RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 357 - Testo della Trasmissione di martedì 23 dicembre 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Le migrazioni, strumento di pace e di dialogo tra le civiltà: così il Papa nel messaggio per la prossima giornata del migrante: ne parliamo con l’arcivescovo Agostino Marchetto

 

Domani, mercoledì 24 dicembre, Vigilia di Natale, Giovanni Paolo II non terrà l’udienza generale : celebrerà invece la Messa di mezzanotte nella Basilica vaticana.

 

Don Leonardo Zega commenta l’invito al silenzio lanciato domenica scorsa dal Santo Padre per non soffocare il mistero del  Natale nel chiasso e nella confusione.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

In Terra Santa a due giorni dal Natale infuria la violenza: 8 palestinesi uccisi dagli israeliani a Gaza. Ai nostri microfoni, il Custode della Basilica della Natività, padre Ibrahim Faltas

 

Con il pensiero alle vittime di Nassiriya, i militari italiani in Iraq si apprestano a celebrare il Natale. La testimonianza del generale Giorgio Cornacchione

 

Liberati dai guerriglieri cinque ostaggi in Colombia; resta nelle loro mani, dopo 600 giorni, Ingrid Betancourt: intervista con il marito della senatrice rapita

 

Continuano a morire i giornalisti in zona di guerra: nel 2003 sono stati 83. Ce ne parla  Francesco Battistini

 

Pranzo di Natale per i senza fissa dimora organizzato a Roma dai giovani dell’ordine di Malta: ai nostri microfoni Salvatore Azzaro.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Mons. Brendan M. O’Brien, presidente della Conferenza episcopale canadese, nel tradizionale messaggio di Natale ai fedeli ricorda che la pace nel nostro mondo non è un dato acquisito e si fonda sulla nostra capacità di accogliere gli altri

 

Rapporto di fine anno sulla criminalità organizzata nei Paesi dell’Unione Europea tracciato dall’Europol

 

In Italia calano i reati contro l’ambiente

 

Messaggio di Natale del presidente della Conferenza episcopale indiana.

 

24 ORE NEL MONDO:

Gheddafi esorta Corea del Nord, Iran e Siria a disfarsi  delle armi di distruzione di massa

 

La denuncia di Bank of  America alla Procura di Milano in relazione alla vicenda Parmalat

 

Filippine: 200 i morti accertati e 100 i dispersi per il maltempo. Ritrovate 20 delle 75 vittime del naufragio di domenica.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

23 dicembre 2003

 

LE MIGRAZIONI STRUMENTO DI PACE E DI DIALOGO TRA LE CIVILTA’:

COSI’ IL PAPA NEL MESSAGGIO PER LA GIORNATA DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO

DEL 6 GENNAIO PROSSIMO, SUL TEMA “MIGRAZIONI IN VISIONE DI PACE”

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Il mondo dei migranti “è in grado di offrire un valido contributo al consolidamento della pace”, giacché le migrazioni possono “agevolare l’incontro e la comprensione tra le civiltà”. E’ la riflessione offerta dal Papa nel Messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato, che ricorre il 6 gennaio prossimo, sul tema “Migrazioni in visione di pace”. Nel documento, pubblicato oggi in Vaticano, il Papa sottolinea che se “si valorizza l’apporto dei migranti e dei rifugiati, l’umanità può divenire sempre più famiglia di tutti e la nostra Terra una reale casa comune”. E ribadisce che per i cristiani, “la ricerca di una fraterna comunione tra gli uomini trova la sua sorgente” in Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Occorre combattere il male della guerra alla radice, perché la pace non è unicamente assenza di conflitti, ma un processo dinamico” che “coinvolge ogni fascia della società”. Giovanni Paolo II sottolinea come oggi “l’aspirazione alla pace sia nel cuore di gran parte dell’umanità”. Insieme, “si può e si deve” allora “costruire una cultura di pace” per “prevenire il ricorso alle armi e ogni forma di violenza”. Proprio per questo, avverte, “vanno incoraggiati gesti e sforzi concreti di perdono e di riconciliazione”. E’ necessario “superare contrasti e divisioni”. D’altro canto, “va ribadito con vigore che non ci può essere vera pace senza giustizia e senza rispetto dei diritti umani”. Esiste, infatti, “uno stretto legame tra la giustizia e la pace”.

 

Soffermandosi, così, sulla condizione dei migranti e dei rifugiati, il messaggio mette l’accento sull’impegno a “salvaguardare anzitutto il diritto a non emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria”. Ogni Paese, sostiene, deve essere in grado di assicurare ai propri abitanti la soddisfazione delle necessità fondamentali. Esiste, d’altro canto, anche il diritto ad emigrare. Ai governi, afferma il Pontefice, spetta “regolare i flussi migratori nel pieno rispetto della dignità delle persone e dei bisogni delle loro famiglie”. E qui esorta “a non rimanere insensibili dinnanzi alle condizioni in cui versano schiere di migranti”. Riconosce, tuttavia, il “lodevole sforzo” compiuto da non poche organizzazioni pubbliche e private per “alleviare le preoccupanti situazioni” in tante parti del pianeta. Il Papa non tralascia, poi, di “denunciare il traffico praticato da sfruttatori senza scrupoli che abbandonano in mare, su imbarcazioni precarie, persone alla disperata ricerca di un futuro meno incerto”. Chi versa in condizioni critiche, prosegue, “necessita di solleciti e concreti interventi”.

 

Il messaggio si concentra infine sulle migrazioni come strumento di dialogo interculturale. Quando con ogni mezzo “si favorisce la cultura dell’accoglienza”, pur non cedendo a forme di indifferentismo”, questa “apertura solidale diviene offerta e condizione di pace”. Quando le “diversità” si incontrano integrandosi, prosegue, “danno vita a una convivialità delle differenze”. Si riscoprono così i “valori comuni ad ogni cultura, capaci di unire e non di dividere”. Proprio da questi presupposti si dispiega “un dialogo proficuo per costruire un cammino di tolleranza reciproca, realistica e rispettosa delle peculiarità di ciascuno”. Il fenomeno delle “migrazioni – conclude – contribuisce a coltivare il sogno di un avvenire di pace per l’intera umanità”.

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Ma sul messaggio del Papa ascoltiamo l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti, al microfono di Giovanni Peduto.

 

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R. – Nel mondo contemporaneo, sempre più globalizzato e interdipendente, lo sviluppo del fenomeno della mobilità umana, come sta ripetendo da alcuni anni il Santo Padre, rappresenta una grande occasione per stimolare una più larga conoscenza delle culture, delle religioni, per avviare il dialogo tra popolazioni differenti, per migliorare la convivenza fra civiltà. La mobilità umana può diventare in questo senso una straordinaria opportunità nel cammino per una vera pace nel mondo. Che tale mobilità umana si stia sempre più intensificando è un fatto che balza agli occhi. Basti pensare che oggi sono più di 200 milioni i migranti e i rifugiati che vivono fuori dal loro Paese di origine, non solo per realizzare il desiderio di una vita migliore, ma troppo spesso costretti dalla fame, dalla miseria, dalle violenze e anche da guerre e rivalità etniche. Le loro mete sono generalmente i Paesi cosiddetti industrializzati, dove però si vedono questi flussi inarrestabili di bisognosi, quasi come una invasione. E’ una visione di molti. Da questo incontro-scontro scattano le azioni spesso di chiusura e di incomprensione e da qui viceversa dovrebbe nascere l’organizzazione della solidarietà, che si traduce anzitutto in centri di prima ospitalità e anche in legislazioni giuste, atte a regolarizzare la situazione dei nuovi arrivati. Si tratta di un vero e proprio itinerario dell’accoglien-za, che ha come caratteristica “sine qua non” appunto il dialogo. Essi però devono rispettare l’identità culturale e le leggi nei Paesi di accoglienza, naturalmente. Che il Santo Natale ci veda tutti accomunati, dunque, nel desiderio di avvicinarci di più gli uni agli altri, di capirci, di aiutarci, e insieme andare vicino al Bambino Gesù. Ci doni Egli un supplemento di semplicità di cuore, per farci piccoli accanto ai nostri fratelli più umili e bisognosi.

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IL SILENZIO CHIAVE PER PERCEPIRE IL SENSO DEL NATALE.

L’INVITO DEL PAPA, ALL’ANGELUS DI DOMENICA SCORSA,

NELLA RIFLESSIONE DI DON LEONARDO ZEGA

- Intervista con il teologo -

 

Umiltà, silenzio, stupore, gioia. Sono le quattro parole-chiave per comprendere l’Avvento e l’attesa di Gesù, secondo il pensiero di Giovanni Paolo II. All’Angelus di domenica scorsa, è risuonato l’invito del Papa a tacere per “non soffocare il mistero del Natale”. In queste ore che ci separano dalla vigilia di uno degli eventi centrali della fede cristiana – ricordiamo che domani, 24 dicembre, il Pontefice non terrà l’udienza generale e celebrerà la Messa di mezzanotte in San Pietro – ci soffermiamo ancora a riflettere sull’invito del Papa: e lo facciamo con il teologo don Leonardo Zega, intervistato da Fabio Colagrande:

 

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R. - Viviamo nel rumore e nel fracasso non soltanto delle parole, ma anche delle cose, dei consumi. Questo richiamo al silenzio mi sembra sia dunque particolarmente puntuale ed importante. Dio parla nel silenzio. Noi, molte volte, crediamo di non essere ascoltati perché non sappiamo fare silenzio. Questo silenzio non è soltanto il non dire parole, il tacere: il silenzio è anche attenzione e ascolto dell’altro. Non riuscendo a stare in silenzio, spesso non ascoltiamo. Certo, c’è il dovere poi di parlare, ma è impossibile parlare se prima non si ascolta e per ascoltare bisogna restare in silenzio.

 

D. – Quindi il silenzio è la virtù anche di chi sa dialogare…

 

R. – Il silenzio è la base del dialogo. Ogni giorno assistiamo in televisione - nei talk show, ecc… - a questa specie di scandalosa gara a sovrapporsi, a coprirsi gli uni con gli altri, al punto da creare una babele totale di voci, nella quale nessuno più ci capisce niente.

 

D. – Qual è l’origine del chiasso, secondo lei?

 

R. – L’origine del chiasso è l’insicurezza. Una persona fa molto rumore perché è impaurita, è insicura, non sa esattamente quello che vuole. Del resto, il baccano maggiore lo fa la persona che sta annegando…

 

D. – Don Leonardo Zega, come può seguire l’invito al silenzio chi per mestiere, come gli operatori della comunicazione, è in qualche modo “condannato” all’uso della parola?

 

R. – Deve imparare il silenzio per usare bene la parola, questo è il punto. C’è un tempo per parlare ed un tempo per tacere. Ma tacere non significa nascondere. La franchezza evangelica impone anche che si parli dai tetti quando è necessario. Ma ciò non significa fare rumore, fare fracasso, cercare l’effetto: significa dire bene, in maniera limpida e franca, le parole giuste, che sono poi quelle parole che vengono sempre dalle riflessioni, che nascono dal silenzio. I grandi comunicatori sono persone che sanno stare zitte.

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UDIENZE

 

Nel corso della mattinata il Papa ha ricevuto il  cardinale Ignace Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali e il cardinale Edmund Casimir Szoka, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

 

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

L’apertura della prima pagina è dedicata al Messaggio di Giovanni Paolo II per la 90.ma Giornata mondiale del migrante e del rifugiato sul tema “Migrazioni in visione di pace”.

All’interno, il testo della presentazione del Messaggio da parte del cardinale Stephen Fumio Hamao.

 

Nelle vaticane, una pagina dedicata all’ingresso in diocesi del vescovo di Orvieto-Todi. 

 

Nelle estere, in Iraq è stata rinvenuta un'altra enorme fossa comune con i resti di decine di migliaia di corpi; tale scoperta rinnova l’orrore per i crimini del deposto regime. 

Medio Oriente: il ministro degli esteri egiziano assalito in una moschea.

Per la rubrica dell’“Atlante geopolitico”, un articolo di Marcello Filotei dal titolo “Israele annuncia un piano per il distacco dai Territori”.

 

Nella pagina culturale, un articolo di M. Antonietta De Angelis sulla mostra “Visioni ed estasi”, allestita nel Braccio di Carlo Magno, in Vaticano.

Per l’“Osservatore libri”, un approfondito contributo di Armando Genovese dedicato agli “Inni sulla Natività e sull’Epifania” di Efrem il Siro, nelle Paoline Editoriale Libri. 

 

Nelle pagine italiane, in rilievo i temi della finanziaria e delle pensioni.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

23 dicembre 2003

 

“LA PACE IN TERRA SANTA E’ POSSIBILE, MA BISOGNA ABBATTERE I MURI CHE SEPARANO I POPOLI”: QUESTO L’APPELLO DA GERUSALEMME

DEL PATRIARCA MICHEL SABBAH

- Intervista con padre Ibrahim Faltas -

 

Un forte appello alla pace e al dialogo tra israeliani e palestinesi è stato lanciato ieri dal patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah nel tradizionale incontro di  Natale con i giornalisti. Il patriarca ha detto che “la pace è possibile e i leader politici possono e devono agire per mettere fine al conflitto”. Quindi ha criticato la costruzione da parte di  Israele del 'muro di separazione' con la Cisgiordania. “Il muro - ha detto - spinge la pace lontano: solo quando cadranno i 'muri' finirà l'ostilità nei cuori  e il sangue cesserà di scorrere”.

 

Purtroppo sul terreno le violenze continuano: oggi otto palestinesi sono stati uccisi e più di 20 feriti in una vasta operazione dell'esercito israeliano a Rafah, nella striscia di Gaza. Ieri sera 2 ufficiali israeliani erano stati uccisi da un assalitore palestinese sempre nella striscia di Gaza. Ed è in questo contesto difficile che i cristiani di Terra Santa si preparano a vivere il Natale. Ma in che modo? Roberto Piermarini lo ha chiesto al padre francescano Ibrahim Faltas, custode della Basilica della Natività a Betlemme.

 

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R. – E’ veramente molto triste questo Natale, perché la situazione politica, economica è tremenda. Allora noi stiamo cercando di dare un po’ di gioia a questi bambini, che hanno veramente sofferto molto. Hanno sofferto nel vedere tutta questa violenza, il sangue… Speriamo che questo Natale sancisca la fine di questo odio e di questa violenza. Intanto posso dire che questo Natale è migliore di quello dell’anno scorso, quando in questi giorni c’era ancora il coprifuoco. Ci saranno 20 gruppi di scout in tutta la Terra Santa. E la Porta della Pace, offerta da un’Associazione di Verona, sarà inaugurata durante la Messa di mezzanotte alla presenza del Patriarca Michel Sabbah e il ministro dell’ordine dei Frati Minori José Rodriguez Garballo.

 

D. – Padre Faltas, cosa vuole rappresentare questa Porta della Pace?

 

R. – E’ un simbolo che porta la pace tra i due popoli, affinché si aprano, discutano. Non si può arrivare ad una pace vera con la violenza, con i carri armati, con i missili, con gli attentati, ma solo tramite il dialogo. Come ha detto il Papa in Terra Santa servono ponti, non muri.

 

D. – Secondo lei questo muro di separazione costruito da Israele allontana la pace?

 

R. – Noi vogliamo ponti di amore, di collaborazione, di amicizia, di convivenza. Questo è quello di cui ha bisogno la Terra Santa, non certo di un muro.

 

D. – Padre Faltas, sono arrivati molti pellegrini a Betlemme per questo Natale?

 

R. – Sì, ci sono tanti pellegrini, soprattutto italiani.

 

D. – Sono continuate le migrazioni dei cristiani da Betlemme?

 

R. – Purtroppo sì. In questi tre anni, solo da Betlemme, 2 mila cristiani sono andati via. E  solo dalla nostra parrocchia 79 famiglie. E’ veramente una cosa disastrosa. Ci preoccupa molto vedere i cristiani lasciare la Terra Santa.

 

D. – E dove vanno?

 

R. – Vanno in Cile, vanno in Canada, in Austria, in tutto il mondo.

 

D. – Padre Faltas quale augurio fa lei per Natale a Sharon e Arafat?

 

R. – Che devono fare di tutto per il bene del loro popolo, per arrivare ad un accordo di pace, per finire questa violenza, questo odio. I due capi penso siano gli unici capaci di fare la pace.

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CON IL PENSIERO ALLE VITTIME DI NASSIRIYA, I MILITARI ITALIANI DELLA

 MISSIONE DI PACE IN IRAQ SI APPRESTANO A CELEBRARE IL NATALE.

LA TESTIMONIANZA DEL GENERALE GIORGIO CORNACCHIONE

 

Non si arrestano le violenze in Iraq: un alto magistrato curdo, il giudice Youssef Khoshi, è stato colpito a morte ieri notte a Mossul. Intanto tre militanti islamici legati all'ex vicepresidente, Izzat Ibrahim al-Douri, sono caduti nelle mani delle truppe americane. Sul piano diplomatico, il ministro degli Esteri iracheno, Hoshyar Zebari, ha annunciato a Roma che - a metà gennaio a New York – verrà ridiscusso il rientro del personale Onu in Iraq. Zebari, che si è incontrato ieri sera con il suo omologo italiano Franco Frattini, ha affrontato il problema del debito estero iracheno, discusso già a Parigi, Berlino e a Mosca.

 

Si moltiplicano, dunque, a più livelli gli sforzi per conseguire una stabilizzazione dell’Iraq. In prima linea su questo fronte sono i militari italiani della missione di pace “Antica Babilonia”. Un’attività che prosegue quotidianamente nel vivo ricordo delle vittime dell’attentato del 12 novembre a Nassiriya. E proprio a loro va il pensiero dei soldati italiani nell’approssimarsi del Natale. Lo testimonia commosso il generale Giorgio Cornacchione, comandante in capo dei militari italiani in Iraq, raggiunto telefonicamente a Bassora da Alessandro Gisotti:

   

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D. – Con quale spirito, con quali sentimenti, vi state preparando a questo Natale?

 

R. – Innanzitutto con il pensiero rivolto ai nostri caduti e a tutti i caduti nell’attentato contro la nostra base di Nassiriya. Io non dimentico mai che insieme ai nostri soldati sono caduti anche due civili italiani e sono rimasti coinvolti dei civili iracheni. Non posso nascondere che per noi militari italiani, quando veniamo ingaggiati in queste operazioni che ci ostiniamo a considerare di pace ancorché il contesto possa essere complesso e difficile come qui in Iraq, queste festività sono anche un momento di riflessione sulla correttezza di quello che stiamo facendo. La nostra cultura, e per molti di noi la nostra fede, ci sono di aiuto in questo. Pensiamo anche alle nostre famiglie e ai nostri affetti, che abbiamo lasciato a casa. E anche da loro vengono parole di incoraggiamento, pur nella tristezza di dover essere separati da noi in questo momento che è tradizionalmente di comunione in Italia.

 

D. – C’è uno stato di allerta particolare?

 

R. – Dal punto di vista delle operazioni, l’allerta è sempre molto elevata. In questo momento, potrebbe anche esserci qualcuno che vuol portare danno alle forze della coalizione.

 

D. – Nel momento del dolore l’Italia si è stretta attorno ai suoi soldati in missione di pace. Quanto è importante per il vostro lavoro la vicinanza, il supporto del popolo italiano?

 

R. – Assolutamente determinante. Al di là dei lutti che abbiamo avuto, noi riteniamo, come militari, di essere qua per mandato del nostro Paese e, quindi, abbiamo bisogno di sentircelo dire, magari anche con enfasi, magari anche nel ripetere questa vicinanza, perché per noi è assolutamente determinante e ci consente di andare avanti anche nei momenti più difficili, come quelli dell’attacco che abbiamo subito.

 

D. – Il presidente Ciampi ha definito la missione in Iraq uno sforzo per la pace e la democrazia, come avete accolto queste parole?

 

R. – Noi siamo convinti di essere qua con questo mandato, al di là della dialettica politica che c’è in Italia. E questo cerchiamo di portarlo avanti tutti i giorni, convinti che questo nostro sforzo possa andare nella direzione corretta di riportare alla convivenza civile un Paese come questo, che esce da decenni di tirannia, di barbarie compiute nei confronti della popolazione.

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LIBERATI CINQUE TURISTI STRANIERI IN COLOMBIA, MA RESTA SEQUESTRATA

 L’EX CANDIDATA PRESIDENZIALE INGRID BETANCOURT

CUI E’ STATA CONFERITA IERI SERA A ROMA LA CITTADINANZA ONORARIA

 - Intervista con Juan Carlos Lecompte -

 

L'Esercito di liberazione nazionale (Eln), il secondo gruppo guerrigliero di sinistra della Colombia, ha rilasciato ieri i cinque turisti stranieri che aveva sequestrato il 12 settembre scorso. I turisti, quattro israeliani ed un britannico, le cui condizioni di salute “sono buone”, sono stati consegnati ai membri di una commissione umanitaria. Il servizio di Maurizio Salvi.

 

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Commentando il rilascio, mons. Hector Fabio Henao, direttore della Pastorale sociale della Chiesa cattolica colombiana, ha sostenuto che si tratta di un gesto che può aprire la porta alla liberazione di altri ostaggi da parte della guerriglia. Adesso si possono esplorare nuovi cammini – ha aggiunto – per mostrare che è possibile avanzare verso obiettivi più importanti. In effetti, il governo del presidente, Alvaro Uribe, cerca da tempo un modo per risolvere l’impasse legata al sequestro, da parte delle forze armate rivoluzionarie della Colombia, le Farc, di decine di militari e personalità politiche colombiane. Tra questi c’è l’ex candidata presidenziale del partito Verde Ossigeno, Ingrid Betancourt. Uribe chiede come base per un possibile negoziato la rinuncia all’uso della violenza da parte della guerriglia. Ma quest’ultima esige, invece, la disponibilità di una parte del territorio colombiano per procedere ad uno scambio umanitario di prigionieri.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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Proprio ad Ingrid Betancourt, l’ex candidata presidenziale colombiana sequestrata da oltre 600 giorni, è stata conferita ieri sera a Roma la cittadinanza onoraria e le è stato assegnato il Premio per la pace e l’Azione umanitaria 2003. L’occasione è stata il tradizionale concerto di Natale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretto da Vladimir Spivakov con il violino solista di Uto Ughi per Beethoven, alla presenza del capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Il servizio è di A.V..

 

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Roma, come altre 950 città in tutto il mondo, comprese Parigi, Bruxelles, Dublino, Cancun e Montreal, adotta Ingrid Betancourt, quale simbolo degli ideali di libertà e democrazia condivisi. A ritirare il riconoscimento, dalle mani del sindaco Walter Veltroni, è stato il marito della senatrice, Juan Carlos Lecompte, che da due anni ha lasciato il lavoro per farsi portavoce delle battaglie politiche di Ingrid e della drammatica situazione in Colombia:

 

R. – YO DIRIA QUE LA CORRUPCION …

Direi che la corruzione della politica colombiana è il cancro, la vera malattia che va estirpata dalla Colombia. La violenza che si riflette è solo la febbre, il sintomo. Noi civili ci troviamo tra due fuochi: ci sono i gruppi guerriglieri e la corruzione politica. Anche Ingrid lotta contro la stessa corruzione, da 10 anni. L’unica differenza è che le Farc lottano con le armi, la violenza, la guerra, mentre Ingrid lotta attraverso un cammino di pace, attraverso la parola e l’attività politica. Per questo non ho mai capito perché le Farc hanno sequestrato Ingrid chiedendo in cambio la liberazione di un guerrigliero in un carcere colombiano. Sarebbe una concessione molto difficile da parte del governo.

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CONTINUANO A MORIRE I GIORNALISTI IN ZONA DI GUERRA

NEL 2003 SONO STATI 83

 

         Sono stati almeno 83 nel mondo i giornalisti che nel 2003  hanno perso la vita mentre svolgevano il proprio lavoro: 13 in più dell'anno precedente. È quanto emerge dal “Rapporto sulle morti violente degli operatori dell’informazione”, presentato ieri a Bruxelles dalla Fig, la Federazione internazionale dei giornalisti. Tra le principali cause di mortalità, la guerra in Iraq e le insurrezioni in Colombia e nelle Filippine. Giancarlo La Vella ha parlato con Francesco Battistini, inviato nella guerra in Iraq per il Corriere della Sera:

 

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R. – Sicuramente, dall’11 settembre abbiamo avuto tre grandi conflitti globali che hanno mobilitato molto più la macchina dell’informazione mondiale. Questo ha implicato da un lato una maggiore possibilità di coprire gli eventi rispetto, forse, ad altri conflitti; dall’altra, però, ha aumentato anche i rischi e ha portato spesso anche molti giornalisti, magari inesperti, su scenari di guerra che erano di una tale pericolosità che hanno comportato dei problemi seri per il lavoro di tutti.

 

D. – Il giornalista in zona di guerra cerca di raccontare quello che vede in prima persona. Qual è il limite che non deve superare, oltre il quale rischia la vita?

 

R. – Il limite non si vede mai; il limite lo si vede dopo che il fatto è successo, quindi nel momento in cui ti ci trovi in mezzo non t’accorgi che l’hai già oltrepassato; credo anche che il limite non ce lo si debba porre, altrimenti non si andrebbe lì. Il problema è naturalmente quello di cercare di schivare più che le pallottole, le bugie che sui teatri di guerra sono l’insidia del lavoro quotidiano di ciascun giornalista. I pericoli fanno parte un po’ del bagaglio che ci si deve portare dietro.

 

D. – In quella che è la tua esperienza, hai notato un condizionamento delle due parti in guerra per quanto riguarda l’informazione?

 

R. – Certamente. In Iraq c’è stato sicuramente un condizionamento che riguardava i giornalisti incardinati nelle formazioni americane che avanzavano, e dall’altra parte c’era un condizionamento fortissimo per i giornalisti che stavano a Baghdad. Io appartengo ad un gruppo di giornalisti che ha tentato di muoversi da ‘cane sciolto’ all’interno dell’Iraq: per alcuni giorni ce l’ho fatta, poi ad un certo punto sono stato anche arrestato. Quindi, il problema della trasparenza dell’informazione nella guerra dell’Iraq si è posto come negli altri conflitti. Diciamo che forse le operazioni militari sono state così rapide e così veloci da non comportare alla fine un grave danno per quel che riguardava le cosiddette ‘bugie di guerra’, rispetto – almeno – ad altri conflitti.

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PRANZO DI NATALE PER I SENZA FISSA DIMORA

ORGANIZZATO A ROMA DAI GIOVANI DELL’ORDINE DI MALTA

- Intervista con Salvatore Azzaro -

 

 

Si sta svolgendo proprio in queste ore presso la Cappella Palatina dei Cavalieri di Rodi, il pranzo natalizio per i senza fissa dimora, organizzato dal gruppo ‘Abc’, assistenza, beneficenza, carità dell’Ordine di Malta. Il pasto è offerto a 200 persone, che dimorano nelle stazioni Ostiense e Tiburtina di Roma. A tutti i partecipanti verrà offerto un pacco contenente indumenti di lana e viveri. Benedetta Capelli ha chiesto al cavalier Salvatore Azzaro, responsabile del Gruppo Abc, il perché di questa iniziativa?

 

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R. - Per noi è espressione di amore e di carità: è gestualità cristiana. Il nostro gruppo, che viene chiamato ‘Abc’, che sintetizza appunto l’assistenza, la beneficenza e la carità, già opera per i poveri da circa 10 anni. Siamo popolo di Dio che scende in strada per aiutare i bisognosi senza guardare in faccia alla loro origine o religione. Noi siamo per i poveri.

 

D. – Cosa significa trovare Dio nei poveri?

 

R. – Dio si trova proprio in quelle persone che più hanno bisogno d’aiuto. Noi cerchiamo nello sguardo del povero proprio lo sguardo di Gesù. La carità è una virtù teologale ed io dico che se fosse unita alla giustizia come virtù naturale, ci sarebbe molta giustizia sociale nel mondo.

 

D. – Secondo lei la condizione di indigenza dei poveri li porta lontano da Dio?

 

R. – Ormai sono circa 30 anni che svolgo questa attività in mezzo alla strada e devo dire che ho visto spesso il contrario. Grande è la vicinanza di queste persone povere a Dio. Spesso sono stati loro stessi a chiedere di pregare insieme a noi.

 

D. – E allora, cosa bisognerebbe fare per gli altri?

 

R. – Bisognerebbe che tutti facessimo qualcosa, facendolo bene, con il cuore.

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CHIESA E SOCIETA’

23 dicembre 2003

 

 

IL SANTO NATALE GIUNGA A RICORDARE CHE LA PACE NEL NOSTRO MONDO NON E’ UN DATO ACQUISITO E SI FONDA SULLA NOSTRA CAPACITA’ DI ACCOGLIERE GLI ALTRI:

 COSI’ L’ARCIVESCOVO BRENDAN O’BRIEN, PRESIDENTE DEI PRESULI CANADESI

- A cura di Lisa Zengarini -

 

OTTAWA. = “La pace nel nostro mondo non è un dato che si può considerare acquisito” e non va intesa come semplice assenza delle forme più brutali di violenza che, se sono deplorabili, non devono farci dimenticare altri mali altrettanto distruttivi che minacciano la vita delle collettività e delle nazioni e i diritti e la dignità della persona umana. E’ la riflessione svolta da mons. Brendan M. O’Brien, presidente della Conferenza episcopale canadese nel tradizionale messaggio ai fedeli per il Santo Natale. La pace, ricorda l’arcivescovo di St. John, comprende le nozioni di riconciliazione, intesa come “capacità di perdonare e di accettare il perdono dell’altro”, e di guarigione. “Essa deriva dalla rinascita spirituale dell’umanità in Cristo (…) e consiste nell’accogliere e coltivare tutti i rapporti: con i nostri cari, i nostri vicini e l’intera umanità e il creato”. La fine dei conflitti, la scomparsa della violenza razziale e religiosa nel mondo e nei singoli Stati, dell’oppressione militare ed economica nei rapporti internazionali e nelle politiche interne, prosegue il messaggio, sarebbe senza dubbio un miracolo divino. Un miracolo che tuttavia non potrebbe realizzarsi senza la nostra “collaborazione e senza una visione. Gesù il Messia è nato a Betlemme, perché Maria ha detto sì”. Se vogliamo quindi vedere la pace realizzarsi nel mondo, bisogna “potere riconoscere ed accettare con umiltà il suo sorgere”. In questo senso, “vivendo la guarigione e la riconciliazione nei nostri rapporti e in quelli con il creato, permettiamo a Dio di essere con noi e di incarnarsi in noi”.

 

 

RAPPORTO DI FINE ANNO SULLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA NEI PAESI

DELL’UNIONE EUROPEA: LO HA TRACCIATO L’ EUROPOL.

ALLARME PER UNA DELIQUENZA IN FORTE CRESCITA

E DOTATA DI SOFISTICATI SISTEMI DI PENETRAZIONE SOCIALE

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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BRUXELLES. = “Tecnologica”, “professionale”, “flessibile”: la criminalità organizzata continua ad espandersi in Europa e lo farà anche di più con l'allargamento dell'Unione verso Est. Un rapporto a tinte scure quello dell’Europol: erano 3 mila solo un anno fa ed ora sono 4 mila i gruppi individuati con 40 mila affiliati, specializzati in traffico di droga, tratta degli esseri umani, immigrazione clandestina, riciclaggio ed estorsione. Per questo è più che mai necessaria - raccomanda il direttore della Polizia europea, Jurgen Storbeck “una comune piattaforma giuridica per combattere questi gruppi, che conoscono le differenze giuridiche tra i diversi Paesi e le sfruttano'' Siamo di fronte – aggiunge – ad una “complessa industria”, capace di convertire le proprie attività secondo il rapporto profitto-rischio; aumentano i sodalizi su aree geografiche sempre più estese, si mescolano etnie e nazionalità, e già si profilano notevoli vantaggi per l’investimento di fondi di provenienza illecita nei Paesi dell’Est, la maggior parte dei quali ha zone di confine povere o instabili. C’è poi da fare i conti con le nuove tecnologie: i criminali usano sempre più Carte telefoniche prepagate, Internet e soprattutto Sms per confondere e celare l’identità dei membri del gruppo. Ancora un capitolo dedicato alla droga: l’Europa resta leader assoluta nella produzione di ecstasy, per l’80 per cento fabbricata nell’Unione mentre ha ripreso pure quota il commercio di eroina dopo lo stop durante la guerra, in Afghanistan.

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IN ITALIA CALANO I REATI CONTRO L’AMBIENTE, SEPPURE NON ESISTONO ZONE ESENTI. DOSSIER 2003 DEI CARABINIERI EVIDENZIA L’AUMENTO DEI CONTROLLI

E LA DIMINUZIONE DELLE INFRAZIONI. TRA I SETTORI CHE PIU’ ATTIRANO

LE ORGANIZZAZIONI MALAVITOSE E’ IL TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI

 

ROMA. = Una buona notizia per l’Italia: nel 2003 vi sono stati meno illeciti in campo ambientale, da oltre il 33 per cento del 2002 a poco più del 28 per cento di quest’anno. E’ quanto emerge dal bilancio di fine anno presentato ieri dal Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente (Noe). 2.574 le infrazioni accertate contro le 2925 dello scorso anno, durante 9156 controlli nel 2003 rispetto ai 8760 del 2002; 2691 le segnalazioni all’Autorità giudiziaria, 89 le persone tratte in arresto, 537 i sequestri operati e 499 le contravvenzioni elevate. “Dati che dimostrano - ha detto il comandante del Noe, il colonnello Raffaele Vacca - una maggiore e migliore coscienza verso i temi ambientali sia da parte della popolazione che di tutto il comparto sicurezza e la  presenza di elementi legislativi più snelli”. Ma i risultati sono il frutto soprattutto “di un pressante lavoro di controlli”, ha sottolineato Vacca annunciando per l’inizio dell’anno il completamento di quelle 229 unità in più volute dal ministero dell'Ambiente. Ma non bisogna accontentarsi, ha concluso il comandante del Reparto Noe: “Qualcosa in più va fatto per quanto riguarda l’apparato delle pene e delle sanzioni per non vanificare il lavoro degli investigatori”. Dal rapporto dei Carabinieri non emerge una Regione in particolare perché - come ha spiegato il colonnello Vacca - “non ci sono realtà territoriali esenti da fenomeni di ecocriminalità”. Da rilevare infine che eco-reati sono sempre più legati alla criminalità organizzata, ed è il traffico illecito dei rifiuti ad interessare soprattutto le organizzazioni malavitose.(R.G.)

 

 

MESSAGGIO DI NATALE DEL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE INDIANA,

RIVOLTO AI MEDIA: LA PACE E LA GIOIA INSITI IN QUESTA FESTA SONO ANCORA

 PIU’ RILEVANTI IN UN MONDO CHE SPERIMENTA LA DIFFICOLTA’ A VIVERE IN ARMONIA

 

NEW DELHI. = Il messaggio di pace e gioia del Natale “è ancora più rilevante in un periodo in cui il mondo sta sperimentando difficoltà a vivere in armonia in campo religioso, politico e sociale”. Lo sottolinea l’arcivescovo Cyril Mar Baselios, presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci), nel messaggio rilasciato ai media in occasione delle festività natalizie. Mons. Baselios ricorda che “una serie di eventi nel passato recente hanno, in qualche modo, minato gli sforzi di assicurare unità e pace in ogni parte del mondo”. Il presule ammonisce quindi: “Non possiamo più permettere che la situazione continui”. Per fortuna, prosegue, il “Natale ci dà speranza: il suo messaggio di pace, solidarietà e felicità rinnoverà i nostri cuori e rinfrescherà le nostre menti. Il Signore viene tra noi portandoci nuova fiducia in un mondo migliore, di unità e di pace”. (R.G.)

 

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24 ORE NEL MONDO

23 dicembre 2003

 

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

 

Il leader libico Muhammar  Gheddafi ha esortato Corea del Nord, Iran e Siria a seguire il suo esempio e disfarsi delle armi di distruzione di massa. Lo ha fatto in un’intervista alla Cnn, spiegando che questi Paesi, sospettati di possedere armi nucleari, potrebbero evitare così una tragedia. Rispondendo a una domanda sulla cattura di Saddam Hussein Gheddafi ha negato che la sua decisione sia legata alla caduta del rais iracheno. E, intanto, l'Amministrazione del presidente statunitense, George W. Bush, parla della possibilità di revocare le sanzioni contro la Libia proprio dopo l'impegno preso da Tripoli a rinunciare allo sviluppo di armi di distruzione di massa. Di questa svolta politica, Andrea Sarubbi ha parlato con Alberto Negri, inviato speciale di “Il Sole 24 ore”:

 

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R. – Io direi che non era del tutto imprevisto, perché avevamo già potuto osservare nei mesi scorsi le dichiarazioni di Gheddafi. In particolare, a giugno, era stata fatta una inversione di tendenza della politica economica libica. Gheddafi praticamente aveva annunciato a tutto il mondo che bisognava dare il via alle privatizzazioni,  persino nel settore bancario e in quello del petrolio. Ma anche sul piano internazionale c’erano stati dei segnali piuttosto evidenti, tra i quali, il più clamoroso, Lockerbie.

 

D. – Motivazioni economiche, sembrerebbe di capire, visto che Gheddafi ha già detto: “Speriamo che le compagnie americane arrivino presto …”.

 

R. – Sì, perché le motivazioni di questa svolta sono due essenzialmente. Prima di tutto il fallimento dei piani economici libici e in secondo luogo il petrolio. La Libia oggi produce un milione e 300 mila barili. 20 anni fa produceva 3 milioni e mezzo di barili. Nella differenza tra queste due cifre c’è il desiderio di Gheddafi di veder tornare le compagnie petrolifere americane.

 

D. – Gheddafi ha auspicato che anche Iran, Corea del Nord e Siria seguano questa strada. Quanto rilievo può avere  un esempio positivo come quello della Libia?

 

R. – In una settimana ci sono stati due eventi importanti: la firma da parte dell’Iran del protocollo aggiuntivo sul trattato di non proliferazione nucleare e questo annuncio della Libia che praticamente sta aprendo i propri arsenali. Rimangono fermi sulle loro posizioni alcuni Paesi, fra cui forse il più importante è la Siria. Bashar Assad, il presidente siriano, dovrà fare delle mosse importanti.  

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Ad Haiti sono finite nel sangue, ieri,  le manifestazioni di protesta contro il presidente Jean-Bertrand Aristide. A Port-au-Prince due persone sono rimaste uccise e almeno 6 ferite negli scontri tra la folla ed un gruppo di fedelissimi del capo dello Stato. I manifestanti chiedevano le dimissioni di Aristide, già abbandonato da 6 alti funzionari del governo.

 

Alcuni funzionari di Bank of America hanno presentato alla Procura di Milano una denuncia per falso in scrittura privata per il documento che attestava la presenza di 3,95 miliardi di euro in un conto della Bonlat, società off-shore della Parmalat, presso l'istituto americano. La denuncia è stata presentata formalmente dal legale rappresentante. E’ uno dei segni evidenti del coinvolgimento a livello internazionale della vicenda finanziaria della italiana Parmalat. Intanto, si è aperto questa mattina, negli uffici della procura di Milano, davanti al pm Francesco Greco, l'interrogatorio dell'ex direttore finanziario di Parmalat, Fausto Tonna. Secondo il suo legale, ha già dichiarato di non aver preso di sua iniziativa le decisioni legate alla Bank of America, rimandando le responsabilità ai suoi superiori.

In Serbia è stato nuovamente rinviato, questa volta al 5 gennaio del 2004, il processo davanti al Tribunale di Pozarevac, nella Serbia centro orientale, contro Marko Milosevic, figlio dell'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic. All'udienza, ieri sera, non si sono presentati ne' l'imputato, che ha lasciato il Paese nell'ottobre del 2000 dopo la caduta del regime del padre, ne' l'avvocato difensore della famiglia. E sempre in Serbia nella giornata di ieri ha preso il via un altro importante procedimento penale per l'uccisione, il 12 marzo scorso, del primo ministro serbo Zoran Djindjic. Anche in questo caso, però, si registra subito un rinvio. Delle persone coinvolte nel procedimento, ci parla Emiliano Bos.

 

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36 gli imputati alla sbarra, 21 dei quali presenti in aula e 15 giudicati in contumacia. Tra gli assenti Milorad Lukovic, detto Legia, ex comandante dei disciolti Berretti Rossi, braccio armato della polizia segreta di Milosevic. Legia è considerato l’organizzatore del delitto del premier. La prima udienza si è aperta con un rinvio per le eccezioni di procedura sollevate dalla Difesa, una ottantina di avvocati in tutto, in relazione al presidente del tribunale giudicante, Marco Criavic e al rappresentante dell’accusa, il procuratore speciale Johan Priic. La Corte Suprema di Belgrado si è immediatamente pronunciata confermando l’idoneità del primo a presiedere il processo, in attesa del verdetto sul Pubblico Ministero previsto per oggi. Gli imputati non dovranno rispondere soltanto dell’omicidio di Djindjic, ma anche di altri 13 delitti eccellenti, tra cui quello dell’ex presidente serbo, Ivan Stambolic. Quest’ultimo venne rapito il 30 agosto del 2000 alla vigilia delle elezioni presidenziali e ucciso pochi giorni dopo. I suoi resti furono ritrovati nei mesi scorsi durante la vasta operazione di polizia, scattata all’indomani dell’uccisione di Djindjic. Per la sua morte è sospettato anche l’ex uomo forte dei Balcani, Milosevic, che sarà candidato alle elezioni legislative del 28 dicembre, verso le quali la Serbia si sta avviando in un clima di grande incertezza politica.

 

Per la Radio Vaticana, Emiliano Bos.

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Il presidente riformatore iraniano Mohammad Khatami ha chiesto al governo francese di annullare la sua decisione di vietare il velo islamico nelle scuole. Dopo mesi di accese discussioni, mercoledì scorso il  presidente francese Jacques Chirac ha stabilito di non permettere alcun simbolo religioso nelle scuole. Khatami, sottolineando che la decisione non è ancora definitiva ha detto di augurarsi che il suo Parlamento invii un messaggio a quello francese per chiedere che non venga approvata la legge che ritiene “contraria alla libertà e ai principii della democrazia''.

 

Dopo l’avvio del disarmo, in Costa d’Avorio si intravede la fine dello stallo politico. I ribelli hanno annunciato, infatti, il proprio ritorno nel governo di unità nazionale, da loro lasciato il 23 settembre in segno di protesta contro il mancato rispetto degli accordi di pace da parte del presidente Gbagbo. La notizia è stata accolta con soddisfazione dalla Francia e dalla Comunità degli Stati dell’Africa occidentale.

 

Un tribunale di Mosca ha ripreso oggi l'udienza per decidere se estendere il periodo di arresto del magnate petrolifero Mikhail Khodorkovski, ex presidente della Yukos accusato di frode ed evasione fiscale. Il regime detentivo scade il 30 dicembre ma la procura generale ha chiesto una proroga sino al 25 marzo per timore di inquinamento delle prove. Da parte sua, il presidente Vladimir Putin ha ribadito che non intende rimettere in discussione le privatizzazioni. Ha ammesso che al momento del passaggio ai privati le leggi erano complicate e confuse, per poi sottolineare che però chi ha voluto rispettarle l’ha fatto.

 

Nelle Filippine è stato dichiarato lo stato di calamità nelle province del Sud a seguito delle inondazioni e delle frane che hanno causato la morte di 209 persone e il mancato ritrovamento di almeno un altro centinaio. E al dramma ha fatto seguito anche la dispersione in mare di un traghetto con 75 persone a bordo, avvenuta domenica al largo dell'isola di Palawan, nel sud-ovest del Paese. Oggi è stato annunciato che sono state tratte in salvo 20 persone.  

 

 

 

 

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