RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 351 - Testo della
Trasmissione di mercoledì 17 dicembre 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Cento anni fa a Kitty
Hawk, negli Usa, l’impresa del primo volo dei fratelli Wright.
CHIESA E SOCIETA’:
In Daghestan uccisi, nella notte, 4 guerriglieri
ceceni dall’aviazione russa.
Nuovi sforzi diplomatici per la pace in medio
Oriente con la mediazione dell’Egitto.
In Italia atteso oggi alla Camera il voto sulla
finanziaria.
17 dicembre 2003
L’AVVENTO, TEMPO DI SPERANZA, RICORDA A TUTTI I FEDELI
DI NON
SENTIRSI MAI SOLI, PERCHE’ DIO E’ VICINO A NOI:
COSI’, GIOVANNI PAOLO II NELL’ULTIMA UDIENZA
GENERALE DEL 2003.
OGGI
POMERIGGIO IN PIAZZA SAN PIETRO
L’ACCENSIONE
DELL’ALBERO DI NATALE, DONATO DALLA VALLE D’AOSTA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
“Il
mistero del Natale, che fra pochi giorni rivivremo, ci assicura che Dio è
l’Emmanuele”, Dio è con noi. Per questo, “non dobbiamo mai sentirci soli”. E’
la riflessione offerta ai fedeli dal Papa, stamani, all’udienza generale
nell’Aula Paolo VI, l’ultima del 2003. Quest’anno, il Santo Padre ha accolto
negli incontri del mercoledì oltre mezzo milione di pellegrini e sono più di 17
milioni i fedeli ricevuti nel corso delle 1112 udienze generali tenute nei 25
anni di pontificato. Ma torniamo alla catechesi di questa mattina incentrata
sul profondo significato di speranza dell’Avvento, con il servizio di
Alessandro Gisotti:
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(Musica)
Cori, bande musicali e canti festosi hanno accolto il
Papa. Un incontro dedicato all’Avvento quale tempo di speranza. L’annuale rievocazione
della nascita del Messia - ha detto il Santo Padre di fronte a migliaia di
fedeli – “rinnova nel cuore dei credenti la certezza che Dio tiene fede alle
sue promesse”.
“L’Avvento
è, pertanto, potente annuncio di speranza, che tocca in profondità la nostra
esperienza personale e comunitaria”.
“Ogni uomo – ha proseguito – sogna un mondo più giusto e
solidale”, dove “degne condizioni di vita e una pacifica convivenza rendano
armoniose le relazioni” tra individui e popoli. Spesso, però, “ostacoli,
contrasti e difficoltà di vario genere appesantiscono la nostra esistenza e
talora quasi la opprimono”. Le forze e il “coraggio di impegnarsi per il bene
rischiano di cedere al male che sembra a volte avere la meglio”. Tuttavia, ha
avvertito, è in questi momenti che ci viene in aiuto la speranza, giacché Dio
ci è vicino.
“Potremmo, dunque, dire che il senso della speranza
cristiana, riproposta dall'Avvento, è quello dell'attesa fiduciosa, della
disponibilità operosa e dell’apertura gioiosa all'incontro con il Signore”.
A Betlemme, ha aggiunto, egli è venuto “per rimanere con
noi, per sempre”. Il Natale ci rammenta, così, che “è Dio ad aver preso
l’iniziativa” di venire incontro all’uomo. Il Signore, ha proseguito, ha
condiviso il nostro pellegrinaggio sulla terra “garantendoci il raggiungimento
di quella gioia e pace, a cui aspiriamo dal profondo del nostro essere”.
D’altro canto, l’Avvento ci avverte che obiettivi buoni e onesti, come il
“perseguimento di mete sociali, scientifiche ed economiche” non bastano a
soddisfare “le aspirazioni più intime del nostro animo”. Ecco allora l’invito
del Natale ad “allargare la visuale” e a “contemplare la Sapienza di Dio”.
(Canti)
Al termine della catechesi, in un clima particolarmente
gioioso, si sono alternati una cantante, che ha eseguito due brani natalizi in
polacco, una banda austriaca e, immancabili, i zampognari, provenienti dal
Molise. Il Pontefice ha salutato i rappresentanti dello Scoutismo cattolico
presenti all’udienza, che hanno portato da Betlemme la lucerna, simbolo della
pace. Quindi, ha ringraziato calorosamente i fedeli della Val d’Aosta, guidati
dal vescovo Giuseppe Anfossi, che quest’anno hanno donato al Papa il grande
Albero di Natale, allestito in piazza San Pietro accanto al Presepe.
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E proprio nel pomeriggio di oggi - a partire dalle 16.30 - in piazza San Pietro, si
svolgerà la cerimonia di accensione
dell'Albero di Natale, alla
presenza del presidente del Governatorato della Città del Vaticano, il
cardinale Edmund Szoka. Quest'anno,
dunque, la Valle d'Aosta - che ha ospitato il Pontefice per nove soggiorni
estivi - è stata scelta tra le regioni montane d'Europa per il dono
dell'Albero, secondo una tradizione iniziata nel 1982. Giovanni Peduto ha
intervistato il vescovo di Aosta, mons. Giuseppe Anfossi, che ha guidato un
folto pellegrinaggio a Roma in occasione dell’evento:
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D. – Eccellenza, con quali sentimenti avete donato questo
albero al Papa?
R. – Il sentimento dominante è la gratitudine, perché il
Papa è venuto da noi nove volte per riposarsi, e una volta in visita pastorale.
Ogni volta che viene, il Papa commenta la natura o fa un intervento che
possiamo considerare spirituale o sulla montagna o qualche volta riguardo al
turismo. Ci ha autorizzati a far vacanza, per esempio, che non è piccola cosa
per noi vescovi e preti; e poi, è un ammiratore della montagna nella sua
bellezza naturale. Credo che anche una sua poesia sia ispirata alla bellezza
delle nostre montagne…
D. – Che significato ha l’Albero di Natale?
R. – Per noi rappresenta appunto la cultura, l’economia e
anche la spiritualità della montagna, di un popolo che si è evoluto molto in
questi ultimi tempi e che ha bisogno di ritrovare radici cristiane, ha bisogno
di esplicitare nella propria tradizione la fonte evangelica e cristiana antica.
E’ un albero che ha 110 anni di vita, sembra, se non di più; è alto 28 metri, è
un abete rosso, racconta credo una storia molto lunga della nostra valle, dalla
povertà alla ricchezza. Dalla montagna che rende pochissimo al turismo che
rende invece ricchi ...
D. – E il suo augurio per questo Natale?
R. – E’ che l’Albero vicino al Presepio ricordi che tutte
le culture sono bene accolte nella Chiesa, ma che bisogna costruire la pace; e la
pace non viene da sola: tutto lo sta dimostrando. Per avere la pace lontano,
nella Terra di Gesù o nell’Iraq, dobbiamo anche essere costruttori di pace qui.
Io auguro a tutti che la pace non sia soltanto una bella bandiera, ma un
programma di vita.
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RINUNCIA
E NOMINA
Il
Santo Padre ha accettato oggi la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi
di Calabar, in Nigeria, presentata da mons. Brian David Usanga, per raggiunti
limiti di età; allo stesso incarico ha nominato mons. Joseph Edra Ukpo, finora
vescovo di Ogoja.
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Apre la prima pagina il titolo
"Un Avvento di speranza": la catechesi di Giovanni Paolo II
all'udienza generale.
Sempre in prima, riguardo all'Iraq
si sottolinea che non si ferma la spirale delle violenze. Il titolo
all'articolo è "Bombe sui tentativi di normalizzazione"
Nelle vaticane, la comunità
dell'"Osservatore Romano" ricorda Sergio Trasatti a dieci anni dalla
morte.
Nelle estere, Medio Oriente:
l'Egitto riprende la mediazione tra le fazioni radicali palestinesi.
Guatemala: esumate da una fossa
comune 76 vittime inermi di paramilitari di destra.
Nella pagina culturale, un
contributo di Angelo Marchesi sul volume "Audacia della ragione e
inculturazione della fede".
Una monografica dal titolo
"Il fenomeno religioso oggi". L'uomo moderno e la trascendenza: studi
e riflessioni su un tema centrale.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la legge Gasparri: ipotesi di decreto per Rete 4 e Rai 3.
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17 dicembre 2003
NUOVO ATTENTATO STAMANE A BAGHDAD
MENTRE
SI CONTINUA A DISCUTERE SULLA SORTE DI SADDAM HUSSEIN
DOPO
LA SUA CATTURA DA PARTE DEGLI AMERICANI: CON NOI MARIA RITA SAULLE
A
quattro giorni dalla cattura di Saddam Hussein, in Iraq è sempre altissima la
tensione. Almeno dieci persone sono morte stamattina a Baghdad, teatro
dell’ennesimo attentato. Il servizio di Andrea Sarubbi:
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Ancora un camion bomba nella
capitale, ancora civili uccisi. Per errore, sembra, perché l’obiettivo
dell’attentato doveva essere una caserma di polizia vicina al luogo
dell’esplosione, nel quartiere sudoccidentale di Al-Bayaa. Ma il veicolo è
saltato in aria in anticipo, dopo un imprevisto incidente con un minibus.
L’attentato
di questa mattina conferma l’autonomia della guerriglia da Saddam, che è ancora
nelle mani degli americani, e che la sua figlia maggiore, Raghad, vorrebbe ora
visitare. La stessa Raghad si è detta certa che suo padre sia stato drogato, e
l’ipotesi viene rilanciata oggi dalla stampa libanese: lo avrebbe narcotizzato
una sua guardia del corpo, il colonnello al Maslat, trovato morto ieri nei
pressi di Tikrit, sulle rive del fiume Tigri.
Proprio il destino di Saddam
continua a monopolizzare il dibattito internazionale. L’ex leader sarebbe
ancora in Iraq – probabilmente nei dintorni di Baghdad, ha fatto sapere il
Consiglio di governo provvisorio – e sempre nel Paese del Golfo dovrebbe
svolgersi il processo pubblico a suo carico, comunque non prima di luglio 2004.
C’è già un candidato alla sua difesa – l’avvocato russo Zhirinovski, leader
dell’ultradestra – ed un’ipotesi di condanna all’orizzonte: la pena di morte,
invocata da molti esponenti dell’ex opposizione ma respinta da buona parte
della comunità internazionale, Iran compreso. “Saddam la meriterebbe”, ha detto
il presidente Khatami, favorevole però ad un processo perché convinto che da
questo uscirebbero rivelazioni “imbarazzanti” per gli Stati Uniti.
Ma qualche motivo di imbarazzo,
per la coalizione angloamericana, c’è già. L’ex capo degli ispettori Onu, Blix,
ha smentito l’ennesima voce del ritrovamento di armi di distruzione di massa,
diffusa in queste ore a Londra dall’Iraq survey group.
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Ma in questo quadro, Saddam potrà essere processato come
“prigioniero di guerra”? Fabio Colagrande lo ha chiesto alla prof.ssa Maria
Rita Saulle, docente di diritto internazionale all’Università di Roma:
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R. – Gli Stati Uniti hanno detto che non hanno mai fatto
la guerra contro l’Iraq, ma hanno fatto la guerra contro un uomo, e questo –
naturalmente – è un principio contrario al diritto internazionale, perché la
guerra si fa tra Stati. Gli Stati Uniti hanno detto che applicheranno la
Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. E qui, naturalmente, si
tratta di una scelta unilaterale, perché non essendoci una guerra ma un’azione
militare contro una persona, e pretendendo gli Stati Uniti di essere accolti
come liberatori dall’Iraq, questa è ovviamente una concessione fatta a Saddam
Hussein. Il quale, peraltro, come persona e come prigioniero – di guerra o non
di guerra – ha diritto ormai, secondo il diritto internazionale – ad un
trattamento umanitario, a determinati standard. Come prigioniero di guerra, può
declinare nome e cognome e può anche non rispondere.
D. – Ma proprio in base al diritto internazionale, Saddam
Hussein deve essere un prigioniero di guerra, non c’erano alternative … o
c’erano?
R. – Può essere un prigioniero politico, per esempio, nel
momento in cui gli Stati Uniti hanno più volte ribadito il principio che loro
non hanno fatto la guerra all’Iraq, hanno fatto la guerra a Saddam Hussein, che
il popolo iracheno è un popolo amico, che vogliono che si instauri la
democrazia in Iraq. L’applicazione della Convenzione di Ginevra è una scelta
degli Stati Uniti per dimostrare la legalità dell’operazione: mentre hanno
negato l’esistenza di una guerra contro l’Iraq, trattano Saddam Hussein come
prigioniero di guerra. Questo da una parte significa che vengono applicate, nei
confronti di questa persona – fosse anche il peggior criminale del mondo – le
garanzie del diritto internazionale, altrimenti anche noi arretreremmo a
livelli tribali. Quindi, ben venga che venga assimilato ad un prigioniero di
guerra.
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CAMBIO DELLA GUARDIA ALLA GUIDA DELLA NATO:
CONCLUDE
OGGI IL SUO MANDATO DI SEGRETARIO GENERALE GEORGE ROBERTSON:
INTERVISTA
CON ARDUINO PANICCIA
Cambio
della guardia alla guida della Nato. Nel quartier generale dell’Alleanza, a
Bruxelles, lo scozzese George Robertson terrà oggi pomeriggio il suo ultimo
discorso da segretario generale: gli succederà, il 5 gennaio, l’ex ministro
degli Esteri olandese, Jaap de Hoop Scheffer. Davanti agli ambasciatori dei 19
Paesi membri, lord Robertson traccerà un bilancio dei suoi 4 anni di mandato.
Un’occasione, dunque, per riflettere sul ruolo di un’Alleanza che sta
attraversando un momento difficile. Andrea Sarubbi ne ha parlato con Arduino
Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste:
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R. – Credo che Robertson lasci in questo momento la Nato
senza una vera, precisa strategia. Nessuno riesce a capire bene quali potranno
essere i veri, importanti compiti della Nato nei prossimi anni. Probabilmente,
vi sarà un compito – il prossimo anno – di sostituzione di parte delle Forze di
coalizione in Iraq. Ma esattamente questo non lo sa ancora nessuno.
D. – Da quando Robertson ha preso il posto di Solana, nel
’99, per almeno due volte gli Stati Uniti hanno agito da soli: penso all’Iraq e
all’Afghanistan. Si può parlare di un ‘flop’ della Nato?
R. – Non li chiamerei dei ‘flop’. Credo che nessuna
organizzazione, come dicevamo prima, possa avere risultati brillanti se non vi
è una strategia davanti e dietro alle spalle. E questo sta a significare che i
contrasti tra Unione Europea e Stati Uniti hanno portato la Nato
sostanzialmente in una fase di stallo e non credo che dipenda soltanto dal
segretario generale; credo che vi debba essere prima di tutto un accordo di
fondo: o la Nato ha un nucleo europeo che si ritaglia degli spazi ed agisce su
posizioni abbastanza autonome e in un’area precisa e circoscritta, oppure la
confusione rimarrà e non ci sarà cambio di segretario generale che potrà
risollevare la Nato da questo stato di cose piuttosto ‘opaco’. Se le due
componenti della Nato non si parlano, è probabile che andiamo incontro anche in
Iraq nei prossimi mesi o ad una non-presenza della Nato, oppure ad un altro –
chiamiamolo così – ‘flop’.
D. – Quando la Nato è sorta, c’erano anche dei motivi
storici: c’era la paura del blocco sovietico, quindi c’era l’esigenza di
contrapporsi al Patto di Varsavia. Oggi, nel 2003, ha ancora senso
quest’alleanza, e qual è il suo scopo?
R. – E’ comunque un’organizzazione difensiva sotto il cui
ombrello si pongono, con grande speranza, ad esempio, tutti i Paesi di nuova
adesione e tutti coloro che sono ad Est dell’Europa. Quindi, un compito
fondamentale può rimanere: non è soltanto la Nato che ha dei problemi. L’Onu ne
ha ancora di più! Il fatto è che, avendo una forte, grande superpotenza come
quella americana, ed essendo questa superpotenza circondata da alleati più o
meno riluttanti, vanno rivisti appunto i compiti dell’organizzazione e questi
compiti possono essere i più interessanti soprattutto se sono tesi ad un ruolo
di salvaguardia della pace e della cooperazione militare senza spingere la Nato
ad affrontare adesso cose che non è assolutamente in grado di affrontare.
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UN SEMINARIO A NEW YORK HA OFFERTO L’OCCASIONE
PER RILANCIARE IL DIBATTITO SULLA FAMIGLIA
A LIVELLO INTERNAZIONALE.
L’INCONTRO E’ STATO PROMOSSO DA UN COMITATO DI 27
ONG,
SU INIZIATIVA DI ESPONENTI DELLA SOCIETA’ CIVILE
- Intervista con Ignacio Tonel -
Un Seminario ad alto livello
sulla famiglia: così è stato definito l’incontro, organizzato da un Comitato di
27 Organizzazioni non governative e sostenuto da Stati Uniti, Santa Sede e
Segretariato delle Nazioni Unite, che si è svolto ad inizio mese a New York. In
vista del X anniversario dell’Anno internazionale della famiglia, che si
celebrerà nel 2004, si è voluto un momento di riflessione particolare. Con
quali obiettivi lo spiega, nell’intervista di Fausta Speranza, il coordinatore
del Comitato, lo spagnolo Ignacio Tonel:
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R. – Abbiamo cominciato a
lavorare a questo Comitato di Ong nel mese di aprile e vorremmo, attraverso
questo nostro impegno, fare il punto sull’importanza della famiglia nella
nostra società e farlo, in particolare, all’interno delle Nazioni Unite. Ho
lavorato diversi anni alle Nazioni Unite rilevando, purtroppo, che non viene
data la giusta importanza all’istituzione familiare. Soltanto qualche volta si
creano iniziative per andare incontro alla famiglia. Abbiamo deciso, quindi, di
‘lavorare in positivo’ – come diciamo noi – per mostrare al mondo qual è oggi
il ruolo della famiglia nella nostra società.
D. – Il coordinamento è voluto
in un contesto internazionale in cui rientrano le situazioni dei Paesi più
diversi. Cosa chiedere a proposito della famiglia?
R. – Lavoriamo nel contesto
internazionale dei governi rappresentati alle Nazioni Unite e vorremmo,
soprattutto, richiamare l’attenzione dei governi sulla necessità di politiche a
sostegno della famiglia o, almeno, vorremmo che si cancellino quelle politiche
fiscali o sociali che la penalizzano.
D. – Viste le diverse
situazioni, però, proprio i punti di partenza per agire sono diversi…
R. – Sì, assolutamente. Noi
abbiamo appena cominciato a lavorare, come ho già detto. Finora non c’era un
coordinamento internazionale di Ong relativo alla famiglia. Per il momento
quello che vogliamo è arrivare a creare delle lobby in difesa della
famiglia. Naturalmente, a livello nazionale saranno poi le Ong di ciascun Paese
che dovranno impegnarsi e lottare per avere misure e politiche adatte alle
necessità delle famiglie del loro stesso Paese. A livello internazionale, in
ogni caso, il profilo della famiglia
dovrebbe essere più alto.
D. – Diciamo allora come è stata
accolta l’iniziativa?
R. – Alcuni Paesi, soprattutto
dell’Europa occidentale, sostengono che la famiglia è una questione privata,
una questione che deve essere affrontata all’interno del Paese stesso senza
essere oggetto di promozione pubblica e di politiche pubbliche. Ci sono, però,
molti altri Paesi – soprattutto africani, appartenenti al mondo arabo, Stati
Uniti, America Latina ed alcuni anche europei – che si sono, invece, mostrati
molto contenti di questa iniziativa a favore della famiglia, se non altro
perché non c’era mai stato un coordinamento internazionale delle Ong
pro-famiglia.
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IL 17 DICEMBRE DI CENTO ANNI FA, NELLA CAROLINA DEL
NORD,
IL
PRIMO VOLO DEI FRATELLI WRIGHT INAUGURAVA LA STORIA DELL’AVIAZIONE.
CAPOSTIPITE
DEGLI ATTUALI JET FU UN ALIANTE A MOTORE IN LEGNO: IL FLYER-1
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
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(musica)
Sono sferiche o goffamente affusolate le forme dei
“signori dei cieli”, quando il 17 dicembre del 1903 l’uomo e il mito del volo stanno
per fondersi in un rivoluzionario matrimonio. Mongolfiere e dirigibili solcano
da tempo le nubi e coprono spazi addirittura abnormi se paragonati all’impresa
– risibile nelle sue dimensioni - che un giorno di cento anni fa, su una lingua
sabbiosa della Carolina del nord, sta per compiere quello che all’apparenza
sembra un semplice aliante di abete e frassino. Sono le 10.30 del mattino: fa
freddo e c’è vento mentre Orville Wright, fratello minore di Wilbur, si stende
di traverso sull’ala inferiore del mezzo da loro costruito, battezzato Flyer-1.
Il motore si avvia, le doppie eliche aumentano i giri, e poi l’istante che
cambia la storia dell’umanità: il primo aeroplano scivola su una rotaia di
legno e spicca il volo.
(musica)
E’ un semplice
balzo, in realtà: 36 metri, a tre metri d’altezza, per 12 secondi. Ma un
piccolo salto paragonabile a quello che 66 anni più tardi – dopo un altro
straordinario volo – Neal Armstrong compirà sul suolo lunare. La storia
dell’aeronautica comincia grazie a due geniali costruttori di biciclette. Ma
già sei anni dopo, il pionierismo è una faccenda d’archivio, con il primo volo
sulla Manica. I due conflitti mondiali, il secondo soprattutto, contribuiscono
all’evoluzione tecnologica degli aerei. Nel 1914 nasce anche l’aviazione
commerciale. Il primo biglietto costa una piccola fortuna: 400 dollari. Gli
anni ’50 fanno da spartiacque. Il mondo in pace accorcia le distanze,
allungando le rotte. Gli aerei sono ormai interamente costruiti in metallo e
hanno il radar. Il Lockeed 1049 G è il un mezzo più sicuro per viaggiare
tra l’Europa e l’America. La seconda rivoluzione è datata 1960. In quell’anno,
gli Usa varano il Boeing 747, che monopolizzerà l’aviazione commerciale
fino ai nostri giorni, mentre Francia e Gran Bretagna mostrano al mondo i primi
esemplari di quel missile col becco ricurvo che trasporta i passeggeri a una
velocità di crociera di 2.179 Kmh: il Concorde. Dai jet
supersonici al futuro, il passo è altrettanto veloce e innovativo: avremo i
caccia senza pilota, i satelliti armati. Ma intanto, più pacificamente, anche
un volo Roma-Londra a 30 euro.
(musica)
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17 dicembre 2003
IL VIRUS DELLA SARS COLPISCE A TAIWAN UN MEDICO MILITARE,
TORNATO
DA SINGAPORE, DOVE AVEVA SEGUITO UN SEMINARIO PROFESSIONALE.
L’OMS
RIBADISCE L’IMPERATIVO: MANTENERE ALTI I LIVELLI
DI
SICUREZZA NEI LABORATORI
TAIPEI.
= La Sars è tornata a colpire. Le autorità sanitarie di Taiwan hanno confermato
un nuovo caso di polmonite atipica, il primo dopo l'epidemia della scorsa
primavera che colpì 8.100 persone, uccidendone 774. Il coronavirus ha
contagiato un medico militare di 44 anni, virologo presso l'Istituto militare
di medicina preventiva. Il paziente è stato ricoverato d'urgenza ieri con
febbre alta al Tri-Services Hospital di Taipei, per poi essere
trasferito questa mattina al Municipal Hoping Hospital, struttura
specializzata nel trattamento della Sars. Il medico era appena tornato da
Singapore, dove aveva soggiornato dal 7 al 10 dicembre per un seguire un
seminario. Secondo il ministro della Sanità di Taiwan, Chen Chien-jen, l'uomo
si sarebbe infettato proprio durante il suo soggiorno nella città-Stato. “Il
paziente - ha riferito il ministro - si trova in condizioni stabili, con
un'infezione polmonare e tosse. Dopo il suo ritorno è entrato in contatto solo
con i propri familiari, che al momento non risultano infettati”. Le autorità
sanitarie di Taiwan hanno notificato il nuovo caso all’Oms, l’Organizzazione
mondiale della Sanità, e ai 21 Paesi dell'Asia-pacific economic forum. L’Oms,
da parte sua, ha espresso “preoccupazione” per l’episodio ed ha ribadito la
necessità di mantenere un “alto livello” delle misure di sicurezza all’interno
dei laboratori che studiano il virus della Sindrome respiratoria acuta. (A.D.C.)
APPELLO COMUNE DELLE CHIESE LOCALI
E
DELLE ORGANIZZAZIONI PER I DIRITTI UMANI
PER
BLOCCARE LE VIOLENZE INTERETNICHE CHE INSANGUINANO L’INDIA.
L’APPELLO
LEVATO AL TERMINE DI UN INCONTRO
ORGANIZZATO
DAI SALESIANI DI GUHAWATI
GUHAWATI.
= Promuovere uno sforzo congiunto per bloccare la violenza etnica che sconvolge
da tempo la regione dell’India Nordorientale, in particolare gli Stati
dell’Assam, Nagaland, Manipur, Meghalaya, dove nelle ultime settimane si sono
registrate centinaia di vittime. Con questo scopo oltre 100 delegati di sette
Stati della regione (leader civili e responsabili di chiese locali,
associazioni, movimenti per i diritti umani) si sono riuniti di recente a
Guwahati, in rappresentanza di oltre 300 comunità di etnia diversa. L’incontro,
riferisce l’Agenzia Fides, era organizzato dai Salesiani del Don Bosco Youth
and Education Service, in collaborazione con la Amity Foundation, e
mirava a studiare strategie per riportare pace e armonia nella martoriata
regione, oggi affetta da violenza, disoccupazione, miseria. La riunione, a cui
hanno partecipato studenti, giornalisti, intellettuali, leader civili,
accademici e religiosi, si è conclusa con una marcia per la pace per le strade
di Guwahati, a cui hanno preso parte oltre 3.000 persone. Mons. Thomas
Menamparampil, Arcivescovo di Guwahati, impegnato direttamente per la pace fra
i vari gruppi etnici in lotta, ha incoraggiato i presenti: “La pace è possibile
– ha detto - è nostro potere ottenerla. La storia umana è fatta non solo di
guerre, ma anche di sforzi e collaborazione per costruire grandi civiltà
pacifiche”. (A.D.C.)
LA COMMISSIONE EUROPEA INVITA GLI STATI
MEMBRI
AD
AGGIORNARE LE MISURE DI TUTELA PER I MINORI IN RELAZIONE
ALL’ECCESSO
DI VIOLENZA CHE INVADE INTERNET E LA TELEVISIONE
BRUXELLES.
= Internet e televisione a misura di bambino. E’ quanto raccomanda la
Commissione europea agli Stati dell’Ue, nel nuovo Rapporto di valutazione
adottato ieri in tema di protezione dei minori e di dignità umana negli
audiovisivi e nel servizio informativo. Un invito rivolto dall’esecutivo
comunitario soprattutto alle industrie interessate, giacché - come ha affermato
il commissario europeo per l'Educazione, Viviane Reding – è “alto” il “livello
di violenza in alcuni media”. In particolare, la Commissione di Bruxelles ha
deciso di proporre, nel nuovo rapporto che analizza le misure adottate dagli
Stati a partire dal 2000, un aggiornamento della Raccomandazione già adottata
dal 1998, che dovrà essere rispettata anche nel corso dei primi mesi del 2004.
“Anche se la Raccomandazione è stata applicata in modi differenti dagli Stati
membri e dai Paesi candidati - ha sottolineato Reding - gli sviluppi sono stati
in generale positivi. Ma, sono convinta che bisogna fare di più”. Il primo
passo in questa direzione è l'aggiornamento della Raccomandazione, che dovrebbe
riguardare l'educazione attraverso i media, il diritto di replica e le misure
da prendere contro la discriminazione o l'incitamento all'odio in base alla razza,
al sesso o alla nazionalità, diffusi on line. Secondo la Commissione,
specialmente nella Rete sono in aumento i comportamenti illegali e nocivi: una
situazione che determina preoccupazione non solo nei legislatori e nelle
industrie, ma soprattutto nei genitori. (A.D.C.)
DIMINUISCONO IN ITALIA I FURTI CONTRO IL
PATRIMONIO CULTURALE,
META’
DEI QUALI PERPETRATI A DANNO DELLE CHIESE.
RECUPERATI
NEL 2003 10 OLI SU TELI, DATATI TRA IL ‘500 E IL ‘600
- A
cura di Dorotea Gambardella -
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ROMA. = Oltre 1.200 furti di opere
d’arte di cui 479 a danni di chiese: è quanto emerge dal bilancio dell’attività
svolta durante il 2003 dal Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio
culturale. Dati confortanti secondo il generale Ugo Zottin, poiché rispetto
allo scorso anno si è registrato un calo del 19 per cento. Nel 2002 erano
infatti oltre 1500 i dipinti rubati, di cui 647 di proprietà della Chiesa. Un
decremento verificatosi anche per gli oggetti trafugati che dagli oltre 18 mila
dello scorso anno sono calati a 16.839 attuali. Il contenimento del fenomeno è
dovuto sia ad una capillare opera di prevenzione condotta dai carabinieri sia
alla collaborazione dei criminali stessi. In particolare, molto fruttuosa, è
risultata l’operazione ‘Art attack’, che ha consentito il recupero di 10 oli su
tela, di età compresa tra il ‘500 ed il ‘600, provenienti dalla chiesa di San
Giusto a Volterra. Le opere, asportate il 9 aprile 2000, sono state ritrovate a
partire dallo scorso dicembre. L’operazione investigativa è stata definita ‘Art
attack’, dove attack riveste il duplice significato di attacco-incollaggio,
poiché dalle indagini è emerso che prima di essere immesse sul mercato
clandestino, alcune parti delle tele venivano sezionate e sostituite con altre
staccate da opera diverse per confonderne le caratteristiche e sfuggire così ai
controlli.
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17 dicembre 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
L’Esercito russo ha inviato, oggi, altri militari in
Daghestan, regione dove quattro guerriglieri ceceni sono stati uccisi, nella
notte, dall’aviazione russa. Gli indipendentisti caucasici avevano attaccato,
nei giorni scorsi, reparti federali di frontiera e avevano occupato due
villaggi al confine con la Georgia. I separatisti avevano anche minacciato di
estendere i loro attacchi a tutto il Caucaso, puntando ad arrivare “allo studio
del presidente Putin al Cremlino”'. Ma perché ora le autorità russe hanno deciso
di rafforzare i loro spiegamenti in Daghestan? Giada Aquilino lo ha chiesto al
vicedirettore di Famiglia Cristiana, esperto di questioni russe, Fulvio
Scaglione:
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R. – Questo è uno dei frutti della
schiacciante vittoria elettorale che le formazioni filo-putiniane hanno
ottenuto alle elezioni politiche di una decina di giorni fa. E’ evidente che il
Cremlino, il presidente e il governo si sentono più forti e quindi possono
decidere una misura come questa che è, comunque, l’ammissione del fatto che la
questione cecena è lungi dall’essere risolta. Dall’altro lato, il Cremlino non
poteva non rispondere agli ultimi micidiali attentati, uno dei quali perpetrato
proprio davanti alla Duma, nel centro di Mosca.
D. – I guerriglieri ceceni hanno
moltiplicato in tutto il Caucaso le loro azioni: sono degli attacchi diretti al
potere centrale russo?
R. – Penso di sì. Naturalmente,
come in molti altri casi di guerriglia, l’obiettivo non è quello di scalzare un
potere che non è certo scalzabile: in questo caso il Cremlino non andrà in
crisi per le azioni della guerriglia separatista. In questo modo, però, i
ceceni alzano di molto il prezzo se si dovesse un domani arrivare ad una
trattativa politica.
D. – Da una parte la strategia dei
ceceni, dall’altra il pugno di ferro di Putin: il Caucaso rischia di esplodere?
R. – Non credo che il Caucaso
rischi di esplodere, perché è un rischio che corre da molti anni; certe spinte
sono state contenute e neutralizzate. Certo è che – ancora di più – si vede
come la via degli Eserciti non riesca a risolvere dei problemi che sono etnici,
culturali, sostanzialmente politici.
D. – Ma allora qual è la linea da
seguire?
R. – L’evoluzione della guerriglia
cecena è stata molto precisa: richiesta di indipendenza, richiesta respinta,
confronto armato e pesantissimo da un lato - con l’impiego di un Esercito
numerosissimo - e azione spietata dall’altra, con la risposta degli attentati.
Da parte russa, è evidente che in questo caso lo sforzo maggiore deve essere
fatto da Mosca e quindi è il Cremlino che deve tentare una via politica. Fuori
da questa via è veramente difficile arrivare ad una soluzione.
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Il partito comunista russo (Kprf)
sta pensando, dopo la recente sconfitta elettorale, di non partecipare, per la
prima volta nella storia della nuova Russia, alle prossime elezioni
presidenziali previste a marzo 2004. A
questo boicottaggio potrebbero unirsi anche i due Partiti liberali per impedire
il quorum del 50 per cento necessario a rendere valide le operazioni di voto.
E’ ancora una volta l’Egitto a proporsi come mediatore
nella crisi mediorientale. Ieri a Gaza si è svolto un incontro tra una
delegazione dei servizi di sicurezza del Cairo e rappresentati del Movimento
radicale palestinese Hamas. Malgrado
le proteste palestinesi e le critiche internazionali, Israele ha intanto
stanziato nuovi fondi per la costruzione del muro che separa lo Stato ebraico
dalla Cisgiordania. Sull’incontro svoltosi a Gaza ci riferisce di Graziano Motta:
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E’ stato fermo, il portavoce di
Hamas, sulla posizione più volte espressa di sospendere le attività di
guerriglia e di attentati contro civili ebrei, a condizione che da parte
israeliana cessino le operazioni militari nei territori. La tregua limitata,
dunque, è condizionata ad una reciprocità di impegni. Oggi la delegazione
egiziana incontrerà anche esponenti di altre organizzazioni impegnate nella
rivolta, tra cui quelli della Jihad islamica, sempre nel tentativo di far loro
accettare un cessate-il-fuoco. E’ atteso intanto l’annuncio da parte del primo
ministro israeliano Sharon, di un piano di provvedimenti unilaterali,
incoraggiati dagli Stati Uniti, relativi in particolare all’abbandono degli
insediamenti di Gaza e da quelli più isolati della Cisgiordania. Per il
vice-presidente del Consiglio, che ne ha parlato ad una Conferenza nazionale
sulla sicurezza, questo ritiro interesserebbe alcune decine di migliaia di
coloni.
Per la Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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Il governo autonomo della Catalogna ha da ieri un nuovo
presidente: si tratta del socialista Pasqual Margall. Questa elezione pone fine
a quasi un quarto di secolo di controllo del governo regionale da parte dei
nazionalisti di Convergencia i Uniò e del suo leader, Jordi Pujol.
Finanziaria 2004 e Legge Gasparri.
Sono questi i principali nodi da sciogliere nell’attuale scenario politico
italiano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Oggi l’Aula di Montecitorio ha approvato
il Disegno di legge per la Finanziaria 2004 e per il bilancio; lunedì prossimo è previsto il sì definitivo del Senato. Stamani il
Governo è stato però battuto alla Camera su due ordini del giorno presentati
dall’opposizione. Sono stati infatti approvati due testi proposti dai
Democratici di sinistra, uno per la riduzione dei contribuiti in agricoltura e
l’altro per l’eliminazione dei limiti delle agevolazioni previdenziali per i
lavoratori esposti all’amianto. E’ sempre più acceso, intanto, il dibattito
sulla riforma del sistema radio-televisivo. Il rinvio alle Camere della Legge
Gasparri da parte del presidente della Repubblica, Ciampi costringe il
Parlamento ad un nuovo esame. E’ stata intanto avanzata l’ipotesi di un Decreto per salvare
Rete 4 e Rai 3 dando due mesi di tempo al Parlamento per
modificare la Legge. Il Decreto servirà a bloccare gli effetti di una sentenza
della Corte Costituzionale che prevede, dal primo gennaio del prossimo anno, il
trasferimento di Rete 4 sul satellite e il divieto
per Rai 3 di raccogliere e trasmettere pubblicità.
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Il governo iraniano ha annunciato che domani potrebbe
firmare il Protocollo sulla non proliferazione nucleare. Il documento dell’Aiea
prevede una serie di controlli sul territorio iraniano, dove si sospetta che
siano stati istallati laboratori per la produzione di armi nucleari.
La Russia avrebbe venduto all’Iran un sistema missilistico
di difesa antiaerea per proteggere il reattore nucleare di Bushehr. A rivelarlo
sono fonti militari citate da Debkafile, il sito israeliano specializzato in intelligence.
In Brasile, nello Stato di Minas Gerais, un pullman è
precipitato in un burrone causando la morte di almeno 23 persone, tra le quali
13 bambini, ed oltre 40 feriti.
Arrestato in Spagna, nei pressi della città di Marbella,
un olandese di 31 anni sospettato di essere coinvolto nel furto, avvenuto
l’anno scorso, di due quadri di Vincent Van Gogh. Lo ha reso noto, ieri, la
Polizia spagnola.
E’ arrivato questa mattina, nel porto di Lampedusa, il
traghetto partito sabato scorso da Porto Empedocle e rimasto per 4 giorni
davanti alle coste dell’isola a causa del maltempo.
Raffica di ergastoli, in Grecia,
per i militanti dell’organizzazione criminale ‘17 novembre’, ritenuta
responsabile di almeno 23 omicidi a partire dal 1975.
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