RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 351 - Testo della Trasmissione di mercoledì 17 dicembre 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“Dio tiene fede alle sue promesse”: così il Papa stamane nell’ultima affollata e calorosa udienza generale del 2003 dedicata all’Avvento.

 

Oggi pomeriggio in Piazza San Pietro la tradizionale accensione dell’albero di Natale, donato dalla Valle d’Aosta: con noi il vescovo Giuseppe Anfossi.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Nuovo attentato stamane a Baghdad mentre si continua a discutere sulla sorte di Saddam Hussein dopo la sua cattura da parte degli americani: con noi Maria Rita Saulle.

 

Cambio della guardia alla guida della Nato: conclude oggi il suo mandato di segretario generale George Robertson: intervista con Arduino Paniccia.

 

L’importanza della famiglia nella società odierna all’attenzione delle Organizzazioni non governative riunite a New York: ai nostri microfoni Ignacio Tonel.

 

Cento anni fa a Kitty Hawk, negli Usa, l’impresa del primo volo dei fratelli Wright.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Il virus della Sars colpisce a Taiwan un medico militare, tornato da Singapore dove aveva seguito un seminario professionale. L’Oms ribadisce di mantenere alti i livelli di sicurezza nei laboratori.

 

Appello comune delle chiese locali e delle Organizzazioni per i diritti umani per bloccare le violenze interetniche che insanguinano l’India.

 

La Commissione europea invita gli Stati membri ad aggiornare le misure di tutela per i minori in relazione all’eccesso di violenza che invade internet e la televisione.

 

Diminuiscono in Italia i furti contro il patrimonio culturale, metà dei quali perpetrati a danno delle chiese.

 

24 ORE NEL MONDO:

In Daghestan uccisi, nella notte, 4 guerriglieri ceceni dall’aviazione russa.

 

Nuovi sforzi diplomatici per la pace in medio Oriente con la mediazione dell’Egitto.

 

In Italia atteso oggi alla Camera il voto sulla finanziaria.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

17 dicembre 2003

 

 

L’AVVENTO, TEMPO DI SPERANZA, RICORDA A TUTTI I FEDELI

DI NON SENTIRSI MAI SOLI, PERCHE’ DIO E’ VICINO A NOI:

 COSI’, GIOVANNI PAOLO II NELL’ULTIMA UDIENZA GENERALE DEL 2003.

OGGI POMERIGGIO IN PIAZZA SAN PIETRO

L’ACCENSIONE DELL’ALBERO DI NATALE, DONATO DALLA VALLE D’AOSTA

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

“Il mistero del Natale, che fra pochi giorni rivivremo, ci assicura che Dio è l’Emmanuele”, Dio è con noi. Per questo, “non dobbiamo mai sentirci soli”. E’ la riflessione offerta ai fedeli dal Papa, stamani, all’udienza generale nell’Aula Paolo VI, l’ultima del 2003. Quest’anno, il Santo Padre ha accolto negli incontri del mercoledì oltre mezzo milione di pellegrini e sono più di 17 milioni i fedeli ricevuti nel corso delle 1112 udienze generali tenute nei 25 anni di pontificato. Ma torniamo alla catechesi di questa mattina incentrata sul profondo significato di speranza dell’Avvento, con il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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 (Musica)

 

Cori, bande musicali e canti festosi hanno accolto il Papa. Un incontro dedicato all’Avvento quale tempo di speranza. L’annuale rievocazione della nascita del Messia - ha detto il Santo Padre di fronte a migliaia di fedeli – “rinnova nel cuore dei credenti la certezza che Dio tiene fede alle sue promesse”.

 

“L’Avvento è, pertanto, potente annuncio di speranza, che tocca in profondità la nostra esperienza personale e comunitaria”.

 

“Ogni uomo – ha proseguito – sogna un mondo più giusto e solidale”, dove “degne condizioni di vita e una pacifica convivenza rendano armoniose le relazioni” tra individui e popoli. Spesso, però, “ostacoli, contrasti e difficoltà di vario genere appesantiscono la nostra esistenza e talora quasi la opprimono”. Le forze e il “coraggio di impegnarsi per il bene rischiano di cedere al male che sembra a volte avere la meglio”. Tuttavia, ha avvertito, è in questi momenti che ci viene in aiuto la speranza, giacché Dio ci è vicino.

 

“Potremmo, dunque, dire che il senso della speranza cristiana, riproposta dall'Avvento, è quello dell'attesa fiduciosa, della disponibilità operosa e dell’apertura gioiosa all'incontro con il Signore”.

 

A Betlemme, ha aggiunto, egli è venuto “per rimanere con noi, per sempre”. Il Natale ci rammenta, così, che “è Dio ad aver preso l’iniziativa” di venire incontro all’uomo. Il Signore, ha proseguito, ha condiviso il nostro pellegrinaggio sulla terra “garantendoci il raggiungimento di quella gioia e pace, a cui aspiriamo dal profondo del nostro essere”. D’altro canto, l’Avvento ci avverte che obiettivi buoni e onesti, come il “perseguimento di mete sociali, scientifiche ed economiche” non bastano a soddisfare “le aspirazioni più intime del nostro animo”. Ecco allora l’invito del Natale ad “allargare la visuale” e a “contemplare la Sapienza di Dio”.

 

(Canti)

 

Al termine della catechesi, in un clima particolarmente gioioso, si sono alternati una cantante, che ha eseguito due brani natalizi in polacco, una banda austriaca e, immancabili, i zampognari, provenienti dal Molise. Il Pontefice ha salutato i rappresentanti dello Scoutismo cattolico presenti all’udienza, che hanno portato da Betlemme la lucerna, simbolo della pace. Quindi, ha ringraziato calorosamente i fedeli della Val d’Aosta, guidati dal vescovo Giuseppe Anfossi, che quest’anno hanno donato al Papa il grande Albero di Natale, allestito in piazza San Pietro accanto al Presepe.

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E proprio nel pomeriggio di oggi - a partire dalle 16.30 - in piazza San Pietro, si svolgerà la cerimonia di accensione dell'Albero di Natale, alla presenza del presidente del Governatorato della Città del Vaticano, il cardinale Edmund Szoka. Quest'anno, dunque, la Valle d'Aosta - che ha ospitato il Pontefice per nove soggiorni estivi - è stata scelta tra le regioni montane d'Europa per il dono dell'Albero, secondo una tradizione iniziata nel 1982. Giovanni Peduto ha intervistato il vescovo di Aosta, mons. Giuseppe Anfossi, che ha guidato un folto pellegrinaggio a Roma in occasione dell’evento:

 

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D. – Eccellenza, con quali sentimenti avete donato questo albero al Papa?

 

R. – Il sentimento dominante è la gratitudine, perché il Papa è venuto da noi nove volte per riposarsi, e una volta in visita pastorale. Ogni volta che viene, il Papa commenta la natura o fa un intervento che possiamo considerare spirituale o sulla montagna o qualche volta riguardo al turismo. Ci ha autorizzati a far vacanza, per esempio, che non è piccola cosa per noi vescovi e preti; e poi, è un ammiratore della montagna nella sua bellezza naturale. Credo che anche una sua poesia sia ispirata alla bellezza delle nostre montagne…

 

D. – Che significato ha l’Albero di Natale?

 

R. – Per noi rappresenta appunto la cultura, l’economia e anche la spiritualità della montagna, di un popolo che si è evoluto molto in questi ultimi tempi e che ha bisogno di ritrovare radici cristiane, ha bisogno di esplicitare nella propria tradizione la fonte evangelica e cristiana antica. E’ un albero che ha 110 anni di vita, sembra, se non di più; è alto 28 metri, è un abete rosso, racconta credo una storia molto lunga della nostra valle, dalla povertà alla ricchezza. Dalla montagna che rende pochissimo al turismo che rende invece ricchi ...

 

D. – E il suo augurio per questo Natale?

 

R. – E’ che l’Albero vicino al Presepio ricordi che tutte le culture sono bene accolte nella Chiesa, ma che bisogna costruire la pace; e la pace non viene da sola: tutto lo sta dimostrando. Per avere la pace lontano, nella Terra di Gesù o nell’Iraq, dobbiamo anche essere costruttori di pace qui. Io auguro a tutti che la pace non sia soltanto una bella bandiera, ma un programma di vita.

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RINUNCIA E NOMINA

 

Il Santo Padre ha accettato oggi la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Calabar, in Nigeria, presentata da mons. Brian David Usanga, per raggiunti limiti di età; allo stesso incarico ha nominato mons. Joseph Edra Ukpo, finora vescovo di Ogoja.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina il titolo "Un Avvento di speranza": la catechesi di Giovanni Paolo II all'udienza generale.

Sempre in prima, riguardo all'Iraq si sottolinea che non si ferma la spirale delle violenze. Il titolo all'articolo è "Bombe sui tentativi di normalizzazione"

 

Nelle vaticane, la comunità dell'"Osservatore Romano" ricorda Sergio Trasatti a dieci anni dalla morte.

 

Nelle estere, Medio Oriente: l'Egitto riprende la mediazione tra le fazioni radicali palestinesi.

Guatemala: esumate da una fossa comune 76 vittime inermi di paramilitari di destra.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Angelo Marchesi sul volume "Audacia della ragione e inculturazione della fede".

Una monografica dal titolo "Il fenomeno religioso oggi". L'uomo moderno e la trascendenza: studi e riflessioni su un tema centrale. 

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la legge Gasparri: ipotesi di decreto per Rete 4 e Rai 3.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

17 dicembre 2003

 

 

NUOVO ATTENTATO STAMANE A BAGHDAD

MENTRE SI CONTINUA A DISCUTERE SULLA SORTE DI SADDAM HUSSEIN

DOPO LA SUA CATTURA DA PARTE DEGLI AMERICANI: CON NOI MARIA RITA SAULLE

 

A quattro giorni dalla cattura di Saddam Hussein, in Iraq è sempre altissima la tensione. Almeno dieci persone sono morte stamattina a Baghdad, teatro dell’ennesimo attentato. Il servizio di Andrea Sarubbi:

 

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Ancora un camion bomba nella capitale, ancora civili uccisi. Per errore, sembra, perché l’obiettivo dell’attentato doveva essere una caserma di polizia vicina al luogo dell’esplosione, nel quartiere sudoccidentale di Al-Bayaa. Ma il veicolo è saltato in aria in anticipo, dopo un imprevisto incidente con un minibus.

 

L’attentato di questa mattina conferma l’autonomia della guerriglia da Saddam, che è ancora nelle mani degli americani, e che la sua figlia maggiore, Raghad, vorrebbe ora visitare. La stessa Raghad si è detta certa che suo padre sia stato drogato, e l’ipotesi viene rilanciata oggi dalla stampa libanese: lo avrebbe narcotizzato una sua guardia del corpo, il colonnello al Maslat, trovato morto ieri nei pressi di Tikrit, sulle rive del fiume Tigri.

 

Proprio il destino di Saddam continua a monopolizzare il dibattito internazionale. L’ex leader sarebbe ancora in Iraq – probabilmente nei dintorni di Baghdad, ha fatto sapere il Consiglio di governo provvisorio – e sempre nel Paese del Golfo dovrebbe svolgersi il processo pubblico a suo carico, comunque non prima di luglio 2004. C’è già un candidato alla sua difesa – l’avvocato russo Zhirinovski, leader dell’ultradestra – ed un’ipotesi di condanna all’orizzonte: la pena di morte, invocata da molti esponenti dell’ex opposizione ma respinta da buona parte della comunità internazionale, Iran compreso. “Saddam la meriterebbe”, ha detto il presidente Khatami, favorevole però ad un processo perché convinto che da questo uscirebbero rivelazioni “imbarazzanti” per gli Stati Uniti.

 

Ma qualche motivo di imbarazzo, per la coalizione angloamericana, c’è già. L’ex capo degli ispettori Onu, Blix, ha smentito l’ennesima voce del ritrovamento di armi di distruzione di massa, diffusa in queste ore a Londra dall’Iraq survey group.

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Ma in questo quadro, Saddam potrà essere processato come “prigioniero di guerra”? Fabio Colagrande lo ha chiesto alla prof.ssa Maria Rita Saulle, docente di diritto internazionale all’Università di Roma:

 

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R. – Gli Stati Uniti hanno detto che non hanno mai fatto la guerra contro l’Iraq, ma hanno fatto la guerra contro un uomo, e questo – naturalmente – è un principio contrario al diritto internazionale, perché la guerra si fa tra Stati. Gli Stati Uniti hanno detto che applicheranno la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. E qui, naturalmente, si tratta di una scelta unilaterale, perché non essendoci una guerra ma un’azione militare contro una persona, e pretendendo gli Stati Uniti di essere accolti come liberatori dall’Iraq, questa è ovviamente una concessione fatta a Saddam Hussein. Il quale, peraltro, come persona e come prigioniero – di guerra o non di guerra – ha diritto ormai, secondo il diritto internazionale – ad un trattamento umanitario, a determinati standard. Come prigioniero di guerra, può declinare nome e cognome e può anche non rispondere.

 

D. – Ma proprio in base al diritto internazionale, Saddam Hussein deve essere un prigioniero di guerra, non c’erano alternative … o c’erano?

 

R. – Può essere un prigioniero politico, per esempio, nel momento in cui gli Stati Uniti hanno più volte ribadito il principio che loro non hanno fatto la guerra all’Iraq, hanno fatto la guerra a Saddam Hussein, che il popolo iracheno è un popolo amico, che vogliono che si instauri la democrazia in Iraq. L’applicazione della Convenzione di Ginevra è una scelta degli Stati Uniti per dimostrare la legalità dell’operazione: mentre hanno negato l’esistenza di una guerra contro l’Iraq, trattano Saddam Hussein come prigioniero di guerra. Questo da una parte significa che vengono applicate, nei confronti di questa persona – fosse anche il peggior criminale del mondo – le garanzie del diritto internazionale, altrimenti anche noi arretreremmo a livelli tribali. Quindi, ben venga che venga assimilato ad un prigioniero di guerra.

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CAMBIO DELLA GUARDIA ALLA GUIDA DELLA NATO:

CONCLUDE OGGI IL SUO MANDATO DI SEGRETARIO GENERALE GEORGE ROBERTSON:

INTERVISTA CON ARDUINO PANICCIA

 

Cambio della guardia alla guida della Nato. Nel quartier generale dell’Alleanza, a Bruxelles, lo scozzese George Robertson terrà oggi pomeriggio il suo ultimo discorso da segretario generale: gli succederà, il 5 gennaio, l’ex ministro degli Esteri olandese, Jaap de Hoop Scheffer. Davanti agli ambasciatori dei 19 Paesi membri, lord Robertson traccerà un bilancio dei suoi 4 anni di mandato. Un’occasione, dunque, per riflettere sul ruolo di un’Alleanza che sta attraversando un momento difficile. Andrea Sarubbi ne ha parlato con Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste:

 

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R. – Credo che Robertson lasci in questo momento la Nato senza una vera, precisa strategia. Nessuno riesce a capire bene quali potranno essere i veri, importanti compiti della Nato nei prossimi anni. Probabilmente, vi sarà un compito – il prossimo anno – di sostituzione di parte delle Forze di coalizione in Iraq. Ma esattamente questo non lo sa ancora nessuno.

 

D. – Da quando Robertson ha preso il posto di Solana, nel ’99, per almeno due volte gli Stati Uniti hanno agito da soli: penso all’Iraq e all’Afghanistan. Si può parlare di un ‘flop’ della Nato?

 

R. – Non li chiamerei dei ‘flop’. Credo che nessuna organizzazione, come dicevamo prima, possa avere risultati brillanti se non vi è una strategia davanti e dietro alle spalle. E questo sta a significare che i contrasti tra Unione Europea e Stati Uniti hanno portato la Nato sostanzialmente in una fase di stallo e non credo che dipenda soltanto dal segretario generale; credo che vi debba essere prima di tutto un accordo di fondo: o la Nato ha un nucleo europeo che si ritaglia degli spazi ed agisce su posizioni abbastanza autonome e in un’area precisa e circoscritta, oppure la confusione rimarrà e non ci sarà cambio di segretario generale che potrà risollevare la Nato da questo stato di cose piuttosto ‘opaco’. Se le due componenti della Nato non si parlano, è probabile che andiamo incontro anche in Iraq nei prossimi mesi o ad una non-presenza della Nato, oppure ad un altro – chiamiamolo così – ‘flop’.

 

D. – Quando la Nato è sorta, c’erano anche dei motivi storici: c’era la paura del blocco sovietico, quindi c’era l’esigenza di contrapporsi al Patto di Varsavia. Oggi, nel 2003, ha ancora senso quest’alleanza, e qual è il suo scopo?

 

R. – E’ comunque un’organizzazione difensiva sotto il cui ombrello si pongono, con grande speranza, ad esempio, tutti i Paesi di nuova adesione e tutti coloro che sono ad Est dell’Europa. Quindi, un compito fondamentale può rimanere: non è soltanto la Nato che ha dei problemi. L’Onu ne ha ancora di più! Il fatto è che, avendo una forte, grande superpotenza come quella americana, ed essendo questa superpotenza circondata da alleati più o meno riluttanti, vanno rivisti appunto i compiti dell’organizzazione e questi compiti possono essere i più interessanti soprattutto se sono tesi ad un ruolo di salvaguardia della pace e della cooperazione militare senza spingere la Nato ad affrontare adesso cose che non è assolutamente in grado di affrontare.

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UN SEMINARIO  A NEW YORK HA OFFERTO L’OCCASIONE

PER RILANCIARE IL DIBATTITO SULLA  FAMIGLIA  A  LIVELLO INTERNAZIONALE. 

L’INCONTRO E’ STATO PROMOSSO DA UN COMITATO DI 27 ONG,

SU INIZIATIVA DI ESPONENTI DELLA SOCIETA’ CIVILE

- Intervista con Ignacio Tonel -

 

Un Seminario ad alto livello sulla famiglia: così è stato definito l’incontro, organizzato da un Comitato di 27 Organizzazioni non governative e sostenuto da Stati Uniti, Santa Sede e Segretariato delle Nazioni Unite, che si è svolto ad inizio mese a New York. In vista del X anniversario dell’Anno internazionale della famiglia, che si celebrerà nel 2004, si è voluto un momento di riflessione particolare. Con quali obiettivi lo spiega, nell’intervista di Fausta Speranza, il coordinatore del Comitato, lo spagnolo Ignacio Tonel:

 

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R. – Abbiamo cominciato a lavorare a questo Comitato di Ong nel mese di aprile e vorremmo, attraverso questo nostro impegno, fare il punto sull’importanza della famiglia nella nostra società e farlo, in particolare, all’interno delle Nazioni Unite. Ho lavorato diversi anni alle Nazioni Unite rilevando, purtroppo, che non viene data la giusta importanza all’istituzione familiare. Soltanto qualche volta si creano iniziative per andare incontro alla famiglia. Abbiamo deciso, quindi, di ‘lavorare in positivo’ – come diciamo noi – per mostrare al mondo qual è oggi il ruolo della famiglia nella nostra società.

 

D. – Il coordinamento è voluto in un contesto internazionale in cui rientrano le situazioni dei Paesi più diversi. Cosa chiedere a proposito della famiglia?

 

R. – Lavoriamo nel contesto internazionale dei governi rappresentati alle Nazioni Unite e vorremmo, soprattutto, richiamare l’attenzione dei governi sulla necessità di politiche a sostegno della famiglia o, almeno, vorremmo che si cancellino quelle politiche fiscali o sociali che la penalizzano.

 

D. – Viste le diverse situazioni, però, proprio i punti di partenza per agire sono diversi…

 

R. – Sì, assolutamente. Noi abbiamo appena cominciato a lavorare, come ho già detto. Finora non c’era un coordinamento internazionale di Ong relativo alla famiglia. Per il momento quello che vogliamo è arrivare a creare delle lobby in difesa della famiglia. Naturalmente, a livello nazionale saranno poi le Ong di ciascun Paese che dovranno impegnarsi e lottare per avere misure e politiche adatte alle necessità delle famiglie del loro stesso Paese. A livello internazionale, in ogni caso,  il profilo della famiglia dovrebbe essere più alto.

 

D. – Diciamo allora come è stata accolta l’iniziativa?

 

R. – Alcuni Paesi, soprattutto dell’Europa occidentale, sostengono che la famiglia è una questione privata, una questione che deve essere affrontata all’interno del Paese stesso senza essere oggetto di promozione pubblica e di politiche pubbliche. Ci sono, però, molti altri Paesi – soprattutto africani, appartenenti al mondo arabo, Stati Uniti, America Latina ed alcuni anche europei – che si sono, invece, mostrati molto contenti di questa iniziativa a favore della famiglia, se non altro perché non c’era mai stato un coordinamento internazionale delle Ong pro-famiglia.

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IL 17 DICEMBRE DI CENTO ANNI FA, NELLA CAROLINA DEL NORD,

IL PRIMO VOLO DEI FRATELLI WRIGHT INAUGURAVA LA STORIA DELL’AVIAZIONE.

CAPOSTIPITE DEGLI ATTUALI JET FU UN ALIANTE A MOTORE IN LEGNO: IL FLYER-1

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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(musica)

 

Sono sferiche o goffamente affusolate le forme dei “signori dei cieli”, quando il 17 dicembre del 1903 l’uomo e il mito del volo stanno per fondersi in un rivoluzionario matrimonio. Mongolfiere e dirigibili solcano da tempo le nubi e coprono spazi addirittura abnormi se paragonati all’impresa – risibile nelle sue dimensioni - che un giorno di cento anni fa, su una lingua sabbiosa della Carolina del nord, sta per compiere quello che all’apparenza sembra un semplice aliante di abete e frassino. Sono le 10.30 del mattino: fa freddo e c’è vento mentre Orville Wright, fratello minore di Wilbur, si stende di traverso sull’ala inferiore del mezzo da loro costruito, battezzato Flyer-1. Il motore si avvia, le doppie eliche aumentano i giri, e poi l’istante che cambia la storia dell’umanità: il primo aeroplano scivola su una rotaia di legno e spicca il volo.

 

(musica)

 

 E’ un semplice balzo, in realtà: 36 metri, a tre metri d’altezza, per 12 secondi. Ma un piccolo salto paragonabile a quello che 66 anni più tardi – dopo un altro straordinario volo – Neal Armstrong compirà sul suolo lunare. La storia dell’aeronautica comincia grazie a due geniali costruttori di biciclette. Ma già sei anni dopo, il pionierismo è una faccenda d’archivio, con il primo volo sulla Manica. I due conflitti mondiali, il secondo soprattutto, contribuiscono all’evoluzione tecnologica degli aerei. Nel 1914 nasce anche l’aviazione commerciale. Il primo biglietto costa una piccola fortuna: 400 dollari. Gli anni ’50 fanno da spartiacque. Il mondo in pace accorcia le distanze, allungando le rotte. Gli aerei sono ormai interamente costruiti in metallo e hanno il radar. Il Lockeed 1049 G è il un mezzo più sicuro per viaggiare tra l’Europa e l’America. La seconda rivoluzione è datata 1960. In quell’anno, gli Usa varano il Boeing 747, che monopolizzerà l’aviazione commerciale fino ai nostri giorni, mentre Francia e Gran Bretagna mostrano al mondo i primi esemplari di quel missile col becco ricurvo che trasporta i passeggeri a una velocità di crociera di 2.179 Kmh: il Concorde. Dai jet supersonici al futuro, il passo è altrettanto veloce e innovativo: avremo i caccia senza pilota, i satelliti armati. Ma intanto, più pacificamente, anche un volo Roma-Londra a 30 euro.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

17 dicembre 2003

 

 

IL VIRUS DELLA SARS COLPISCE A TAIWAN UN MEDICO MILITARE,

TORNATO DA SINGAPORE, DOVE AVEVA SEGUITO UN SEMINARIO PROFESSIONALE.

L’OMS RIBADISCE L’IMPERATIVO: MANTENERE ALTI I LIVELLI

DI SICUREZZA NEI LABORATORI

 

TAIPEI. = La Sars è tornata a colpire. Le autorità sanitarie di Taiwan hanno confermato un nuovo caso di polmonite atipica, il primo dopo l'epidemia della scorsa primavera che colpì 8.100 persone, uccidendone 774. Il coronavirus ha contagiato un medico militare di 44 anni, virologo presso l'Istituto militare di medicina preventiva. Il paziente è stato ricoverato d'urgenza ieri con febbre alta al Tri-Services Hospital di Taipei, per poi essere trasferito questa mattina al Municipal Hoping Hospital, struttura specializzata nel trattamento della Sars. Il medico era appena tornato da Singapore, dove aveva soggiornato dal 7 al 10 dicembre per un seguire un seminario. Secondo il ministro della Sanità di Taiwan, Chen Chien-jen, l'uomo si sarebbe infettato proprio durante il suo soggiorno nella città-Stato. “Il paziente - ha riferito il ministro - si trova in condizioni stabili, con un'infezione polmonare e tosse. Dopo il suo ritorno è entrato in contatto solo con i propri familiari, che al momento non risultano infettati”. Le autorità sanitarie di Taiwan hanno notificato il nuovo caso all’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, e ai 21 Paesi dell'Asia-pacific economic forum. L’Oms, da parte sua, ha espresso “preoccupazione” per l’episodio ed ha ribadito la necessità di mantenere un “alto livello” delle misure di sicurezza all’interno dei laboratori che studiano il virus della Sindrome respiratoria acuta. (A.D.C.)

 

 

APPELLO COMUNE DELLE CHIESE LOCALI

E DELLE ORGANIZZAZIONI PER I DIRITTI UMANI

PER BLOCCARE LE VIOLENZE INTERETNICHE CHE INSANGUINANO L’INDIA.

L’APPELLO LEVATO AL TERMINE DI UN INCONTRO

ORGANIZZATO DAI SALESIANI DI GUHAWATI

 

GUHAWATI. = Promuovere uno sforzo congiunto per bloccare la violenza etnica che sconvolge da tempo la regione dell’India Nordorientale, in particolare gli Stati dell’Assam, Nagaland, Manipur, Meghalaya, dove nelle ultime settimane si sono registrate centinaia di vittime. Con questo scopo oltre 100 delegati di sette Stati della regione (leader civili e responsabili di chiese locali, associazioni, movimenti per i diritti umani) si sono riuniti di recente a Guwahati, in rappresentanza di oltre 300 comunità di etnia diversa. L’incontro, riferisce l’Agenzia Fides, era organizzato dai Salesiani del Don Bosco Youth and Education Service, in collaborazione con la Amity Foundation, e mirava a studiare strategie per riportare pace e armonia nella martoriata regione, oggi affetta da violenza, disoccupazione, miseria. La riunione, a cui hanno partecipato studenti, giornalisti, intellettuali, leader civili, accademici e religiosi, si è conclusa con una marcia per la pace per le strade di Guwahati, a cui hanno preso parte oltre 3.000 persone. Mons. Thomas Menamparampil, Arcivescovo di Guwahati, impegnato direttamente per la pace fra i vari gruppi etnici in lotta, ha incoraggiato i presenti: “La pace è possibile – ha detto - è nostro potere ottenerla. La storia umana è fatta non solo di guerre, ma anche di sforzi e collaborazione per costruire grandi civiltà pacifiche”. (A.D.C.)

 

 

LA COMMISSIONE EUROPEA INVITA GLI STATI MEMBRI

AD AGGIORNARE LE MISURE DI TUTELA PER I MINORI IN RELAZIONE

ALL’ECCESSO DI VIOLENZA CHE INVADE INTERNET E LA TELEVISIONE

 

BRUXELLES. = Internet e televisione a misura di bambino. E’ quanto raccomanda la Commissione europea agli Stati dell’Ue, nel nuovo Rapporto di valutazione adottato ieri in tema di protezione dei minori e di dignità umana negli audiovisivi e nel servizio informativo. Un invito rivolto dall’esecutivo comunitario soprattutto alle industrie interessate, giacché - come ha affermato il commissario europeo per l'Educazione, Viviane Reding – è “alto” il “livello di violenza in alcuni media”. In particolare, la Commissione di Bruxelles ha deciso di proporre, nel nuovo rapporto che analizza le misure adottate dagli Stati a partire dal 2000, un aggiornamento della Raccomandazione già adottata dal 1998, che dovrà essere rispettata anche nel corso dei primi mesi del 2004. “Anche se la Raccomandazione è stata applicata in modi differenti dagli Stati membri e dai Paesi candidati - ha sottolineato Reding - gli sviluppi sono stati in generale positivi. Ma, sono convinta che bisogna fare di più”. Il primo passo in questa direzione è l'aggiornamento della Raccomandazione, che dovrebbe riguardare l'educazione attraverso i media, il diritto di replica e le misure da prendere contro la discriminazione o l'incitamento all'odio in base alla razza, al sesso o alla nazionalità, diffusi on line. Secondo la Commissione, specialmente nella Rete sono in aumento i comportamenti illegali e nocivi: una situazione che determina preoccupazione non solo nei legislatori e nelle industrie, ma soprattutto nei genitori. (A.D.C.)

 

 

DIMINUISCONO IN ITALIA I FURTI CONTRO IL PATRIMONIO CULTURALE,

META’ DEI QUALI PERPETRATI A DANNO DELLE CHIESE.

RECUPERATI NEL 2003 10 OLI SU TELI, DATATI TRA IL ‘500 E IL ‘600

- A cura di Dorotea Gambardella -

 

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ROMA. = Oltre 1.200 furti di opere d’arte di cui 479 a danni di chiese: è quanto emerge dal bilancio dell’attività svolta durante il 2003 dal Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. Dati confortanti secondo il generale Ugo Zottin, poiché rispetto allo scorso anno si è registrato un calo del 19 per cento. Nel 2002 erano infatti oltre 1500 i dipinti rubati, di cui 647 di proprietà della Chiesa. Un decremento verificatosi anche per gli oggetti trafugati che dagli oltre 18 mila dello scorso anno sono calati a 16.839 attuali. Il contenimento del fenomeno è dovuto sia ad una capillare opera di prevenzione condotta dai carabinieri sia alla collaborazione dei criminali stessi. In particolare, molto fruttuosa, è risultata l’operazione ‘Art attack’, che ha consentito il recupero di 10 oli su tela, di età compresa tra il ‘500 ed il ‘600, provenienti dalla chiesa di San Giusto a Volterra. Le opere, asportate il 9 aprile 2000, sono state ritrovate a partire dallo scorso dicembre. L’operazione investigativa è stata definita ‘Art attack’, dove attack riveste il duplice significato di attacco-incollaggio, poiché dalle indagini è emerso che prima di essere immesse sul mercato clandestino, alcune parti delle tele venivano sezionate e sostituite con altre staccate da opera diverse per confonderne le caratteristiche e sfuggire così ai controlli.

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24 ORE NEL MONDO

17 dicembre 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

L’Esercito russo ha inviato, oggi, altri militari in Daghestan, regione dove quattro guerriglieri ceceni sono stati uccisi, nella notte, dall’aviazione russa. Gli indipendentisti caucasici avevano attaccato, nei giorni scorsi, reparti federali di frontiera e avevano occupato due villaggi al confine con la Georgia. I separatisti avevano anche minacciato di estendere i loro attacchi a tutto il Caucaso, puntando ad arrivare “allo studio del presidente Putin al Cremlino”'. Ma perché ora le autorità russe hanno deciso di rafforzare i loro spiegamenti in Daghestan? Giada Aquilino lo ha chiesto al vicedirettore di Famiglia Cristiana, esperto di questioni russe, Fulvio Scaglione:

 

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R. – Questo è uno dei frutti della schiacciante vittoria elettorale che le formazioni filo-putiniane hanno ottenuto alle elezioni politiche di una decina di giorni fa. E’ evidente che il Cremlino, il presidente e il governo si sentono più forti e quindi possono decidere una misura come questa che è, comunque, l’ammissione del fatto che la questione cecena è lungi dall’essere risolta. Dall’altro lato, il Cremlino non poteva non rispondere agli ultimi micidiali attentati, uno dei quali perpetrato proprio davanti alla Duma, nel centro di Mosca.

 

D. – I guerriglieri ceceni hanno moltiplicato in tutto il Caucaso le loro azioni: sono degli attacchi diretti al potere centrale russo?

 

R. – Penso di sì. Naturalmente, come in molti altri casi di guerriglia, l’obiettivo non è quello di scalzare un potere che non è certo scalzabile: in questo caso il Cremlino non andrà in crisi per le azioni della guerriglia separatista. In questo modo, però, i ceceni alzano di molto il prezzo se si dovesse un domani arrivare ad una trattativa politica.

 

D. – Da una parte la strategia dei ceceni, dall’altra il pugno di ferro di Putin: il Caucaso rischia di esplodere?

 

R. – Non credo che il Caucaso rischi di esplodere, perché è un rischio che corre da molti anni; certe spinte sono state contenute e neutralizzate. Certo è che – ancora di più – si vede come la via degli Eserciti non riesca a risolvere dei problemi che sono etnici, culturali, sostanzialmente politici.

 

D. – Ma allora qual è la linea da seguire?

 

R. – L’evoluzione della guerriglia cecena è stata molto precisa: richiesta di indipendenza, richiesta respinta, confronto armato e pesantissimo da un lato - con l’impiego di un Esercito numerosissimo - e azione spietata dall’altra, con la risposta degli attentati. Da parte russa, è evidente che in questo caso lo sforzo maggiore deve essere fatto da Mosca e quindi è il Cremlino che deve tentare una via politica. Fuori da questa via è veramente difficile arrivare ad una soluzione.

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Il partito comunista russo (Kprf) sta pensando, dopo la recente sconfitta elettorale, di non partecipare, per la prima volta nella storia della nuova Russia, alle prossime elezioni presidenziali previste a marzo 2004.  A questo boicottaggio potrebbero unirsi anche i due Partiti liberali per impedire il quorum del 50 per cento necessario a rendere valide le operazioni di voto.

 

E’ ancora una volta l’Egitto a proporsi come mediatore nella crisi mediorientale. Ieri a Gaza si è svolto un incontro tra una delegazione dei servizi di sicurezza del Cairo e rappresentati del Movimento radicale palestinese Hamas. Malgrado le proteste palestinesi e le critiche internazionali, Israele ha intanto stanziato nuovi fondi per la costruzione del muro che separa lo Stato ebraico dalla Cisgiordania. Sull’incontro svoltosi a Gaza ci riferisce di Graziano Motta:

 

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E’ stato fermo, il portavoce di Hamas, sulla posizione più volte espressa di sospendere le attività di guerriglia e di attentati contro civili ebrei, a condizione che da parte israeliana cessino le operazioni militari nei territori. La tregua limitata, dunque, è condizionata ad una reciprocità di impegni. Oggi la delegazione egiziana incontrerà anche esponenti di altre organizzazioni impegnate nella rivolta, tra cui quelli della Jihad islamica, sempre nel tentativo di far loro accettare un cessate-il-fuoco. E’ atteso intanto l’annuncio da parte del primo ministro israeliano Sharon, di un piano di provvedimenti unilaterali, incoraggiati dagli Stati Uniti, relativi in particolare all’abbandono degli insediamenti di Gaza e da quelli più isolati della Cisgiordania. Per il vice-presidente del Consiglio, che ne ha parlato ad una Conferenza nazionale sulla sicurezza, questo ritiro interesserebbe alcune decine di migliaia di coloni.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Il governo autonomo della Catalogna ha da ieri un nuovo presidente: si tratta del socialista Pasqual Margall. Questa elezione pone fine a quasi un quarto di secolo di controllo del governo regionale da parte dei nazionalisti di Convergencia i Uniò e del suo leader, Jordi Pujol.

 

Finanziaria 2004 e Legge Gasparri. Sono questi i principali nodi da sciogliere nell’attuale scenario politico italiano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Oggi l’Aula di Montecitorio ha approvato il Disegno di legge per la Finanziaria 2004 e per il bilancio; lunedì prossimo è previsto il sì definitivo del Senato. Stamani il Governo è stato però battuto alla Camera su due ordini del giorno presentati dall’opposizione. Sono stati infatti approvati due testi proposti dai Democratici di sinistra, uno per la riduzione dei contribuiti in agricoltura e l’altro per l’eliminazione dei limiti delle agevolazioni previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto. E’ sempre più acceso, intanto, il dibattito sulla riforma del sistema radio-televisivo. Il rinvio alle Camere della Legge Gasparri da parte del presidente della Repubblica, Ciampi costringe il Parlamento ad un nuovo esame. E’ stata intanto avanzata l’ipotesi di un Decreto per salvare Rete 4 e Rai 3 dando due mesi di tempo al Parlamento per modificare la Legge. Il Decreto servirà a bloccare gli effetti di una sentenza della Corte Costituzionale che prevede, dal primo gennaio del prossimo anno, il trasferimento di Rete 4 sul satellite e il divieto per Rai 3 di raccogliere e trasmettere pubblicità.  

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Il governo iraniano ha annunciato che domani potrebbe firmare il Protocollo sulla non proliferazione nucleare. Il documento dell’Aiea prevede una serie di controlli sul territorio iraniano, dove si sospetta che siano stati istallati laboratori per la produzione di armi nucleari.

 

La Russia avrebbe venduto all’Iran un sistema missilistico di difesa antiaerea per proteggere il reattore nucleare di Bushehr. A rivelarlo sono fonti militari citate da Debkafile, il sito israeliano specializzato in intelligence.

 

In Brasile, nello Stato di Minas Gerais, un pullman è precipitato in un burrone causando la morte di almeno 23 persone, tra le quali 13 bambini, ed oltre 40 feriti.

 

Arrestato in Spagna, nei pressi della città di Marbella, un olandese di 31 anni sospettato di essere coinvolto nel furto, avvenuto l’anno scorso, di due quadri di Vincent Van Gogh. Lo ha reso noto, ieri, la Polizia spagnola.

 

E’ arrivato questa mattina, nel porto di Lampedusa, il traghetto partito sabato scorso da Porto Empedocle e rimasto per 4 giorni davanti alle coste dell’isola a causa del maltempo.

 

Raffica di ergastoli, in Grecia, per i militanti dell’organizzazione criminale ‘17 novembre’, ritenuta responsabile di almeno 23 omicidi a partire dal 1975.

 

 

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