete accolto queste parole?
R. – Noi siamo convinti di essere qua con questo mandato,
al di là della dialettica politica che c’è in Italia. E questo cerchiamo di
portarlo avanti tutti i giorni, convinti che questo nostro sforzo possa andare
nella direzione corretta di riportare alla convivenza civile un Paese come questo,
che esce da decenni di tirannia, di barbarie compiute nei confronti della
popolazione.
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LIBERATI CINQUE TURISTI STRANIERI IN COLOMBIA, MA
RESTA SEQUESTRATA
L’EX
CANDIDATA PRESIDENZIALE INGRID BETANCOURT
CUI E’ STATA CONFERITA IERI SERA A ROMA LA
CITTADINANZA ONORARIA
-
Intervista con Juan Carlos Lecompte -
L'Esercito di liberazione nazionale (Eln), il secondo
gruppo guerrigliero di sinistra della Colombia, ha rilasciato ieri i cinque
turisti stranieri che aveva sequestrato il 12 settembre scorso. I turisti,
quattro israeliani ed un britannico, le cui condizioni di salute “sono buone”,
sono stati consegnati ai membri di una commissione umanitaria. Il servizio di
Maurizio Salvi.
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Commentando il rilascio, mons. Hector Fabio Henao,
direttore della Pastorale sociale della Chiesa cattolica colombiana, ha sostenuto
che si tratta di un gesto che può aprire la porta alla liberazione di altri
ostaggi da parte della guerriglia. Adesso si possono esplorare nuovi cammini –
ha aggiunto – per mostrare che è possibile avanzare verso obiettivi più importanti.
In effetti, il governo del presidente, Alvaro Uribe, cerca da tempo un modo per
risolvere l’impasse legata al
sequestro, da parte delle forze armate rivoluzionarie della Colombia, le Farc,
di decine di militari e personalità politiche colombiane. Tra questi c’è l’ex
candidata presidenziale del partito Verde Ossigeno, Ingrid Betancourt. Uribe
chiede come base per un possibile negoziato la rinuncia all’uso della violenza
da parte della guerriglia. Ma quest’ultima esige, invece, la disponibilità di
una parte del territorio colombiano per procedere ad uno scambio umanitario di
prigionieri.
Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.
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Proprio ad Ingrid Betancourt, l’ex candidata presidenziale
colombiana sequestrata da oltre 600 giorni, è stata conferita ieri sera a Roma la
cittadinanza onoraria e le è stato assegnato il Premio per la pace e l’Azione
umanitaria 2003. L’occasione è stata il tradizionale concerto di Natale
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretto da Vladimir Spivakov con il
violino solista di Uto Ughi per Beethoven, alla presenza del capo dello Stato,
Carlo Azeglio Ciampi. Il servizio è di A.V..
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Roma, come altre 950 città in tutto il mondo, comprese
Parigi, Bruxelles, Dublino, Cancun e Montreal, adotta Ingrid Betancourt, quale
simbolo degli ideali di libertà e democrazia condivisi. A ritirare il
riconoscimento, dalle mani del sindaco Walter Veltroni, è stato il marito della
senatrice, Juan Carlos Lecompte, che da due anni ha lasciato il lavoro per
farsi portavoce delle battaglie politiche di Ingrid e della drammatica
situazione in Colombia:
R. – YO DIRIA QUE LA CORRUPCION …
Direi che la corruzione della politica colombiana è il
cancro, la vera malattia che va estirpata dalla Colombia. La violenza che si
riflette è solo la febbre, il sintomo. Noi civili ci troviamo tra due fuochi: ci
sono i gruppi guerriglieri e la corruzione politica. Anche Ingrid lotta contro
la stessa corruzione, da 10 anni. L’unica differenza è che le Farc lottano con
le armi, la violenza, la guerra, mentre Ingrid lotta attraverso un cammino di
pace, attraverso la parola e l’attività politica. Per questo non ho mai capito
perché le Farc hanno sequestrato Ingrid chiedendo in cambio la liberazione di
un guerrigliero in un carcere colombiano. Sarebbe una concessione molto difficile
da parte del governo.
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CONTINUANO A MORIRE I
GIORNALISTI IN ZONA DI GUERRA
NEL 2003 SONO STATI 83
Sono stati almeno 83 nel mondo i
giornalisti che nel 2003 hanno perso la
vita mentre svolgevano il proprio lavoro: 13 in più dell'anno precedente. È quanto
emerge dal “Rapporto sulle morti violente degli operatori dell’informazione”,
presentato ieri a Bruxelles dalla Fig, la Federazione internazionale dei
giornalisti. Tra le principali cause di mortalità, la guerra in Iraq e le
insurrezioni in Colombia e nelle Filippine. Giancarlo La Vella ha parlato con Francesco
Battistini, inviato nella guerra in Iraq per il Corriere della Sera:
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R. – Sicuramente, dall’11 settembre abbiamo avuto tre
grandi conflitti globali che hanno mobilitato molto più la macchina
dell’informazione mondiale. Questo ha implicato da un lato una maggiore
possibilità di coprire gli eventi rispetto, forse, ad altri conflitti;
dall’altra, però, ha aumentato anche i rischi e ha portato spesso anche molti
giornalisti, magari inesperti, su scenari di guerra che erano di una tale
pericolosità che hanno comportato dei problemi seri per il lavoro di tutti.
D. – Il giornalista in zona di guerra cerca di raccontare
quello che vede in prima persona. Qual è il limite che non deve superare, oltre
il quale rischia la vita?
R. – Il limite non si vede mai; il limite lo si vede dopo
che il fatto è successo, quindi nel momento in cui ti ci trovi in mezzo non
t’accorgi che l’hai già oltrepassato; credo anche che il limite non ce lo si
debba porre, altrimenti non si andrebbe lì. Il problema è naturalmente quello
di cercare di schivare più che le pallottole, le bugie che sui teatri di guerra
sono l’insidia del lavoro quotidiano di ciascun giornalista. I pericoli fanno
parte un po’ del bagaglio che ci si deve portare dietro.
D. – In quella che è la tua esperienza, hai notato un
condizionamento delle due parti in guerra per quanto riguarda l’informazione?
R. – Certamente. In Iraq c’è stato sicuramente un
condizionamento che riguardava i giornalisti incardinati nelle formazioni
americane che avanzavano, e dall’altra parte c’era un condizionamento
fortissimo per i giornalisti che stavano a Baghdad. Io appartengo ad un gruppo
di giornalisti che ha tentato di muoversi da ‘cane sciolto’ all’interno
dell’Iraq: per alcuni giorni ce l’ho fatta, poi ad un certo punto sono stato anche
arrestato. Quindi, il problema della trasparenza dell’informazione nella guerra
dell’Iraq si è posto come negli altri conflitti. Diciamo che forse le
operazioni militari sono state così rapide e così veloci da non comportare alla
fine un grave danno per quel che riguardava le cosiddette ‘bugie di guerra’,
rispetto – almeno – ad altri conflitti.
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PRANZO DI NATALE PER I SENZA FISSA DIMORA
ORGANIZZATO
A ROMA DAI GIOVANI DELL’ORDINE DI MALTA
-
Intervista con Salvatore Azzaro -
Si sta
svolgendo proprio in queste ore presso la Cappella Palatina dei Cavalieri di
Rodi, il pranzo natalizio per i senza fissa dimora, organizzato dal gruppo
‘Abc’, assistenza, beneficenza, carità dell’Ordine di Malta. Il pasto è offerto
a 200 persone, che dimorano nelle stazioni Ostiense e Tiburtina di Roma. A
tutti i partecipanti verrà offerto un pacco contenente indumenti di lana e
viveri. Benedetta Capelli ha chiesto al cavalier Salvatore Azzaro, responsabile
del Gruppo Abc, il perché di questa iniziativa?
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R. - Per noi è espressione di amore e di carità: è gestualità
cristiana. Il nostro gruppo, che viene chiamato ‘Abc’, che sintetizza appunto
l’assistenza, la beneficenza e la carità, già opera per i poveri da circa 10 anni.
Siamo popolo di Dio che scende in strada per aiutare i bisognosi senza guardare
in faccia alla loro origine o religione. Noi siamo per i poveri.
D. – Cosa significa trovare Dio nei poveri?
R. – Dio si trova proprio in quelle persone che più hanno
bisogno d’aiuto. Noi cerchiamo nello sguardo del povero proprio lo sguardo di
Gesù. La carità è una virtù teologale ed io dico che se fosse unita alla
giustizia come virtù naturale, ci sarebbe molta giustizia sociale nel mondo.
D. – Secondo lei la condizione di indigenza dei poveri li
porta lontano da Dio?
R. – Ormai sono circa 30 anni che svolgo questa attività
in mezzo alla strada e devo dire che ho visto spesso il contrario. Grande è la
vicinanza di queste persone povere a Dio. Spesso sono stati loro stessi a
chiedere di pregare insieme a noi.
D. – E allora, cosa bisognerebbe fare per gli altri?
R. – Bisognerebbe che tutti facessimo qualcosa, facendolo bene,
con il cuore.
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23 dicembre 2003
IL
SANTO NATALE GIUNGA A RICORDARE CHE LA PACE NEL NOSTRO MONDO NON E’ UN DATO
ACQUISITO E SI FONDA SULLA NOSTRA CAPACITA’ DI ACCOGLIERE GLI ALTRI:
COSI’ L’ARCIVESCOVO BRENDAN O’BRIEN, PRESIDENTE
DEI PRESULI CANADESI
- A
cura di Lisa Zengarini -
OTTAWA.
= “La pace nel nostro mondo non è un dato che si può considerare acquisito” e
non va intesa come semplice assenza delle forme più brutali di violenza che, se
sono deplorabili, non devono farci dimenticare altri mali altrettanto distruttivi
che minacciano la vita delle collettività e delle nazioni e i diritti e la dignità
della persona umana. E’ la riflessione svolta da mons. Brendan M. O’Brien,
presidente della Conferenza episcopale canadese nel tradizionale messaggio ai
fedeli per il Santo Natale. La pace, ricorda l’arcivescovo di St. John,
comprende le nozioni di riconciliazione, intesa come “capacità di perdonare e
di accettare il perdono dell’altro”, e di guarigione. “Essa deriva dalla
rinascita spirituale dell’umanità in Cristo (…) e consiste nell’accogliere e
coltivare tutti i rapporti: con i nostri cari, i nostri vicini e l’intera
umanità e il creato”. La fine dei conflitti, la scomparsa della violenza
razziale e religiosa nel mondo e nei singoli Stati, dell’oppressione militare
ed economica nei rapporti internazionali e nelle politiche interne, prosegue il
messaggio, sarebbe senza dubbio un miracolo divino. Un miracolo che tuttavia
non potrebbe realizzarsi senza la nostra “collaborazione e senza una visione.
Gesù il Messia è nato a Betlemme, perché Maria ha detto sì”. Se vogliamo quindi
vedere la pace realizzarsi nel mondo, bisogna “potere riconoscere ed accettare
con umiltà il suo sorgere”. In questo senso, “vivendo la guarigione e la
riconciliazione nei nostri rapporti e in quelli con il creato, permettiamo a
Dio di essere con noi e di incarnarsi in noi”.
RAPPORTO
DI FINE ANNO SULLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA NEI PAESI
DELL’UNIONE
EUROPEA: LO HA TRACCIATO L’ EUROPOL.
ALLARME
PER UNA DELIQUENZA IN FORTE CRESCITA
E
DOTATA DI SOFISTICATI SISTEMI DI PENETRAZIONE SOCIALE
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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BRUXELLES. = “Tecnologica”, “professionale”, “flessibile”:
la criminalità organizzata continua ad espandersi in Europa e lo farà anche di
più con l'allargamento dell'Unione verso Est. Un rapporto a tinte scure quello
dell’Europol: erano 3 mila solo un anno fa ed ora sono 4 mila i gruppi
individuati con 40 mila affiliati, specializzati in traffico di droga, tratta
degli esseri umani, immigrazione clandestina, riciclaggio ed estorsione. Per
questo è più che mai necessaria - raccomanda il direttore della Polizia
europea, Jurgen Storbeck “una comune piattaforma giuridica per combattere
questi gruppi, che conoscono le differenze giuridiche tra i diversi Paesi e le
sfruttano'' Siamo di fronte – aggiunge – ad una “complessa industria”, capace
di convertire le proprie attività secondo il rapporto profitto-rischio; aumentano
i sodalizi su aree geografiche sempre più estese, si mescolano etnie e
nazionalità, e già si profilano notevoli vantaggi per l’investimento di fondi
di provenienza illecita nei Paesi dell’Est, la maggior parte dei quali ha zone
di confine povere o instabili. C’è poi da fare i conti con le nuove tecnologie:
i criminali usano sempre più Carte telefoniche prepagate, Internet e soprattutto
Sms per confondere e celare l’identità dei membri del gruppo. Ancora un
capitolo dedicato alla droga: l’Europa resta leader assoluta nella produzione
di ecstasy, per l’80 per cento fabbricata nell’Unione mentre ha ripreso pure
quota il commercio di eroina dopo lo stop durante la guerra, in Afghanistan.
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IN ITALIA CALANO I REATI CONTRO L’AMBIENTE,
SEPPURE NON ESISTONO ZONE ESENTI. DOSSIER 2003 DEI CARABINIERI EVIDENZIA
L’AUMENTO DEI CONTROLLI
E LA
DIMINUZIONE DELLE INFRAZIONI. TRA I SETTORI CHE PIU’ ATTIRANO
LE
ORGANIZZAZIONI MALAVITOSE E’ IL TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI
ROMA. = Una buona notizia per
l’Italia: nel 2003 vi sono stati meno illeciti in campo ambientale, da oltre il
33 per cento del 2002 a poco più del 28 per cento di quest’anno. E’ quanto
emerge dal bilancio di fine anno presentato ieri dal Comando dei Carabinieri
per la Tutela dell’Ambiente (Noe). 2.574 le infrazioni accertate contro le 2925
dello scorso anno, durante 9156 controlli nel 2003 rispetto ai 8760 del 2002;
2691 le segnalazioni all’Autorità giudiziaria, 89 le persone tratte in arresto,
537 i sequestri operati e 499 le contravvenzioni elevate. “Dati che dimostrano
- ha detto il comandante del Noe, il colonnello Raffaele Vacca - una maggiore e
migliore coscienza verso i temi ambientali sia da parte della popolazione che
di tutto il comparto sicurezza e la
presenza di elementi legislativi più snelli”. Ma i risultati sono il
frutto soprattutto “di un pressante lavoro di controlli”, ha sottolineato Vacca
annunciando per l’inizio dell’anno il completamento di quelle 229 unità in più
volute dal ministero dell'Ambiente. Ma non bisogna accontentarsi, ha concluso
il comandante del Reparto Noe: “Qualcosa in più va fatto per quanto riguarda l’apparato
delle pene e delle sanzioni per non vanificare il lavoro degli investigatori”.
Dal rapporto dei Carabinieri non emerge una Regione in particolare perché - come
ha spiegato il colonnello Vacca - “non ci sono realtà territoriali esenti da
fenomeni di ecocriminalità”. Da rilevare infine che eco-reati sono sempre più
legati alla criminalità organizzata, ed è il traffico illecito dei rifiuti ad interessare
soprattutto le organizzazioni malavitose.(R.G.)
MESSAGGIO
DI NATALE DEL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE INDIANA,
RIVOLTO
AI MEDIA: LA PACE E LA GIOIA INSITI IN QUESTA FESTA SONO ANCORA
PIU’ RILEVANTI IN UN MONDO CHE SPERIMENTA LA
DIFFICOLTA’ A VIVERE IN ARMONIA
NEW
DELHI. = Il messaggio di pace e gioia del Natale “è ancora più rilevante in un
periodo in cui il mondo sta sperimentando difficoltà a vivere in armonia in
campo religioso, politico e sociale”. Lo sottolinea l’arcivescovo Cyril Mar
Baselios, presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci), nel messaggio
rilasciato ai media in occasione delle festività natalizie. Mons. Baselios
ricorda che “una serie di eventi nel passato recente hanno, in qualche modo,
minato gli sforzi di assicurare unità e pace in ogni parte del mondo”. Il
presule ammonisce quindi: “Non possiamo più permettere che la situazione
continui”. Per fortuna, prosegue, il “Natale ci dà speranza: il suo messaggio
di pace, solidarietà e felicità rinnoverà i nostri cuori e rinfrescherà le
nostre menti. Il Signore viene tra noi portandoci nuova fiducia in un mondo
migliore, di unità e di pace”. (R.G.)
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23
dicembre 2003
- A cura di Fausta Speranza -
Il leader libico Muhammar
Gheddafi ha esortato Corea del Nord, Iran e Siria a seguire il suo
esempio e disfarsi delle armi di distruzione di massa. Lo ha fatto in
un’intervista alla Cnn, spiegando che questi Paesi, sospettati di possedere
armi nucleari, potrebbero evitare così una tragedia. Rispondendo a una domanda sulla
cattura di Saddam Hussein Gheddafi ha negato che la sua decisione sia legata
alla caduta del rais iracheno. E, intanto, l'Amministrazione del presidente
statunitense, George W. Bush, parla della possibilità di revocare le sanzioni
contro la Libia proprio dopo l'impegno preso da Tripoli a rinunciare allo
sviluppo di armi di distruzione di massa. Di questa svolta politica, Andrea Sarubbi
ha parlato con Alberto Negri, inviato speciale di “Il Sole 24 ore”:
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R. – Io direi che non era del tutto imprevisto, perché
avevamo già potuto osservare nei mesi scorsi le dichiarazioni di Gheddafi. In
particolare, a giugno, era stata fatta una inversione di tendenza della
politica economica libica. Gheddafi praticamente aveva annunciato a tutto il
mondo che bisognava dare il via alle privatizzazioni, persino nel settore bancario e in quello del petrolio. Ma anche
sul piano internazionale c’erano stati dei segnali piuttosto evidenti, tra i
quali, il più clamoroso, Lockerbie.
D. – Motivazioni economiche,
sembrerebbe di capire, visto che Gheddafi ha già detto: “Speriamo che le
compagnie americane arrivino presto …”.
R. – Sì, perché le motivazioni di
questa svolta sono due essenzialmente. Prima di tutto il fallimento dei piani
economici libici e in secondo luogo il petrolio. La Libia oggi produce un
milione e 300 mila barili. 20 anni fa produceva 3 milioni e mezzo di barili.
Nella differenza tra queste due cifre c’è il desiderio di Gheddafi di veder
tornare le compagnie petrolifere americane.
D. – Gheddafi ha auspicato che anche Iran, Corea del Nord
e Siria seguano questa strada. Quanto rilievo può avere un esempio positivo come quello della Libia?
R. – In una settimana ci sono stati due eventi importanti:
la firma da parte dell’Iran del protocollo aggiuntivo sul trattato di non
proliferazione nucleare e questo annuncio della Libia che praticamente sta
aprendo i propri arsenali. Rimangono fermi sulle loro posizioni alcuni Paesi,
fra cui forse il più importante è la Siria. Bashar Assad, il presidente
siriano, dovrà fare delle mosse importanti.
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Ad Haiti sono finite nel sangue,
ieri, le manifestazioni di protesta
contro il presidente Jean-Bertrand Aristide. A Port-au-Prince due persone sono
rimaste uccise e almeno 6 ferite negli scontri tra la folla ed un gruppo di
fedelissimi del capo dello Stato. I manifestanti chiedevano le dimissioni di
Aristide, già abbandonato da 6 alti funzionari del governo.
Alcuni funzionari di Bank of
America hanno presentato alla Procura di Milano una denuncia per falso in
scrittura privata per il documento che attestava la presenza di 3,95 miliardi
di euro in un conto della Bonlat, società off-shore della Parmalat, presso
l'istituto americano. La denuncia è stata presentata formalmente dal legale
rappresentante. E’ uno dei segni evidenti del coinvolgimento a livello
internazionale della vicenda finanziaria della italiana Parmalat. Intanto, si è
aperto questa mattina, negli uffici della procura di Milano, davanti al pm Francesco
Greco, l'interrogatorio dell'ex direttore finanziario di Parmalat, Fausto Tonna.
Secondo il suo legale, ha già dichiarato di non aver preso di sua iniziativa le
decisioni legate alla Bank of America, rimandando le responsabilità ai
suoi superiori.
In Serbia è stato nuovamente
rinviato, questa volta al 5 gennaio del 2004, il processo davanti al Tribunale
di Pozarevac, nella Serbia centro orientale, contro Marko Milosevic, figlio
dell'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic. All'udienza, ieri sera, non si
sono presentati ne' l'imputato, che ha lasciato il Paese nell'ottobre del 2000
dopo la caduta del regime del padre, ne' l'avvocato difensore della famiglia. E
sempre in Serbia nella giornata di ieri ha preso il via un altro importante procedimento
penale per l'uccisione, il 12 marzo scorso, del primo ministro serbo Zoran
Djindjic. Anche in questo caso, però, si registra subito un rinvio. Delle persone
coinvolte nel procedimento, ci parla Emiliano Bos.
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36 gli imputati alla sbarra, 21
dei quali presenti in aula e 15 giudicati in contumacia. Tra gli assenti
Milorad Lukovic, detto Legia, ex comandante dei disciolti Berretti Rossi,
braccio armato della polizia segreta di Milosevic. Legia è considerato
l’organizzatore del delitto del premier. La prima udienza si è aperta con un
rinvio per le eccezioni di procedura sollevate dalla Difesa, una ottantina di
avvocati in tutto, in relazione al presidente del tribunale giudicante, Marco
Criavic e al rappresentante dell’accusa, il procuratore speciale Johan Priic.
La Corte Suprema di Belgrado si è immediatamente pronunciata confermando
l’idoneità del primo a presiedere il processo, in attesa del verdetto sul
Pubblico Ministero previsto per oggi. Gli imputati non dovranno rispondere
soltanto dell’omicidio di Djindjic, ma anche di altri 13 delitti eccellenti,
tra cui quello dell’ex presidente serbo, Ivan Stambolic. Quest’ultimo venne
rapito il 30 agosto del 2000 alla vigilia delle elezioni presidenziali e ucciso
pochi giorni dopo. I suoi resti furono ritrovati nei mesi scorsi durante la
vasta operazione di polizia, scattata all’indomani dell’uccisione di Djindjic.
Per la sua morte è sospettato anche l’ex uomo forte dei Balcani, Milosevic, che
sarà candidato alle elezioni legislative del 28 dicembre, verso le quali la
Serbia si sta avviando in un clima di grande incertezza politica.
Per la Radio Vaticana, Emiliano
Bos.
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Il
presidente riformatore iraniano Mohammad Khatami ha chiesto al governo francese
di annullare la sua decisione di vietare il velo islamico nelle scuole. Dopo
mesi di accese discussioni, mercoledì scorso il presidente francese Jacques Chirac ha stabilito di non permettere
alcun simbolo religioso nelle scuole. Khatami, sottolineando che la decisione
non è ancora definitiva ha detto di augurarsi che il suo Parlamento invii un
messaggio a quello francese per chiedere che non venga approvata la legge che
ritiene “contraria alla libertà e ai principii della democrazia''.
Dopo
l’avvio del disarmo, in Costa d’Avorio si intravede la fine dello stallo
politico. I ribelli hanno annunciato, infatti, il proprio ritorno nel governo
di unità nazionale, da loro lasciato il 23 settembre in segno di protesta
contro il mancato rispetto degli accordi di pace da parte del presidente
Gbagbo. La notizia è stata accolta con soddisfazione dalla Francia e dalla
Comunità degli Stati dell’Africa occidentale.
Un tribunale di Mosca ha ripreso
oggi l'udienza per decidere se estendere il periodo di arresto del magnate
petrolifero Mikhail Khodorkovski, ex presidente della Yukos accusato di frode
ed evasione fiscale. Il regime detentivo scade il 30 dicembre ma la procura
generale ha chiesto una proroga sino al 25 marzo per timore di inquinamento delle
prove. Da parte sua, il presidente Vladimir Putin ha ribadito che non intende
rimettere in discussione le privatizzazioni. Ha ammesso che al momento del
passaggio ai privati le leggi erano complicate e confuse, per poi sottolineare
che però chi ha voluto rispettarle l’ha fatto.
Nelle
Filippine è stato dichiarato lo stato di calamità nelle province del Sud a
seguito delle inondazioni e delle frane che hanno causato la morte di 209 persone
e il mancato ritrovamento di almeno un altro centinaio. E al dramma ha fatto
seguito anche la dispersione in mare di un traghetto con 75 persone a bordo,
avvenuta domenica al largo dell'isola di Palawan, nel sud-ovest del Paese. Oggi
è stato annunciato che sono state tratte in salvo 20 persone.
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